Frontespizio Relazione
XVII LEGISLATURA
 

CAMERA DEI DEPUTATI


   N. 4368-A-bis


DISEGNO DI LEGGE
presentato dal ministro della giustizia
(ORLANDO)
di concerto con il ministro dell'interno
(ALFANO)
e con il ministro dell'economia e delle finanze
(PADOAN)
approvato dalla Camera dei deputati il 23 settembre 2015
(v. stampato Senato n. 2067)
E
PROPOSTE DI LEGGE
d'iniziativa dei deputati
FERRANTI, VERINI, MATTIELLO, GIULIANI, MARZANO, BAZOLI, CAMPANA, TARTAGLIONE
approvata dalla Camera dei deputati il 24 marzo 2015
(v. stampato Senato n. 1844)
MOLTENI, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, MATTEO BRAGANTINI, BUSIN, CAON, CAPARINI, GRIMOLDI, MARCOLIN, GIANLUCA PINI
approvata dalla Camera dei deputati il 29 luglio 2015
(v. stampato Senato n. 2032)
d'iniziativa dei senatori
SCILIPOTI ISGRÒ; TORRISI; MANCONI, TRONTI, TORRISI; COMPAGNA; BARANI; BARANI; BARANI; BARANI; BARANI; BARANI; BARANI; MARINELLO, MAZZONI, PAGANO, ALICATA, GUALDANI, SCOMA, RUVOLO; COMPAGNA; CARDIELLO, VILLARI, MUSSOLINI, FASANO, EVA LONGO, DE SIANO, D'ANNA, MILO, RAZZI, COMPAGNA, AMORUSO, GENTILE, VICECONTE, FAZZONE, CALIENDO, AIELLO, GIUSEPPE ESPOSITO, CHIAVAROLI; CARDIELLO, SIBILIA, VILLARI, DE SIANO, EVA LONGO, FASANO, AMORUSO, RAZZI, LIUZZI, ALICATA, FAZZONE, MUSSOLINI; CARDIELLO, SIBILIA, VILLARI, DE SIANO, EVA LONGO, FASANO, AMORUSO, LIUZZI, FAZZONE, ALICATA, MUSSOLINI; BARANI; CASSON, LUMIA, CHITI, STEFANO ESPOSITO, BROGLIA, FILIPPI, SPILABOTTE, SOLLO, CIRINNÀ, DIRINDIN, LO GIUDICE, FEDELI, RITA GHEDINI, TOCCI, LO MORO, RICCHIUTI, MOSCARDELLI, FAVERO, ORELLANA, FUCKSIA, MASTRANGELI, URAS; DE CRISTOFARO, DE PETRIS, BAROZZINO, CERVELLINI, PETRAGLIA, STEFANO, URAS; LO GIUDICE, CAPACCHIONE, GIACOBBE, MANCONI, PAGLIARI, PALERMO, PEZZOPANE, SOLLO; CASSON, LUMIA, CAPACCHIONE, CIRINNÀ, FILIPPIN, GINETTI, LO GIUDICE, MANCONI, CHITI, GIANLUCA ROSSI, FORNARO, GOTOR, ALBANO, RICCHIUTI, CUCCA, DIRINDIN, PEZZOPANE, SPILABOTTE, MATTESINI, MINEO, DI GIORGI, AMATI, SOLLO, PAGLIARI, VALENTINI, DE PIN, DEL BARBA, MANASSERO, SCALIA, CANTINI, SANGALLI, FUCKSIA; LUMIA, CASSON, CAPACCHIONE, CIRINNÀ, CUCCA, FILIPPIN, GINETTI, LO GIUDICE, ALBANO; LO GIUDICE, MANCONI, BENCINI, CIRINNÀ, DALLA ZUANNA, DI GIORGI, FAVERO, FEDELI, FILIPPI, RITA GHEDINI, GUERRA, IDEM, MARGIOTTA, MASTRANGELI, PAGLIARI, PALERMO, PEZZOPANE, RICCHIUTI, SPILABOTTE; GIARRUSSO, CAPPELLETTI, AIROLA, BERTOROTTA, BUCCARELLA, BULGARELLI, CASTALDI, CATALFO, CIAMPOLILLO, CIOFFI, CRIMI, ENDRIZZI, GIROTTO, LUCIDI, MANGILI, MARTELLI, MOLINARI, MORONESE, MORRA, PAGLINI, SANTANGELO, SCIBONA, SIMEONI, VACCIANO; GIARRUSSO, CAPPELLETTI, AIROLA, BERTOROTTA, BUCCARELLA, BULGARELLI, CASTALDI, CATALFO, CIAMPOLILLO, CIOFFI, CRIMI, ENDRIZZI, GIROTTO, LUCIDI, MANGILI, MARTELLI, MOLINARI, MORONESE, MORRA, PAGLINI, SANTANGELO, SCIBONA, SIMEONI, VACCIANO; GIARRUSSO, CAPPELLETTI, AIROLA, BERTOROTTA, BUCCARELLA, BULGARELLI, CASTALDI, CATALFO, CIAMPOLILLO, CIOFFI, CRIMI, ENDRIZZI, GIROTTO, LUCIDI, MANGILI, MARTELLI, MOLINARI, MORONESE, MORRA, PAGLINI, SANTANGELO, SCIBONA, SIMEONI, VACCIANO; GIARRUSSO, CAPPELLETTI, AIROLA, BERTOROTTA, BULGARELLI, CASTALDI, CATALFO, CIAMPOLILLO, CIOFFI, CRIMI, ENDRIZZI, GIROTTO, LUCIDI, MANGILI, MARTELLI, MOLINARI, MORONESE, MORRA, PAGLINI, SANTANGELO, SCIBONA, SIMEONI, VACCIANO; GINETTI, ZANONI, PUPPATO, CHITI, MATTESINI, ALBANO, LO GIUDICE, PEZZOPANE, BERTUZZI, CIRINNÀ, CUCCA, LUCHERINI; CAMPANELLA, MINEO, BOCCHINO, DE PIN, RICCHIUTI, BENCINI, GAMBARO, PUPPATO, PALERMO; RICCHIUTI, LO GIUDICE, TOCCI; BARANI; MUSSINI, BENCINI, SIMEONI, VACCIANO, MASTRANGELI; D'ASCOLA, GENTILE, AIELLO, DI GIACOMO, ANITORI, CONTE, DALLA TOR, GUALDANI, VICECONTE, TORRISI, COMPAGNA, LUCIANO ROSSI; CAPPELLETTI; GINETTI; BISINELLA, BELLOT, MUNERATO, ZIZZA, LANIECE, DALLA TOR, ASTORRE, DI GIACOMO, NACCARATO, MANCUSO, CONTE
(v. stampati Senato nn. 176, 209, 286, 299, 381, 382, 384, 385, 386, 387, 389, 468, 581, 597, 609, 614, 700, 708, 709, 1008, 1113, 1456, 1587, 1681, 1682, 1683, 1684, 1693, 1713, 1824, 1905, 1921, 1922, 2103, 2295 e 2457)
APPROVATI, IN UN TESTO UNIFICATO,
DAL SENATO DELLA REPUBBLICA
il 15 marzo 2017
Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all'ordinamento penitenziario
Trasmesso dal Presidente del Senato della Repubblica
il 15 marzo 2017
(Relatore di minoranza: FERRARESI)


      

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Onorevoli Colleghi! – Il progetto di legge C. 4368, di iniziativa prevalentemente governativa, alla seconda lettura dell'assemblea della Camera, riunisce in testo unificato, a seguito della presentazione di un maxiemendamento di 95 commi sul quale il Governo ha posto in Senato la questione di fiducia, due progetti di legge di riforma, approvati nel 2015 in questo ramo del Parlamento, del processo penale e della prescrizione.
      A sua volta, l'atto cui generalmente ci si riferisce come la riforma del processo penale comprende, numerosi argomenti che esulano dalla mera procedura come le modifiche al codice penale (commi da 5 a 9) ed una vasta delega per il riordino dell'ordinamento penitenziario (commi 85-86). Delega quest'ultima delega, assieme a quella sulle intercettazioni (commi da 82 a 84 e da 88 a 91), ed alla revisione del regime della prescrizione (commi da 10 a 15), che rappresentano, a nostro parere, alcuni dei punti politicamente più controversi del progetto di legge, nonché per i quali si riscontrano le maggiori difformità rispetto ai testi originariamente approvati durante la prima lettura Camera.
      Ulteriori modifiche, attraverso un'ampia delega al Governo, sono proposte con riguardo al regime di procedibilità di alcuni reati, alla disciplina delle misure di sicurezza (commi 16 e 17) e del casellario giudiziario (commi 18 e 19). Infine, il testo licenziato dalla commissione giustizia interviene in tema di: incapacità irreversibile dell'imputato di partecipare al processo (commi 21 e 22); disciplina delle indagini preliminari e procedimento di archiviazione (con l'introduzione di un arbitrario limite temporale per il magistrato di tre mesi all'esercizio dell'azione penale ovvero all'archiviazione del fascicolo alla conclusione delle indagini preliminari – commi da 30 a 36); disciplina dei riti speciali (commi da 38 a 53); udienza preliminare; istruzione dibattimentale; struttura della sentenza di merito; impugnazioni; revisione della disciplina dei procedimenti a distanza.
      Nel solco di questa breve introduzione, è allora indispensabile sottolineare le insormontabili criticità, tecniche e politiche, di un testo ondivago e frammentario che, ove approvato, è destinato a rendere, tra le altre cose, più arduo per la magistratura poter contestare ed accertare in maniera esauriente reati, anche gravi, attraverso idonei strumenti di indagine e procedimentali.
      Tali criticità risiedono, sommariamente, nell'azione mirata ad eliminare la pubblicazione di intercettazioni scomode alla politica, nonché nei tagli alle spese per le stesse senza criteri determinati; nell'utilizzo facilitato dei sistemi «trojan», ma solo per reati di mafia e terrorismo; nella previsione del carcere per i cittadini che effettuano registrazioni nei confronti di politici e colletti bianchi; nella fittizia riforma della prescrizione che elude la questione del contrasto alla corruzione e continuerà a lasciare impuniti migliaia di criminali; nel contingentamento, entro termini tassativi ed irragionevoli, dei tempi per la formulazione della richiesta di rinvio a giudizio o di archiviazione, che non potranno essere adeguatamente approfondite e, conclusivamente, in una delega sull'ordinamento penitenziario che erode ulteriormente il principio della certezza della pena e della sicurezza dei cittadini.
      Nell'ordine proposto, il capo relativo alle intercettazioni si articola in due sezioni: una sulle modalità di raccolta delle informazioni (anche per via informatica) e del loro utilizzo, limitandolo fortemente, (comma 84, numeri da 1 a 8), l'altra sulla ristrutturazione e razionalizzazione delle spese relative alle intercettazioni, dimezzandone l'importo previsto (dal comma 88).
      È di tutta evidenza che la delega al Governo (comma 84) enumera i principi e criteri direttivi, ulteriormente precisati dalla lettura in Senato, uniformemente orientati verso una severa restrizione della possibilità di raccolta, utilizzo, pubblicità e divulgazione delle stesse.
      Detti principi sono i seguenti: garantire la riservatezza delle comunicazioni; intervenire sulle modalità di utilizzazione cautelare dei risultati delle intercettazioni e dettare una precisa scansione procedimentale all'udienza di selezione del materiale intercettativo. In tale ambito procedimentale, dovrà essere tutelata in particolare la riservatezza delle comunicazioni e delle conversazioni delle persone «occasionalmente coinvolte» e delle comunicazioni asseritamente «non rilevanti» a fini di giustizia penale.
      Si tratta di disposizioni sostanzialmente volte a far sì che il magistrato chiamato a selezionare le intercettazioni destinate al deposito alla fine delle indagini preliminari – e successivamente messe a disposizione della difesa –, sia messo nella condizione di dover valutare con estrema cautela quale materiale sia «irrilevante», «non pertinente» o «estraneo» all'accertamento dei fatti, generando così, per l'intrinseca qualità soggettiva o non oggettiva di tali categorie, un rischio di «auto-censura», che limiterà i contributi pubblicati e pubblicabili, per non incorrere in sanzioni.
      Inoltre, il divieto di pubblicare le intercettazioni «non rilevanti» ai fini processuali, va ad inserirsi in maniera opaca nel dibattito politico nazionale, laddove la presentazione di simili iniziative di riforma da parte del governo e della maggioranza ha innegabilmente fatto seguito alle indagini su Mafia Capitale – che ha visto il coinvolgimento del Partito democratico romano –, ed ha ripreso il suo iter all'indomani della eco mediatica sull'inchiesta Consip, che vede coinvolti ambienti contigui all'attuale segretario del Partito democratico, come emerso dai fatti di cronaca riportati dagli organi di informazione. E su questo punto, è bene affermare che, dal punto di vista nel nostro gruppo, la rivisitazione delle norme sulle intercettazioni, rappresenta un'esigenza di esclusivo interesse della classe politico-partitica per tenere i cittadini all'oscuro degli scandali giudiziari che la vedono coinvolta, in linea con l'attività dei governi Berlusconi, che tuttavia mai sono riusciti ad ottenere tali risultati.
      In questo senso la «stretta» sulle intercettazioni va inevitabilmente a sommarsi all'introduzione di un nuovo delitto con la pena della reclusione fino a 4 anni (il famigerato «emendamento bavaglio» di cui al comma 84, numero 5), lettera b)) per punire coloro che diffondano il contenuto di riprese audiovisive o registrazioni, svolte alla presenza dell'interessato, o di conversazioni telefoniche, «fraudolentemente» captate, con la sola «finalità di recare danno alla reputazione». La punibilità è esclusa quando le registrazioni o le riprese sono utilizzate nell'ambito di un procedimento amministrativo o giudiziario o per l'esercizio del diritto di difesa o del diritto di cronaca. È evidente che ciò pone dei seri limiti alla possibilità da parte dei cittadini di poter fare informazione, esercitando un legittimo controllo su politica ed istituzioni. In questo senso appare doverosa l'approvazione, perlomeno, delle proposte emendative a nostra firma volte ad escludere la punibilità quando le riprese o le registrazioni riguardino eventi o situazioni di carattere istituzionale, per i quali l'interesse prevalente da tutelare sia la loro conoscibilità da parte dell'opinione pubblica. Così come, la punibilità dovrebbe essere parimenti esclusa nel caso le registrazioni siano utilizzate al fine di denunciare pubblicamente irregolarità. Grazie all'impegno del nostro gruppo durante la prima lettura Camera del provvedimento in esame, è stata esclusa la punibilità per i giornalisti e per l'utilizzo processuale delle registrazioni: un passo avanti, ma insufficiente, in quanto chiunque, anche se non giornalista, deve poter avere il diritto di documentare e diffondere fatti che, in buona fede, ritenga incresciosi.
      Infine, è stato disposto il criterio direttivo atto a disciplinare le intercettazioni di comunicazioni o conversazioni tra presenti mediante immissione di captatori informatici (cd. Trojan - comma 84, lettera e)) in dispositivi elettronici portatili, tale che l'attivazione del microfono avvenga solo in conseguenza di apposito comando inviato da remoto e non con il mero inserimento del captatore informatico, nel rispetto dei limiti – numerosi e stringenti – stabiliti nel decreto autorizzativo del giudice, e che attengono anche alle all'utilizzabilità delle captazioni a seconda della modalità di raccolta.
      Limitazioni che trovano parziale attenuazione solo per alcuni reati (mafia, terrorismo), per i quali l'attivazione del dispositivo è «sempre» ammessa ovvero può essere disposta in via d'urgenza, ma – significativa lacuna – non per gli assai diffusi reati di corruzione, come invece proposto dai nostri emendamenti.
      A fronte delle citate disposizioni, il testo modificato al Senato ha previsto delle «aperture» del tutto generiche alle esigenze investigative e di informazione quali: la semplificazione – senza entrare nello specifico del procedimento – delle condizioni per l'impiego delle intercettazioni nei procedimenti per i più gravi reati dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, ma solo per «i più gravi» reati e solo per «i pubblici ufficiali» (comma 84, lettera d); che si debba tenere conto delle decisioni e dei principi adottati con le sentenze della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo a tutela della libertà di stampa e del diritto dei cittadini all'informazione (comma 84, lettera c).
      A quest'ultima delega, va ad aggiungersene una ulteriore (comma 88), sulle spese per le intercettazioni. Intervenendo sul decreto legislativo n. 259 del 2003 (Codice delle comunicazioni elettroniche), ai fini dell'adozione del canone annuo forfettario per le prestazioni obbligatorie a fini di giustizia effettuate a fronte di richieste di intercettazioni e di informazioni da parte delle autorità giudiziarie, è previsto che, onde conseguire un risparmio del 50 per cento rispetto alla spesa attuale, siano riviste le voci di listino di cui al DM 26 aprile 2001 con decreto dei Ministri della giustizia e dello sviluppo economico (di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze) da emanarsi entro il 31 dicembre 2017.
      Il dimezzamento, di fatto, del budget per le intercettazioni, laddove si è deciso di intervenire sulle spese e non sui costi delle stesse, pur in una logica di razionalizzazione dei centri di spesa, andrà inevitabilmente ad incidere sull'effettiva possibilità, da parte delle procure, di poterle realizzare in base alle risorse disponibili. Ciò in contraddizione con quanto più volte assicurato dalla maggioranza e dal Governo per cui i limiti alle intercettazioni sarebbero stati posti esclusivamente su di un utilizzo giudicato improprio, ma non sull'effettuazione delle stesse. Ancora, è da segnalare, che al comma 84, lettera e), numero 5) ed al comma 88, lettera b) (e al comma 89, sotto il profilo delle spese) sono affidati a decreti ministeriali, la formazione di elenchi di soggetti abilitati e di requisiti tecnico-informatici in capo alle tipologie di prestazioni per intercettazioni. Elenco che configura una possibile ingerenza dell'esecutivo sulle tecniche investigative, nonché un potenziale vantaggio, per chi delinque, di poter verificare quali siano gli strumenti di indagine a disposizione delle autorità.
      I commi da 10 a 14 attengono alla modifica della disciplina della prescrizione. Rispetto alla proposta di legge approvata alla Camera sono numerose le modifiche che vanno a ridimensionare il pur parziale tentativo di rendere più equi e rispondenti alle esigenze di giustizia i termini per la prescrizione dei reati.
      Innanzitutto, va segnalato che nell'attuale formulazione non figura più il cosiddetto «emendamento Ferranti», al tempo rivendicato politicamente dal Pd quale impegno specifico e concreto contro la corruzione, che aveva previsto, con la modifica dell'articolo 157 del codice penale (tempo necessario a prescrivere), un aumento della metà dei termini di prescrizione per tre reati di corruzione (per l'esercizio della funzione, per un atto contrario ai doveri d'ufficio, in atti giudiziari). Impostazione superata nel corso di una mediazione interna alla maggioranza senatoriale che ha fatto prevalere un aumento generico, e non ad hoc, dei tempi di prescrizione mediante la sospensione del corso della stessa dopo il primo e secondo grado di giudizio, per un totale di tre anni (di cui al comma 11).
      Il citato comma 11, tra le altre cose, modificando l'articolo 159 del codice penale, inserisce infatti nuove circostanze per la sospensione dei termini di prescrizione in aggiunta alle attuali ovvero: fino a sei mesi in caso di richiesta di rogatoria all'estero; fino ad un anno e mezzo dal termine per il deposito della motivazione della sentenza di condanna in primo grado; fino ad un anno e mezzo dal termine per il deposito della motivazione della sentenza di condanna di secondo grado.
      Nel ricordare immediatamente che la posizione del nostro gruppo sul tema è che la prescrizione cessi di operare senza limiti di tempo dopo il rinvio a giudizio dell'imputato o – analogamente a quanto sostenuto dall'Associazione Nazionale Magistrati e dalla Direzione Nazionale Antimafia – all'indomani della sentenza di primo grado, in una condizione nella quale la sentenza di appello arriva dopo circa quattro anni e mezzo dalla sentenza di Tribunale, l'allungamento proposto non appare produttivo di effetti risolutivi. Tanto più che la sospensione della prescrizione dopo le sentenze di primo e secondo grado per un solo anno e mezzo, rischia di favorire ulteriori comportamenti dilatori da parte del condannato appellante o ricorrente in Cassazione.
      Il comma 11, precisa inoltre che, per quanto riguarda i citati periodi sospensivi, questi possano essere ricomputati dal calcolo complessivo dei termini della prescrizione: nel caso in cui l'imputato venga prosciolto nel successivo grado di giudizio, in caso di annullamento della sentenza di condanna relativa all'accertamento della responsabilità e nel caso di nullità della sentenza. Disporre il ricomputo dei termini di sospensione per tutti i casi di proscioglimento (e non della mera assoluzione, come previsto alla Camera) ed in caso di nullità della sentenza (nuova previsione introdotta dal Senato) supera l'impostazione posta a giusta tutela della persona dichiarata estranea al reato, ricomprendendo eventualità processuali che appaiono oggettivamente eccessivamente «garantiste».
      A riguardo dei rimanenti commi dedicati alla prescrizione, va infine considerato il comma 14, di modifica del secondo comma dell'articolo 161 del codice penale, il quale dispone che l'interruzione della prescrizione non possa in nessun caso comportare l'aumento di più della metà del tempo necessario a prescrivere una serie di reati contro la pubblica amministrazione: timido «passo avanti», se si considera che oggi, per quei reati, l'aumento per interruzione – del tutto teorico e non predeterminato – è possibile solo fino a un quarto del tempo necessario a prescrivere.
      Anche in considerazione degli emendamenti presentati, è appena il caso di ribadire che il MoVimento 5 Stelle ha fornito all'attenzione del Parlamento testi alternativi, immediatamente applicabili, per combattere la corruzione attraverso la revisione della prescrizione (e, al contempo, in un'ottica deflattiva del contenzioso, favorire un maggiore ricorso al giudizio abbreviato e agli altri riti alternativi): fermare la prescrizione o al rinvio a giudizio o alla sentenza di primo grado, nonché l'aumento della prescrizione minima al massimo edittale aumentato di un quarto e l'aumento della metà per tutti i reati contro la pubblica amministrazione. La cessazione della prescrizione dopo la condanna di primo grado andrebbe inoltre incontro alle reiterate richieste provenienti dalle istituzioni europee che, sul fronte della lotta alla corruzione, avevano individuato per il nostro Paese tale specifico meccanismo processuale.
      I commi da 25 a 36 dettano alcune modifiche alla disciplina delle indagini preliminari, in particolare introducendo delle scadenze più rigorose sui termini massimi delle stesse (comma 30) in relazione alla decisione del pubblico ministero di esercitare l'azione penale ovvero richiedere l'archiviazione.
      Tralasciando le osservazioni critiche sugli altri commi integranti il capo sulle indagini preliminari, come per il controverso comma 25 sulla restrizione ai soli reati più gravi – corruzione esclusa – della possibilità per il pubblico ministero di poter dilazionare il diritto dell'imputato a conferire col proprio difensore, le disposizioni recate dal comma 30 rappresentano un pericoloso vulnus alle prerogative del magistrato inquirente in relazione all'accuratezza delle indagini. La disposizione del comma 30, sostanzialmente, obbliga il PM, ad assumere entro un termine tassativo, una posizione rispetto alla notizia di reato, se questi non lo farà l'indagine sarà avocata dal procuratore generale presso la Corte d'Appello.
      Il comma, infatti, dispone (modificando gli articoli 407 e 412 del codice di procedura penale) che, allo scadere del termine massimo della durata delle indagini il pubblico ministero abbia tre mesi (o quindici – erano dodici nel testo approvato dalla Camera – in caso di indagini per taluni delitti, quali mafia, terrorismo) per esercitare l'azione penale o proporre l'archiviazione (termini che sono raddoppiati negli emendamenti proposti a nostra firma). Con decreto motivato, in caso di indagini complesse, il procuratore generale presso la Corte d'Appello può concedere al pubblico ministero che ne faccia richiesta prima della scadenza del termine un'ulteriore dilazione fino a tre mesi. Al mancato esercizio nel termine dell'azione penale o alla mancata richiesta di archiviazione da parte del pubblico ministero, il procuratore generale è automaticamente obbligato, con decreto motivato, ad avocare le indagini preliminari.
      In questo caso, stante il combinato disposto del principio dell'obbligatorietà dell'azione penale e la cronica carenza negli organici di personale di magistratura ed amministrativo che impedisce di poter svolgere adeguatamente tutte le indagini in corso, l'imposizione di scadenze ultimative ed inderogabili per il deposito degli atti, pena l'avocazione obbligatoria ed automatica da parte del procuratore generale, rischia che sia sempre richiesto il rinvio a giudizio da parte del pubblico ministero – che vorrà evitare l'avocazione e quindi eventuali ripercussioni a livello professionale –, ingolfando i tribunali di cause fondate sulla base di indagini che potranno esser state svolte in maniera compiuta solamente per i reati «minori» e non per quelli più complessi (come per i reati legati alla corruzione, che sono molto difficili da accertare) e favorendo un intervento generalizzato della prescrizione. Al contempo, anche le richieste di archiviazione rischieranno di risultare meno ponderate, il tutto sulla base di uno scarso approfondimento ed accertamento di situazioni sempre delicate.
      Il comma 85 reca un'amplissima delega di riforma dell'ordinamento penitenziario di cui alla legge n. 354 del 1975. Si tratta di una delega al Governo in venti punti, pressoché in bianco, ad intervenire sull'intero universo penitenziario (fatta nominale eccezione per il regime del 41-bis), dalla quale emerge, a fronte di una dichiarata ricerca di una funzione effettivamente rieducativa della pena, la volontà di una complessiva attenuazione del rigore dell'esecuzione della stessa, pur in presenza di una carenza di organico della polizia penitenziaria e di strutture detentive efficienti (oggi gravemente sovraffollate).
      La delega in questione pone, a nostro avviso, le premesse normative per l'adozione di una serie di decreti legislativi che – anche alla luce delle conclusioni formulate dagli Stati generali sull'esecuzione penale presso il Ministero della giustizia – potrebbero sollevare criticità sotto il duplice profilo della sicurezza delle carceri e della certezza ed efficacia deterrente della pena.
      Qualora, infatti i principi di delega quali, la valorizzazione del volontariato – da parte di soggetti esterni –, di cui alla lettera h), la generica affermazione del diritto all'affettività (lett. n); la promozione della «sorveglianza dinamica» quale standard per conseguire la massima conformità della vita penitenziaria a quella esterna di cui alla lettera r), ed - in particolare - l'utilizzo dei sistemi audiovisivi (piattaforma Skype o similari) anche per favorire le relazioni familiari, di cui alla lettera i), fossero applicati indistintamente anche al livello inferiore al 41-bis, ovvero a quello dei detenuti in «alta sicurezza», gli effetti potrebbero risultare quantomeno controproducenti.
      
Non va infatti dimenticato che, se sulla questione del regime di 41-bis (circa 700 ristretti) l'attenzione è inevitabilmente alta ed i tentativi di modifica o di rivisitazione della norma è sottoposta al vaglio della politica e dei media, sull'argomento dei detenuti in «alta sicurezza» (circa 9000 ristretti) il dibattito è assai scarso, eppure si tratta di detenuti 41-bis declassificati od appartenenti a criminalità organizzata di assoluto rilievo criminale, che potrebbero, sfruttando gli elementi della riforma in commento, poter comunicare più agevolmente con l'esterno anche messaggi provenienti dai ristretti al regime del 41-bis.
      Inoltre, il continuo riferimento – qui alla lettera b) – alla necessità di ricorrere alle misure alternative alla detenzione, rischia di creare i presupposti, sia pure involontariamente, per poter arrivare ad una configurazione più «annacquata» dell'intero sistema penitenziario italiano in cui, fatti salvi i rapporti tra i diversi regimi penitenziari, una volta che le misure alternative venissero sottoposte alla maggior parte della popolazione detenuta, anche le persone sottoposte allo stesso regime del 41-bis, potrebbero progressivamente trarre giovamento da una sorta di «effetto domino» al ribasso.
      È allora indispensabile che i reclusi in Alta Sicurezza, come chiediamo con appositi emendamenti, debbano essere espressamente esclusi da questa sciagurata riforma, ivi incluso il punto sulle misure alternative al carcere, che risulta estremamente generico ma molto chiaro nelle intenzioni: estenderle il più possibile e quindi violare il principio di certezza della pena.
      Molteplici, altresì, i temi che compongono il disegno governativo sui quali abbiamo formulato, sin qui inascoltati, osservazioni, critiche, proposte emendative.
      La disciplina delle condotte riparatorie dell'imputato, ad esempio, come nuova causa di estinzione del reato (commi da 1 a 4) mediante la riparazione, il risarcimento e l'eliminazione delle conseguenze dannose del reato, che vanno ad introdurre un ennesimo strumento di deflazione penale che non contempla adeguatamente i diritti della persona offesa dal reato delineando una giustizia in cui le conseguenze penali sono azzerate per chi può permettersi di «ripagare» la vittima.
      Il pur apprezzabile inasprimento (commi da 5 a 9) delle sanzioni per il voto di scambio politico-mafioso, che non muta tuttavia l'errata tipizzazione della fattispecie in merito al cosiddetto «metodo mafioso», come proposto da un nostro emendamento, mantenendo così inapplicabile un articolo indispensabile per il contrasto del malaffare in politica. Si coglie, al medesimo fine, l'occasione per caldeggiare l'approvazione di una serie di proposte presentate nel capo di modifica del codice penale, volte ad implementare con l'introduzione di apposite fattispecie di reato, elementi qualificanti del «pacchetto anti-corruzione M5S», quali l'agente provocatore per i reati di corruzione, il «daspo» – l'interdizione perpetua dai pubblici uffici e l'incapacità perpetua di contrattare con la pubblica amministrazione – ai corrotti, la revisione del traffico di influenze illecite e dell'autoriciclaggio e l'aumento delle pene per i reati contro la pubblica amministrazione.
      Un cenno è poi d'obbligo su quanto disposto dal comma 16, lettera d) in tema di Residenze per le Misure di Sicurezza (Rems). A fronte della chiusura degli ospedali giudiziari in attuazione della legge 30 maggio 2014 n. 8, la disposizione che prevede il ricovero presso le Rems anche dei detenuti per i quali l'infermità di mente sia sopravvenuta durante l'esecuzione della pena, degli imputati sottoposti a misure di sicurezza provvisoria e di tutti coloro per i quali occorra accertare le condizioni psichiche, in caso di inidoneità delle sezione degli istituti penitenziari cui sono destinati a garantire i trattamenti terapeutico-riabilitativi, comporterebbe in breve tempo la saturazione delle stesse con conseguente impossibilità di terminare la dismissione degli ultimi pazienti ancora reclusi nei vecchi ospedali psichiatrici giudiziari e impedendone la chiusura e di svolgere le funzioni che sono state loro attribuite dal legislatore e di fatto ripristinerebbe i vecchi Ospedali psichiatrici giudiziari (OPG). Per scongiurare una simile evenienza, allo stralcio dell'ipotesi di cui alla lettera d), dovrebbe in ogni caso corrispondere un opportuno sforzo da parte del Ministero per rendere realmente operative le «Articolazioni per la salute mentale» presenti in numerosi istituti penitenziari. Ad avviso del M5S occorre evitare che l'intervento del giudice divenga un'imposizione ai servizi di salute mentale di una persona con una misura giudiziaria in quanto sollecita la malsana idea di un’«occupazione giudiziaria della psichiatria» (per citare Pellegrini) mettendo in secondo piano l'interesse di salute mentale del paziente che deve restare una priorità; auspichiamo la disponibilità del giudice a modificare la stessa misura giudiziaria secondo l'andamento non solo processuale ma anche sanitario del paziente. In buona sostanza, il servizio di salute mentale essendo un bisogno di cura necessita di «colorare» la misura giudiziaria essendo alti i rischi iatrogeni e regressivi in danno alla salute, per ricoveri impropri, e la pericolosità sociale deve essere confermata nel continuo monitoraggio del quadro clinico e nel progetto terapeutico per giustificare la ratio prioritariamente reclusiva come residuale ed estrema. La collaborazione è essenziale purché paritaria e in questo il dialogo tra operatori sanitari e operatori giudiziari deve essere reciproco e fattivo anche secondo il punto di vista del Consiglio superiore della magistratura.
      In conclusione, è indispensabile ribadire che la valutazione inequivocabilmente critica nei confronti del provvedimento, che mira ad accorciare i tempi della giustizia ledendo i diritti delle parti in gioco non puntando ad una riforma strutturale e non mettendo risorse nel sistema, è stata responsabilmente preceduta dalla presentazione ed illustrazione in Commissione di merito di circa duecento proposte emendative al testo, finalizzate a migliorarne i contenuti anche in un'ottica di collaborazione con le altre forze politiche, a dimostrazione della nostra volontà di svolgere un'azione costruttiva nell'interesse del Paese. Proprio in ragione di tutelare tale supremo interesse, fermamente convinti della bontà delle proposte formulate, si auspica che l'Assemblea, nella sua interezza, possa valutarne i contenuti, scevra da ogni pregiudizio.

Vittorio FERRARESI,
Relatore di minoranza

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