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Resoconti stenografici delle audizioni

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XVIII Legislatura

Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale

Resoconto stenografico



Seduta n. 2 di Giovedì 7 marzo 2019

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Invernizzi Cristian , Presidente ... 3 

Audizione di Stefano Bonaccini, Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome e Presidente della Regione Emilia-Romagna, in materia di autonomia finanziaria delle Regioni e di attuazione dell'art. 116, terzo comma, della Costituzione:
Invernizzi Cristian , Presidente ... 3 
Bonaccini Stefano , Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome e Presidente della Regione Emilia-Romagna ... 3 
Invernizzi Cristian , Presidente ... 7 
Raffa Angela (M5S)  ... 7 
De Menech Roger (PD)  ... 7 
Russo Paolo (FI)  ... 8 
Errani Vasco  ... 8 
Grimaldi Nicola (M5S)  ... 9 
Invernizzi Cristian , Presidente ... 9 
Bonaccini Stefano , Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome e Presidente della Regione Emilia-Romagna ... 9 
Invernizzi Cristian , Presidente ... 13 
Caparini Davide Carlo , Coordinatore della Commissione Affari finanziari della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome ... 13 
Navarra Pietro (PD)  ... 14 
Caparini Davide Carlo , Coordinatore della Commissione Affari finanziari della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome ... 15 
Invernizzi Cristian , Presidente ... 16 

ALLEGATO: Documentazione presentata dal Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome e Presidente della Regione Emilia-Romagna ... 17

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
CRISTIAN INVERNIZZI

  La seduta comincia alle 8.30.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-TV della Camera dei deputati.

Audizione di Stefano Bonaccini, Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome e Presidente della Regione Emilia-Romagna, in materia di autonomia finanziaria delle Regioni e di attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, ai sensi dell'articolo 5, comma 5, del Regolamento della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale, di Stefano Bonaccini, presidente della Conferenza delle regioni e delle province autonome e presidente della regione Emilia-Romagna, in materia di autonomia finanziaria delle regioni e di attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione.
  Il presidente Bonaccini è accompagnato da Davide Carlo Caparini, coordinatore della Commissione affari finanziari della Conferenza delle regioni e delle province autonome.
  Si tratta della seconda audizione della Commissione. L'occasione è particolarmente significativa in ragione del lavoro che la Commissione sta svolgendo in tema di attuazione dei princìpi di autonomia degli enti territoriali e locali e del relativo regime finanziario e sui temi delle iniziative in atto, relative all'attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione.
  Ricordo che nelle prossime settimane ascolteremo anche i presidenti delle regioni Lombardia e Veneto.
  Nel ringraziarla, presidente, per la disponibilità dimostrata, le cedo la parola per lo svolgimento della sua relazione.

  STEFANO BONACCINI, Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome e Presidente della Regione Emilia-Romagna. Io intervengo ovviamente come presidente della regione Emilia-Romagna. Poi Davide Caparini, che è presidente della Commissione bilancio della Conferenza delle regioni e delle province autonome, potrà fare l'altra parte. Io, peraltro, vi chiedo scusa, ma sono convocato dal Presidente del Consiglio in persona a Palazzo Chigi per una questione che riguarda le regioni e vado come presidente della Conferenza.
  Provo in pochi minuti a descrivervi quello che l'Emilia-Romagna sta facendo, in ragione di un percorso che è iniziato, come sapete, poco meno di due anni fa. Infatti, noi ci approcciammo alla discussione sulla richiesta di autonomia cosiddetta «differenziata», partendo dal comma 3 dell'articolo 116, nel luglio del 2017.
  Il progetto di autonomia rafforzata dell'Emilia-Romagna è stato costruito con l'intento di affrontare in modo più adeguato le sfide del governo regionale e della società per come è cambiata e sta cambiando. L'obiettivo che ci siamo posti è quello di rafforzare la capacità di risposta del sistema regionale ai bisogni dei cittadini e delle imprese, in particolare: per spendere meglio e più in fretta; per avere servizi migliori, più efficaci ed efficienti; per superare Pag. 4 le sovrapposizioni burocratiche tra Stato, regioni ed enti locali e per semplificare i procedimenti amministrativi, oltre che i processi autorizzativi; infine, per programmare di più e meglio, tanto per gli investimenti quanto per i servizi, in un Paese che troppo spesso vive del giorno per giorno e in cui lo sguardo della politica si è fatto sempre più corto.
  La nostra richiesta di autonomia non parte da un pronunciamento referendario, come è avvenuto in altre regioni. Se la domanda fosse stata anche da noi «volete più autonomia?», non ho grossi dubbi su come avrebbero risposto i concittadini dell'Emilia-Romagna.
  Abbiamo, invece, mosso dalla concertazione istituzionale e sociale con tutti i soggetti che a inizio 2015 sottoscrissero con noi il patto per il lavoro della regione Emilia-Romagna: comuni e province, camere di commercio e università, associazioni di categoria e organizzazioni sindacali, professionisti e terzo settore.
  Tutti questi soggetti hanno partecipato alla redazione di un progetto che non è per l'autonomia dell'ente regione, ma per l'autonomia del sistema territoriale dell'Emilia-Romagna. Non vi sembri cosa di poco conto, perché, oltre a essere previsto dal terzo comma dell'articolo 116, il coinvolgimento degli enti locali per noi è da sempre questione sostanziale, come d'altra parte la concertazione con le parti sociali è nel DNA della nostra regione.
  Non è un caso che non si sia levata una sola voce che ci accusi di aver concepito una proposta dirigistica o che paventi il rischio di un centralismo regionale in Emilia-Romagna. Non è la nostra storia, non vuole essere il nostro progetto.
  La seconda caratteristica peculiare della proposta, strettamente legata alla prima, è che non nasce individuando nell'autonomia un obiettivo, bensì uno strumento. Non siamo partiti chiedendoci di quanta autonomia avessimo bisogno, ma quali obiettivi intendevamo realizzare e, in forza di questi, di quale autonomia servisse.
  Mi permetto di esplicitarne alcuni per titoli per farmi comprendere meglio. Il primo è la programmazione degli investimenti negli ambiti per noi cruciali dell'edilizia scolastica, sanitaria e universitaria, in materia di rigenerazione urbana e messa in sicurezza del territorio rispetto al dissesto idrogeologico e al rischio sismico e in materia di viabilità stradale e ferroviaria.
  Il secondo concerne la programmazione delle politiche di sostegno all'internazionalizzazione, alla ricerca e all'innovazione delle imprese, nonché delle politiche attive del lavoro, partendo dall'orientamento, passando per l'istruzione e la formazione professionale, per arrivare a quella universitaria e post-universitaria.
  Il terzo sono le politiche di sviluppo territoriale, con un'attenzione particolare alla montagna, il nostro territorio più fragile, e alle zone economicamente più deboli. Segnalo che non possiamo dimezzare l'IRAP alle imprese della montagna, perché una norma dello Stato ce lo impedisce, pur avendo stanziato noi, con risorse nostre, per il prossimo triennio 36 milioni di euro di risorse regionali allo scopo.
  Come dico sempre, non credo che stiamo attentando all'unità del Paese né a indebolire territori già più deboli se chiediamo di permetterci di farlo, a risorse nostre, senza chiedere un euro di più allo Stato.
  Il quarto concerne le politiche di promozione e valorizzazione – si badi bene, non di tutela – del nostro patrimonio storico, artistico e culturale, sia esso statale, regionale o comunale.
  Il quinto riguarda le politiche di sviluppo della sanità, rimuovendo i vincoli che ostacolano l'autonoma determinazione della spesa del personale e del reclutamento – mi riferisco alla possibilità di avere più posti di specializzazione – della compartecipazione dei cittadini alla spesa sanitaria. Sottolineo che quest'anno abbiamo dovuto chiedere a una norma dello Stato di autorizzarci a eliminare il superticket fino a 100.000 euro di risorse annue per ogni famiglia, con risorse ovviamente anche in questo caso nostre, senza chiedere un euro in più e nell'assoluto rispetto del pareggio di bilancio.
  Ho fatto questo elenco – e potrei continuare – per restituirvi il senso di due cose importanti che non trovate nel dibattito Pag. 5generale sull'autonomia. La prima è che quando sentite parlare del numero delle materie richieste, ad esempio ventitré del Veneto e della Lombardia, quindici dell'Emilia-Romagna o tredici del Piemonte, si sta parlando di niente. L'articolo 116 indica certamente i titoli delle materie, ma, visto che nessuno ha mai scomposto davvero questi titoli in funzioni, se non si entra concretamente nel merito di quali funzioni esattamente si propone il trasferimento, allora può starci tutto e il contrario di tutto, come proverò a indicare.
  La seconda è che, proprio per affrontare questo problema, noi abbiamo indicato gli obiettivi e, di conseguenza, le funzioni specifiche che ci servono per poterli realizzare. Faccio un esempio concreto su un tema caldo, che viene costantemente evocato: quello della scuola. Certamente è tra le materie che noi abbiamo chiesto. Se non si precisa, però, di quali funzioni specifiche si sta parlando – già oggi Stato, regioni, province e comuni hanno diverse funzioni in materia di scuola – si rischia di fare una discussione astratta o forse ideologica.
  Nel merito, l'Emilia-Romagna non chiede la regionalizzazione della scuola, non vuole occuparsi del reclutamento o dell'inquadramento e della contrattualizzazione del personale scolastico, non chiede di regionalizzare neppure l'ufficio scolastico regionale. Noi vogliamo, invece, co-determinare la programmazione degli organici, perché abbiamo l'ambizione, ad esempio, di sapere con certezza quanti ragazzi andranno a scuola l'anno prossimo e dove nel nostro territorio, mentre troviamo inaccettabile che nel 2019 si proceda ancora con l'assegnazione dell'organico di diritto e poi dell'organico di fatto, con l'unico risultato che a settembre i ragazzi spesso non hanno ancora gli insegnanti.
  Come vedete, il nostro progetto non ha nulla a che fare con gli insegnanti dipendenti della regione, con graduatorie separate, con contratti di lavoro diversi, con la libertà di insegnamento o l'autonomia scolastica, tutte questioni su cui non abbiamo la minima intenzione di entrare. Noi pensiamo di poter dare, invece, una mano a far funzionare quello che non funziona, non di sostituirci allo Stato in compiti che, per quanto ci riguarda, riteniamo sia giusto svolga lo Stato.
  Viceversa, vorremmo poter programmare gli interventi per l'edilizia scolastica. Anche in questo caso proviamo a ragionare fuori dai luoghi comuni che si leggono nel dibattito. Siamo a marzo e io, come gli altri presidenti, non so ancora quanto lo Stato ci metterà a disposizione quest'anno. In un Paese serio si stabilisce una cifra adeguata e costante nel tempo e su quella le regioni e gli enti locali dovrebbero poter programmare investimenti certi.
  Noi diciamo, quindi: risorse certe e programmabili per le funzioni di cui parliamo nel nostro progetto. Se riusciamo a far capire questo, allora si capirà che la controparte per noi non sono le altre regioni, ma lo Stato nella sua capacità di organizzare un bilancio di respiro nel tempo.
  Noi proviamo a fare così e vorremmo che lo Stato facesse altrettanto. Noi – voglio essere molto chiaro – non chiediamo un euro in più di quanto già oggi lo Stato spende per il nostro territorio, ma, anziché decidere anno per anno e magari a fine anno quando non si riesce più a spendere, noi chiediamo di giocare a carte scoperte. Se si organizza così l'autonomia, allora sia le regioni che lo Stato sono costretti a fare le cose un po’ più seriamente.
  Noi siamo da sempre una regione con standard alti. Lo certificano tutti gli indicatori: quelli economici, che ci vedono da quattro anni trainare il Paese per crescita del PIL e dell'export pro capite; lo siamo per percentuale di occupati, per attrattività sia di investimenti che di giovani formati; ma lo siamo anche per capacità di spesa dei fondi nazionali e comunitari, per efficacia ed efficienza della spesa sanitaria come regione costantemente tra le regioni benchmark.
  Indico queste cose non per vanto, ma perché in Emilia-Romagna c'è consapevolezza che la nostra sfida non è né vuole essere con le altre regioni italiane. Non c'è nessuna competizione in atto per noi attraverso il 116, né con le regioni più forti né con quelle più fragili. Non sarà competendo con Lombardia o Veneto che faremo Pag. 6un passo avanti – le cito perché sono qui rappresentate e hanno performance altrettanto importanti – ma con gli altri territori più avanzati d'Europa e del mondo.
  Sappiamo altrettanto bene che per competere abbiamo bisogno di uno Stato forte e funzionante. Ecco perché non abbiamo chiesto di poter fare di più, ad esempio, per la promozione turistica della nostra regione nel mondo o per la strategia energetica, dove crediamo che sarebbe un errore avere venti politiche energetiche per venti regioni diverse, in un Paese che già oggi fa pagare l'energia il 30 per cento in più alle famiglie e alle imprese, oppure per la regolazione delle professioni. Spero sia un po’ più chiaro il baricentro del progetto.
  Anche in Emilia-Romagna il cambiamento deve proseguire, provando ad allungare lo sguardo e il passo. La cosa più significativa per noi è accrescere la capacità di programmare. Che si tratti di edilizia scolastica o diritto allo studio, di difesa del suolo e di sostegno alla ricerca, di investimenti in sanità o del ciclo dei rifiuti, la cosa più importante è aumentare la capacità di agire con efficacia nel tempo dentro strategie condivise e non occasionali, con risorse certe. Il nostro progetto sostanzialmente è questo.
  Come è noto, le nostre proposte sono approdate in Consiglio dei ministri a metà del febbraio scorso, dopo un lungo percorso avviato nella precedente legislatura e che ha conosciuto una prima tappa con le intese preliminari siglate esattamente un anno fa con il precedente Governo. Era il 28 febbraio 2018.
  Il negoziato riaperto con il nuovo esecutivo si è protratto dal mese di luglio. Ci sono questioni sulle quali si è trovata un'intesa, altre su cui siamo piuttosto distanti e attendiamo risposte dal Governo a partire da oggi pomeriggio, quando avremo un ulteriore incontro. Al tempo stesso, registro che altre regioni, dopo Emilia-Romagna, Veneto e Lombardia, sono partite, e non sono poche.
  È emersa anche la preoccupazione legittima di fissare elementi di cornice che siano garanzia di sistema. A me pare che alcuni siano già presenti nella nostra proposta di intesa, dove, ad esempio, ci si riferisce alla spesa storica nell'attesa dell'individuazione dei fabbisogni standard, o laddove si subordina l'attuazione di determinati interventi alla definizione dei livelli essenziali delle prestazioni. Credo possano essere rafforzati come elementi di sistema, perché è del tutto evidente che mentre attivi una misura per una regione devi aver misurato l'impatto sull'intero sistema delle regioni italiane. È tanto vero che già oggi la Conferenza delle regioni lavora in continuazione per negoziare i riparti dei fondi.
  Credo allora si possa individuare anche una sede istituzionale specifica, dove coinvolgere costantemente in questo lavoro tutte le regioni e il Governo. Sono valutazioni che stiamo facendo anche in sede di Conferenza delle regioni. Ci sarà un seminario con diversi costituzionalisti, esperti e le regioni proprio la prossima settimana, per provare a indicare una strada di condivisione.
  Allo stesso modo – accenno anche a questo punto – credo che il Parlamento abbia tutto il diritto di discutere di questo nelle forme e con le modalità che riterrà più opportune. Se mi consentite, farei solo una raccomandazione come parte in causa: è auspicabile che il Parlamento svolga a monte e fino in fondo la sua funzione precipua, che è più quella di delineare la cornice, che si tratti delle funzioni, delle condizioni, dei fabbisogni, dei livelli essenziali delle prestazioni, che non di disquisire ex post su singoli aspetti delle intese sottoscritte.
  Se opera bene a monte, può poi misurare a valle la rispondenza delle singole intese al quadro delineato e, di conseguenza, approvare o respingere. Viceversa, ci sarebbe il rischio che parta un'attività emendativa sui testi dove non è più chiaro chi faccia cosa e chi negozi con chi. Ovviamente qui mi fermo, perché non compete a me sindacare su come poi il Parlamento intenda procedere.
  Sono un po’ più preoccupato dei tempi delle iniziative del Governo invece, perché registro da ministero a ministero posizioni spesso disomogenee, mentre noi vorremmo un'assunzione di responsabilità collettiva Pag. 7da parte del Governo come regioni. Anche in questo caso non lo dico per entrare nel merito delle vicende politiche interne, che non ci debbono riguardare, ma perché per negoziare hai bisogno di un interlocutore certo e con una voce sola, come peraltro abbiamo provato a fare come regioni.
  Spero di avervi fornito alcuni elementi utili per le vostre valutazioni. Siamo a disposizione anche per trasmettere, se lo riterrete, ulteriore documentazione che attiene al lavoro che la regione Emilia-Romagna ha fatto e, nel contempo, al lavoro che sta producendo la Conferenza delle regioni, senza nulla togliere ovviamente all'autonomia delle singole regioni rispetto al percorso che hanno indicato.

  PRESIDENTE. Grazie, presidente. Ovviamente ogni contributo è più che gradito.
  Se siete d'accordo, visto che poi il presidente Bonaccini ha un impegno, direi in questa prima fase di cominciare a fare le domande – come sempre una domanda per Gruppo – chiedendo cortesemente di essere più concisi possibile.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ANGELA RAFFA. Buongiorno, presidente. La scuola, e non solo, è in allarme per quanto scritto nelle tre bozze di accordo Stato-regioni, cioè l'applicazione automatica dopo tre anni della spesa media nazionale. Sul sito del Dipartimento degli affari regionali è stata pubblicata una tabella con le medie in alcune regioni e quei valori sono sensibilmente più alti al Sud, perché gli stipendi degli insegnanti, legati in modo automatico all'anzianità di servizio, sono mediamente più elevati nel Mezzogiorno, dove i docenti riescono a trasferirsi per lo più a fine carriera. Non siamo, quindi, di fronte a un indicatore di efficienza o di inefficienza.
  Lei ha affermato che con il regionalismo differenziato l'Emilia-Romagna non avrà un euro in più dallo Stato, però le formule per il trasferimento di risorse al Veneto, alla Lombardia e con identica formula all'Emilia-Romagna, in base alle bozze che portano la data del 25 febbraio 2019, prevedono che per ciascuna materia – e l'Emilia-Romagna ne chiede quindici – dopo tre anni l'ammontare delle risorse assegnate non può essere inferiore al valore medio nazionale pro capite, quindi se è inferiore va alzato, ma se è superiore va bene così.
  Questo è matematico e se lo applichi a tutte le regioni comporta un aumento della spesa impossibile per ragioni di bilancio, mentre, se lo applichi solo in Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, porta a una concentrazione della spesa verso i territori già più ricchi. L'euro in più è nella formula. È questo il significato che si intendeva trasmettere?

  ROGER DE MENECH. Grazie per la presenza, per l'illustrazione e anche per l'approccio di metodo che ha dato con la sua regione a questa importantissima riforma, che cambierà di fatto gli assetti organizzativi dello Stato.
  Ci sono tre considerazioni che lei ha sfiorato e che mi interessa sottolineare. In primo luogo, come ha detto in apertura dell'intervento, dobbiamo evitare che le autonomie siano semplici sostituzioni di centralismi. Quanto si spingerà nelle intese perché ci sia – uso un termine forte – un «obbligo»? Lei ne ha parlato come di una facoltà della regione Emilia-Romagna.
  Mi chiedo, quindi, in che misura nelle intese ci sia un vero processo di sussidiarietà rispetto ai territori e, quindi, un'autonomia vera dei territori, che era esattamente dentro lo spirito della riforma del 2011, quindi non una semplice sostituzione di centralismi. Lei l'ha citato, ma quanto questo aspetto sarà cogente? Questa è la domanda.
  In secondo luogo, la norma più in discussione oggi nel dibattito pubblico è sicuramente quella relativa all'aspetto economico-finanziario e ai rapporti economici. Mi pare di capire dalle sue parole – mi collego anche con la terza domanda – che andiamo verso una norma unica rispetto alla regolazione dei rapporti economico-finanziari in base alle materie? Dunque, a prescindere dall'impianto e dall'obiettivo finale che ogni regione vuole darsi Pag. 8rispetto al numero di materie, credo che la regolazione dei rapporti finanziari dovrà essere inevitabilmente unica.
  Dico questo per chiederle quanto ritiene opportuno coinvolgere in questa fase di progettazione anche le altre regioni. Lei ha citato, giustamente, le tre regioni che hanno già una fase avanzata di autonomia, ma ce ne sono tante che hanno già chiesto ulteriore autonomia e ce ne sono alcune, pochissime ormai, che non hanno chiesto assolutamente nulla, in un impianto, soprattutto in un impianto economico, anche per raggiungere l'obiettivo finale, che è quello di riorganizzare in termini di efficienza e di efficacia i servizi e di avvicinarli ai cittadini. L'autonomia del 2001 non era una corsa a chi voleva di più, era un sistema per produrre uno Stato più efficiente ed efficace, con i servizi che si avvicinano ai cittadini, che è sempre stato il punto focale dell'iniziativa del federalismo.
  Quanto lei ritiene di dover coinvolgere a questo punto anche le altre regioni, cioè avere di fatto un contesto globale e generale nei rapporti, non soltanto fra i diretti interessati, ovvero le regioni più avanzate da un punto di vista della trattativa, ma tra tutte le regioni?
  Secondo me, questo è un punto che può anche dare un impianto più solido, peraltro può dare garanzie di unità del Paese non banali e può costruire nel tempo una solidità nei meccanismi di delega che può – ripeto – garantire il risultato finale, che, come lei ha giustamente ripetuto più volte, non è la ricerca di una regione di predominare rispetto a un'altra, ma è quella di riorganizzare al meglio i servizi ai cittadini. Il centro dell'autonomia sono i cittadini, non sono gli enti.

  PAOLO RUSSO. Presidente, innanzitutto è abbastanza singolare che mentre ragioniamo di regionalismo differenziato lei ci suggerisce quale deve essere il ruolo del Parlamento, con una funzione a monte e non a valle. Sarei curioso di capire un po’ meglio cosa significa, se il Parlamento possa interessarsi, per esempio, dei LEP (livelli essenziali delle prestazioni) o se lo debba fare soltanto sul piano dei princìpi. Questa è la prima questione.
  La seconda. Ci aiuta a capire qual è la sede che lei ipotizza come sede della condivisione con le altre regioni? Le chiedo se mi aiuta anche a capire qual è il grado di coinvolgimento della Conferenza delle regioni e se la Conferenza si è espressa. La Conferenza si occupa di tante materie, peraltro talune anche non particolarmente impegnativo e delicate.
  Lei ritiene che su questa vicenda la Conferenza si debba esprimere o possa esprimere una posizione? Ritiene che le altre regioni e tutte le regioni insieme debbano intervenire con un proprio deliberato, una propria espressione di volontà condivisa, oppure ritiene che questo sia un processo che va misurato in un rapporto diretto della singola regione con lo Stato e basta? Mi farebbe piacere ascoltare anche la sua idea su questo.
  Ha detto che ci sono alcuni punti sui quali sostanzialmente si è già raggiunta l'intesa e altri, invece, sui quali la distanza è ancora significativa. Le chiedo se ci aiuta a ricordare quali sono i punti sui quali l'intesa è vicina o è stata già raggiunta e in quali, invece, la distanza è maggiore. Le chiedo infine se mi ricorda anche qual è la percentuale di votanti alle ultime elezioni regionali della sua regione.

  VASCO ERRANI. Buongiorno, presidente. Le debbo dare del lei e lo farò. Ci sono tre questioni che lei ha affrontato in qualche modo e su cui chiederei un approfondimento, premesso che il 116, terzo comma, c'è e, quindi, l'autonomia differenziata è un processo reale.
  Abbiamo alle spalle un'esperienza che conosciamo tutti abbastanza bene, relativa al tema dell'applicazione del Titolo V, esperienza che è segnata da una grave difficoltà, che si è precipitata sulla Corte costituzionale. Basta leggere le relazioni di diversi presidenti della Corte costituzionale che sottolineavano la questione in modo negativo. Io penso che la Corte abbia fatto, nel vuoto parlamentare, un lavoro importante, ma di surroga.
  Questa è la prima domanda: non ritiene che, considerando questa esperienza, onde evitare di trovarsi di fronte a una situazione slabbrata, sia necessario che i princìpi Pag. 9 fondamentali e i LEP siano definiti come quadro di riferimento su cui realizzare il processo di autonomia?
  Lei ha dato un'interpretazione correttissima, secondo me, sull'utilizzo del terzo comma del 116, che non è un processo che porta all'autonomia regionale sul modello statuto speciale, ma è un meccanismo che è finalizzato, come ha detto anche l'onorevole De Menech, a realizzare una maggiore efficienza dentro un impianto.
  La risposta a questa domanda è essenziale, perché lei stesso ha chiarito la posizione dell'Emilia-Romagna, per esempio, sul tema, previsto dal terzo comma del 116, relativo alle norme generali dell'istruzione. Una cosa è fare i contratti regionali e avere gli insegnanti regionali, una cosa è non averli. Non può essere, a mio parere, nella determinazione della singola regione, deve essere nel quadro generale di riferimento. Questo è il primo punto.
  Vengo al secondo punto. Credo che tutti i Gruppi nell'audizione fatta con la ministra abbiano chiesto di avere documentazione. È abbastanza singolare questo punto, perché diversi ci dicono «non avete letto le cose», ma il problema è che quelle che abbiamo letto sono quelle che sono circolate. La ministra ci ha detto la volta precedente che non sono i documenti reali. Se lei ci può dotare di elementi di conoscenza è un fatto positivo.
  In terzo luogo, non è possibile utilizzare – su questo sono d'accordo col collega che mi ha preceduto – l'articolo 8 della Costituzione, che, come è noto, è riferito alle minoranze religiose. È vero che c'è la parola «intesa», ma non si può utilizzare, perché il tema di cui stiamo parlando non è in nessun modo attinente alla tutela di minoranze religiose, ma è l'organizzazione dello Stato, cioè un problema in sé costituzionale. Pertanto, il problema del ruolo del Parlamento è fondamentale e da questo punto di vista sarebbe molto positivo che la Conferenza delle regioni dicesse anche la sua.
  Non è semplicemente un coinvolgimento generico del Parlamento, ma deve riguardare LEP, princìpi fondamentali e interventi sulla legge, così come avviene perfino per gli statuti speciali.

  NICOLA GRIMALDI. Presidente, la ringrazio. Vorrei chiederle una cosa, senza polemica. Ho letto che sul sito istituzionale della regione Emilia-Romagna c'è un invito a una manifestazione per far sbloccare dei cantieri, delle opere in Emilia-Romagna, contro il Governo.
  Questo è l'invito del 9 marzo, però per il 15 febbraio c'è questo invito sul sito istituzionale. Le pongo una domanda. Parlando del coinvolgimento del Parlamento e del Governo nell'organizzazione del regionalismo, vorrei chiederle se lei ritiene opportuno mantenere anche una correttezza istituzionale nei confronti...

  PRESIDENTE. Scusi, non è il tema dell'audizione. Il presidente è qui – e lo ringraziamo – per le questioni strettamente inerenti al tema dell'autonomia ex articolo 116. Scusi, non lo considero pertinente al tema dell'audizione.

  STEFANO BONACCINI, Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome e Presidente della Regione Emilia-Romagna. Io sono presidente della Conferenza delle regioni e delle province autonome da tre anni e mezzo. Qui ci sono i colleghi che possono testimoniare che nel 95 per cento dei casi la Conferenza delle regioni da me presieduta ha dato intese e pareri all'unanimità, con qualsiasi Governo che si è succeduto in questi tre anni e mezzo.
  Abbiamo dato il parere di accordo, abbiamo dato l'intesa sulla parte extra-sanità già mesi fa, nella proposta di bilancio del Governo. Lei può immaginare le differenze di opinioni, essendoci regioni di colorazione politica differente. Abbiamo dato addirittura l'intesa sull'accordo sulla sanità dopo un confronto con la Ministra Grillo, avvenuto in sede di Conferenza stessa, perché tutte le mattine io dico a me stesso mentre vado a lavorare che le istituzioni sono più importanti di chi le guida ed è la bontà del rapporto istituzionale che c'è che dovrebbe funzionare. Pag. 10
  Converrà che ogni tanto qualche presidente si lamenti, perché chiede un incontro a qualche ministro e questi incontri vengono dati dopo mesi e mesi. Lei converrà che in un rapporto istituzionale succede che noi siamo abituati nelle nostre regioni che, se un sindaco di qualsiasi appartenenza politica che esercita le funzioni pro tempore di rappresentante di tutta la sua comunità ci chiede un incontro, noi nel giro di 24 ore gli telefoniamo e lo incontriamo nel giro di pochi giorni.
  Per quanto concerne la cosa a cui lei fa riferimento, forse è bene, visto che l'ha voluta citare, dirla tutta. Sabato mattina i sindacati dei lavoratori della mia regione, tutte le associazioni economiche, dai commercianti agli artigiani, dagli industriali agli agricoltori, passando per i cooperatori, hanno indetto una manifestazione, alla quale abbiamo invitato il Governo, per chiedere che vengano sbloccate tre opere, per complessivi 3 miliardi di euro.
  Parliamo di opere infrastrutturali in una regione che, essendo l'unica posta in orizzontale nello stivale italiano, vede trascorrere nel proprio territorio la gran parte di merci e persone tutti i giorni. Educatamente chiediamo che quelle opere, per le quali ci sono i progetti approvati da tempo e tutte le risorse certe, sia pubbliche che private, con il sì dei cosiddetti «eletti del popolo», cioè dei rappresentanti nei vari consigli comunali, provinciali e regionali, possano essere sbloccate.
  Si può essere d'accordo o meno – si chiama «democrazia» – ma credo che le istituzioni nel rispetto reciproco possano chiedere di poter determinare quello che nel loro territorio hanno provato o provano a fare. Dico questo perché ha a che fare con la discussione che stiamo facendo. Io credo che bisognerebbe leggersi la Costituzione, perché non può essere la Conferenza delle regioni a determinare se una regione... Il comma 3 del 116, introdotto nel 2001 dopo un referendum consultativo in cui, a torto o a ragione, la maggioranza degli italiani confermarono la riforma del Titolo V, dice espressamente che, come il senatore Errani richiamava, se una regione a statuto ordinario chiede di accedere a quel processo e a quel percorso, lo può provare a fare, senza che le altre regioni possano permettersi di determinare se abbia o meno ragione.
  Quello che come regioni abbiamo cercato di fare – e su questo condivido con voi che sarebbe proprio utile una posizione complessiva – è metterci in condizione di poter prevedere una cornice di riferimento che possa essere a uso e consumo di tutte le regioni che vogliono accedere a quel percorso, perché, come sapete, mi pare che siano soltanto tre, tra le quindici a statuto ordinario, a non aver fatto accesso alla richiesta di autonomia differenziata. In un caso, regione Umbria e regione Marche lo fanno addirittura insieme nelle richieste a cui accedere. Tant'è vero che nel merito delle materie – lo dico anche ai rappresentanti delle varie forze politiche – credo – ma lo diranno loro – che in Lombardia e Veneto ci sia stato un voto addirittura unanime alle richieste che le regioni hanno fatto, anche in materia di scuola.
  Nella regione Emilia-Romagna, che in materia di scuola ha una proposta decisamente differente, noi abbiamo avuto il consenso delle parti sociali, che insieme alle istituzioni hanno addirittura scritto la richiesta che è stata inviata poco meno di due anni fa al Governo e via via hanno seguito la discussione con il coinvolgimento diretto. Parlo di tutte le parti sociali dell'Emilia-Romagna che vi ho descritto. In aula, dopo quattro dibattimenti, siamo andati a votare quattro volte e l'ultima volta non c'è stato alcun voto contrario rispetto alla richiesta che è stata fatta. Addirittura alcune forze politiche avrebbero legittimamente voluto che chiedessimo, al pari di Lombardia e Veneto, tutte le 23 materie.
  Come ho detto prima, però, si parla di materie, che peraltro sono previste e regolate nell'elenco dalla Costituzione a partire dal 117, ma bisognerebbe andare a vedere le singole competenze. Vi faccio un esempio: in termini di ordinamento sportivo, di cultura o di agricoltura, noi abbiamo chiesto pochissime cose, quindi si parla di una materia, ma in realtà dentro vi è una percentuale bassissima. Pag. 11
  Quando facevo riferimento a una discrasia nella discussione con diversi ministeri è perché in alcuni casi noi nei mesi precedenti non abbiamo potuto incontrare nemmeno i ministri, nonostante sia un dibattito che sta andando avanti da parecchio tempo. Infatti, le altre due regioni qui presenti fecero il referendum il 22 ottobre 2017 (vado a memoria). Noi eravamo partiti un po’ prima senza il percorso referendario, ma loro erano partiti anche prima di noi nella discussione e valutazione. Chiaramente non c'è stato poco tempo per questa discussione.
  Capisco anche la difficoltà, perché siamo in presenza di una discussione su una questione molto importante e senza giurisprudenza precedente. Infatti, nel caso venisse concessa l'autonomia differenziata, sarebbe la prima volta che in questo Paese avviene l'applicazione del comma 3 del 116, nonostante siano già diciotto anni che è in vigore ed era stato scritto dopo il referendum confermativo.
  Peraltro, vorrei ricordare una cosa. Perché una legge sia approvata per ogni singola regione – perché di questo si tratta – la regione Emilia-Romagna, al pari di qualsiasi altra regione, potrà accedere alla cosiddetta «autonomia differenziata» con un'intesa col Governo soltanto attraverso una legge specifica per quella specifica regione, che deve essere approvata a maggioranza qualificata da entrambi i rami del Parlamento. Ciò significa che la stragrande maggioranza di coloro che votano quella «concessione» non sono parlamentari che vivono nella regione a cui devono concedere l'autonomia.
  Io credo sia importante che ci sia una cornice in premessa. In questo senso intendevo «a monte piuttosto che a valle». Io credo che non sarebbe giusto che il Parlamento – questa è una nostra opinione – possa determinare voce per voce ed eventualmente correggere e cambiare un'intesa che fosse recitata e scritta da una regione nella sua autonomia e dal Governo stesso, perché le regioni non sono presenti né alla Camera né al Senato per poter intervenire in un dibattito che rischierebbe di essere stravolto senza che una delle due parti contraenti quell'intesa possa ribadire le proprie ragioni.
  Crediamo, invece, che a monte – in questo senso lo riferivo – la definizione, ad esempio, dei fabbisogni standard e dei LEP sarebbe essenziale, proprio per determinare prima una cornice per tutte le regioni. Dico a monte e non a valle, perché fatto a valle eventualmente ridurrebbe quell'intesa a qualcosa che non viene più determinato dalla regione stessa nel confronto col Governo, ma riscritta in parte o persino totalmente dalle due Camere nella discussione parlamentare.
  Del resto, come premessa di cornice, partendo dalla prima parte della bozza d'intesa, si legge: «L'esercizio dell'autonomia nelle materie conferite è espressamente subordinata alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni da parte della legislazione statale. Le risorse attribuite alla regione saranno determinate da una commissione paritetica Stato-regioni entro sei mesi dall'approvazione della legge. Queste risorse sono poi trasferite con un decreto, che determinerà contestualmente il ridimensionamento delle strutture statali, in cui saranno preliminarmente acquisiti i pareri delle Commissioni unificate delle due Camere e su cui sarà svolto un confronto preliminare con le organizzazioni sindacali. La determinazione delle risorse parte dalla spesa sostenuta dallo Stato nella regione riferita alle funzioni trasferite». Per questo io dico sempre che fatto cento a noi interessa avere quel cento che lo Stato spendeva e che a quel punto risparmia, che, se messo in disponibilità delle regioni, come prevede il comma 3 del 116 e nel percorso susseguente, per noi vorrebbe dire avere la presunzione – me ne rendo conto – di immaginare che quelle risorse possano essere spese bene – mi permetto di dire – o persino spese meglio, ma soprattutto spese in ragione della peculiarità e della differenziazione di quella regione.
  Vi faccio un esempio. Noi incontriamo tutti i giorni imprenditori che in una regione molto manifatturiera lamentano di non poter avere accesso a figure professionali opportunamente formate per certi tipi Pag. 12di «mestieri» e occupazione. Se l'autonomia ci verrà concessa nella parte della formazione professionale, noi vorremmo irrobustire la rete di politecnici rispetto al post diploma e la rete di alta tecnologia e capacità attraverso i tecnopoli per i post laureati. Infatti, crediamo che, per un periodo «enne anni» – perché il mondo del lavoro cambia continuamente – sarebbe un'opportunità, da un lato, per permettere a un post diplomato o a un post laureato di trovare lavoro il prima possibile e, dall'altra parte, per andare incontro a un sistema imprenditoriale di una regione prettamente manifatturiera, a differenza di altre regioni italiane, in quel caso per un bisogno che c'è.
  Vi ho fatto l'esempio, su cui non voglio tornare, delle cosiddette «ZES» (zone economicamente svantaggiate). Noi vorremmo, senza chiedere un euro in più allo Stato, poter determinare noi quali sono quei luoghi. Vi ho fatto l'esempio del dimezzamento dell'IRAP in montagna, che, nonostante sia una tassa regionale, in realtà noi non possiamo dimezzare, per le ragioni che sapete, in ragione di un provvedimento nostro in autonomia, tant'è che dovremmo andare a rimborso, che sarà un procedimento dal punto di vista burocratico abbastanza fantasioso e complicato.
  Nella richiesta di autonomia, ad esempio, noi chiediamo che la regione – io parlo dell'Emilia-Romagna, ma, se lo chiede qualcun altro, vale per qualsiasi regione – possa determinare essa stessa quali sono le cosiddette «ZES», per fare interventi, ad esempio, di fiscalità di vantaggio, anche in questo caso senza chiedere che sia lo Stato a dover determinare e corrispondere con risorse aggiuntive quello che, invece, se ne è capace, viene determinato da scelte politiche e amministrative nel bilancio della regione stessa.
  Poi – e vado a chiudere – debbono essere determinati i fabbisogni standard per ogni singola materia, fatti salvi i livelli essenziali delle prestazioni. I fabbisogni standard devono essere individuati da un comitato Stato-regioni che il Governo istituisce e che opererà in raccordo con organismi già esistenti in materia.
  Non entro in ulteriori tecnicismi, perché purtroppo vi devo lasciare. Io penso che nella cornice sia indispensabile che andiamo alla definizione, per quello che noi riteniamo essere utile, e stiamo provando a vedere se con un documento unitario e unanime della Conferenza regioni lo possiamo indicare.
  Infatti, se facciamo salvi i fabbisogni standard e i LEP prima, secondo me togliamo una parte di comprensibile preoccupazione nel dibattito che si è generato nel Paese, che – fatemelo dire alla grossa – sta diventando Nord contro Sud, ricchi contro poveri. Quando il dibattito diventa quello, rischia di essere un dibattito, poste le legittime ragioni di tutti, molto ideologico e poco di merito rispetto alle questioni che noi dobbiamo affrontare, che a nostro parere, invece, sono cogenti e devono stare dentro – ci mancherebbe altro – la sacralità dell'unità del Paese e anche il fatto che è la Costituzione che prevede un principio di solidarietà tra aree più forti e aree più deboli del Paese.
  D'altra parte, quando andiamo a definire lo stesso Fondo sanitario nazionale – qui qualcuno lo sa bene – ogni anno le regioni un po’ più forti trovano sempre un elemento di compensazione per andare incontro a quelle in questo momento magari un po’ più deboli. Questo è quello a cui noi ci dobbiamo approcciare e secondo me il Parlamento in questo senso ha un ruolo. Io non mi son permesso – l'ho detto prima in italiano – di dire cosa deve fare il Parlamento, ci mancherebbe altro. Crediamo, però, essendo parte in causa, di poterci permettere di suggerire dove potrebbe stare un dibattito, rispetto al quale il Parlamento... Vedo anch'io la preoccupazione di tanti di voi, che esprimono il rischio di essere spettatori e non protagonisti. Certamente, dovendo essere il Parlamento a votare in ultima istanza la concessione di una legge, il Parlamento deve essere protagonista, ma con le modalità che, come dicevamo, vedono le regioni come uno dei contraenti dell'accordo stesso.
  Infine, la quota di votanti è stata poco più del 37 per cento.

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  PRESIDENTE. Presidente, grazie per il suo contributo.
  Visto che il Senato si riunisce alle 9.30, se l'assessore Caparini mi garantisce che senza sacrificare nulla alla completezza contiene il suo intervento in termini accettabili, potrebbe intervenire adesso.

  DAVIDE CARLO CAPARINI, Coordinatore della Commissione Affari finanziari della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome. Io semmai, proprio perché seguo il flusso degli interventi, posso intervenire nel merito di alcune cose, anche perché, essendo Bonaccini il presidente della Conferenza delle regioni, ha parlato per tutte le regioni e nelle sue parole mi ritrovo al 100 per cento.
  Dopo 23 anni di Parlamento e dopo pochi mesi, invece, da assessore regionale, per quanto riguarda la centralità del Parlamento ho qualcosa da dire, nel senso che ho abbandonato un'esperienza tale per cui nella mia carriera politica ho sempre visto nel Parlamento l'elemento fondamentale, come prevede la Costituzione, e di applicazione della Costituzione qui si parla.
  Da quando sono entrato ai tempi della Seconda Repubblica ho vissuto tre riforme costituzionali, di cui una sola è andata a buon fine con il referendum confermativo, e di questo stiamo parlando, cioè l'attuazione di una riforma costituzionale che ha poi prodotto delle norme, in particolare la legge n. 42 del 2009, che noi oggi siamo chiamati ad applicare e per vigilare la quale questa Commissione è stata istituita.
  In questo senso, il meccanismo della partecipazione del Parlamento al processo di autonomia è nella natura delle cose e nell'impianto della norma. Questo è un dato fondamentale da cui non si può prescindere.
  Per quanto riguarda l'intesa – il senatore Errani ha sottolineato questo aspetto – è stata decisa da un precedente Governo, a fronte anche in questo caso dell'applicazione del terzo comma dell'articolo 8 della Costituzione, a fronte del dettato costituzionale e del fatto che la Costituzione, all'articolo 116, terzo comma, prevede l'intesa tra la regione e lo Stato. Infatti, il plurale è riferito evidentemente all'insieme delle regioni, ma il rapporto è tra la singola regione e lo Stato.
  Dunque, se legittimamente il Parlamento rivendica il suo ruolo, certamente lo può fare nell'ambito del rapporto con il Governo che lo rappresenta in seno alla trattativa con le regioni. Il rapporto in questo momento è tra il Parlamento e il Governo, come del resto il Governo è il soggetto che tratta con la regione o le regioni, perché ormai è chiaro a tutti che il plurale riguarda la stragrande maggioranza delle regioni a statuto ordinario, che hanno deciso di utilizzare questo articolo della Costituzione.
  Per quanto riguarda il ruolo del Parlamento, questo si è sviluppato dal lontano 2009 con l'applicazione della legge n. 42 e successivamente, per esempio, con il lavoro di questa Commissione e di altre Commissioni nella determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni e dei fabbisogni standard, perché è lì che deve lavorare, perché è lì che sono fondamentali lo strumento del legislatore e l'opera del legislatore, perché è quella la piattaforma su cui viene costruita la modifica del Titolo V della Costituzione fatta nel 2001.
  L'onorevole De Menech ha sottolineato l'aspetto della sussidiarietà e del coinvolgimento delle regioni. Questo è implicito nel passaggio. Proprio ieri in Commissione affari finanziari abbiamo verificato questo, proprio su una sollecitazione dell'UPI (Unione delle province d'Italia), per quanto riguarda gli investimenti che voi tutti avete approvato – e vi ringraziamo – per quanto riguarda il rilancio dell'economia e soprattutto dell'infrastrutturazione del Paese.
  L'UPI rivendicava una quota degli investimenti indiretti. Stiamo facendo una ricognizione. Per esempio, su 1,4 miliardi di euro la regione Lombardia è oltre i 700 milioni di investimenti diretti ceduti agli enti locali e alle province e stiamo verificando che quote simili valgono anche per altre regioni. Questo testimonia che evidentemente è insito nel principio di sussidiarietà il meccanismo dell'autonomia.
  Un aspetto fondamentale è stato sottolineato dall'onorevole Raffa, collegato al discorso dei fabbisogni standard, ovvero la Pag. 14preoccupazione per cui a un certo punto si arrivi al calcolo delle risorse finanziarie, umane e strumentali attraverso il metodo del valore medio nazionale pro capite.
  Quella è l'estrema ratio, è una sorta di clausola di salvaguardia, in questo caso per le regioni, nel caso in cui lo Stato fosse inadempiente, ovvero non procedesse all'individuazione fondamentale dei LEP, alla determinazione conseguente dei fabbisogni standard e, quindi, non consentisse l'oggettiva (non soggettiva) determinazione e la quantificazione oggettiva delle funzioni da trasferire.
  In questo caso, quindi, è una norma estrema, che arriva dopo un'inadempienza che, come ha sottolineato Bonaccini, va oltre uno più tre anni. Se dopo quattro anni non si riesce a fare un lavoro che avremmo già dovuto fare nel 2012 – il plurale è riferito ovviamente alla Repubblica italiana – che è stato procrastinato ulteriormente, ma ci sono tutti i meccanismi... Prima decidevate chi audire in questa Commissione. Sentirete dalla viva voce dei protagonisti e dei tecnici che questi dati sono in elaborazione, sono disponibili, sono già patrimonio, attendono di essere utilizzati. Il tutto per ottenere cosa? L'appropriatezza, l'efficienza, che è un patrimonio comune, al quale io credo che tutti, indipendentemente dal colore politico, tendiamo per migliorare l'efficienza del servizio erogato e la qualità, anche dal punto di vista economico, del nostro Paese.

  PIETRO NAVARRA. Ringrazio naturalmente gli auditi in Commissione oggi, però ho seguito le argomentazioni dell'assessore e mi lasciano un po’ perplesso. Lo devo dire con tutta chiarezza.
  Comprendo la clausola di salvaguardia necessaria se chi deve fare il proprio dovere non lo fa. Se non vengono definiti i livelli essenziali delle prestazioni e conseguentemente i fabbisogni standard, in qualche modo le regioni che hanno chiesto maggiore autonomia si salvaguardano e si utilizza la spesa media pro capite. Tuttavia, è una clausola di salvaguardia che penalizza le regioni più povere e questo per me è assolutamente inaccettabile, anche perché il livello di spesa pro capite per istruzione nelle tabelle esposte dal presidente, dal mio punto di vista, è una misura non indicativa e non chiara, anche perché sostanzialmente fa riferimento in gran parte (credo al 97 per cento) ai costi di personale e il costo di personale è legato all'anzianità di servizio degli insegnanti, che è significativamente più alta nel Mezzogiorno.
  A parte queste considerazioni, qual è il problema? Il problema è stato con chiarezza messo in evidenza dal presidente della regione Emilia-Romagna, dicendo che il Parlamento deve avere un ruolo a monte, quindi definendo la cornice. Si è fatto riferimento a un aspetto della cornice, per esempio, i livelli essenziali di prestazione, che è l'elemento necessario da definire prima di procedere al trasferimento di competenze e funzioni alle regioni, altrimenti ne va dell'unità del Paese. I livelli essenziali delle prestazioni servono affinché si possano misurare i fabbisogni standard, altrimenti il fabbisogno standard non si può misurare.
  C'è un altro elemento importante, di cui parleremo quando verrà in audizione il SOSE. Io ho visto il calcolo delle tabelle dei fabbisogni standard. Questi fabbisogni standard come sono calcolati? Fanno riferimento soltanto alle spese correnti, non sono in nessun modo contemplate le spese per investimento e questo produce una disparità significativa, a vantaggio di alcuni territori e a svantaggio di altri.
  Se voi andate a vedere la definizione dei fabbisogni standard per i comuni (sono stati utilizzati quei dati per il federalismo applicato alla finanza dei comuni delle regioni a statuto ordinario), noterete che il fabbisogno standard per i comuni delle regioni a statuto ordinario del Centro-Nord è sistematicamente più alto rispetto al fabbisogno standard dei comuni delle regioni a statuto ordinario che si trovano nel Meridione. Se volete vi rileggo anche i dati.
  Non si capisce perché viene fuori questo risultato. Quindi cominciamo a fare un po’ ordine e soprattutto, siccome è un fatto tecnico, guardiamo alle conseguenze di quello che stiamo facendo, cercando di capire quello che stiamo facendo piuttosto che fare discorsi teorici, in teoria perfettamente Pag. 15 coerenti, ma che nella realtà dei fatti potrebbero produrre differenziazioni enormi sul territorio nazionale a scapito di qualcuno.

  DAVIDE CARLO CAPARINI, Coordinatore della Commissione Affari finanziari della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome. Condivido l'invito dell'onorevole Navarra a essere pratici e pragmatici. Proprio per questo sottolineo che noi chiediamo l'applicazione e in questo lavoro di richiesta di autonomia stiamo praticando i dettati del 116, terzo comma, e della legge applicativa, la n. 42 del 2009, che ha generato una serie di decreti legislativi. Cito quello sull'armonizzazione fiscale, per il quale tutti ringraziamo, perché finalmente sappiamo come vengono spesi i soldi pubblici e come sono imputati e soprattutto abbiamo un'omogeneità di dati su cui poter poi elaborare quello che il senatore sottolineava.
  Abbiamo anche il decreto legislativo n. 68 del 2011, che è stato poi rinviato addirittura al 2020, ma che in origine prevedeva al 2012 la definizione della fiscalizzazione dei trasferimenti e, quindi, la loro soppressione e la determinazione dei gettiti dei tributi e aiutava a definire il processo che oggi siamo chiamati a sviluppare attraverso questa intesa e attraverso ciò che noi abbiamo precedentemente concordato con il Governo Gentiloni, per il tramite del sottosegretario Bressa, e che oggi riproponiamo.
  Di questo stiamo parlando, nel senso che il meccanismo di cui oggi stiamo discutendo, ovvero l'individuazione dei LEP, la definizione dei fabbisogni standard, il processo per cui io definisco qual è la quota da trasferire alle singole regioni in termini di risorse, personale e beni strumentali, è un percorso che è iniziato con il precedente Governo e che oggi ci siamo qui ad affrontare.
  Per quanto riguarda il mio ruolo, occupandomi di finanza giornalmente dialoghiamo, ci confrontiamo e lavoriamo con gli assessori delle altre regioni su temi che di volta in volta sono vitali. Le cito quello più importante di tutti, che in questo momento è fondamentale parlare per il bilancio di tutte le regioni, ovvero la sanità, anche grazie a voi, perché avete votato un provvedimento che ha adottato il Fondo sanitario nazionale e ci avete anche consentito di raggiungere l'intesa per ripartire – cosa importantissima – all'inizio degli anni le risorse, in base alla quota d'accesso. Infatti, ogni regione ha una quota d'accesso a questo fondo di 118 miliardi di euro.
  A questo fondo la regione Lombardia idealmente in perequazione contribuisce per la metà, perché noi diamo 54 miliardi di euro. Li davamo l'anno scorso, li davamo l'anno precedente e li daremo in futuro, perché quella quota di perequazione rimarrà sempre, come rimarrà la quota di perequazione veneta, che è metà della nostra. La quota di accesso a quel fondo, invece, è del 17 per cento. Noi diamo la metà e ci prendiamo il 17 per cento. Va benissimo così, sarà così e nessuno lo contesta, non cambierà una virgola.
  Cosa, per esempio, chiediamo per quanto riguarda la sanità? Chiediamo di poter decidere, all'interno del 17 per cento che ci verrà dato – mi sembra assolutamente normale per la funzionalità del nostro sistema sanitario – come allocare le risorse. Oggi ci viene detto quante di quelle risorse vanno allocate in personale, quante in beni e servizi e quante in farmaci.
  Noi semplicemente all'interno di quello vogliamo chiedere di poter allocare a seconda delle necessità. Io ho la grande esigenza di diminuire le liste d'attesa. Capite bene che le liste d'attesa diminuiscono anche e soprattutto con il personale che fa gli esami. Se non posso assumere... Pertanto, chiedo, a pari risorse, di poter assumere. Io non tolgo un centesimo a nessuno, anzi siamo all'interno di ciò che è consolidato negli anni, però ci consentirebbe di dare un servizio ai cittadini, di migliorare la qualità della nostra sanità.
  Lo spirito di questa richiesta di autonomia è nel solco di queste cose pratiche. Prima il presidente Bonaccini faceva riferimento a un altro aspetto fondamentale, che è quello della programmazione. Lo sottolineo, perché avete fatto una manovra che per quanto riguarda le regioni e gli enti locali non ha precedenti, in quanto ci avete Pag. 16dato le risorse per fare investimenti, ci avete garantito il Fondo sanitario nazionale, avete finanziato il TPL (trasporto pubblico locale). Ovviamente, dovendo mantenere il rapporto con l'Europa, avete una sorta di clausola di salvaguardia per cui alcune delle risorse sono vincolate agli esiti e alla buona riuscita delle politiche economiche e, quindi, alla crescita. Purtroppo in quella quota c'è una quota di TPL.
  Noi, come regioni, abbiamo firmato i contratti – lo sa benissimo anche il ministro – con le singole agenzie, che hanno come costi il gasolio, l'usura degli automezzi e gli autisti. O li pagano o non li pagano, quindi o gli alunni vanno a scuola e i disabili vanno a scuola o non ci vanno. Non ci sono alternative. O gli autobus escono o rimangono nei garage. Tuttavia, una quota di quei soldi, 300 milioni, sono vincolati a una clausola di salvaguardia. Noi come facciamo a pianificare?
  Ieri scopriamo che c'è anche una quota che riguarda le borse di studio. Noi abbiamo bloccato 40 milioni per le borse di studio e sono soldi che comunque lo Stato ci ha già destinato. In questo ambito la programmazione diventa praticamente impossibile, perché noi a un certo punto saremo costretti a dire che non abbiamo i soldi per pagare i concessionari.
  Ho ricordato tutto questo per dire che è una questione di approccio, qui non c'è nessuno che sta chiedendo risorse in favore, stiamo cercando a fatica di efficientare il sistema utilizzando l'unica legge che abbiamo. Prima ho fatto un elenco, perché vi ricordo che sono tre modifiche costituzionali sul Titolo V. Questa è l'unica che ha resistito alla prova dei fatti, quindi è l'unico strumento che oggi abbiamo a disposizione.

  PRESIDENTE. Ringrazio gli auditi per la presenza. Dispongo che la documentazione prodotta sia allegata al resoconto stenografico della seduta odierna e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.30.

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ALLEGATO

Documentazione presentata dal Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome e Presidente della Regione Emilia-Romagna

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Commissione Federalismo Fiscale, 7 marzo 2019
Intervento del presidente della regione Emilia-Romagna - Bonaccini

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