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Resoconti stenografici delle audizioni

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XVIII Legislatura

Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale

Resoconto stenografico



Seduta n. 12 di Mercoledì 29 maggio 2019

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Invernizzi Cristian , Presidente ... 3 

Audizione del Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Giancarlo Giorgetti, su attuazione e prospettive del federalismo fiscale e sulle procedure in atto per la definizione delle intese ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione:
Invernizzi Cristian , Presidente ... 3 
Giorgetti Giancarlo (LEGA) , Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri ... 3 
Invernizzi Cristian , Presidente ... 16 
Fragomeli Gian Mario (PD)  ... 16 
Presutto Vincenzo  ... 17 
Errani Vasco  ... 18 
Russo Paolo (FI)  ... 19 
De Menech Roger (PD)  ... 19 
Cattaneo Alessandro (FI)  ... 20 
Collina Stefano  ... 20 
Invernizzi Cristian , Presidente ... 21 
Giorgetti Giancarlo (LEGA) , Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri ... 21 
Invernizzi Cristian , Presidente ... 25 

ALLEGATO: Documentazione consegnata dal Sottosegretario Giorgetti ... 26

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
CRISTIAN INVERNIZZI

  La seduta comincia alle 8.30.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-TV della Camera dei deputati.

Audizione del Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Giancarlo Giorgetti, su attuazione e prospettive del federalismo fiscale e sulle procedure in atto per la definizione delle intese ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento della Camera, nonché ai sensi dell'articolo 5, comma 5 del Regolamento della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale, del Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Giancarlo Giorgetti, su attuazione e prospettive del federalismo fiscale e sulle procedure in atto per la definizione delle intese ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione.
  Ringrazio il sottosegretario per la disponibilità dimostrata e per la pazienza, anche perché abbiamo dovuto rinviare più volte, ovviamente non per colpa sua, la sua audizione.
  Nel ringraziarlo nuovamente, gli cedo immediatamente la parola.

  GIANCARLO GIORGETTI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Sono io che ringrazio voi. Ringrazio il presidente e i colleghi deputati e senatori. Per me è un'occasione particolare, perché io sono stato presidente di questa Commissione e, quindi, tornare qui in altra veste provoca anche una qualche emozione.
  La prima cosa che vorrei dire è che la sede parlamentare e questa Commissione in particolare ha rappresentato una delle sedi più efficaci della leale collaborazione tra Parlamento, Governo e autonomie territoriali. Il Governo intende proseguire in questa virtuosa collaborazione, che ha già dato molti frutti positivi. Peraltro, come emergerà da questa audizione, le relazioni periodiche della Commissione parlamentare hanno recato un importante contributo conoscitivo, se non di impulso, circa i problemi dell'attuazione del federalismo fiscale e sono anche per il Governo uno dei punti di riferimento.
  Ricorrono quest'anno i dieci anni dall'entrata in vigore della legge n. 42 del 5 maggio 2009, che ha attribuito al Governo una delega assai complessa negli oggetti, nei princìpi e nei criteri direttivi, nonché nella procedura per l'attuazione dell'articolo 119 della Costituzione. Si tratta di una complessità che è da ricondurre all'obiettiva difficoltà di assicurare la transizione al nuovo modello dei rapporti finanziari tra Stato e autonomie territoriali indicato dalla legge costituzionale del 2001 di riforma del Titolo V e ispirato da un complessivo rafforzamento delle ragioni dell'autonomia.
  La legge n. 42 ha interrotto il congelamento dei princìpi costituzionali in tema di federalismo fiscale stabiliti dalla riforma del 2001 e, in questa prospettiva, la legge n. 42 e i successivi decreti legislativi segnano Pag. 4 una sorta di spartiacque nella storia delle relazioni tra centro e periferia istituzionali del nostro Paese. È stato il più importante tentativo di raddrizzare l'albero storto della finanza pubblica italiana.
  Oltre che sul piano giuridico, sul quale la legge n. 42 rimane un punto di riferimento, anche nella procedura concertativa tra Governo, Parlamento e sistema delle autonomie, la discussione sorta intorno all'attuazione dell'articolo 119 della Costituzione è stata rilevante sul piano culturale e politico, avendo imposto nel dibattito pubblico il tema dell'autonomia finanziaria quale condizione per l'esercizio dell'autonomia politica nei diversi enti territoriali del Paese.
  Tuttavia, se si guarda questo decennio, si può affermare che a una prima fase di vera e propria progettazione del federalismo fiscale italiano tra il 2008 e il 2011 ne è seguita una seconda di nuovo congelamento, che almeno in parte dura e produce riflessi sino a oggi. La crisi economico-finanziaria globale e il suo riflesso sulla finanza pubblica italiana hanno agito come una bomba sganciata sulla nascente architettura di federalismo fiscale – riprendo qui un'efficace espressione del professor Zanardi – la cui deflagrazione ha determinato l'affermazione di un neocentralismo legislativo e amministrativo dai contorni molto forti, in certa misura avallato dalla giurisprudenza costituzionale e volto a contenere in via emergenziale il livello della spesa pubblica, senza al contempo determinare impennate della pressione fiscale sui cittadini.
  La riforma degli articoli 81, 117 e 119 della Costituzione sull'obbligo del pareggio di bilancio, adottata con la legge costituzionale n. 1 del 2012, ha recepito sul piano del diritto costituzionale le esigenze già presenti di un più incisivo coordinamento della finanza pubblica, assegnando nuovi limiti nell'ambito di autonomia degli enti territoriali.
  Si può affermare che solo di recente questa tendenza ha iniziato a invertirsi, come si può rilevare da taluni orientamenti della giurisprudenza costituzionale, da sempre un termometro assai significativo per misurare i rapporti tra Stato e autonomie territoriali, più attenti alle ragioni dell'autonomia. Si può parlare, quindi, di una terza fase, ma il rinvigorimento del federalismo fiscale passa anche dalla scelta di dare attuazione per la prima volta al cosiddetto «regionalismo differenziato» di cui all'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, presente nella disciplina costituzionale sin dal 2001 ma mai portato a compimento.
  Rimane, tuttavia, la pagina bianca ancora da scrivere della compiuta attuazione del Titolo V e questo è un tema che sul piano del metodo e del contenuto deve essere tenuto in primaria considerazione.
  Affinché possa parlarsi di vera autonomia finanziaria non può tralasciarsi il tema dell'autonomia istituzionale, ovverosia della fissazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali e di una più efficace definizione delle funzioni fondamentali degli enti locali, rivedendo, se del caso, l'impostazione seguita dalla legge n. 56 del 7 aprile 2014, la cosiddetta «legge Delrio».
  Come ha ricordato la Corte costituzionale, ad esempio con la sentenza n. 65 del 2016, non c'è vera autonomia finanziaria fintantoché non sono definiti i livelli essenziali delle prestazioni per i servizi concernenti i diritti sociali e civili, attraverso moduli di leale collaborazione tra Stato e regioni, e non si offre, quindi, alle regioni un significativo criterio di orientamento nell'individuazione degli obiettivi e degli ambiti di riduzione delle risorse impiegate, segnando il limite al di sotto del quale la spesa, sempre che resa efficiente, non sarebbe ulteriormente comprimibile, a tutela dei diritti dei cittadini.
  In altri termini, occorre in prospettiva abbandonare un metodo tutto volto al contenimento della spesa, attraverso una pluralità di strumenti centralistici, emergenziali e provvisori scollegati da un'attenta considerazione dell'esigenza di assicurare l'integrale finanziamento delle funzioni attribuite, per pervenire a una riqualificazione della spesa territoriale attraverso la definizione di una solida cornice istituzionale, preordinata in primo luogo ad assicurare Pag. 5 i diritti dei cittadini, oltre che i saldi di finanza pubblica.
  In tale direzione si muove chiaramente il contratto di governo, laddove indica la necessità di abbandonare la politica dei tagli e di avviare una stagione di trasferimento di funzioni amministrative dallo Stato alle regioni e poi ai comuni, secondo il principio di sussidiarietà.
  Adesso affronterò il tema dello stato di attuazione della legge n. 42 per le regioni, per gli enti locali e per le province. Sulla scorta della premessa appena svolta, vale la pena ripercorrere le grandi linee e lo stato di attuazione della legge delega n. 42. Esaurito il termine per l'adozione dei decreti legislativi principali e per i decreti legislativi di integrazione e correzione, l'attività normativa della XVII legislatura si è concentrata sull'attuazione attraverso atti non legislativi, soprattutto per quanto concerne l'adozione delle note metodologiche per la procedura di calcolo della capacità fiscale di ciascun comune e per la determinazione dei fabbisogni standard per i comuni e le province delle regioni a Statuto ordinario, con riguardo alle funzioni fondamentali esercitate.
  Rispetto all'attuazione delle questioni principali poste dalla legge n. 42, è necessario ribadire che le autonomie territoriali sono state chiamate a compartecipare al severo sforzo di risanamento della finanza pubblica a partire dagli anni 2010-2011. Il set di strumenti a cui il legislatore statale ha fatto ricorso per assicurare tale compartecipazione è stato vario e con risultati molto differenziati. Basti citare, ad esempio, gli interventi sul patto di stabilità interno, poi sostituito dal vincolo di pareggio di bilancio sulla base della riforma costituzionale del 2012; i tagli lineari dei trasferimenti dallo Stato; la revisione della spesa con correlati risparmi o versamenti per il bilancio dello Stato; le misure organizzative quali il ripristino del sistema di tesoreria unica.
  È inoltre evidente che la sovrapposizione dei vari interventi e delle molteplici misure ha reso assai complessa la programmazione di bilancio degli enti e, dunque, in taluni casi la stessa azione amministrativa.
  In linea generale, Governo e Parlamento debbono svolgere una riflessione sul percorso di attuazione della legge n. 42, perché la giurisprudenza costituzionale più recente mette in chiaro che «l'equilibrio complessivo, a meno di non voler pregiudicare con una sproporzionata compressione l'autonomia di un singolo ente territoriale, deve essere congruente e coordinato con l'equilibrio della singola componente aggregata, se non si vuole compromettere la programmazione e la scansione pluriennale dei particolari obiettivi che compongono la politica della regione e dell'ente locale».
  Per quanto riguarda le regioni a statuto ordinario, secondo i dati più aggiornati messi a disposizione dalla Ragioneria generale dello Stato, il concorso delle diverse misure che si sono succedute nel tempo a carico delle regioni a statuto ordinario dà come risultato della cosiddetta «manovra cumulata» dal 2011 al 2019 la somma di quasi 7 miliardi di euro per il settore non sanitario e altrettanti per il settore sanitario. La somma complessiva per il primo dei due settori ha poi subìto varie tipologie di attenuazioni, in un quadro di serrata negoziazione permanente tra Stato e autonomie territoriali, che, ad esempio, ha portato a circa 2,5 miliardi di euro l'effetto finale netto delle manovre per il 2019.
  L'assenza di un chiaro quadro di riferimento istituzionale, fatta eccezione in parte per la sanità, ha fatto sì che a giudizio della Ragioneria generale dello Stato le regioni a statuto ordinario nel periodo 2010-2015 abbiamo fronteggiato le manovre di finanza pubblica riducendo in minima parte la spesa corrente, che era l'intento effettivo del legislatore nazionale, ponendo il relativo onere maggiormente a carico delle spese in conto capitale e dei relativi investimenti. In parte, quindi, tale intervento, ispirato dal rigore finanziario, pare non aver centrato l'obiettivo auspicato, determinando una contrazione oltremisura per le spese di investimento, ma soprattutto tali misure non hanno consentito ai princìpi del federalismo fiscale regionale di dispiegare i propri effetti tempestivamente. Pag. 6
  Ci si potrebbe interrogare sulla compatibilità del complesso di queste misure con gli interventi sollecitatori della Corte costituzionale. Per la Corte, infatti, i princìpi derivanti dall'equilibrio di bilancio, inteso come superiore interesse della realizzazione dell'equilibrio della finanza pubblica, che trova un limite nella correlata esigenza di sana gestione finanziaria dell'ente che vi è soggetto e nell'esigenza di garantire adeguatamente il finanziamento delle funzioni assegnate, non possono essere rinviati sine die.
  Merita richiamare l'attenzione sulla recente sentenza della Corte n. 6 del 2019, che ha chiarito come anche le diacroniche rimodulazioni derivanti dalle pronunzie della Corte non possono essere rinviate ad libitum, ma devono essere adottate tempestivamente e comunque entro la prima manovra di finanza pubblica utile, poiché altrimenti gli interessi costituzionalmente tutelati rimarrebbero nella sostanza privi di garanzia.
  In tale direzione, l'articolo 1, comma 958, della legge n. 145 del 2018, la Legge di bilancio per il 2019, ha stabilito l'istituzione di un tavolo tecnico, costituito con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze e composto dai rappresentanti del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, del Dipartimento finanze, affari regionali e autonomie della Presidenza del Consiglio dei ministri e delle regioni, al fine di accelerare l'attuazione del decreto legislativo n. 68.
  In particolare, la disposizione mira ad accelerare la fiscalizzazione dei trasferimenti erariali, tema di centrale importanza per accrescere i margini di autonomia di spesa, e l'attribuzione alle regioni a statuto ordinario di una quota del gettito riferibile al concorso di ciascuna regione all'attività di recupero fiscale in materia di IVA e più in generale a valutare eventuali adeguamenti alla normativa vigente.
  Assume un'importanza centrale, anche ai fini dell'avvio del complesso meccanismo perequativo, l'attuazione dell'articolo 13 del decreto legislativo n. 68 in tema di livelli essenziali delle prestazioni.
  L'articolo 13, comma 6, in particolare detta una procedura nella quale è prevista una ricognizione da parte della società per gli studi di settore SOSE S.p.A., in collaborazione con ISTAT e CINSEDO (Centro interregionale studi e documentazione), a proposito dei livelli essenziali che le regioni garantiscono e dei relativi costi.
  Sull'attuazione di questa procedura già il Ministro Stefani nel corso della sua audizione ha dato conto dei passaggi intermedi. Sono note le difficoltà di questo percorso, già messe a fuoco dal SOSE nell'audizione dedicata nella scorsa legislatura davanti a questa Commissione e in quella più recente. È stato fatto richiamo pressante anche nel corso delle audizioni, da una parte per tenere insieme i livelli essenziali delle prestazioni e l'offerta attuale di servizi, anche a domanda individuale, con i relativi problemi di standardizzazione, dall'altra per non disgiungere l'aspetto metodologico del calcolo dei fabbisogni standard rispetto alle scelte che la politica adotterà con riguardo ai livelli essenziali delle prestazioni. Si tratta, in altre parole, di affrontare il rapporto tra garanzia dei diritti ed equilibrio dei bilanci.
  Spetta ora al Governo e al Parlamento adottare le linee di indirizzo per la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni. Per le ragioni esposte in apertura, si conferma la massima attenzione del Governo su questo aspetto, che è all'evidenza, non solo il presupposto per l'adozione dei fabbisogni standard regionali nelle materie diverse dalla sanità, ma davvero un passaggio fondamentale per la ristrutturazione istituzionale del nostro Paese, che consentirà di precisare quali siano i livelli essenziali da garantire a prescindere dalla diversità territoriale o amministrativa. La determinazione dei LEP (livelli essenziali delle prestazioni) costituisce, infatti, materia di competenza legislativa esclusiva statale.
  Con riguardo a questi aspetti, si richiama l'attenzione sul fatto che il programma di governo sottoscritto dalle due forze politiche componenti la maggioranza parlamentare contiene un esplicito richiamo al tema dei costi e fabbisogni standard, che Pag. 7si lega inscindibilmente a funzioni fondamentali e LEP.
  A tal fine, di rilevante supporto risulta, con riferimento agli enti locali, l'azione della commissione tecnica per i fabbisogni standard, di cui è stato nominato recentemente il nuovo presidente nella persona del professor Giampaolo Arachi, cui auguro di svolgere un proficuo lavoro.
  Sul versante del trasporto pubblico locale, altro tema di sicura rilevanza per le regioni, che la legge n. 42 riconduceva in parte ai LEP, a partire dal 2018 il Fondo trasporto pubblico locale è disciplinato dalle disposizioni del decreto-legge n. 50 del 2017, che ha modificato sia i criteri di finanziamento del fondo sia i criteri di riparto, in attesa che i princìpi del federalismo fiscale regionale trovino piena attuazione.
  La disciplina vigente ha dato una consistenza fissa al fondo, superando il meccanismo di finanziamento precedente ancorato al gettito delle accise su benzina e gasolio. In ogni caso, pur trattandosi di una misura transitoria rispetto alla piena attuazione del decreto legislativo n. 68 del 2011, sono previste misure incentivanti e penalizzati nella ripartizione del fondo, volte a sostenere lo sforzo delle regioni e degli enti locali a perseguire obiettivi di efficienza e di centralità dell'utenza nell'erogazione del servizio, nonché l'espletamento delle gare dei servizi medesimi.
  Per quanto riguarda, invece, il finanziamento del Servizio sanitario nazionale, il decreto legislativo n. 68 risulta già efficace nella parte sulla determinazione dei costi e dei fabbisogni standard. Esso è in altri termini già operativo quale criterio di ripartizione del Fondo sanitario nazionale, secondo il livello di finanziamento stabilito nei diversi patti per la salute.
  Non è, invece, efficace la parte relativa alle fonti di finanziamento, poiché l'articolo 1, comma 778, della legge n. 205 del 2017, la Legge di bilancio per il 2018, ha ulteriormente rinviato l'attuazione del federalismo fiscale regionale all'anno 2020. Ricordo che inizialmente il decreto legislativo n. 68 del 2011 prevedeva la partenza del medesimo per il 2013, quindi siamo al settimo anno di proroga.
  Il fabbisogno sanitario nazionale standard, invece, è determinato tramite intesa, in coerenza con il quadro economico complessivo e nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica e degli obblighi assunti dall'Italia in sede di Unione europea, coerentemente con il fabbisogno derivante dalla determinazione dei livelli essenziali di assistenza (LEA), che sono stati definiti da ultimo con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 12 gennaio 2017, erogati in condizioni di efficienza e appropriatezza.
  È in corso il confronto tra Stato e regioni, nelle sedi proprie della leale collaborazione, per il Patto della salute 2019-2021. La Legge di bilancio per il 2019 pone una condizionalità al sistema, prevedendo che in aggiunta al fabbisogno sanitario nazionale standard, pari a 114.439 milioni di euro, si determini un incremento di 2 miliardi per l'anno 2020 e di ulteriori 1,5 miliardi di euro per l'anno 2021, subordinatamente alla stipula dell'intesa sul patto entro il 31 marzo 2019, che, come ha sottolineato il Ministro della salute, ha carattere evidentemente ordinatorio.
  Per questa via si è inteso introdurre nuove forme di premialità, che, pur non toccando i cardini della disciplina del decreto legislativo n. 68, consenta di raggiungere obiettivi di sistema nella programmazione di miglioramento della qualità delle cure e dei servizi erogati, attraverso la revisione del sistema di compartecipazione alla spesa sanitaria a carico degli assistiti, la valutazione del fabbisogno del personale del Servizio sanitario nazionale, l'implementazione di infrastrutture e modelli organizzativi finalizzati alla realizzazione del sistema di interconnessione dei sistemi informativi del Servizio sanitario, la promozione della ricerca in ambito sanitario, la valutazione del fabbisogno di interventi infrastrutturali di ammodernamento tecnologico.
  Veniamo agli enti locali. Le tre fasi che ho ricordato in premessa (attuazione, congelamento e riattivazione del federalismo fiscale) hanno toccato in misura assai rilevante la finanza locale. Si è rimasti in un perenne regime transitorio, che non ha consentito un'adeguata programmazione Pag. 8delle gestioni e, quindi, ha introdotto elementi di incertezza all'interno del sistema istituzionale.
  Il decreto legislativo n. 23 del 2011, che costituiva il punto di riferimento in tema di finanza municipale, perseguiva, com'è noto, l'obiettivo di una complessiva soppressione dei trasferimenti erariali aventi carattere di generalità e permanenza e la loro sostituzione con entrate proprie (compartecipazione a tributi erariali e gettito, o quote di gettito, di tributi erariali addizionali a tali tributi) e con risorse di carattere perequativo.
  L'architrave del cosiddetto «federalismo municipale» è rappresentato dai cosiddetti «fabbisogni standard» (il riferimento è al decreto legislativo n. 216 del 2010), i quali rappresentano i parametri cui ancorare il finanziamento delle spese fondamentali di comuni, città metropolitane e province, al fine di assicurare un graduale e definitivo superamento del criterio della spesa storica. È, pertanto, un passaggio cruciale per la responsabilizzazione delle amministrazioni.
  La metodologia per la determinazione dei fabbisogni è un'operazione tecnicamente complessa, affidata a SOSE S.p.A. insieme a IFEL (Istituto per la finanza e l'economia locale) e presuppone la definizione di una metodologia validata. La metodologia è adottata con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previo parere parlamentare, come ben conosce questa Commissione, e riguarda le singole funzioni fondamentali dei comuni. Per la determinazione del fabbisogno standard di ciascun comune, invece, non è ormai previsto il passaggio parlamentare.
  Sotto il profilo dell'autonomia di entrate è da sottolineare il peso rivestito dalle incerte vicende che hanno riguardato l'imposizione fiscale immobiliare sulla cosiddetta «prima casa». La questione ha assunto notevole rilievo politico e ha trovato una stabilizzazione solo nel 2014, con l'istituzione dell'imposta comunale unica, articolata nelle due componenti IMU e TASI- TARI, con la conferma dell'esenzione dell'abitazione principale dei contribuenti per IMU e TASI.
  Peraltro, una razionalizzazione complessiva della fiscalità comunale, in linea con la legge n. 42 e con l'articolo 119 della Costituzione, appare auspicabile e invocata da più parti. Le questioni aperte più importanti riguardano il riordino dell'IMU-TASI, la revisione del catasto, senza però appesantire l'imposizione fiscale immobiliare, e il miglioramento della capacità di riscossione comunale, specialmente a fronte della crescente attenzione legislativa al tema dei crediti di dubbia esigibilità.
  Su questi temi sono numerosi e significativi gli elementi conoscitivi già acquisiti negli ultimi anni della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale.
  Per quanto concerne la perequazione municipale, anche in questo caso vi è stata una revisione profonda. Il sistema originariamente prefigurato dal decreto legislativo n. 23 si fondava sull'istituzione di un Fondo sperimentale di riequilibrio e di un Fondo perequativo a regime.
  L'articolo 1, commi 380 e seguenti, della legge n. 228 ha soppresso il Fondo sperimentale di riequilibrio e istituito il Fondo di solidarietà comunale, alimentato da una quota dell'imposta municipale propria, da ripartirsi sulla base di criteri espressamente indicati dalla legge, tenendo conto dei costi e fabbisogni standard (criteri perequativi), nonché dalle variazioni di gettito e dalle variazioni delle risorse disponibili comunali in seguito alla soppressione del precedente Fondo criteri compensativi e delle capacità fiscali.
  Si tratta di un processo lungo e tormentato, di cui la stessa Commissione parlamentare si è occupata a più riprese nella scorsa legislatura. In tale processo si confrontano esigenze di continuità dell'azione amministrativa e del relativo finanziamento ed esigenze di una maggiore adesione ai princìpi costituzionali.
  L'applicazione di criteri perequativi, quindi, sta evolvendo verso l'applicazione di indicatori incentrati sui fabbisogni standard e sulla capacità fiscale dei comuni. In questo senso, il Governo intende fare proprio l'orientamento espresso dalla Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo Pag. 9 fiscale, per rendere comprensibile e, per quanto possibile, più trasparente il processo di standardizzazione, monitorando in particolare gli effetti sui comuni appartenenti alle classi demografiche con minore popolazione. In questo senso opera il sito internet Opencivitas.it, un'iniziativa di trasparenza promossa dal Ministero dell'economia e delle finanze e dalla SOSE.
  Il lungo processo dovrebbe gradualmente giungere a compimento nel 2021, allorché il 100 per cento delle risorse sarà distribuito sulla base della differenza tra i fabbisogni standard approvati dalla commissione tecnica per i fabbisogni standard il 30 settembre dell'anno precedente a quello di riferimento e le capacità fiscali.
  Mi permetto di sottolineare come con specifico riguardo a fabbisogni e capacità fiscali standard le scelte tecniche, spesso connotate da una particolare complessità, abbiano effetti eminentemente politici, in quanto si ripercuotono sulla distribuzione delle risorse finanziarie.
  Sottolineo questo perché più volte nella scorsa legislatura la discussione su questioni in apparenza esclusivamente tecniche, in realtà, ci siamo resi conto che nascondeva dei presupposti politici significativi, quindi un consiglio che vi do anche rispetto all'azione che produce il Governo e ai pareri che dovete dare, è di valutare attentamente quello che è alla base di quei complessi algoritmi che vi vengono presentati.
  Ad esempio, nell'ultima relazione semestrale della Commissione parlamentare si evidenziava come la sterilizzazione di alcuni indicatori, quali la collocazione territoriale dell'ente, ai fini della determinazione dei fabbisogni standard non può essere sottovalutata laddove essi costituiscano comunque ben precisi e distinti fattori di spesa. Analogamente è espressione di una scelta discrezionale il riconoscimento di fabbisogni valutati con funzioni di spesa o, viceversa, di esclusione di fabbisogni stimati con funzioni di costo di servizi in ipotesi non offerti dall'ente.
  Quanto alla determinazione delle capacità fiscali anche nella scorsa legislatura è emersa in più occasioni l'esigenza di un'attenta considerazione del tax gap, differenza tra il getto teorico e quello effettivo, e del rilievo che esso può assumere nell'attribuzione della capacità fiscale, perché il fattore evasione fiscale è evidentemente differenziato tra ente ed ente e la maggiore incidenza non può essere trascurata.
  L'inserimento di una rilevante quota del tax gap risponde anche all'esigenza di incentivare le attività di contrasto all'evasione fiscale. Vi è un dato, per quanto sommario, senz'altro significativo. L'ultimo report dell'Istat dell'ottobre 2018 indica che l'economia non osservata vale circa 210 miliardi di euro, pari al 12,4 per cento del PIL.
  Sussiste anche per il finanziamento dei comuni un interrogativo di fondo, sul quale il Governo assicura il suo impegno, concernente la complessiva sostenibilità del sistema di federalismo fiscale municipale a regime. Basti pensare che le risorse in vario modo trasferite ai comuni delle regioni a statuto ordinario, della Sicilia e della Sardegna, anche quelle aventi finalità perequativa, sono state oggetto nell'arco temporale tra il 2011 e il 2015 di una riduzione pari a circa 8,6 miliardi di euro. Anche in questo caso, però, gli effetti sulla finanza comunale restituiscono un quadro chiaroscurale.
  Come nota la Ragioneria generale dello Stato, partendo dal presupposto che i tagli a carico dei comuni avrebbero dovuto essere in buona parte correlati a operazioni di revisione della spesa, in modo da risultare neutrali per gli equilibri di bilancio di ciascun ente, volendo operare un confronto tra le manovre a carico dei comuni e l'effettiva riduzione della spesa corrente, emerge che la spesa corrente complessiva, al netto della componente rifiuti e trasporto pubblico locale, non si è ridotta nella misura prevista normativamente (2,4 miliardi rispetto agli 8,6). Si tratta di una rilevazione tecnica di cui occorre tener conto sul piano della politica di finanza pubblica. In buona sostanza, invece che ridurre la spesa, sono aumentate altre forme di entrata oppure ovviamente è stata tagliata completamente la spesa di investimento. Pag. 10
  La finanza provinciale, invece, ha risentito in misura per certi versi drammatica delle scelte istituzionali compiute dalla legge n. 56 del 2014, legate a doppio filo alla riforma costituzionale poi respinta dal referendum. In sostanza, si può affermare che il sistema di finanziamento prefigurato dal decreto legislativo n. 68 non ha retto alla prova dei pesanti contributi imposti alle province dalle manovre di coordinamento della finanza pubblica, sia con i tagli del Fondo sperimentale di riequilibrio sia con l'inasprimento delle misure di bilancio in vista del conseguimento degli obiettivi del pareggio sia, infine, con l'imposizione di risparmi sulla spesa corrente. Le difficoltà sono correlate alla conseguente riduzione dei servizi erogati.
  Nel corso del tempo sono state approvate, pertanto, misure a carattere straordinario, volte ad assicurare un sostegno di carattere finanziario, o a carattere giuridico contabile per l'esercizio delle funzioni fondamentali delle province. Da ultimo, ad esempio, l'articolo 1, commi 889 e 890, della Legge di bilancio 2019 ha stanziato un contributo di 250 milioni di euro annui per gli anni dal 2019 al 2033 (complessivamente 3,75 miliardi) per il finanziamento dei piani di sicurezza a valenza pluriennale per la manutenzione di strade e scuole. È evidente come tale intervento si collochi in un'ottica emergenziale e oltre la trama dei princìpi della legge n. 42 (funzioni fondamentali finanziate tramite trasferimenti diretti, vincolati e non incorporati nella finanza provinciale).
  Nel corso dell'audizione della Corte dei conti davanti a questa Commissione il 23 febbraio 2017 sono state scandite parole molto chiare, di cui il Governo intende farsi carico. Si può leggere, infatti, che la mancata approvazione del referendum sulla riforma costituzionale in sostanza ha avuto l'effetto di cristallizzare la riforma ordinamentale per i profili relativi alle province e agli enti di area vasta alle statuizioni della legge n. 56. Tale riforma, però, rischia di lasciare inalterata la situazione di grave deterioramento delle condizioni di equilibrio strutturale dei relativi bilanci, al quale non hanno posto rimedio organico gli interventi di natura emergenziale succedutisi, in parte estranei al sistema regolativo della finanza locale.
  È evidente che il permanere di una situazione del genere, oltre a non corrispondere all'impianto degli articoli 114, 117 e 119, pone in serio rischio il godimento di alcuni fondamentali diritti dei cittadini.
  Occorre, pertanto, considerare quale sia o debba essere il ruolo del livello provinciale e, conseguentemente, il nucleo delle funzioni fondamentali provinciali. Occorre considerare, infatti, il nucleo delle funzioni svolte dalle province e il rilievo che tali funzioni rivestono per i cittadini. A cascata, occorrerà individuare le fonti di finanziamento a carattere stabile e permanente, nonché forme di perequazione.
  Il Governo assicura su questo aspetto un'attenzione, anche in ragione della preoccupazione diffusa che si registra tra i cittadini rispetto alla qualità dei servizi.
  Veniamo adesso alle regioni a statuto speciale. Per le regioni a statuto speciale e le province autonome la fonte principale del sistema finanziario è rappresentata dagli statuti e dalle norme di attuazione. Tuttavia, a oggi, la disciplina applicabile a ciascuna regione è definita nell'ambito di uno schema relazionale bilaterale. Si è parlato a questo proposito di «accordi transattivi», accordi tra lo Stato e la singola regione a statuto speciale o province autonoma, nei quali il concorso al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica e al pareggio di bilancio diviene obiettivo condiviso di finanza pubblica.
  A oggi tutte le regioni a statuto speciale hanno sottoscritto accordi con il Governo: Sicilia nel 2014-2015, Sardegna nel 2009-2016, Trentino-Alto Adige, sia come regione che come province autonome, nel 2009-2014, Valle d'Aosta nel 2010-2015, Friuli Venezia Giulia nel 2010-2014.
  La Corte costituzionale ha definito tale metodo dell'accordo come strumento di bilanciamento tra l'autonomia finanziaria degli enti territoriali e le esigenze di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica, del cui adempimento anche le regioni speciali devono farsi carico, alla luce dei princìpi di solidarietà politica, economica e Pag. 11sociale di cui agli articoli 2 e 5 della Costituzione, nonché di responsabilità internazionale dello Stato.
  La convergenza sugli obiettivi di pareggio di bilancio del coordinamento della finanza pubblica è assicurata con una pluralità di strumenti normativi. Si può affermare, quindi, che progressivamente sta trovando applicazione l'articolo 27 della legge n. 42, in un quadro di armonizzazione generale della finanza pubblica italiana. Pur facendo salve le peculiarità costituzionali delle cinque regioni a statuto speciale e delle relative province autonome, il legislatore ha attratto queste ultime dentro l'orbita dei princìpi dell'articolo 119, attraverso l'applicazione di parametri comuni a valorizzazione della trasparenza e della corrispondenza tra funzioni e risorse.
  L'articolo 1, commi 875-886, della legge di bilancio 2019 contiene le norme fondamentali di coordinamento dinamico tra Stato e autonomie speciali, confermando l'impostazione appena menzionata, nel rispetto della giurisprudenza costituzionale. Si tratta di un risultato molto importante.
  Le regioni a statuto speciale e le province autonome hanno condiviso il contributo alla finanza pubblica e le modalità di rimodulazione dello stesso, con una finalità transattiva del contenzioso in essere (Valle d'Aosta). In particolare, il Friuli Venezia Giulia ha concluso un accordo con il Governo il 25 febbraio ultimo scorso, che sarà trasfuso – intendo garantire che questo avverrà – in un decreto legislativo di attuazione dello statuto e in un disegno di legge ordinario di modifica dello statuto medesimo. Con la regione Sardegna, invece, è aperto un tavolo di confronto che conduca in tempi brevi alla risoluzione di diversi contenziosi in essere, identificando così il quantum del contributo regionale alla finanza pubblica. È da segnalare, infine, un impegno specifico della regione Sicilia, fra l'altro, a riqualificare la spesa per gli investimenti, con un aumento a sostegno dell'economia in misura non inferiore al 2 per cento per ciascun anno dal 2019 al 2025.
  Più difficile è il percorso per l'attuazione, anche nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome, di costi e fabbisogni standard per gli enti ivi presenti. Come ha già ricordato il Ministro Stefani, tale percorso non ha trovato per il momento attuazione. L'articolo 31 del decreto legislativo n. 68 ha previsto l'estensione agli enti locali delle regioni a statuto speciale della disciplina relativa a costi e fabbisogni standard ai fini esclusivamente conoscitivi e statistico-informativi.
  Inoltre, la legge n. 232 del 2016 ha previsto che la regione siciliana ponga in essere le azioni necessarie affinché gli enti locali del suo territorio si sottopongano, anche ai sensi dell'articolo 8 della legge regionale n. 9 del 2015, alle rilevazioni in materia di determinazione di costi e fabbisogni standard poste in essere della SOSE.
  Più in generale, il passaggio per tutte le autonomie speciali al sistema di computo dei fabbisogni e dei costi standard appare un elemento che nella prospettiva della legge n. 42 può comportare un incremento dei livelli complessivi di chiarezza, trasparenza e leggibilità del rapporto tra autonomie ordinarie e autonomie speciali e, per altro verso, dei diritti di cui godono tutti i cittadini all'interno dei diversi contesti ordinamentali.
  Dunque, il principio solidarista a cui fa riferimento la Corte non si esplica solo sul piano del contributo alla finanza pubblica, bensì più in generale nell'attestazione di come l'autonomia speciale è utilizzata e di quali effetti abbia il godimento di margini di autonomia maggiori rispetto a tutti gli altri enti territoriali della Repubblica in termini concreti sulla vita dei cittadini.
  Questo argomento dell'applicabilità di costi e fabbisogni standard alle autonomie speciali è stato più volte oggetto di discussione nella scorsa legislatura, perché evidentemente il fatto che ne siano escluse non significa che le autonomie speciali non debbano perseguire anch'esse finalità di perequazione all'interno del territorio medesimo.
  Passiamo adesso al tema dell'armonizzazione dei bilanci pubblici. Nell'ambito dell'attuazione del federalismo fiscale riveste un'importanza decisiva il tema dell'armonizzazione dei bilanci pubblici. Sin dai Pag. 12primi momenti è stato avvertito come particolarmente urgente il tema della codificazione di una lingua comune tra i bilanci dei diversi livelli territoriali, al fine di assicurare conoscibilità alla reale situazione economico-finanziaria e assicurare un efficace utilizzo degli strumenti di coordinamento.
  Il decreto legislativo n. 118 del 2011, come modificato dal decreto n. 126 del 2014, costituisce la fonte di riferimento per tutti gli enti territoriali, incluse le regioni e le autonomie speciali. Inoltre, ricordo che dopo la riforma costituzionale del 2012 la materia è di esclusiva competenza statale.
  L'articolo 3-bis del decreto legislativo n. 118 del 2011 ha istituito presso il Ministero dell'economia e delle finanze la commissione per l'armonizzazione degli enti territoriali, la cosiddetta «commissione Arconet», con il compito di promuovere l'armonizzazione dei sistemi contabili, degli schemi di bilancio degli enti territoriali, degli organismi ed enti strumentali, esclusi quelli coinvolti nella spesa sanitaria, e di aggiornare gli allegati in base alle esigenze di monitoraggio e consolidamento dei conti pubblici e di migliore comunicabilità dei conti delle amministrazioni pubbliche con il Sistema europeo dei conti nazionali.
  L'applicazione del criterio della cosiddetta «competenza finanziaria potenziata» determina un avvicinamento della competenza alla cassa, con una notevole riduzione dei residui e, quindi, una maggiore efficienza del pagamento dei cosiddetti «debiti commerciali delle pubbliche amministrazioni». A tale scopo, è stato istituito il cosiddetto «Fondo pluriennale vincolato», destinato a garantire la copertura di spese imputate agli esercizi successivi.
  La gradualità è stato il principio cardine di tutta l'operazione. L'adeguamento ai nuovi princìpi, infatti, è avvenuto consentendo che i residui attivi e passivi risultanti dal primo gennaio 2015 fossero oggetto di un riaccertamento straordinario. Gli eventuali maggiori disavanzi generati dall'operazione di riaccertamento dovevano essere ripianati in un massimo di 30 esercizi, attraverso quote annuali costanti. Anche questo percorso transitorio è stato discusso, proposto e in qualche modo generato nell'ambito della Commissione in cui stiamo parlando nella scorsa legislatura.
  La Corte costituzionale, nella recente sentenza n. 18 del 2019, ha affrontato tale questione e ha evidenziato come tale procedura, seppur in un lasso temporale massimo assai lungo, si giustifica con l'unicità e l'eccezionalità della situazione finanziaria di alcuni enti territoriali, che, da un lato, transitavano in un diverso sistema di contabilità e, dall'altro, scontavano l'esistenza di deficit sommersi, originati dall'effetto congiunto della scorretta prassi di sovrastima dei crediti e di una sottovalutazione dei debiti.
  In ogni caso, nelle parole della Corte appare centrale – e questo Governo condivide – la prospettiva che un efficace monitoraggio dei conti pubblici, di cui l'armonizzazione è la condizione essenziale, assicura l'equità intergenerazionale, al fine di non gravare in modo sproporzionato sulle opportunità di crescita delle generazioni future, garantendo loro risorse sufficienti per un equilibrato sviluppo, nonché incentiva il buon andamento dei servizi e incoraggia le buone pratiche di quelle amministrazioni che si ispirano a un'oculata e proficua spendita delle risorse della collettività.
  Accenno brevemente al tema del federalismo demaniale. Il decreto legislativo n. 85 del 2010 è stato il primo decreto attuativo in assoluto della delega della 42. Esso mirava ad assicurare a ciascun ente territoriale anche un patrimonio, ai sensi dell'articolo 119, settimo comma, della Costituzione, quale ulteriore garanzia della propria autonomia finanziaria e quale contributo alla razionalizzazione del patrimonio pubblico.
  In realtà, le procedure di attribuzione del patrimonio, a fronte di talune difficoltà nel raggiungimento degli accordi tra Stato e autonomie territoriali in sede di Conferenza unificata, hanno poi seguito altre procedure, delineate da altre fonti normative.
  È stata altresì valorizzata la procedura speciale prevista all'articolo 5, comma 5, del decreto legislativo n. 85 del 2010 in Pag. 13tema di demanio culturale. Secondo i dati dell'Agenzia del demanio al 31 agosto 2018 tra procedura ordinaria (4.997 casi) e federalismo demaniale culturale (142) sono stati trasferiti 5.139 immobili, per un valore di oltre 1,83 miliardi di euro. Il numero degli enti territoriali coinvolti è pari a 1.324.
  Appare evidente, quindi, come l'iniziativa, che si è mossa nel solco tracciato dalla legge n. 42, sebbene abbia trovato attuazione in una pluralità di fonti normative, abbia rappresentato un interessante volano di sviluppo per l'economia locale. Ciò è vero sia qualora i beni sono stati destinati alla vendita sia qualora si è intrapresa un'operazione di valorizzazione. La valorizzazione del bene richiede, però, importanti investimenti, specialmente per ciò che attiene alla manutenzione. Esiste, quindi, un problema di ponderazione degli interventi e di risorse da reperire.
  Da ultimo, merita ricordare che la legge di bilancio per il 2019 impegna il Governo nel triennio 2019-2021 ad attuare un programma di dismissioni immobiliari, volto a conseguire introiti per un importo non inferiore a 950 milioni per il 2019 e 150 milioni per ciascuno degli anni 2020 e 2021. Gli immobili interessati sono di diversa natura e si trovano in diversa condizione giuridica. Le risorse rivenienti dalla cessione degli immobili statali sono destinate al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato, mentre quelle rivenienti dalla cessione degli immobili degli altri enti sono destinate alla riduzione del debito degli stessi e, in assenza del debito o comunque per la parte eventualmente eccedente, al già richiamato Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato.
  Al fine di accelerare il piano, la legge prevede un meccanismo premiale, con l'attribuzione agli enti territoriali in una quota tra il 5 e il 15 per cento del ricavato della vendita degli immobili alla cui valorizzazione gli enti abbiano contribuito, con destinazione delle somme alla riduzione del debito degli stessi e, in assenza del debito o comunque per l'eventuale quota eccedente, a spese di investimento, percentuali e numeri che, a mio avviso, sono modesti per avere effetti di incentivo.
  Veniamo al tema del regionalismo differenziato. Più di recente ha preso avvio il percorso di attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione. Come è noto, tre regioni (Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna) hanno concluso sul finire della XVII legislatura preaccordi con il Governo per definire alcuni dei contenuti e le procedure per l'attuazione della loro autonomia differenziata.
  Nel caso del Veneto e della Lombardia tale percorso ha preso le mosse da due referendum regionali, nei quali il corpo elettorale ha espresso un orientamento favorevole alla prosecuzione dell'iter. Com'è noto, sui due referendum ha avuto modo di esprimersi anche la Corte costituzionale, con la sentenza n. 118 del 2015, che ha riconosciuto la legittimità costituzionale dell'iniziativa regionale.
  Sia consentito rammentare che il programma dell'attuale esecutivo ha posto sin dall'inizio quale questione prioritaria nell'agenda di governo l'attribuzione, per tutte le regioni che motivatamente lo richiedano, di maggiore autonomia, in attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, portando anche a rapida conclusione le trattative tra Governo e regioni attualmente aperte.
  L'orizzonte nel quale ci si intende muovere è quello della logica della geometria variabile, che tenga conto sia delle peculiarità e delle specificità delle diverse realtà territoriali sia della solidarietà nazionale, dando spazio alle energie positive e alle spinte propulsive espresse dalle collettività locali. Ho citato esattamente le parole contenute nel cosiddetto «contratto di governo».
  Definito un quadro istituzionale di riferimento chiaro, e condivisa in prospettiva una metodologia di calcolo dei fabbisogni standard, nulla osta a una differenziazione tra territori in base alle aspirazioni, alle capacità e alle esigenze delle singole regioni. D'altra parte, si potrà pure discutere dei singoli contenuti specifici, ma è innegabile che tale soluzione sia, non solo compatibile Pag. 14 con il testo costituzionale, bensì proprio auspicata da quest'ultimo.
  Si noti, infatti, che l'articolo 116, terzo comma, della Costituzione contiene dal 2001 una clausola che consente alle regioni la possibilità di chiedere allo Stato ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia in talune materie, attraverso un iter procedurale scandito da due fasi essenziali, governativa e parlamentare, ma ispirato a una logica di garanzia: intesa Stato-regione, consultazione degli enti locali, approvazione parlamentare con procedimento rinforzato.
  Inoltre, la differenziazione sul piano delle funzioni amministrative è già possibile oggi in misura diversa, in ipotesi anche senza attivare l'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, in base all'articolo 118, primo comma, della Costituzione, cosicché in tutte le materie in cui non si ravvisino esigenze unitarie il legislatore statale potrebbe allocare le funzioni amministrative anche secondo un criterio di differenziazione, premiando cioè le realtà più virtuose o che esprimano un'attitudine specifica all'esercizio di quelle funzioni, ad esempio ambiente e cultura. Non basta: già oggi nel cruciale settore della sanità per le regioni sottoposte a piani di rientro dal disavanzo per la spesa sanitaria vengono definiti modelli di intervento differenziati, attraverso la sottoscrizione di patti che limitano l'autonomia regionale sul piano legislativo, regolamentare e amministrativo.
  In tal senso, quindi, si può rilevare come l'autonomia regionale risulti già oggi e senza scandalo più o meno espansa nelle diverse realtà regionali, in funzione dell'obiettivo di finanza pubblica da conseguire. Come si ammette la possibilità di una restrizione dell'autonomia in caso di squilibri strutturali gravi, allo stesso tempo non pare essere di ostacolo riconoscere un ampliamento, all'interno dell'alveo assegnato dalla Costituzione, per i casi di maggiore virtuosità.
  Si aggiunga inoltre che la legge n. 42 del 2009 contiene già da dieci anni una norma sostanziale, l'articolo 14, che stabilisce che con la legge con cui si attribuiscono, ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, forme e condizioni particolari di autonomia a una o più regioni, si provvede altresì all'assegnazione delle necessarie risorse finanziarie, in conformità all'articolo 119 della Costituzione e ai princìpi della presente legge.
  Ciò significa in particolare che il finanziamento dell'autonomia differenziata per il legislatore può essere avviato e a regime deve essere garantito sulla base della metodologia di calcolo del fabbisogno standard e della valorizzazione dell'autonomia di entrata attraverso la fiscalizzazione dei trasferimenti, princìpi valevoli per il complesso delle regioni a statuto ordinario.
  Si deve ricordare che l'articolo 1, comma 571, della legge n. 147 del 2013, la legge di stabilità per il 2014, contiene una norma di procedura volta ad accelerare l'attivazione del Governo sulle iniziative delle regioni presentate al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro per gli affari regionali, ai fini dell'intesa, ai sensi dell'articolo 116, comma terzo, fissando un termine di 60 giorni dal ricevimento della proposta regionale per l'apertura del procedimento.
  Al di là di quanto viene strumentalmente rappresentato, quindi, l'attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione non è un atto di rottura del patto costituzionale, bensì una forma di attuazione con molto ritardo di una potenzialità che la Costituzione mette a disposizione del sistema regionale.
  Si potrebbe notare addirittura che il regionalismo differenziato si sta facendo al diritto vivente. Le prime proposte risalgono addirittura agli anni 1990 e nel corso del tempo diverse regioni hanno formulato proposte. A oggi, oltre alla firma dei tre preaccordi già ricordati, sul totale delle rimanenti dodici regioni a statuto ordinario, dieci hanno espresso interesse in varie forme, sette regioni ordinarie hanno formalmente conferito al presidente l'incarico di chiedere al Governo l'avvio delle trattative per ottenere ulteriori forme e particolari condizioni di autonomia (Campania, Liguria, Lazio, Marche, Piemonte, Toscana e Umbria), mentre altre regioni hanno assunto iniziative preliminari (Basilicata, Calabria e Puglia). Vi è dunque un percorso politico, istituzionale e legislativo che conduce al Pag. 15risultato dell'attuazione dell'articolo 116, terzo comma, che non è, quindi, un fulmine a ciel sereno.
  Sul piano del metodo, l'approccio seguito dal Governo si fonda essenzialmente sulla preliminare definizione degli ambiti di potestà legislativa e sulle funzioni amministrative da attribuire alle singole regioni e successivamente sulla quantificazione, a partire dalla spesa storica dello Stato nella regione, delle risorse da trasferire a ciascuna singola realtà regionale, definite in base alle indicazioni dell'articolo 14 della legge n. 42. Si inverte, cioè, lo schema seguito negli anni scorsi, nel quale la definizione delle funzioni e la definizione delle risorse si muovevano su binari paralleli e distinti.
  In tal senso, gli allarmi lanciati sull'indebolimento della funzione statale di coordinamento della finanza pubblica, con riflessi negativi sul principio di unità nazionale e sulla solidarietà tra i territori, sono ingiustificati. Infatti, l'attuazione del regionalismo differenziato non comporterà una variazione che porti un indebito vantaggio nella quantità di risorse finanziarie attribuite a ciascuna singola regione differenziata per l'esercizio delle funzioni attribuite, bensì una riallocazione di risorse già impiegate dallo Stato alla periferia.
  Non si dovranno determinare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica o, per altro verso, lo scarico di ulteriori costi sulla pressione fiscale dei contribuenti. Al contrario, si svilupperà un procedimento di ulteriore razionalizzazione della spesa pubblica in ciascuna regione. Sarà prima definito, nel rispetto puntuale dell'articolo 116, terzo comma, il complesso delle materie e delle funzioni spettanti, che la regione potrà disciplinare in autonomia fermi restando i presìdi costituzionali dell'unità della Repubblica (LEP, funzioni fondamentali, unità giuridica ed economica, potere sostitutivo). Sarà, quindi, considerato l'impegno finanziario dello Stato per i nuovi ambiti spettanti alla regione. In prospettiva, occorrerà definire e considerare progressivamente il fabbisogno standard per il loro esercizio, con una metodologia comune a tutte le regioni, riconoscendo l'autonomia di entrata e di spesa necessaria per esercitare le funzioni in forma efficiente ed efficace.
  L'operazione richiederà la fiscalizzazione, cioè la trasformazione in tributi propri o con partecipazione di alcuni trasferimenti che oggi finanziano la cosiddetta «spesa statale regionalizzata» per le funzioni oggetto di autonomia differenziata.
  È evidente che eventuali livelli di prestazioni eccedenti il livello essenziale che la regione intendesse assicurare o livelli di spesa superiori al fabbisogno standard ingiustificati, cioè non legati a specifici elementi contingenti o ad esigenze di perequazione e capacità fiscali, sono a carico della sola finanza regionale o dei risparmi prodotti dalla regione nell'esercizio delle sue funzioni. Responsabilizzazione ed efficienza sono le parole chiave.
  Diverso è il tema della ricomposizione di una perequazione regionale nel contesto dell'autonomia differenziata. Mutando la potestà legislativa e le funzioni amministrative da regione a regione, anche l'intervento perequativo dovrà adattarsi a tale quadro istituzionale.
  Su questo tema in ogni caso è l'articolo 119 della Costituzione che detta la via maestra da seguire, ovverosia la perequazione delle capacità fiscali territoriali e i cosiddetti «interventi speciali». Non c'è quindi il rischio di fughe in avanti, perché è il quadro costituzionale che definisce presupposti ed effetti della perequazione.
  L'attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione in definitiva rappresenta un'occasione cruciale per riaffermare la necessità di un quadro di competenze legislative e di funzioni amministrative più chiaro, ripartito tra Stato e regioni, rafforzare la cultura dell'efficienza e ampliare i margini di autonomia dei livelli regionali interessati, superando logiche emergenziali e contingenti e assicurando una stabilità di fonti di entrate, a tutela della capacità di programmazione regionale.
  Appare condivisibile l'impostazione segnata da alcuni commentatori, per cui è condizione implicita per accedere al regionalismo differenziato la condizione di sostanziale Pag. 16 rispetto dei vincoli posti in sede di coordinamento della finanza pubblica, cioè sostanzialmente possono accedervi quelli che hanno i conti in ordine.
  Sono questi i temi di impegno per la legislatura. È naturale che risultati così ambiziosi possano essere ottenuti solo tramite un confronto costante con il sistema delle autonomie territoriali e con il Parlamento. Sulle sedi di collaborazione in effetti qualche risultato più incisivo potrà essere ottenuto tramite il rafforzamento della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, la quale, come già notato da questa Commissione nella precedente legislatura, non è stata in grado di giocare quel ruolo fondamentale che al contrario i decreti legislativi le avevano attribuito.
  L'intenzione è quella di portare a conclusione il percorso avviato dieci anni fa e rimasto – almeno in parte – inattuato. Se infatti si intende provocare un cambiamento vero e proprio nel rapporto tra cittadino e apparato pubblico, ovverosia rinsaldare un rapporto di fiducia, uno dei primi terreni su cui lavorare è proprio quello delicatissimo del prelievo fiscale, della funzione redistributiva dello Stato, della responsabilità degli amministratori e del ruolo dei livelli di governo più vicini ai destinatari di funzioni pubbliche e attività pubbliche.
  Nel concludere, vorrei ricordare che quest'anno ricorre il centocinquantesimo anniversario della morte di Carlo Cattaneo. Onorare la memoria di questo grande padre del Risorgimento italiano significa anche imparare dai suoi insegnamenti. Nella prefazione a Il Politecnico Cattaneo scriveva che «quando ingenti forze e ingenti ricchezze di conoscenze stanno raccolti in pugno di un'autorità centrale è troppo facile costruire o acquisire la maggioranza di un unico Parlamento. La libertà non è più che un nome, tutto si fa come tra padroni e servi».
  Ecco, il tentativo di rivitalizzazione del regionalismo italiano e di attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione ha anche questa finalità, ravvivare la libertà dei cittadini e l'autonomia dei territori in un circuito virtuoso, ispirato alla responsabilità. Si tratta (ne siamo consapevoli come Governo) di una grande responsabilità e di un'occasione storica. Vi ringrazio per la vostra attenzione.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, sottosegretario, sia per la completezza delle informazioni e della ricognizione effettuata per quanto riguarda sia la legge 42 del 2009, quindi il federalismo nelle sue varie declinazioni, sia per l'illustrazione dello stato dell'arte della questione del regionalismo differenziato, che tutti sappiamo essere al centro della cronaca politica e parlamentare.
  Lascio la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  GIAN MARIO FRAGOMELI. Grazie, presidente, prenderò uno slot temporale più breve perché ci sono già due colleghi che vogliono fare delle domande puntuali, quindi arrivo velocemente alle questioni che voglio sottoporre al Sottosegretario.
  Le rivolgo un ringraziamento per il rapporto conoscitivo che oggi ci ha dato; in Lombardia si direbbe che l'ha presa un po’ larga, però non è passato secondo noi a un apporto propositivo, se non nell'ultima parte del suo intervento, rispetto all'autonomia differenziata, nel senso che ha ricostruito la storia sul federalismo fiscale, sul rapporto Stato/enti locali, tutta una serie di questioni importanti dall'evoluzione dell'armonizzazione dei bilanci a tutto il resto, ma è mancato il passo successivo per capire dove si va a finire. Arrivo subito alle domande e alle questioni da sottoporre, innanzitutto la questione SOSE.
  Noi abbiamo audito i responsabili del SOSE e abbiamo fatto una proposta molto semplice, perché vorremmo che si evitasse questo circolo vizioso quando inizia e finisce la parte politica, quando inizia e finisce la parte tecnica. Quando si costruirà quindi questa benedetta infrastruttura tecnica rispetto all'autonomia differenziata? Se non date a SOSE l'incarico di iniziare a studiare i fabbisogni standard che, come ha ribadito lei, sono l'architrave per qualsiasi ragionamento Pag. 17 di federalismo differenziato, non faremo passi avanti.
  Vorrei capire, visto che finalmente è stato nominato il presidente della Commissione tecnica, quando il SOSE avrà l'incarico per fornire strumenti tecnici anche a questa Commissione per valorizzare il tema dell'autonomia differenziata.
  Seconda questione, i LEP. Giustamente lei ha ribadito il tema dell'autonomia, ma anche qui siamo stanchi di sentire i singoli Ministeri, anche quelli più importanti (penso al Ministero della Sanità e agli altri), che raccontano di benchmark, evoluzione del rapporto tra le diverse regioni, comitati scientifici e tecnici. Quando Palazzo Chigi farà da regia e convocherà i presidenti di regione per capire quale sia lo stato dell'arte anche di altre regioni, oltre alle tre, per avviare un processo di autonomia differenziata?
  Se non parte un tavolo a Palazzo Chigi, che approfondisca almeno i temi sulla sanità, i temi sull'istruzione, i temi più delicati che mettono in crisi lo sviluppo di un'autonomia differenziata, secondo noi strada non se ne fa, quindi anche da questo punto di vista vorremmo più responsabilità politica da parte del Governo, che altrimenti si perde in mille rivoli e in singoli interventi di Ministri, come abbiamo visto anche ieri il Ministro Stefani che, con tutto il rispetto, ci parla delle release, della decima versione, ma non c'è accordo politico.
  Il tema è quindi che vorremmo capire come si proceda, evitando (lo dico da ex amministratore locale, ed ex sindaco) che finisca come ci ha raccontato lei sugli enti locali, perché è vero che si è fatto un processo importante di applicazione dei fabbisogni standard e di superamento della spesa storica, ma poi quel benedetto Fondo perequativo è diventato completamente orizzontale e a pagarne le spese sono stati gli enti locali più virtuosi.
  Non vorremmo che questa cosa, seppur all'inizio debba essere dosata, colpisse anche un Fondo perequativo a livello regionale, quindi seppure all'inizio ci voglia (sappiamo tutti che specialmente nella parte degli investimenti è fondamentale per riallineare le diverse regioni), non deve diventare un alibi per non efficientare la spesa corrente, in quanto a pagare solo le altre regioni. Grazie.

  VINCENZO PRESUTTO. Grazie, Sottosegretario Giorgetti, per averci illustrato lo stato dell'arte dell'attuazione del federalismo. Effettivamente (mi ricollego all'affermazione del collega Fragomeli) la Costituzione ci dà gli articoli, gli spunti, il 116, il 119 e soprattutto il 120, che penso sia uno dei più importanti e finora poco attenzionato (in Commissione abbiamo trattato soprattutto il 116) perché avere uno strumento nelle mani dello Stato per valutare la capacità degli enti locali di essere efficaci ed efficienti nell'interesse dei cittadini è veramente una prerogativa ormai non più procrastinabile, e anche la cosiddetta «legge Calderoli» del 2009, quindi il ritardo non è più né giustificabile, né sostenibile.
  È però doveroso esprimere qualche critica rispetto a quanto fatto. Mi riferisco al Fondo di solidarietà comunale. Parliamo di attuazione del federalismo fiscale, il TAR del Lazio lo scorso 22 maggio ha ordinato alla Presidenza del Consiglio dei ministri insieme al Ministero dell'economia e al Ministero dell'interno di consegnare entro trenta giorni una documentata relazione proprio sul riparto del Fondo di solidarietà comunale del 2019. I punti critici sottolineati nel ricorso presentato da ben 60 comuni sono numerosi e le sono certamente noti se non altro come ex Presidente di questa Commissione.
  Sottolineo per brevità solo il caso clamoroso dei fabbisogni zero per gli asili nido riconosciuti ai territori privi di servizio, una formula discriminatoria, in contrasto sia con quanto previsto dal decreto della Presidenza del Consiglio dei ministri del 27 marzo 2015, che prevedeva una copertura minima del 12 per cento, sia dagli atti approvati all'unanimità da questa Commissione bicamerale durante la sua Presidenza, che chiedevano l'attuazione di quel decreto della Presidenza del Consiglio dei ministri, che fissava un primo livello essenziale delle prestazioni.
  Lei stesso peraltro, in un intervento verbalizzato il 16 maggio 2016, affermò: «il fatto che non si sia fatto nulla sui LEP sta Pag. 18a testimoniare che manca uno dei punti cardine su cui costruire tutto il sistema».
  I LEP mancano ancora oggi, a tre anni da quella sua affermazione, e sono fondamentali sia per il federalismo già attuato, quello comunale, sia per quello che verrà, il regionalismo differenziato. Le chiedo quindi se utilizzerà la relazione al TAR del Lazio quale occasione per dare al Paese una risposta nel segno dell'equità, correggendo nell'immediato le storture nel riparto del Fondo di solidarietà comunale 2019 e ponendo le premesse per un'applicazione del regionalismo differenziato rispettosa della piena attuazione della Costituzione. La ringrazio.

  VASCO ERRANI. Grazie, sottosegretario. Ho apprezzato il quadro che lei ci ha proposto, perché fa il punto con onestà intellettuale della situazione in cui ci troviamo. Detto questo, però, non ho colto come conseguentemente si intenda operare. Faccio solo tre sottolineature.
  Non c'è dubbio che abbiamo assistito ad una seconda fase segnata dal neocentralismo e da una crisi dell'idea di federalismo sia fiscale che regionale, tuttavia i percorsi intrapresi ci segnalano che, come lei ha detto, se i princìpi fondamentali (sottolineo questo aspetto, colleghi: i princìpi fondamentali) non vengono chiaramente definiti, potrebbero introdurre, come nei fatti è già avvenuto (lei lo ha sottolineato) differenze regionali che sono già abbondantemente in atto. L'applicazione del 117 è stata consegnata all'interpretazione della Corte, che, a seconda delle fasi in cui si è trovato questo Paese, ha dato interpretazioni differenti.
  Sono d'accordo sull'applicazione di tutta la Costituzione, quindi del terzo comma del 116, il più rapidamente possibile, ma sono frontalmente preoccupato e contrario a continuare un percorso di federalismo fai da te, per cui a seconda di un'affermazione di principio generale condivisibile, regionalismo differenziato, ciascuno fa quel che vuole, quel che può, quel che riesce a fare a seconda della dinamica poi risolta dalla Corte Costituzionale.
  Dobbiamo (questo non è un problema di maggioranza e opposizione, è un problema di impianto costituzionale) definire cosa sono i princìpi fondamentali nell'istruzione, nei beni culturali, nell'ambiente, onde evitare di trovarci a cascata... Non siamo in grado di farlo oggi, è inutile che continuiamo a fare discussioni ideologiche. Non siamo in grado di farlo, il Governo vuole metterci in condizioni di farlo?
  Secondo punto, LEP e conseguentemente costi standard. Sinceramente ho apprezzato molto, sottosegretario, la sua precisazione, i costi standard non sono un processo tecnico o esclusivamente tecnico, sono prima di tutto una scelta politica, che non può prescindere dalla definizione dei LEP, perché diversamente rientreremmo nella visione ragionieristica che ha vissuto il nostro Paese a seconda delle fasi in cui ci troviamo. Ci arriva una nuova letterina dall'Europa...
  Terzo punto. Bisogna fare questi due passaggi, per cui io non riesco a capire né le pre-intese, che non mi convincono, né il fatto che adesso si faccia una sorta di braccio di ferro dicendo «facciamolo subito, no, aspettiamo un altro po’»; ma questo subito ha quei due punti e un terzo fondamentale.
  Risolti princìpi fondamentali e LEP, il percorso di realizzazione di questo processo, se non vogliamo trovarci in situazioni con diritto differenziato in relazione ai nostri cittadini, richiede come nella 42 l'individuazione di un nuovo rapporto tra investimenti, Fondo d'investimenti, costruzione dei servizi e successivamente riconoscimento della spesa corrente in relazione alla gestione dei servizi, altrimenti si incorre nel rischio prima evidenziato dal senatore Presutto, per cui i comuni che hanno zero asili nido subiscono la doppia penalizzazione di non avere asili nido e spesa corrente.
  Perché questo, sottosegretario, visto che lei che ha fatto un inquadramento così chiaro, non comporta da parte del Governo l'apertura di un confronto, che stabilisca chiaramente un percorso? Questo percorso deve stabilire come facciamo i LEP e il resto, perché diversamente sarà un braccio di ferro politico, ma è difficile fare una reale riforma costituzionale, non solo senza modificare la Costituzione e utilizzando il Pag. 19116, ma perfino non dando al Parlamento la possibilità di intervenire dal punto di vista delle norme legislative.
  Non si può fare una nuova Repubblica sulla base di accordi bilaterali, che peraltro non è possibile sottoporre nemmeno a referendum o modificare se non con l'assenso delle due parti! Attenzione, si governa tutti pro tempore, dunque costruiamo un percorso che abbia una solidità, altrimenti salta l'insieme del sistema.

  PAOLO RUSSO. Ringrazio e apprezzo la relazione del Sottosegretario Giorgetti, una descrizione puntuale, una disamina ampia, articolata, una sorta di viaggio in cui ci ha accompagnato per mano nella storia del federalismo, presupposto assolutamente necessario per meglio valutare lo stato dell'arte attuale.
  Alcune questioni che lei ha fornito con la sua concretezza e la sua onestà vanno però articolate nei tempi. Lei pone alcune puntualizzazioni su fabbisogni standard, definizione dei livelli essenziali delle prestazioni e relativi costi. Sul piano dei tempi il suo Governo come intende articolare questo processo in ragione delle preintese, che sono state già impropriamente sottoscritte, e delle intese che sono in corso di sottoscrizione? Lei pensa che i livelli essenziali e i relativi costi, i fabbisogni standard debbano essere definiti prima delle intese, o viceversa ritiene che si possa addivenire anche ad una soluzione successiva, che ovviamente comporterebbe anche tutte le misure di salvaguardia intermedie?
  Altra questione. Lei ci ha utilmente fornito tutti gli elementi rispetto alla perequazione comunale, alla storia molto tribolata e talvolta anche infausta. Rimane un problema centrale, quello della perequazione infrastrutturale, che rende di fatto i diritti diversi nel nostro Paese. Come pensa possa essere data una risposta a questa necessità?
  Ultima questione. Il Ministro Tria prima e la Ministra Lezzi successivamente si sono sottratti alla possibilità di esprimere una valutazione sull'impatto di finanza pubblica del regionalismo differenziato e hanno riferito che lo stato dell'arte e gli elementi sin qui forniti, sin qui in possesso del Governo non consentono una valutazione compiuta da questo punto di vista. Lei ha qualche ulteriore elemento che ci può fornire? Grazie.

  ROGER DE MENECH. Grazie, sottosegretario, e bentornato in Commissione. Rispetto alla sua dichiarazione, che ha fatto anche il collega Errani, che le scelte tecniche hanno un fondo di politica, aggiungo che spesso però la tecnica aiuta la politica a un esercizio di realismo.
  Dico questo perché noi viviamo da un punto di vista culturale e politico questa fase di straordinaria importanza, sono un federalista convinto e credo che l'autonomia possa dare un grado maggiore di efficienza nell'avvicinare il servizio ai cittadini, però è chiaro che noi viviamo questo momento storico schiavi di una visione sull'autonomia drogata nel passato, e oggi qualche partito probabilmente deve mettersi un po’ di cenere sul capo, perché le ricordo come ricordo a tutti che alcune regioni non più tardi di novembre 2017 facevano leggi regionali sui nove decimi.
  Questo, che ha consentito ad alcuni partiti di raccogliere una notevole quantità di voti, è esattamente uno dei tappi che impedisce quello che dicevo all'inizio, un esercizio di realismo e di realtà, e riportare alla tecnica la politica e fare del federalismo una grande scommessa per lo Stato. Questa è una premessa indispensabile, perché se non facciamo questa premessa, non raggiungiamo l'obiettivo per me fondamentale.
  Il secondo punto lo hanno già detto i colleghi, ma voglio entrare in un altro tema: quale federalismo, quale autonomia? Fatta questa premessa di carattere politico, pongo una domanda tecnica. Non è sufficiente che l'autonomia sia quella delle regioni, deve essere l'autonomia dei territori. Devo dire che ero un po’ preoccupato, perché dopo un'ora non eravamo ancora entrati nel vivo della discussione del regionalismo differenziato, tema da prime pagine dei giornali, e credo che gli ultimi dieci minuti siano pochi rispetto a quello che ci aspettavamo.
  C'è una sentenza della Corte che liberalizza il bollo auto. Cosa c'entra? Le regioni possono differenziare il bollo auto Pag. 20dentro il territorio regionale, è riconosciuto un grado di autonomia, ma se alle regioni non diamo un input, ogni regione può fare quello che vuole. Credo che il bollo auto vada differenziato rispetto a territori di montagna in cui usare l'auto è una necessità; per cui dove non ci sono i mezzi pubblici, ferrovie, metropolitane, servizi urbani pubblici cosa facciamo, tassiamo ugualmente l'auto esattamente come il centro di una grande città dove c'è la metropolitana? Questa è la vera autonomia, e ho citato l'esempio perché altrimenti corriamo il rischio di parlare di cose astratte.
  Mi ricollego a questa novità di qualche settimana fa di questa sentenza per evidenziare che dentro le intese ci vuole anche un input politico con basi tecniche, che dica alle regioni tutte «attenzione, non sostituiamo il centralismo romano con quello regionale» e quindi ci sia un vero principio di sussidiarietà nei territori.
  La parte territoriale che rappresento di più, la montagna, non può quindi essere trattata come la pianura, e su questo si gioca l'efficacia e l'efficienza del principio citato all'inizio di avvicinare il servizio al cittadino. Quindi l'ipotesi che lei ha chiamato atto di rottura la smontiamo solo se interpretiamo in maniera autentica e fino in fondo questo principio.
  Lei ha anche parlato delle province, spero che continui il processo di rifinanziamento iniziato alla fine della scorsa legislatura, con l'ultima legge di bilancio del Governo precedente, che continui in maniera parallela il rifinanziamento delle province, perché mi pare che sulla struttura del governo del territorio l'attuale maggioranza non abbia un'idea univoca, quindi intanto diamole l'ossigeno per vivere, mettere a posto i conti e mantenere i servizi, e poi ragioniamo su una chiara revisione che dovremo fare – spero insieme – nei prossimi anni. Grazie.

  ALESSANDRO CATTANEO. Il suo excursus è stato molto utile per mettere a fuoco il percorso sul federalismo fiscale, che ho sempre sostenuto sia l'alveo maestro in cui incardinare i percorsi di autonomia. L'ho vissuto da sindaco, e sono fermamente convinto che questo sia il percorso, poi con la cesura che c'è stata in quel percorso ci sono state delle fughe in avanti.
  Sono convinto, avendo sostenuto e messo la faccia sul referendum dell'autonomia lombarda, che sia stato un atto dovuto, credo che i territori abbiano dato un segnale con una forma di democrazia, il referendum, che quel percorso andava ripreso. Certo è che oggi assistiamo a una fase disordinata (fughe in avanti, disorganizzazione dei processi di autonomia).
  Entrando nel concreto, guardando avanti, come immagina di calendarizzare il percorso del prossimo futuro? Anche oggi sento molti interventi che mettono in discussione non se il percorso di autonomia del federalismo fiscale vada compiuto, ma come, e questo è già un passo avanti. Su come farlo quali sono i prossimi passi? La nostra bicamerale, che ha fatto un lavoro positivo, può dare un valore aggiunto, scendendo nel concreto e facendosi carico di qualche dossier sull'approfondimento di problemi che non diventino un alibi per minare il percorso, ma vengano affrontati come nodi e sciolti?
  Chiedo quindi a lei, sottosegretario, quali possano essere i prossimi passi e un percorso concreto che arrivi finalmente a un vero federalismo.

  STEFANO COLLINA. Non vorrei dare un'aria di rimpatriata a questa Commissione, però è evidente che delle dodici audizioni finora svolte questa era la più attesa per una serie di ragioni. Devo dire che lei non ha deluso, nel senso che ha affrontato il tema nella sua complessità e non è sfuggito a nessun aspetto, almeno nelle citazioni, quindi la comprensione complessiva dei temi che sono in campo è completa.
  Da come abbiamo sviscerato tutti i temi è evidente che noi abbiamo da definire e costruire un percorso, altri colleghi hanno escluso aspetti che sono difficili da considerare, quindi c'è da parlamentarizzare questo percorso e lei ha detto una frase indicativa, ha richiamato la legislatura perché ovviamente ci vuole del tempo per portare a conclusione questo percorso, ed è fondamentale che politicamente si sciolga questo nodo, perché il recupero dei dati che servono alla politica per fare le scelte Pag. 21intendo ha necessità di tempo. Diversamente rischiamo situazioni che abbiamo già visto, e che voglio citare perché sono rimasto colpito: la gestione regionale delle centrali idroelettriche, che ha trasformato nel Decreto semplificazione una prerogativa che era delle regioni ad autonomia speciale, quindi delle regioni a Statuto speciale, automaticamente a quelle a Statuto ordinario con un emendamento, è stato un blitz.
  Se dobbiamo ragionare di regionalismo differenziato, facciamolo su tutto, partiamo con questo percorso, ma evitiamo che ci siano fughe in avanti, perché sono queste e non cose le fughe in avanti, che prendano pezzi a seconda del provvedimento che passa e le assegnino istantaneamente alle gestioni regionali, indipendentemente da un quadro complessivo di equilibrio.
  Credo che sia veramente una possibilità importante per il Paese, perché nella scorsa legislatura eravamo mossi dalla grande urgenza di ridurre le forbici nel nostro Paese, di dare omogeneità al Paese, perché non ci siano cittadini di serie A e di serie B in funzione del fatto che sono nati in un posto e non in un altro, quindi o questo percorso del regionalismo differenziato diventa l'occasione che cogliamo per ridurre la forbice e dare omogeneità al nostro Paese sotto tutti i profili, in un percorso che deve essere necessariamente graduale.
  Non è infatti tutta sbagliata la logica con cui si affronta un percorso di questo genere, ma è il gradualismo che porta ad una convergenza, quindi se questo è un altro modo di prendere lo stesso problema che avevamo individuato nella scorsa legislatura, su questo noi ci siamo. Però bisogna che il percorso sia definito, che le tappe siano chiarite, che i ruoli e le funzioni vengano chiariti e su questo ci si possa confrontare nel merito delle singole questioni. Grazie.

  PRESIDENTE. Lascio la parola al Sottosegretario Giorgetti per la replica.

  GIANCARLO GIORGETTI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Grazie per le osservazioni, stimoli e questioni che avete posto. Tutte secondo me si riconducono e vorrei ricondurle alla valorizzazione della dimensione politica del processo, perché quello che è avvenuto in tutti questi anni è semplicemente il fatto che la politica ha definito degli input chiari, che arrivavano da situazioni che si erano venute a creare sul finire degli anni ’90, che si sono trasfuse in un clima politico-culturale nella riforma costituzionale del Titolo V, poi successivamente nella legge n. 42.
  Si sono scritti i titoli e poi tutto quello che stava sotto i titoli è stato rimesso alla dimensione tecnica (faccio riferimento a quei voluminosi quadri di metodologie di calcolo della definizione dei fabbisogni standard, su cui onestamente non so in quanti, sia a livello di Esecutivo sia a livello di Parlamento, siano andati in profondità) o alle sentenze della Corte Costituzionale. Tutto questo processo è stato guidato nelle fasi di interpretazione verso l'alto e di esecuzione verso il basso non dalla dimensione politica, intesa sia nella dimensione parlamentare che nella dimensione dell'esecutivo, del Governo. Questo è la realtà, che è stata fotografata nel mio intervento e mi sembra ribadita anche nei vari interventi.
  La Corte costituzionale ha un po’ seguito, come probabilmente è corretto e giusto, l'onda di quello che il Paese esprimeva. Se a un certo punto esprimeva un grande impeto federalista, aveva un'interpretazione più virata in quel senso, poi ha avuto un momento di impeto neocentralista, adesso le ultime sentenze invece riaprono in questo tipo di respiro.
  Tutto ciò avviene a causa dell'assenza della politica. Non voglio fare il processo a responsabilità storiche e ai Governi precedenti, che peraltro sono di diffusa estrazione, quindi ricade un po’ su tutti. Ho esordito ribadendo (ne sono assolutamente convinto) il ruolo del Parlamento, perché secondo me il Parlamento e anche questa Commissione hanno un ruolo fondamentale di stimolo, di critica, di pressione rispetto a quello che fa o non fa il Governo.
  Sono ad esempio molto contento che alla fine siamo arrivati alla nomina del Pag. 22professor Arachi come Presidente della Commissione tecnica, però siamo arrivati tardi, non ho resistenza a dire che questa è una colpa che ci assumiamo come Governo, perché evidentemente se non si possono costruire le basi di tipo tecnico, poi diventa difficile decidere.
  Questo processo che deve andare avanti è un processo che responsabilizza moltissimo il Governo e anche in Parlamento. Mi auguro che il vostro operato voglia andare in profondità, voglia capire, metta alla frusta chi ha l'incarico di produrre provvedimenti, anche perché in questo momento l'attenzione politica per evidenti ragioni è concentrata sull'articolo 116, comma terzo, ma non c'è soltanto l'articolo 16, comma terzo, c'è anche tutto il resto.
  Credo di aver richiamato tutte le situazioni, penso puntualmente. Poi magari ho evaso alcuni punti in termini politici, ma ho richiamato tutti i punti che sono sul tavolo, dal Parlamento al mondo delle autonomie, alla SOSE, che si può criticare, ma è uno strumento formidabile, che ha prodotto tanti dati, forse troppi.
  Faccio osservare che noi abbiamo una strumentazione in termini di costi e fabbisogni standard, che adesso è accessibile anche al pubblico, che non ha pari in nessun Paese del mondo, nel senso che neanche i Paesi più federalisti in assoluto hanno una strumentazione di banca dati come noi; abbiamo sostanzialmente «ammazzato» gli uffici degli enti locali per produrre montagne di questionari e adesso abbiamo tantissimi dati. Il problema è che bisogna avere la visione politica chiara di come utilizzare quei dati, altrimenti diventa un problema.
  Riprendo le vostre questioni, che hanno già trovato spesso spiegazioni da questa premessa di sistema. A Fragomeli che mi chiedeva quando, rispondo subito, però con grave ritardo, nel senso che è evidente che il ruolo della Commissione tecnica è importante, il ruolo che avete voi è importante, però la SOSE si muove su input e quindi gli input devono essere dati, quindi il Ministro Stefani, per quanto riguarda Palazzo Chigi ovviamente fa un ruolo di coordinamento e di impulso, che però non può sostituire le competenze del ministero, si adopererà in questo.
  Sui LEP richiamo diversi interventi, anche quello del senatore Errani. Qua siamo in un terreno delicatissimo, che è quello dei diritti. Sotto questo aspetto davvero arriviamo da un decennio... Quando abbiamo provato due anni fa a capire a che punto eravamo, ci si è resi conto che sostanzialmente eravamo al punto zero, e oggi siamo al punto zero uno, non abbiamo fatto grandissimi passi avanti, perché lì si entra nel tema politico puro, in cui nessun tecnico ti può sostituire (certo ci può essere la supplenza della Corte Costituzionale) ed è competenza esclusiva dello Stato. Attenzione, perché quando parliamo di intese tra Stato e regioni per attuare il 116 e tutto il resto, se lo Stato omette di affrontare il tema, preclude qualsiasi tipo di passo avanti, quindi non è un comportamento istituzionalmente corretto. Anche su questo bisogna cominciare a lavorare seriamente.
  Questa condizione deve essere pregiudiziale alla stipula degli accordi? A mio avviso non necessariamente, nel senso che, come ho detto nella relazione, l'impostazione che viene portata avanti dal ministero competente con le regioni è quella di partire dai poteri e dalle funzioni che vengono richiesti, calcolare la spesa storica che queste regioni hanno attuato e fiscalizzarla.
  Questo impianto (per rispondere agli effetti sulla finanza pubblica) non presuppone nessun tipo di impatto sulla finanza pubblica a priori, anzi teoricamente, mettendo di fronte alle responsabilità gli amministratori regionali rispetto al plus che vorrebbero offrire ai propri cittadini o che hanno fatto intendere che potranno offrire ai cittadini, li costringerà ad essere più responsabili rispetto alla tassazione che loro faranno a casa propria, quindi teoricamente potrebbero esserci addirittura più effetti positivi che effetti negativi.
  Per quanto riguarda l'aspetto dell'impatto sulle altre regioni o del creare differenziazioni su altre regioni, in astratto non c'è, nel senso che c'è già oggi, ma non è il 116 inverato che potrebbe generarlo. Oggi, purtroppo, se ci sono scuole che funzionano Pag. 23 meglio o peggio, ospedali che funzionano meglio o peggio, non è colpa del 116, anzi!
  La sanità è uno dei temi che ho richiamato dove per tanti motivi si è andati molto più avanti sulla regionalizzazione, dove le differenze sono più tangibili, dove anche differenze nel rapporto costo/qualità sono più tangibili ed alcune regioni sono oggi oggetto di commissariamento proprio per questo motivo, quindi la sanità di serie A e di serie B non c'entra assolutamente niente con il 116, anzi paradossalmente il problema della sanità di serie A e serie B sta proprio nel difetto da parte dello Stato nel non aver fatto dei livelli essenziali delle prestazioni.
  Il percorso che è stato attuato ha forse rimediato in parte e sta rimediando alle differenze di costo, ma non rimedia alle differenze di qualità dell'offerta dei servizi, che è un altro tipo di problema, nel senso che le regioni faticosamente vengono rimesse in carreggiata per quanto riguarda la spesa, però la differenziazione rispetto alla qualità dell'offerta sanitaria permane molto differenziata tra le diverse regioni.
  Il senatore Presutto mi pone il tema di come il meccanismo del Fondo di solidarietà comunale abbia funzionato. Come Parlamento abbiamo cercato più volte di porre rimedio con il parere che però era soltanto consultivo, perché questa Commissione, come voi sapete, ha un parere soltanto consultivo al Governo, cercando in mezzo alla marea di dati e a quei volumi che arrivavano di mettere i puntini sulle i rispetto a determinate situazioni che noi ritenevamo quantomeno anomale, che dovevano essere spiegate meglio.
  Uno dei punti principali su cui abbiamo discusso all'infinito è questa vicenda degli asili nido, che più plasticamente veniva in evidenza rispetto ad altre questioni. Come dicevo prima, siccome non è stata risolta nonostante le nostre osservazioni in Commissione in sede di nota metodologica, ci penserà il giudice a porre rimedio.
  Tra l'altro, faccio anche presente che il sistema complicatissimo che è stato posto alla base della perequazione comunale fa sì che ci siano addirittura alcuni comuni, che abbiamo audito nella scorsa legislatura, in particolare i comuni turistici, che contestano il fatto che non soltanto non hanno alcuna forma di ritorno dell'IMU che pagano, ma addirittura gli viene portata via dallo Stato, cioè lo Stato incamera e mette a bilancio le risorse proprie dei comuni, quindi questa mi sembra oggettivamente un'altra stortura.
  Su questi temi assicuro che il Governo (ma chiedo anche la collaborazione della Commissione) quando si predisporranno le future note metodologiche approfondirà questi temi, perché immagino che il precedente Governo non avesse un intento punitivo nei confronti dei comuni che non hanno offerto in passato il servizio di asilo nido, c'era un meccanismo particolarmente contorto che come questo veniva perequato per altre vie, però anche in quel caso la politica non ha fatto tutto il lavoro che doveva fare, e auspico che in questo caso invece possa avvenire.
  L'approccio realista, onorevole De Menech, deve sempre contraddistinguere le decisioni, quindi, partendo dalle esperienze di realtà, credo che il contributo di tutti coloro che in questo Parlamento hanno fatto esperienze amministrative a vario titolo sia assolutamente utile, anzi oltremodo utile rispetto a una volontà politica chiaramente di riforma, ma che deve contemperarsi con la sua implementazione.
  Il riferimento al bollo auto è interessante, allora qui dobbiamo far partire il trasporto pubblico locale trasporto, chiedendoci dove e come venga garantito, come vengano ripartiti i fondi rispetto al trasporto pubblico locale, perché uno debba pagare il bollo auto di più o di meno rispetto al fatto che abbia dei servizi o sia costretto all'utilizzo dell'auto privata, tutti temi che richiedono una riflessione a monte, a priori, sulla costruzione dei livelli essenziali delle prestazioni.
  Nel mio piccolo comune ad esempio di domenica non ci sono i mezzi pubblici per raggiungere il capoluogo, in molti comuni anche il lunedì, quindi secondo me deve essere chiaro che i criteri devono essere trasparenti e non devono essere molti. Se sono troppi come oggi, rischia di essere un Pag. 24diluvio di parametri, dove si perde la significatività, e allora è sempre la politica che deve decidere quali sono le cose importanti su cui stressare o mettere il punto.
  Non voglio evitare il tema delle province, a costo di dire qualcosa di spiacevole per qualcuno. Qui non si tratta di riportare una categoria della politica nelle province piuttosto che di tornare a vecchi sistemi, però credo che la situazione oggi sia assolutamente insostenibile sotto il profilo istituzionale; un presidente che non può essere revocato e spesso è sfasato rispetto alla medesima assemblea rappresenta oggettivamente una situazione a cui va data una registrata sotto il profilo istituzionale.
  Per quanto riguarda le competenze, tutto era nato dal presupposto che dopo il referendum le province non esistessero più, invece adesso ci sono e fanno delle cose importanti, fanno dei servizi importanti, basti vedere le strade provinciali e pensare alle scuole secondarie, che molto spesso sono in situazioni di precarietà riguardo alla manutenzione e alla sicurezza. Non possiamo far finta di niente.
  Io ho combattuto e rivendico anche il fatto di aver ideato la formula contabile (spero di non essere chiamato in giudizio erariale fra qualche tempo, quindi rivendico tutte le prerogative parlamentari, però se l'ho fatto, l'ho fatto a fin di bene), nel senso che chiunque di voi vada a leggere la cosa e sa come questi 250 milioni a fin di bene vengono utilizzati si renderà conto che è un cerotto, non possiamo andare avanti a curare una ferita di questo tipo con un cerotto!
  Al di là delle grandi questioni di carattere politico, province sì, province no, elezioni sì, elezioni no, fin quando le province ci sono (suggerirei di valutare con prudenza l'eliminazione con la ripartizione a comuni o a regioni) dobbiamo dar loro nella legge di bilancio dell'anno prossimo le risorse in forma contabilmente corretta che sono necessarie per esercitare queste funzioni essenziali, credo che non ci siano dubbi, che non ci siano delle buche o delle frane, perché il sistema è tale per cui queste responsabilità che vengono rimesse agli amministratori provinciali, che, come noto, lo fanno gratuitamente, sono tali per cui veramente c'è un sistema di sbilanciamento tra responsabilità assunte e la disponibilità e le leve per poter dare risposte. Non è una cosa che stia in piedi.
  Su questo penso che il Governo insieme ovviamente al Parlamento debba fare una riflessione. C'è una questione di risorse, che paradossalmente è più semplice da risolvere perché basta trovarle, e un problema di dargli un minimo di assetto ordinamentale corretto.
  In merito al percorso dell'autonomia che sollecita Cattaneo, da un lato abbiamo un responso popolare indubitabile che non si può ignorare, dall'altro lato non sono un teorico degli approcci top-down, in cui un genio con la bacchetta fa calare dall'alto la soluzione. Il collegamento secondo me assolutamente proficuo con il mondo delle autonomie e dell'esperienza con un approccio bottom-up è fondamentale.
  Quando si fanno le note metodologiche (qui torno al senatore Presutto) ci sono anche quelli dell'ANCI; se al Parlamento arriva una nota metodologica prodotta dal Governo con il parere favorevole dell'ANCI si possono fare tutte le osservazioni, però diventa difficile andare contro quello che è addirittura il parere dell'Associazione dei comuni.
  L'ANCI è un apparato importante di studio e di approfondimento, quindi secondo me bisogna riattivare questo circuito di scambio di informazioni e di coinvolgimento, che in questo momento mi sembra un po’ atrofizzato, probabilmente anche per colpa del Governo, quindi il clima di leale collaborazione che evocava il senatore Collina, perché questi processi non possono essere fatti per strappi politici, però non si può neanche ignorare la volontà del popolo.
  Non credo che si possa tranquillamente dire ai veneti (mi rivolgo ai veneti perché conosco la situazione) che non si fa, perché diventa imbarazzante per tutti, per il Governo e per il Parlamento. Questa circolazione di confronto, di dialettica e anche di scontro deve avvenire a livello non soltanto di titoli di giornali, ma in tutte le sedi deputate a farlo, perché soltanto da questo Pag. 25vengono fuori i risultati, altrimenti rimaniamo sempre nella discussione teorica, senza scendere mai nel particolare.
  Penso che quando si va nel concreto (è l'esperienza di questa Commissione nella precedente legislatura) i problemi si possano risolvere, e si risolvono non dico all'unanimità, ma con grande condivisione. È avvenuto quando venne fatta legge 42 e secondo me può avvenire anche adesso, perché ribadisco che quelli che parlano con cognizione di causa delle situazioni e dei problemi perché li hanno vissuti molto spesso sono anche quelli molto più prossimi alle soluzioni.
  Finisco qui ribadendo che in tutti questi anni abbiamo lasciato il ruolo di supplenza a tecnici o alla Corte costituzionale e spesso ai giudici; tocca ora alla politica riappropriarsi del ruolo proprio, che è quello di gestire questi processi. Grazie.

  PRESIDENTE. Nel ringraziare il Sottosegretario Giorgetti, dispongo che la documentazione prodotta sia allegata al resoconto stenografico della seduta odierna e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 10.30.

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