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Resoconti stenografici delle audizioni

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XVIII Legislatura

Commissioni Riunite (XIV Camera e 14a Senato)

Resoconto stenografico



Seduta n. 3 di Martedì 25 settembre 2018

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Battelli Sergio , Presidente ... 3 

Audizione del Ministro per gli affari europei, Paolo Savona, sulle prospettive di riforma dell'Unione europea (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento) :
Battelli Sergio , Presidente ... 3 
Licheri Ettore Antonio , presidente della Commissione Politiche dell'Unione europea del Senato della Repubblica ... 3 
Battelli Sergio , Presidente ... 4 
Savona Paolo , Ministro per gli affari europei ... 4 
Battelli Sergio , Presidente ... 6 
Savona Paolo , Ministro per gli affari europei ... 6 
Battelli Sergio , Presidente ... 10 
Pittella Gianni  ... 10 
Scerra Filippo (M5S)  ... 11 
Bonfrisco Anna Cinzia  ... 12 
Pettarin Guido Germano (FI)  ... 12 
De Luca Piero (PD)  ... 13 
Occhionero Giuseppina (LeU)  ... 14 
Fazzolari Giovanbattista  ... 14 
Giglio Vigna Alessandro (LEGA)  ... 15 
Vietina Simona (FI)  ... 15 
Penna Leonardo Salvatore (M5S)  ... 16 
Rossello Cristina (FI)  ... 16 
Pesco Daniele  ... 17 
Sensi Filippo (PD)  ... 17 
Testor Elena  ... 17 
Battelli Sergio , Presidente ... 17 
Savona Paolo , Ministro per gli affari europei ... 17 
Battelli Sergio , Presidente ... 22 

ALLEGATO: Documento consegnato dal Ministro Savona. Una politeia per un'Europa diversa, più forte e più equa ... 23

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE;
Misto-Civica Popolare-AP-PSI-Area Civica: Misto-CP-A-PS-A;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia: Misto-NcI;
Misto-+Europa-Centro Democratico: Misto-+E-CD;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
DELLA XIV COMMISSIONE
DELLA CAMERA DEI DEPUTATI
SERGIO BATTELLI

  La seduta comincia alle 13.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione diretta sulla web-TV e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del Ministro per gli affari europei, Paolo Savona, sulle prospettive di riforma dell'Unione europea.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del Ministro per gli affari europei, Paolo Savona, sulle prospettive di riforma dell'Unione europea.
  Al fine di garantire un ordinato svolgimento dei lavori, invito i rappresentanti dei Gruppi a comunicare alla Presidenza i nomi dei parlamentari che intendano intervenire. La ripartizione dei tempi di intervento sarà quindi effettuata tenendo conto del numero degli iscritti a parlare e dell'esigenza di garantire a tutti i Gruppi di esprimere le proprie considerazioni.
  Ringrazio il Ministro Savona anche a nome del mio collega, presidente Licheri, per questa importante occasione di confronto sulle prospettive di riforma dell'Unione europea, anche alla luce delle recenti proposte che ha indirizzato alla Commissione europea, su cui immagino che il Ministro vorrà riferire al Parlamento.
  Lascio per un minuto la parola al presidente Licheri per un saluto.

  ETTORE ANTONIO LICHERI, presidente della Commissione Politiche dell'Unione europea del Senato della Repubblica. Grazie a tutti. Saluto il Ministro Paolo Savona e desidero anch'io ringraziarlo, perché il Ministro Savona sta dando dimostrazione di come sia importante questa forma di dialogo costante tra il potere legislativo e il potere esecutivo, quindi tra il Governo e le Camere. Il Ministro Savona sta dando dimostrazione di come questa linea di dialogo possa essere esercitata e sviluppata anche superando gli ostacoli del day by day, quindi della contingenza, della quotidianità.
  Desidero inoltre ringraziarlo per l'importante contributo che con il suo documento sulla politeia, su un'Europa più forte, un'Europa diversa, un'Europa nuova, un'Europa più equa ha voluto portare nel dibattito politico generale e immagino porterà anche oggi alla nostra riflessione.
  Su questo aspetto mi permetto di offrire al Ministro Savona due spunti di riflessione, sui quali lo pregherò di pronunciarsi. Mi concentro soprattutto su un punto che ritengo strategico per l'economia nazionale italiana, che lui ha messo in evidenza nel suo documento, cioè la doverosità di agire quanto prima e in misura incisiva sul versante della domanda aggregata. Solo in questo modo possiamo infatti aumentare le potenzialità di crescita delle economie nazionali dei Paesi membri ed evitare che si possano realizzare spaccature all'interno dell'eurosistema, all'interno dell'Unione europea.
  Certo, rimane il dubbio di come si possa intervenire su quelle che sono le politiche sulla domanda aggregata europea, quindi incidere sul saggio di crescita reale delle Pag. 4economie, però se innalziamo il saggio di crescita reale dei Paesi membri e li allineiamo, se interveniamo per sistemare gli eccessi di debito pubblico sul PIL, se manteniamo i debiti pubblici in equilibrio, sincronizzando la spesa pubblica a ritmi inferiori rispetto a quello che è il tasso di crescita nominale del PIL, sono d'accordo con il Ministro che effettivamente possiamo azzerare lo spread. Noi possiamo farlo.
  Certo, risulta difficile immaginare che questa situazione si possa creare se solo consideriamo che nello scenario globale le spese in Europa per le sue politiche sono pari all'1 per cento del reddito lordo mentre gli Stati Uniti hanno spese federali per il 10 per cento, quindi una politica che agisca sulla domanda aggregata e quindi sugli investimenti.
  Investimenti pubblici (e qui arrivo alle tre domande che voglio fare prima di passare la parola al Ministro). Gli investimenti pubblici devono poter essere attivati anche direttamente dall'Italia e quindi dagli altri Stati membri. Secondo noi occorre quindi una loro esclusione dal computo del disavanzo rilevante ai fini del «Patto di stabilità e di crescita», e in questo senso, Ministro, le chiederei se e in che misura questo sia possibile.
  Una cosa è certa, dalle parole dobbiamo passare ai fatti, così raccolgo una frase che è stata pronunciata in questi giorni e riportata nelle cronache. Per passare dalle parole ai fatti mi pare che sia proprio il tema della fiscalità, perché i divari nella tassazione delle imprese degli Stati membri pongono il tema della concorrenzialità degli ordinamenti e della convenienza a delocalizzare le produzioni in Stati in cui il carico fiscale è minore. È un tema che noi abbiamo affrontato con il «Decreto dignità», ma occorre fare uno sforzo in più, quindi chiedo a lei, signor Ministro, quali possano essere i prossimi passi per contrastare questo fenomeno, naturalmente in un'ottica di politica fiscale comune europea.
  Da ultimo, c'è il tema che a me è piuttosto caro venendo io dal Meridione d'Italia, cioè il tema delle fiscalità di sviluppo nelle aree maggiormente svantaggiate. In Italia abbiamo creato le cosiddette «zone franche urbane» e ora ci sono le zone economiche speciali, discuteremo proprio questa settimana un DDL sulle isole minori che contempla questa ipotesi di fiscalità di vantaggio per le aree geografiche che soffrono questo gap di competitività, che deriva naturalmente da un gap infrastrutturale, ma mi piacerebbe conoscere il suo pensiero, signor Ministro, su quali tra queste differenti soluzioni Ella consideri la più efficace perché possa effettivamente essere portato un contributo di vantaggio fiscale alle aziende che decidono di investire nel Sud.
  Ringrazio tutti, ringrazio ancora una volta il Ministro, a cui cedo la parola. Grazie.

  PRESIDENTE. Colleghi avverto che una troupe televisiva ha chiesto di poter fare alcune riprese; se siete d'accordo, le concedo un minuto per effettuarle e poi darò la parola al Ministro.

  (Una troupe televisiva effettua riprese televisive per un minuto)

  PAOLO SAVONA, Ministro per gli affari europei. Grazie, presidente. Ci siamo lasciati il 10 di luglio preannunciandovi l'esistenza di questo lavoro, che poi è maturato nel tempo con forse troppa lentezza rispetto ai ritmi con cui i problemi incalzano, con un'accelerazione nei primi giorni di settembre, quando ci siamo posti il problema che il 12 settembre Juncker avrebbe pronunciato il suo ultimo messaggio sullo stato dell'Unione, quindi la speranza – che a quel punto era una semplice speranza –, che egli avesse quantomeno il tempo di sentire da un suo collaboratore cosa esattamente noi chiedevamo.
  Ho deliberatamente usato il termine «noi», perché per la formazione del documento fin dall'inizio, quindi fin dall'inizio di luglio, dopo l'incontro del 5 luglio al CIAE, il Comitato interministeriale per gli affari europei, le linee del documento erano state già discusse e approvate dai miei colleghi ministri e dal Presidente del Consiglio, che è stato costantemente informato Pag. 5delle varie stesure che si sono susseguite nel tempo.
  Il documento è composto da tre parti principali. Una parte riguarda la politica monetaria, argomento che avevamo già discusso in sede dell'ultimo incontro avuto, una parte, la più corposa, riguarda la politica fiscale, che già il Presidente Licheri ha ricordato, e una parte di conclusioni del documento.
  La prima parte è connotata direttamente dal titolo, dove deliberatamente (può essere un vezzo intellettuale ma non troppo, è una realtà) io abbandono (preciso nel documento perché) il termine di governance, che è un termine mutuato dalla scienza di gestione delle risorse, dal management, che indica le regole di governo delle risorse umane e materiali. Ho preferito concentrare l'attenzione e quindi il messaggio nel termine politeia, che, come sapete, significa organizzazione del bene comune.
  Una cosa è quindi fissare delle regole che rispondano a determinate esigenze (gestione delle risorse, quindi arriviamo subito ai parametri fiscali), un'altra cosa è fissare le regole di convivenza in Europa per il bene comune, che sono chiaramente espresse nell'articolo 3 del Testo unico europeo, che è la rielaborazione congiunta dei vari trattati, incluso l'ultimo di Lisbona. È da lì che parto, ho contato almeno dieci obiettivi e da inguaribile econometrista quale sono rimasto mi sono domandato: «bene, dieci obiettivi, quali sono i dieci strumenti che l'Europa ha attivato o intende attivare?».
  Sono andato a cercare e, subito dopo l'elencazione dei documenti, sono incappato nei princìpi generali con cui gli obiettivi andavano raggiunti, e ho visto immediatamente che vi era il problema principale espresso subito dopo, il problema della sussidiarietà e della proporzionalità dell'intervento, princìpi a me molto cari.
  Tra l'altro (non ricordo se in questa sede ho già citato l'episodio) mi ha raccontato Guido Carli, firmatario del Trattato di Maastricht, che, come sovente accade in queste trattative, poche ore prima della firma sembrava che il trattato non venisse più firmato, poi è arrivata sul tavolo la parola «sussidiarietà», molto cara al cattolicesimo perché questo è un termine molto usato dalla dottrina cattolica ma anche da altri (non è che abbiano l'esclusiva del concetto e del termine), cioè ciò che non può essere fatto a livello nazionale deve essere fatto a livello europeo, quindi fu chiaro che alcune cose dovevano essere fatte.
  Quando si è riconosciuto il principio, è stato subito detto: «va bene, d'accordo, ma proporzionalità, in proporzione alle risorse date, in proporzione agli accordi», cioè appena indicati gli obiettivi li avevamo già impiombati di qualcosa in più, e uno degli aspetti principali furono appunto i parametri fiscali.
  Non a caso direi, ma so che la storia mi darebbe torto, non a caso i parametri di Maastricht, quindi i parametri fiscali, sono in un addendum al trattato, perché erano pronti evidentemente, com'era pronto il principio di sussidiarietà e di proporzionalità, però la costruzione è avvenuta da questo punto di vista.
  Dove questo fatto ha colpito di più? Ha colpito di più nella politica fiscale, perché l'accordo di Maastricht, poi ripetuto negli altri, è stato che la regolamentazione del mercato fosse potere sovrano dell'Unione europea, dell'unione di Stati, e questo potere sovrano veniva esercitato dalle varie istituzioni, ma poi alla fine della storia se non era approvato dal Consiglio europeo, dal Consiglio dei Capi di Stato e di Governo, non sarebbe diventato esecutivo, quella che noi chiamiamo l'Europa intergovernativa, sulla quale si sono sviluppati dei dibattiti sulla sua funzionalità o non funzionalità.
  La posizione dell'Italia era molto chiara: noi vogliamo un'unione politica. Quindi l'unione politica sarebbe stata un'organizzazione completamente diversa, però riconosciamo l'importanza dell'obiettivo dell'Unione europea e quindi accettiamo i vincoli che vengono offerti.
  Il secondo e più importante problema è che quando si è andato a discutere della politica fiscale è stato deciso che la politica fiscale sarebbe stata di competenza degli Stati nazione. Immediatamente è sorto il Pag. 6problema: se gli Stati nazione usano politiche fiscali le quali entrano in contrasto con il buon funzionamento del mercato comune, del mercato unico, del mercato competitivo e della moneta unica, questo farebbe nascere problemi di ingovernabilità. Sono nati quindi i parametri fiscali per evitare l'ingovernabilità.
  Tenete presente (questo è spiegato nel documento) che il parametro è la legge europea, cioè non essendoci un Parlamento che fa le leggi e quindi le modifica secondo le dinamiche socio-economiche dei singoli Stati dell'Europa, non essendoci una Commissione che ha poteri di Governo, quindi non essendoci un'unione politica propriamente definita, il fatto che la sovranità fiscale fosse lasciata in mano ai singoli Paesi sotto vincolo – che stiamo vivendo in queste ore, forse minuti, in questi giorni... –, dice: come conciliamo i dieci obiettivi, tra i quali è detto esplicitamente che l'obiettivo dell'Unione Europea è la piena occupazione e il benessere sociale?
  È stabilito che le grandi conquiste della politica moderna del XX secolo dopo la pubblicazione del libro di Keynes, ma la maturazione è antecedente perché già iniziava con il New Deal, la grande rivoluzione della politica, è che è stato riconosciuto che il mercato da solo non è in grado di garantire la piena occupazione e il benessere sociale.
  Si riconobbe quindi la indispensabilità dell'intervento dello Stato per completare (non contrastare) il funzionamento del mercato, da cui nasce l'intervento dello Stato che viene chiamato politica fiscale. Tenete presente che certe volte gli interlocutori quando uso il termine politica fiscale non capiscono di cosa si tratta, perché non è solo la politica tributaria, che è parte, ma la politica fiscale è tanto: la politica fiscale sono le leggi che governano il benessere e il malessere, che intervengono nel caso della sicurezza, altro argomento di questi giorni. Questa si chiama politica fiscale, questo è il termine.
  Questo fu quindi il primo punto, non aver chiarito come conciliare questa sovranità nazionale sotto vincolo con gli obiettivi del Trattato, che erano garantiti da piena competizione di mercato e politica monetaria. Scusate se faccio questa analisi...

  PRESIDENTE. Mi scusi, Ministro, se interrompo. Non si possono fare foto, mi raccomando. Prego, Ministro.

  PAOLO SAVONA, Ministro per gli affari europei. Questo è un passaggio essenziale. Sto risalendo alle motivazioni che hanno indotto il nostro Paese – me compreso, nonostante fin dall'inizio criticassi il meccanismo messo in piedi, convinto che alla fine dovessimo – a firmare quel tipo di accordo: però c'erano delle cose che andavano fatte.
  Uno dei punti principali, il discorso vero e proprio, riguarda la fissazione, non dico del parametro deficit pubblico/PIL che è fluttuante a seconda degli andamenti ciclici, come in questi giorni viene dimostrato (anche ieri Macron ha detto che il suo disavanzo sarà 2,8 e la discussione sul nostro è decisamente inferiore a 2,8, poi quale sarà la realtà lo sapremo tra un paio di giorni), ma del rapporto debito pubblico/PIL, che è il fianco scoperto del nostro Paese.
  A quel punto il mio suggerimento (a quei tempi stavo tra i gruppi che negoziavano in una posizione non certo da Ministro, né da codecisore) fu quello di dire: sistemiamo prima i debiti in eccesso, poi possiamo essere rigorosi (questa era la mia posizione) e possiamo pretendere pesi, perché altrimenti per poter convergere, punto sul quale Guido Carli insistette e ottenne, verso il 60 per cento partendo allora da 80 – ... quindi, prima riflessione, se ora siamo arrivati da 80 a 130 il meccanismo vuol dire che non funzionava, questo era un punto molto semplice – chi aveva un debito in eccesso (e doveva convergere, ripeto, verso il 60 per cento) doveva fare politiche deflazionistiche, secondo le regole, mentre avrebbe dovuto fare politiche espansionistiche per poter innalzare il saggio di sviluppo più degli altri e quindi convergere. La mia posizione quindi è questa: il meccanismo non funziona e quindi dobbiamo ridiscuterlo.
  All'inizio la mia idea (è scritta nel contratto di governo) era di aprire una trattativa, Pag. 7 ma anche da questo punto di vista incappiamo in regole stabilite dalla governance, per cui se un Paese pone il veto, tu la trattativa non la inizierai mai, quindi è proibito trattare. Questa è una bella corazza che abbiamo indossato, mentre se uno chiede di discutere (la conclusione del documento dice: «costituiamo un gruppo di lavoro e scambiandoci delle idee») scatta il mio inguaribile ottimismo, che attinge da uno degli ideatori della politica fiscale, John Maynard Keynes: non sono gli interessi costituiti, ma è la forza delle idee che porta avanti le cose.
  La forza delle idee mi dice che, se iniziamo una discussione (le esitazioni che vedo in giro nascono proprio da questo), una buona idea vince su una cattiva idea, sia perché dietro c'è una performance insoddisfacente di trent'anni, perché ormai siamo a trent'anni dalla firma del Trattato, sia perché le pressioni popolari sono tali che incominciano a dire: «ma questo benedetto sviluppo che c'era stato promesso, non dico il pieno impiego o il benessere sociale, ma questo tasso di crescita quando arriva, e, se non arriva, quali sono i motivi?».
  Naturalmente del quesito che rivolgono a noi economisti ci liberiamo rapidamente, tant'è che ho chiesto a un illustre economista straniero (così non entravo nelle dispute con i miei colleghi italiani) di indicarmi com'era possibile far convivere la politica monetaria unica con la politica fiscale nazionale, e credo che abbia fatto uno dei suoi migliori saggi di analisi di questo argomento giungendo alla conclusione che non è possibile, dobbiamo raggiungere un accordo con la politica fiscale.
  Se la gente dice che non è vero, che lui sbaglia, se la vedano con lui che è un leader culturale della materia, uno dei cofondatori della scuola post-keynesiana. Questo è quindi un modo di alleggerire il dibattito. Alla fine della storia una discussione solleverà prima o dopo una qualche decisione, questa è l'idea.
  Dietro però dobbiamo avere una diagnosi politica corretta, quindi starvi a sentire per me è fondamentale, una diagnosi economica corretta, incominciare a dire come facciamo per crescere, perché ereditiamo sia una situazione pesante finanziariamente, sia una situazione di crescita che è ancora insoddisfacente.
  Non solo (è l'apertura del documento): le previsioni di consenso sono che se nel 2018 chiudiamo con l'1,5 per cento, che ci consentì un sospiro di sollievo molto forte – ma siamo lontani da quel 3-4 per cento necessario per potere avere una relazione fra crescita e occupazione, crescita e benessere –, la previsione di consenso che a seguito di questa maretta (permettetemi di usare questo termine pronunciato in sardo) intorno alle politiche di commercio mondiale intrapresa dagli Stati Uniti ma anche dagli altri Paesi, è che il saggio di sviluppo previsto per l'Italia scende da 1,5 a 0,9 o 1 per cento (arrotondo: la mia tesi è che gli econometrici non sono come i farmacisti, che non devono sbagliare le dosi di milligrammi perché altrimenti mandano al creatore il paziente, l'econometria poi cambia in continuazione, infatti non serve più a niente, per fortuna non sono più nella professione perché altrimenti sarei già fuori di mercato).
  Siamo quindi di fronte a una caduta del reddito che avrà un impatto negativo sull'occupazione e sul welfare, e cosa deve fare un Governo che ha la politica fiscale di sua competenza sotto controllo? Dobbiamo discutere. Dobbiamo discutere se invece della governance abbiamo la politeia.
  Qual è il bene comune dell'Europa? Butto giù in modo ironico e paradossale la tesi che fu detta dopo l'unificazione d'Italia: fatta l'Europa dobbiamo costruire gli europei. La mia valutazione è che in questo momento di europei in circolazione ce ne siano pochi. Ci sono gli europeisti, ma mi sembra di aver già citato Dahrendorf la volta precedente, tutti gli «ismi» vanno combattuti, quindi non è l'europeismo che cerchiamo, ma cerchiamo un'Europa e cerchiamo un'Europa cosciente, che convive con popoli di alto lignaggio, alta intelligenza e alta produzione culturale e artistica, e dobbiamo convivere perché è nell'interesse comune convivere, perché un mercato aperto ci ha dato il benessere. Pag. 8
  In uno degli ultimi libri scritti da Paul De Grauwe, mio amico, allievo di Michele Fratianni, mio coautore, che è diventato uno dei migliori economisti belgi e, come sovente accade agli economisti migliori, non viene molto stimato dai suoi colleghi belgi (ogni riferimento alla mia prestazione è del tutto voluto), pubblica il grafico delle due Coree. Finché c'era la guerra, le due Coree avevano lo stesso saggio di sviluppo basso. Finisce la guerra traumatica negli anni ’50 e la Corea del Sud sceglie il mercato, la Corea del Nord sceglie la chiusura del mercato. Il grafico della Corea del Sud si impenna fino al punto che oggi ha nove volte il PIL della Corea del Nord. Speriamo che uno dei motivi per cui il Capo dello Stato del nord ha deciso di fare l'alleanza sia perché si è fatto un po’ di calcoli su come mantenere una situazione del genere. Speriamo che sia così.
  Ho citato questo episodio per dirvi che di un'economia aperta abbiamo assolutamente bisogno. L'Italia si è formata dopo il Trattato di Roma, si è formata con il mercato comune, il problema è quando l'abbiamo voluto trasformare da mercato comune in unione, però un'unione economica che non è politica, e allora qualche difetto c'è.
  Io analizzo una dopo l'altra queste problematiche, affrontando problemi tipo l'emigrazione, e faccio affermazioni che chiaramente possono suscitare... Entro nel vivo della questione, dato il decreto recentemente approvato dal Consiglio dei ministri. A un certo punto dico: se un Paese come l'Italia deve fronteggiare l'immigrazione di massa mantenendo uno stato di diritto nel senso di protezione delle frontiere e uno Stato che risponda a criteri etici, deve necessariamente garantire l'accoglienza. La disputa adesso è quasi interamente concentrata su questo: chi paga questa accoglienza? La risposta può essere una sola: la politica fiscale europea, perché altrimenti un Paese come l'Italia, che ha già dei vincoli derivanti dai parametri fiscali, cosa può fare? Chiudere le proprie frontiere.
  Come vedete, quindi, ci sono stretti nessi etico-politici del problema che pongo, ma in tanti campi. Uno di questi, che riguarda la concezione di aiuto di Stato sollevata dal Presidente Licheri, è che le diversità fiscali devono essere tenute presenti quando si giudica l'aiuto di Stato. L'aiuto di Stato non dice: «io ti do soldi così tu competi meglio», ma se tu competi con un Paese che fa pagare il 10 o 15 per cento di imposta sulle imprese e un altro Paese come l'Italia che fa pagare il 25-30 per cento, vuol dire che è una correzione delle diversità, quindi è il dovere dell'Unione europea.
  Il primo Mario Monti andò per fare l'armonizzazione fiscale e non ci riuscì, e inventò l'idea della competizione fiscale, che nelle sue aspettative avrebbe dovuto abbassare il saggio medio di incidenza fiscale, che invece è aumentato, e questo è inevitabile. Poi lui è passato alla concorrenza, però il problema resta, quindi politica fiscale significa anche arrivare a un problema di equità. L'equità che cito nel titolo e che è citata nel contratto di governo non è solo un'equità tra ricchi e poveri, un'equità tra chi sta bene e chi sta male, ma è anche un'equità tra Paese e Paese, quindi è all'origine delle diversità di equità tra ricchi e poveri, tra avvantaggiati e svantaggiati.
  Il discorso tributario va quindi aperto. Vogliamo discuterne? Questo è un problema che l'Europa ha preso sempre in considerazione, ma non ha fatto progressi. Vogliamo far progressi? Vogliamo ancora mandare il messaggio che vi è iniquità fiscale all'interno dell'Europa? Possibile che ritengano che il popolo sia così impreparato da non capire queste diversità? Le capisce e si adira, e può votare anche male, può votare in un modo sbagliato se tu non gli rispondi, quindi diamo il messaggio che abbiamo iniziato a discutere, abbiamo costituito un gruppo che discute di queste cose.
  Questa è la posizione: creare un gruppo di lavoro di alto livello che risponda entro la fine dell'anno o comunque prima delle prossime elezioni, per evitare che le prossime elezioni si concentrino su temi che vengano dichiarati irrisolvibili e che quindi distorcano la verità. La verità è che le elezioni europee dovrebbero svolgersi sui dieci obiettivi dell'articolo 3 del Testo unico Pag. 9europeo, su quali sono le risposte che l'Europa dà sul principio di solidarietà e di proporzionalità, quali altre risposte danno i Paesi e che aiuto mi dai se sono costretto ad affrontare questi problemi delle diversità, io Paese A rispetto a Paese B.
  Fiscalità di sviluppo o in genere flessibilità dei parametri. Io non amo la parola «flessibilità», perché finora la flessibilità è la risposta che si dava il Governo: «puoi spendere di più». Ma non che dicesse «spendi qua o spendi là»: semplicemente «tu sei autorizzato a spendere di più». Alla fine della storia, guarda caso, abbiamo speso di più, ma il debito pubblico ha continuato a crescere. Il meccanismo non funziona.
  Io quindi non parlo né di flessibilità, né di fiscalità di sviluppo, ma delle condizioni di base affinché la competizione avvenga correttamente, quindi uno degli elementi principali sono le infrastrutture. L'apertura di una strada, che è l'idea dei cinesi con la «via della seta», è che se aprono una grande direttrice sono in grado immediatamente di muoversi e di conquistare mercati, di agire, quindi le infrastrutture sono fondamentali, in particolare le infrastrutture europee.
  Naturalmente anche qua c'è un dibattito da tenere in Europa e un dibattito da tenere all'interno, quanto riusciamo ad attenuare l'idea che fare infrastrutture significa offrire alla criminalità un canale di penetrazione, distruggere l'ambiente, aumentare l'influenza politica di un gruppo sociale rispetto ad un altro, tutti problemi importanti, ma il compito interno è che dobbiamo risolvere tra di noi queste cose anche per poter pretendere di dire all'Europa che certe cose le deve fare lei, non noi.
  Il documento infatti dice che le mie preferenze, se volete mandare un messaggio, è che sia l'Europa non a dire «permettiamo all'Italia di fare l'1 per cento di investimenti in esonero dai parametri fiscali», ma ad ordinare all'Italia di fare questi investimenti per poter crescere. La fiscalità di sviluppo è risolta nella risposta che ho dato in precedenza, con un'equità tributaria, la quale può essere modulata a seconda delle condizioni di zona, modulazione resa necessaria perché, siccome l'area monetaria europea non è ottimale, bisogna fare qualcosa dal lato della politica fiscale, come ci ha insegnato il Nobel Bob Mundell, per cercare di compensare questi divari di produttività o di crescita e di benessere.
  Il termine fiscalità di sviluppo non significa quindi «fammi pagare meno tasse», ma «dammi un'organizzazione tale dove le imprese che operano nel sud o nelle aree non sviluppate siano in condizioni di entrare nel mercato e di competere».
  Investimenti pubblici e investimenti privati (poi credo che a questo punto le domande arriveranno e potrò rispondere). Suscitare gli investimenti privati è sovente un problema di riuscire ad incrementare la fiducia che si ha nel futuro del sistema. Se uno opera solo dal lato della politica dell'offerta, cioè fai le riforme del mercato del lavoro, della pubblica amministrazione, importantissime, ma non intervieni sulla domanda, tu non mobiliterai mai gli investimenti privati.
  Per gli investimenti pubblici la discussione è iniziata anche prima del Trattato di Maastricht. L'idea è sempre basata sulla sfiducia: noi non abbiamo fiducia che tu tiri fuori gli investimenti, perché non so se sono investimenti veri e propri o sono investimenti mascherati. Per esempio, le manutenzioni sono investimenti? Secondo me, sì, in tutti i bilanci privati le manutenzioni sono investimenti, è chiaro che però se tu le usi male... allora tu fai l'ente di controllo come fanno in vari posti e quindi stabilisci quali sono gli investimenti fatti bene e fatti male.
  Per questo dico che sarebbe preferibile il controllo europeo rispetto al controllo interno, così respireremmo anche meglio rispetto alle accuse che si muovono di penetrazione della criminalità e danni al territorio. Un'organizzazione sovranazionale che non ha interessi diretti in queste cose può probabilmente fare attività di controllo migliori.
  Per gli investimenti pubblici il discorso è molto chiaro: gli investimenti pubblici sono creazione di ricchezza, quelli fatti bene (che hanno quindi un'analisi costi/benefici dietro), e quindi devono entrare Pag. 10nello stato patrimoniale del Paese, sono un asset management, cioè a un certo punto mi indebito e faccio degli investimenti. Le imprese, stato patrimoniale: passivo emissione obbligazioni, attivo valore dell'infrastruttura o dell'investimento effettuato. In questo modo parte dell'indebitamento (non solo l'investimento) esce fuori dal rapporto debito pubblico/PIL e se tutto l'aggiustamento per via della flessibilità che non mi piace tu lo usi per le spese correnti, evidentemente stai fuori da questo tipo di ragionamento.
  Le spese correnti invece vanno nel bilancio, come il conto costi/ricavi delle imprese, quindi è un problema di metterci d'accordo sulla contabilizzazione.
  Qua viene fuori l'obiezione (una l'ho già affrontata): ma tu imbrogli. Allora fai un ente di controllo come c'è l'ente di controllo per gli aiuti di Stato, che, come ho detto, sono alterati dal fatto che le diversità fiscali influenzano la competizione nettamente, come hanno dimostrato sviluppi in Irlanda e altri Paesi, quindi quando dai un giudizio devi tener conto se stai intervenendo per compensare le diversità tributarie oppure per alterare la competizione di mercato. E in parte viene fatto.
  Attenzione, il problema è in quasi tutti i campi di perfezionamento, perciò bisogna discutere, invece qua sta diventando un anatema: cioè se dico «badate che questa cosa non funziona», apriti cielo, «sei un antieuropeista, vuoi distruggere l'Europa», poi i giornali sono pieni di giornalisti stranieri o analisti miei colleghi i quali dicono che l'euro non funziona e sparano a zero, ma quelli possono parlare perché non danno fastidio al guidatore!
  Questa è una cosa paradossale, la democrazia impone, la dialettica impone che si discuta apertamente di queste cose, e non attribuendo all'altro idee o retropensieri che magari non ha, quindi il discorso anche lì passa da una discussione e questo è il tema principale.
  Apriamo una discussione, apriamola subito, perché il 2019 può essere un anno drammatico per l'Europa, perché abbiamo le elezioni il cui risultato è incerto, perché tutti i Paesi hanno qualche problema di questo tipo, di tipo proprio pro e contro, allora cosa sto a discutere di fare l'Europa più forte e più equa se poi ci salta di mano il meccanismo che la deve gestire?
  Poi abbiamo la nomina della nuova Commissione, Juncker resta in carica fino a novembre; poi c'è la nomina del Presidente della BCE, di Mario Draghi, quindi, signori, nel 2019 possiamo trovarci un'Europa migliore, più forte e più equa oppure un'Europa peggiore, meno forte e meno equa. Con questo documento mi prefiggo questo scopo.
  Il nuovo ambasciatore tedesco, persona simpaticissima, figlio di un'italiana che parla un italiano perfetto, mi ha chiesto: «cosa vuol raggiungere con questo documento?» e io gli ho detto: «l'ho già raggiunto, perché lei ha deciso di discuterne con me». Grazie.

  (Applausi)

  PRESIDENTE. Grazie, Ministro. Allora, colleghi, ho undici iscritti a parlare, quindi potremmo prevedere tre minuti ciascuno, il che ci porterà intorno ai 40 minuti totali, così poi il Ministro potrà replicare per una ventina di minuti. Se va bene, procediamo così ma avverto che sarò inflessibile sui tempi.
  Do la parola ai colleghi che desiderano intervenire.

  GIANNI PITTELLA. Grazie, presidente, grazie, Ministro. Le dirò in sincerità che trovo molta sintonia tra il mio pensiero e le cose che lei ha scritto, la sua teoria economica e la sua visione dell'Europa.
  Tempo fa anch'io scrissi – ovviamente in un libro molto più umile – cose che lei scrive. Lo intitolai L'anatra zoppa proprio per suggellare l'asimmetria tra la gamba monetaria e la gamba fiscale, l'una esistente, l'altra inesistente.
  Il punto però è che lei deve dirci in qualità di Ministro di questo Governo come sciogliere alcuni nodi, e io ne indico due. Il primo è: dobbiamo recuperare risorse per sostenere la domanda interna, perfettamente d'accordo, ma queste risorse che recuperiamo attraverso il recupero del surplus Pag. 11 commerciale, attraverso il lancio degli Eurobond o attraverso altre forme e altre risorse come le impieghiamo? Perché il vostro Governo è indeciso su tutto.
  Vogliamo riprendere la strada delle reti transeuropee e dei corridoi paneuropei? Io ci sto, però mettetevi d'accordo se le reti transeuropee vanno fatte o non vanno fatte, ditecelo, perché il recupero di risorse senza segnalare come si spendono sarebbe perfettamente inutile.
  Seconda questione. Sulle riforme anche ardite che lei propone, come l'attribuzione alla Banca centrale europea del ruolo di prestatrice di ultima istanza. Anche qui sono perfettamente d'accordo: ma con quali alleanze politiche in Europa facciamo tutto questo? Perché anche questo è non poco importante rispetto all'esito che il suo studio di provocazione può suscitare: alleanze politiche e alleanze di Paesi.

  FILIPPO SCERRA. Grazie, presidente, grazie, Ministro. Innanzitutto spero vivamente che la sua proposta, che troviamo assolutamente condivisibile, non rimanga l'ennesima voce inascoltata nel panorama politico europeo.
  Siamo soddisfatti del fatto che il nostro Governo proponga di intavolare ufficialmente una discussione critica sulle istituzioni europee e sulle politiche di austerità adottate fino ad oggi, che sono causa di insostenibili divergenze economiche non soltanto fra i Paesi membri, ma fra territori e fra cittadini, quindi benissimo la volontà di dar vita ad un gruppo di lavoro ad alto livello composto da rappresentanti degli Stati membri e del Parlamento e della Commissione.
  È del tutto auspicabile la sostituzione dell'approccio tecnocratico di governance con la più democratica aspettativa di una politeia, ossia di una comune res pubblica europea. Nel contempo, però, non possiamo non chiederci perché questa aspettativa sia rimasta disattesa nel corso degli anni dalle istituzioni europee e dagli stessi Stati membri. La realtà oggi ci dimostra che siamo lontani dal far parte di una polis europea nella quale la politeia può insediarsi e dalla quale può svilupparsi, e questo in primis per motivazioni di natura storica.
  Mentre infatti è possibile arrivare ad individuare l'esistenza di una cultura europea condivisa, che può essere promossa, come lei suggerisce nel documento, dalla creazione di una scuola europea di ogni ordine e grado, non è possibile ad oggi rilevare l'esistenza di un corpo socio-economico europeo omogeneo, caratteristica essenziale della polis dell'età classica, in cui i titolari dei diritti politici condividevano l'insieme degli obiettivi economici e valoriali verso cui tendeva la società nel suo complesso.
  Nell'Unione assistiamo invece ad un incessante movimento sociale, dove prevalgono principalmente gli interessi dei singoli rispetto al bene comune. La peculiarità dell'architettura istituzionale europea è di non essere retta da uno Stato, e, come lei ricorda nel suo documento, anche Carlo Azeglio Ciampi sosteneva che l'architettura europea fosse affetta da zoppia, cioè mancasse di un'unione politica, della messa in comune delle sorti dei cittadini dell'Unione, un principio elementare per la sopravvivenza legale e non solo economica di una moneta comune.
  Le chiedo quindi come ritrovare questo senso di bene comune, che è un presupposto essenziale per il proseguimento congiunto verso una vera unione. Potrebbe andare in questa direzione una modifica dell'architettura che preveda la possibilità di iniziativa legislativa del Parlamento europeo ed un rafforzamento degli strumenti di democrazia diretta, a cui, come si sa, il Movimento 5 Stelle tiene tanto?
  Vorrei passare a prendere in considerazione le questioni relative alle regole per la fissazione del disavanzo e la riduzione del rapporto debito/PIL. Abbattere il debito pubblico con misure straordinarie e soprattutto contenerne drasticamente i tassi di interesse è una condizione indispensabile per consentire all'Italia di ripartire, e su questo penso che siamo tutti d'accordo, insieme anche agli altri Paesi europei che hanno gli stessi problemi di eccessivo debito pubblico rispetto al PIL. Occorre dunque rimediare al primo vizio di origine del Pag. 12nostro eurosistema. Lei ha fatto una proposta nel documento, come poter convergere al 60 per cento. Se cortesemente ci può spiegare meglio in che modo possiamo arrivarci.
  Un'ultima domanda velocissima. Volevo chiederle se la proposta di un passaggio da una concezione statica ad una dinamica dei parametri fiscali non richieda una modifica dei Trattati europei. Grazie.

  ANNA CINZIA BONFRISCO. Grazie, presidente. Risparmio molte parole perché il Presidente Licheri ha già sintetizzato egregiamente le tante questioni che nel dibattito in Commissione abbiamo già affrontato parlando magari di altri argomenti, ma poi tanto sono tutti riconducibili alle questioni europee.
  L'impostazione culturale del Ministro Savona ci consente di essere tranquilli da questo punto di vista, se da una cultura discendono delle idee e quindi delle soluzioni, siamo nel posto giusto e con la persona che meglio di tanti ha conosciuto quel processo in formazione e che, avendolo sempre contestato, oggi può aiutarci a migliorarlo.
  Vengo alle questioni più pratiche, Ministro Savona, che riguardano certo le alleanze politiche, ma anche il modo attraverso il quale il prossimo Parlamento europeo, le prossime istituzioni europee affronteranno – mi auguro per la prima volta con un pensiero diverso – la possibilità di rendere politica questa Europa.
  Noi portiamo il nostro contributo come sempre, anzi ci è stato chiesto un contributo ulteriore recentemente all'esito della Brexit, e abbiamo bisogno di invertire questa tendenza di dare per scontato che le risorse comunque ci sono, che i Paesi aderenti e componenti delle diverse aggregazioni europee garantiranno le loro risorse, ma non abbiamo per niente condiviso in questi anni come quelle risorse sono state allocate.
  Uno degli aspetti più rilevanti della grande discussione che lei apre con questo documento in Europa è l'utilizzo delle risorse, perché saranno sempre meno e noi abbiamo bisogno di focalizzarle e orientarle sempre meglio. A questo proposito noi italiani andiamo in Europa, nell'ambito di questo dibattito ma anche nelle altre occasioni, deboli di un dato che dovrebbe farci assai riflettere: come è possibile che alla fine della programmazione economica dell'agenda europea, perché nel 2018 sta per concludersi la programmazione fino al 2020, il nostro Paese abbia utilizzato in questi anni, forse, il 4 per cento delle risorse complessive messe a disposizione dell'Italia per sviluppare programmi di coesione di valore europeo?
  Per quel principio sussidiario noi abbiamo la necessità di invertire quella tendenza e in questo documento siamo ben lieti di trovare un intervento importante, che rimette in ordine i fattori, oltre che i numeri, tra noi e la Germania, tra noi e l'Europa complessivamente, ma anche un monito ed un esempio per il nostro Paese, perché cambi completamente la sua direzione di marcia rispetto all'utilizzo delle risorse europee. Grazie.

  GUIDO GERMANO PETTARIN. Grazie, presidente, grazie, Ministro. Ministro, io sono friulano e dalle mie parti denaro si dice schèi; lei ha sempre evidenziato che abbiamo pochi schèi perché, nel momento in cui si evidenzia che le risorse proprie dell'Unione europea sono estremamente limitate, è evidente che il tema che si pone è estremamente condizionante.
  Come lei evidenzia nel suo documento, che io apprezzo moltissimo, come Unione europea siamo stati travolti dalla de-globalizzazione e, a fronte di questo meccanismo, la struttura legislativa che ha portato il legislatore comunitario ad essere un co-legislatore e a basarsi sul principio – molto bello dal punto di vista teorico, ma assolutamente non funzionale – dell'unanimismo forse più che dell'unanimità ci mette in grandissima difficoltà.
  Nel momento in cui parliamo di un argomento essenziale al tema schèi che è il diritto tributario comunitario, teniamo conto del dumping fiscale che moltissimi Paesi, anche di recente entrata, stanno conducendo nei nostri confronti e ci troviamo con meccanismi che comportano aliquote marginali enormi per quanto riguarda il nostro Paese e quindi con difficoltà veramente Pag. 13 insuperabili per la nostra imprenditorialità, mi chiedo come si possa da un punto di vista pratico tradurre il concetto premiante di fiscalità di sviluppo in vero diritto tributario comunitario di sviluppo.
  Questo perché il tema che lei pone è essenziale, ma ho tanta paura che il tema politeia venga «stracapito» e divenga politeismo, non vorrei che troppe sirene cantassero a sproposito dal momento che nel maggio del prossimo anno arriveremo alle elezioni europee, dove il referendum che si porrà tra pro e contro Europa purtroppo probabilmente finirà contro l'Europa, e questo non sarà sicuramente a nostro vantaggio. Grazie, Ministro.

  PIERO DE LUCA. Ringrazio il professor Savona per la sua lezione. Io ho un po’ di difficoltà a capire la posizione del Ministro, perché se da un lato ha parlato di una criticità che ha riscontrato in Europa nel passaggio a un mercato comune e all'Unione europea, dall'altro lato esprime forti perplessità e preoccupazioni sull'esito delle elezioni europee della prossima primavera, sull'esito di un voto pericoloso, e sarebbe interessante capire a cosa si riferisca.
  Visto che altri commentatori, che il suo Governo e le forze politiche che lo sostengono hanno criticato, hanno parlato di rischio di un voto negativo, sarebbe interessante capire qual è la direzione che lei ritiene negativa nel voto di marzo, se una direzione legata al ritorno di sovranismi e nazionalismi o addirittura la vittoria di forze europeiste, progressiste e riformatrici.
  Quanto all'aspetto fiscale e finanziario siamo d'accordo sull'idea di ampliare il budget dell'Unione europea, ma il tema già posto dal collega Pittella è questo, con quali Stati immaginate di dialogare e di negoziare per raggiungere questo obiettivo e soprattutto come impiegare le risorse.
  Lei ha parlato di politiche di investimenti, ma il suo Governo ha bloccato la TAV, che è un'opera cofinanziata dall'Unione europea. Oltre alle lezioni di macroeconomia lei ci deve anche spiegare aspetti un po’ più concreti dell'azione politica del suo Governo. Cosa farà in relazione alle proposte fatte in questi giorni dal Governo, dal vicepremier Di Maio sulla tendenza al deficit della Francia? Lei sa bene che l'Italia non è la Francia per quanto riguarda il debito pubblico, quindi condivide la possibilità e l'opportunità di innalzare il deficit del nostro Paese o non vede rischi per le famiglie e per le imprese e per la tenuta economica del nostro Paese?
  Negozierà lei con la Commissione queste misure, fino a che punto immagina di negoziarle, ha pronto un piano B per trovare risorse alternative che il Governo mi sembra intenzionato a tutti i costi a trovare?
  Per quanto riguarda le riforme istituzionali due domande spot. Cosa immagina per il futuro della zona euro? Immagina una zona euro nel futuro, immagina un Ministro del tesoro europeo, immagina la trasformazione del meccanismo europeo di stabilità in un Fondo monetario europeo, immagina una maggiore integrazione da questo punto di vista, legata al tema della fiscalità diretta e alla lotta contro il dumping fiscale, che noi condividiamo in pieno?
  Mi perdoni se le faccio un po’ di domande, ma è davvero interessante capire la sua opinione concreta su questi aspetti. Da ultimo, sul tema delle riforme politiche e legislative. Lei ha parlato giustamente di un Decreto sicurezza, delle leve fiscali e della politica fiscale connesse alla sicurezza, ma lei si occupa poco di questi temi eppure riguardano profili di carattere europeo. Abbiamo abbandonato come Governo la riforma del regolamento di Dublino, che è la riforma cardine votata già dal Parlamento europeo in una raccomandazione e contrastata proprio in quella sede da Movimento 5 stelle e Lega.
  Al riguardo ritiene che dobbiamo far valere gli strumenti che il diritto dell'Unione europea riconosce all'Italia, anche sostenendo il ricorso dinanzi alla Corte di giustizia contro Stati quali l'Ungheria e la Polonia che non rispettano la decisione del 2015 sulla rilocalizzazione dei richiedenti asilo nel nostro Paese, decisione obbligatoria?
  Lei ritiene davvero che l'Europa abbia un futuro, un futuro che voglia dire integrazione politica, integrazione economica, Pag. 14ma anche rispetto dello Stato di diritto e dell'equa ripartizione delle responsabilità tra gli Stati nazionali? È interessante capire la sua opinione, ma anche come concretizza la sua opinione e inserisce questa sua valutazione nell'effettiva azione di Governo. Grazie.

  GIUSEPPINA OCCHIONERO. Grazie, presidente, grazie, Ministro. È stato rasserenante per noi aver ascoltato il Ministro parlare di confronto e di dialettica, riteniamo che il tema delle alleanze sia fondamentale, per cui è nodale per noi comprendere su che basi intenda muoversi il Governo nell'ambito di queste alleanze.
  A tal fine mi interesserebbe sapere se il Ministro consideri necessario procedere ad una rielaborazione della politica di coesione anche sulla base degli indicatori di fragilità territoriale economico-sociale, ambientale e istituzionale, e come si intenda procedere rispetto a una decurtazione sostanziale dei finanziamenti all'agricoltura italiana rispetto alla programmazione precedente, che dal documento emerge al di sotto dei 2,7 miliardi.
  Queste sono le mie domande.

  GIOVANBATTISTA FAZZOLARI. Grazie, presidente. Ministro Savona, è sempre un piacere averla qua. Purtroppo ho solo tre minuti, quindi cercherò di essere telegrafico.
  Ritengo che, assolutamente sì, siamo davanti al fallimento dell'Unione europea: lo dicono tutti e non c'è – credo – nessuno che oggi dica che l'Unione europea, così com'è, funzioni. Il problema è capire in che direzione vogliamo andare. Su questo Fratelli d'Italia ha le idee chiare e lo ha sempre detto: da questa costruzione, che è diventata un mostro tipo Frankenstein, si deve passare, invece, a una confederazione di Stati liberi e sovrani. Questa è la proposta di Fratelli d'Italia. Altri dicono «più Europa» e quindi accelerare verso gli Stati uniti d'Europa.
  Su questo, però, bisogna essere chiari perché, se il Governo deve trattare in questa fase per capire quale modello di Europa, non può dire contestualmente entrambe le cose, quindi ci vuole un po’ più di chiarezza sotto quest'aspetto.
  Il nostro Governo è un Governo sovranista che andrà a chiedere «basta con questa Unione Europea, più sovranità agli Stati nazionali e confederazione di Stati liberi e sovrani», o andrà a dire «acceleriamo verso gli Stati uniti d'Europa»?
  Sull'immigrazione faccio alcuni flash. Il problema non è chi paga, quando arrivano centinaia di migliaia di immigrati illegali, ma il problema è non farli arrivare e non farli arrivare per due questioni essenziali. La prima è di natura proprio economica e macroeconomica. Tra le molte cose sbagliate che ci ha insegnato la teoria marxista, una, però, è un dato oggettivo: i salari dentro un Paese si collocano a livello di sussistenza per i lavoratori. Il livello di sussistenza sappiamo che non è un dato oggettivo, ma è semplicemente il livello minimo che non fa scoppiare la rivolta tra i lavoratori.
  È chiaro che un'immigrazione di massa abbassa il livello dello scontro e crea dumping sociale. Questa è l'immigrazione di massa, questo è il motivo per il quale il grande capitale vuole immigrazione di massa e questo è il motivo per il quale i popoli europei chiedono di esercitare un controllo sull'immigrazione di massa. Questo è un altro punto essenziale sul quale, chi parla del nuovo modello di Europa, deve rendere nota la direzione che vuole prendere. Oltre alla questione sociale, c'è la questione identitaria connessa con l'immigrazione. Riguardo a un'immigrazione di massa in Stati millenari come quelli europei, che basano la loro identità su quella nazionale, se perdono l'identità nazionale, perdono ovviamente il senso della loro esistenza e, di conseguenza, è più facile un processo che va verso un'integrazione sovranazionale, motivo per il quale chiunque sostenga un modello sovranazionale è a favore di un'immigrazione di massa.
  Anche questo è un argomento sul quale non si può essere un po’ da una parte e un po’ dall'altra, ma bisogna decidere da che parte stare.
  Volevo dire molte più cose, ma per ragioni di tempo mi limiterò a dirne solamente Pag. 15 una che, però, spero ci possa mettere d'accordo tutti, come Italia, a prescindere dalla posizione politica.
  Anche nell'ipotesi di bilancio 2021-2027 tra le priorità dell'Unione europea non c'è quella che dovrebbe essere la vera priorità dell'Unione europea: il sostegno alla natalità e la questione demografica. Secondo tutti gli studi nazionali e internazionali il vero problema economico e sociale dell'Unione europea è il crollo demografico che sta subendo. Credo che tra le priorità del prossimo bilancio dell'Unione europea dovremmo batterci tutti affinché sia inserito anche il sostegno alla natalità.

  ALESSANDRO GIGLIO VIGNA. Grazie, Ministro. Finalmente sentiamo una certa linea che ci piace arrivare con questo Governo, appunto, sull'Europa. Finalmente sentiamo delle parole che ci rassicurano.
  Sono assolutamente d'accordo sull'idea di andare avanti con gli investimenti pubblici perché sono un fattore di ricchezza, sia nel momento dell'investimento sia poi anche sul lungo periodo, quindi, senza dimenticarci che ancora grossi segmenti di Paese sono privi delle più elementari vie di comunicazione, come possono essere le autostrade, e senza dimenticarci della nostra linea aerea nazionale, di Alitalia, che ha bisogno assolutamente di un rinnovo quasi totale. Siamo sicuri, Ministro, che le alleanze politiche in Europa non mancheranno. Vogliamo ricordare ai colleghi dell'opposizione che in Europa non esiste solo l'asse Francia-Germania, ma esiste un asse costituendo di Paesi che vogliono andare verso quella che lei definiva un'Europa forte, più equa. Mi permetto di dare un mio giudizio: forse l'Europa di domani dovrà essere anche un po’ più democratica.
  Fatta questa premessa forse un po’ troppo lunga e venendo a una domanda forse un po’ troppo tipicamente della Lega: quale sarà il ruolo delle regioni e dei territori in questa Europa di domani più forte, più equa e più democratica? Quale ruolo avranno i territori e quale ruolo avranno le regioni, anche considerato che quest'Europa sta spingendo per togliere potere e competenze alle regioni. Basta vedere il dibattito e anche la polemica sui piani di sviluppo regionali che l'Europa vorrebbe statali. L'Europa vorrebbe, quindi, dei piani di sviluppo statale e li vorrebbe più accentrati verso Bruxelles e meno verso Torino. Dico Torino perché sono piemontese.
  In tutto questo, mentre l'Europa cerca l'accentramento, il sistema Italia almeno sta andando verso un decentramento. Domani ci sarà l'audizione del Ministro per gli affari regionali e le autonomie Stefani, in cui si inizierà a parlare del processo di autonomia di Lombardia e Veneto dopo, appunto, il referendum del 22 ottobre dell'anno scorso. Quale sarà il ruolo delle regioni e dei territori in questa nuova Europa, Ministro? Grazie dell'attenzione.

  SIMONA VIETINA. Pregiatissimo Ministro e illustri colleghi, ringrazio innanzitutto il Ministro per la cortesia di essere qui oggi e la chiarezza dell'esposizione.
  Occorre premettere che il documento del Ministro già nel titolo, «Una politeia per un'Europa diversa, più forte e più equa», allontana definitivamente ogni ipotesi demagogica di uscita dall'euro o ancora peggio dall'Europa.
  Ritengo, dunque, che questo documento rivesta un'importanza strategica. Si tratta di un documento che riconosce – cito testualmente – che «il mercato comune, di cui l'euro è parte indispensabile, è componente essenziale del suo modello di sviluppo, ma ritiene che l'assetto istituzionale dell'Unione europea e le politiche seguite non corrispondano pienamente agli scopi concordati nei Trattati».
  Non viene, dunque, messa in discussione l'importanza politica ed economica dell'Unione europea, ma si apre una seria riflessione sul ripensamento dell'Unione europea che deve, con maggior puntualità e strumenti adeguati, perseguire gli obiettivi prefissati nei Trattati. Questa è una posizione in larga parte condivisibile, che, del resto, è fortemente auspicata a tutti i livelli.
  Nel documento si coglie la volontà di un rafforzamento dell'Unione europea, laddove si è critici sul fatto che il Parlamento sia privo di iniziativa legislativa e nel riconoscimento del ruolo della BCE negli interventi di contrasto degli effetti delle crisi finanziarie. Pag. 16
  Alla luce di tali premesse, sono due i quesiti che vorrei formulare. Nel documento, in relazione alla necessità di definire una politica fiscale comune, si parla di soluzioni tecniche per superare il timore dei Paesi membri creditori di doversi accollare il debito altrui e si parla di concordare un piano di rimborsi a lunghissima scadenza e a tassi ufficiali praticati fornendo una garanzia della BCE fino al rientro nel parametro del 60 per cento rispetto al PIL, in contropartita di un'ipoteca sul gettito fiscale futuro o di proprietà pubbliche in caso di mancato rimborso di uno o più rate.
  A tal proposito sarebbe interessante capire se tali soluzioni siano semplicemente un auspicio sul quale lavorare, forse in un ipotetico futuro, o se effettivamente questa proposta, che indubbiamente può prestarsi anche a polemiche, aprendo un fronte critico e di criticità, sia nell'agenda politica di questo Governo.
  L'altro quesito attiene alla questione dell'allargamento dell'Unione europea. In considerazione delle limitate risorse proprie dell'Unione e considerando gli scenari conseguiti alla Brexit, sarebbe importante conoscere la posizione del Ministro Savona rispetto all'allargamento stesso dell'Unione europea, con particolare riferimento all'area dei Balcani.
  Vorrei infine sottolineare che le aree interne montane, anche al centro e al nord e non soltanto al sud, hanno un'alta marginalità socio-economica e comunque che si stanno spopolando perché la desertificazione commerciale porta allo spopolamento. Per queste aree vorrei chiedere di valutare una particolare agevolazione fiscale per dare sollievo a quegli esercizi commerciali e a quelle imprese che ancora riescono a resistere su un territorio svantaggiato come quello interno e montano. Grazie.

  LEONARDO SALVATORE PENNA. Signor Ministro, qualche settimana fa in questa stessa sala il commissario Oettinger rilevava come il bilancio europeo dopo la Brexit stesse registrando una robusta contrazione delle risorse, naturalmente con anche la previsione dello stesso Oettinger di una revisione al ribasso della politica di sviluppo, quindi della politica di coesione.
  Tenuto conto di questo, la domanda è: non è giunto forse il momento per l'Unione europea di dotarsi di una forma di autonomia impositiva che possa affiancarsi ai trasferimenti statuali e quindi potere attingere e recuperare altre risorse per le politiche di sviluppo della stessa Unione europea? Grazie.

  CRISTINA ROSSELLO. Buongiorno, signor Ministro. Già due colleghi hanno fatto domande per quanto riguarda il mio Gruppo sul suo documento. Abbiamo letto con attenzione le sue note e, d'altra parte, non ci pronunciamo perché spetta ai ministri la funzione d'indirizzo politico e di definizione di obiettivi e programmi. Peraltro, noi già nello scorso incontro, signor Ministro, come ricorderà, avevamo fatto tutta una serie di domande, sulle quali troviamo ancora difficoltà ad avere risposte.
  Non ci orientiamo perché non abbiamo avuto chiarimenti sulle sue posizioni. Oggi è quasi una lezione – peraltro, una bellissima lezione di teoria –, però il momento e la situazione impongono a noi parlamentari di chiederle una pronuncia sulle materie tipiche e tecniche che sono di competenza del ministero.
  D'altra parte, anche la posizione espressa su quella che sarà poi in futuro una riunione di un gruppo di lavoro che studierà le prossime fondamenta dell'Unione europea può trovare una corale adesione emotiva, tecnica, sentimentale e anche politica: però in questo momento noi siamo saldamente all'interno dell'Unione europea e abbiamo delle precise regole e delle precise collocazioni geografiche. Vorremmo un suo cenno invece su quella che è la nostra posizione a livello di Europa sul tema dei confini, del piano per l'Africa e su quello che Forza Italia cerca di proporre da tempo al riguardo anche nei rapporti con le politiche europee.
  Poi, vorremmo anche manifestarle il nostro disagio nel non capire e non comprendere una sua posizione più mirata sul nostro debito pubblico, considerato che abbiamo un debito pubblico che è molto partecipato da investitori o comunque sostenitori Pag. 17 esteri e ogni anno lo dobbiamo rinnovare. La sua autorevolezza ci consente di fare un invito o una sollecitazione affinché le comunicazioni pubbliche degli altri ministri non compromettano ulteriormente quello che la stessa Autorità di governo del mondo bancario, che lei stesso ha incontrato, ci ha rappresentato.
  C'è un disagio generale. Come vede, signor Ministro, anche nelle opposizioni noi siamo tecnici, ma molto rispettosi e garbati, proprio per la sua posizione; tuttavia vorremmo capire e sentire da lei una posizione più netta su quello che le abbiamo posto come domande e sulle interrogazioni che avevamo fatto a suo tempo ai vari ministri del suo Governo, che comunque hanno delle connessioni con la materia che lei, sotto il profilo accademico, scientificamente, tratta con questa posizione di insegnamento dall'alto, che tutti noi apprezziamo, perché questa è sempre un'occasione arricchente, ma certi aspetti ci impongono invece come parlamentari di sottolineare la necessità di una posizione più funzionale. Grazie, signor Ministro.

  DANIELE PESCO. Ha parlato di governance e la parola – devo dirlo – spaventa un po’ anche me, soprattutto in merito anche al fatto che possano essere visti in modo positivo gli accordi fiscali di cui parlava, che penso siano appunto una cosa molto utile, però, allo stesso tempo, vi è ancora secondo me il timore (mio personale) di un ipotetico Ministro dell'economia unico europeo.
  Ora, vi è ancora questo timore in Europa o possiamo dire che la cosa è stata accantonata, quindi possiamo stare tutti più tranquilli? Grazie.

  FILIPPO SENSI. Grazie, signor Ministro. Le vorrei chiedere un chiarimento sul documento che lei ci ha illustrato.
  In un passaggio del suo documento – cito testualmente – lei dice: «se i timori dei Paesi membri creditori che ostacolano la definizione di una politica fiscale fossero dovuti al rischio temuto da alcuni Paesi di doversi accollare il debito altrui, esistono le soluzioni tecniche per garantire che ciò non avvenga». Poi continua: «si tratta di attivarli in pratica, effettuando scelte politiche, come quelle di concordare un piano di rimborsi a lunghissima scadenza e ai tassi ufficiali praticati, fornendo una garanzia della BCE fino al rientro nel parametro del 60 per cento rispetto al PIL, in contropartita di una ipoteca sul gettito fiscale futuro o di proprietà pubbliche in caso di mancato rimborso di una o più rate».
  Le vorrei chiedere se, di fatto, questa è la prefigurazione di una operazione di ristrutturazione del debito e se può in qualche modo elaborare – non le chiedo di dilungarsi – più brevemente questo passaggio. La ringrazio.

  ELENA TESTOR. La ringrazio, Ministro, soprattutto per questa sua relazione, che apprezzo molto e che ha sciolto molti dei nodi e dei dubbi che penso molti di noi avevamo qui.
  Lei ha parlato dei criteri e, appunto, del fatto che ci sono delle regole che noi dobbiamo rispettare. Concordo sul fatto che venga costituito un tavolo dove si discutano le soluzioni che per l'Italia ritengo siano necessarie, soprattutto in questo momento in cui vi è la necessità di ingranare uno sviluppo, che non c'è stato in questi ultimi anni. Parliamo degli anni dal 2008, in cui è subentrata questa crisi che ancora non siamo riusciti a superare al meglio e che ha creato per l'Italia grande disoccupazione.
  Lei parlava appunto del fatto che uno dei punti fondamentali dell'Europa è quello di creare occupazione e credo che forse l'Italia debba anche avere un momento di coraggio, quindi dare di nuovo credito alle imprese e cercare di abbassare la fiscalità. Mi riferisco alla flat tax chiaramente, ma trovo qualche difficoltà a pensare come possa essere coniugata la riduzione delle tasse con il reddito di cittadinanza e come ciò venga visto in Europa dagli Stati con cui ci confrontiamo. Grazie.

  PRESIDENTE. Do la parola al Ministro per la replica.

  PAOLO SAVONA, Ministro per gli affari europei. Spero che non vi attendiate che io Pag. 18risponda alle centinaia di problemi aperti, anche perché mi sembra opportuno ribadire la mia collocazione, sia personale sia nel Governo. Penso che si possa partire dai quesiti sollevati dall'onorevole Rossello.
  Lei ha parlato di competenza del ministero e ha detto «dato che lei è competente». Io penso che vi sia chiaro che c'è un problema irrisolto, che, per pazienza, non considero urgente come tutti gli altri e che è dovuto al fatto che il ministero non esiste, ma esiste un dipartimento di Palazzo Chigi che dipende per tutti gli atti dal Segretario generale. Questa era la collocazione naturale e importante all'inizio finché questo non è diventato un problema molto grosso per l'invasività della presenza europea, come dimostra l'ultima richiesta di approvazione delle direttive, per cui io mi auguro che i capi di Stato e di Governo – e ho invitato anche il mio – non passino tutte le direttive senza vederle. Questo poi succede: si parla dei grandi problemi e le direttive sono negoziate attentamente dal trilogo, dal Parlamento eccetera.
  Poi, la gestione di questa problematica molto ampia è grosso modo rimasta con le vecchie strutture. Il sottosegretario, nel tempo, viene sostituito da un Ministro, però a un certo punto le sue responsabilità, alle quali lei si appella, non corrispondono ai suoi poteri e, quando – le mie esperienze insegnano – le responsabilità sono distinte dai poteri, il sistema non funziona e, prima o dopo, lo paghiamo.
  Per esempio, di Africa e Balcani si interessa il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, il quale presenta, nella struttura interna, la Direzione generale per l'Unione europea, che ha una struttura amministrativa di risorse più potente del dipartimento, quindi evidentemente c'è un problema di specializzazione.
  Al Ministro dell'economia e delle finanze, che si interessa in particolare dei problemi economici dell'Europa, sono state aggiunte, tra le mie competenze, quelle sull'Eurogruppo, che è una parte interna del totale.
  Allora, queste cose finora funzionano perché, come voi potete accertare, io mi fido dei miei colleghi e cerchiamo, finché è possibile, di mantenere un'unità di indirizzo. Tuttavia, qualora questa unità di indirizzo non viene mantenuta, io sto zitto per stile di vita e per coesione nell'ambito del Governo e c'è sempre la possibilità di ritrovare una discussione.
  Ho scelto la specializzazione dei problemi di fondo che, in genere, durante le Commissioni ormai plurimensili, non si trattano, quindi c'è una parte che io considero molto importante. Si tratta della riapertura di un esame sull'architettura istituzionale europea, cioè sullo statuto della Banca centrale europea, sulla politica fiscale e su altri problemi connessi, che non è curata day by day dall'Europa, anzi è respinta, anche perché il tentativo è «non discutiamo», ma io mi impegno per discuterla, quindi sto svolgendo quest'attività.
  Come – e lo dico a Pittella, ma anche agli altri – si svolge quest'attività? Io sono un Ministro tecnico e non posso mettere sul tavolo i milioni di voti necessari per far contare le proprie idee, che sono tipiche della democrazia, ma mi piace sentirvi e cerco di registrare tutto, anche se poi ne vedo alcune in prima persona e altre con i miei colleghi, che tempesto di lettere ed altro, dicendo «guarda che devi chiedere questo» o «vai tu?» o «no, vado io» o «vai tu perché tu sei competente del bilancio, però, se parlate dell'euro, per favore tieni in considerazione ciò che io scrivo» oppure sollevando obiezioni, anche perché, nella formazione di questo documento, io ho avvertito sempre tutti e questo è un punto molto preciso.
  C'è un problema di ridare unicità – e spero che, prima o dopo, il Parlamento ne venga investito – all'azione in ambito europeo perché l'Europa è diventata una grossissima realtà, per la quale ho usato il termine «invasiva», di tutta la nostra attività, con i mille problemi.
  Lei ha citato Africa e Balcani, per cui – mi sembra che abbia citato queste due aree – le dico che, se solo Moavero dovesse dedicarsi a questi problemi, non avrebbe un minuto di tempo per dedicarsi all'Europa, quindi teniamolo presente. Pag. 19
  Per la politica economica, come tecnico cerco di trovare le soluzioni che mi chiede la politica e cerco di stare quanto più fuori perché, altrimenti, non svolgerei un'attività razionale per trovare soluzioni razionali ai problemi che ti pone la politica, cioè, se a un certo punto mi viene posto il problema «tu devi stare in Europa», io devo individuare come stare in Europa e non mi devo mettere a fare altro, anche perché, se voglio far politica sullo stare o uscire, io chiedo il voto, entro tra le vostre file e faccio le mie battaglie. Questo è lo spirito che mi anima.
  Ora, perché mi serve partire da questa sua posizione e da questo chiarimento, al quale – lo ripeto – non pongo urgenza perché il Paese ha problemi un po’ più urgenti delle mie responsabilità e dei miei poteri? Si tratta di qualcosa che ovviamente posso solo porre e questa è la prima volta che pongo in un consesso pubblico e in Parlamento – lo dico perché sto nel Parlamento – questo problema. Riguardo alle altre cose, io le tengo all'interno. Il presidente lo sa e i miei colleghi lo sanno e direi che, da questo punto di vista, finora non sono nati conflitti.
  Prendiamo il quadro generale del bilancio pluriennale dell'Europa. Uno è il 10 per cento del PIL europeo e qualcuno l'ha citato. Io so benissimo che negli Stati Uniti – e lo uso anche come argomento con i miei colleghi – fanno attività di redistribuzione del reddito interterritoriale molto elevata da questo punto di vista. In Europa – ne ho parlato con Oettinger anch'io – è inutile che a un certo punto una coperta corta, come quella dell'1,20 per cento, venga tirata da una parte e dall'altra, con argomenti che irritano il popolo, al quale dobbiamo anche spiegarlo perché gli dobbiamo dire «abbiamo bisogno di più soldi per la Difesa, anche perché ce lo chiede la NATO, e di più soldi per l'immigrazione e li togliamo dall'agricoltura e dalla politica di coesione».
  Attenzione, si usa l'espressione «li togliamo», ma la realtà è che con i parametri noi avremmo dovuto avere di più e ci fanno avere meno di quel di più. Lo dico perché c'è anche questo tipo di cose.
  Noi contavamo per la politica di coesione sul 18 per cento in più o forse sbaglio le percentuali. Su una delle due, ma non so se sulla politica di coesione, secondo i parametri dovevamo prendere il 18 per cento. Ci modificano i parametri e piglieremo il 12 per cento, quindi ci tolgono il 6 per cento e questa è una delle battaglie.
  Il discorso fondamentale è che la coperta è corta e, se la tiriamo da una parte o dall'altra, dobbiamo essere capaci di spiegare agli elettori europei i motivi per cui essi vanno fatti perché, altrimenti, questo diventa motivo di scontro ulteriore. Può darsi anche che non si debba toccare da una parte e dall'altra, ma qui viene il problema sollevato delle risorse autonome e dei modi, che risponde anche ad altri quesiti che mi sono stati rivolti, compreso quello da parte di Pittella.
  Il problema di fondo – sul quale personalmente insisto, ma naturalmente tutto è legato al fatto che andiamo in Europa a chiedere altre cose; me lo disse Carli: «io devo chiedere la convergenza e non potevo chiedere la modifica dei parametri perché, quando tu, in una trattativa, chiedi una cosa a venti persone e te la danno, tu non puoi chiedere più niente» – , il discorso di fondo è che la mia posizione è: prima di dare potere impositivo, io gradirei sapere come verranno usate queste risorse. Questa è la mia personale posizione, che può non essere compresa perché si potrebbe dire «se tu poni questo problema, non riusciremmo a ottenere di più per le politiche di coesione, che sono molto importanti». Questi hanno ragione, quindi bisogna mantenere un equilibrio. Allora, vediamo nella trattativa se riusciamo a ottenere più per la politica di coesione per capire se uno può attenuare o spostare, a livello del mio documento, il discorso dell'uso delle risorse e di quale politica fiscale.
  Ho fatto l'esempio dell'immigrazione che è il più caldo e forse il più contestabile, dicendo «attenzione, o tu mi dai più risorse o io devo bloccare perché non ho le risorse sufficienti per integrare queste persone», oppure l'esempio del lodo a Salisburgo offerto dal Presidente Conte, il quale dice «chi non vuole accettare la quota delle Pag. 20persone che devono entrare nel suo Paese paghi all'Italia». Questo è un punto su cui si può non essere d'accordo, ma è una proposta che è sempre legata alla politica fiscale: tu mi devi pagare, se non accetti la quota parte che era, direi per certi versi, parte dell'accordo di Dublino.
  Nelle trattative c'è sempre un compromesso da fare, cioè, se a un certo punto mi interpellano e mi dicono «ma tu prenderesti questo o quell'altro?», io faccio una valutazione in termini di costi-benefici per capire qual è più conveniente per il bene del Paese e lo suggerisco, ma i miei giudizi non sono verità e sono contestabili. Questo è un punto che io ripeto sempre ai miei colleghi: visto che noi siamo ministri tecnici, vogliamo mantenerci, da buoni ministri tecnici, il beneficio del dubbio? Ci viene il dubbio che non stiamo trattando verità, quindi dobbiamo essere sempre pronti ad ascoltare ciò che la politica ci dice e fare tutto il possibile, naturalmente, per dare una risposta compatibilmente, che è quello che sta succedendo in questi giorni nella formazione del prossimo bilancio. Avviene – e lo ripeto, nonostante ciò che scrivono i giornali – che l'armonia che io ho trovato all'interno è decisamente più elevata di quanto mi aspettassi. Pensavo che a un certo punto lo scambio fosse più aggressivo, per dirne una.
  Sui singoli problemi, io penso che parte delle risposte vengano dal documento, però voglio trattare un altro aspetto importante. Il giorno dopo che ho mandato (sempre aspettando) i documenti, oltre che a tutti i miei colleghi, commettendo un errore per il quale mi sono scusato con Licheri, sono andato a un incontro con tutti gli ambasciatori in Italia dei Paesi dell'Unione europea ospiti dell'Austria, che, come voi sapete, ha la presidenza europea.
  Tra parentesi, i sovranismi di cui parliamo e gli equilibri per i quali mi avete detto «che cosa intende lei per problemi riguardanti le prossime elezioni?» sono uno diverso dall'altro: il sovranismo austriaco è diverso dal sovranismo francese, che è diverso dal sovranismo tedesco, che è diverso dal nostro sovranismo. Qual è, quindi, la mia preoccupazione? La mia preoccupazione è che nessuno ha mai discusso sul futuro di un'Europa di cui abbiamo bisogno per i motivi che vi ho detto: un'economia aperta.
  Il nostro sviluppo è basato sulle esportazioni, ma anche sulle costruzioni, anche se questo è un altro problema che non avete toccato e che io tocco ed è legato agli investimenti. L'economia italiana ha due motori e non uno. Ne abbiamo spento uno e l'aereo non vola. Tutto regge attraverso le capacità esportatrici, che addirittura poi non hanno effetti di moltiplicazione perché ci sono 50 miliardi circa di euro inutilizzati ogni anno che vanno all'estero a finanziare gli altri, come accade in tutta l'Europa. L'Europa ha un surplus di bilancio dei pagamenti correnti che è superiore al deficit degli Stati Uniti, quindi gli Stati Uniti si sviluppano e l'Europa non si sviluppa a sufficienza.
  Ragazzi, non c'è una scienza esatta economica che ti dice il perché, però qualcosa del genere ci deve essere. Si tratta di un qualcosa che non può funzionare se, a un certo punto, la Germania ha il doppio del surplus della Cina. Si dice «stai criticando e stai parlando male della Germania». No, sto dicendo che le regole del gioco devono essere tali che chi sta in surplus deve spendere di più e aiutare le altre ad aggiustarsi. Tra questi, guarda caso, da un paio d'anni c'è l'Italia, il che vuol dire che il meccanismo non funziona.
  Questo io vi sto dicendo e ve lo sto dicendo da tecnico, con i politici, quindi state attenti a chiedere le cose corrette. Suggerisco qual è la cosa che dovete correggere: ti chiedo di spendere 16 miliardi in più (l'1 per cento del PIL circa) sui 50 di risparmio e mi si dice «ma quelli sono già andati all'estero». Quelli sono già andati all'estero perché non facciamo gli investimenti. Le cose, quindi, si reggono le une con le altre. Questo è il ruolo di un tecnico, come io lo interpreto.
  Come vi ho detto, il giorno successivo ho incontrato i 35 ambasciatori. Abbiamo avuto una discussione molto interessante e devo dire che mi hanno rivolto tutta una serie di quesiti, quasi tutti incentrati, alla fine della storia, su «ma lei cosa si attende?», «discutere Pag. 21 con voi perché voglio sapere come la pensate» e «perché voi siete in grado di sapere esattamente come la pensa la Romania, la Lituania o l'Olanda sui vari temi che ho sollevato?». Non lo sappiamo e sappiamo solo che loro dicono «noi non vogliamo pagare i debiti dell'Italia».
  Allora, siccome io non sollevo i problemi, ma indico soluzioni, quella che avete ricordato è la soluzione che io ho indicato. In precedenza, già nel 1993, quando ho fatto il Ministro dell'industria con Ciampi, avevo indicato: mettiamo tutti gli immobili e le ricchezze che abbiamo in un fondo comune e lo presentiamo a garanzia, quindi emettiamo i titoli del debito pubblico a tasso zero. Questa era la proposta ed era possibile farlo a tasso zero con una scadenza, garantendogli il rimborso. Sbaglio: non era a tasso zero, ma uguale al tasso dell'inflazione, cioè gli restituivamo il capitale reale. Ciampi reagì e mi convinse, sempre per il principio che alla fine era lui che doveva comandare e non io: altro punto molto buono insegnato in Banca d'Italia.
  Le discussioni che avevamo con Guido Carli sui temi di politica monetaria e fiscale erano durissime. Infatti, quando sono stato porta a porta con lui in Confindustria, gli ho chiesto: «ma lei come ci sopportava?». E lui mi ha risposto: «voi facevate da sparring partner, da allenatori, e mi allenavate al dibattito che io avrei incontrato all'esterno».
  C'era un principio fondamentale che si discuteva per una o due ore. Alla fine della storia, il governatore decideva cosa fare e noi rispettavamo le sue decisioni. Questo è un altro punto fondamentale nel quale io credo e al quale oggi io continuo ad attenermi.
  Questi ambasciatori hanno già avvertito tutti i loro Governi. In particolare – ero ospite – l'ambasciatore austriaco ha avvertito il suo Governo riguardo al Governo italiano. Lo dico perché io parlavo autorizzato da Conte a nome del Governo italiano, ma prima aveva avuto l'incontro con Salvini, Di Maio e Moavero ed era stato avvertito il Presidente della Repubblica, quindi non è che a un certo punto mi sia mosso disordinatamente. Ora, se un errore ho fatto, per il quale rinnovo le scuse a Licheri e anche a tutti voi, è quello di non avere inoltrato direttamente il documento. In questo caso, mi si ripeteva «per ignoranza» perché pare che anche oggi ci sia stato il discorso «tu non hai inoltrato ufficialmente il tuo documento al Parlamento». Ho detto «Oddio, io non lo sapevo e nessuno me l'ha detto perché, se qualcuno me l'avesse detto, avrei fatto l'inoltro ufficiale». L'ho messo nel sito ufficiale del ministero, quindi davo per scontato che esso fosse stato già reso pubblico.
  Ho detto all'ambasciatore austriaco, persona assolutamente cortese e perbene, come tutti gli altri peraltro, e veramente non lo dico per complimento, di avvertire il suo Governo che noi ci attendiamo che alla fine venga messa all'ordine del giorno, ma non mi accontento solo di questo perché già sono in contatto con i rumeni, che hanno la presidenza l'anno prossimo nel periodo più caldo dell'Europa, il periodo elettorale, dicendo «se non riesco a farlo mettere all'ordine del giorno, prendetevelo voi l'impegno». Immediatamente devo andare a Bucarest e devo muovermi per cercare di accreditare questa mia proposta. Questo io posso fare.
  Come ho detto, il problema non è, bene o male, sull'esistenza del documento, che mi è stata confermata anche dalla segreteria di Juncker, è stato detto «ha ricevuto il documento e lo sta leggendo – questo è il punto fondamentale – o qualcuno lo sta leggendo». Sul fatto che i miei sono argomenti validi, voi per certi versi mi avete dimostrato che non saremmo d'accordo su alcune cose, ma tutti voi, ovunque siate e ovunque operiate, avete la sensazione che questa Europa non funziona bene. Non c'è, quindi, per certi versi – mi permetto – un'unica inottemperanza.
  Fazzolari ha parlato di fallimento di un'Europa e questo è un giudizio suo, che rispetto. Io, invece, se fossi certo che l'Europa è fallita, allora non farei niente. Io sono convinto che, invece, dell'Europa abbiamo ancora necessità, quindi per certi versi dobbiamo fare tutto ciò che è possibile. Infatti, nella sua esposizione, Fazzolari, lei lo dice: «ho bisogno di una accelerazione Pag. 22 nel processo decisionale perché i tempi nelle mie valutazioni sono stretti».
  Anche in questo caso posso sbagliarmi, ma non sono certo io a dire: attenzione alle elezioni europee per i diversi sovranismi o le diverse insoddisfazioni. C'è gente che è contro e insoddisfatta e non è sovranista, ma è contraria. Per una serie di circostanze può esservi tra loro un incontro e la situazione dal lato europeo ci sfugge dalle mani. Siamo preparati ad affrontare una situazione del genere? Io mi darò da fare per ogni genere di preparazione da questo punto di vista, quindi il discorso delle alleanze – e risponde a Occhionero – si formerà cammin facendo. Questo è il punto: le alleanze verranno perché, più o meno, le esigenze ce l'hanno, però voglio vedere se qualcuno può dire «a me non interessa mantenere un'economia aperta, ma desidero chiudermi».
  C'è tutta una storia economica e politica, che è forte da questo punto di vista. Certo, se si perde la speranza, allora si dice «che vada al diavolo e che non se ne parli più» e affronteremo le difficoltà, però non è che le possiamo affrontare a cuor leggero con una economia italiana che ancora regge sulle esportazioni, come ho detto prima. Quantomeno facciamo partire nuovamente le costruzioni e gli investimenti in infrastrutture e facciamo ripartire nuovamente l'edilizia, dove il moltiplicatore è molto alto e coinvolge circa trenta aziende industriali, che forniscono dal cemento al ferro, alle piastrelle, alle cucine, ai rubinetti eccetera.
  Passo ai compiti a casa e chiudo con cinque minuti. Ho messo dei compiti a casa, quindi, voi che siete l'organo politico, più di me che sono l'organo tecnico, dovete risolvere problemi come la TAV e la TAP e i problemi dell'ambiente o tutte queste cose qua e decidere se fare o meno il condono. Mi riferisco anche problemi di principi generali dell'equità sociale.
  Io li ho definiti compiti a casa. Certo io, stando dentro il Governo, dico la mia su questi punti di vista, ma non ho la minima idea e neanche la sensazione che si faccia quello che io dico. Però ci sono anche compiti fuori: cioè io mi sto dedicando a convincere che c'è anche un compito fuori dall'Europa e non solo dall'Europa perché, se viene l'ambasciatore giapponese, l'ambasciatore cinese o l'ambasciatore americano parlo cercando di spiegare il fatto che, alla fine della storia, come ho detto Oettinger, «mi va benissimo che noi discutiamo del bilancio, ma poi le persone che vanno in Parlamento, cioè i politici (Salvini, Di Maio eccetera) devono dare una risposta a chi gli ha dato il voto» – quello gli ho detto – e lui mi ha detto anch'io sono nelle stesse condizioni. Quindi lo capiscono benissimo che a un certo punto fare il politico è decisamente più difficile che non fare il Ministro tecnico, come faccio io.
  Ecco questa è la filosofia che ci ispira e finora ha funzionato. Speriamo bene. La prova della famosa cartina di tornasole acida o basica avverrà tra un paio di giorni. Spero che i risultati siano, in nome del bene del Paese, i migliori possibili per conciliare le diverse esistenze e che ci consentano di uscire da una situazione che per i nostri figli, ma già per i nostri nipoti, incomincia a essere un po’ pesante.
  Grazie molto dell'ospitalità.

  PRESIDENTE. Grazie al Ministro Savona, al presidente Licheri e ai colleghi per questo interessante dibattito. Autorizzo inoltre la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna del documento consegnato dal Ministro Savona (vedi allegato).
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.50.

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