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Resoconti stenografici delle audizioni

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XVIII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati

Resoconto stenografico



Seduta n. 11 di Giovedì 31 gennaio 2019

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Vignaroli Stefano , Presidente ... 2 

Audizione del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Sergio Costa:
Vignaroli Stefano , Presidente ... 2 
Costa Sergio , Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ... 2 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 16 
Costa Sergio , Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ... 16 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 16 
Costa Sergio , Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ... 16 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 16 
Lomuti Arnaldo  ... 16 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 17 
Lomuti Arnaldo  ... 17 
Muroni Rossella (LeU)  ... 18 
Ferrazzi Andrea  ... 19 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 19 
Briziarelli Luca  ... 19 
Ferraioli Marzia (FI)  ... 21 
Vianello Giovanni (M5S)  ... 22 
Lorefice Pietro  ... 23 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 23 
Costa Sergio , Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ... 24 
Vignaroli Stefano , Presidente ... 24

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
STEFANO VIGNAROLI

  La seduta comincia alle 13.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione degli impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione streaming sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Sergio Costa.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Ministro della tutela del territorio e del mare, Sergio Costa, accompagnato dal Maggiore Giorgia Mazza, dalla dottoressa Stefania Divertito e dal Colonnello Enrico Sulpizi, che ringrazio per la presenza.
  La Commissione si occupa degli illeciti ambientali relativi al ciclo dei rifiuti, ma anche dei reati contro la pubblica amministrazione e dei reati associativi connessi al ciclo dei rifiuti.
  Avverto i nostri ospiti che della presente audizione sarà redatto un resoconto stenografico e che, su loro motivata richiesta, consentendo la Commissione, i lavori proseguiranno in seduta segreta; nel caso le dichiarazioni segrete entrassero a far parte di un procedimento penale, il regime di segretezza seguirà quello previsto per tale procedimento; si invita comunque a rinviare eventuali interventi di natura riservata alla parte finale della seduta.
  Invito i nostri ospiti a svolgere una relazione al termine della quale seguiranno eventuali domande o richieste di chiarimento da parte dei commissari.

  SERGIO COSTA, Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Grazie, buon pomeriggio a tutti e grazie di avermi convocato. Con il permesso del presidente ho una relazione, ho un canovaccio e poi, come sono solito fare, ci parlo su un po’.
  Se siete d'accordo, ho visto gli obiettivi della Commissione per la legislatura, provo a toccare non dico tutti i temi perché sono proprio tanti, però un certo numero di temi e poi, se c'è tempo e modalità, farei al limite un focus particolare. Questo per me vuol dire anche che prendo l'impegno pubblico e formale di ritornare secondo necessità della Commissione, ma do la mia disponibilità sicuramente ogni due mesi o intorno ai due mesi, secondo le esigenze della Commissione, per poter poi fare dei focus approfonditi in ordine alle varie tematiche.
  Uno degli elementi che già emergeva dalla precedente Commissione sono le bonifiche dei siti di interesse nazionale (SIN). Leggendo il resoconto finale dell'ultima Commissione emergevano degli elementi come per esempio la razionalizzazione, omogeneizzazione e conoscenza pubblica delle informazioni sui SIN, l'organizzazione di dati puntuali sulle aree da bonificare e sull'efficienza dei metodi tecnologicamente innovativi, la riperimetrazione dei siti, la definizione chiara del danno ambientale e alcuni altri che erano citati nella relazione finale della precedente Commissione.
  Sulla base di questo punto di partenza ho elaborato quanto sto per dirvi, che non è un focus – ripeto – è un passaggio per poi Pag. 3magari approfondirlo volta per volta nei mesi a seguire.
  Come voi sapete, il Ministero dell'ambiente, ai sensi dell'articolo 252 del codice dell'ambiente, ha competenza a individuare con proprio decreto e d'intesa con le regioni interessate i SIN ai fini della successiva bonifica, perimetrare i terreni che verranno ricompresi nell'area SIN dopo aver sentito sempre i comuni, le province, le regioni, i proprietari e, ove siano disponibili, anche i responsabili dell'inquinamento.
  Il Dicastero dell'ambiente cura inoltre la procedura di bonifica prevista dal 242, intervenendo in caso di inerzia del responsabile o del soggetto interessato, provvedendo poi con il recupero in danno. Attualmente la vigilanza del Ministero si esplica su 41 siti, nel senso che fino alla scorsa legislatura ce n'erano 40, sono diventati 41 perché recentemente è stata introdotta come SIN anche l'officina grandi riparazioni ETR di Bologna, che è stato recentemente perimetrato con decreto direttoriale del settembre del 2018.
  Sappiamo tutti che le procedure di bonifica dei SIN sono particolarmente complesse ed articolate, per cui, come riportato nella relazione finale della precedente Commissione, emerge la necessità di razionalizzare, ottimizzare e potenziare i procedimenti, di velocizzarli e rendere incisiva l'attività di vigilanza e di controllo.
  Per tale ragione ho iniziato un lavoro, che ha dei tempi tecnici ovviamente, lavoro di cui rapidamente vi do solamente i riferimenti di partenza (il focus lo vedremo nei mesi a seguire), che sono i seguenti. Implementare la standardizzazione dei procedimenti amministrativi anche per mezzo della formalizzazione di istruzioni operative interne e di strumenti di informatizzazione. I procedimenti amministrativi non sono fino in fondo tipizzati, quindi sono più lenti e il primo impegno è renderli più veloci tipizzandoli.
  Dare piena attuazione all'istituto dell'unicità del provvedimento autorizzatorio del progetto di bonifica, in applicazione dell'articolo 252 del codice dell'ambiente, che ricomprenda tutti gli assensi previsti dalla legislazione vigente anche attraverso il coordinamento tra l'autorizzazione stessa e le procedure relative alla realizzazione e all'esercizio degli impianti e delle attrezzature necessarie alla loro attuazione, compresa la valutazione di impatto ambientale, altro elemento (non la VIA, ma questa procedura) che rallenta sensibilmente se non è ben standardizzata.
  Rafforzare forme di raccordo e coordinamento finalizzate all'ottimizzazione delle fasi di avvalimento, come previsto dall'articolo 252, degli organi di supporto tecnico, altro elemento che rallenta molto.
  Definire protocolli operativi di natura tecnica, ma sito specifici (altrimenti diventano troppo ampi e inutilmente generici), volti a semplificare la standardizzazione di cui parlavo prima.
  Disciplinare l'esercizio di poteri sostitutivi in caso di inerzia degli enti preposti, con un'eventuale previsione di responsabilità erariale a carico di chi è chiamato a provvedere e non provvede. Dare impulso alle procedure di individuazione del soggetto responsabile della contaminazione, prevedendo però in questo caso dei tempi certi.
  Attrarre alla competenza del MATTM la fase di controllo dell'efficienza e dell'efficacia degli interventi di messa in sicurezza d'emergenza, delle misure di prevenzione e dei progetti di bonifica. Prevedere un potere prescrizionale del Ministero in fase di controllo.
  Aggiungo che noi abbiamo previsto nell'ambito della finanziaria recentemente approvata di individuare un'altra categoria, i cosiddetti «siti orfani», categoria che prima non avevamo e che non è una categoria parallela ai SIR e ai SIN, però è l'individuazione di quelle discariche delle quali, per una serie di motivi che non sfuggono a nessuno, si è persa la conoscenza del responsabile. Penso a quelle particolarmente datate, che sono «esposte» al territorio e quindi ai cittadini di quel territorio, per le quali, essendo siti orfani, non si individua chi e come debba intervenire.
  Avendo fatto una classificazione giuridica di questi ed avendo quindi individuato cosa sono, si è potuto mettere un chipPag. 4economico in bilancio e di conseguenza si può finalmente agire. È chiaro che chi agisce è lo Stato, non può agire nessun altro, perché ormai il principio del «chi inquina paga» non è applicabile, però almeno non vengono lasciate esposte alla fede pubblica.
  Mi piace sottolineare questo passaggio, perché significa risolvere anche quel tipo di problema, e voi sapete che la mia storia personale mi induce a dire che purtroppo molte di quelle discariche le ho scavate proprio io, dove sai benissimo che in taluni casi, o per motivi prescrizionali o perché si perdono nei 30-40 anni fa, hai la discarica ma non hai la soluzione. In questo momento la soluzione prevedibile è che si possa andare a messa in sicurezza permanente e magari anche (dipende dalla tipologia) alla bonifica successiva.
  Aggiungo anche che il Ministero sta costruendo un sistema di affiancamento alle regioni in ordine ai SIR, siti di interesse regionale, che è vero che non hanno riguardo con i SIN, ma, al di là della cosiddetta «declassificazione» che poi non è tale in termini giuridici, mi sembrava corretto mettere a disposizione delle regioni una task force di tecnici delle strutture che affiancano il Ministero dell'ambiente quali ad esempio l'ISPRA, per poter affiancare quelle regioni che hanno necessità, urgenze o intenzione di affrontare di petto questa vicenda dei siti di interesse regionale e magari hanno qualche difficoltà. Abbiamo quindi messo a disposizione di tutti i presidenti delle regioni questa possibilità.
  Passerei ad un altro argomento che la Commissione ha a cuore, la gestione dei fanghi di depurazione delle acque reflue in agricoltura, ovviamente nella quota parte ambientale.
  La disciplina giuridica sullo smaltimento dei fanghi svolge una funzione importante per l'efficienza del servizio di depurazione, che si configura quindi come servizio di pubblica utilità. Alcune regioni hanno emanato specifici provvedimenti normativi, atti a disciplinare gli spandimenti dei fanghi in agricoltura in tal contesto normativo, però non uniformemente tra loro. Mancherebbero quindi a livello nazionale dei parametri unici da prendere a riferimento per valutare l'idoneità di un fango rispetto al suo eventuale utilizzo nel mondo agricolo.
  In particolare, per i parametri non disciplinati a livello nazionale la recente giurisprudenza (mi riferisco alla Corte di cassazione del 2011 e recentemente al TAR Lombardia nel 2018) ha individuato quale normativa di riferimento applicabile quella stabilita dalla tabella 1, allegato 5 del Titolo V, parte IV del codice dell'ambiente in materia di bonifiche dei terreni contaminati, e non quella specifica sull'utilizzo in agricoltura dei fanghi di depurazione, prevista dal decreto legislativo n. 99 del 1992.
  Tale orientamento giurisprudenziale ha determinato il blocco dei conferimenti e degli spandimenti in tutta Italia (questo è un elemento di ricostruzione storica al 2018), creando una crisi di portata nazionale poiché gli impianti di depurazione in funzione non hanno la capacità tecnica di produrre fanghi rientranti nei limiti indicati dal giudice, cosa più volte rappresentata a me personalmente da più presidenti di regioni e anche da medesime prefetture, che hanno rappresentato questo rischio di emergenza.
  Il Ministero dell'ambiente, ma non solo ovviamente il MATTM, è quindi intervenuto con il testo confluito nell'articolo 41 del cosiddetto decreto Genova, che ha inteso superare il concetto emergenziale, riconducendo la gestione dei fanghi esclusivamente alle prescrizioni della pertinente normativa e introducendo al contempo parametri di riferimento.
  Dato che era un intervento di natura emergenziale e l'emergenza era connotata da quanto vi dicevo (le presidenze e le prefetture più volte hanno per iscritto e non solo sollevato questa vicenda), si è potuto applicare l'articolo 77 della Carta costituzionale sulla decretazione d'urgenza, ma adesso, come l'articolo 41 prevede nell'ultimo comma, è necessario ed è insuperabile il momento di una norma che superi strutturalmente l'emergenza, altrimenti viviamo di emergenza.
  Qual è l'impegno che ho assunto già da poco dopo il decreto Genova? Abbiamo costituito appunto in seno al Ministero un Pag. 5gruppo di lavoro per strutturare invece una norma ordinaria, che superi poi l'articolo 41, così come adesso è conosciuto.
  Passerei adesso ai criteri ambientali minimi (CAM), altro oggetto di attenzione di questa Commissione. Il Green public procurement ovvero «Acquisti verdi nella pubblica amministrazione» è definito dalla Commissione europea (leggo il virgolettato) «l'approccio in base al quale le amministrazioni pubbliche integrano i criteri ambientali in tutte le fasi del processo di acquisto, incoraggiando la diffusione di tecnologie ambientali e lo sviluppo di prodotti validi sotto il profilo ambientale, attraverso la ricerca e la scelta dei risultati e delle soluzioni che hanno il minor impatto possibile sull'ambiente lungo l'intero ciclo di vita». Questa è la definizione virgolettata, che è utile per quanto vi dirò adesso.
  Le autorità pubbliche che intraprendono quindi le azioni dei Green public procurement (GPP) si impegnano sia a razionalizzare acquisti e consumi che ad incrementare la qualità ambientale delle proprie forniture. In questa logica gli obiettivi dei GPP sono la riduzione degli impatti ambientali, la tutela e il miglioramento della competitività delle imprese, lo stimolo all'innovazione e alla nuova tecnologia (l'Italia è al primo posto a livello mondiale per questi tipi di tecnologie), la razionalizzazione della spesa pubblica, la diffusione di modelli di consumo e di acquisto sostenibili, efficienza e risparmio di risorse naturali, riduzione dei rifiuti prodotti, riduzione di uso di sostanze pericolose.
  Il GPP è stato introdotto in Italia dal 2008 con il Piano d'azione nazionale dei GPP, al fine di massimizzare la diffusione presso gli enti pubblici in modo da farne dispiegare in pieno la sua potenzialità. Il Green public procurement ha previsto l'adozione, con successivi decreti ministeriali, dei CAM, che sono la derivazione dei GPP, per ogni categoria di prodotti, servizi e lavori acquistati o affidati dalla P.A.
  I CAM quindi sono i requisiti ambientali definiti per le varie fasi del processo di acquisto, volti a individuare la soluzione progettuale, il prodotto o il servizio migliore sotto il profilo ambientale lungo il ciclo di vita, tenuto conto della disponibilità di mercato. Noterete «soluzione progettuale», «prodotto» e anche però «servizio» o «fornitura».
  In Italia l'efficacia dei CAM è stata assicurata grazie alla legge n. 221 del 2015 e successivamente all'articolo 34, recante Criteri di sostenibilità energetica ambientale, del decreto legislativo n. 50 del 2016, il codice degli appalti come poi rivisto nel 2017, che ne ha reso obbligatoria (cosa importante da rammentare) l'applicazione da parte di tutte le stazioni appaltanti. Questo obbligo garantisce che la politica nazionale in materia di appalti pubblici verdi sia incisiva nell'obiettivo non solo di ridurre gli impatti ambientali, ma anche di promuovere modelli di produzione e consumo più sostenibili, circolari e nel diffondere l'occupazione verde.
  Sono stati adottati finora CAM per 18 categorie (ovviamente nel corso degli anni pregressi) di forniture e di affidamenti, altri sono in via di adozione a breve, per altri invece è stata programmata per step la loro applicazione. La Direzione generale competente presso il MATTM, che è la Direzione generale clima ed energia, attraverso un accordo di collaborazione con Unioncamere, recentemente rinnovato proprio all'inizio dell'anno 2019, ha svolto un'interessante indagine sull'attenzione dei produttori ai temi CAM e GPP e certificazione ambientale.
  L'indagine ha concentrato l'attenzione sulla capacità, le motivazioni e le aspettative dell'attuazione delle politiche ambientali da parte dei diversi operatori economici e fondamentalmente su aziende appartenenti a quattro settori: la produzione industriale, la ristorazione collettiva, le costruzioni edili, le imprese a partecipazione pubblica o di interesse pubblico.
  Cosa emerge da questa interessante indagine conoscitiva? Le imprese industriali nel settore manifatturiero stanno transitando dalla semplice gestione ambientale dei processi ad una maggiore attenzione verso la ricerca e lo sviluppo per l'innovazione ambientale dei prodotti. L'ambiente comincia quindi ad affermarsi come un fondamentale driver dell'innovazione. Al Pag. 6contempo, queste stesse imprese non hanno ancora integrato appieno la variabile ambientale delle proprie strategie di business, però hanno iniziato.
  Le imprese della ristorazione collettiva e quelle del settore edile, che partecipano ai bandi pubblici e si trovano a dover rispondere a disciplinari e capitolati comprendenti i criteri ambientali minimi, si stanno adeguando, con qualche difficoltà oggettiva, a rispondere ai requisiti ambientali richiesti (poi analizzeremo bene cosa vuol dire). Le imprese pubbliche dichiarano infine in maggioranza di aver assunto impegni precisi per il miglioramento della qualità ambientale delle proprie forniture, pur avendo qualche difficoltà a tradurlo concretamente, però sono pronte ad applicare i CAM.
  È opportuno quindi segnalare, sulla base dei risultati di questa indagine conoscitiva che è utile per stabilire poi una road map, la necessità di: azioni di supporto per la diffusione delle competenze in materia di applicazione dei CAM da parte delle stazioni appaltanti, sia sulla corretta applicazione degli aspetti ambientali nelle procedure di gara che sulla corretta modalità di gestione del contratto di appalto; tavoli di confronto a livello territoriale tra P.A. locale, associazioni di categoria ed enti di certificazione, al fine di individuare criticità derivanti dall'applicazione dei CAM (le difficoltà operative cui prima ho fatto cenno) e le eventuali semplificazioni che ne possono invece derivare per renderle concrete sia in fase di revisione del CAM (come sapete, i CAM sono anche soggetti a revisione) sia in fase di regolamentazione o di nuove strutturazioni; migliorare con adeguati percorsi formativi l'informazione delle piccole e medie imprese, che costituiscono il fondamentale tessuto produttivo del Paese Italia, in materia di Green power procurement, e sugli strumenti di certificazione ambientale; migliorare la capacità delle aziende pubbliche anche attraverso specifiche azioni di informazione, formazione e sostegno, affinché inseriscano la qualificazione ambientale e sociale delle proprie catene di fornitura nelle aziende prioritarie.
  In sintesi, la conoscenza dei CAM e la capacità di applicarli non appare ancora sufficiente soprattutto per le stazioni appaltanti più piccine (penso a quelle comunali). Un'indagine condotta da Legambiente su un campione di comuni medi ha evidenziato un dato di applicazione dei CAM nell'ordine di circa il 30 per cento sul complesso degli acquisti effettuati, percentuale oggettivamente bassa, ecco perché abbiamo fatto questa indagine conoscitiva per capire dove fossero i gangli.
  Appare quindi di particolare importanza dare avvio alle attività previste dal progetto CReIAMO PA nell'ambito del PON Governance relativo ai CAM, per il quale sono in fase di conclusione le procedure di gara per l'affidamento di queste attività. Tale piano di formazione verrà attuato ovviamente con la collaborazione della Conferenza permanente Stato-regioni, che è già avvertita della questione e la avverte come elemento significativo.
  Mi pare infine interessante segnalare che nel 2019 è stato rinnovato l'accordo con Unioncamere per promuovere un'azione di informazione a livello territoriale, ma abbiamo anche siglato recentemente un accordo con l'ANAC per avere il controllo, almeno inizialmente in funzione anche della struttura e delle possibilità che l'ANAC ha in questo momento, degli appalti statali e degli appalti regionali. Sarebbe interessante arrivare anche a quelli provinciali e principalmente comunali; ci arriveremo pian pianino, però già questo ci consente di dire che abbiamo anche un controllo sull'obbligatorietà di cui parlavo poc'anzi, prevista dal codice dell'ambiente.
  I criteri ambientali minimi oggi sono 18, il primo è del 2011 ed è della ristorazione collettiva, l'ultimo è del 2018, calzature da lavoro (se volete ve li elenco tutti). Alcuni sono in via di rivisitazione (penso alla ristorazione collettiva, alla fornitura di cartucce da toner), altri invece sono nuovi come la costruzione di manutenzione delle strade, che è molto importante, oppure il noleggio e lavaggio di prodotti tessili, altri non a brevissimo termine sono già scadenzati, come i mezzi di trasporto e il servizio di gestione dei rifiuti urbani, che però sono Pag. 7delle revisioni, perché seguono anche lo sviluppo tecnologico.
  Altro tema che sta a cuore alla Commissione sono gli end of waste e i falsi end of waste. Sapete quanto io cerchi di seguire questa vicenda, perché ci credo molto nell'ambito della cosiddetta «economia circolare», un tema di estremo rilievo anche per l'economia circolare, della quale il Ministero da agosto 2018 ha acquisito la competenza. Questo riguarda l'attenzione all'articolo 184-ter del codice dell'ambiente, relativo al cosiddetto end of waste, cessazione della qualifica di rifiuto.
  Secondo tale norma, un rifiuto cessa di essere tale quando è stato sottoposto a operazioni di recupero, incluso il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo, che soddisfino determinati criteri, tra i quali in particolare l'assenza «di impatti complessivi negativi sull'ambiente».
  Tali criteri vengono ricavati dalla disciplina comunitaria o, in mancanza di essa, sono fissati dal Ministero dell'ambiente con propri decreti, caso per caso per specifiche tipologie di rifiuto, includendo anche eventuali valori limite. Sul tema preme inoltre rappresentare l'emergenza determinatasi nel settore del riciclo a seguito della sentenza del Consiglio di Stato del febbraio del 2018, la n. 1229 ormai nota a tutti, con la quale sono state rimesse in discussione le procedure di autorizzazioni regionali ai sensi dell'articolo 208 del codice dell'ambiente, per il riciclo di tutte le categorie di rifiuto che non siano già contemplate da criteri end of waste nazionali o comunitari, ovvero non siano contenute nel decreto del Ministero dell'ambiente del 5 febbraio 1998, che stabilisce i parametri guida per circa 200 procedure di recupero e per altrettante tipologie di rifiuti, quindi quelle sono fatte salve e funzionano.
  Tale elenco ministeriale viene utilizzato ormai da vent'anni da province e regioni come testo di riferimento anche per valutare le richieste di autorizzazione per gli impianti di riciclo. Il Consiglio di Stato ha osservato, alla luce dell'articolo 6 della direttiva n. 98 del 2008, quindi riferendosi all'Unione europea, la cessazione della qualifica di rifiuto che la disciplina della cessazione ha riservato alla normativa comunitaria in primis, e che la normativa comunitaria ha previsto che sia comunque possibile per gli Stati membri valutare altri casi di possibile cessazione.
  Tale prerogativa – si precisa nelle motivazioni della sentenza del Consiglio di Stato – compete tuttavia esclusivamente allo Stato e precisamente al Ministero dell'ambiente, che deve provvedere con propri regolamenti e lascia in via residuale alle regioni poter provvedere, quindi stabilisce anche le cosiddette «modalità di ingaggio».
  Ad oggi noi abbiamo due decreti end of waste, che sono rispettivamente il combustibile solido secondario e il fresato d'asfalto, ne abbiamo alcuni di prossima pubblicazione, uno in particolare, che è già stato notificato alla Commissione europea. Sapete che il processo di decretazione, quando è arrivato al termine della suo iter nazionale, cioè dopo che si è recepito il parere del Consiglio di Stato perché di natura regolamentare, va notificato per i motivi che vi ho detto, perché nasce da una direttiva europea e va notificato a livello europeo, e occorrono tre mesi tecnici. È già partito l'ultimo, che è quello dei prodotti assorbenti per la persona, i pannolini, che è importante, quindi ormai siamo veramente all'ultimo miglio per i pannolini, che riguardano 900.000 tonnellate di rifiuti nazionali, e saremo la prima tecnologia a livello mondiale, quindi è anche una bella soddisfazione per l'Italia, con creazione anche di posti di lavoro, che darà polimeri vari, cellulosa, e così via.
  Sono prossimi ad essere notificati all'Unione europea, secondo la procedura che vi ho adesso illustrato, quelli per la gomma vulcanizzata granulare, che riguarda circa 350.000 tonnellate a livello nazionale, il pastello di piombo (9.500 tonnellate), i rifiuti da costruzione e demolizione, che sono 51 milioni di tonnellate, comprese anche le terre e rocce da scavo e i rifiuti di gesso, le plastiche miste che sono circa 450.000 tonnellate a livello nazionale, pulper e carta da macero.
  Abbiamo già pianificato però il vetro sanitario, la vetroresina, i rifiuti inerti da spazzamento delle strade, gli oli alimentari Pag. 8esausti, le ceneri da altoforno e i rifiuti di acciaieria. Ve li ho elencati perché voi sapete bene che c'è tutta una vicenda di natura normativa sugli end of waste, però un po’ per mia abitudine personale, un po’ perché il Ministero, in attesa che il Parlamento elabori una norma condivisa, non si ferma, ho costituito una task force con un esperto della materia per accelerare gli end of waste a firma del Ministero dell'ambiente e non fermare tutto il pacchetto end of waste creando un danno all'economia circolare e al mondo dell'ambiente e del lavoro.
  Per questo vi ho elencato quanto poc'anzi, per rappresentare che comunque stiamo dando o provando a dare un'importante risposta. Stiamo parlando di oltre 3 milioni di tonnellate di extra rifiuti che togliamo, a parte i 51 milioni di tonnellate che riguardano i rifiuti di costruzione e demolizione, quindi mi sembra non poco da questo punto di vista.
  Per quanto riguarda i falsi end of waste, tema attenzionato da questa e dalla precedente Commissione, ovvero rifiuti industriali complessi e contaminati che, mediante vari giri di false attestazioni e certificati, vengono rivenduti come materiale recuperato e pronto per un nuovo ciclo produttivo, le aziende interessate a tale illecita attività (ovviamente aziende criminali) simulano lo svolgimento di procedure di bonifica, mentre in realtà i rifiuti subiscono soltanto una macinatura o una tritovagliatura.
  I vantaggi ottenibili da tali modalità di gestione dei falsi end of waste sono riconducibili sostanzialmente a due elementi tragicamente banali, che è giusto riportare alla Commissione: evitano di sostenere i costi necessari per un corretto trattamento dei rifiuti in termini di trasporto, smaltimento e recupero del medesimo rifiuto; utilizzano nel settore dei lavori pubblici materiali che dovrebbero essere diversamente smaltiti in quanto rifiuti, ma che invece vengono utilizzati come materie prime false, e spesso vengono trovati nei sottofondi stradali, autostradali e ferroviari, come ci dicono gli atti giudiziari, generando anche un sistema di false fatturazioni.
  Conseguentemente, il recupero dei rifiuti, posto quale obiettivo strategico dalle norme comunitarie, diventa un rischio potenziale di veicolare nei cicli di produzione sostanze contaminanti o mettere i rifiuti contaminanti a contatto con le matrici sensibili (penso al sole con le falde acquifere).
  Da questo punto di vista come Ministro ho chiesto in particolare all'Arma dei Carabinieri nell'ambito della direttiva del 2019 e alla Guardia di Finanza (sapete che un'aliquota è anche presso il Ministero dell'ambiente) di andare oltre il loro ordinario e di fare uno sforzo supplementare di controllo e di analisi in questo senso. Vedremo quali saranno gli esiti nel 2019, però già il 2018 ci porta bei risultati.
  Altro tema caro a questa Commissione sono le garanzie finanziarie relative agli impianti di trattamento dei rifiuti. È in corso di definizione uno schema di Regolamento, che disciplina i requisiti e le capacità tecniche e finanziarie per l'esercizio delle attività di gestione dei rifiuti, nonché i criteri generali per la determinazione delle garanzie finanziarie, ai sensi dell'articolo 195 del Codice dell'ambiente.
  La preparazione del decreto è stata avviata già da molti anni (parliamo del 2014, quindi non mi sono inventato nulla, stiamo provando a «portarla a casa») e la lunga istruttoria tecnica ha interessato anche altri Dicasteri per l'acquisizione del concerto previsto dalla medesima legge.
  Dopo un primo parere interlocutorio reso dal Consiglio di Stato, il testo del decreto sarà inoltrato nuovamente all'organo consultivo, con il quale siamo in contatto continuo, e in parallelo anche alla Conferenza permanente Stato-regioni che ha la sua quota parte di competenza, cosa che abbiamo già fatto nell'ultimo incontro con la Conferenza permanente.
  Nel decreto le disposizioni relative alla prestazione delle garanzie finanziarie interessano esclusivamente i soggetti che esercitano attività di recupero e di smaltimento dei rifiuti ai sensi dell'articolo 208 del codice dell'ambiente, che sarebbe l'autorizzazione unica per i nuovi impianti di smaltimento e recupero di rifiuti, cioè si escludono le cosiddette «procedure semplificate Pag. 9», che sarebbe l'articolo 214 del codice dell'ambiente proprio perché sono procedure semplificate e quindi hanno già un'autorizzazione rilasciata dalla provincia per determinate quantità e con un controllo esercitato dalle polizie provinciali o dai loro equivalenti.
  Per gli impianti che esercitano più operazioni di gestione dei rifiuti sono definite particolari modalità di determinazione della garanzia, al fine di scongiurare duplicazioni di fideiussioni, altrimenti sarebbe un costo eccessivo senza senso perché già hanno una fideiussione.
  Per gli impianti autorizzati ai sensi dell'articolo 208, quindi quelli a cui si applica, la durata della garanzia è commisurata alla durata dell'autorizzazione o comunque a periodi di tempo inferiore ma non meno di 5 anni, in modo da dare una continuità di garanzia. La mancata presentazione entro i termini prescritti o la mancata accettazione della nuova garanzia da parte dell'organo titolato, regione o provincia, comporta la sospensione delle attività fino all'accettazione della garanzia da parte degli enti regioni e province autonome.
  Per le discariche, in conformità con il decreto legislativo n. 36 del 2003, è prevista la prestazione di due distinte garanzie fideiussorie, per l'attivazione e la gestione operativa, quindi nel momento in cui la discarica è in funzione, comprese le procedure che portano alla sua chiusura nel tempo previsto, e per la gestione della discarica in chiusura, cioè successiva, il post mortem.
  I nuovi criteri andranno a incidere sul sistema imprenditoriale legato alla gestione dei rifiuti, con particolare riferimento alla definizione dei soggetti tenuti alla presentazione delle garanzie e alla determinazione dei relativi importi.
  Il Ministero, nel quadro di una più ampia iniziativa di modifica normativa tesa a regolamentare le procedure di prevenzione, trattamento e repressione del danno ambientale, mira anche a modificare l'attuale sistema delle garanzie fideiussorie, che spesso si sono rivelate inadeguate a garantire la riparazione dei danni cagionati, in quanto fornite da società, spesso purtroppo non italiane, di comodo o comunque non aventi capacità economica necessaria a garantire la medesima fideiussione. Sappiamo di indagini che conosco da vicino a causa della mia precedente vita, dove noti clan camorristici sono andati ad aprirle all'estero, cioè sono andate ad aprire l'assicurazione per avere la fideiussione, cioè la loro stessa mano all'estero ha aperto questo percorso criminale.
  Sarebbe quindi interessante immaginare un ranking minimo di affidabilità fideiussoria, che garantisce il cittadino, per cui poi la riparabilità cagionata è assicurata nei fatti concreti e non è soltanto un adempimento amministrativo senza significato.
  Altro tema particolarmente a cuore alla Commissione è il traffico illegale di indumenti usati. Un recente studio dell'Osservatorio Cetelem operato a livello europeo evidenzia che l'acquisto dei beni usati è considerato degradante, quindi non «gradito», dal 10 per cento del popolo francese, dal 12 per cento del popolo britannico, dal 13 per cento del popolo ungherese, dal 45 per cento del popolo italiano. È deduttivo quindi che la filiera degli abiti usati in Italia è indirizzata soprattutto al mercato estero e al recupero dei materiali impiegati nei capi di vestiario per il riutilizzo nella produzione tessile.
  In questo caso il traffico illegale segue diverse direttrici. Ne cito tre: ritiro o raccolta di indumenti usati donati ad associazioni di beneficenza ovviamente «farlocche» (tali capi vengono venduti illegalmente sul mercato nazionale e soprattutto internazionale dei vestiti usati, in alcuni casi i capi in perfetto stato sono addirittura rivenduti come nuovi da privati mediante siti web specializzati o da venditori ambulanti); commercializzazione al dettaglio degli abiti usati regolarmente acquistati da ditte autorizzate che, simulando trattamenti come l'igienizzazione che poi non fanno, sono posti sul mercato con tutti i rischi sanitari conseguenti; utilizzo delle materie prime pregiate contenute negli abiti usati (lana, cotone, lino) nella produzione di nuovi capi di abbigliamento che non presentano l'etichettatura prevista nel caso Pag. 10di utilizzo di questi materiali o mancata esecuzione dei trattamenti igienizzanti.
  A fattor comune di tutti e tre i casi e di altri ancora si assiste poi allo smaltimento illegale delle frazioni residuali, cioè di quello che avanza da questa illecita gestione, che sono ovviamente abbandonati lungo i cigli delle strade o nelle campagne e che la mia regione purtroppo conosce troppo bene.
  In questo senso, nell'ambito della direttiva 2019, ho dato mandato all'Arma dei Carabinieri e alla Guardia di finanza di incrementare i controlli. Voi sapete che entrambi concorrono, ma la Guardia di finanza in questo caso può fare anche una valutazione di tipo fiscale o erariale in generale, che aiuta molto a bloccare questa illecita gestione e principalmente a mettere in chiaro finalmente le organizzazioni sane (ce ne sono tante in Italia) che invece lo fanno veramente per altri scopi che non sono di natura schiettamente criminale.
  Altro tema a cuore di questa Commissione è il traffico illecito di bioplastiche. La normativa italiana, all'avanguardia in ambito europeo (questo è un merito dell'Italia) già dall'agosto del 2014 (quindi non è certamente merito mio) vieta e sanziona la commercializzazione dei cosiddetti shopper, ossia dei classici sacchetti della spesa monouso non ecocompatibili e pertanto non conformi alla normativa europea. Gli shopper vietati sono essenzialmente quelli realizzati in materiale plastico, dotati di manici o bretelle con spessore inferiore ai 200 micron, quando sono per uso alimentare, 100 micron, quando sono per uso non alimentare.
  L'industria italiana si è rapidamente adeguata e oggi noi contiamo 240 aziende che lavorano nel settore della produzione di plastiche biodegradabili e compostabili, impiegando circa 2.500 addetti. Secondo i dati forniti dalle associazioni di settore, 73.000 tonnellate di polimeri riciclabili lavorati sono lavorate, il 68 per cento è stato destinato alla produzione degli shopper monouso per la spesa, il 13 per cento ai sacchi per la raccolta della frazione organica e il restante 19 per cento suddiviso tra manufatti per l'agricoltura, la ristorazione, il packaging alimentare e l'igiene della persona.
  Pur essendo evidente l'importanza e la dimensione della produzione degli shopper legali (circa 50.000 tonnellate prodotte nel 2017), i volumi degli shopper illegali immessi sul mercato sono ancora molto significativi: si stimano circa 42.500 tonnellate nel 2017, ma il dato confortante è che è in diminuzione rispetto a quello del 2016 (45.000 tonnellate).
  Questi shopper, pressoché scomparsi dalla grande distribuzione per ovvi motivi collegati al controllo sempre più marcato, sono invece ancora oggi particolarmente diffusi nei mercati comunali, nei mercati rionali e nella piccola distribuzione in virtù di un elemento di base: costano un decimo di quelli biodegradabili e chiaramente la differenza è significativa. Nella direttiva 2019 ho dato mandato alle Forze di polizia di incrementare i controlli e le investigazioni in questo campo, cosa che ho fatto personalmente fino a pochi mesi fa – e oggi già possiamo contare 90 tonnellate di shopper illegali sequestrati e sanzioni amministrative per 180.000 euro – quindi c'è già un primo risultato.
  Altro tema che sta a cuore in particolare a questa Commissione è la prevenzione nella produzione dei rifiuti, e qui lancio anche quella che a mio parere è una norma importante, la «salva mare».
  La problematica relativa alla presenza di rifiuti in ambiente marino ha assunto negli ultimi decenni le dimensioni di una sfida globale. Per tale ragione, il Ministero dell'ambiente si è recentemente impegnato nella definizione di un disegno di legge di natura governativa, che spero che entro il mese di febbraio vada al Consiglio dei ministri e che, al fine di contribuire al risanamento dell'ambiente marino, provveda alle soluzioni efficaci alla problematica dei rifiuti abbandonati in mare. Voi sapete che l'85-90 per cento dei rifiuti che oggi sono nel Mar Mediterraneo sono plastiche.
  Tale proposta normativa si prefigge alcuni obiettivi: vietare l'immissione sul mercato nazionale di determinati articoli di plastica monouso, favorire il recupero dei rifiuti in mare da parte dei pescatori e Pag. 11incentivare campagne volontarie di pulizia del mare. Qui consentitemi un inciso: è un'idea che ho preso dall'onorevole Rossella Muroni, che ho di fronte e che ringrazio perché mi ha consentito di prendere un'idea che secondo me è molto buona, l'ho messa nella legge salva mare anche a dimostrazione che, come chi mi conosce sa, quando un'idea è buona non ha colore e non ha appartenenze.
  Promuovere l'economia circolare mediante disposizioni volte a consentire la cessazione della qualifica di rifiuto con riferimento ai rifiuti pescati accidentalmente, ovvero raccolti nell'ambito delle campagne, incentivare le campagne di sensibilizzazione. Gli elementi forti sono sostanzialmente questi quattro.
  Nella predisposizione del disegno di legge si è tenuto conto non solo del quadro delle fonti normative eurounitarie e nazionali vigenti, ma anche di due rilevanti proposte di direttiva in avanzato stato di approvazione, perché chiaramente questa norma deve necessariamente guardare alla norma europea.
  La prima è la proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa agli impianti portuali di raccolta per il conferimento dei rifiuti delle navi, che cancella la direttiva n. 59 del 2000, modifica la n. 16 del 2009 e la n. 65 del 2010, e introduce una disciplina appositamente dedicata ai rifiuti pescati passivamente. Abbiamo quindi agganciato questa nuova direttiva che è prossima ad essere emanata.
  La seconda è la proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla riduzione dell'incidenza di determinati prodotti di plastica sull'ambiente. Questa ha già raggiunto l'accordo del trilogo europeo, cioè Consiglio dei ministri d'Europa, Parlamento europeo e Commissione europea, il trilogo è stato già chiuso a dicembre e quindi adesso ritorna in tutti e tre i soggetti che hanno chiuso l'accordo per la ratifica, ma di fatto possiamo già considerarla una direttiva. Questa tra l'altro impone agli Stati membri di vietare l'immissione sul mercato di determinati articoli in plastica monouso, che rappresentano circa il 90 per cento dei rifiuti marini. Tengo a sottolineare che in questa direttiva c'è anche la definizione di bioplastiche, che mi sembra un fatto importante perché l'Italia è particolarmente vocata e, oltre a quanto vi ho detto sui numeri, ha anche la tecnologia più avanzata in questo settore.
  Il Dicastero dell'ambiente quindi ritiene particolarmente utile una specifica proposta normativa che agevoli il conferimento dei rifiuti raccolti in mare durante le operazioni di pesca, anticipando le previsioni contenute nella proposta di direttiva sopra riportate. L'anticipazione che io ho chiesto non è per far vedere che uno è bravo (perdonate la battuta), ma per un altro aspetto: perché l'Italia, insieme a pochi altri Paesi dell'Unione europea, è per due terzi bagnata dal mare.
  Tra l'altro, il mar Mediterraneo è un mare sostanzialmente chiuso, quindi le plastiche che noi troviamo in quel mare che per noi rappresenta una risorsa economica, turistica e di biodiversità unica a livello mondiale mi impongono – almeno dal punto di vista etico, poi il Parlamento sovrano valuterà – di anticipare quella direttiva, di non andare in contrasto con la direttiva ovviamente (altrimenti andrei in infrazione), ma di anticiparla.
  Anticiparla significa dare un risultato economico ulteriore al Paese Italia dal punto di vista della biodiversità, dal punto di vista economico, dal punto di vista turistico. Saremo i primi in Europa a poterci vantare di questo, e questo è un flusso economico, si misura, pesa economicamente. Vi è quindi (molti sanno come ragiono) un forte pragmatismo ambientale in questo, non è ideologia.
  Atteso il ruolo chiave che i pescatori rivestono nell'attività di raccolta dei rifiuti a mare, si ritiene strategico agire in due direzioni, chiarire il quadro normativo di riferimento evitando profili sanzionatori (attenzione: profili sanzionatori penali in questo caso) per i pescatori che effettuino la cosiddetta «raccolta accidentale» (articolo 256 del codice dell'ambiente, gestione illecita di rifiuti) durante l'attività di pesca, ma incrementare la consapevolezza tra tali operatori economici (ricordiamo che noi abbiamo la flotta di pescherecci più importante Pag. 12 del continente e una delle prime al mondo) della necessità di un ambiente marino pulito.
  A tale, ultimo fine è necessario stimolare la partecipazione dei pescatori alla raccolta volontaria durante le proprie attività quotidiane e al contempo promuovere l'avvio di campagne di sensibilizzazione per incentivare l'attività di pulizia del mare da parte dei cittadini, dei soggetti pubblici e privati, ma anche da parte delle associazioni che già lo fanno (penso in particolare a Legambiente che lo fa ormai da 35 anni).
  I numerosi e lodevoli progetti di pulizia dei mari che negli anni sono stati realizzati volontariamente dalle associazioni ambientaliste e da altri soggetti privati rappresentano infatti un esempio di comportamento virtuoso, che la proposta di legge in elaborazione vuole promuovere e incentivare, mettendo anche delle risorse che già sono però nel bilancio, quindi è una legge che troverete senza questa specifica risorsa perché già ce l'ho nel bilancio.
  La proposta normativa individua quindi le modalità di gestione dei rifiuti pescati accidentalmente, introducendo il concetto di pesca accidentale, che non è un concetto conosciuto dal codice dell'ambiente. Tali rifiuti sono equiparati integralmente ai rifiuti delle navi e pertanto possono essere conferiti agli impianti portuali di raccolta, di cui al decreto legislativo n. 182 del 2003.
  Il conferimento dei rifiuti pescati accidentalmente nell'impianto portuale di raccolta si configura quale deposito temporaneo, ai sensi dell'articolo 183 del codice dell'ambiente. Al fine di evitare che i costi della gestione dei rifiuti pescati accidentalmente gravino esclusivamente sui pescatori e sugli utenti dei porti, è previsto che i costi di gestione di tali rifiuti siano coperti anche da una componente della tariffa di gestione del rifiuto integrato.
  Al tempo stesso, il Ministero ritiene parimenti strategico inserire nello schema di disegno di legge un argomento di divieto di immissione sul mercato di alcuni articoli in plastica monouso (usa e getta), così anticipando la misura di prossima adozione a livello sovranazionale della direttiva di cui dicevo innanzi.
  Inoltre, in ragione della finalità contemplata dalla proposta di legge, ovvero di diffondere modelli comportamentali virtuosi rivolti alla prevenzione del fenomeno dell'abbandono dei rifiuti negli ecosistemi marini e alla loro corretta gestione, la proposta di legge prevede l'attribuzione di un'attestazione di qualità ambientale agli imprenditori ittici che si impegnino ad utilizzare, nell'esercizio dell'attività di pesca professionale o di acquacoltura, attrezzature realizzate con materiale a ridotto impatto ambientale, quindi è una sorta di brand economico per la flotta di pescherecci che aderisce e quindi ha giustamente diritto ad essere sostenuta.
  Questa proposta di legge ha già superato la verifica del DAGL presso la Presidenza del Consiglio, quindi mi aspetto che vada presto in Consiglio dei ministri per essere poi deliberata e arrivare in Parlamento, dove ovviamente c'è la massima disponibilità mia personale (è quasi superfluo dirlo) ad arricchirla di maggiori contenuti, perché il dibattito parlamentare la può sempre solo arricchire.
  Il Ministero, sempre in tema di prevenzione della produzione di rifiuti, intende inoltre incentivare da parte delle aziende l'acquisto di prodotti realizzati con materiali provenienti dalla raccolta differenziata degli imballaggi in plastica e degli imballaggi biodegradabili e compostabili. Questo mira a salvaguardare la nostra tecnologia sulle plastiche biodegradabili, perché è l'unica in Europa, perché – lo dico con chiarezza – non è stata adeguatamente difesa a livello europeo, ma i margini della nuova direttiva ci consentono come Paese Italia di difenderla.
  A tal fine, anche allo scopo di ridurre conseguentemente la quantità di rifiuti non riciclabili derivanti da imballaggio, nell'ambito della finanziaria recentemente approvata si prevede la concessione in favore di tutte le imprese di un contributo, sotto forma di credito d'imposta, pari al 36 per cento delle spese sostenute e documentate per gli acquisti di prodotti realizzati con materiali derivanti da plastiche miste, provenienti Pag. 13 dalla raccolta differenziata degli imballaggi in plastica e da selezione di rifiuti urbani residui, ovvero di imballaggi biodegradabili e compostabili secondo la normativa UNI di riferimento, o derivati dalla raccolta differenziata della carta e dell'alluminio. In questo modo cominciamo anche a diminuire i rifiuti secondo il principio della gerarchia europea dei rifiuti.
  Per espressa previsione normativa, la ratio dell'agevolazione va ravvisata nell'intento del legislatore di incrementare il riciclaggio delle plastiche e degli scarti non pericolosi dei processi di produzione industriale e della lavorazione di selezione e di recupero dei rifiuti solidi urbani, in alternativa all'avvio al recupero energetico, nonché di ridurre l'impatto ambientale degli imballaggi e il livello di rifiuti non riciclabili derivanti da materiali di imballaggio. In questo modo si ottengono quindi vari scopi.
  Molti potrebbero dire che ci abbiamo messo poco, 1 milione di euro, per il semplice motivo che le aziende sono tante, ma non è poco perché noi in bilancio già avevamo 40 milioni di euro, quindi a me serviva il gancio amministrativo (scusate se uso un termine giuridicamente improprio) in finanziaria per poter switchare quei 40 milioni di euro su quel milione di euro; ho aperto il capitolo di bilancio, ho ottenuto l'autorizzazione del MEF e oggi su questo ci sono 41 milioni di euro, che credo sia una cifra più che significativa per ridurre gli imballaggi, per fare plastica biodegradabile e per ottenere anche una riduzione degli imballaggi e degli imballaggi inquinanti, cioè delle cosiddette «plastiche secondarie», sempre in tema con la linea plastic free.
  Questo percorso è stato studiato, elaborato e lavorato insieme al MEF ovviamente, non l'abbiamo fatto tra virgolette «apoditticamente».
  Nell'ambito della norma e delle iniziative plastic free che adesso sono abbastanza diffuse noi abbiamo lanciato dal 2018 la campagna «Io sono ambiente», che continueremo anche nel 2019 con l'impiego dell'Arma dei Carabinieri e della Guardia costiera sui vari spazi turistici in particolare, abbiamo firmato un protocollo d'intesa molto bello (sono molto contento di questo e sono certo che anche questa Commissione lo sia) con il MIUR, con il Ministro Bussetti, in ordine alla formazione ambientale nelle scuole, cioè da plastic free siamo passati alla formazione ambientale nelle scuole, che oggi consideriamo progetto del momento extracurriculare, ma con l'idea nel corso della legislatura di farla diventare invece formazione intracurriculare. Ci si deve arrivare pian pianino, sapete che c'è il principio dell'autonomia scolastica, quindi si costruirà nell'ambito della legislatura un percorso di stimolazione, con il solito pragmatismo ambientale, anche di natura economica, che consenta alla scuola di avere il «piacere» di aderire a questa iniziativa. Questa mi sembra una bella cosa, che è assolutamente trasversale.
  Abbiamo previsto spot televisivi per la salvaguardia del mare e per plastic free, abbiamo previsto «pillole» radiofoniche o programmi televisivi in particolare con la RAI, abbiamo previsto ieri, insieme a Mare Vivo, alla Conferenza dei rettori delle università italiane e del Consorzio nazionale interuniversitario, il lancio della campagna del modello plastic free. Vedete quindi che si muovono anche le università, si muovono tutte le scuole, è quel principio di investimento e quella logica dell'investimento sovragenerazionale che raccoglierà i frutti pian pianino, ma che, se non si inizia, non si finisce ovviamente, e mi sembra che sia una bella cosa entrare nelle case anche in questo modo, attraverso i bimbi e i ragazzi.
  Altro tema che ho visto stare particolarmente a cuore di questa Commissione (ovviamente quando dico a cuore di questa Commissione intendo anche a cuore del sottoscritto) sono i PFAS, un tema delicato ed estremamente significativo.
  Permettetemi di incastrare alcuni passaggi sul PFAS, perché secondo me ci consentono di entrare meglio nella vicenda. L'origine della contaminazione è stata individuata dal Consiglio nazionale delle ricerche e da IRSA negli scarichi dell'azienda chimica Miteni Spa (questo è un fatto) sita nel comune di Trissino, in provincia di Vicenza, scarichi che in parte passano attraverso il depuratore consortile di Trissino Pag. 14e poi recapitano nel corso d'acqua Fratta Gorzone e in parte recapitano direttamente nel torrente Poscola.
  La precedente Commissione d'inchiesta ha fotografato la situazione nei termini che seguono: le acque che la Miteni scarica sia nel depuratore consortile sia nel torrente contengono sostanze perfluoroalchiliche, quindi specie di PFOA e PFOS. Tali sostanze rientrano nell'elenco delle cosiddette «sostanze pericolose», composti organici alogenati. Data la particolare natura dei terreni di quella zona, le acque contaminate percolano nell'acqua di falda idropotabile, il principale veicolo dei PFAS è l'acqua sia per uso potabile che agricolo che zootecnico. La popolazione esposta assorbe le sostanze di cui innanzi, che si accumulano nel sangue in concentrazioni molto più elevate rispetto alla popolazione non esposta.
  Ho ritenuto di tracciare questi elementi, perché sono quelli della precedente Commissione, che sono il punto di partenza per il nuovo lavoro, almeno il mio lavoro. Si può affermare che dette sostanze (questa è invece la parte «mia») sono sostanze che, accumulandosi nell'organismo umano, si comportano da interferenti endocrini e da sospetti cancerogeni, e questi sono studi fatti dal CNR, quindi assolutamente credibili.
  Le indagini svolte dal NOE di Treviso, cristallizzate in un'informativa di reato del 13 giugno 2017, hanno evidenziato che la Miteni, nella vecchia composizione sociale facente capo alla Mitsubishi Corporation, aveva avuto piena consapevolezza – ripeto: aveva avuto piena consapevolezza – dell'inquinamento del terreno e della falda nel suo sito sin dal 1990, a seguito di indagini ambientali commissionate ad alcune società di consulenza.
  Nonostante l'obbligo giuridico di effettuare la comunicazione della contaminazione, la Miteni non ha informato gli enti preposti, e l'unica ragione di tale comportamento non può che essere ravvisata nella volontà della società di occultare l'inquinamento del sito industriale e della falda sottostante, sottraendosi in tal modo all'onere di sostenere le ingenti spese per la rimozione e lo smaltimento del terreno inquinato, nonché per lo smantellamento di parte dell'impianto produttivo.
  La Commissione, in ordine alla questione della fissazione dei limiti alle acque di scarico, ha evidenziato che attualmente detti limiti sono stati fissati dalla regione Veneto solo per alcune di queste sostanze e ha, altresì, sottolineato la necessità e l'urgenza che il Ministero dell'ambiente, competente per materia, provveda a definire in modo completo la fissazione di detti limiti degli PFAS in tutte le matrici ambientali: suolo e acqua, ma acqua in particolare.
  In questo senso, io vi dico che ho già costituito un tavolo presso il Ministero dell'ambiente, in cui sono presenti la regione Veneto, chiaramente – lavoriamo assieme; penso al dottor Dell'Acqua, il direttore generale che si occupa della materia, che è molto bravo, peraltro – il Ministero della salute, ISPRA, l'Istituto superiore della sanità. Perché? Perché questi limiti devono essere lavorati insieme, ovviamente, per avere il quadro completo. Non abbiamo dimenticato di fissarli e di farlo assieme.
  Che cosa possiamo evidenziare, però, nel frattempo? C'è una necessità di bonifica. Con deliberazione del Consiglio dei ministri è stato dichiarato lo stato di emergenza per questa contaminazione – questo risale alla precedente legislatura – delle falde idriche dei territori di Vicenza, Verona e Padova.
  Vi leggo l'articolo 1 di questa deliberazione, perché è significativo: «Per l'attuazione degli interventi nel limite complessivo di euro 56.800.000 si provvede – 10 milioni in un certo modo e 46 milioni in un altro modo – a valere sullo stanziamento dell'anno 2018 – ci sono questi denari, il che è un primo elemento – nell'ambito delle risorse assegnate al MATTM per il rifacimento della rete idrica».
  Che cosa possiamo dire di questi denari, allora? Questi denari ci sono e devono essere assegnati. In attuazione della deliberazione del marzo 2018, nella precedente legislatura, io ho assegnato le risorse, perché, se non c'è il decreto di assegnazione, le risorse non si possono spendere. Non c'era stato il tempo di farlo precedentemente, Pag. 15perché si era in chiusura di legislatura. L'ho fatto adesso.
  In buona sostanza, con decreto del 27 novembre del 2018, relativamente recente, il Ministero ha impegnato a favore del Commissario delegato della regione Veneto – il dottor Dell'Acqua, cui facevamo riferimento – la somma di complessivi 56.800.000, quelli previsti dalla deliberazione del marzo 2018. Sono stati subito trasferiti 46 milioni, che sono già nella disponibilità della regione Veneto. In questo anno finanziario, cioè il 2019, assegneremo la residua quota di 10 milioni.
  Non finisce qui, perché, inoltre, il MATTM, considerata la situazione emergenziale – io ho più volte incontrato le mamme; è una vicenda veramente non solo toccante, ma anche forte, robusta, insuperabile ambientalmente, oltre che dal punto di vista sanitario – ha destinato altri 23.200.000 euro per interventi individuati dalla regione Veneto. Vedete quanto sia utile il tavolo di lavoro. In questo caso si fa network. Alla fine, quindi, gli stanziamenti sono 56.800.000 più altri 23 milioni. Sfioriamo tranquillamente gli 80 milioni di euro per queste attività.
  In questo senso, è notizia di stamattina – ma è stato un caso; lo dico, presidente – che l'ISPRA ci ha comunicato la quantificazione del danno ambientale cagionato per i PFAS in queste tre province. È stato quantizzato in 136,8 milioni di euro, che è un dato significativo. È di stamattina, è una «news».
  Perché è importante? Non vi dico che 136,8 milioni è poco, troppo poco o tanto. Non è quello l'elemento. Avendo questo dato, però, noi ci possiamo costituire con l'Avvocatura di Stato nel procedimento a carico della ditta del responsabile dell'inquinamento. Non vi ho riferito per caso l'azione del NOE di Treviso, che cristallizza in termini giudiziari anche i legami tra la Miteni e la Mitsubishi Corporation, perché a noi interessa individuare il «chi inquina paga». Penserà, in questo senso, il tribunale a individuarlo, ma oggi abbiamo la possibilità di costituirci in quel giudizio per almeno 136,8 milioni di euro che devono entrare nelle casse dello Stato, perché devono andare alla bonifica e a riparare quanto di danno questi soggetti hanno cagionato – ricordiamolo – dal 1990.
  Un altro settore caro alla Commissione sono i RAEE. Particolare rilievo riveste, tra le attività del Ministero, la gestione dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche, definiti in acronimo RAEE, che nel corso di questi anni sono stati e sono tuttora oggetto di grande attenzione da parte del legislatore nazionale e di tutti gli operatori coinvolti, tenuto conto che tali apparecchiature possono contenere sostanze altamente pericolose, non solo per la salute, ma anche per l'ambiente – faccio qualche esempio: mercurio, cadmio, cromo e i PCB – e per l'atmosfera (pensate ai gas refrigeranti).
  La presenza di componenti pericolose solleva particolari problematiche nella fase di gestione e di trattamento dei RAEE. Come è noto, inoltre, la produzione di RAEE è cresciuta negli ultimi anni e, con essa, sono cresciute le criticità legate alla corretta gestione.
  Sulla base di ciò il legislatore ha ritenuto necessario prevedere un Comitato di vigilanza e di controllo sulla gestione dei RAEE, istituito presso il mio Ministero, in cui siedono otto membri, tra cui, oltre ai rappresentanti del Ministero dell'ambiente, anche i rappresentanti del MISE, del MEF, del Ministero della salute, del Ministero della pubblica amministrazione e della Conferenza unificata Stato-regioni.
  Trattandosi di un settore che presenta particolari criticità, le attività del Ministero dell'ambiente sono mirate alla realizzazione di condizioni che favoriscano l'incremento delle quantità raccolte e avviate al riciclo, che è l'elemento importante – raccogliere e riciclare e non trovare, invece, questi materiali sul ciglio della strada, come spesso, purtroppo, avviene – a garantire la corretta immissione sul mercato e la loro corretta etichettatura e gestione da parte dei produttori, anche attraverso la verifica delle informazioni trasmesse dagli stessi al registro dei produttori gestito da questo Comitato.
  Il Ministero sta curando l'adozione di un decreto che fa il paio con il decreto Pag. 16n. 235 del 2017 e con il n. 68 sempre del 2017 – sono decreti di natura non regolamentare, quindi un po’ più veloci – di cui al decreto legislativo n. 49 del 2014. Il provvedimento mira a individuare le migliori procedure per il trattamento, il recupero e il riciclaggio dei RAEE.
  Dai RAEE le aziende specializzate ricavano significative quantità di ferro, alluminio, rame e plastica. Le corrette procedure di recupero garantiscono la riduzione degli impatti ambientali causati dal rilascio in atmosfera delle sostanze inquinanti e i loro contenuti e un risparmio sui costi energetici di estrazione, lavorazione e trasporto delle materie prime vergini.
  Tuttavia, non sempre vengono rispettate le corrette procedure per lo smaltimento degli scarti delle operazioni di recupero (pensate ai gas e ai liquidi inquinanti), che comportano oneri di spesa aggiuntivi, oltre al danno ambientale e al danno sociale. Nasce, quindi, un illegale mercato parallelo di materie prime riutilizzabili ottenute con procedimenti illegali, che abbattono i costi di recupero, ma provocano danni sensibili all'ambiente.
  La parte del provvedimento che stiamo scrivendo e che adotteremo a breve, relativa alle procedure di verifica, mira proprio a introdurre un effetto di indirizzo e deterrente che dissuada gli operatori illegali del settore ad adottare modalità di commercializzazione e di recupero dei RAEE difformi da quelle indicate dalle norme di riferimento.
  In buona sostanza, vogliamo anche aggiungere un altro passaggio con campagne di sensibilizzazione. Abbiamo fatto il Piano comunicazione del Ministero dell'ambiente, formalmente proposto sul sito. Con un pizzico di orgoglio, consentitemi di dire che è la prima volta che il Ministero dell'ambiente lo fa. Non era mai successo prima.
  Immaginiamo campagne di sensibilizzazione anche su questo argomento, indicando due questioni quasi banali. Se oggi restituisco un RAEE, nel momento dell'acquisto di un altro chi se lo prende, cioè l'azienda che se lo prende – il negozio, per essere chiari – ha il dovere di prenderlo. Non può dire che non se lo prende. Se lo può anche prendere quando io non ne compro un altro.
  Il rapporto prima era di uno a uno, poi è diventato di uno a zero. Presidente, ne abbiamo parlato in tempi non sospetti. È importante e pochi lo sanno. Pochi sanno che l'uno a zero esiste. Io posso restituire il mio RAEE e l'azienda, ossia il negozio, deve prenderselo, non «può» prenderselo.

  PRESIDENTE. Purché non sia di dimensioni superiori a 25 centimetri.

  SERGIO COSTA, Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Ho capito, ma ce ne stanno di RAEE di dimensioni inferiori ai 25. Questo è importante. Noi stiamo lavorando anche su campagne di sensibilizzazione in questo senso.
  Io avrei un focus sugli incendi presso gli impianti di gestione dei rifiuti, che però è molto corposo. Ve lo faccio vedere: o facciamo notte insieme, oppure mi dite di tornare e vengo la prossima volta.

  PRESIDENTE. Io farei così, visto che questa è quasi un'audizione record.

  SERGIO COSTA, Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Io sono carabiniere: se devo restare qui fino a stanotte, sto qui.

  PRESIDENTE. Innanzitutto, grazie degli approfondimenti, che stanno a cuore a questa Commissione. In accordo con i membri della Commissione procederei nel modo seguente: darei spazio ai membri per fare le domande, lei magari se le appunta, o noi gliele mandiamo e poi ci riaggiorniamo per le risposte; o lei torna, come ha detto, al più presto, o invia risposte scritte, o entrambe le cose.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ARNALDO LOMUTI. Grazie, presidente. Grazie, Ministro Costa, per essere qui oggi. Grazie per le giuste informazioni riguardo al programma del suo Ministero e alle azioni che si metteranno in campo per Pag. 17lasciare alle nostre generazioni future un mondo migliore e, quindi, un futuro migliore.
  Intervengo per avere alcune delucidazioni in materia di monitoraggi e lo faccio riportando un caso specifico che riguarda la mia terra, la regione Basilicata, e l'invaso del Pertusillo, le cui acque sono in un evidente stato di eutrofizzazione dovuta alla presenza di azoto, fosforo e zolfo in concentrazioni molto elevate.
  Questo lago importante è situato lungo il fiume Agri e fornisce acqua da bere e acqua per prodotti agroalimentari e zootecnici a più di 2 milioni di persone tra Puglia e Basilicata e anche altre parti d'Italia e d'Europa per via delle rotte commerciali dei prodotti agroalimentari. Azoto, fosforo e zolfo possono essere provenienti o da scarichi abusivi o da agricoltura intensiva per il dilavamento dei terreni o da attività industriali non tenute adeguatamente sotto controllo.
  Il Pertusillo raccoglie 160 milioni metri cubi di acqua dolce grazie a circa 650 sorgenti del fiume Agri che producono 3.000 litri di acqua sorgiva al secondo. Le attività agroalimentari presenti sono, per lo più, allevamenti zootecnici non intensivi e di aziende agricole a produzione non intensiva di coltivazione di grani, meleti e qualche vigneto.
  Esiste, però, di contro un centro oli per la desolforizzazione di circa 104.000 barili di greggio al giorno, che ha un'estensione di 18 ettari ed è collocato a circa due chilometri in linea d'aria da questo invaso. Esistono anche circa 35 pozzi estrattivi nell'area, tre dei quali a reiniezione, situati per lo più lungo le faglie ad alta attività sismica, oltre che nelle aree abitate o a coltivazione, anche e soprattutto nelle aree di ricerca di bacini idrici permeabili all'acqua piovana, aumentando esponenzialmente e irreversibilmente il rischio di inquinare le falde idriche e le sorgenti del fiume Agri, che alimentano il Pertusillo.
  Dal 2012 al 2017 abbiamo più volte monitorato la presenza di metalli pesanti nelle acque del Pertusillo, utilizzando i dati di un ente certificatore accreditato, l'Acquedotto pugliese, che è anche il gestore di questo invaso, e del suo impianto di potabilizzazione situato nel comune di Missanello, in provincia di Potenza. Abbiamo monitorato in questo periodo sia le acque in entrata che quelle in uscita per l'acqua destinata all'uso potabile.
  I dati di Acquedotto pugliese mostrano che alcuni metalli pesanti, come il bario e il berillio, un isotopo radioattivo cancerogeno, il cobalto, il litio e lo zinco sono presenti all'uscita, cioè dopo la potabilizzazione, quando il quadro normativo non prevede concentrazioni di alcun livello.
  È stato osservato anche che la condizione dell'acqua tal quale prima della potabilizzazione, che è l'acqua che poi raggiunge la maggior parte dei cittadini, perché entra nella catena alimentare umana attraverso la coltivazione dei campi agricoli e l'abbeveraggio degli animali, ha presenza di tutti i metalli pesanti presenti sul pianeta Terra.
  Premettendo che spesso si assiste a svuotamenti e riempimenti della diga, non vorremmo che questi riempimenti coincidessero con i rilievi...

  PRESIDENTE. Scusi, devo interrompere sull'ordine dei lavori. Si limiti soltanto alla domanda. Prego anche chi verrà dopo di essere sintetico. Al limite, per un approfondimento può anche predisporre una relazione scritta. Poi la mandiamo al Ministro.

  ARNALDO LOMUTI. Ero arrivato proprio al punto delle domande. Molte volte gli enti preposti ai monitoraggi effettuano i controlli su quelle acque del Pertusillo dopo lo svuotamento, cioè con acque fresche. Possiamo, quindi, ritenere che questi monitoraggi non siano molto attendibili.
  Volevo chiedere se col suo Ministero ci sarà un obbligo di pubblicazione mensile di quei dati in forte evidenza grafica e comprensibili al cittadino comune per facilitare eventuali segnalazioni spontanee della qualità di queste acque; un divieto di fare analisi di controllo dopo un riempimento della diga con acqua più fresca e nuova; un ritorno alla pubblicazione di analisi mensili; un rapporto chiaro delle condizioni Pag. 18climatiche durante le quali sono eseguiti i controlli dagli enti preposti (se piove, se ha piovuto, se la diga è mezza vuota, se è stracolma); una ricerca di metalli pesanti anche alla foce del fiume Agri, le cui acque sfociano nel mar Ionio; un'analisi costante anche della condizione dei fondali del Pertusillo, perché gli idrocarburi pesanti si depositano sempre sui fondali.
  Ho concluso. Grazie, presidente. Chiedo scusa se mi sono dilungato.

  ROSSELLA MURONI. Grazie, innanzitutto, al Ministro per questa occasione e anche per la relazione che ha portato. È importante incrociare i lavori di questa Commissione con i lavori che sta portando avanti il Ministero dell'ambiente, proprio perché da un punto di vista legislativo è fondamentale che si proceda anche per risolvere problemi che noi qui registriamo sotto forma di devianza, quando il fenomeno è già diventato criminale.
  Le normative che stiamo aspettando, per esempio, sull’end of waste sono fondamentali per fare un'operazione che in questo Paese ancora non si è riusciti a fare: chiudere il cerchio nella gestione dei rifiuti. Questa operazione è tanto più urgente nel momento in cui continuiamo a registrare roghi legati alla presenza di rifiuti.
  Qui ci siamo occupati e ci stiamo occupando anche di quello che è accaduto al TMB Salario, ma lei viene da una terra martoriata da questo punto di vista. Oggi in Commissione ambiente ho proprio depositato, insieme alla collega Rostan, un'interrogazione riguardante i roghi nell'area del giuglianese, l'ultimo caso di una lunghissima serie. È un fenomeno che riguarda moltissimi territori nel nostro Paese.
  È evidente che noi non siamo in grado di dire che ci sia una regia comune, anzi, probabilmente non è questo il problema. C'è, però, un metodo comune che si sta portando avanti. Dare fuoco ai rifiuti è evidentemente un modo per creare un allarme e un'emergenza sul territorio, in cui – lei lo sa molto meglio di me, vista la sua lunga carriera – la criminalità organizzata si infila. Laddove, di fronte a un'emergenza, lo Stato non riesce a fornire una risposta, non in termini di ordine pubblico o di intervento immediato, ma di una via alternativa, la criminalità organizzata si infila.
  Questo vale sul fronte dei rifiuti, ragion per cui è davvero urgente che i decreti sull’end of waste escano per mettere in sicurezza i territori e le persone. Voglio sottolineare, però, anche il fatto che dobbiamo mettere in sicurezza l'industria nazionale. Questo è anche un atto patriottico, quindi, perché è vero ed è giustissimo, secondo me, anticipare le direttive europee, ma è necessario, ancor di più, mettere nelle condizioni i nostri imprenditori di sviluppare un filone serio e monitorato che su questo possa crescere.
  In merito alla definizione delle bioplastiche come sta venendo fuori dalla Commissione europea c'è stato, io so, anche un contrasto, perché è evidente che l'Italia abbia l'interesse maggiore di andare avanti sul tema delle bioplastiche, di difenderle e di dare loro una legittimità e, finalmente, una solidità anche in termini normativi. Da questo punto di vista la sollecito a verificare anche nella normativa che verrà sul Salva mare, di cui sono molto contenta, che il tema delle bioplastiche sia in qualche maniera intrecciato e che aiuti anche in questo senso, non solo in termini di tutela, ma anche proprio di promozione di un settore che tanta soddisfazione può dare al nostro Paese anche in termini di posti di lavoro, oltre al fatto di ricordare che è un'intuizione tutta italiana.
  Sul tema della salvaguardia della risorsa idrica è arrivata in Commissione – l'abbiamo incardinata e ci sono stati tre mesi di audizione – la legge sull'acqua. C'è un tema della salvaguardia delle risorse idriche che nel nostro Paese è fondamentale. Le chiedo anche su questo fronte quale può essere il terreno e che cosa ha intenzione di fare.
  Peraltro, giustamente, il collega ricordava il tema del lago Pertusillo, una vicenda assolutamente emblematica da questo punto di vista. Tuttavia, lei, di nuovo, sa meglio di me che ne potremmo raccontare tante.
  Oltre a rifiuti e acqua, con il collega Vignaroli stiamo seguendo il disegno di Pag. 19legge sul riuso proprio in questa direzione, perché siamo, io credo, comunemente convinti che si debba creare una strada legale, certificata e promozionale. Come ci siamo sempre detti, la moneta buona scaccia la moneta cattiva. Credo che questo debba essere il rapporto con cui la Commissione ecomafie sul traffico dei rifiuti lavori in sinergia con il Ministero.

  ANDREA FERRAZZI. Grazie, Ministro. Concordo col presidente e chiedo se sia possibile avere delle risposte almeno scritte a queste domande molto puntuali.
  Con riguardo alla mia prima domanda, la questione dei fanghi e delle acque reflue in agricoltura l'abbiamo visto nel decreto Genova da lei citato. Il voto in Parlamento è stato molto legato a questa attesa norma nazionale atta a superare l'emergenza strutturale di cui lei ha parlato. Vorremmo capire in maniera un po’ più analitica, se possibile, tempi e soprattutto indirizzi, cioè qual è la linea che il Governo intende seguire per risolvere questa questione.
  Quanto alla questione dell’end of waste, il Parlamento non è riuscito nemmeno nel «decreto semplificazione» ad affrontare la questione. Aveva già provato ad affrontarla nella legge di bilancio. Lei aveva, giustamente, sollevato il caso. D'altro canto, la stessa sentenza del Consiglio di Stato dice che è necessaria una normativa nazionale in recepimento della direttiva europea. Su questo, come primo firmatario, avevo presentato in Senato una linea di risoluzione. Vorremmo capire anche in questo caso i tempi, perché la questione è importante, per evidenti motivi che è inutile sottolineare tra di noi.
  Una questione collegata, come conseguenze negative nel caso in cui non dovesse essere affrontata, è la questione dei rifiuti speciali. C'è una sotto presenza di impianti per la gestione di questi tipi di rifiuti nel nostro Paese. Ci sono varie proposte da parte sia dei mondi ambientalisti, sia, per esempio, della Confindustria di utilizzare a pieno carico gli impianti stessi. Poiché la questione è vera, come intende affrontarla?
  Sui PFAS anche qui apprezzo la notizia che adesso ci ha dato, in modo tale che ci si possa rivalere nei confronti di Miteni in tutti i modi, anche dal punto di vista economico, almeno per la cifra certificata dall'ISPRA. Anche qui, però, vorrei conoscere qualcosa sulla regia e sulla bonifica vera e propria, perché è un passaggio fondamentale.
  Passo alle ultime questioni veloci. La prima riguarda i rifiuti radioattivi. A che punto è la pubblicazione della carta delle aree potenzialmente idonee? Aveva detto che eravamo in attesa dell'aggiornamento. Vorrei sapere se ci può dire qualcosa.
  Come penultima questione, lei ha più volte annunciato che desiderava fare una sorta di tagliando della legge n. 68, quella sui reati ambientali. Si tratta di una legge che è sicuramente stata innovativa e importante. Tra l'altro, proprio dal report fatto da Legambiente e poi da altri soggetti risulta che sia stata una legge che ha raggiunto l'obiettivo, per tanti motivi che adesso non approfondiamo. In che direzione pensa di fare questo tagliando, visto che si tratta di una legge che sta funzionando e che sta funzionando bene, perché fa emergere le questioni e le colpisce anche?
  Passo all'ultimissima questione, la legge sul sistema nazionale della protezione dell'ambiente, la n. 132 del 2016. A che punto siamo coi LEPTA? A che punto siamo con il regolamento degli ispettori e, quindi, anche con tutta la questione degli ufficiali di Polizia giudiziaria e su quella del tariffario unico nazionale per applicare l'articolo 15 e, dunque, il giustissimo principio per cui chi inquina paga?

  PRESIDENTE. Dopo il vicepresidente Ferrazzi interviene l'altro vicepresidente, Briziarelli.

  LUCA BRIZIARELLI. Intanto grazie al Ministro per il quadro molto ampio con il quale ci ha fatto questa prima visita. Come ha detto, sarà un'abitudine confrontarci. Faccio due premesse.
  Anche per le novità della legge istitutiva della Commissione bicamerale di inchiesta è ovvio che il lavoro della Commissione bicamerale si intrecci e debba tener conto, da un lato, dell'attività delle Commissioni Pag. 20permanenti di Camera e Senato e, dall'altro, delle iniziative da parte del Governo.
  Parto con un esempio. Noi abbiamo fatto audizioni qui sul problema degli shopper e delle bioplastiche, abbiamo un affare assegnato in Senato su quest'argomento, c'è un emendamento a mia prima firma che è passato in legge di bilancio e abbiamo la sua iniziativa su questa materia. È ovvio è che le cose si incrocino e si compenetrino.
  In particolare, relativamente a questo, ci sono tre aspetti innovativi sui quali, peraltro, vorrei interloquire. Il primo è la visita agli impianti che possono costituire un modello positivo. Occorre non solo una Commissione bicamerale d'inchiesta che indaghi e individui, ove possibile, nel massimo rispetto dei ruoli, le responsabilità, ma anche una Commissione d'inchiesta in grado di evitare e prevenire, perché è ovvio che la prima prevenzione è un sistema che funzioni e sul quale non possano attecchire aspetti illeciti.
  In secondo luogo, come diceva il collega Ferrazzi, la Commissione ha fra le sue funzioni un check della legge n. 68. Su questo dovremo trovarci.
  Come ultimo aspetto, la Commissione ha fra gli obiettivi quello della verifica della normativa ambientale. Si tratta, cioè, di vedere dove si possa agire, come dicevo prima, in prevenzione.
  Fatta questa premessa, pongo alcune questioni specifiche di carattere generale. Non mi soffermo sui cahiers de doléances che ognuno di noi ha magari a livello territoriale e che potrà essere approfondito. Lei ha aperto con i SIN, dicendo che ce n'è uno in più. Immagino ci sarà occasione di analizzare la strategia da parte del Ministero per l'individuazione di quelli nuovi e per l'individuazione dei SIR.
  Venendo alle questioni generali – alcune sono state già toccate – la prima riguarda l'impiantistica. Al di là dell’end of waste, che rimane appeso, nell'ultima audizione che abbiamo avuto del Comitato TMB Salario è emerso, sia nella relazione che hanno fatto i Comitati, sia in quella che ci hanno portato dell'ARPA, un punto secondo noi nevralgico, che era anche oggetto di uno degli emendamenti che poi non sono finiti nel «decreto semplificazione», quello della qualità degli impianti.
  Vi si segnalava espressamente – questo riguarda il TMB Salario, ma lo prendo come esempio del sistema impiantistico generale – che, a fronte di un'autorizzazione del 35 per cento minimo, l'impianto lavorava al 19,7. Lei sa bene come la pensiamo noi, come Lega, sulle autorizzazioni end of waste su scala regionale, mentre a livello nazionale riteniamo che debbano essere individuati dei criteri minimi qualitativi.
  Non è immaginabile che il prodotto che gira dentro un impianto – diciamo così in maniera quasi formale – possa essere considerato poi rifiuto speciale e non tal quale con quelle percentuali di scarto e quelle percentuali di resa. Questo deve essere, chiaramente, un compito a livello nazionale. Dobbiamo avere la possibilità di avere un quadro nazionale di riferimento per sapere che gli impianti sono tali, i rifiuti viaggiano con determinate definizioni se c'è una corrispondenza qualitativa rispetto a quella formale. Questo, ovviamente, eviterebbe a monte tutta una serie di illeciti e di situazioni che portano a dover bonificare zone. Se noi intervenissimo, questo aspetto verrebbe meno. Le chiedo come intende muoversi.
  Passando a un altro tema, la prima visita che abbiamo fatto è stata presso l'Agenzia delle dogane. In quell'occasione, ci sono state segnalate delle criticità relativamente alle discrepanze su scala europea. È chiaro che, nel momento in cui noi agiamo in una determinata maniera, se poi tutti i Paesi non sono portati a fare lo stesso, rischiamo di avere un danno sui traffici buoni per i controlli che ci sono. C'era anche un problema di personale che ci hanno segnalato anche in rapporto al blocco delle assunzioni e del turnover.
  Da ultimo – l'ho segnalato io; anche su questo c'era un emendamento che è stato impallinato, ma che ho ripresentato come disegno di legge – sulle competenze, attualmente su più testi legislativi ci sono competenze addirittura, per esempio, in capo alle province sui controlli sui trasferimenti di rifiuti, quando è evidente che le province non hanno il personale e che questo si Pag. 21limita a essere un controllo previsto, ma non attuato. Non ci sono, peraltro, comunicazioni, come ci segnalavano le dogane a un'espressa domanda, che mettano loro in condizione di avere una visione.
  In questo momento fra province, regioni e Agenzia delle dogane non abbiamo una linearità. Abbiamo funzioni comunque allocate e ripartite in maniera tale da non favorire quei controlli. Pertanto, è chiaro che noi, come Commissione che ha fra i suoi compiti quello di vigilare sul traffico transnazionale di rifiuti, dobbiamo segnalare un possibile intervento che potrebbe a monte mettere in condizione tutti di operare meglio e fungere anche da deterrente.
  Anche sui RAEE abbiamo uno degli affari assegnati alla Commissione, ma verificare e controllare in un vuoto normativo complessivo rappresenta un problema. Alcuni anni fa per credo tre mesi, non di più, perché tanto è durata la pressione di aver introdotto ed espunto dalla legislazione determinate regole, si erano posti dei paletti ferrei su chi potesse raccogliere e utilizzare i RAEE. Visti i tempi, mi riservo di mandare l’input preciso. Si potrebbe immaginare di agire in termini di legislazione perché, a quel punto, eviteremmo quel terreno di nessuno che può essere foriero di problemi.
  Relativamente agli aspetti territoriali, mi limito a citare una scelta che ha preso la Commissione. Immagino che lei abbia letto quali sono le quattro regioni che abbiamo individuato come prioritarie, ossia Basilicata, Calabria, Veneto e Umbria. In ordine, perché l'azione della Commissione non possa essere neanche lontanamente strumentalizzata, abbiamo previsto per prima l'Umbria, perché non è interessata da elezioni regionali, e poi le altre a cascata.
  Non saranno ancora oggetto di riflessione, ma lo saranno presto, soprattutto per quanto riguarda Calabria e Basilicata e, più in generale, l'intero sud del Paese, dove si registra, da un lato, il maggiore incremento di raccolta differenziata (sulla qualità dovremmo discutere), e, dall'altro, l'assenza più marcata di impiantistica. Le chiedo quale possa essere l'azione che intende adottare per evitare fatti drammatici, come quello degli incendi, ma anche quello di viaggi più o meno trasparenti, più o meno leciti e più o meno sostenibili sul piano ambientale fra il sud e il nord del Paese di merci la cui tipologia e qualità dichiarata non sempre, purtroppo, dalle inchieste e dalle indagini sono risultate essere quelle effettivamente riscontrate. Dico questo per chiudere con il tema da cui eravamo partiti.
  Come ultimo appunto – chiedo scusa se torno al primo punto, perché l'avevo saltato – lei parlava dei siti orfani, in apertura del suo intervento. Da questo punto di vista, la domanda è se i siti orfani lo sono solo e soltanto sul piano della «proprietà» e responsabilità o anche sul piano della discrepanza fra la normativa relativa al post mortem.
  Ovviamente, tutte le discariche che hanno chiuso prima di una determinata data regolarmente e legalmente avevano determinate caratteristiche, perché la legge non prevedeva determinati requisiti. Pur essendo state gestite legalmente, però, producono dei danni a livello ambientale.
  Noi abbiamo un problema – ritengo – di siti orfani sul piano della proprietà e della responsabilità, ma anche sul piano della vacatio, perché, pur essendo queste discariche legali, producono dei danni sul tema ambientale. Chiedo se su questo punto aveva immaginato di prendere in considerazione solo le une o anche le altre.

  MARZIA FERRAIOLI. Ringrazio il Ministro anche in ragione della complessità della relazione, puntualissima e ricca di suggerimenti. Sui suggerimenti mi aggancio con una considerazione molto banale, se me lo consente. Non ha niente a che fare con il reddito di cittadinanza. Non voglio essere equivocata, ovviamente.
  Pensavo alla carenza di lavoro nel nostro Paese. I lavori di una volta sono scomparsi e nuove professioni non se ne vedono. I giovani, ma anche i meno giovani, anche gli anziani, hanno bisogno di sentirsi utili e di lavorare. Magari esiste e dico una sciocchezza, ma perché non istituire a livello di servizio civile la raccolta in capo ai giovani, ma anche ai pensionati che hanno voglia Pag. 22ancora di fare qualcosa, di queste bioplastiche? Il discorso dei pescatori è più che intelligente, ma perché non trasformare quest'attività in un lavoro autonomo, magari collegato al servizio civile? Chiedo scusa, non so se c'è.
  La stessa cosa, sempre che lei me lo consenta, andrebbe prevista in relazione alle pulizie delle spiagge. Le bioplastiche che ritroviamo in mare sono anche quelle riagganciate dall'onda sulla spiaggia. Se le spiagge fossero pulite, tutto quanto resta sulla spiaggia non finirebbe in mare. Non so se anche questo sia già previsto, ma sono – l'ho detto anche ieri e lo ribadisco anche oggi – novizia di questa Commissione e di questo tema. Mi sono occupata di altro nella mia vita lavorativa.
  Immaginavo, quindi, la pulizia delle spiagge, ma non come lavoro socialmente utile, bensì come servizio civile. Lo stesso varrebbe per le bioplastiche in mare, per persone che vivono in comunità montane, lontane dalla città, e per gli operatori ecologici che non puliscono le strade delle città. Lei vive Roma esattamente come la vivo io. C'è spazzatura dappertutto e non la vedo raccogliere da alcun operatore ecologico.
  Credo che, se si cominciasse da questa banalità, quella di tenere pulite le spiagge, le montagne e le strade, probabilmente avremmo un aspetto civico più dignitoso e ci sarebbe un'educazione civica ancora più forte o esattamente pari alla forza che lei indicava in relazione alla formazione scolastica. Se i ragazzi vanno a scuola e imparano delle cose e poi escono e vedono quello che c'è tutto intorno, c'è una contraddittorietà che dovremmo eliminare.
  Volevo inoltre affidarle, in qualità di abitante della Campania, il fiume Sarno, che è un vero disastro.

  GIOVANNI VIANELLO. Ringrazio anche il Ministro Costa, sempre attento e preparato sulle materie di competenza ambientale.
  Ieri abbiamo avuto l'opportunità di ascoltare qui in audizione il Presidente Cantone dell'ANAC, il quale ha fornito alcuni spunti interessanti per quanto riguarda le gare e gli appalti che si fanno in ambito dei rifiuti. In merito ha messo in evidenza le difficoltà e le problematiche che si creano quando ci sono ARO e ATO troppo grandi, perché l'omogeneità dell'appalto diventa praticamente impossibile. Ci sono dei contesti con più comuni con particolarità diverse l'una dall'altra, ragion per cui si pone la difficoltà nel fare appalti.
  Certo, si è fatto il caso dell'ATO sud Toscana, ma, per esempio, recentemente anche la regione Puglia ha modificato la normativa regionale e da sei ATO ha costituito un ATO unico. Pertanto, attualmente, oltre ai rifiuti che vengono già da fuori regione, dovuti alle autorizzazioni che la stessa regione rilascia agli ampliamenti delle enormi discariche esistenti – è inevitabile, quindi, che arrivino da fuori – contestualmente, anche con l'ATO unico all'interno della regione ci sono rifiuti che da Lecce vanno a Foggia, nella stessa regione, a causa dell'ampiezza dell'ATO.
  Vorrei sapere se su questo argomento di ARO e ATO il Ministero prevede di fare qualche modifica a livello normativo o comunque di discutere anche con il Parlamento.
  Un'altra piccola questione che vorrei mettere all'attenzione del Ministro, cui potrà rispondere anche successivamente, è che recentemente è partito il processo per lo smaltimento illegale di milioni di tonnellate di rifiuti speciali pericolosi e non nella Gravina di Leucaspide, che si trova al confine tra Taranto e Statte. La procura afferma che sia stata proprio l’ex dirigenza dell'ILVA, cioè la famiglia Riva, con altri tecnici nelle figure apicali, ad aver generato questo disastro, che ha cambiato addirittura a livello geomorfologico il letto della Gravina, un fatto davvero sconvolgente.
  Il PM, Mariano Buccoliero, ha rivendicato tra le varie parti offese anche il Ministero dell'ambiente, che però, purtroppo, al momento non risulta si sia ancora costituito parte civile. Questa potrebbe essere una buona occasione per dimostrare interesse e seguire questa vicenda, che è davvero raccapricciante e non è nient'altro che l'ennesima situazione che la famiglia Riva ha creato nei confronti di Taranto.

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  PIETRO LOREFICE. Grazie, Ministro. Io mi sono perso la prima parte. So che lei ha fatto un cenno sui siti di interesse nazionale per le bonifiche. Faccio una domanda secca. Se ha già risposto, mi dispiace per la domanda.
  Nei siti di interesse nazionale ci sono parti di bonifica in capo a privati, ma anche in capo a soggetti pubblici. Paradossalmente, alcune di quelle in capo ai soggetti pubblici sono quelle che hanno la maggiore carenza. Lei ha evidenziato questo punto, sta ponendo la giusta attenzione per quei siti da bonificare che sono a carico dello Stato o della regione o comunque di soggetti pubblici? Noi dovremmo dare l'esempio e perciò vigilare su quello che devono fare i privati, ma anche i soggetti pubblici devono fare la loro parte.
  Ho assistito, qualche mese fa, a una sua audizione in Commissione ambiente al Senato. Lei ha manifestato la carenza di personale del suo Ministero, che, chiaramente, limita la sua azione. Lei può lavorare anche 24 ore al giorno ma, senza un Ministero, non ce la può fare. Le siamo grati per il grande sforzo, ma da soli non riusciamo a fare tutto quello che è necessario fare, anche per recuperare il tanto tempo perso negli anni passati.
  Le chiedo se è in grado di fornire qualche aggiornamento. Ha parlato di concorsi pubblici. Io ho attinto notizie dalla cronaca. La situazione di Sogesid, quello che era il «braccio tecnico» del Ministero fino a qualche mese fa, a che punto è?
  In ultimo, ho capito che la collaborazione con questa bicamerale sarà costante. La ringrazio e ne sono veramente contento. Come possiamo ottimizzare questo rapporto e anche il rapporto tra i singoli commissari e il Ministero di riferimento?

  PRESIDENTE. Sono stato abbastanza morbido, perché non ci siamo focalizzati soltanto sugli illeciti, che sono la materia principale di questa Commissione, ma ne abbiamo approfittato, vista anche la disponibilità del Ministro, per fare una panoramica molto ampia.
  Per quanto riguarda i PFAS, un argomento che sta molto a cuore alla Commissione – ci abbiamo lavorato anche nella scorsa legislatura – le consegno la documentazione dell'Istituto superiore di sanità sui limiti che andrebbero inseriti nel decreto n. 152 e una relazione redatta dai consulenti della Commissione, che ci hanno lavorato tanto.
  Per quanto riguarda la prevenzione, un tema che mi sta particolarmente a cuore, magari la prossima volta vorrei degli aggiornamenti sul Piano di prevenzione, che è sempre stato lettera morta, e sul vuoto a rendere.
  Ci sono due tipi di vuoto a rendere, uno che si occupa prevalentemente di riciclo, e un altro che si occupa di prevenzione. Quello che a fatica siamo riusciti a far diventare legge nella scorsa legislatura riguarda la prevenzione del rifiuto, ma è rimasto un provvedimento morto, non applicato. Vorrei avere notizie. Andrebbe modificato, perché era stato fatto un compromesso, che andrebbe rivisto.
  Ieri è venuto il commissario alle bonifiche, il generale Vadalà. Nel caso specifico, ha anche allertato per quanto riguarda la procedura di infrazione su Malagrotta, che potrebbe riaprirsi. Volevo sapere come il Ministero intende comportarsi per prevenire le possibili nuove infrazioni. A volte non dico che basti poco, ma basterebbe un impegno a mettere i vari soggetti intorno a un tavolo.
  Per quanto riguarda i CAM, è ottimo l'imminente decreto dell’end of waste sulle plastiche miste, che avevo fortemente voluto nella scorsa legislatura. Ci sono due modi per poter utilizzare i materiali di scarto da riciclo e non farli magari incendiare in un capannone, come adesso avviene: o incentivare – c'è anche questo incentivo, questo fondo di cui ha parlato prima – oppure mettere nei CAM l'obbligatorietà di utilizzare quel materiale. Credo che questa sia la strada maestra.
  Purtroppo, però, ieri Cantone è stato abbastanza pessimista e duro. Ha detto che i CAM sono – sì – un passaggio storico e che sono stati da lui fortemente voluti, ma anche che fino adesso sono e probabilmente rimarranno lettera morta, perché è difficile controllare ed è difficile soprattutto formare chi deve poi applicarli e fare Pag. 24i bandi come andrebbero fatti. Vorrei conoscere la questione in maniera ancora più approfondita. Mi raccomando di curare molto questo aspetto, che sarà fondamentale.
  Per quanto riguarda i RAEE, è ottima la comunicazione. Va fatta, perché è chiaro che nessuno conosce non solo l'uno a uno, ma neanche l'uno a zero, anche perché per i distributori di elettronica è solo una scocciatura. A volte questa legge è stata segnalata, ma nella cassa in basso, che solo i gatti possono vedere. Questo è fondamentale.
  Non so se ha detto che c'è al Ministero un organo di controllo e indirizzo per quanto riguarda i RAEE. Va costituito, perché è dal 2014 che non è mai stato istituito.
  Per le fideiussioni vorrei sapere chi e come può attribuire il rating delle società di assicurazione, se c'è un contatto e com'è la situazione di dialogo con l'IVASS, che in tema di fideiussione è l'ente principale.
  Per quanto riguarda gli shopper, come Commissione, abbiamo istituito un accordo con Assobioplastiche. Ci teniamo fortemente a fare dei controlli per risalire dal piccolo a tutta la filiera che c'è a monte.
  La legge dell'usato è già stata trattata. Il Ministero dovrebbe già da tempo aver emanato dei decreti attuativi sulle isole ecologiche, il che è importante.
  Quanto alle sanzioni, prima il vicepresidente Briziarelli parlava delle province che devono fare i controlli. Attualmente accade anche che, se la Polizia locale o un comune fanno una contravvenzione per quanto riguarda l'abbandono di rifiuti, quei soldi vanno alle province. Questo, secondo me, è un meccanismo contorto, perché le province non fanno molti controlli e chi fa i controlli poi non ha i soldi a disposizione, nemmeno vincolati per un uso ambientale. Secondo me, bisognerebbe modificare questa normativa e dare a chi fa le multe i soldi delle sanzioni. Sarebbe anche uno stimolo in più per chi va a controllare e a fare le sanzioni.
  Ho chiuso le mie domande. Suggerirei di riaggiornarci. Magari decideremo noi in Ufficio di presidenza – ci teniamo in contatto – se optare per una risposta scritta più immediata, oppure riaggiornarci qui e discutere.

  SERGIO COSTA, Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Non vi libererete di me.

  PRESIDENTE. Va bene. Ci aggiorniamo.
  Ringraziando il Ministro Costa della disponibilità, dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.