Organo inesistente
CAMERA DEI DEPUTATI |
N. 4768-A-quinquies |
Premessa: una manovra che mantiene un impianto recessivo.
Il Bilancio 2018 configura una manovra finanziaria al ribasso che fa meno di quel che si potrebbe e passa la palla al Governo che verrà.
Un disegno di legge di bilancio che, pur rallentando il raggiungimento del pareggio di bilancio e riconoscendo che questo vincolo imposto dall'Europa implica tagli alla spesa pubblica e aumenti delle entrate insostenibili sul piano economico e sociale, accetta comunque le regole dell'austerità.
Il Governo si impegna infatti a ridurre il deficit nel 2018 dello 0,3 per cento del PIL portandolo a un'incidenza dell'1,6 per cento. Ciò mentre la stima del debito pubblico pesa ancora per il 131,6 per cento nel 2017 e per il 130 per cento nel 2018 (nel 2007 era pari al 99,8 per cento del PIL).
Il Governo vanta la ripresa della crescita economica ( 1,5 per cento nel 2017 e 1,1 per cento la stima per il 2018), ma l'Italia è il Paese che cresce di meno in Europa (la stima della media UE 27 è rispettivamente 2,4 per cento e 2,2 per cento) e il tasso di disoccupazione italiano è ancora all'11,3 per cento nel 2017 e al 10,9 per cento per il 2018 (stima UE).
L'incerta ripresa dell'Italia risente dei limiti delle politiche economiche adottate in questi anni che hanno preferito sostenere l'offerta (imprese) rispetto alla domanda interna (consumi delle famiglie, spesa pubblica e investimenti). Se non c'è chi consuma (privati e amministrazioni pubbliche) e il poco innovativo sistema produttivo italiano stenta a esportare, è difficile che la produzione aumenti e dunque che cresca l'occupazione. È un circolo vizioso che il Governo avrebbe potuto rompere, ma non l'ha fatto.
Il tanto declamato Fondo Investimenti istituito con la legge di bilancio 2017 ha una dotazione di 47,55 miliardi su 15 anni. 1,9 miliardi sono stati stanziati l'anno scorso per il 2017, 3,15 miliardi per il 2018 e 3 miliardi l'anno per gli anni successivi. Ricordo che il decreto salva-banche adottato a fine 2016 ha generato impegni sino a 20 miliardi di euro e che la spesa militare prevista per il solo 2018 ammonta a 25 miliardi.
I tre quarti delle risorse mobilitate dalla manovra di quest'anno (15,7 miliardi di euro) sono di nuovo impegnati per impedire l'aumento dell'IVA. Il resto privilegia il dissennato rilancio degli incentivi per le assunzioni a tempo indeterminato (che riducono il costo del lavoro, ma non aumentano i salari), gli stanziamenti aggiuntivi per il ReI (sul 2018 pochi, 300 milioni) e le agevolazioni fiscali per le imprese (proroga iper e super-ammortamento). Le coperture (incerte) sono affidate all'indebitamento, a maggiori entrate fiscali, alla riduzione della spesa pubblica e alle privatizzazioni.
Nel complesso la manovra 2018 mantiene un impianto recessivo che non è in grado di rimettere in moto l'economia del Paese.
Come far mandare giù il Fiscal compact.
Come era previsto al momento in cui l'accordo fu stipulato, nel 2012, dopo cinque anni – cioè ora – si doveva decidere se inserire il Fiscal compact nei Trattati. Questo avrebbe richiesto un'approvazione all'unanimità di tutti i Paesi membri, ed evidentemente non si è voluto correre il rischio. Così si è deciso di emanarlo con una direttiva europea. Qual è la differenza? Bisogna vedere che tipo di direttiva sarà: di norma queste decisioni devono essere recepite nella legislazione dei vari Stati, e in Italia ciò avviene tramite una legge ordinaria; ma c'è anche un tipo di direttiva self-executing, ossia che non ha bisogno della procedura di recepimento ed è immediatamente efficace.
non si consideri la spesa per investimenti ai fini del calcolo del deficit, innanzitutto;
poi che si riveda la procedura di calcolo del PIL potenziale, inadeguata e inattendibile;
che si prenda atto che il 60 per cento del rapporto debito/PIL era il dato medio quando questo parametro fu stabilito, ma oggi la media è al 90 per cento (sempre meno che in Usa e Giappone), e sarebbe irragionevole mantenere fermo quell'obiettivo;
infine, che l'obiettivo della massima occupazione sia inserito nello statuto della Bce alla pari con quello della stabilità dei prezzi, com'è per l'americana Fed.
Concordo poi con Clericetti che a queste proposte aggiungeva un accenno al futuro Fondo salva-Stati che dovrebbe trasformarsi in Fondo monetario europeo. Uno strumento del genere può funzionare se deve occuparsi di piccoli Stati, ma se la speculazione a un certo momento attaccasse l'Italia o la Francia una sola istituzione sarebbe in grado di contrastarla, ossia la Bce, che dovrebbe poter intervenire in modo illimitato anche in aiuto di un singolo paese, senza che questo comporti condizioni-capestro.
Queste sarebbero misure utili a far sì che la nostra situazione non si aggravi ulteriormente, come purtroppo certamente avverrà, visti gli orientamenti del nostro Governo. Come linea generale, non dovremmo assolutamente fare altri passi che ci vincolino ancor di più a questa Europa, dalla quale dovremmo invece cercare di acquisire tutti i possibili gradi di libertà. Chi ha pensato che l'Italia fosse incapace di governarsi, e fosse dunque opportuno vincolarci in modo da farci governare dagli altri (il famoso «vincolo esterno»), non ha capito un aspetto fondamentale: gli «altri» non ti governano facendo i tuoi interessi, ma i propri. Per chi ci sta legando sempre più a questa Europa della «democrazia quando si può» non andrà comunque male, le élites restano sempre a galla.
Fuori dal tunnel?
La cornice macroeconomica nazionale nel quale il Governo inserisce la manovra di bilancio per il 2018 rimane inalterata rispetto al DEF. In particolare è confermata la crescita del PIL per il 2018 all'1,5 per cento rispetto al quadro tendenziale indicato all'1,2 per cento. La revisione al rialzo della crescita non corrisponde ad un aumento della produttività, dei salari, del mercato interno, ed è dovuta sostanzialmente al quantitative easing messo in campo dalla BCE.
La maggiore crescita di 0,3 punti percentuali è, sostanzialmente, imputabile alla parziale sterilizzazione delle clausole di salvaguardia – mancato aumento di IVA e accise – per quasi 15 miliardi per il 2018 e poco più di 6 miliardi di euro per il 2019. Rispetto al 2019 è opportuno sottolineare che la sterilizzazione delle clausole di salvaguardia è parziale. Infatti, la Relazione Tecnica (RT) di accompagnamento alla legge di bilancio per il 2018 cifra le così dette clausole in poco meno di 19 miliardi di euro per il 2019. La differenza – 12 miliardi di euro – è ciò che rimane delle clausole di salvaguardia da «sterilizzare» con la legge di bilancio per il 2019.
L'indebitamento netto della Pubblica Amministrazione per il 2018 è pari all'1,6 per cento del PIL, ovvero più 0,6 punti percentuali di PIL rispetto al quadro tendenziale.
la riduzione di quasi il 25 per cento della capacità produttiva tra il 2008 ed il 2013;
i livelli di salari, produttività del lavoro, investimenti in capitale fisico ed in R&S che sono significativamente inferiori alla media europea;
inoltre, mentre PIL e occupazione crescono, le ore lavorate arrancano, restando lontane dai livelli pre-crisi e ciò fa pensare che manchi la capacità di sfruttare appieno la capacità produttiva e che vi sia la tendenza, con l'esaurirsi degli incentivi all'occupazione stabile nel biennio 2015-2016, a creare occupazione di scarsa qualità, come sembrano, peraltro, confermare la stagnazione dei salari – in contrasto con quanto avviene in media nell'Eurozona – e la recente espansione del lavoro temporaneo a discapito di quello permanente.
Rapporto Bes: Italia sempre più povera e diseguale.
Nel 2016 è «uscita definitivamente dalla crisi», e se è vero che è aumentato il reddito medio delle famiglie, dall'altro lato «si sono ampliate le disuguaglianze». È un rapporto in chiaroscuro quello dell'ISTAT sul Bes (il benessere equo e sostenibile), con note positive accanto a un focus sulla povertà in preoccupante crescita.
Continua dunque ad aumentare «la ricchezza» delle famiglie ( 1,6 per cento su base annua), con il reddito medio disponibile pro capite che risulta «pari a 18.191 euro». Di pari passo, come detto, «è aumentata la disuguaglianza». Ecco che «nel 2016 l'incidenza della povertà assoluta, più che raddoppiata durante la crisi, si è mantenuta su valori elevati (7,9 per cento) ed è ulteriormente aumentata tra i minori (12,5 per cento, corrispondente a 1 milione 292mila) mentre gli anziani si confermano il gruppo meno fragile (3,8 per cento)».
Nel 2016 la speranza di vita alla nascita in Italia, pari a 82,8 anni, recupera completamente la flessione del 2015 (registrata in concomitanza del picco di mortalità che ha interessato molti paesi europei) e aumenta di oltre un anno dal 2010 ( 1,3 per gli uomini, 0,7 per le donne). L'Italia è tra i paesi più longevi in Europa, preceduta solo dalla Spagna.
E se l'aspettativa di vita cresce, dall'altro lato i giovani tendono ad andare via: secondo l'ISTAT «nel 2016 circa 16 mila laureati italiani tra i 25 e i 39 anni hanno lasciato il Paese e poco più di 5 mila sono rientrati, confermando il trend negativo del tasso di migrazione dei giovani laureati».
L'Italia continua a essere uno dei paesi UE28 con il minor consumo di risorse materiali pro capite (7 tonnellate contro 13 della media UE). Il conferimento di rifiuti in discarica è in leggera diminuzione (il 24,7 per cento dei rifiuti urbani raccolti, –1,8 per cento rispetto al 2015), mentre aumenta l'incidenza della raccolta differenziata (52,5 per cento, 5 per cento rispetto al 2015) e, a un ritmo più lento, la depurazione delle acque reflue (59,6 per cento nel 2015, era al 57,6 per cento nel 2012 ).
Il Rapporto conferma che in Italia ci siamo ormai assestati su un livello di abusivismo edilizio di assoluta gravità perché ogni 100 edifici realizzati con le necessarie autorizzazioni, ne vengono tirati su 20 in totale spregio delle leggi. Prima della crisi il rapporto era 9 a 100.
Utilizzo delle mini-flessibilità per attuare una politica fatta di bonus.
Discutibile e contraddittoria appare la linea seguita in Europa anche dai Governi di questa legislatura. La presidenza italiana dell'Unione Europea poteva essere l'occasione per porre in discussione formalmente la politica economica seguita, imposta dalla Germania, in quanto errata sul piano teorico e inefficace o controproducente su quello pratico (salvo che per la Germania stessa).
Gli argomenti non mancavano certo. A questo si è arrivati molto più tardi dopo un periodo che è sembrato di acquiescenza alle posizioni di Schauble. Ci si è arrivati con una linea indebolita dall'obiettivo di ottenere individualmente una maggiore flessibilità di bilancio da utilizzare non già per
Politica dell'offerta o politica della domanda pubblica?
La strategia seguita dai governi Letta-Renzi-Gentiloni si è ispirata sostanzialmente a una politica dell'offerta: riforme strutturali (in primis quella del mercato del lavoro), riduzione delle imposte, tagli alla spesa pubblica, maggiore libertà all'azione privata e riduzione dei vincoli amministrativi.
In sostanza, l'approccio mainstream che ha dominato il pensiero economico negli ultimi decenni, ma che, dopo la crisi del 2007-08, appariva non solo carente, ma anche superato sia in concreto, in quanto
Consistenza della Manovra per il 2018.
Sebbene il Ministro Padoan e il Presidente del Consiglio Gentiloni avevano declinato una manovra prossima ai 20 miliardi di euro per il 2018, in realtà, dalla Relazione Tecnica (RT) è difficile contabilizzare l'entità della correzione. Sulla base della valutazione dell'economista Roberto Romano, il saldo netto da finanziare è pari a 18,5 miliardi di euro se consideriamo anche il decreto-legge n. 148 del 2017, mentre il Governo lo indica in 15 miliardi; se guardiamo all'indebitamento netto – sempre sulla base di un'autonoma valutazione –, questo è pari a 14 miliardi, mentre il governo lo stima in 11 miliardi. La poca trasparenza del Bilancio dello Stato è discussa anche dal professor Pisauro (Ufficio Parlamentare di Bilancio, 7 novembre 2017) quando sottolinea che la «programmazione di corto respiro» finisce per «inficiare la trasparenza dei conti pubblici» e
financo gli obiettivi di riduzione del debito.
Il nodo della legge di bilancio è sempre lo stesso: la sterilizzazione di 15,7 miliardi delle clausole di salvaguardia, finanziato al 70 per cento da deficit aggiuntivo. Come ricorda Pisauro: «L'evoluzione dei saldi è attribuibile quasi interamente all'andamento dell'avanzo primario che (a sua volta) è fortemente condizionato dalle clausole». In altri termini, la legge di bilancio non è solo di corto respiro, ma il sentiero stretto di Padoan condiziona la politica economica del Paese in misura eccessiva.
Le misure adottate dal Governo sono sostanzialmente tese a sterilizzare le clausole, il 92 per cento della manovra, con delle implicazioni di politica fiscale ed economica di rilievo. Il Governo naviga un po’ a vista, anticipando o spostando nel tempo misure già contabilizzate con la legge di bilancio del 2017.
Non solo le misure relative al mondo del lavoro e ai pensionandi slittano nel tempo, nella migliore delle ipotesi, ma il sistema delle imprese registra il differimento di alcuni provvedimenti attesi per il 2018, come l'entrata in vigore dell'imposta sul reddito di impresa (IRI) al 2019 – per un controvalore di circa 1,5 miliardi di euro – e il differimento al 2019 di IRI-IRPEF – per un controvalore di 2,2 miliardi –. Lo slittamento della riduzione del prelievo fiscale per il sistema delle imprese era auspicabile – il sistema delle imprese ha registrato una contrazione della pressione fiscale maggiore rispetto a quella del mondo del lavoro –, ma la politica economica scompare e lascia il posto a una idea di bilancio pubblico molto ragionieristico.
Le risorse destinate al contratto pubblico, quasi 5 miliardi nel triennio 2018/2020 – 1.650 milioni annuo –, così come la sterilizzazione degli effetti del rinnovo del contratto pubblico relativo agli 80 euro – 210 milioni per il 2018/2020 –, appare più
Le principali misure della legge di bilancio per l'anno 2018.
Questa manovra di bilancio ha tre pilastri fondamentali:
la sterilizzazione degli aumenti dell'IVA e delle accise;
il rafforzamento delle detrazioni per gli investimenti privati;
la decontribuzione per l'occupazione dei giovani.
Tre quarti della manovra sono necessari per neutralizzare aumenti di IVA e di accise, decisi in larghissima parte con la legge di bilancio per il 2015, cioè con il primo Governo Renzi, per finanziare misure specialmente di contribuzione e, in parte, di sostegno agli investimenti non coperte all'epoca. Si è trattato cioè di prenotazione di risorse dalle future leggi di bilancio, di cui oggi paghiamo il conto salato e lo pagheranno negli anni a venire i prossimi Governi, perché restano più di 12 miliardi per il 2019 e tra i 19 e i 20 miliardi negli anni successivi.
Sterilizzare le cosiddette clausole di salvaguardia è un dato, un fatto dovuto, ma non rende la manovra espansiva, diversamente da quanto è stato sostenuto da esponenti della maggioranza. Significa solo evitare che sia molto depressiva. Un risultato anche questo, ma sicuramente molto poco esaltante. Tutto bene se avessimo avuto dalle misure finanziate in disavanzo gli effetti sperati; così non è però stato, né per quanto riguarda gli investimenti né per quanto riguarda il lavoro.
La manovra del Governo di circa 20 miliardi, sembra guardare soprattutto all'imminente appuntamento elettorale e ai vincoli imposti dall'Europa del Fiscal compact: ripropone incentivi per le assunzioni di giovani a tempo indeterminato (che tanto possono essere licenziati quando serve) che avvantaggiano le imprese, non certo i salari dei lavoratori; sul 2018 aggiunge poche risorse (300 milioni) agli stanziamenti già decisi per il Fondo contro la povertà e crea un nuovo Fondo per le politiche per la famiglia destinandovi 100 milioni di euro, assorbito poi dal così detto «bonus bebè»; proroga le agevolazioni fiscali per le imprese (super e iper ammortamento sull'acquisto di beni, soprattutto tecnologici). La gran parte delle risorse mobilitate incide sugli anni successivi al 2018 lasciando al futuro Governo che verrà la responsabilità di confermarle. Del resto è quanto permette ciò
che resta dopo l'impegno di ben 15,7 miliardi di euro per impedire l'aumento dell'IVA il prossimo anno.
Il Governo, presentando il ddl di bilancio, ha vantato la ripresa della crescita economica ( 1,5 nel 2017 e 1,1 per cento la stima per il 2018), ma l'Italia è il Paese che cresce di meno in Europa (la stima della media UE 27 è rispettivamente 2,4 per cento e 2,2 per cento) e il tasso di disoccupazione italiano è ancora all'11,3 per cento nel 2017 e al 10,9 per cento per il 2018 (stima UE).
L'incerta ripresa dell'Italia risente dei limiti delle politiche economiche adottate in questi anni che hanno preferito sostenere l'offerta (imprese) rispetto alla domanda interna (consumi delle famiglie, spesa pubblica e investimenti). Se non c'è chi consuma (privati e amministrazioni pubbliche) e il poco innovativo sistema produttivo italiano stenta ad esportare, è difficile che la produzione aumenti e dunque che cresca l'occupazione. È un circolo vizioso che il Governo avrebbe potuto rompere, ma non l'ha fatto.
Il tanto declamato Fondo Investimenti, istituito con la legge di bilancio 2017, ha una dotazione di 47,55 miliardi su 15 anni. 1,9 miliardi sono stati stanziati l'anno scorso per il 2017, 3,15 miliardi per il 2018 e 3
Del tutto carenti gli investimenti pubblici che dovrebbero rappresentare il cuore di una politica per uno sviluppo sostenibile e per l'occupazione.
Gli investimenti pubblici sono passati dai 54 miliardi del 2009 ai 36 miliardi del 2016, con un calo del 35 per cento. Sono attualmente poco più del 2 per cento del PIL, poco più di quel che è strettamente necessario per gli ammortamenti delle strutture esistenti. E quindi non abbiamo nemmeno utilizzato lo spazio di flessibilità che avevamo chiesto per gli investimenti, perché nel 2016 essi sono calati del 4,5 per cento, con un crollo presente nell'edilizia sanitaria pari al 18 per cento.
Noi sappiamo anche dal Fondo monetario internazionale, che gli investimenti pubblici hanno un moltiplicatore superiore al 2; ciò significa un impatto sulla possibile crescita economica molto forte, mentre gli strumenti cui facciamo ricorso a piene mani, cioè i trasferimenti e le detassazioni, hanno un impatto solo dello 0,7-0,8 per cento.
Più spese militari e meno sicurezza.
Il solo budget del Ministero della difesa passa in un anno da 20,3 miliardi a quasi 21 miliardi ( 3,4 per cento) rafforzando la recente tendenza di crescita ( 8 per cento rispetto al 2015). In particolare, crescono del 10 per cento i fondi ministeriali per l'acquisto (e manutenzione) di nuovi armamenti mentre diminuiscono del 5 per cento i capitoli per la sicurezza interna garantita dall'Arma dei Carabinieri.
Ma non c'è solo il bilancio della Difesa: le spese militari si compongono anche di spese sostenute da altri ministeri ed enti pubblici: dai 3,5 miliardi ( 5 per cento sul 2017) del Ministero dello sviluppo economico per nuovi armamenti ai circa 1,3 miliardi per le missioni militari all'estero (fondo del Ministero dell'economia e delle finanze); dagli oltre 2 miliardi per personale militare a riposo a carico INPS al mezzo miliardo di spese indirette per basi USA in Italia (più 130 milioni di contributo budget Nato). Sommando tutto, e sottraendo invece la quota dei fondi Difesa destinati alla sicurezza interna, il totale delle spese militari italiane per il 2018 arriva a superare i 25 miliardi di euro: un miliardo in più rispetto al 2017 ( 4 per cento) e circa due miliardi in più rispetto al 2015 ( 9 per cento).
Altro elemento di riflessione riguarda il programma di acquisizione degli F35. Un programma, originariamente previsto in più di 18 miliardi, che sempre secondo la Corte dei conti, ha visto raddoppiati i costi unitari e ha avuto un impatto occupazionale molto ridotto anche rispetto alle stesse previsioni iniziali (si parla per il momento di circa 1.600 unità impiegate, a fronte di una «forchetta previsionale» annunciata tra 3.586 e 6.395 unità).
Poco spazio agli enti locali.
Per quanto riguarda gli interventi dedicati agli enti locali, come rilevato dai professori Ambrosanio e Balduzzi, due sono gli aspetti da mettere in evidenza.
In primo luogo, dal lato della spesa, la legge di bilancio rende più facili gli investimenti,
la prima è la mancanza di un sostanzioso incentivo monetario per rilanciare gli investimenti, vero punto di debolezza del sistema economico italiano;
la seconda è impedire ai comuni di utilizzare la leva fiscale per aumentare le risorse a propria disposizione e quindi offrire maggiori o migliori servizi ai propri cittadini.
Inoltre, dopo il risultato del referendum costituzionale, è ormai diventato inderogabile ridefinire i ruoli, le competenze e le risorse delle province e il loro rapporto con gli altri livelli di governo.
Le politiche dei Governi Letta-Renzi-Gentiloni che hanno impoverito il lavoro.
Ci vengono sempre ricordati dalla maggioranza i 900.000 posti di lavoro creati dalle decontribuzioni, non dal Jobs Act, che non c'entra niente, grazie ai quali abbiamo recuperato – ed è vero – il numero dei posti di lavoro persi con la crisi. Sono però lavori a mezzo tempo, ad orario ridotto. Se noi non ragioniamo in termini di teste, di numero di lavoratori, ma di ULA, cioè unità di lavoro a tempo pieno equivalente – quindi calcoliamo due part-time a mezzo tempo come un lavoratore – allora vediamo che il confronto con il 2008 è impietoso e lo dice l'ISTAT: siamo sotto di più di 1 milione di posti di lavoro a tempo pieno equivalente.
Questo vuol dire che la via seguita per sostenere il lavoro non è stata e non è quella giusta, è stato infatti impoverito il lavoro.
Non si tratta di 900mila posti di lavoro in più ma si tratta di occupati; gli occupati, secondo la definizione Eurostat, sono tali quando nella settimana della rilevazione lavorano almeno un'ora; un mare di precarietà: a fronte di questo quasi milione in più di occupati, ci sono 1 miliardo e 200 milioni di ore di lavoro in meno, quindi occupazione precaria, occupazione part-time, involontaria, occupazione sfruttata e
Disattesi gli impegni sulle pensioni.
Il Governo ha disatteso gli impegni che aveva preso con i sindacati un anno fa sulla previdenza.
Si è intervenuti in relazione ad alcune categorie specifiche, al fine di non aumentare di cinque mesi, nel 2019, l'età di pensionamento, di vecchiaia e anzianità. Per queste categorie non si conteranno i cinque mesi di aumento per l'aspettativa di vita nel 2019. Questo significa che nel 2021 per queste categorie si ricomincerà a contare di nuovo l'aspettativa di vita.
Le modifiche apportate alla legge di bilancio sono insufficienti sia dal punto di vista delle misure presentate sia da quello dei lavoratori coinvolti. L'esenzione dall'aumento dell'età pensionabile coprirà solo 4.305 persone, il 2,18 per cento delle uscite per pensionamento anticipato e di vecchiaia, e anche quanto previsto per la previdenza complementare avrà un impatto irrisorio.
Solo due delle sette misure previste nel pacchetto dell'Esecutivo, l'esenzione dall'innalzamento dell'età pensionabile e la previdenza integrativa nel pubblico impiego, hanno un'incidenza dal punto di vista dell'impegno economico.
Per quanto riguarda la prima, la platea interessata dall'esonero – secondo i calcoli della CGIL – risulterà esigua: per via dei criteri proposti e per il fatto che molti lavoratori accederanno prima alla pensione anticipata, solo in 4.305 (3.639 lavoratori nel settore privato e 666 nel settore pubblico) saranno esclusi dall'aumento di 5 mesi legato alle aspettative di vita, ossia il 2,18 per cento delle uscite per pensionamento anticipato e di vecchiaia in un anno. Il costo di tale novità impatterà sul sistema previdenziale solo a partire dal 2019, e nel triennio sarà pari a euro 46.066.611.
Le misure inerenti la previdenza complementare, ossia l'equiparazione fiscale per i dipendenti pubblici e il silenzio/assenso per le nuove e future assunzioni nel pubblico impiego, nel triennio incideranno per 11.500.722 euro a causa delle minori entrate Irpef per lo Stato, e per 4.272.840 euro per la percentuale a carico del datore di lavoro pubblico a causa dell'aumento stimato delle adesioni (1,4 per cento annuo). Costo, quest'ultimo, peraltro già contrattualizzato e quindi non aggiuntivo rispetto alla proposta.
Il totale dei costi del pacchetto ammonta quindi a 61.840.173 euro così distribuiti: 4.539.174 euro nel 2018, 26.193.862 euro nel 2019 e 31.107.137 nel 2020.
Per quanto concerne l'Ape sociale e «precoci» rileviamo, secondo i dati diffusi dall'Inps la settimana scorsa, che sono state
Una manovra infarcita di bonus.
I bonus sono degli spot, da tanti punti di vista: negli effetti, sono frammentati nella platea, sono temporanei, non intervengono strutturalmente sui problemi. Faccio l'esempio del bonus bebè. Il problema del bonus bebè non è il fatto di avere o non avere 40 o 80 euro al mese, che pure è una cosa che può fare anche piacere. Se noi abbiamo una donna che per maternità si dimette (l'anno scorso le dimissioni volontarie sono state determinate per il 75 per cento proprio dalla maternità) e vuole rientrare sul posto di lavoro, ma invece di trent'anni ne ha trentuno, si troverà ad essere in concorrenza con i maschi più giovani di lei che avranno la decontribuzione. Questo è contro la maternità.
Se non si fanno gli asili e non si approvano gli emendamenti di altri, che sostenevano i servizi per l'infanzia, questo è contro la maternità. Se una lavoratrice all'Ikea prova a implorare che vengano adattati i tempi di lavoro perché è sola e ha due figli, di cui uno disabile, e viene licenziata questo è contro la maternità: altro che bonus bebè.
Avete tradotto in spot anche il superticket, che è la nostra proposta da tempo. Questa cifra, che avete introdotto, sarà data alle Regioni perché ne facciano qualcosa di non ancora ben definito. Non avete capito che qui il problema non è dare un po’ di soldi (che è sempre utile) ai più poveri; i più poveri già accedono al servizio sanitario. Il problema è che quel servizio sanitario deve essere universale; e se noi continuiamo, attraverso il superticket, a sbattere fuori dal servizio sanitario non i poveri, ma i ceti medi, quel servizio lì, che rimane solo per i poveri, si dequalifica. Ci saranno le liste d'attesa, perché non ci sarà l'intera popolazione italiana a difenderlo.
Solo di bonus abbiamo calcolato in questi anni un ammontare di 62 miliardi di euro. Questo è il grande punto di diversità e su questo è il nostro dissenso, per cui riteniamo questa impostazione assolutamente sbagliata e questa manovra – che ne
Un attacco strisciante al diritto alla salute.
Rispetto al progressivo de-finanziamento del Fondo sanitario nazionale che c'è stato in questi ultimi anni, in questa legge di Bilancio, invece, il Fondo non viene toccato. Questo fatto potrebbe essere visto come una buona notizia, dopo tanti anni di tagli, ma in realtà i tagli vengono messi sul fronte delle spese delle regioni. Inoltre, il previsto aumento di un miliardo sul Fondo sanitario, in realtà, è stato ridotto a 400 milioni di euro. Le regioni dovranno quindi affrontare un aumento delle spese per il pay back farmaceutico.
Inoltre, nell'ultimo Def e nella sua variazione, si legge che da qui al 2020 si prevede una riduzione della percentuale di Pil destinata al Servizio sanitario nazionale, che scende sotto la soglia del 6,5 per cento. Secondo l'Organizzazione mondiale della sanità, sotto questo tetto si mette a rischio la salute pubblica di un paese.
Il DEF 2017, infatti, prevede che il rapporto tra spesa sanitaria e Pil diminuirà dal 6,7 per cento del 2017 al 6,5 per cento nel 2018, per poi precipitare al 6,4 per cento nel 2019, non garantendo risorse sufficienti per l'applicazione uniforme su tutto il territorio nazionale dei Lea, mentre il Censis ha rilevato che sono 11 milioni gli italiani che hanno dovuto rinunciare a prestazioni sanitarie nell'ultimo anno.
Si lascia intendere che l'eventuale ripresa del Pil non avrà ricadute positive sul finanziamento pubblico del Servizio sanitario nazionale. La Corte dei conti quantifica che nel periodo 2015-2018 l'attuazione degli obiettivi di finanza pubblica ha determinato una riduzione cumulativa del finanziamento del SSN di 10,51 miliardi di euro, rispetto ai livelli programmati. La stessa Ragioneria Generale dello Stato attesta che dal 2010 al 2016 la spesa sanitaria è diminuita mediamente dello 0,1 per cento annuo mentre cresce la popolazione anziana.
Tutto ciò è il frutto di una strategia programmata che ha come obiettivo la mortificazione della sanità pubblica. Non è un caso che si registri un aumento costante della spesa privata, che in Italia è organizzata solo in forme sostitutive. Ormai il 10 per cento della spesa sanitaria esce direttamente dalle tasche dei cittadini. Questa operazione va di pari passo con la progressiva delegittimazione dei ruoli, sia economica sia professionale, degli operatori.
Dall'altro lato, in diversi contratti nazionali si rafforzano le coperture del welfare integrativo: un benefit, indubbiamente, per i lavoratori, ma bisogna evitare a tutti i costi che le politiche di incentivazione anche fiscale della sanità privata vadano a detrimento del servizio universale, diritto costituzionale e garanzia per i più poveri, per i disoccupati o per gli stessi working poors.
Il governo tende a finanziare le mutue sostitutive del SSN tramite il cosiddetto
la rinuncia a curarsi per milioni di cittadini a causa delle troppo lunghe liste di attesa, dei costi eccessivi, della distanza dal luogo di cura. Una rinuncia che ha colpito maggiormente (ma non solo) i gruppi più poveri della popolazione e le regioni meridionali;
il ricorso sempre più frequente dei pazienti al settore privato in diretta (e facile) competizione col settore pubblico sia sui tempi di attesa che sulle tariffe delle prestazioni.
Il 49esimo rapporto del Censis documenta il declino del SSN e quasi una famiglia su due (il 41,7 per cento) rinuncia alle cure per motivi economici. Questo non solo contraddice l'Articolo 32 della Costituzione, ma di fatto si traduce in un costo aggiuntivo che non viene mai calcolato: la mancata o inadeguata cura di una patologia può comportare esiti e complicanze con riduzione delle capacità lavorative e conseguenti costi sociali per tutti. Questo mancato calcolo significa non avere lungimiranza e denota una visione miope della Salute Pubblica.
La regionalizzazione e l'aziendalizzazione spinte si sono dimostrate fallimentari, creando poltronifici e aumento dei costi e di burocrazia fino ad arrivare, in alcuni casi, alla creazione di una vera e propria riserva di sacche di elettorato di scambio, come si evince dai vari scandali che periodicamente emergono. L'aumento dei costi è oltremodo documentato dai deficit di bilancio di molte Regioni e dal persistere di Piani di Rientro che risultano inefficaci e che stanno portando le Regioni stesse a piani di accorpamento delle varie ASL, per ridurre i costi di gestione.
I Piani di Rientro hanno portato negli ultimi 9 anni ad un depauperamento del personale sanitario, a causa del blocco del turn-over, e di conseguenza ad una riduzione dei Servizi. Dal febbraio 2007, infatti, è stato istituito il blocco del turn-over, con deroga alle assunzioni del 10 per cento. Ciò ha significato che su 100 unità lavorative andate in quiescenza, ne sono state assunte 10, con inevitabile riduzione dei Servizi Territoriali e Ospedalieri, con aumento delle Liste d'attesa e ricorso sempre più frequente, da parte dei cittadini, verso la sanità privata. O meglio, ricorso da parte di quei cittadini che hanno sufficiente disponibilità economica.
Per tutti questi motivi e per garantire davvero i LEA (Livelli essenziali di assistenza) uniformemente sul territorio nazionale, riteniamo che le risorse da investire devono essere adeguate e non scendere sotto la media OCSE sul Prodotto interno lordo.
L'incidenza della spesa sanitaria pubblica e privata sul Pil si attesta in Italia sul 9,2 per cento, quindi inferiore rispetto alla Francia (11,6 per cento) e alla Germania (11,3 per cento). Noi abbiamo 3,5/1000 posti letto in ospedale, rispetto a 8,2/1000 della Germania ed a 6,4/1000 della Francia. Abbiamo 6,4 infermieri ogni 1000 abitanti (la media OCSE è 8,8/1000), solo per fare alcuni esempi.
Attacco allo sport dilettantistico.
Per quanto riguarda lo sport è stata introdotta una deroga persino al lavoro intermittente. Non basta avere 18.000 tipologie di contratto, no; quelle che ci sono, nel caso dello sport, devono avere delle deroghe per rendere ancora più facile e meno tutelato il loro utilizzo. Già la manovra, peraltro, per le società sportive è for profit: prevede non solo delle agevolazioni fiscali immotivate, visto che sono società
che fanno profitti, ma prevede anche che, fino a 10.000 euro, possano assumere senza che ci siano imposte e, soprattutto, senza che ci siano contributi.La povertà.
L'Italia è il Paese che ha più poveri in Europa. Sono loro quelli ad avere maggiori difficoltà a far fronte a spese impreviste, a garantire che la propria casa sia sempre adeguatamente riscaldata, a far sì di avere almeno due paia di scarpe (estive e invernali), o ancora evitare di finire in arretrato con l'affitto o sostituire abiti lisi con capi più nuovi. Tutti indici di quelle che vengono definite «privazioni sociali e materiali», ma che al netto di espressioni politicamente corrette rilevano il grado di povertà delle famiglie. A livello europeo e nazionale il fenomeno si sta riducendo, ma nell'Unione europea ci sono ancora 78,5 milioni di persone che vivono stentatamente, e più di dieci milioni di loro sono italiani.
I dati Eurostat diffusi il 12 dicembre scorso e relativi al 2016 indicano il tasso di privazioni sociali e sociali. Cifre percentuali che lette così come presentate vedrebbero l'Italia undicesima in questa graduatoria. Romania (49,7 per cento) e Bulgaria (47,9 per cento) sono gli Stati membri in condizioni più problematiche, dove praticamente una persona su due ha difficoltà economiche. Ma in termini assoluti, il 17,2 per cento italiano indica più di 10,4 milioni di persone (10.457.600) alle prese coi sintomi di povertà. Letti in quest'altro modo i numeri mostrano un'altra Europa, con l'Italia, sempre pronta a rivendicare la sua grandezze economica, a fare più fatica di tutti. Gli italiani soffrono anche più dei romeni (9,8 milioni) che pure in termini percentuali si trovano davanti a tutti quanto a privazioni. Salta all'occhio, in questa classifica, anche il dato francese. I cittadini d'oltralpe
sono i terzi più in difficoltà a livello di Unione europea (8,4 milioni, dietro Italia e Romania).
Secondo l'ISTAT in Italia i «poveri assoluti» sarebbero 4.742.000, una vera e propria emergenza sociale. Il governo sostiene di aver potenziato, con il Bilancio 2018, le misure per la lotta alla povertà, ma la platea dei beneficiari del Rei, il reddito di inclusione, è prevista solo per le famiglie numerose. Per i nuclei con 5 o più componenti, gli unici per i quali è previsto un beneficio potenziale sopra il massimale, la misura aumenta il contributo massimo dagli attuali 485,41 euro mensili fino a circa 534 euro, circa il 10 per cento in più. La platea di beneficiari per questa tipologia passa da 100,1 mila a 106 mila, mentre nel complesso i beneficiari potenziali del Rei si attestano a 499,8 mila. Siamo dunque a un quinto degli interessati.
Scuola, università, ricerca, cultura.
La proposta di bilancio per il 2018 presenta limiti e criticità a partire dalla mancanza di un piano di investimento straordinario nel settore dell'Istruzione che allinei gli investimenti pubblici dell'Italia alla media dei Paesi Ocse e crei le condizioni per un rinnovo del Ccnl, per docenti, educatori e personale Ata, di livello europeo. Infatti, attualmente l'Italia spende in istruzione soltanto il 7,1 per cento della propria spesa pubblica mentre a livello Ocse la spesa media è del 9,9 per cento.
Ad integrazione delle (scarse) risorse già stanziate con apposite disposizioni normative negli anni precedenti per i rinnovi contrattuali relativi al triennio 2016-2018, con la legge di bilancio in discussione vengono stanziati ulteriori 1.650 mln di euro. Queste risorse determinano aumenti retributivi per il 2016, il 2017 e il 2018 rispettivamente dello 0,36 per cento, dell'1,09 per cento e del 3,48 per cento del complessivo monte salari utile ai fini contrattuali.
Rassegna di alcune delle insufficienti modifiche apportate dalla Commissione Bilancio.
Si allarga (di poco) la platea dell'Ape social. Saranno 15 le categorie di lavori gravosi che potranno accedere all'anticipo pensionistico a carico dello stato. Le 11 che già beneficiavano del trattamento di favore ai sensi della legge di bilancio 2017 (operai dell'industria estrattiva e dell'edilizia; conduttori di gru e macchinari per la perforazione nelle costruzioni; conciatori di pelli; conduttori di convogli ferroviari e personale viaggiante; conduttori di mezzi pesanti e camion; professioni sanitarie infermieristiche con lavoro organizzato in turni; addetti all'assistenza di persone in condizioni di non autosufficienza; insegnanti della scuola dell'infanzia; facchini; personale non qualificato addetto a servizi di pulizia; operatori ecologici) a cui vanno ad aggiungersi le altre 4 categorie (braccianti agricoli, pescatori, marittimi e lavoratori del settore siderurgico) per le quali al Senato era stato già previsto lo stop all'adeguamento dell'età pensionabile. Per accedere all'Ape social i lavoratori, al momento del pensionamento, dovranno aver accumulato non più sei anni
in via continuativa, come precedentemente previsto nel testo del DdL di bilancio approvato dal Senato, ma sette anni negli ultimi dieci o sei anni negli ultimi sette.Aree terremotate.
All'unanimità la Commissione Bilancio ha votato la destinazione di 80 milioni risparmiati dalla Camera nell'esercizio 2017, alle popolazioni terremotate per la ricostruzione. I risparmi della Camera derivano dalla minore spesa per il personale dipendente, per i parlamentari, per i servizi generali.
Ambiente
È stato approvato il Piano per interventi di potenziamento ed adeguamento delle infrastrutture idriche, anche in relazione alla grave siccità che ha colpito il territorio italiano, inclusa la previsione (oggetto di un nostro emendamento) che lo stesso piano intervenga anche in azioni per il contrasto alla dispersione delle risorse idriche.
Doppio bonus e prescrizione delle bollette.
La detrazione per gli interventi combinati di qualificazione energetica e antisismici potrà andare dall'80 per cento all'85 per cento.
La detrazione per le caldaie torna al 65 per cento ma solo per le caldaie di classe A con termovalvole.
Arriva anche lo stop ai maxi-conguagli collegati al pagamento di acqua, luce e gas, con una prescrizione di due anni per le bollette e non più di 5 anni.
Scuola, università, ricerca e cultura.
Le graduatorie del concorso indetto con la legge della «buona scuola» per l'assunzione di personale docente varranno per
un altro anno per i docenti giudicati «idonei».Web tax.
Passa dal 6 per cento al 3 per cento il prelievo sulla singola transazione e viene rafforzato il concetto di stabile organizzazione.
Confermata l'entrata in vigore nel 2019. Il gettito attesto è di 190 milioni dal 2019 rispetto ai 114 del Senato. L'emendamento non prevede l'applicazione all’e-commerce.un nuovo piano di controlli straordinario da parte della GdF che avrà accesso anche all'anagrafe dei conti;
i titolari di partita Iva dovranno obbligatoriamente documentare con la fattura elettronica (per i carburanti sarà operativa dal 1° luglio 2018) l'acquisto di benzina su strada;
le stesse partite Iva per dedurre il costo del carburante e recuperare l'imposta sul valore aggiunto, dovranno tracciare ogni pagamento con carte di credito, di debito, o da altro mezzo di pagamento tracciabile indicato dall'Agenzie delle entrate;
i benzinai si vedranno riconoscere un credito d'imposta del 50 per cento del totale delle commissioni addebitate per le transazioni effettuate dal 1° luglio 2018.
In ogni caso, è stata introdotta una clausola di salvaguardia. Che prevede un taglio di spese nel caso in cui il gettito risulti inferiore a quello atteso. Se viceversa le risorse recuperate supereranno le previsioni la parte eccedente andrà ad alimentare il Fondo per la riduzione della pressione fiscale.
Per tutti questi motivi rigettiamo undefined questa manovra, perché è insostenibile dal punto di vista sociale e ambientale.
Le nostre proposte.
La nostra è una visione radicalmente diversa. Gli investimenti pubblici trascinano quelli privati; si pensi agli investimenti in infrastrutture, ricerca e sviluppo, nei servizi, nella protezione del territorio. La mancata messa in sicurezza del territorio non solo ha l'effetto di far perdere uno sviluppo significativo anche dal punto di vista della sua connotazione a favore dell'ambiente, ma ricordo che espone a frane, valanghe e alluvioni che offendono la vita, la salute, la fiducia nel futuro, mettendo a rischio la coesione sociale dei territori e della cittadinanza. Per questo abbiamo avanzato proposte significative di rilancio degli investimenti pubblici, con un piano ambientale ad amplissimo raggio attraverso la riscrittura integrale, ad esempio, dell'ex articolo 95.
Quanto agli investimenti privati, a nostro avviso, dobbiamo tener presente anche un'altra questione. Noi siamo disponibili a dare agevolazioni, ma esse, non solo per gli investimenti, ma anche per altri campi, devono creare dei doveri nei confronti della collettività. Per questo, ad esempio, abbiamo proposto un emendamento che riguarda le delocalizzazioni, il quale prevede la restituzione delle agevolazioni godute dalle imprese nel caso queste, dopo alcuni anni, trasferiscano la propria sede altrove.
Abbiamo visto invece degli incentivi, come ad esempio la diminuzione dell'IRES sui profitti delle grandi società, che non ha alcun ritorno, neanche dal punto di vista economico: si limita ad aumentare gli utili delle grandi società, mentre invece alle piccole imprese nella legge di bilancio si fa una brutta sorpresa, cioè si pospone di un anno l'entrata in vigore dell'IRI, con un
la reintroduzione dell'articolo 18;
un Bonus assunzioni condizionato che interviene sull'incentivo all'occupazione giovanile, stabilendo che chi beneficia del bonus contributivo del 50 per cento per 36 mesi non possa licenziare il lavoratore per giustificato motivo oggetti nei 12 mesi successivi alla scadenza, pena la restituzione del beneficio;
la stabilizzazione dei precari del corpo nazionale dei Vigili del fuoco;
l'equo compenso per tutti i professionisti nei confronti della PA;
l'aumento delle risorse del Fondo per l'occupazione.
Abbiamo anche avanzato una proposta di rigenerazione delle periferie delle città legata ai caratteri ambientali e storico-culturali del territorio, alla sua identità, ai bisogni e alle istanze degli abitanti, con l'obiettivo di affrontare in maniera complessiva i problemi occupazionali, di degrado fisico e socio-economico in relazione alle specificità del contesto:
in particolar modo promuoviamo un piano per la nuova occupazione e lo sviluppo sostenibile del territorio;
il recupero, la ristrutturazione edilizia e la ristrutturazione urbanistica di immobili destinati alla residenza;
la realizzazione, la manutenzione o l'adeguamento delle urbanizzazioni primarie e secondarie;
l'eliminazione delle barriere architettoniche;
il miglioramento dei servizi socio-assistenziali;
il sostegno dell'istruzione e del contrasto all'analfabetismo funzionale e di ritorno;
la rigenerazione ecologica;
la conservazione, restauro, recupero e valorizzazione di beni culturali e paesaggistici;
il recupero e riuso del patrimonio edilizio esistente per favorire l'insediamento di attività turistico-ricettive, culturali, commerciali e artigianali.
Nel pacchetto ambiente abbiamo proposto:
un Piano per il territorio di 3 miliardi e mezzo all'anno per 3 anni, per affrontare la grande emergenza del nostro Paese, il dissesto idrogeologico e la necessaria messa in sicurezza del territorio;
interventi per la messa in sicurezza sismica e le bonifiche;
un diverso utilizzo delle risorse del Fondo per gli investimenti di cui all'ex-articolo 95: abbiamo posto delle richieste precise che lo vincolino al risanamento e alla manutenzione del territorio, nonché ai servizi pubblici, quote significative per il rischio sismico;
abbiamo chiesto di aumentare in modo importante le risorse per il Piano INVASI, data la siccità di quest'anno;
un costo minimo per le emissioni di CO2 e la cosiddetta fiscalità riallocativa, che consentirebbe di muovere miliardi di euro dai sussidi ambientalmente dannosi dell'omonimo catalogo verso investimenti verdi;
numerose disposizioni anche per favorire la mobilità sostenibile e per potenziare il trasporto pubblico, anche a favore dei pendolari.
Per le pensioni proponiamo:
un rinvio a giugno, come chiesto dai sindacati, della delibera sull'aggancio all'aspettativa di vita; di differenziare l'aumento dell'età pensionabile in base alle categorie lavorative;
di avere delle scadenze annuali e non triennali dell'adeguamento dell'età pensionabile all'aspettativa di vita;
di abolire la previsione per cui alla diminuzione della speranza di vita non corrisponde un'analoga diminuzione dell'età pensionabile;
di predisporre una lista di professioni esenti dall'aumento, nella quale includere tutti i lavori gravosi inclusi gli addetti alle catene di montaggio;
una nona salvaguardia degli esodati, che riguarderebbe circa 6 mila lavoratori;
la proroga di Opzione donna per il 2018, nonché la soppressione della legge Fornero ad iniziare dalla previsione di una pensione di garanzia per i giovani ed i precari ed il riconoscimento del lavoro di cura delle donne.
Per il pacchetto casa:
il rifinanziamento del Fondo affitti e del Fondo morosità involontaria;
l'obbligatorietà del Fascicolo del fabbricato delle abitazioni;
un Piano per il riuso di immobili pubblici inutilizzati.
Abbiamo presentato una serie di proposte molto precise sulla sanità. Noi abbiamo presentato una proposta seria di eliminazione del superticket e una proposta seria sul problema della denatalità, perché siamo intervenuti con proposte adeguate che riguardavano, per esempio, il sostegno
al lavoro delle donne e abbiamo presentato proposte significative per quanto riguarda gli asili nido e la scuola dell'infanzia.Nel pacchetto scuola, università e ricerca abbiamo chiesto:
un piano Pluriennale di assunzioni per la scuola che risolva davvero l'eterna sacca di precariato del mondo scolastico (per docenti, ATA), con proposte simili anche all'interno delle istituzioni AFAM;
l'adeguamento degli scatti stipendiali dei docenti, avvicinandoci agli stipendi medi dei docenti degli altri Stati Europei;
le stabilizzazioni per le sezioni primavera;
l'assunzione di 8800 ulteriori ricercatori per gli enti pubblici di ricerca;
l'inserimento dell'organico di potenziamento nella scuola dell'infanzia;
l'aumento del tempo scuola nelle regioni del mezzogiorno per contrastare la dispersione scolastica;
un Fondo, finanziato dalla tassa sugli zuccheri nelle bevande gassose, che consenta la gratuità delle mense delle scuole che adottano il tempo pieno, per superare la vergognosa situazione dei bambini che rimangono esclusi dal pasto o sono costretti a portarselo da casa;
l'aumento dei fondi per il diritto allo studio.
Fisco.
Vogliamo inserire, per esempio, una maggiore progressività delle aliquote IRPEF, perché in questo Paese c'è chi guadagna moltissimo e paga molto poco e c'è chi, invece, guadagna poco e paga moltissimo in termini di tasse.
Avremmo voluto inserire interventi sulla tassazione sui patrimoni, perché viviamo in un'Italia in cui nemmeno chi è molto ricco paga imposte persino su una casa di lusso, mentre invece viene tartassato sempre chi ha di meno.
Avremmo voluto, finalmente, vedere, in un Paese che è gravato da grandissime disuguaglianze di ricchezza, un'imposta sui grandi patrimoni: nemmeno questo c'è.
Avremmo voluto vedere misure contro l'evasione fiscale, che continua ad essere la grande piaga italiana: ci sono solo in minima parte.
Avremmo voluto vedere interventi veri, per colpire tutti quelli – e ne abbiamo elenchi su elenchi, ormai – che quotidianamente trasportano la loro ricchezza all'estero, la nascondono nei paradisi fiscali e lì rimane senza che più nessuno possa toccarla, a danno di tutti noi e a danno di un welfare sempre più difficile da finanziare, visto che i ricchi non contribuiscono: ma anche di questo non c'è assolutamente traccia.
Cosa c'è, invece? C'è l'ennesima proroga dell'ennesimo condono fiscale e credo che questo Governo, sotto questo profilo, abbia ormai fatto il record. Peraltro, prorogare i condoni ha sempre un aspetto particolarmente sgradevole, ossia che chi ultimo arriva meglio alloggia e questo, quando si parla di fisco, è intollerabile.
La maggioranza e il Governo si sono inventati, persino, il fatto che chi abbia nascosto soldi all'estero e abbia vissuto all'estero, se ritorna in Italia, con un 3 per cento sana tutto. Voglio ricordare, appunto, che ad un lavoratore dipendente chiedete non meno del 28 per cento sul proprio reddito, ma per chi ha nascosto soldi all'estero un 3 per cento e passa la paura.
Avete messo, persino, la proroga a Lottomatica per i «gratta e vinci»: 2,5 miliardi di euro di fatturato interessati, proroga che la UE ha sempre dichiarato illegittima e Lottomatica ha portato la propria sede fiscale all'estero, sempre a proposito di come va con il fisco in Italia e cosa dovrebbe
Giulio MARCON,
Relatore di minoranza