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Resoconti stenografici delle audizioni

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XVIII Legislatura

III Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 5 di Venerdì 3 maggio 2019

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Grande Marta , Presidente ... 3 

Audizione del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Enzo Moavero Milanesi, sugli sviluppi della crisi in Libia (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento) :
Grande Marta , Presidente ... 3 
Moavero Milanesi Enzo , Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale ... 4 
Grande Marta , Presidente ... 7 
Olgiati Riccardo (M5S)  ... 7 
Quartapelle Procopio Lia (PD)  ... 8 
Formentini Paolo (LEGA)  ... 10 
Valentini Valentino (FI)  ... 10 
Boldrini Laura (LeU)  ... 10 
Fassino Piero (PD)  ... 12 
Grande Marta , Presidente ... 14 
Moavero Milanesi Enzo , Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale ... 14 
Fassino Piero (PD)  ... 19 
Moavero Milanesi Enzo , Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale ... 19 
Boldrini Laura (LeU)  ... 20 
Fassino Piero (PD)  ... 21 
Boldrini Laura (LeU)  ... 21 
Vito Elio (FI)  ... 21 
Moavero Milanesi Enzo , Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale ... 22 
Boldrini Laura (LeU)  ... 23 
Moavero Milanesi Enzo , Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale ... 23 
Fassino Piero (PD)  ... 23 
Moavero Milanesi Enzo , Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale ... 23 
Boldrini Laura (LeU)  ... 24 
Moavero Milanesi Enzo , Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale ... 24 
Boldrini Laura (LeU)  ... 24 
Moavero Milanesi Enzo , Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale ... 24 
Grande Marta , Presidente ... 24

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Civica Popolare-AP-PSI-Area Civica: Misto-CP-A-PS-A;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI;
Misto-+Europa-Centro Democratico: Misto-+E-CD;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE;
Misto-Sogno Italia - 10 Volte Meglio: Misto-SI-10VM.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
MARTA GRANDE

  La seduta comincia alle 14.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, nonché la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Enzo Moavero Milanesi, sugli sviluppi della crisi in Libia.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Enzo Moavero Milanesi, sugli sviluppi della crisi in Libia.
  A nome della Commissione, esprimo un ringraziamento sentito e non formale al Ministro per aver immediatamente corrisposto alla richiesta avanzata dall'Ufficio di presidenza integrato dai rappresentanti dei gruppi, all'esito della riunione del 30 aprile scorso, rispetto all'opportunità di tenere in via d'urgenza un'informativa del Ministro rispetto all'evolvere, in chiave di crescente drammaticità, della crisi in Libia.
  Questa audizione rappresenta, peraltro, un passaggio prodromico rispetto ad un'indagine conoscitiva, da me proposta e condivisa in modo unanime dal citato Ufficio di presidenza, da deliberare al più presto, finalizzata a dotare la Commissione di una sede di approfondimento istruttorio e di monitoraggio costante sulla situazione libica alla luce della grave evoluzione sul terreno delle iniziative militari, dello stallo dei negoziati politici, a livello sia locale sia internazionale, della drammatica situazione umanitaria, dei concreti rischi di destabilizzazione del Mediterraneo, da cui potrebbero derivare gravi conseguenze per l'Italia sul piano delle priorità di sicurezza, degli interessi strategici, anche di tipo energetico, e della prevenzione di straordinari flussi migratori incontrollati; inoltre, nell'esigenza prioritaria di contrastare fenomeni criminali di tipo transnazionale, a partire dal traffico di esseri umani.
  Questa audizione potrà, pertanto, essere formalmente acquisita agli atti dell'indagine conoscitiva, che rappresenterà un contesto procedurale, a disposizione anche del Ministro, rispetto all'interlocuzione, anche ad horas, con questa Commissione in merito ai maggiori snodi della crisi libica.
  Ministro, la Sua audizione sulle linee direttrici del Suo dicastero svolta nel luglio scorso aveva già riconosciuto l'inevitabile centralità strategica della Libia, Paese nel quale si è recato subito ad avvio di legislatura e cui il Governo ha dedicato un costante sforzo politico e diplomatico, culminato nella Conferenza di Palermo tenutasi a novembre 2018. Gli esiti di questo sforzo sono stati certamente sottoposti a dura prova dal braccio di ferro tra il negoziato portato avanti dalle Nazioni Unite e il percorso politico parallelo condotto dai diversi attori regionali, che ha finito per rafforzare il ruolo del generale Haftar.
  Ciononostante, il Governo italiano, con pervicacia, ha conservato un ruolo centrale nel dossier, come dimostrano i recenti incontri del Presidente Conte con i capi di Stato russo ed egiziano, unanimemente considerati tra gli attori più decisivi rispetto ad una auspicabile de-escalation della crisi. Pag. 4
  Fatte queste brevi riflessioni, do subito la parola al Ministro, chiedendo ai gruppi, intanto, di far pervenire eventuali richieste di intervento in vista della successiva fase di dibattito.
  Prego il Ministro di intervenire.

  ENZO MOAVERO MILANESI, Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Grazie, presidente. La situazione in Libia merita, effettivamente, un aggiornamento qui in Commissione. Ricordo che il 17 aprile avevo avuto occasione di riferire sul medesimo soggetto nel quadro del COPASIR, evidentemente un quadro diverso da quello di una Commissione parlamentare ordinaria.
  Il terreno di crisi della Libia è uno di quelli che ci preoccupa maggiormente su scala internazionale. Non è l'unico. Le cronache degli ultimi giorni hanno riportato alla ribalta la situazione anche in Venezuela. A fronte di eventuali domande, sono naturalmente disponibile a dare elementi anche rispetto a quello scenario.
  Per quanto riguarda l'aggiornamento sulla Libia, dividerò l'intervento – che ha l'obiettivo di essere succinto e, spero, chiaro – in tre parti. La prima riguarda una situazione che grosso modo conosciamo, ma ve la riassumo nella chiave di lettura che diamo ad essa. La seconda identifica la nostra posizione come Governo italiano. La terza riguarda le azioni concrete che stiamo portando avanti.
  Per quanto riguarda la prima situazione, eravamo su un percorso positivo – dobbiamo usare il tempo al passato – per stabilizzare la situazione in Libia. Si andava verso l'organizzazione di una Conferenza nazionale in Libia che si fondava sulle precedenti conferenze che si erano svolte, tra cui quella di Palermo, sugli accordi intercorsi ad Abu Dhabi tra il Presidente del Governo nazionale al-Sarraj e il generale Haftar, quando, sostanzialmente un mese fa, sono iniziate nuovamente delle ostilità di carattere militare. La situazione è cambiata in maniera repentina, con una avanzata delle truppe del generale Haftar verso la capitale, Tripoli.
  Sul terreno è diventata una guerra quasi di posizione, con un sostanziale stallo. Si avanza, si retrocede e, purtroppo, si combatte. Ci sono vittime, anche tra la popolazione civile. Evidentemente, tutto questo ha riagitato notevolmente la situazione generale nel Paese, con un effetto per certi versi paradossale. L'obiettivo dichiarato, in particolare dal generale Haftar, è quello di voler eliminare elementi di terrorismo presenti sul territorio libico. Si è manifestata nuovamente questa recrudescenza, questo ritorno del terrorismo con due episodi specifici proprio a seguito di questa offensiva militare. Questo dimostra che la situazione è estremamente complessa, estremamente fluida sotto il profilo delle dinamiche in corso, sostanzialmente in stallo: ovviamente non da trincea, ma uno stallo da movimenti in avanti, offensivi, controffensivi e quant'altro, sul terreno militare.
  Purtroppo, anche nel corso di questo mese vi è stata la cosiddetta «escalation» dal punto di vista dell'utilizzo degli armamenti. Sono utilizzate artiglierie pesanti e ci sono lanci di missili, anche di carattere sofisticato. Vi è l'uso di aviazione, ci sono situazioni da guerra reale. L'instabilità può riflettersi sui flussi migratori, che rappresentano una delle preoccupazioni – come Italia – che penso abbiamo tutti, che hanno i nostri cittadini? Potenzialmente sì. Per il momento, però, non si segnalano elementi particolari di incremento nei movimenti dei flussi migratori.
  Sono girate cifre molto alte. In particolare, la cifra di 800 mila migranti potenzialmente in partenza per l'Europa è stata evocata da vari esponenti dello scenario libico, più precisamente anche dal Presidente al-Sarraj, ora ridimensionata a 700 mila – che cambia relativamente le cose sotto il profilo dell'impatto macro, ma comunque riduce il numero – e dal Rappresentante ONU Salamé quando è venuto la settimana scorsa a Roma. Noi abbiamo, naturalmente, coscienza che questa cifra rappresenta il numero dei non libici presenti in Libia, ma non dobbiamo dimenticare che da sempre, quindi da prima della rivoluzione contro il regime di Gheddafi, durante la fase relativa a questa rivoluzione, nella fase successiva, la Libia è sempre Pag. 5 stato un Paese dove sono affluite numerose persone provenienti da altri Paesi.
  Nei campi delle Nazioni Unite sono censite all'incirca 6 mila persone. Noi sappiamo di sfollati interni nell'ordine di 40 mila, ma i movimenti al momento sono essenzialmente all'interno della stessa Libia. C'è anche da ricordare che, quando ci sono state ostilità estremamente dure all'epoca della rivoluzione nei confronti del regime di Gheddafi, molti dei movimenti sono stati verso i Paesi limitrofi. Quindi, siamo estremamente vigilanti, ma per il momento non si segnalano situazioni di carattere non solo emergenziale, ma anche anormale, atipico. Tuttavia, il contesto è tale da poterle determinare.
  Questa è la ragione per la quale io stesso ho scritto, una decina di giorni fa più o meno, alla Commissione europea, richiamando quanto è scritto nell'articolo 78 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, a proposito di eventuali emergenze dovute a flussi massicci e improvvisi di migranti verso uno o più Stati membri. Si prevede che si possano prendere delle misure specifiche. Furono adottate nel 2015, come ricordiamo. Sono misure precise previste dal Trattato, quindi con carattere obbligatorio, oltretutto confermato dalla Corte di giustizia proprio a seguito di ciò che accadde nel 2015-2016. Ho chiesto, quindi, alla Commissione di prendere atto del fatto che noi riteniamo debba tenersi pronta a fare proposte. Il Trattato prevede, infatti, anche in questo caso, una proposta da parte della Commissione.
  Veniamo alla posizione italiana, che è la seguente. Noi, sperando di interpretare i sentimenti generali, come Governo ci stiamo uniformando all'obiettivo di preservare l'unità, la sovranità, l'integrità territoriale e di portare una stabilità duratura in Libia. Ognuno di questi concetti sembra ovvio ed è evidentemente di grandissima importanza, data la situazione che vediamo sul terreno oggi, ma anche la situazione difficile che constatiamo da qualche anno. L'obiettivo, naturalmente, se guardiamo al nostro interesse nazionale, per definirlo in questo modo, è in primo luogo evitare situazioni che possano accentuare una minaccia terroristica, evitare che si creino situazioni emergenziali sotto il profilo migratorio, nonché tutelare gli interessi economici, in particolare nel campo energetico, che il nostro Paese tradizionalmente ha in Libia.
  Riconosciamo, per essere anche in questo caso molto chiari, il cosiddetto «Governo di accordo nazionale» del Presidente al-Sarraj – cosiddetto perché fondato peraltro su un accordo nazionale, quindi è un cosiddetto di definizione, non di riduttività della nozione – che è il Governo legittimamente riconosciuto da tutta la comunità internazionale. Dunque, noi siamo esattamente nella posizione dell'intera comunità internazionale nel riconoscere il Governo al-Sarraj, che peraltro è stato l'interlocutore anche della componente cirenaica dello scenario libico nei mesi scorsi.
  Pensiamo che bisogna mantenere anche un dialogo con gli altri protagonisti dello scenario libico, quindi naturalmente anche con il generale Haftar, che ovviamente rimane un attore estremamente importante, in particolare nella parte est del Paese.
  L'idea di fondo è che, se vogliamo svolgere qualcosa di positivo come Italia per la Libia, dobbiamo muoverci su binari di dialogo inclusivo con tutte le componenti che abbiano evidentemente una rappresentatività e che accettino un dialogo, perlomeno con noi, e poi cercare di rimetterli in dialogo tra loro.
  Dialogo inclusivo e approccio di inclusività non vuol dire essere ambigui, oscillanti, essere tutte quelle cose di carattere, a mio avviso, meno positivo che si possono di volta in volta mettere come etichette. Non c'è un'equidistanza nel momento in cui si riconosce con chiarezza un governo come legittimo: si prende atto di una situazione difficile e si cerca di svolgere un ruolo di conciliatori e di riportare le diverse parti a parlarsi fra loro e idealmente ad arrivare di nuovo, a termine, a un tavolo di dialogo più formale che possa poi portare alle elezioni, come si è cercato di fare nel 2018 e come si stava cercando di fare per il 2019; momento in cui, con meccanismi che puntano a essere democratici, il popolo ha la parola e può decidere i propri governanti. Pag. 6
  Pertanto, l'obiettivo attuale resta quello di evitare in primo luogo un'ulteriore escalation del conflitto e di cercare di portare le parti a comprendere che non ci può essere una soluzione militare in una situazione così difficile. Questa posizione naturalmente fonda le proprie basi ideali sul nostro stesso credo costituzionale, come Italia, di non volere che la guerra sia uno strumento per risolvere le controversie; ma le fonda anche, più banalmente ma anche quasi più fondatamente dal punto di vista pragmatico, sul buon senso.
  Quando ci si trova di fronte a realtà così divise e a scontri militari non si può immaginare che la soluzione militare possa essere, con una sorta di vittoria instabile, la soluzione della situazione. Bisogna perseguire una soluzione di carattere civile, una soluzione di carattere politico, che inevitabilmente passa attraverso il dialogo e, se si vuole promuovere il dialogo fra gli altri, in primo luogo bisogna essere in grado di dialogare con tutti questi altri, ed è quello che stiamo cercando di fare.
  Questo naturalmente dà molta parola alla diplomazia, quella con la «D» maiuscola, nel senso di una diplomazia che non necessariamente si manifesta attraverso proclami, dichiarazioni vocianti e grandi elementi di visibilità da palcoscenico, ma cerca di lavorare concretamente con i diversi interlocutori per arrivare a un risultato.
  I successi, gli insuccessi, la marginalità o l'efficacia di questo tipo di diplomazia si misurano sui risultati. Si misurano sui risultati anche i successi e gli insuccessi delle dichiarazioni roboanti. Ammetto che le dichiarazioni roboanti possono avere un effetto immediato che si può inseguire, ma non è necessariamente la mia propensione.
  Veniamo al terreno di quello che stiamo cercando di fare concretamente, ovvero all'azione diplomatica, l'ultima parte del mio intervento. Naturalmente abbiamo dato sempre e continuiamo a dare la massima importanza al ruolo delle Nazioni Unite. Noi crediamo nelle Nazioni Unite, non solo come appartenenza a un qualcosa a cui non si può fare a meno di appartenere, ma perché l'ONU rappresenta dal secondo dopoguerra, pur nei suoi successi maggiori e in qualche suo insuccesso, il foro imprescindibile per una convivenza il più possibile pacifica e regolata a livello di comunità internazionale.
  Pertanto, noi sosteniamo e ci riconosciamo nell'azione delle Nazioni Unite. Sosteniamo e ci riconosciamo attualmente nell'azione svolta dal Rappresentante Speciale per la Libia del Segretario Generale delle Nazioni unite, Ghassan Salamé. L'abbiamo visto a Roma e siamo in contatto telefonico quasi quotidiano.
  Naturalmente non è stato assolutamente positivo per le Nazioni Unite veder scoppiare le ostilità proprio nei giorni in cui il Segretario Generale Guterres si trovava a Tripoli e il Rappresentante Speciale Salamé preparava gli ultimi elementi di una conferenza che si sarebbe dovuta svolgere a metà aprile, a pochi giorni dall'inizio delle ostilità. Tuttavia, pensiamo che l'ONU sia un attore imprescindibile, essenziale e rappresentativo della comunità internazionale.
  Naturalmente dialogo inclusivo significa che in primis parliamo con tutte le parti dello scenario libico e parlare con tutte le parti significa incontrarli, vederli, telefonare, mantenere contatti a più livelli. Il Presidente del Consiglio, io stesso e altri Ministri del Governo, a seconda delle varie questioni che sono da trattare, siamo in contatto con le varie persone sullo scenario libico.
  Esiste naturalmente un'azione più incisiva, in quel quadro di diplomazia che cerca di essere efficace senza declamare troppo, che noi intendiamo in Farnesina. Io ho avuto più contatti con il Presidente al-Sarraj, con il Ministro degli esteri Siala e con il Vicepresidente Maitig. Il Presidente Conte ha avuto anche lui contatti con il Presidente al-Sarraj e con emissari del generale Haftar.
  È importante il contatto con altri attori della comunità internazionale, perché sappiamo tutti – e lo vediamo anche riportato ampiamente dai mass media – che dietro gli attori dello scenario libico ci sono attori di altri Paesi. Questi attori di altri Paesi hanno interessi politici, interessi di vario carattere, economico e quant'altro, e magari Pag. 7 hanno anche l'interesse a far svolgere in Libia una rivalità che hanno anche su altri terreni. Noi manteniamo il contatto con tutti loro.
  È in questo quadro che ci sono stati incontri, tra l'altro a Roma, con i Ministri degli esteri del Qatar e degli Emirati Arabi Uniti, numerosi contatti con i Ministri degli esteri di Turchia e di Egitto, contatti anche diretti del Presidente del Consiglio con il Presidente egiziano, e contatti con gli altri Paesi vicini, come la Tunisia. Il 30 aprile c'è stata una bilaterale di governo Italia-Tunisia, dove la Libia è stato uno dei grandi soggetti. In particolare con il Ministro degli esteri tunisino abbiamo convenuto che i Paesi confinanti, via terra e via mare, con la Libia devono mantenere un contatto ulteriormente stretto.
  C'è un'azione specifica che si svolge a livello tecnico, ma che è molto importante, nel quadro del formato cosiddetto «P3+3», ovvero tre Paesi membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna) e i tre Paesi (Italia, Emirati Arabi Uniti ed Egitto) che fanno parte di questo gruppo. Si è svolta una riunione a Roma e c'è un contatto regolare.
  Abbiamo anche reso pubbliche una serie di posizioni. C'è stata una dichiarazione molto esplicita da parte del G7 il giorno stesso in cui sono scoppiate le ostilità. In quel giorno come Ministri degli esteri del G7 eravamo riuniti in Bretagna, ospiti della Francia, e tutti e sette i Paesi abbiamo fatto una dichiarazione congiunta molto chiara sull'appello alla riduzione e cessazione delle ostilità. C'è stata una dichiarazione a livello di Unione europea a ventotto, quindi con la pienezza degli Stati membri dell'Unione allo stato attuale.
  Ci sono contatti molto stretti con gli Stati Uniti, nostri alleati. Ne parlammo a inizio gennaio quando sono stato a Washington la prima volta e ne abbiamo riparlato il 3 e 4 aprile quando vi sono stato ulteriormente, anche in occasione della ministeriale NATO, oltre che di alcuni bilaterali. Il Presidente del Consiglio ha avuto anche occasione di parlare con il Presidente Trump e con il Presidente russo Putin. Per completezza ricordo anche – ma naturalmente è stata resa pubblica e abbiamo fatto addirittura una conferenza stampa congiunta – la visita del Ministro francese qui in Italia, circa una settimana fa o poco più.
  Sotto il profilo del precipitato di tutti questi contatti c'è una comune visione sull'opportunità di far cessare e ridurre le ostilità, alla quale fa riscontro – ci auguriamo e insistiamo affinché sia così – un'azione di persuasione che i diversi attori possono avere sui loro interlocutori più diretti in Libia, ma i risultati sul terreno per ora non ci sono. È bene che ce lo diciamo: la situazione resta quella che descrivevo all'inizio.
  Noi comunque pensiamo – e su questo, presidente, concluderei la mia presentazione – che non ci sia alternativa al dialogo inclusivo, pur nella chiarezza delle posizioni di partenza di questo dialogo e nella piena coscienza dell'estrema difficoltà di arrivare a produrre dei risultati. Astenersi dal favorire e dal tenere il dialogo rischierebbe di aggravare una situazione già grave, con rischi e nocumenti evidenti per le popolazioni della Libia e per chi si trova in Libia, oltre che, vista la vicinanza, per la nostra stessa Italia. Noi vogliamo e riusciremo a evitare che ci siano ripercussioni per il nostro Paese di carattere più diretto e con difficoltà di gestione.
  Grazie, presidente, e grazie a voi tutti.

  PRESIDENTE. Grazie a Lei, Ministro. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  RICCARDO OLGIATI. Grazie, Ministro. Innanzitutto siamo sicuramente soddisfatti del fatto che il dialogo sia ancora – e lo deve rimanere – la soluzione principale per una regione che sta vivendo un momento non molto tranquillo e positivo rispetto a quanto ci si aspettava dopo la Conferenza di Palermo.
  Mi sorgono alcune domande da porle per approfondire la situazione. Per quanto riguarda gli sbarchi, Lei ci dice che per ora non si sono verificati i numeri che sono Pag. 8stati detti, però è nella logica delle cose pensare che un aumento potrebbe verificarsi, visto l'acuirsi delle tensioni nella zona. Se dovesse aumentare il numero di sbarchi prossimamente, che linea pensa di tenere il Governo? Continueremo tenendo questa linea dura contro gli sbarchi, continuando a chiedere una redistribuzione dei migranti all'Europa, oppure si potrà ipotizzare qualche altra soluzione?
  Inoltre, ho visto con grande interesse quanto è stato fatto qualche giorno fa, quando sono stati sbarcati 147 migranti attraverso corridoi umanitari. Vorrei capire se questa è una soluzione strutturale che si pensa di portare avanti o se è stato soltanto un episodio spot.
  Infine, Lei ha parlato di posizioni ambigue e oscillanti che non aiutano sicuramente il contesto della Libia. Vorrei capire, dopo un inizio in cui gli Stati Uniti sembravano averci investito quali responsabili della cabina di regia per trovare una soluzione il più possibile diplomatica per la Libia, ora sembra che nell'ultimo periodo gli Stati Uniti stiano assumendo un atteggiamento un po’ ambiguo e non si capisce da che parte stiano.
  Vorrei capire al Ministero che sensazioni avete sulle intenzioni degli Stati Uniti all'interno del contesto libico. Grazie.

  LIA QUARTAPELLE PROCOPIO. Non c'è bisogno di spiegarle, Ministro, perché la Libia sia il cuore delle nostre preoccupazioni strategiche. Lo ha detto anche Lei, ci sono ragioni che riguardano il tema del governo dei flussi migratori, ci sono ragioni di sicurezza energetica, ci sono ragioni di sicurezza in termini di terrorismo e, più in generale, per il nostro Paese è un problema confinare di fatto con un Paese che rischia di trovarsi in un conflitto protratto.
  Per questo la strategia del dialogo inclusivo, cioè cercare di stabilizzare il Paese, è una strategia giusta. Non l'ha inventata questo Governo, è sempre stata la strategia italiana, dal 2011 a oggi, quella di cercare di costruire un senso di unità nazionale, di incentivare le parti libiche al dialogo e alla ricostruzione dello Stato.
  Il dialogo inclusivo però serve se si fa con gli alleati, cioè se i nostri alleati esterni alla Libia premono tutti nella stessa direzione. In questo senso, a me costa rilevare il fatto che l'Italia oggi si trova in uno stato di isolamento internazionale senza precedenti sulle vicende della Libia. Credo che sulla questione del rapporto con la Francia, al di là degli sforzi del Presidente Mattarella e del recente incontro tra Lei e il Ministro degli esteri francese, in realtà i francesi in questo momento non si fidano degli interlocutori politici del nostro Governo. Purtroppo i francesi non hanno capito che le invettive che sono state loro rivolte dai colleghi di governo del Movimento 5 stelle e della Lega erano parte di una dialettica elettorale. Non hanno probabilmente apprezzato i riferimenti al pene piccolo fatti da qualche esponente del Governo, non hanno probabilmente apprezzato una polemica totalmente pretestuosa sul franco CFA, e oggi quello che vediamo nei rapporti con la Francia è che loro continuano a perseguire degli interessi nazionali che sono francesi e che non corrispondono agli interessi italiani e c'è poco dialogo sulla vicenda libica.
  Allo stesso modo, non credo abbia molto aiutato i rapporti con l'Unione europea la vicenda di EUNAVFOR Med Sophia. Noi abbiamo detto all'Unione europea che non ci serviva un aiuto per gestire le migrazioni, dicendo di no a un impegno europeo che favorisce l'Italia nella gestione dei flussi migratori nel Mediterraneo. Se dovessimo – e dovremo – fare tutto quello che faceva l'operazione Sophia senza l'aiuto delle navi europee a noi costerebbe 140 milioni di euro. Abbiamo detto di no alle navi degli altri Paesi europei, poi Lei ha scritto una lettera chiedendo una mano all'Unione europea sulla gestione dei flussi migratori. Io mi domando che tipo di sensazione abbiano, un po’ di schizofrenia... Quindi anche i rapporti con l'Unione europea sono resi molto difficili da come in questi mesi si è sviluppata una dialettica e da come il Governo ha voluto isolarci dal resto dell'Europa.
  Tralascio per carità di patria la telefonata tra il Premier Conte e il Presidente Trump: una telefonata che voi avete raccontato come un sostegno alla linea italiana, Pag. 9 quindi alla linea del dialogo inclusivo, ma il giorno dopo gli Stati Uniti hanno sostanzialmente dato un via libera a quanto sta facendo il generale Haftar. Quindi, una sconfessione della linea italiana.
  Ci troviamo dunque con una strategia italiana che è completamente franata, tanto che dall'instabilità governata che c'era nei mesi passati – la Libia non è la Svizzera, però si è riusciti a tenere un'instabilità governata – oggi ci troviamo in una situazione di conflitto aperto. Mi sembra che questa idea del dialogo inclusivo sia un'idea che ha solo l'Italia, perché neanche quelli che dovrebbero essere i nostri alleati più vicini – parlo della Francia e degli Stati Uniti – in questo momento chiedono un cessate il fuoco; neanche loro stanno proponendo all'ONU che si tenga una riunione del Consiglio di sicurezza per discutere un cessate il fuoco, che è la precondizione per fare il dialogo inclusivo.
  Noi siamo completamente isolati sul piano internazionale; sul piano interno, mi dispiace rilevare che non si è cercata quella necessaria coesione nazionale che c'era, laddove c'era un interesse da parte di tutte le opposizioni a dialogare e a sostenere le iniziative del Governo nei confronti della Libia. Noi non vediamo la deliberazione sulle missioni; siamo all'inizio di maggio e non c'è ancora stata in questo Parlamento una discussione sulla deliberazione relativa alle missioni, quindi la nostra missione a Misurata oggi è lì senza un'autorizzazione del Parlamento, senza che noi, che vorremmo prenderci la responsabilità di come stanno lì i nostri uomini, in che condizioni si trovano, possiamo farlo. Tutto questo perché il Governo non è pronto con la deliberazione.
  Rilevo ancora una volta che ad agosto, quando l'opposizione avrebbe voluto fare alcune migliorie sul decreto per l'autorizzazione delle motovedette libiche, non è stato tenuto conto neanche di un emendamento sottoposto dalle opposizioni, con le vicende che vediamo in questi giorni, con le motovedette libiche adattate per utilizzarle per scopi militari, quando le opposizioni avevano sollevato qualche problema. Dalla prima vicenda libica che abbiamo discusso in Parlamento non c'è stata neanche la volontà di creare un senso di unità nazionale. Rilevo che l'ultima volta che noi abbiamo potuto discutere in queste Commissioni la vicenda libica con Lei, Ministro, è stato il 12 settembre. Quindi, non c'è stato un interesse a creare un dialogo che noi abbiamo cercato in tante occasioni.
  A questa mancanza di coesione nazionale si aggiunge la cosa più grave, cioè un litigio tra le forze di governo sulle vicende della Libia. Qui arrivo a farle alcune domande, perché è veramente preoccupante per noi e inaccettabile continuare a vedere il litigio delle forze politiche su tante questioni, ad uso semplicemente dei sondaggi. È estremamente grave che la stessa cosa si faccia sulle vicende della Libia. Le pongo alcune domande alle quali spero che Lei abbia la cortesia di rispondere.
  La prima domanda riguarda il consolato di Bengasi. Non si capisce che cosa volete fare. È stato annunciato anche da Lei in altre sedi che il consolato sarebbe stato riaperto; abbiamo visto che c'erano forse dei Carabinieri a Bengasi per preparare la riapertura del consolato; sappiamo che una persona è stata scelta. L'altro giorno il Ministro Salvini ha dichiarato che il consolato non sarà riaperto. Per noi è importante sapere se il Consolato sarà riaperto e soprattutto se le persone coinvolte in questa vicenda sono adeguatamente tutelate, perché non si possono avere a Bengasi persone con possibilità di essere in qualche modo esposte a questioni di insicurezza.
  È emersa in questi giorni la vicenda delle ong, sollevata dalla trasmissione Le Iene. Quello che dice la trasmissione corrisponde al vero? Che cosa sa il Ministero? Le ong sono state lasciate sole? Il Governo per un anno ha lasciato l'Agenzia per cooperazione internazionale senza direttore. Con chi avrebbero dovuto parlare le ong riguardo alle vicende libiche se non con una struttura della cooperazione che funzionasse e che non ha funzionato?
  Altra questione, quella delle nostre truppe a Misurata. Noi vogliamo sapere se, rispetto alle truppe e rispetto al resto del personale italiano presente in Libia, questo Pag. 10continuo ondeggiamento del Governo tra Lega, Movimento 5 stelle e la Farnesina – lo chiediamo a Lei che è il capo della nostra diplomazia, è la persona che ha la piena responsabilità di tutto quello che sta succedendo in Libia – e questa mancanza di coesione all'interno dello stesso Governo mette a repentaglio la vita degli italiani che sono in Libia, dai nostri soldati a Misurata a tutte le altre persone, cooperanti, militari e diplomatici che sono presenti nel Paese.

  PAOLO FORMENTINI. Ho ascoltato con attenzione l'intervento dell'onorevole Quartapelle Procopio. Devo fare delle precisazioni prima di svolgere il mio intervento perché ho letto una agenzia di stamattina in cui il Ministro degli esteri francese Le Drian in realtà dice cose molto diverse da quelle che abbiamo sentito. Il Ministro si dice assolutamente schierato con il premier al-Sarraj, si dice intenzionato a evitare il contagio, a combattere il terrorismo, a mantenere il dialogo ma, come vogliamo fare anche noi, con le altre forze presenti sul campo.
  Io, invece, vedo in modo molto positivo l'azione del Governo, l'azione congiunta del Ministro Moavero, del Ministro Salvini; un'azione che è volta – l'abbiamo sentito – a far sì che con il dialogo si arrivi finalmente a quelle libere elezioni che purtroppo non ci sono state perché c'è stata l'avanzata del generale Haftar. Lo stesso Ministro Le Drian afferma che Haftar non ha comunicato la sua avanzata durante l'incontro che ha avuto con Le Drian stesso lo scorso 19 marzo. Mi sembra che adesso l'Italia sia tutt'altro che isolata e che ci possa essere un terreno comune su cui lavorare.
  Ribadisco anch'io la necessità di difendere l'interesse nazionale e l'interesse strategico, le fonti di approvvigionamento energetico. Non sono d'accordo, ancora una volta, con l'onorevole Quartapelle Procopio laddove ci dice che su Sophia l'Italia ha detto no. Noi non abbiamo detto no, noi abbiamo detto che l'Italia non deve essere l'unico porto di sbarco. Grazie.

  VALENTINO VALENTINI. Grazie, signor presidente. Il dibattito si è esteso, quindi faccio mie intanto le affermazioni e le questioni poste dall'onorevole Quartapelle Procopio.
  A me pare che possiamo trarre due considerazioni da quanto abbiamo sentito. Innanzitutto, siamo in contatto. Non c'è problema, siamo in contatto, stiamo dialogando. Secondo punto: a me pare invece che ci sia una grande continuità nell'efficacia di questo Governo, la vediamo sulla Libia, la vediamo anche sul Venezuela. C'è una piena coerenza. Noi siamo completamente isolati, siamo divisi al nostro interno e continuiamo a mantenere la stessa linea. Linea del tutto incomprensibile a noi stessi e agli altri.
  Francamente abbiamo parlato di una linea efficace senza declamare troppo. L'efficacia talvolta va anche percepita, nel senso che l'opinione pubblica in generale e gli stessi attori che sono parte delle azioni non penso abbiano una visione dell'efficacia italiana che, invece di comportarsi, come si dice sui manuali, da media potenza, mi pare si comporti da media impotenza.
  Detto questo, faccio mie le questioni concrete poste dall'onorevole Quartapelle Procopio e ne aggiungo una anch'io. Visto che abbiamo parlato dello speciale ruolo che abbiamo acquisito con gli Stati Uniti, visto che il Presidente degli Stati Uniti, dopo aver parlato con il nostro Presidente che affettuosamente chiama Giuseppe, ha chiamato anche Khalifa Haftar – non so come lo chiamerà, forse Khali, quando gli parla al telefono –, vorrei sapere cosa ne pensavano i nostri amici tunisini della volontà manifestata dagli Stati Uniti di ascrivere alla lista dei terroristi la Fratellanza Musulmana, che è al Governo a Tunisi e che, tra l'altro, mi pare sia strettamente collegata alle milizie di Misurata, che in questo momento ci hanno tolto le castagne dal fuoco. Grazie.

  LAURA BOLDRINI. Ringrazio il Ministro per essere venuto in Commissione su richiesta delle opposizioni per fare il punto e per metterci al corrente dello stato dell'arte in Libia. Si avvertiva questa necessità perché noi siamo rimasti abbastanza spiazzati dagli eventi che si sono susseguiti in Libia, anche perché a Palermo eravamo Pag. 11stati rinfrancati da dichiarazioni di tutto rispetto. Il Presidente del Consiglio parlava di una svolta in Libia e dunque avevamo tutti la speranza che finalmente si arrivasse a una conclusione e che si portasse un po’ di stabilità in quel Paese.
  La sorpresa con cui siamo, anzi direi siete stati colti dall'azione di Haftar, a pochi giorni dalla Conferenza delle Nazioni Unite, sta a significare proprio questo, cioè che se questa buona azione diplomatica di cui Lei parlava si deve riscontrare nei fatti, allora i fatti non ci sono. Se fosse stata buona quell'azione diplomatica, probabilmente non saremmo stati presi di sorpresa e, nell'ottica secondo cui stiamo dialogando con tutti, avremmo avuto qualche sentore che Haftar stava preparando questa azione militare. La nostra intelligence è lì, abbiamo quattrocento militari lì, abbiamo delle antenne sul territorio, ma nulla vi lasciava presagire che Haftar si stesse organizzando per fare un'azione chiaramente di guerra, come è stato detto. Con centinaia di blindati, ha cominciato ad avvicinarsi alla capitale. Lo ha detto Lei, siamo in uno scenario di guerra, c'è l'artiglieria pesante, quindi non siamo più a una semplice azione di avvertimento.
  Ecco, penso che in un contesto come questo è chiaro che noi dobbiamo coinvolgere tutti gli attori regionali e non per trovare una soluzione, perché da soli non ce la facciamo, Ministro, è evidente. Abbiamo tentato di fare un'azione diplomatica tutta italiana, con Palermo; il risultato è stato un naufragio, di fatto. Quindi, io penso che il dialogo con la Francia, a livello bilaterale, oltre il «3+3» che Lei ha menzionato, vada intensificato proprio sulla Libia. Non si può non avere la Francia coinvolta in un dialogo intenso se si vuole trovare una soluzione.
  Lei ci ha parlato di questa lettera che ha scritto alla Commissione europea, nel caso di un afflusso consistente di migranti. Ho letto qualcosa sui giornali, come tutti i colleghi e le colleghe, in merito alla risposta. Vorrei saperne di più da Lei, signor Ministro, perché si sa che i giornali a volte magari danno delle interpretazioni. Da quello che si è letto, mi sembra che la risposta non sia stata molto collaborativa, nel dire «siete voi i primi a frapporre degli ostacoli a una eventuale suddivisione, al burden sharing». Capisce, quindi, che è difficile poi richiamarsi alle istituzioni europee quando invece si fa di tutto per escluderle e farle oggetto di una sostanziale campagna di delegittimazione. Avrei interesse a capire qual è la risposta della Commissione in merito a questa richiesta.
  Di fatto, ci sono anche altre preoccupazioni. Non ho letto, tra le righe di quello che Lei ci ha espresso, una preoccupazione dal punto di vista delle condizioni della popolazione civile. Non possiamo solo pensare a noi quando andiamo a negoziare, perché le controparti questo lo avvertono e dunque noi perdiamo di credibilità, se l'unica stella polare che abbiamo è che non arrivino i cosiddetti «profughi». Io li chiamerei diversamente, signor Ministro, li chiamerei «richiedenti asilo». Se l'unica stella polare del dialogo è questa, noi perdiamo di credibilità agli occhi dei nostri partner, perché vuol dire che non abbiamo altro che questo interesse: non ci riguarda quello che succede alla Libia, alla popolazione civile, è come se fosse estraneo dalla nostra sfera di interesse.
  Io, che ho il vizio di occuparmi anche di questo, vorrei capire. Dal punto di vista umanitario, Lei ha parlato di 40 mila sfollati: dove sono? Chi li assiste? Nel 2011 Lei ricorderà, signor Ministro, quando venne destituito Gheddafi. Lei se lo ricorda che cosa accadde? Le Nazioni Unite organizzarono un ponte aereo dalla Tunisia. Parlavamo – lì sì, in quella circostanza – di 800 mila lavoratori, che con i bombardamenti uscirono dalla Libia per andare in Tunisia e in Egitto. Vennero organizzati dei campi e dalla Tunisia partiva il ponte aereo. Tutta la comunità internazionale si mise a disposizione per prendere quote di persone in fuga dalla guerra. Si organizzarono anche delle navi che portavano i lavoratori più distanti. Ogni Paese offrì una quota.
  Non c'è bisogno di arrivare alla disumanità, alla chiusura dei porti, per avere una buona gestione in base al diritto internazionale, nel rispetto della Convenzione di Pag. 12Ginevra. No, ci sono altre strade, nell'umanità e nel rispetto del diritto. Ve ne sto illustrando una. Il nostro Paese, all'epoca, si fece capofila di questo. Certo, arrivarono anche in Italia, ma in numero molto contenuto. Ebbero accesso al territorio, ebbero accesso alla procedura d'asilo, perché l'articolo 10 della nostra Costituzione lo prevede, ottemperando ai nostri obblighi nazionali e internazionali, perché l'interdizione in mare e il blocco navale sono atti di guerra.
  Io avrei interesse a capire anche che cosa è stato fatto delle motovedette che l'Italia deve aver ceduto alla Libia, perché ci sono indiscrezioni (e qui chiedo a Lei la conferma, se può, certamente potrebbe non averla) che parlano di utilizzo militare di queste motovedette.
  Lei mi insegna che c'è un embargo in Libia, quindi se così fosse, noi saremmo in violazione di un embargo, ma io chiedo a Lei la conferma di questo: è vero che le motovedette cedute dall'Italia sono usate in operazioni militari, anziché per i motivi per cui sono state cedute, motivi da cui io mi dissocio totalmente, ma che non erano certo militari?
  C'è un'altra cosa che volevo chiederle, che riguarda i droni verso la Libia che partirebbero da Sigonella. C'è un istituto di giuristi, l'ECCHR (European Center for Constitutional and Human Rights), con base a Berlino, che ha denunciato, ottenendo riscontri positivi, l'utilizzo dei droni fatto dalla Germania su altri scenari (parliamo dello Yemen), ma sembrerebbe che dalla base di Sigonella siano partiti droni verso la Libia e che questi droni abbiano ucciso civili (parliamo di 11 morti).
  Questa associazione di giuristi parla di morti civili, di Tuareg. Vorrei capire, visto che Lei ha ricevuto una lunga lettera, se riterrà di dare seguito a questa lettera, se ci sono per noi possibilità di avere chiarezza dagli americani, visto che Sigonella è base americana, e in che limiti potremmo contribuire all'ottenimento della verità, che sarebbe importante avere.
  Da ultimo, se al-Sarraj considera atto ostile l'apertura del consolato a Bengasi, l'Italia che fa, come si regola di fronte a questa presa di posizione di al-Sarraj in merito alla possibilità di aprire il consolato a Bengasi? Anche l'ospedale italiano a Misurata è considerato da altri un aiuto militare: allora cosa fa l'Italia, deve cercare di avere una propria linea oppure è tirata per la giacchetta da una parte all'altra, a seconda di chi controlla il territorio?
  Chiederei a Lei anche rispetto a queste pressioni che stiamo subendo, non da ultima quella di dire che 800 mila persone sono in partenza per l'Italia, che forse è la più clamorosa e la più scorretta in assoluto perché mancano prove, sono numeri in libertà, non certificati, che vengono chiaramente fatti all'unico scopo di porre pressione sul Governo italiano, che eventualmente si troverebbe a reagire anche su questo timore, che a me sembra sia l'unico messo in evidenza da questo Governo. La ringrazio.

  PIERO FASSINO. Io ringrazio il Ministro, non ripeterò considerazioni che sono già state espresse da altri colleghi, ma vorrei porre alcune questioni.
  La prima riguarda un chiarimento circa l'atteggiamento degli Stati Uniti, cioè la famosa telefonata di Trump ad Haftar: come deve essere interpretata? Perché ci sono state interpretazioni difformi tra chi ha interpretato quella telefonata come una forma di sostegno e chi l'ha interpretata invece come un'attenzione finalizzata a cercare di convincere a non portare avanti l'offensiva. Quindi qual è l'interpretazione? Abbiamo degli elementi di informazione?
  Questo è infatti uno degli elementi dirimenti, perché è chiaro che l'atteggiamento americano non è di scarso rilievo rispetto alla crisi in corso.
  Seconda questione. Lei ha fatto riferimento ad iniziative promosse e sviluppate con altri Paesi, sia europei sia del bacino del Mediterraneo. La cosa che credo abbia un particolare rilievo è come intendiamo cercare di muoverci insieme alla Francia, perché noi e la Francia siamo i due Paesi europei più direttamente interessati. Naturalmente gli effetti di quella crisi si ribaltano sull'intera Europa e anche in altri Paesi mediterranei come Spagna e Grecia hanno delle conseguenze; però non c'è dubbio Pag. 13 che i due Paesi che per tante ragioni, non solo per l'emergenza profughi, sono vitalmente interessati a quello che capiterà lì e in generale alle politiche mediterranee siamo noi e la Francia.
  Sappiamo tutti cosa c'è alle nostre spalle: polemiche, contrapposizioni, divaricazioni, anche atti politici invece che vanno in direzione diversa come l'incontro tra Lei e il Ministro francese, la visita ieri di Mattarella e l'incontro con Macron. Il punto che io pongo è, al di là di dichiarazioni e atti importanti che cercano di superare una divaricazione, come intendiamo gestire un rapporto di azione comune con la Francia, se abbiamo un'idea di farlo, con quali proposte, con quali azioni e con quali scelte.
  Terza questione, l'Egitto. L'Egitto è un attore ovviamente fondamentale in tutto il bacino, fin qui ha avuto una posizione di sostegno ad Haftar piuttosto esplicita, quindi come ci riferiamo alla politica egiziana, tenuto conto che due giorni fa la Camera dei deputati ha istituito una Commissione d'inchiesta sull'affare Regeni e che l'affare Regeni pesa obiettivamente nelle relazioni? Come pensiamo di gestire questo tema e come vede il Ministro questa questione? Questo è un punto delicato.
  Ancora una questione. È del tutto corretto praticare una strategia di inclusione, di dialogo, di mediazione. Personalmente penso che però una capacità di mediazione di un solo Paese sia obiettivamente limitata. Lei non ha fatto riferimento – o mi è sfuggito – all'Unione europea come soggetto di mediazione politica, cioè a come ci stiamo muovendo in sede europea, che rapporto abbiamo con l'Alta Rappresentante Mogherini, come intendiamo sollecitare un'iniziativa dell'Unione in quanto tale.
  Ultime due questioni. Ad una è già stato fatto riferimento: in questo momento registriamo un isolamento italiano piuttosto significativo. Non ho difficoltà a dire che questo isolamento non dipende certamente da azioni o da atti che ha messo in essere Lei, ma, siccome il Governo è rappresentato anche da altri esponenti politici, noi siamo tutti i giorni di fronte a prese di posizione, in particolare del leader della Lega che è anche Vicepresidente del Consiglio, ma anche di altri esponenti, che vanno in direzione assai diversa e comunque distonica e difforme.
  Io credo che questo sia un punto molto delicato, perché noi stiamo registrando un isolamento perfino da quelli che stiamo cercando come alleati. Le agenzie di oggi riferiscono che il leader di AfD, il partito di destra tedesco, dice: «ottimo il rapporto con la Lega, sia chiaro che non si discute neanche per un istante di flessibilità dei suoi conti». Orban accoglie Salvini e dice che è il leader europeo della destra, poi non si prende un migrante e ha rilasciato ieri un'intervista su «La Stampa» che tutti abbiamo letto.
  Abbiamo un rapporto sofferente con i nostri alleati tradizionali, con la Spagna, la Francia, la Germania, con Bruxelles, e la lettera che Lei ha inviato ha ricevuto una risposta che considero molto corretta, cioè da Bruxelles è stato detto che la redistribuzione dei migranti non è bloccata dalla Commissione, ma è bloccata da alcuni Governi. La Commissione ha fatto il piano di redistribuzione, il Parlamento europeo – altra istituzione comunitaria – ha approvato la riforma del regolamento di Dublino. Chi non ha adottato quella riforma è il Consiglio europeo, cioè i Capi di Stato e di Governo, chi si rifiuta di applicare il piano di redistribuzione sono i Governi, da Vienna a Praga, a Budapest, a Varsavia e anche altri, quindi noi siamo in una condizione di grandissima difficoltà.
  Vorrei richiamare, ma Lei certamente ha avvertito ancor più di me che le elezioni spagnole nel loro esito pongono uno scenario molto delicato, perché è del tutto ovvio che Merkel e Macron cercheranno immediatamente un rapporto privilegiato con Sanchez, il quale ha vinto le elezioni di un Paese importante con un Governo pro-europeo: quindi un asse Madrid-Parigi-Berlino è nelle cose, con il rischio che noi siamo spinti in una condizione di isolamento totale, anche perché, al di là degli sforzi Suoi e del Presidente della Repubblica, poi c'è chi si incarica tutti i giorni invece di rompere con le capitali principali. Penso quindi che questa sia una questione molto delicata. Pag. 14
  Infine, un'ultima questione, che certo non trova una soluzione qui. Noi diciamo tutti – lo diciamo per la Siria, lo diciamo per la Libia – che la soluzione non è militare, ma segnalo che, dopo nove anni di guerra civile, gli assetti che si vanno definendo in Siria sono figli della guerra e non delle trattative di Ginevra, e in Libia il rischio è che ancora una volta, anche lì, si produca lo stesso risultato.
  Il tema è complesso, perché dire che la soluzione non è militare e deve essere politica è giusto, tutti lo condividiamo, ma, se la comunità internazionale non si dà gli strumenti perché vinca la soluzione politica, alla fine vince quella militare. Questo è il punto vero.
  Questa questione evoca un tema molto complesso, che è il tema della sovranità e delle istituzioni sovranazionali, però è così, sono nove anni che assistiamo ogni sera, guardando le nostre televisioni, al dramma siriano, e ciascuno di noi almeno una volta si è posto una domanda di fronte a quelle immagini: cosa si aspetta a fermare quella mattanza. Il problema è chi la ferma, chi è il soggetto che ha la titolarità per fermarla, ma non c'è, perché quando si dice le Nazioni Unite sappiamo bene che le Nazioni Unite agiscono sulla base del capitolo VI e VII solo sulla scorta dell'autorizzazione del Consiglio di sicurezza. Se il Consiglio di sicurezza è paralizzato, anche le Nazioni Unite sono ferme.
  Un problema analogo c'è per l'Unione europea, perché la difficoltà dell'Unione europea a intervenire in Libia piuttosto che in Siria dipende dal deficit di sovranità. Non è un tema piccolo, non si risolve in qualche settimana, però dobbiamo averlo chiaro perché, siccome invece il Governo italiano – non dalle sue parole, ho letto anche le cose assolutamente condivisibili che Lei ha detto ieri a Firenze – bensì in altri esponenti continua a sostenere che l'unica via che dobbiamo percorrere è quella di potenziare le sovranità nazionali e guai a chi parla di sovranità europea o di sovranità sovranazionali, è una linea assurda, perché se non mettiamo in campo qualche nucleo di sovranità sovranazionale, in Siria come in Libia vincerà la soluzione militare, perché non ce n'è un'altra.
  Questo è un tema che credo che nel dibattito politico vada tenuto vivo. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie. Se non ci sono altri interventi, do la parola al Ministro Moavero Milanesi in sede di replica.

  ENZO MOAVERO MILANESI, Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Grazie. Io penso che non debba sfuggire a nessuno che naturalmente, di fronte a scenari, come minimo, complessi – complessi è un eufemismo – come quello di cui stiamo parlando in Libia, gli interrogativi che ci possiamo porre sono tantissimi e la ricetta, se qualcuno di noi l'avesse, sarebbe criminale non metterla sul tavolo. Io potrei aggiungere altre domande a me stesso – dovendo entrare in un transfer di ruoli – a quelle che sono state fatte, e naturalmente, nell'apprezzare pienamente la differenza tra chi ha il compito concreto di portare avanti un'azione di governo e chi ha il compito concreto di effettuare uno stimolo di opposizione, tuttavia inviterei su questioni così serie a cercare di trovare quel filo di maggior concordia nazionale, se così vogliamo chiamarla, o quantomeno politico-parlamentare con il Governo, che può aiutare nella funzione di stimolo dall'opposizione e nella funzione di Governo. Se infatti trasferiamo tutto quanto su un piano di contrapposizione, poi finisce che agli elementi già difficili che ci sono sul terreno ne aggiungiamo degli altri.
  Io credo che su una serie di questioni che abbiamo sul tavolo, in realtà – può darsi che mi sbagli, è la mia percezione e come tale è molto soggettiva – non stiamo dicendo delle cose diverse, in particolare in questa audizione. Potrei prendere degli esempi vari, mi limito ad uno o due: la cifra di 800 mila potenziali migranti, messa a un certo punto sul tavolo del dibattito pubblico da al-Sarraj, io per primo l'ho ritenuta, in una risposta altrettanto pubblica, una cifra in eccesso e anche una cifra non credibile, se non nel quadro di voler creare una sorta di pathos eccessivo intorno ai rischi che si correvano. Pag. 15
  Devo dire che al tempo stesso capisco che chi si trova in una situazione come la sua magari cerca in tutti i modi di ottenere un risultato, incluse le armi di un certo tipo di propaganda, che sono «armi» per modo di dire rispetto alle armi vere. Sono anche assolutamente d'accordo – lo dico quasi ritenendo superfluo di doverlo dire – che la preoccupazione per le persone non può riguardare unicamente le persone che eventualmente arrivano da noi o possono arrivare da noi, ma deve riguardare l'insieme delle persone, ed è proprio in quest'ottica che noi siamo intervenuti anche di recente con dei fondi della cooperazione, per finanziare azioni in accordo con le apposite agenzie delle Nazioni Unite, con alcuni milioni di euro per l'aiuto ai rifugiati e a chi si trova in condizioni di aiuto umanitario.
  Fra l'altro, la preoccupazione per ciò che può accadere alla popolazione civile in generale, quindi a coloro che – anche se dire che non portano la divisa nello scenario di specie non dà esattamente l'idea – non imbracciano armi, per dirla in maniera più corretta, è una preoccupazione che ovviamente abbiamo estremamente presente anche noi.
  Cerco di venire con ordine ai vari punti delle domande che sono stati sollevati. Nella prima domanda c'era il riferimento al corridoio umanitario. Ebbene, il riferimento al corridoio umanitario è esemplificativo di una delle posizioni del Governo, ma anche qua cerco di essere corretto e di non fare polemiche politiche, anche perché non ho interessi elettorali diretti, quindi non mi interessa se sia una cosa nuova o una cosa che si era già fatta, una cosa che si sta facendo da sempre, se la vuole tutto il Paese o se la vuole una parte. Quando sono usciti i dati ufficiali di Eurostat – quindi di un organismo europeo con indipendenza certificata dalle leggi fondamentali dell'Europa – che dicono che dopo la Germania l'Italia è il Paese che ha accolto più persone aventi diritto ad assistenza umanitaria e ad asilo, quello è un dato che parla: su ventotto Paesi siamo il secondo Paese, peraltro di poche migliaia sotto la Germania, per accoglienza, e il corridoio umanitario è un esempio. L'arrivo nel nostro Paese di persone bisognose di questa assistenza in modo degno, attraverso un mezzo di trasporto e non nelle mani di trafficanti di esseri umani, è un esempio.
  Personalmente credo che uno degli elementi su cui noi dobbiamo continuare a insistere, perché lo stiamo facendo, è che pure fra le parti combattenti ci siano dei momenti di tregua umanitaria, che consentano per l'appunto di evitare questo tipo di degenerazioni. Quindi, rispetto a coloro che rischiano di soffrire, dal punto di vista della popolazione civile, di ciò che accade in Libia, massima attenzione e sollecitudine, è uno dei motivi per cui cerchiamo di mantenere un ruolo nella conciliazione generale; rispetto all'accoglienza di coloro che hanno effettivamente diritto all'asilo e diritto all'aiuto e all'assistenza, secondo le norme internazionali, il corridoio umanitario di cui all'esempio di pochi giorni fa è per l'appunto un esempio concreto di ciò che facciamo e possiamo fare.
  Seconda domanda ricorrente da più parti: la posizione degli Stati Uniti d'America. Posto che naturalmente della posizione degli Stati Uniti d'America rispondono gli stessi Stati Uniti, bisognerebbe domandarla, per avere l'interpretazione autentica, ai legali rappresentanti politici degli USA.
  La mia percezione è che, con tutto il dovuto rispetto, anche gli Stati Uniti d'America, di fronte a una situazione così complessa, con cambiamenti così repentini, cerchino – immagino in perfetta buona fede – di trovare una via di soluzione.
  Nei contatti diretti avuti non erano al corrente dell'inizio di nuove ostilità e sono assolutamente favorevoli a sostenere questo nostro sforzo che si delinea nel modo che ho descritto nell'introduzione e che non riprendo.
  Le idee più appetibili a titolo di slogan, cabine di regia o quant'altro, secondo me, lasciano il tempo che trovano sul terreno pratico. È assolutamente evidente che per tante ragioni storiche, geografiche e geopolitiche, il mondo, se guarda alla Libia, vede l'Italia come un attore importantissimo, a neanche duecento miglia marine dalla Libia Pag. 16 medesima, così come vede altri Paesi vicini come Paesi più immediatamente interessati per via di confine di terra.
  Dopodiché, è anche vero che noi cerchiamo di svolgere un ruolo maieutico anche qui da molto tempo. Io non vedo per quale motivo dobbiamo immaginare che ogni volta si reinventa la ruota. Lo portiamo avanti con sforzo più o meno fortunato e discontinuo da svariati anni perché è nel nostro naturale interesse, ma nel senso buono del termine, non interesse bieco, egoistico e cieco di fronte all'interesse altrui, nell'interesse naturale di aiutarli.
  Questo viene riconosciuto generalmente e viene riconosciuto, di conseguenza, anche dagli Stati Uniti, con i quali cerchiamo di mantenere un contatto proprio per essere sicuri di un supporto. Non è un mistero per nessuno che, naturalmente, mentre la Libia è vicina a noi, immediatamente di fronte alle nostre preoccupazioni immediate, per altri Paesi, seppure importanti a livello planetario, rappresenta una realtà meno vicina.
  Però, la sintonia sembra esserci al di là del fatto che, poi, determinate dichiarazioni o determinati elementi possano prestarsi a esegesi interpretative più complesse. Nei colloqui che io ho avuto ho percepito sintonia sugli elementi fondamentali del dialogo inclusivo, del processo di pace, effettivamente nel perseguire soluzioni che non abbiano un carattere militare, ma non perché si neghi che c'è una guerra e che poi, alla fine, quando c'è una guerra ci possa essere anche qualcuno che la vince. Ciò che noi temiamo – e io personalmente temo – è che si possano vincere le battaglie, forse le guerre, ma sia molto difficile vincere la pace.
  Questa è la storia del Nord Africa e la storia del Medio Oriente. Noi dobbiamo vincere la pace. Questo mi sembra essere un interesse ovvio e collettivo. Lì nasce la contrarietà alla soluzione di ordine militare, oltre che su un piano ideale.
  Domande ulteriormente puntuali: che cosa succede della nostra missione a Misurata. Anche qui evitiamo equivoci perché sono corsi anche molti equivoci, anche dovuti a chi magari, anche al di fuori dell'Italia, molto al di fuori dell'Italia, aveva interesse a far circolare l'equivoco. Noi a Misurata non abbiamo delle truppe, nel senso di militari stanziati lì.
  Noi abbiamo un ospedale militare con personale medico militare e con dei militari che svolgono una normale attività di sicurezza. Questo ospedale è aperto a tutti, anche alla popolazione civile.
  Dichiarazioni che manifestavano una ostilità nei confronti di questo ospedale, anche recenti, sono stati ancor più recentemente smentite. Quindi, per quanto ci risulta, l'ospedale di Misurata è tuttora ben accolto, ben accetto, svolge un lavoro positivo proprio in quest'ottica anche di presenza umanitaria vicino alla popolazione civile.
  Consolato a Bengasi. Era ed è nei programmi ridare operatività al consolato di Bengasi, perché parlare di chiusura, apertura, eccetera è fuorviante, non è esatto. Il consolato è sempre stato aperto. Gli si ridà operatività con l'invio di un Console generale, così come era stato concordato.
  Il punto qual è? È che siccome tutto questo era stato concordato in un contesto libico che andava verso una stabilizzazione e un processo di maggior tranquillità che poteva portare alle elezioni, tutto questo, adesso, si svolge in un contesto che è cambiato.
  In Libia c'è una guerra, in Libia ci sono degli scontri armati piuttosto forti e noi naturalmente ci poniamo un naturale problema di piena sicurezza tanto del nostro consolato a Bengasi, qualora dovessero tornare il Console generale e altro personale, quanto della nostra ambasciata a Tripoli che non ci dimentichiamo è aperta, è pienamente operativa, con un Ambasciatore in sede che ci tiene costantemente informati. Non sono molti, anzi sono molto pochi, i Paesi ad avere ambasciate pienamente aperte, operative in Libia sia oggi sia negli anni immediatamente scorsi.
  Questione delle ong. Dicevo prima di quanto noi abbiamo versato per la cooperazione. Non c'è nessun tipo di ostilità o di abbandono nei confronti delle ong, né di boicottaggio. C'è una interrogazione su determinate Pag. 17 attività che svolgono le ong che non è unicamente nostra, che si estende a numerosi altri Paesi, alla stessa Unione europea che vorrebbe fare un registro, ma che non è ancora riuscita a fare un completo registro e quant'altro. Di conseguenza, il dialogo con le ong esiste, ed esiste attraverso l'Agenzia per la cooperazione.
  L'Agenzia per la cooperazione non ha avuto un direttore in quanto tale, ha avuto un direttore ad interim. È sempre rimasta operativa, ha lavorato come lavora qualsiasi tipo di organismo quando c'è un interim nella funzione di dirigenza di questo organismo. Adesso c'è un direttore che è stato nominato a seguito di una lunga procedura di selezione e quindi sarà operativa sotto il direttore, così come è stata operativa nei mesi scorsi sotto il direttore ad interim. Non si è interrotta una capacità di dialogo con le ong nel caso di specie, come non si è interrotta nessuna delle attività dell'Agenzia stessa.
  Questione di come hanno reagito i governanti di Tunisi per la questione relativa all'iscrizione di Fratelli Musulmani sulla lista dei terroristi. Non ce ne hanno parlato. Abbiamo parlato di Libia, abbiamo parlato di numerose altre questioni. Io ho avuto due bilaterali, una al mattino e una nel primo pomeriggio, con il Ministro degli esteri. Non abbiamo toccato questa questione, quindi non so rispondere in loro vece.
  Veniamo alla questione dell'isolamento. Posto che naturalmente si possono analizzare e vedere le cose in varia maniera, credo che se parliamo in particolare di quanto sta accadendo sullo scenario libico e quanto è accaduto anche nel corso degli ultimi mesi, se vogliamo parlare di isolamento di questo Governo rispetto a questo genere di questioni, onestamente non trovo che la nozione sia pertinente. Non trovo che la nozione sia pertinente perché, in particolare sul dossier libico, l'intreccio di rapporti, la rete di rapporti correnti c'è stata, c'è ed è sempre continuata.
  Per chi ama analizzare gli antichi De bello gallico e quelli più moderni, posso anche dire che perfino durante il periodo in cui sembravano più complesse – ed erano indubbiamente più complesse – le relazioni con la Francia, il contatto fra i Ministri degli esteri è continuato e abbiamo continuato a operare.
  Nel caso di specie, siamo stati promotori – lo ricordavo nell'introduzione, ma è inutile ripeterlo nella prospettiva di un'analisi dell'eventuale o supposto isolamento – della dichiarazione del G7 a Saint Malo. Le ostilità in Libia erano cominciate il giorno prima. Il punto sarebbe stato un giorno dopo. Abbiamo chiesto di anticipare la discussione e la dichiarazione congiunta al primo dei giorni di lavoro della ministeriale G7. La richiesta è stata accolta.
  Il testo della dichiarazione lo avevamo predisposto noi a livello di bozza. È stato accolto da tutti gli altri. Non mi sembra una dimostrazione di isolamento, al contrario. Stesso dicasi per i rapporti più generali con la Francia. Questo non significa che ci stiamo raccontando che non esista competizione con la Francia sul versante degli interessi economici, degli interessi politici. Esiste come esiste con numerosi altri Paesi e fra numerosi altri Paesi. Noi, naturalmente, analizziamo il nostro prisma Italia, ma se andiamo a guardare i rapporti fra altri Paesi, anche fra Paesi che sembrano vicinissimi fra loro, poi notiamo che ci sono profonde differenze. Non per questo entriamo immediatamente o dobbiamo entrare immediatamente – lo dico io, ma si può avere un'opinione diversa – in un'analisi di isolamento. Potremmo fare svariati esempi in questo senso.
  Ho incontrato il Ministro francese Le Drian a più riprese. Lui si è espresso, come veniva ricordato, questa mattina a Firenze. Io ero, purtroppo, in macchina per arrivare qui puntuale per la nostra audizione, quindi l'ho sentito in streaming, ma comunque l'ho sentito. Non ho sentito un Ministro ostile. Mi si può dire che era a Firenze, che parlava di Europa, che era un «vogliamoci bene» generale, però tant'è.
  Quando abbiamo fatto la conferenza stampa congiunta a Roma abbiamo espresso punti di vista assolutamente convergenti. Io sto a questo tipo di dichiarazioni e credo che tutti quanti dobbiamo stare a questo tipo di dichiarazioni, pur coscienti che parallelamente Pag. 18 ogni Paese poi cura i propri interessi. Perché ogni Paese cura i propri interessi? Anche qui, usciamo dalle fiabe: la politica estera comune dell'Unione europea è embrionale, è minima. Lo sappiamo. Vedo annuire qualcuno e deduco che lo sappiamo.
  Effettivamente questa è la realtà, tant'è vero che mi sono permesso ieri, e stamattina di nuovo, alle cosiddette assise del The State of the Union a Firenze, questo appuntamento di riflessione europea annuale, di fare cinque proposte concrete, una delle quali è che per rendere più efficace la politica estera dell'Unione europea si possa ragionare in termini di decisioni da prendere a maggioranza.
  Sarebbe un'ottima idea, perché alla fine il rapporto maggioranza-minoranza tutela anche la minoranza ed evita che corrano leggende di vario genere, tipo veti o quant'altro, su supposte posizioni europee che, in realtà, non c'erano. Però, poi, si può far correre qualsiasi tipo di voce e di diceria perché si narra che non esisteva la decisione per colpa di Tizio o per colpa di Caio.
  La politica estera dell'Unione è molto marginale, a volte addirittura non esiste. Ci si vede, peraltro, una volta al mese e vi posso anticipare che stiamo facendo i passi preparatori necessari per arrivare il 13 di questo mese, quindi fra poco più di una settimana, ad una dichiarazione a ventotto del Consiglio affari esteri dell'Unione europea sulla Libia, visto che il tema è all'ordine del giorno.
  L'abbiamo fatta l'11 di aprile. Dovremmo riuscire a farla, e ne siamo promotori, anche il 13.
  Cerchiamo di muoverci, per quanto possibile, all'unisono con l'Unione europea. Naturalmente ci muoviamo nel possibile e sovente più praticabile rapporto bilaterale con vari altri Paesi, con i quali poi possono esistere diversità di vedute su tanti temi, possono anche esistere dichiarazioni che non corrispondono completamente a comportamenti, ma questo fa parte di una realtà con cui comunque dobbiamo dialogare.
  Onestamente, quindi, io non vivo e non vedo un isolamento dell'Italia, in particolare sul dossier libico, non lo vivo e non lo vedo su svariati altri temi francamente, al di là anche qua di convinzioni di vario genere e di normale dialettica di opposizione politica. Non vedo, in particolare, sulla questione libica un non rapporto con la Francia, tanto più che posso testimoniare personalmente e veritieramente che, anche durante il periodo in cui l'Ambasciatore di Francia in Italia era stato richiamato in patria per consultazioni, sono continuati i contatti diretti fra i due Ministri degli esteri per parlare in particolare, fra le altre cose, della questione libica.
  Rapporti con l'Egitto, oggettivamente condizionati dalla orribile vicenda dell'assassinio barbaro di Giulio Regeni, un nostro connazionale. Tutti conosciamo quanto è accaduto. Noi chiediamo giustizia, chiediamo giustizia equa. Naturalmente questo crea una situazione di difficoltà, vista la difficoltà di arrivare ad uno sbocco giudiziale della questione, e questo inevitabilmente ha dei riflessi anche nei più generali rapporti bilaterali con l'Egitto.
  Ciò non ha impedito, come vi ho anche riferito poco fa, al Presidente del Consiglio di avere un colloquio recentemente a Pechino con il Presidente al-Sisi, vista la contemporanea presenza nella capitale della Repubblica Popolare di Cina, e ciò non impedisce di mantenere contatti diretti e indiretti, ma è un elemento che indubbiamente nel rapporto bilaterale fra i due Paesi ha il suo peso.
  Per quanto riguarda alcune questioni più puntuali di pertinenza diretta con la Libia, sulla questione dell'utilizzo della base di Sigonella per partenze di droni io non ho informazioni dirette che mi permettano di confermare questo tipo di informazione; è arrivata – mi dicono in diretta – la lettera a cui faceva riferimento l'onorevole Boldrini: adesso esamineremo, istruiremo e risponderemo, è chiaro che sarà data risposta visto anche il tipo di questione che viene sollevata, ma allo stato io non ho informazioni personalmente su questo tipo di utilizzo.
  Sulle motovedette: sono state da noi cedute per un uso di guardia costiera, non ho nessun tipo di informazione diretta che Pag. 19siano utilizzate per usi diversi da quello per cui sono state cedute ed anche utilizzate nel corso di questi mesi. Faremo degli ulteriori accertamenti, rispetto ai quali, come sulla questione precedente dei droni, sono pronto a riferire in Parlamento naturalmente, ma dobbiamo fare verifiche apposite. Difatti io avevo messo una graffa, motivo per cui la seconda parte della questione mi era in un primo momento sfuggita.
  Credo di aver risposto a tutto, però se ho dimenticato qualcosa sono a disposizione.

  PIERO FASSINO. La ringrazio per le risposte. Sono assolutamente d'accordo con Lei che la politica estera dell'Unione europea è tema assai complesso e delicato, perché se c'è una cosa che i ventotto Ministri degli esteri hanno difficoltà ad accettare, è che ci sia un Ministro degli esteri europeo. A partire da questo, quindi, non mi sfugge minimamente questa questione.
  Mi interessava capire però – su questo Le chiedo un supplemento di risposta – quali azioni siano in corso, oltre alla riunione dei Ministri degli affari esteri con la dichiarazione congiunta, quali azioni insieme all'Alta Rappresentante Mogherini si pensa di poter convenire, qual è il rapporto con la Mogherini, sostanzialmente.

  ENZO MOAVERO MILANESI, Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Rispondo su questo e rispondo effettivamente su una cosa a cui non ho risposto, ma a cui invece tengo a rispondere, quella della lettera che io ho scritto alla Commissione, perché qui è importante chiarire.
  La riunione del 13 maggio a cui ho fatto riferimento è una riunione ordinaria del Consiglio affari esteri: ne abbiamo una al mese, durante le quali discutiamo di grandi tematiche mondiali, a volte – rare – adottando delle posizioni, molte altre – più frequenti – avendo un utile e trasparente scambio di idee fra i Ministri intorno al tavolo.
  Il rapporto con l'Alto Rappresentante Mogherini è costante, ci sentiamo con discreta frequenza, e devo dire che il più delle volte abbiamo un'analisi combaciante sia sulle grandi difficoltà, talvolta anche, per riprendere un termine utilizzato, su un senso di una certa impotenza di fronte ad eventi, che però non fa venir meno la determinazione e la volontà di continuare ad affrontarli, con questo metodo di dialogo esclusivo, di cui lungi da me – anche perché non ho questo genere di passioni – attribuirmi un merito di invenzione, anzi sono ben lieto di riconoscere che è un approccio talmente naturale per un Paese come il nostro, date le circostanze generali, che sicuramente ha fatto, fa e farà parte della nostra politica estera.
  La mia idea è che l'Unione europea dovrebbe e – francamente – potrebbe essere molto più attiva e presente. Questo non dipende dall'Alta Rappresentante, questo dipende dal tavolo che l'Alto Rappresentante presiede, il tavolo dei Ministri degli esteri, ciascuno dei quali vede il prisma della politica estera del proprio Paese e – per antipatico che possa sembrare dirlo così – vede l'interesse nazionale.
  Allora, regole intergovernative, unanimistiche e consensuali determinano alla fine un'inefficacia degli organi. Non è un caso che, agli albori delle comunità europee, la crisi della sedia vuota, determinata dal generale che all'epoca governava la Francia, fu poi risolta, peraltro con una perseveranza di volontà, dal nostro allora Ministro Emilio Colombo, che a Lussemburgo inventò un compromesso che riportava la maggioranza come regola di adozione delle deliberazioni. Se non si lavora in quel modo, è molto difficile, dall'assemblea di condominio che conosciamo meglio fino a qualunque altro tipo di organismo, prendere delle decisioni.
  Detto ciò, è anche molto importante che i Ministri siano tutti lì a confrontarsi e a mettere quantomeno sul tappeto, guardandosi negli occhi, delle posizioni rispetto alle quali uno li può poi richiamare ad elementi di coerenza.
  Il clima io lo trovo buono, lo trasformerei di più in azioni concrete, ed è quello che cerco costantemente di fare, talvolta con dei risultati e molto spesso effettivamente Pag. 20dei non risultati, ma di cui mi colpevolizzo fino a un certo punto, perché i colpevoli siamo in ventotto, eventualmente ventinove se vogliamo includere l'Alta Rappresentante.
  La lettera. La lettera che io ho scritto una decina di giorni fa alla Commissione europea aveva come oggetto specifico, come ho ricordato prima nell'introduzione, l'applicazione dell'articolo 78, terzo paragrafo del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea.
  Non per fare il giuristino Azzeccagarbugli da quattro soldi, ma vi invito a leggerlo, perché obiettivamente è una norma di saggezza, da attivare a fronte di una eventuale – siamo esattamente in quel caso – non attivazione dell'articolo 79 dello stesso Trattato, che dà all'Unione europea il compito di intervenire in materia di politica migratoria. La politica migratoria non è solo una politica degli asili, è una questione molto più vasta, rispetto alla quale non abbiamo visto fiorire in svariati anni, da quando è stata inserita questa norma nel Trattato europeo, nessuna proposta dalla Commissione europea, se non lettere morte molto rapidamente e attività nel campo dell'asilo. Ecco che io dicevo attenzione, che qui potremmo trovarci di fronte a quell'afflusso improvviso ed emergenziale di persone da Paesi terzi, con verosimile – per non dire sicuro – statuto di aventi diritto di asilo, nel qual caso il Trattato stesso prevede che la Commissione proponga delle misure per aiutare quello Stato o quegli Stati di primo arrivo.
  Questo permette anche di attivare quelle misure preventive o quelle misure che precedono la partenza di queste persone alla volta del continente europeo, a cui si faceva riferimento prima in uno dei vostri interventi.
  La lettera aveva quell'oggetto, la Commissione europea ha risposto elencando una serie di azioni che sta portando avanti e richiamando l'attenzione sul fatto che non era la Commissione a non battersi per una riforma del diritto d'asilo e per un certo tipo di assistenza e quant'altro alle persone migranti, ma erano piuttosto i Governi, cosa vera per quel comparto, ma che tuttavia a mio parere non fa venire meno il mandato che il Trattato dà alla Commissione di fare delle proposte. Naturalmente è una facoltà, ma come tutte le facoltà rappresenta anche un confronto con la norma stessa e può essere oggetto di una carenza di azione nel caso in cui si creassero questi afflussi emergenziali.
  Ho quindi trovato tra la lettera e la risposta una certa distonia di oggetto, ma non una distonia di obiettivi, anche perché la riforma del sistema di asilo la chiediamo anche noi, naturalmente vogliamo che sia una riforma equa, lungo una linea di miglioramento rispetto a quanto previsto fino ad oggi, vale a dire che il Paese di primo arrivo deve farsi carico della interezza degli oneri che accompagnano l'arrivo di persone da Paesi terzi. Vogliamo che questo formi oggetto di una ripartizione più equa, perché quella cosiddetta «di Dublino» è una norma concepita assolutamente in un'altra epoca, quindi su questo noi siamo favorevoli.
  Cionondimeno, se ci fossero le condizioni per applicare questa norma di diversa portata che è prevista nel Trattato europeo, riteniamo che la Commissione debba farlo.

  LAURA BOLDRINI. Diciamo che mi sento in qualche modo sollecitata dalle sue parole a intervenire, signor Ministro, perché nell'articolo 78 del Trattato Lei mi insegna che si parla di mass inflow, e cosa sia mass inflow non è mai stato stabilito, dunque è molto difficile che la Commissione vada a mettere in pratica un concetto che in tempi molto più semplici di questo non è mai avvenuto, quando magari ci sono stati veramente mass inflows verso gli Stati dell'Unione europea.
  Nell'ipotesi che questo avvenga, in via preventiva, che la Commissione possa addirittura accettare di poterlo fare senza avere contezza dei numeri mi sembra un esercizio abbastanza teorico.
  Per quanto riguarda poi la posizione che Lei illustra in merito all'asilo, io sono convinta che questa sia la Sua posizione, però mi permetto di dire che, quando si è trattato di riformare il Trattato di Dublino e dunque di uscire dall'angolo del primo Paese come responsabile per la procedura Pag. 21d'asilo, in sede di Parlamento europeo le due forze che oggi governano non hanno votato a favore di quella riforma. Dunque, se vogliamo uscire da questo meccanismo che oggi ci penalizza, avremmo quantomeno dovuto sostenere quello sforzo e cercare di mettere in piedi un sistema meno penalizzante.
  Non è stato fatto, non è stato votato a favore, quando al Consiglio europeo poi si è parlato di volontarietà del sistema di ridistribuzione, Lei ricorderà che il Presidente del Consiglio ha votato all'unanimità la volontarietà, quindi anche in questo caso non si capisce poi come si possa dire che noi siamo interessati a relocation o a qualsiasi forma di redistribuzione, perché se non funziona quando è obbligatorio, figuriamoci quando è volontario!
  Trovo quindi un'incongruenza tra la posizione che Lei ci illustra, che è condivisibile perché ritengo doveroso passare attraverso un sistema di suddivisione dell'onere, e quanto poi viene fatto concretamente.
  Non da ultimo, Lei saprà bene che il Vicepresidente del Consiglio Salvini nell'incontro di ieri con Orban ha proprio sottolineato la linea sull'immigrazione che non è quella della suddivisione, ma è quella di non far arrivare più nessuno, punto.
  State quindi parlando due lingue diverse, Lei la lingua del diritto e, per quanto riguarda me, la sostengo in pieno, ma il Vicepresidente del Consiglio parla un'altra lingua, che è in violazione del diritto, che è quella di dire «qui non entra più nessuno a prescindere». Allora, che ci facciamo della riforma del Trattato di Dublino se non deve arrivare nessuno?

  PIERO FASSINO. (fuori microfono) Infatti è stato abbandonato...

  LAURA BOLDRINI. Infatti è stato abbandonato, esatto. Questo sto dicendo, è stato abbandonato, le due forze di Governo non hanno votato favorevolmente. Ministro, Lei sa che io la rispetto, ci conosciamo da tempo e so che Lei è figura autorevole e seria, ma Le faccio presente che si trova in un contesto in cui tutto questo viene oggi rimesso in discussione, quello che Lei dà per scontato, perché per cultura politica e per cultura giuridica Lei lo dà per assodato. Io mi permetto di dire che oggi viene assolutamente rimesso in discussione dai membri del Governo di cui Lei fa parte, quindi non mi ci ritrovo.
  Mi ritrovo nelle Sue parole quando richiama il diritto internazionale, quando richiama il bisogno di un sistema di distribuzione e di condivisione dell'onere, faccio fatica a capire cosa questo ci azzecchi – se mi consente la libertà del verbo – con le politiche che invece il Governo sta mettendo in atto. Grazie.

  ELIO VITO. Presidente, solo la cortesia di un chiarimento al Ministro, perché credo che la questione sia troppo importante. Pur con tutta la tolleranza che le opposizioni stanno mostrando, avendo a cuore l'interesse nazionale del Paese e l'interesse della politica estera del Paese, ma non voglio fare polemica su questo.
  Signor Ministro, Lei sa bene che noi operiamo in situazioni di grande difficoltà in particolare per l'assenza non della deliberazione sulle missioni, ma di una deliberazione che il Consiglio dei Ministri avrebbe dovuto presentare in Parlamento dal 1° gennaio. Io non voglio riprendere discussioni giuridiche sulla proroga di missioni in corso non terminate, il punto è un altro, al quale Lei ha fatto riferimento: la nostra missione in Libia non è più la missione autorizzata fino al 31 dicembre sulla base della deliberazione del Consiglio dei Ministri del 28 dicembre 2017, se non vado errato con le date, non è più la missione Ippocrate, ma è una missione complessiva, che ha raggruppato varie iniziative che c'erano in Libia, compresa quella dell'ospedale a Misurata.
  Quella missione, deliberata dal Consiglio dei Ministri, autorizzata dal Parlamento, prevede espressamente e unicamente attività di assistenza e supporto al Governo di accordo nazionale libico. Se, come alcune dichiarazioni del Presidente del Consiglio lasciano intendere, siamo di fronte ad un mutamento di questa natura, occorre una preventiva, nuova autorizzazione del Parlamento, non sulla base di un'implicita proroga di tutte le missioni Pag. 22internazionali, perché – non voglio dire se sia giusto o non giusto – è cambiato il quadro in Libia, può anche cambiare la natura, lo capisco, perché questa missione di assistenza e supporto è differente da quello che oggi il Governo propone, il cessate il fuoco.
  Lo stesso Governo di accordo nazionale dice che bisogna tornare alle posizioni preesistenti, però si metta anche nei nostri panni di Parlamento, vi è una deregulation giuridica sul punto. Se si è in presenza di un cambiamento della natura di quella missione, occorre venire subito in Parlamento. È successo da qualche decennio e lo prevede la Costituzione, lo prevede la legge e anche la recente legge quadro alla quale abbiamo avuto modo di lavorare.
  Allora, uno può essere tollerante sul fatto che c'è una difficoltà a utilizzare il nuovo strumento, passa qualche settimana, passa qualche mese, facciamo le audizioni in varie sedi, in vari comitati. Non è vero, onorevole Boldrini, che non era stato previsto, è un discorso molto complesso, sono cambiati gli interlocutori ma in fin dei conti non è cambiato nulla, neanche per i nostri interessi. Lasciamo stare. Però questo è davvero un punto sul quale noi non possiamo – lo comprenderà bene – retrocedere.
  Ecco perché credo che la cosa migliore sia presentare complessivamente la nuova deliberazione del Consiglio dei ministri al Parlamento, dove vedremo anche cosa c'è sul punto Africa e sul punto Libia. Ma se non si è pronti per varie ragioni su questo e se è davvero cambiata la natura della nostra missione, anche solo per il mutare dello scenario in Libia, anche per rispetto delle nostre Forze armate, credo che debba subito essere presentata, quantomeno solo per questo aspetto, una richiesta di autorizzazione di discussione e di risoluzione nelle Commissioni, come abbiamo sempre fatto e come facemmo anche per la prima Ippocrate.
  Lo ripeto, non entro nel merito e non ho per natura alcun pregiudizio; sono sempre molto comprensivo, anche se può sembrare invece una reattività. Non è così, sono molto comprensivo, però ci sono delle regole, e soprattutto su questa materia comprenderà bene che è difficile retrocedere. Io credo che quel punto sia stato un po’ superato.

  ENZO MOAVERO MILANESI, Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Parto da questo punto, poi vorrei ritornare sui punti che indicava l'onorevole Boldrini. Per fare una battuta che non vuole essere una battuta, vedo che la mia talvolta irrefrenabile tendenza ai richiami giuridici diventa contagiosa; prendo il punto perfettamente a bordo, è corretto.
  Nel penultimo Consiglio dei Ministri abbiamo fatto avanzare la deliberazione sulle missioni nel complesso iter che la caratterizza. Il punto che veniva sollevato è preciso e di valenza contenutistica, oltre che politica. Lo faccio immediatamente presente, in maniera che possa essere messo nel binario corretto sia della sovranità parlamentare che del rapporto Parlamento-Governo, in questo caso Governo verso il Parlamento. Quindi, il punto è ben annotato e preso a bordo. Grazie, anzi, per la precisazione.
  Vorrei ritornare sui punti di cui parlava prima l'onorevole Boldrini. Torno brevemente sulla lettera: io sono ben cosciente che lì parliamo di emergenza, di arrivi massicci eccetera; sono però anche cosciente che quando una situazione di questo tipo, anche se poi non puntualmente definita nella sua nozione, si verificò nel 2015, le misure all'epoca prese e rigettate da alcuni degli Stati membri erano state proprio basate su questo articolo 78. La storia successiva è stata che però gli Stati membri sono stati portati di fronte alla Corte di giustizia dalla Commissione e la Corte di giustizia ha confermato che le misure di cui all'articolo 78 sono misure di carattere obbligatorio, che vengono adottate dal Consiglio sentito il Parlamento e su proposta della Commissione, e vincolano tutti gli Stati membri. Questo articolo parla di misure per aiutare lo Stato o gli Stati su cui viene a impattare questo arrivo massiccio.
  All'epoca si decise per una misura di redistribuzione, potrebbero essere altri generi di misure. Però io credo che mi dobbiate riconoscere, come Ministro che tenta Pag. 23di essere responsabile nelle sue funzioni al servizio della Repubblica, che quando mi trovo di fronte alla dichiarazione di 800 mila possibili migranti in arrivo, che rappresenterebbero oggettivamente qualcosa di massiccio, e ho una disposizione del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di cui l'Italia come altri fa parte, la ricordo e richiamo la Commissione. Dopodiché, non era una richiesta di adottarla a titolo preventivo, era una richiesta scritta credo con discreta cura, di prepararsi al fine di, in maniera che poi non ci troviamo con l'arrivo massiccio, la partenza massiccia e qualcuno dice di cominciare in quel momento la riflessione su cosa si potrebbe fare, proprio per evitare di creare sofferenze umanitarie e quant'altro. Non era un'astuzia, era una diligenza dovuta al fine che la Commissione incominciasse a pensare e a riflettere su questo. Cosa che spero faccia, in quanto effettivamente il nostro Rappresentante permanente a Bruxelles, l'Ambasciatore Massari, ha avuto incarico di seguire questa questione in maniera tale che ci si prepari. Se poi non accade nulla, siamo tutti quanti sollevati, ma se qualcosa dovesse accadere ci siamo preparati con il dovuto anticipo.
  L'elemento della volontarietà che effettivamente compare nelle conclusioni del Consiglio europeo di giugno 2018 si riferisce non tanto – e non potrebbe riferirsi – agli aventi diritto all'asilo, quanto si riferisce più in generale ai migranti, perché il meccanismo dell'attuale regolamento detto «di Dublino» in termini ultrasemplici fa sì che lo Stato che si trova di fronte all'arrivo di una, dieci, cento, mille persone da Paesi terzi debba assumersi tutti gli oneri relativi all'identificazione di queste persone, all'eventuale fornitura di documenti, al valutare se abbiano o meno diritto all'asilo, al sostenere la presenza di queste persone durante tutte le vie giudiziali che in uno Stato di diritto permettono di opporsi a una decisione amministrativa che dovesse rifiutare il diritto di asilo, agli eventuali rimpatri qualora alla fine risultasse che effettivamente la persona non ha il diritto all'asilo, non ha l'offerta di un lavoro e debba quindi essere rimpatriata. Un insieme di oneri che quando si pensò Dublino riguardavano piccoli numeri, ma quando si incomincia a spostare su numeri maggiori o addirittura estremamente rilevanti, come accaduto anni fa, diventa impossibile da sostenere. Quindi, la volontarietà esisteva nelle conclusioni del Consiglio europeo, che però parlavano anche di condivisione di sforzi, di centri da costituire in più Stati membri e quant'altro, e chi si è chiamato realmente fuori da queste conclusioni non siamo noi che abbiamo continuato a chiedere di applicarle – io l'ho fatto un'infinità di volte – ma questa assenza di una vera e propria politica dell'immigrazione...

  LAURA BOLDRINI. (fuori microfono) Visegrad...

  ENZO MOAVERO MILANESI, Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Vari Paesi europei, alcuni dei quali si sono esplicitamente manifestati come negativi anche nei confronti degli aventi diritto all'asilo. Non sono un mistero, sono di pubblico dominio nella pubblicità che queste cose hanno.
  Francamente, se posso permettermi, io penso che la questione dell'immigrazione sia una questione di un'importanza tale – e queste persone cercano di arrivare in Europa, non su un'isola italiana, greca o in un Paese o in un altro – che deve essere affrontata come una questione europea, da qui l'aver sottolineato, per ciò che conta, anche ieri e questa mattina alle assise di Firenze la necessità di una politica europea delle migrazioni.
  Sento affermare, ogni tanto, nei dibattiti e in tante dichiarazioni – non oggi qui, naturalmente – che i Trattati europei non prevedono strumenti per una politica dell'immigrazione e che quindi questa non è una questione europea. Non è vero, il Trattato li prevede; è che i Governi non hanno mai trovato la maggioranza...

  PIERO FASSINO. (fuori microfono) Lo sa però che i Governi non accettano...

  ENZO MOAVERO MILANESI, Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Pag. 24 I Governi non accettano, i Governi non hanno trovato una maggioranza... Devo dire – lo dico con comprensione del ruolo, ma lo dico ed è mio dovere farlo – che la Commissione europea non ha fatto tutte quelle proposte che magari potevano essere fatte nel corso degli anni. Però non è mai troppo tardi, si può naturalmente fare queste proposte. Secondo me, stimolarle dovrebbe essere una delle grandi priorità del Parlamento europeo che ci accingiamo ad eleggere.

  LAURA BOLDRINI. Dia atto alla Commissione, Ministro, di uno sforzo con il programma di relocation. La Commissione ha cercato di fare le proposte; gli Stati membri non tutti e non sempre hanno accettato di aderire.

  ENZO MOAVERO MILANESI, Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Io credo che la Commissione sia molto concentrata, quando parla di relocation, cioè di redistribuzione, sugli aventi diritto all'asilo e non sui migranti in generale. Così come per gli accordi di rimpatrio dei migranti che non possono essere accolti in Europa, perché esiste una questione di capacità di assorbimento non di coloro che hanno diritto all'asilo, che devono essere accolti, ma di coloro che invece non lo hanno. Non c'è una risposta reale europea, mentre deve esserci una risposta reale europea anche per queste persone.

  LAURA BOLDRINI. (fuori microfono) Ma non è materia esclusiva, Ministro, lei lo sa, quindi come fa la Commissione ad agire se non è materia esclusiva!

  ENZO MOAVERO MILANESI, Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. La Commissione ha la possibilità di fare proposte secondo l'articolo 79 del Trattato.

  PRESIDENTE. Ringrazio ancora il ministro e i colleghi per questo interessante dibattito e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.