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Resoconti stenografici delle audizioni

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XVIII Legislatura

Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale

Resoconto stenografico



Seduta n. 3 di Mercoledì 20 marzo 2019

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Invernizzi Cristian , Presidente ... 3 

Audizione della Presidente dell'Associazione Nazionale Piccoli Comuni d'Italia, Franca Biglio, in materia di autonomia finanziaria delle Regioni e di attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione:
Invernizzi Cristian , Presidente ... 3 
Biglio Franca , Presidente dell'Associazione nazionale piccoli comuni d'Italia ... 3 
Invernizzi Cristian , Presidente ... 5 
Burgio Vito Mario , consulente dell'Associazione nazionale piccoli comuni d'Italia ... 5 
Invernizzi Cristian , Presidente ... 5 
Biglio Franca , Presidente dell'Associazione nazionale piccoli comuni d'Italia ... 6 
Invernizzi Cristian , Presidente ... 6 
Di Girolamo Gabriella  ... 6 
Fragomeli Gian Mario (PD)  ... 6 
Perosino Marco  ... 7 
De Menech Roger (PD)  ... 8 
Lovecchio Giorgio (M5S)  ... 9 
Invernizzi Cristian , Presidente ... 9 
Burgio Vito Mario , consulente dell'Associazione nazionale piccoli comuni d'Italia ... 9 
Biglio Franca , Presidente dell'Associazione nazionale piccoli comuni d'Italia ... 10 
Burgio Vito Mario , consulente dell'Associazione nazionale piccoli comuni d'Italia ... 11 
Invernizzi Cristian , Presidente ... 12 

ALLEGATO: Documentazione presentata dall'Associazione Nazionale Piccoli Comuni d'Italia ... 13

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
CRISTIAN INVERNIZZI

  La seduta comincia alle 8.30.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-TV della Camera dei deputati.

Audizione della Presidente dell'Associazione Nazionale Piccoli Comuni d'Italia, Franca Biglio, in materia di autonomia finanziaria delle Regioni e di attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, ai sensi dell'articolo 5, comma 5, del Regolamento della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale, della presidente dell'Associazione nazionale piccoli comuni d'Italia (ANPCI), Franca Biglio, in materia di autonomia finanziaria delle regioni e di attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione. La presidente è accompagnata dal dottor Vito Mario Burgio, consulente dell'associazione.
  L'occasione è particolarmente significativa in ragione del lavoro che la Commissione sta svolgendo in tema di attuazione dei princìpi di autonomia degli enti territoriali e locali e del relativo regime finanziario e sui temi delle iniziative in atto relative all'attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione.
  Nel ringraziarla per la disponibilità dimostrata, cedo quindi la parola alla presidente Biglio per lo svolgimento della sua relazione.

  FRANCA BIGLIO, Presidente dell'Associazione nazionale piccoli comuni d'Italia. Noi ringraziamo lei e tutti voi. Il nostro è un ringraziamento sincero, dovuto e ancor più sentito, perché dobbiamo finalmente constatare che c'è un'attenzione diversa nei confronti dei piccoli comuni. Sappiamo bene cosa hanno vissuto in passato. Siamo stati massacrati, non solo per quanto riguarda le normative schizofreniche – c'è stata una legislazione nel passato che ci ha messo in grande difficoltà, soprattutto i piccoli comuni – ma in particolare per i tagli che abbiamo subìto negli ultimi otto anni, che ci hanno messo letteralmente in ginocchio. La Corte dei conti ha addirittura dichiarato che sono stati sproporzionati rispetto alle nostre effettive possibilità.
  Vi è, quindi, una rivalutazione per quanto riguarda l'importante ruolo che i piccoli comuni svolgono sul territorio nazionale a livello di presidio, di tutela e di difesa del territorio.
  Consentitemi un saluto particolare al senatore Marco Perosino, perché credo che nella storia della Repubblica sia il primo parlamentare sindaco di un piccolo comune associato ad ANPCI. Lui è un parlamentare tutto ANPCI, quindi porta la voce dei piccoli comuni ed è moderatore alle nostre feste nazionali. Siete tutti invitati per il ventennale che si terrà l'11 ottobre e tu, senatore Perosino, dovrai ancora svolgere il tuo ruolo.
  Entriamo nel merito. Questo disegno di legge è stato incardinato nel quadro costituzionale che ha modificato nel 2001 la Costituzione, attraverso la riforma del Titolo V. Noi vorremmo fare alcune osservazioni Pag. 4 proprio rispetto a questa riforma, per verificare se è ancora il caso di procedere con questo progetto, che comunque noi riteniamo necessario, utile e indispensabile, ma in questo quadro.
  Non ci sono dati certi per quanto ha prodotto la riforma del Titolo V, però possiamo dedurre alcune cose, tra cui l'aumento della spesa. Come mai si è verificato l'aumento della spesa? Dal 2000 al 2009 la spesa regionale è cresciuta di 90 miliardi all'anno, passando da 119,3 miliardi a 209, quindi del 75 per cento, a fronte di un'inflazione del 22,1 per cento. Invece, la spesa dell'amministrazione centrale e dei comuni è rimasta costante.
  Un altro elemento è l'aumento della complessità normativa, di cui ho già detto. Abbiamo ritenuto che in questi ultimi anni si sia verificato un modo di legiferare schizofrenico, sicuramente non adeguato alle effettive possibilità dei piccoli comuni. Non è possibile, presidente, che una normativa continui a essere studiata e scritta a tavolino su misura delle grandi città e non si possa adattare ai piccoli comuni. Ci vuole una normativa assolutamente semplificata, eventualmente in deroga, per i piccoli comuni.
  Non voglio riferirmi alla 158 del 2017, la legge sui piccoli comuni, una legge di principio, che può essere buona. Intanto ha stabilito che i piccoli comuni sono quelli sotto i 5.000 abitanti. Almeno questa definizione oggi è chiara.
  C'è poi un neo. Presidente, lei mi potrà dire che non c'entra, però in tutte le audizioni io desidero sottolinearlo, perché va verso quella tendenza che noi abbiamo sempre contrastato, cioè l'unione e la fusione dei comuni. Infatti, quella legge, all'articolo 3, comma 6, prevede che quei contributi, tanti o pochi che siano – però rappresentano comunque un passo di attenzione nei confronti dei piccoli comuni – vadano prioritariamente destinati ai comuni istituiti a seguito di fusione. È concepibile una roba del genere? No.
  Andiamo avanti passando agli effetti sulla produttività. Dal 2001 è iniziata a calare la produttività del Paese. Questo è dovuto all'eccesso di normative.
  Cosa pensano i piccoli comuni per quanto riguarda l'autonomia? Innanzitutto sono tre le regioni che hanno già sottoscritto l'accordo con il Governo, ma tutte le altre si stanno attivando. Sappiamo bene quali sono: Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. Non possiamo negare che siano tre regioni che viaggiano a una velocità superiore a tutte le altre e, quindi, meritano sicuramente di essere avvantaggiate per continuare in questo percorso di crescita.
  Tuttavia, noi siamo l'associazione rappresentativa dei piccoli comuni che sono insediati in tutte le regioni d'Italia. Tutte le regioni d'Italia – noi abbiamo questo grande vantaggio – sono bellissime e hanno tutte delle grandi potenzialità. Alcune, come la Lombardia e il Veneto, le hanno «sfruttate» e per loro la crescita è stata veloce e lo è ancora di più, altre invece sono più svantaggiate e sono più arretrate, viaggiano con un altro tipo di velocità.
  Per rappresentarle tutte, come si può fare? C'è una risposta da parte nostra? Fondi perequativi? Il nostro concetto è che questa è un'opportunità. Oltretutto il decentramento avvicina il governo ai cittadini e può anche assicurare quegli obiettivi di efficacia, efficienza ed economicità che i costi standard potevano assicurare e che noi stessi piccoli comuni abbiamo chiesto di poter adottare. Potrebbero essere una soluzione.
  Comunque, tre sono le cose che noi vogliamo evidenziare. In primo luogo, le risorse devono far sì che tutte le regioni possano a pari merito procedere a far sì che i cittadini all'interno dello stesso Paese possano usufruire degli stessi trattamenti, cioè un'uniformità di trattamento per tutti i cittadini italiani.
  In secondo luogo, noi ci chiediamo: le regioni a statuto speciale hanno ancora un senso a questo punto o va rivisto anche tutto questo, nel momento in cui tutte le regioni possono acquisire una loro autonomia specifica, pur supportata? Infatti, ci sono regioni, come i piccoli comuni, che possono essere trattate nello stesso modo, con una scarsa capacità fiscale e impositiva. Credo che debbano avere comunque un riscontro. Pag. 5
  Gli elementi che evidenziamo, dunque, sono: risorse, uniformità di trattamento e regioni a statuto speciale con un punto di domanda.
  A questo punto cosa chiediamo? Noi non siamo sicuramente per il centralismo e non siamo contro il mondo delle autonomie, anzi credo di averlo ribadito, però riteniamo che sia importante un quadro chiaro, semplice e organico, cioè definire in modo chiaro e univoco che cosa fa lo Stato e che cosa fanno le regioni tutte. Credo che questo sia chiaro.
  A questo punto cederei la parola al nostro consulente Vito Mario Burgio affinché possa entrare nel merito. Io ho fatto forse un discorso più politico, presidente. Non lo so se lui lo farà politico o no, perché lui va sempre per conto proprio, non mi ascolta, litighiamo anche spesso. Tuttavia, è un consulente bravissimo. Grazie per averci ascoltato.

  PRESIDENTE. Grazie, presidente. Cediamo la parola al dottor Vito Mario Burgio, per il prosieguo dell'audizione.

  VITO MARIO BURGIO, consulente dell'Associazione nazionale piccoli comuni d'Italia. Grazie, presidente. Buongiorno a tutti. Io non entro molto nel merito, perché è una norma che riguarda proprio il Parlamento, quindi come piccoli comuni entrare nel merito non ci sembra opportuno. L'unica cosa che diciamo – ribadisco quello che ha detto il presidente – è che siamo d'accordissimo su un decentramento, però non asimmetrico, perché la paura che abbiamo, da operatori ogni giorno in prima linea, è quella del diluvio burocratico e del caos legislativo in cui stiamo vivendo.
  Non lo dico per scherzo: ogni giorno io non so che norma applicare nei comuni in cui lavoro. Passa un giorno e arrivano sentenze della Corte dei conti, poi arriva un parere del Ministero dell'economia, poi arriva un'interpretazione dell'ANAC (Autorità nazionale anticorruzione), poi arriva una sentenza del Consiglio di Stato. Noi siamo totalmente in balìa di norme non organiche e ci spaventa che questa asimmetria, con regioni che hanno delle competenze e altre non ce l'hanno, possa procurare danno al Paese, perché un'impresa che deve investire deve sapere in Emilia a chi deve rivolgersi per fare un intervento e in Sicilia altrettanto, se allo Stato o alla regione o se magari la regione delega alla provincia.
  Noi diciamo che il Titolo V della Costituzione è stato un danno, perché la legge concorrenziale ha creato un caos. Pensate che dal 2001 al 2007 sono state prodotte dalla consulta 2.110 sentenze, una sentenza ogni tre giorni, per i conflitti Stato-regione e regione-regione. Noi pensiamo che con questa normativa, se non fatta bene, se non si chiarisce chi fa che cosa, rischiamo di aumentare questo quadro disorganico, che non fa bene al Paese.
  Ripetiamo: non siamo assolutamente contro il federalismo, siamo d'accordissimo che più si lavora vicino ai comuni e vicino al territorio più funziona, però facciamolo organicamente, non andiamo avanti a spizzichi e bocconi, perché il quadro legislativo rischia veramente di diventare una maionese impazzita, quindi magari mettiamoci un po’ più di tempo, ma facciamolo bene. Noi abbiamo bisogno di norme semplici e chiare, altrimenti aumentano veramente il caos legislativo e il contenzioso. Questo è quello che noi diciamo. Non entriamo nel merito, ma ribadiamo che è fondamentale avere un testo chiaro, che stabilisca per tutte le regioni quali sono le competenze. Inoltre, basta con questa competenza concorrenziale, che non fa altro che dare lavoro ai giudici.

  PRESIDENTE. Grazie anche a lei, dottore, anche per la sintesi che ha messo nella sua relazione.
  Se ho ben inteso l'intervento, il timore dell'Associazione nazionale piccoli comuni d'Italia è che la riforma che dovrebbe riguardare l'assetto generale dello Stato possa in qualche modo scaricare eventuali imprecisioni sull'ultima ruota del carro, come è sempre stato ovviamente, non per importanza, ma per altezza istituzionale, cioè i piccoli comuni. Pertanto, si raccomanda che le cose siano fatte in modo tale da considerare anche gli interessi dei piccoli comuni d'Italia.

Pag. 6

  FRANCA BIGLIO, Presidente dell'Associazione nazionale piccoli comuni d'Italia. Noi siamo collocati in tutte le regioni d'Italia, da nord a sud, da est a ovest.

  PRESIDENTE. La ringrazio per la precisazione. Sappiamo perfettamente qual è l'importanza nella storia dell'Italia dei piccoli comuni.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  GABRIELLA DI GIROLAMO. Grazie per l'esposizione molto chiara e sintetica. Vorrei fare innanzitutto una considerazione, a cui seguirà una domanda.
  La riforma del Titolo V della Costituzione, a cui si accennava prima, ha previsto l'istituzione del fondo perequativo senza vincoli di destinazione per i territori con minore capacità fiscale per abitante. Nel 2009 l'allora Ministro Calderoli emanò dei decreti attuativi e così il Parlamento approvò la legge n. 42 del 2009, in cui l'articolo 13 recitava che la dimensione dei fondi perequativi doveva essere pari alla differenza tra il totale dei fabbisogni standard per l'esercizio delle funzioni da loro svolte e il totale delle entrate standardizzate.
  Cosa accadde, però, successivamente? Accadde che si ridusse il target perequativo rispetto alla copertura del 100 per cento previsto dalla Costituzione. Infatti, nel 2015, quando per la prima volta si applicò il Fondo per la solidarietà comunale, l'ANCI e il Governo, in occasione della Conferenza Stato, città e autonomie locali, ridussero il target perequativo dal 100 per cento al 45,8 per cento. Inizialmente si disse che questa misura sarebbe stata un criterio transitorio, invece in realtà venne applicata conseguentemente negli anni successivi.
  Se qualcuno dovesse chiedersi il motivo per cui si è ridotto questo target, la risposta fu fornita dal dottor Bilardo della Ragioneria generale dello Stato, il quale affermò che questa riduzione del target è avvenuta per evitare di sottrarre eccessive risorse da alcuni comuni e favorirne altri. Possiamo capire dove potrebbero essere collocati alcuni comuni più svantaggiati rispetto ad altri, ma andiamo avanti.
  A questo proposito, il precedente presidente della bicamerale sul federalismo cercò di capire che cosa sarebbe potuto accadere se si fosse utilizzata la percentuale del 100 per cento piuttosto che quella del 45,8. Dagli atti del Parlamento troviamo la sua espressione: «I dati sarebbero sconcertanti. Magari ce li fanno avere in modo riservato o facciamo una seduta segreta, come avviene per la Commissione antimafia».
  Se il fondo perequa al 45 per cento e non più al 100 per cento, non perequa integralmente e dimezza sostanzialmente il meccanismo previsto dalla Costituzione. Secondo la Costituzione la perequazione deve essere integrale e, quindi, al 100 per cento, invece è stata ridotta al 45,8 di quanto dovuto.
  Dunque, chiedo alla presidente Biglio dell'Associazione nazionale piccoli comuni e anche al consulente perché nessun sindaco ha mai pensato di fare ricorso o, se lo ha fatto, quali esiti si stanno verificando per questo divario nel criterio di ripartizione del fondo.

  GIAN MARIO FRAGOMELI. Io approfitto dell'occasione per porre delle questioni ai piccoli comuni, che in qualche modo hanno già vissuto un processo di federalismo, non solo da un punto vista normativo, ma anche da un punto di vista concreto e pragmatico, con l'applicazione dei fabbisogni standard. Vorrei sentire anche un po’ la vostra esperienza sul processo già attuato di perequazione finanziaria tra gli enti.
  La collega poco fa accennava a un passaggio cruciale rispetto al Fondo di solidarietà. Per un po’ di anni abbiamo vissuto e pensato solo in termini giuridici quel famoso passaggio da un fondo di riequilibrio a un fondo di solidarietà, che sostanzialmente ha visto la completa eliminazione di un fondo statale e di una solidarietà orizzontale solo tra enti. Questo ha complicato chiaramente anche le forme di perequazione tra enti, perché l'eliminazione di circa 1,5 miliardi di fondi nazionali ha pesato su Pag. 7questa forma di riequilibrio tra i bilanci degli enti.
  Al netto di questo, vorrei un commento dalla vostra esperienza, perché con le dovute proporzioni il processo che si andrà a fare adesso con il regionalismo differenziato non può prescindere da un passaggio sui LEP (livelli essenziali delle prestazioni) e da un passaggio su una definizione chiara e puntuale dei fabbisogni standard. Questo è un tema.
  Passo alla seconda domanda. A distanza di oltre diciannove anni dal Testo unico degli enti locali (TUEL) ormai si sente spesso parlare non più di una manutenzione ma di una rivisitazione vera del testo stesso, anche a seguito di quello che è avvenuto nelle ultime legislature sull'organizzazione degli enti e sullo sviluppo delle città metropolitane, fino ad arrivare alla necessità di un riequilibrio e di una riorganizzazione degli enti locali anche per quello che diceva prima il suo consulente, cioè un tema non secondario legato a interventi continui della giurisprudenza o comunque dei soggetti preposti al controllo successivo. Penso in particolare alla Corte dei conti.
  C'è un tema sicuramente che ci vedrà rielaborare. Vorrei sapere voi cosa ne pensate e se da questo punto di vista avete anche promosso e sviluppato qualche idea che possa inserirsi in una rivisitazione organica del Testo unico degli enti locali.

  MARCO PEROSINO. Io sono tra i fondatori ANPCI, e ringrazio la presidente Biglio per averlo ricordato. Lei è riuscita negli anni a mitigare gli effetti di alcune legislazioni, soprattutto da parte di alcuni Governi che secondo noi avevano quasi un intento persecutorio nei riguardi dei comuni, con quell'idea, che ora si è arrestata e sulla quale si comincia a riflettere meglio – e spero che nella riforma del TUEL si rinsavisca – che era quella dell'associazionismo obbligatorio, che a nostro avviso non risolve dal punto di vista politico, ma veramente nell'essenza della politica porta alla distruzione dell'autonomia e dell'indipendenza dei comuni.
  Si sono ottenuti parecchi risultati, come ANPCI, a difesa delle incombenze dei piccoli comuni rispetto alle grandi città. Un piccolo comune non può obbedire agli stessi dettami per quanto riguarda tutte le indagini statistiche e i modelli di ogni genere che devono essere compilati ogni giorno. Qualcosa abbiamo ottenuto, ma c'è ancora parecchio da sfrondare rispetto alla grande città.
  Evidentemente c'è stata una questione finanziaria, perché i tagli negli anni sono stati severi e, senza andare a esaminare le singole situazioni, a chi toccava toccava, secondo certi parametri. Noi veniamo da alcuni trasferimenti fondamentali, quelle che una volta erano le quadrimestralità a scadenza fissa che lo Stato pagava, che poi sono diventati Fondo di solidarietà eccetera, che vengono dal famoso piè di lista degli anni 1970- 1980, dove c'era una differenza tra i comuni che in quell'epoca avevano speso tanto e che avevano ottenuto altrettanto e coloro che si erano comportati bene e che ci avevano rimesso.
  È tutta una situazione complessa. Confermo quanto ha detto la presidente a riguardo della finanziaria di quest'anno. Personalmente, se avessi potuto estrapolare la parte che riguarda i piccoli comuni, in dissenso rispetto alla mia collocazione politica, avrei votato a favore della Legge di bilancio, perché sui piccoli comuni è stata la prima che ha fatto un'inversione di tendenza, però la politica è anche questo.
  Invece, riguardo al federalismo credo che teoricamente sia una cosa bellissima pensare di avvicinare i cittadini e di dare responsabilità. I referendum hanno anche parlato chiaro: la gente la pensa così. Tuttavia, effettuare un'operazione di questo tipo in questo momento comporta due problemi. Uno è quello che abbiamo sentito dal presidente Bonaccini nel corso dell'audizione di due fa. Se la Lombardia chiede quindici funzioni, l'Emilia-Romagna si accontenta di sei, il Veneto non mi ricordo e gli altri che si sono accodati ognuno mette la sua funzione, è il caos. L'ha accennato il dottor Burgio. Occorre, quindi, un'uniformità, se è possibile. L'effetto normativo può avere riflessi limitati dal punto di vista finanziario. Dal punto di vista prettamente finanziario, invece, è un grosso problema, Pag. 8perché, se poi andiamo a creare i fondi perequativi, siamo al punto in cui eravamo.
  In sintesi io penso che, se la normativa statale si mostrerà fedele agli intenti di oggi al riguardo dei piccoli comuni, per noi ANPCI possa andare bene.
  Per quanto riguarda il federalismo, abbiamo tra gli iscritti comuni di tutte le regioni, che soprattutto tra i comuni piccoli hanno tutte le stesse problematiche. L'abbiamo capito frequentando sindaci di tutte le regioni: dal punto di vista gestionale e procedurale tutti i comuni d'Italia sotto i 5.000 abitanti hanno gli stessi problemi. Se, invece, si pensa di risolvere il problema con un colpo di questo tipo, con un'organizzazione di questo tipo, con un federalismo che ha dei grossi problemi finanziari... Noi proveniamo dal Piemonte, dove forse potremmo guadagnare qualcosa rispetto ai trasferimenti. Tuttavia, penso che i problemi dell'Italia siano altri, siano quelli dello sviluppo dell'economia, dove non c'è la ricetta, o meglio dove ognuno ha la sua, a volte un po’ confusa. Se non si cambia da quel punto di vista, neanche i comuni possono pensare di avere di più.
  È chiaro – mi rivolgo al presidente – che ci sono delle differenze abissali tra il comune turistico che ha 1.000 abitanti d'inverno e 20.000 d'estate, ma che ha le seconde case, quindi l'IMU, e oneri di urbanizzazione a gogò e il comune limitrofo che non ha le bellezze, non ha le piste da sci, non ha il mare e che ha gli stessi abitanti. Pertanto, sta anche alla capacità degli amministratori sapersi gestire bene.
  Chiudo dicendo che io sul federalismo sono anche realista. Penso che in questo momento per situazioni politiche non si possa fare, si debba rinviare, si debba discutere. Discutiamone pure a fondo nei dettagli. Credo, però, che non sia il primo problema d'Italia e che per rispetto della situazione dell'Italia si debba procedere con molta cautela.

  ROGER DE MENECH. Io torno al tema oggetto dell'audizione, cioè il 116, terzo comma, perché ho sentito la relazione della presidente, ma vorrei capire nello specifico. Ho capito che l'associazione vorrebbe un'applicazione più omogenea su tutto il territorio nazionale, per evitare sperequazioni. Così mi pare di aver colto. Tuttavia, se leggo la relazione rispetto ai rapporti di forza fra Stato centrale, regioni, province e comuni degli ultimi vent'anni, la domanda è: come piccoli comuni avete intenzione di chiedere che dentro le intese ci sia un protagonismo più forte dei territori, cioè la cosiddetta «sussidiarietà» rispetto ai territori, ovvero applicare fino in fondo il principio per cui le regioni pianificano, mentre province e comuni organizzano i servizi?
  Come sta questa, secondo me giusta, rivendicazione dentro una riorganizzazione più complessiva dell'apparato pubblico, in modo che tutti sappiano chi fa cosa?
  Inoltre, vi chiedo se questo nuovo modello di organizzazione dei servizi da rendere ai cittadini è o meno compatibile rispetto a un ambito ottimale nella gestione dei servizi stessi. Il tema delle unioni dei servizi non è un tema di parte, come ho sentito dire, perché nel 2010 non c'era un Governo di una parte, ma di un'altra parte. Bisogna essere sereni e tranquilli e dirci le cose. Bisogna mettere al centro, non la parte politica, ma il servizio da rendere al cittadino. Noi siamo certi che qualunque dimensione del comune possa intercettare la gestione di qualunque servizio? Io non credo, io credo che ci voglia una razionalità su questa cosa ovviamente.
  La cosa che, però, più mi interessa in questa fase storica è come i piccoli comuni e più in generale i comuni – io l'ho chiesto anche ai presidenti di regione, fra l'altro – intendono porsi rispetto al principio di sussidiarietà. Le intese devono portare o no all'interno dell'articolato il fatto che le regioni non sostituiscano un principio di centralismo nazionale con un nuovo – migliore o peggiore, deciderà la storia – centralismo regionale? Questa è la domanda secondo me più politica ovviamente. Dietro ci sta, però, anche la presa di coscienza degli enti locali tutti, province e comuni, rispetto a una gestione ottimale dei servizi. Io credo che anche su questo si debba aprire una riflessione, che era stata aperta ormai nel lontano 2010 e che dobbiamo sicuramente coltivare, migliorare e portare Pag. 9a fattor comune, perché altrimenti continuiamo a parlare, ma questo Paese non verrà cambiato mai in nessuna delle sue parti.

  GIORGIO LOVECCHIO. Attualmente il Fondo di solidarietà comunale limita gli squilibri tra enti comunali, soprattutto tra piccoli e grandi comuni, garantendo una redistribuzione da enti con maggiori capacità di entrata e spesa verso quelli con minore capacità. Si tratta di un meccanismo perequativo per la finanza comunale a vantaggio dei piccoli comuni, che hanno minore capacità impositiva.
  Il Fondo di solidarietà di solidarietà comunale è composto di tre parti: il finanziamento che deriva dalla trattenuta di una parte del gettito IMU standard; la perequazione, ovvero il modo con cui si redistribuisce il fondo e i criteri di ripartizione, basati su fabbisogni standard e capacità fiscale; infine, il ristoro da parte dello Stato ai comuni, a causa dell'abrogazione della TASI sulla prima casa.
  Attualmente, quindi, vi sono comuni che beneficiano e comuni che contribuiscono alla perequazione operata dal Fondo di solidarietà. Questo risultato è collegato al modo col quale viene calcolata la quota perequativa, affidandosi in parte ai fabbisogni standard e in parte alle capacità fiscali di ogni comune. Il calcolo di queste due grandezze è complicato, perché i dati della capacità fiscale non sono aggiornati, mentre i fabbisogni standard non sono ancora stati definiti, quindi sono inutilizzabili. La parte rimanente si basa, invece, sui trasferimenti storici. Gli attuali criteri di riparto del Fondo di solidarietà comunale descritto non sono coerenti con le norme del federalismo fiscale di cui alla legge delega n. 42 del 2009.
  A questo fine, ritiene utile elaborare un indicatore di sostenibilità finanziaria per ogni comune, in particolare per i piccoli comuni? Ritiene utile indicare parametri specifici che tengano conto degli effetti del maggior gettito derivante dall'applicazione dell'imposta municipale proprio per gli immobili abitativi diversi dall'abitazione principale, differenziati tra comuni turistici e comuni non turistici? Ed infine, ritiene utile individuare una soglia percentuale di contribuzione oltre la quale il contributo del singolo comune non sia più necessario? Grazie.

  PRESIDENTE. Cedo ora la parola alla presidente Biglio e al dottor Burgio, i quali hanno ovviamente ampia libertà nell'organizzazione della replica.

  VITO MARIO BURGIO, consulente dell'Associazione nazionale piccoli comuni d'Italia. Lei ha colto bene il problema fondamentale. È da anni che noi sosteniamo che, effettivamente, se si applicassero i fabbisogni standard al 100 per cento, molti comuni fallirebbero. Lo sappiamo benissimo, ma noi sosteniamo da anni che il vero motivo per cui alcuni comuni riescono a sostenersi con il 40 per cento e altri no è solo uno: se noi studiamo i servizi, essi costano quasi tutti allo stesso modo sia al nord che al sud; il problema è il personale.
  Da dieci anni sosteniamo una proposta, ma nessuno ci ascolta. Sul personale siamo alla follia burocratica. Forse è più facile fare un'operazione a cuore aperto che assumere una persona, oggi, in Italia. Se volete, vi mando l'elenco dei 25 adempimenti necessari per assumere una persona. A parte questo, il problema vero è che noi abbiamo dei comuni che hanno una massa di personale tale che i costi riguardano solo quella voce.
  Vi faccio un esempio per essere più concreto: il comune di Morello, in provincia di Cuneo, ha 4 dipendenti per 900 abitanti; il comune di Comitini, in Sicilia, nella mia provincia di origine, ha 92 dipendenti per 900 abitanti. Certamente tutto il fabbisogno di quest'ultimo comune è assorbito dagli stipendi.
  Da anni diciamo di applicare il decreto ministeriale sul dissesto per il personale. Il decreto ministeriale del 2017 stabilisce che un comune quando va in dissesto deve tagliare il personale sotto un certo livello. Ebbene, Morello con 900 abitanti dovrebbe avere 8 dipendenti, ma ne ha 4, quindi è sotto il livello del dissesto; altri comuni sono sopra quel livello. Se noi spostiamo questa massa di dipendenti che sono in Pag. 10sovrannumero verso i servizi della magistratura, laddove i tribunali sono carenti di personale, o verso l'Agenzia delle entrate, per perseguire l'evasione fiscale, allora quei comuni ritornano a essere con un personale tale che i fabbisogni standard non vanno a pesare così gravemente su di essi. Questi comuni non ce la fanno, e io lo so perché ci ho lavorato. Io ho lavorato in un comune di 5.000 abitanti con 92 dipendenti! Il comune di Favara, di 30 mila abitanti, ha 500 dipendenti, un ministero!
  È questo il problema. Tutti i costi sono frutto del costo del personale. I servizi non costano così diversamente da nord a sud; c'è una diversità, ma è questo il problema. Se non si affronta il problema di ripartizione equa del personale non riusciamo a salvarci. Basta vedere i dati. I fabbisogni storici dei comuni del nord sono molto al di sotto dei fabbisogni standard, cioè noi operiamo al nord con meno risorse rispetto ai fabbisogni standard.
  I fabbisogni storici nel sud sono molto più alti, perché il tumore è il personale. Perché dico che la legge sta penalizzando i piccoli comuni? Se al comune di Morello va in pensione una persona è possibile sostituirla, e devo stare sotto il limite di spesa dell'anno precedente. In un comune dove ci sono esuberi, se vanno cinque in pensione e se ne sostituiscono quattro, si risparmia un'unità e si rimane nei parametri; resta sempre il sovrannumero, ma si sta nei parametri. Invece, il comune che ha quattro dipendenti e una unità va in maternità non la può sostituire. È lì il problema. È da dieci anni che lo diciamo, ma non ci ascoltano. È tutto lì il problema dei fabbisogni standard.

  FRANCA BIGLIO, Presidente dell'Associazione nazionale piccoli comuni d'Italia. Il rapporto dipendenti-popolazione previsto dal decreto ministeriale del Ministero dell'interno a livello nazionale è 1:142. Significa che i piccoli comuni, media nazionale, risultano tutti sottodotati a livello di personale. Poi ci sono queste sacche dove invece c'è personale in abbondanza e allora bisognerebbe riuscire a intervenire, non licenziando.
  Vorrei aggiungere qualcosa riguardo ai servizi, tema di cui si è parlato. Dobbiamo fare in modo da non confondere i servizi con le funzioni. I servizi i piccoli comuni li gestiscono non più in forma autonoma, a meno che ci sia la convenienza. Ecco, il rispetto del costo standard è questo: nel momento in cui il comune eroga un proprio servizio autonomamente, nel rispetto del costo standard, non è obbligato, non deve essere obbligato a cercare un partner per risparmiare; qualora non riesca a rispettare il costo standard, è obbligato di suo ad andare a cercare un partner per risparmiare, per arrivare a ottenere quegli obiettivi di efficacia, efficienza ed economicità che tutti quanti dovrebbero raggiungere. Tutti, non solo i piccoli comuni.
  Noi li raggiungiamo già per conto nostro. Attraverso quale sistema? Attraverso le convenzioni, che sono strumenti snelli, a costo zero, che si possono sciogliere nel momento in cui non ti danno più la sicurezza del raggiungimento di quell'obiettivo di efficacia, efficienza ed economicità, e si va a cercare un altro partner. Quindi, è importante avere flessibilità, lasciare autonomia ai sindaci dei piccoli comuni, che hanno un rapporto diretto, costante, quotidiano con il cittadino, che giudica. Non deve essere mandato a casa per legge il sindaco del piccolo comune; sono i cittadini che lo mandano a casa. Il vincolo di mandato è un'altra assurdità. Adesso andiamo il 26 maggio al voto. Ci sono piccoli comuni dove non ci saranno liste di candidati, quindi saranno commissariati prima ancora di svolgere la propria funzione. Sono i cittadini quelli che decidono e si fatica a fare le liste.
  Io sono già una delle persone che il 26 andrà al voto – stiamo divagando, ma è anche bello questo, perché è importante che voi conosciate la situazione, anche se la conoscete sicuramente perché siete molto vicini al territorio – e non ho ancora predisposto la lista e non so se ci riuscirò. Trovare donne che accettino è impossibile: una non può, l'altra ha famiglia e via dicendo. Quindi, le quote rosa è già difficile rispettarle. Insomma, è tutta una complicazione. I sindaci dei piccoli comuni, gli Pag. 11amministratori devono essere lasciati in pace. Lasciateci lavorare. Lavoriamo male? La trasparenza lo decide, i cittadini ti mandano a casa e mettete dei paletti di controllo, se volete. Noi chiediamo autonomia decisionale, organizzativa e gestionale.
  Le funzioni sono il cuore del comune. La legge Delrio – ne devo parlare – è stata una cosa oscena. Per fortuna la Corte costituzionale ha già stabilito con sentenza di recente... Bisogna dirlo, io sono nata così, devo dire quello che penso, che piaccia o che non piaccia. Quello che io penso è quello che ho vissuto. Io sono sindaco dal 1985, quindi ho vissuto dei tempi ben diversi, tempi in cui i piccoli comuni avevano dei vantaggi notevoli, avevano delle disposizioni a loro favore, che sono state abolite dal 1990.
  Con la legge n. 42 abbiamo preso atto della famosa razionalizzazione, che veniva presentata come necessaria per migliorare i servizi. Abbiamo subito capito, però, che non venivano migliorati ma tagliati: quindi, comuni senza le scuole, senza gli uffici postali, magari tra un po’ togliamo anche il municipio, e allora dove si va? I cittadini se ne vanno, si va verso l'abbandono, verso l'incuria, verso la desertificazione. È questo che vuole il nostro Parlamento, o vuole un Paese presidiato, custodito, manutenuto costantemente e quotidianamente? Da chi? Dagli amministratori dei piccoli comuni, che vanno a rafforzare quel grande esercito del mondo del volontariato sul quale si regge il nostro Paese. Noi siamo i volontari della pubblica amministrazione. Mi piacerebbe tanto una legge che dica: i sindaci e gli amministratori dei piccoli comuni amministrino tranquillamente, con il buon senso del padre di famiglia. Siccome noi lo facciamo, saremmo finalmente tranquilli. Poche leggi, poche normative, tutto semplificato e in deroga. Questo è il mio sogno.
  Vengo al TUEL, di cui avete parlato, poi lascerò la parola al consulente perché temo di perdere il treno, sebbene perderei anche il treno volentieri per riuscire a far entrare queste riflessioni in ognuno di voi (ma credo che non sia necessario, ce le avete già nel cuore, altrimenti non sareste qui ad ascoltare così attentamente quello che diciamo). È da anni che chiediamo la riforma del TUEL, una riforma organica per quanto riguarda i piccoli comuni. Oggi finalmente si sta lavorando proprio a questo.
  Dico una cosa importante: ANPCI deve far parte di quel tavolo, perché la voce dei piccoli comuni, che è rappresentata unicamente, in modo vero e sentito, da ANPCI e non da altre associazioni che rappresentano più i grandi comuni e meno i piccoli comuni, deve essere ascoltata. Fino ad oggi noi non siamo ancora stati chiamati, ma siamo molto fiduciosi. Abbiamo la certezza di essere chiamati e di essere anche ascoltati, ma la cosa importante è che in quella riforma, nell'elenco (o in un altro testo, non so esattamente, ma il concetto è questo) delle associazioni riconosciute e che fanno parte della Conferenza Stato-città ci sia anche scritto ANPCI, Associazione nazionale piccoli comuni d'Italia, riconosciuta a tutti i livelli, ma che non fa parte della Conferenza perché non fa parte di quell'elenco delle associazioni che possono essere ascoltate, quelle che hanno voce, ma che non portano veramente i problemi dei piccoli comuni.
  Allora, datemi questa soddisfazione. Ormai ho un'età, combatto da 33 anni sempre per lo stesso obiettivo, volete farmi morire senza portare a casa questo risultato? Io voglio morire in pace. Grazie.

  VITO MARIO BURGIO, consulente dell'Associazione nazionale piccoli comuni d'Italia. Per quanto riguarda il Testo unico degli enti locali, da sempre ne chiediamo la riforma, poiché ormai è anacronistico rispetto alle esigenze del Paese. Addirittura abbiamo partecipato alla Commissione Costa, nel precedente Governo, dove abbiamo depositato un testo organico di riforma, articolo per articolo, per favorire la semplificazione, specificare meglio quali sono le funzioni ed eliminare le difficoltà che hanno i comuni nel gestirlo. Quindi, siamo prontissimi a discutere di riforma; abbiamo le nostre idee, ma sarebbe lungo qui esporle.
  Per quanto riguarda l'associazionismo e le unioni, abbiamo sempre detto che non siamo contrari alle unioni o alle fusioni, ma l'associazionismo deve essere scelto autonomamente Pag. 12 dai comuni sulla base dei LEP, dei costi standard e dei fabbisogni standard, quando ci saranno. Nessun ente – ho scritto fiumi di articoli su questo – pubblico e privato, Corte dei conti, MEF, Commissione parlamentare, quando è stata esaminata la legge sulle fusioni, la legge Delrio, ha potuto dimostrare che con le unioni ci sono dei risparmi. Non esiste nessuno studio che dimostri questo, neanche la prima relazione di Giarda sul federalismo fiscale, che scrive, a pagina 111, che non si associano risparmi alle unioni.
  Noi diciamo che si fanno le convenzioni o si fanno le fusioni, ma si deve dimostrare il risparmio. Per essere sintetico vi faccio un esempio. Dal 2010 a oggi abbiamo dato, tra Stato e regioni, quasi un miliardo di euro alle associazioni. Lo Stato e le regioni stanno dando a queste unioni dei soldi, ma togliendoli a chi? Ai comuni. Noi abbiamo avuto un taglio di 350 euro per abitante dal 2010 a oggi, e con quei soldi si sono finanziate le unioni.
  Cito due esempi semplici. Il comune di Saluzzo, 20 mila abitanti, si unisce col comune di Valmala, 58 abitanti. Comunque, lo Stato e la regione danno un milione e 100 mila euro all'anno per dieci anni. Li prenderà il comune piccolo o il comune grande quei soldi? Chi li gestirà? È una follia, e tutti i comuni stanno cercando di fare questo, perché con un milione all'anno che prendono fanno il paese nuovo, fanno le strade d'oro! È un modo di gestire? Questo è regalare i soldi, non è razionalizzare.
  Riporto un altro esempio per dimostrare che questo è un problema fondamentale. Si è parlato del comune di Valsamoggia, in Emilia-Romagna, costituito da cinque comuni. Grandi titoli: i giornali dicono che è stato risparmiato in un anno un milione di euro sul personale e via dicendo. Bene, io ho fatto i conti, ho visto che fabbisogni standard e che fabbisogni storici avevano i cinque comuni e ho fatto l'ipotesi che la stessa unione si facesse in Piemonte. Per riuscire a fare i 30 mila abitanti del comune di Valsamoggia ho dovuto riunire quindici comuni. Ebbene, quei quindici comuni avevano 100 unità di personale contro le 160 unità di personale che il comune di Valsamoggia unito manteneva. Quindi, a comuni che sprecano si danno ancora più risorse. Questo è il problema in Italia.
  Con il mito dell'unione abbiamo distrutto i comuni, perché li abbiamo obbligati a ingessarsi in un sistema che è sovracomunale; non basta il comune, poi c'è l'unione, il segretario dell'unione, la giunta dell'unione, il consiglio dell'unione, e sono costi in più. Inoltre, superando un certo numero di abitanti, si devono dare le posizioni organizzative ai dipendenti, e sono altri 15 mila euro di spesa per ogni dipendente che è responsabile dei servizi.
  Sono questi i problemi che dobbiamo affrontare. Noi siamo per l'associazionismo. Cito un dato e chiudo: già nel 1985 su un giornale è comparso che il Piemonte era il paese che aveva più convenzioni e più servizi convenzionati. Quindi, già dal 1985! Noi siamo convenzionati su tutto, ma lo dobbiamo decidere noi comuni con chi e che cosa convenzionare, non deve essere lo Stato a obbligarmi, a mettermi una camicia di forza che magari mi costa di più.
  Sui fabbisogni standard e fabbisogni storici abbiamo risposto.

  PRESIDENTE. Ringrazio i rappresentanti dell'Associazione nazionale piccoli comuni d'Italia, anche per aver sottolineato con una certa passione l'importanza di questa realtà.
  Dispongo che la documentazione prodotta sia allegata al resoconto stenografico della seduta odierna e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.20.

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