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Resoconti stenografici delle audizioni

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XVIII Legislatura

Commissioni Riunite (I e V)

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Giovedì 17 ottobre 2019

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Borghi Claudio , Presidente ... 3 

Audizione del Ministro per gli affari regionali e le autonomie, Francesco Boccia, sulle linee programmatiche nelle materie di sua competenza (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento) :
Borghi Claudio , Presidente ... 3 
Boccia Francesco (PD) , Ministro per gli affari regionali e le autonomie ... 3 
Borghi Claudio , Presidente ... 8 
Borghi Enrico (PD)  ... 9 
Frassini Rebecca (LEGA)  ... 10 
Prestigiacomo Stefania (FI)  ... 10 
Tomasi Maura (LEGA)  ... 12 
Lucaselli Ylenja (FDI)  ... 12 
Stefani Alberto (LEGA)  ... 13 
Fassina Stefano (LeU)  ... 14 
Tabacci Bruno (Misto-+E-CD)  ... 15 
Borghi Claudio , Presidente ... 16 
Melilli Fabio (PD)  ... 16 
Borghi Claudio , Presidente ... 18 
Boccia Francesco (PD) , Ministro per gli affari regionali e le autonomie ... 18 
Borghi Claudio , Presidente ... 18 
Boccia Francesco (PD) , Ministro per gli affari regionali e le autonomie ... 18 
Borghi Claudio , Presidente ... 18 
Pella Roberto (FI)  ... 18 
Magi Riccardo (Misto-+E-CD)  ... 19 
Cattoi Vanessa (LEGA)  ... 19 
D'Attis Mauro (FI)  ... 19 
Gava Vannia (LEGA)  ... 20 
Cestari Emanuele (LEGA)  ... 20 
Borghi Claudio , Presidente ... 20 
Boccia Francesco (PD) , Ministro per gli affari regionali e le autonomie ... 20 
Borghi Claudio , Presidente ... 22 
Boccia Francesco (PD) , Ministro per gli affari regionali e le autonomie ... 22 
Borghi Claudio , Presidente ... 22

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Partito Democratico: PD;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Cambiamo!-10 Volte Meglio: Misto-C10VM;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI;
Misto-+Europa-Centro Democratico: Misto-+E-CD;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
DELLA V COMMISSIONE CLAUDIO BORGHI

  La seduta comincia alle 9.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva in differita sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Ministro per gli affari regionali e le autonomie, Francesco Boccia, sulle linee programmatiche nelle materie di sua competenza.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno della seduta odierna reca l'audizione del Ministro per gli affari regionali e le autonomie Francesco Boccia sulle linee programmatiche nelle materie di sua competenza. Al fine di assicurare un ordinato svolgimento dei lavori delle Commissioni, invito i colleghi che volessero intervenire a segnalarlo agli uffici nel corso della relazione del Ministro. Cedo ora la parola al Ministro Boccia.

  FRANCESCO BOCCIA, Ministro per gli affari regionali e le autonomie. Grazie, Presidente. È un piacere per me essere qui per poter informare sulle linee programmatiche nelle materie di mia competenza le Commissioni riunite Bilancio ed Affari costituzionali. Mi soffermerò molto sul percorso che il Governo ha avviato, connesso all'attuazione dell'autonomia differenziata, ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, però permettetemi una brevissima introduzione sulle attività che abbiamo indicato già nella Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza – DEF e che costituiscono un impegno che il Governo ha assunto davanti alle Camere. Alcune delle cose che vi dirò erano già comprese nella relazione che il Presidente del Consiglio ha svolto in occasione del dibattito per il voto di fiducia in Parlamento. Noi abbiamo inserito volutamente due passaggi importanti nella Nota di aggiornamento al DEF che penso possano, senza alcun problema, sintetizzare l'impegno che abbiamo assunto come Governo. In primo luogo, abbiamo parlato, non casualmente, di conciliazione tra Stato e regioni, intendendo l'impegno assoluto nella diminuzione delle controversie tra Stato e regioni. Io ho ereditato un ingiustificabile – a mio avviso – numero di controversie: in questo momento le leggi regionali impugnate ogni anno oscillano tra le 100 e le 120, quasi una decina di leggi regionali impugnate al mese. Ciò oggettivamente rappresenta il sintomo di una patologia del rapporto tra Stato e regioni. Come mi sono impegnato a fare con il Governo e con il Presidente del Consiglio, nei prossimi giorni, con l'aiuto dei vertici del Dipartimento, proverò a fare luce sugli esiti di queste controversie, prima di tutto perché ogni legge impugnata impone uno stop and go del quadro normativo; infatti, ogni volta che il Governo interviene, quell'intervento impatta sulle comunità, sulle imprese, sui cittadini. Evidentemente le regioni devono, a loro volta, intervenire su quelle norme e successivamente si apre la fase della controversia che non dura meno di un anno.
  A mio avviso, la Consulta, purtroppo, è stata trasformata in maniera impropria in Pag. 4un TAR. Sulla Consulta vengono scaricate oltre cento impugnazioni di leggi regionali l'anno, che si sommano a quelle dell'anno precedente. Se si considera che mediamente passa un periodo che va dai dodici ai venti mesi prima della pronuncia, si capisce come il rapporto tra Stato, regioni e Corte costituzionale sia diventato tutt'altra cosa rispetto a quello che probabilmente il legislatore costituente aveva immaginato diciotto anni fa. Però questa è la situazione attuale e io vorrei, con l'aiuto e il contributo del Parlamento, che questa vera e propria patologia fosse affrontata alla luce del sole. Io penso che per affrontarla al meglio sarà necessario considerare anche gli esiti delle controversie passate; infatti, probabilmente si scoprirà che quando si avvicinano i momenti elettorali alcune regioni sono un po' più propense rispetto ad altre ad approvare norme bandiera che finiscono per essere sistematicamente impugnate davanti alla Corte costituzionale e gli esiti, poi, sono sotto gli occhi di tutti.
  Io non voglio dare giudizi e non farò i nomi delle singole regioni, però, appena sarò pronto, comunicherò al Parlamento queste situazioni, perché sarà opportuno valutare cosa è successo negli ultimi anni e capire, anche prendendo in considerazione gli esiti delle controversie, quali sono i correttivi che il Parlamento può suggerire al Governo. Penso, infatti, che arriverà un momento in cui qualcuno dovrà rispondere degli stop and go a cui sottoponiamo le comunità, i cittadini e le imprese, che poi diventano i destinatari degli interventi normativi.
  Quindi, la conciliazione tra Stato e regioni ha questo obiettivo. Forniremo al Parlamento i dati di cui vi ho parlato appena saranno ufficiali e definitivi. Ovviamente si sta lavorando per rafforzare la fase di mediazione preventiva rispetto alla decisione che il Governo poi assume nei sessanta giorni successivi al varo di una legge regionale rispetto alla possibilità di impugnarla o meno. Per questo motivo ho già ringraziato gli uffici per l'impegno e per il nuovo raccordo con le regioni che stanno costruendo. Ovviamente più questo raccordo sarà forte, meno leggi regionali il Governo impugnerà. Però, attualmente il Governo continua ad impugnare le leggi regionali e, come dico a tutti i presidenti di regione, ogni legge regionale che il Governo impugna è una sconfitta per tutti, indipendentemente dall'esito.
  Devo dire che lo stesso discorso vale anche nel senso opposto. Capita più raramente che vengano impugnate le leggi statali, però succede e quindi questo lavoro che faremo rispetto alle regioni lo faremo anche sul Governo, in quanto istituzione centrale, per consentire al Parlamento di avere un quadro generale e potersi esprimere.
  Fino a qui ho illustrato la prima parte della mia relazione sulle linee programmatiche nelle materie di mia competenza. Non mi soffermo molto su questo punto, perché il quadro è questo: d'accordo con le regioni, speriamo di riuscire a potenziare la fase politica delle funzioni connesse alle Conferenze che il Dipartimento degli affari regionali e le autonomie guida, in particolar modo la Conferenza Stato-Regioni e la Conferenza unificata. Il Dipartimento degli affari regionali e le autonomie ha anche la copresidenza della Conferenza Stato-Città con il Ministero dell'interno. Vorremmo che le Conferenze tornassero ad essere un luogo di confronto politico e non solo meri luoghi che esprimono pareri; infatti, a volte il rischio è che, dall'esterno, tali Conferenze vengano percepite più come «parerifici» e meno come luoghi di confronto. Proprio perché penso che mai come in questo momento serva un confronto permanente tra il Governo nelle sue varie articolazioni e le regioni, ho utilizzato volutamente il dibattito sull'autonomia differenziata per far sì che almeno la Conferenza Stato-Regioni recuperasse questa sua centralità. Mi auguro che, anche su sollecitazione del Parlamento, possano approdare in Parlamento, attraverso la Conferenza unificata Stato-Città, temi che possano condizionare anche l'attività politica delle Conferenze. Penso, ad esempio, alla necessità di riformare il Testo unico degli enti locali e le norme che in qualche modo possono incidere sul rapporto tra enti locali e Stato centrale: ne ho discusso più Pag. 5volte in altra veste nella Commissione Bilancio.
  Vengo, quindi, al tema principale e – penso – quello più atteso, che è l'attuazione dell'autonomia differenziata. È inutile nasconderlo: come Governo siamo partiti il 5 settembre, ma fin dal primo giorno questa legislatura si è concentrata sull'autonomia differenziata e quindi sento il dovere di informare le Commissioni Bilancio e Affari costituzionali della situazione che abbiamo trovato e di cosa abbiamo deciso di fare sulla base della situazione che abbiamo trovato. Innanzitutto, abbiamo trovato proposte assolutamente legittime e unilaterali, nel senso che avevano un grado di mediazione parziale con le amministrazioni centrali. Abbiamo trovato tre proposte di Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, ossia le regioni che avevano firmato le pre-intese inizialmente con il Governo Gentiloni e poi avevano proseguito l'iter con il primo Governo Conte nei quindici mesi che abbiamo alle spalle.
  Io mi sono ripromesso – e così ho fatto – di andare in casa di tutti i presidenti di tutte le regioni italiane, in primo luogo perché ogni regione ha un dossier aperto con il Governo e, quindi, con ogni regione occorre valutare gli aspetti che regolano i rapporti bilaterali tra Governo e singola regione, e poi per spiegare e raccontare la nostra idea di attuazione dell'autonomia differenziata ai sensi dell'articolo 116 della Costituzione. Fino ad oggi ho avuto contatti con la metà delle regioni italiane e nel prossimo mese penso di raggiungere tutte le regioni. Ovviamente ho iniziato dalle regioni che erano nella fase più avanzata rispetto al procedimento previsto dall'articolo 116 della Costituzione. Quindi, con i tecnici del Dipartimento, ho personalmente approfondito il grado di mediazione che era stato raggiunto nei quindici mesi precedenti. Sottolineo che questo dibattito è spesso condizionato anche dal confronto politico esterno alle aule parlamentari e al rapporto istituzionale tra Stato e regioni. Per questa ragione, con la collaborazione degli uffici, ho deciso di mettere agli atti le mediazioni che il nostro Governo ha ereditato dal Governo precedente, altrimenti il rischio è che si discutesse genericamente di proposte che sono legittime, ma unilaterali da parte delle regioni, nel senso che le proposte delle regioni restano proposte delle sole regioni. Abbiamo riunito in un tavolo tutti i Ministeri e a questi ho chiesto di fornirci la loro opinione sul livello di mediazione. Abbiamo messo agli atti l'ultimo tentativo di mediazione, che poi aveva coinciso – se ricorderete – con il tentativo finale di mediazione portato avanti dal Presidente Conte a maggio di quest'anno. Ho trasmesso ai tre presidenti delle regioni interessate, Fontana, Bonaccini e Zaia, le ultime valutazioni effettuate da tutte le amministrazioni centrali, da tutti i Ministeri sul trasferimento di funzioni richiesto dalle singole regioni (23 funzioni da Veneto e Lombardia e 15 funzioni dall'Emilia-Romagna). Ho protocollato tutte queste valutazioni e le ho trasmesse agli atti, non perché io volessi mettere in evidenza i tanti rilievi – anche se sono stati davvero tanti i rilievi posti dalle amministrazioni centrali –, ma perché volevo sgombrare il campo da un tema che secondo me è centrale: le proposte unilaterali delle regioni non erano state accolte; in alcuni casi si tratta di temi che sono oggetto di una rilevante discussione politica – penso alla proposta sulla scuola della regione Lombardia, che era stata completamente smontata dal Ministero competente, che all'epoca era guidato da un esponente dello stesso partito cui appartiene il presidente della regione Lombardia.
  Dico questo non per fare polemica, ma semplicemente per ribadire che alcuni dei rilievi del Ministero evidenziavano che tali proposte portavano alcune materie fuori dai binari della Costituzione stessa o comunque della coerenza delle norme. Penso che i miei predecessori avessero un valore assolutamente eccellente, probabilmente superiore al mio, e che volessero raggiungere una mediazione e che se quella mediazione non è stata conclusa con l'impostazione proposta dalle regioni, evidentemente il motivo è che le proposte avanzate uscivano dai binari che gli stessi Ministeri potevano considerare sostenibili. Pag. 6
  Per questa ragione, con l'obiettivo di evitare di fare polemiche – ora mi soffermo sul metodo, poi entrerò nel merito –, la prima proposta che avanza il nostro Governo è quella di ripartire almeno dai temi su cui vi era un accordo, ovviamente prevedendo un nuovo passaggio che coinvolga i nuovi Ministri. Questa soluzione ci consente di non perdere tempo e, anzi, di accelerare; infatti, se fin dal primo giorno è stato avanzato uno specifico rilievo in Parlamento, in maniera – penso – anche legittima, da tutte le forze politiche, non occorre necessariamente ripartire da zero e perdere tempo, si può ripartire da un momento successivo, ma quel momento non corrisponde alla proposta unilaterale delle regioni, bensì alle mediazioni che hanno portato alla convergenza tra le regioni e lo Stato. Se si pensa di ripartire dalle proposte unilaterali delle regioni il procedimento diventa complicato, perché si presuppone che il parere delle amministrazioni centrali sia inutile. Io penso, invece, che il parere delle amministrazioni centrali sia necessario. Pertanto, la proposta che avanziamo è di ripartire dai punti su cui già c'è la convergenza tra Stato e regioni. Vi annuncio che dalla prossima settimana ripartiranno i confronti tra le delegazioni delle regioni e i tecnici del Dipartimento, che sono già nella fase avanzata.
  Oggi stesso prenderò contatti con i presidenti Zaia, Fontana, Bonaccini e anche Rossi. Inserisco nell'elenco anche il presidente Rossi – ed intendo informare il Parlamento su questo punto – perché la regione Toscana aveva licenziato già da un anno in Consiglio regionale un progetto di attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione ed era in attesa, da quasi un anno, della convocazione al tavolo da parte del Governo. Non so dirvi perché la regione Toscana non sia stata convocata, ma ha tutte le carte in regola per sedersi al tavolo, perché ha provveduto a porre in atto tutti i passaggi necessari.
  Diversa è la posizione della regione Piemonte e in merito ho incontrato il presidente Cirio a Torino. Sotto la presidenza di Chiamparino, la regione Piemonte aveva approvato in Consiglio regionale un progetto di autonomia differenziata, quando, poi, si è insediato il presidente Cirio la proposta della giunta precedente è stata modificata, immettendo nuove funzioni. Questa proposta è stata approvata in giunta e mi è stata trasmessa formalmente. Ma, come da prassi, se le proposte non vengono varate dai consigli regionali, non si può aprire l'iter per il negoziato.
  Questo, quindi, è il quadro al momento: ci sono quattro regioni (Emilia-Romagna, Veneto, Lombardia e Toscana) che hanno varato le loro proposte nei rispettivi consigli regionali. Le prime tre regioni sono in una fase più avanzata perché hanno già firmato l'inizio del negoziato, mentre la Toscana dalla prossima settimana inizierà questo stesso iter. Per quanto riguarda il Piemonte attendiamo il via libera del Consiglio regionale.
  Inoltre, io sto chiedendo a tutte le altre regioni a statuto ordinario di avviare l'iter. A tale proposito entro nel merito della proposta che stiamo elaborando. In occasione della prima Conferenza Stato-regioni subito dopo il mio insediamento ho annunciato che avremmo capovolto l'impostazione originaria che aveva caratterizzato i quindici mesi precedenti. L'idea che ci siamo fatti è che l'impostazione che portava avanti il Governo precedente, volta a firmare le intese e ad attribuire alle regioni tutte le funzioni richieste, portando via, con le funzioni, anche le risorse in base al principio della spesa storica, per cui dopo un anno ci saranno i fabbisogni standard e dopo tre anni i livelli essenziali delle prestazioni, fosse sbagliata. Io penso che questo modello sia sbagliato. Non intendo ripercorrerlo e penso che abbia dei limiti di merito fin troppo evidenti. Penso anche che questa impostazione sia stata la causa principale del fallimento della mediazione portata avanti dal precedente Governo. Qual è la proposta che abbiamo avanzato e sulla quale stiamo lavorando? Anche alle regioni che ritenevano, le prime tre regioni, di essere in una fase avanzata di negoziato, però ribadisco: era una fase avanzata, ma con i rilievi di cui sopra che sono gli atti. La proposta che noi formuliamo è quella di Pag. 7presentare in Parlamento, nel più breve tempo possibile, un disegno di legge cornice ovvero di legge quadro che, partendo dall'attuazione dell'articolo 116 della Costituzione, richiami il rispetto di tutti gli altri pertinenti articoli della Carta medesima a partire dall'articolo 119, che – come sapete – garantisce al momento la perequazione sulla base del combinato disposto tra la legge n. 42 del 2009, recante delega al Governo in materia di federalismo fiscale, e il decreto legislativo n. 68 del 2011, attuativo della delega medesima. Questo è l'attuale modello di perequazione che consente la sostenibilità di bilancio delle regioni a statuto ordinario e, se questo modello deve essere modificato, qualcuno ci deve proporre un modello alternativo. Nella proposta originaria della regione Veneto questo riferimento non c'era ma, se viene tolto un riferimento così, o se ne mette un altro – che potrà quindi costituire oggetto di apposita valutazione – oppure quella proposta è destinata di per sé a crollare. Devo dire – e di questo ho già dato atto al presidente Zaia – che, dopo il primo incontro e dopo il mio confronto con la delegazione trattante, presieduta dal professor Bertolissi, alla presenza dello stesso presidente Zaia, la regione Veneto ha integrato la vecchia impostazione – potrei dire «ha modificato», ma preferisco dire «ha integrato» – facendo esplicito riferimento alla norma vigente sul federalismo fiscale e al decreto legislativo n. 68 del 2011. Questo per me rappresenta un buon punto di partenza perché significa che di là si riparte, significa cioè che si assume che il modello di perequazione delle regioni a statuto ordinario è quello esistente e che, se dovrà essere modificato, ciò bisognerà deciderlo insieme e bisognerà altresì avere le idee chiare su come funzionerà il modello di nuova introduzione. Al momento, però, ripartiamo di là, e tengo a ribadire questo punto proprio perché nel disegno di legge quadro noi ripartiamo di là, ossia da questo modello di perequazione, che è quello esistente.
  Dentro il disegno legge quadro ovviamente si farà riferimento agli articoli 117 e 118 della Costituzione. Qual è quindi ora l'innovazione rispetto al passato? Essa consiste nel fatto che noi vorremmo che tutte le intese istituzionali si innestassero dentro questa norma cornice che ha una caratteristica peculiare, vale a dire quella di raccordare tutti i fondi pluriennali di investimento presenti nel bilancio dello Stato, da quelli del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti a quelli del Ministero dello sviluppo economico, passando per quelli del Ministero dell'economia e delle finanze e per quelli della Presidenza del Consiglio, vincolando prioritariamente una quota delle risorse, che stabiliremo di comune accordo con le regioni, in favore di tutte le aree in ritardo di sviluppo, non solo su scala regionale ma, all'interno di ogni singola regione, anche su scala provinciale. Questo è infatti l'unico modo per far sì che venga realmente assicurato il rispetto dell'articolo 3 della Costituzione, che impone alla Repubblica di rimuovere ogni ostacolo di ordine economico e sociale. Ciò inoltre consentirebbe allo Stato di garantire automaticamente che tutte le aree in ritardo di sviluppo debbano raggiungere la media di sviluppo che decideremo insieme sulla base di parametri oggettivi, giacché essa non sarebbe stabilita dal Governo di turno bensì coinciderebbe, di fatto, con la media di sviluppo del nostro Paese, che poi a cascata ci consentirebbe di valutare la condizione in cui versano le singole regioni e, all'interno di ciascuna regione, le singole aree.
  Durante i miei incontri istituzionali ho riportato alcuni esempi concreti, così in Veneto ho messo in evidenza che Belluno e Rovigo presentano un evidente ritardo di sviluppo rispetto a Padova e Venezia e in tale contesto vorrei che fosse automatico l'intervento prioritario nelle province che presentano un ritardo di sviluppo. Quando sono andato a Torino, ho ribadito lo stesso concetto anche al presidente della regione Piemonte, Alberto Cirio – e vedo oggi presente il collega Enrico Borghi – invitandolo a considerare che alcune aree – penso alle province del Verbano-Cusio-Ossola, di Alessandria, di Novara e di Vercelli – hanno un ritardo di sviluppo evidente rispetto alla città metropolitana di Torino. Allo stesso modo, nella mia Puglia la provincia di Pag. 8Foggia presenta un ritardo fin troppo evidente rispetto alla città metropolitana di Bari.
  Ma questi ritardi interni o li garantisce lo Stato o non saranno le regioni ad avere gli strumenti e la forza per intervenire, ed intendo riferirmi, ad esempio, ai servizi alla persona o, ancor più, al ritardo infrastrutturale, che rappresenta forse l'aspetto centrale. Oggi infatti il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ma anche il Ministero dello sviluppo economico, attivano i fondi pluriennali sulla base di richieste fisiologiche che provengono dal Parlamento o dalle dinamiche socioeconomiche, che quasi sempre sono però condizionate da oggettivi interessi economici che coincidono maggiormente con le aree più sviluppate e, in misura assai inferiore, con le aree meno sviluppate, tutto ciò peraltro senza prendere in considerazione i fondi gestiti dal Dipartimento per la coesione e quindi dal Ministro Provenzano, che dovranno essere fondi aggiuntivi e non sostitutivi, dal momento che mi sto riferendo ai soli fondi pluriennali aventi, per così dire, carattere ordinario.
  Questa cornice dal nostro punto di vista ci fa essere più tranquilli e ci fa innestare le intese dentro un quadro che non lascia indietro nessuno, non solo tra Nord e Sud ma anche – come in precedenza detto – tra Nord e Nord e tra Sud e Sud, proprio perché questo schema ci tranquillizza tutti. Io ho inserito il ragionamento che vi sto esponendo in questa sede già nella Nota di aggiornamento del DEF 2019 e quindi in un apposito disegno di legge. Non vi nascondo che mi piacerebbe provare a bruciare le tappe e affermo ciò perché mi sono sentito dire, dopo questi primi trenta giorni: «Ah, tu vuoi perdere tempo con la legge cornice»; no, io voglio garantire che il sistema funzioni e soprattutto che le intese facciano riferimento ad alcune regole semplici, ma che dobbiamo stabilire insieme. Da questo punto di vista, quindi, prima il Parlamento darà il via libera alla legge quadro e prima, a mio avviso, sarà possibile avviare la seconda, e spero ultima, fase, vale a dire quella dei negoziati sulle intese.
  Mi auguro di poter accelerare, nel senso che noi siamo a buon punto e, in realtà, l'intelaiatura, il framework della norma già esiste. Quindi ora inizieremo a confrontarci con le regioni e poi mi piacerebbe, in un tempo che non vada oltre quest'autunno, provare a confrontarmi qui con voi in Parlamento. Se questo percorso dovesse insomma concludersi presto, penso che avrebbe senso varare presto anche le intese istituzionali, sebbene ciò dipenderà dai negoziati tra il Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie e le amministrazione centrali. In altri termini, a quel punto avrebbe molto senso dare il via libera alle intese pronte ed io penso che in questo momento la regione Emilia-Romagna, la regione Veneto e la regione Lombardia – devo dire al netto della posizione sulla scuola, che è una posizione, lo ribadisco, che non è stata smontata da me, ma dai miei predecessori – sono in una fase più avanzata. Ritengo pertanto che, se le regioni accettassero di innestare quelle intese dentro questa legge quadro, a mio avviso il Parlamento potrebbe già all'inizio del nuovo anno iniziare a lavorare sulle intese. Un concetto deve, però, essere chiaro: qualsiasi cosa faccia riferimento all'attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, deve essere affrontata e decisa in Parlamento. Questa è la posizione del Governo: dovrà cioè essere il Parlamento a dire l'ultima parola ovviamente sia sulla legge quadro sia, ed anzi a maggior ragione, su ogni singola intesa. Questo è il contesto sul quale stiamo lavorando e che abbiamo inserito nelle nostre linee programmatiche e questo è il quadro che sottopongo oggi alla vostra attenzione, della quale vi ringrazio.
  Signor presidente, le chiedo scusa, ma colpevolmente non ho parlato delle regioni a statuto speciale. Mi ha ispirato ora la presenza dell'onorevole Prestigiacomo, ma rimango ovviamente a vostra disposizione. Non ho voluto prolungare la mia relazione, ma se vi saranno quesiti in proposito risponderò con molto piacere in sede di replica.

  PRESIDENTE. Poiché vi sono numerose richieste di intervento da parte dei gruppi, Pag. 9vi chiederei di essere il più sintetici possibile nelle domande, altrimenti mi troverò costretto a contingentare i tempi, ma preferirei non doverlo fare.

  ENRICO BORGHI. Signor Ministro, l'Unione europea ha diffuso in queste ore un'interessante statistica sull'indice di competitività delle regioni europee. Sono numeri impietosi per il nostro Paese. La media europea della competitività è di 60,3 punti percentuali. La regione italiana che maggiormente si avvicina a questo livello è la Lombardia con 57 punti, indi abbiamo Emilia-Romagna e Lazio a 53 punti, mentre dopo è tutto un degradare fino ad arrivare a livelli estremamente preoccupanti nel nostro Mezzogiorno, con i 22 punti della Puglia, i 19 della Sicilia, i 18 della Calabria. Se però affianchiamo a questi numeri quelli delle top ten europee – tra cui la regione di Monaco di Baviera con 94 punti percentuali, la regione di Londra con 98, la regione metropolitana di Madrid con 70, la regione metropolitana di Parigi con 91 – ci rendiamo conto che dobbiamo trarre da tutto ciò un duplice consuntivo: il primo è che il sistema istituzionale ha evidentemente un marcato bisogno di ammodernamento, di riforma e di capacità di riportare il nostro Paese alle condizioni e alle posizioni che esso merita; il secondo è che in questi anni qualcosa non ha funzionato, anche sotto il profilo della capacità degli istituti regionali di essere abbinati o agganciati a questo tipo di percorso. Abbiamo quindi bisogno di una laica riflessione, tentando di evitare che la vicenda di cui stiamo discutendo si trasformi nell'ennesimo scontro ideologico o in un'altra guerra di religione nel nostro Paese, che porterebbe inevitabilmente al risultato dal quale ormai da venticinque anni restiamo agganciati, cioè sostanzialmente ad un nulla di fatto.
  A noi pare che l'impostazione che lei ha dato possa essere calzante per tenere un punto che io vorrei in questa sede sottolineare, anche come elemento di riflessione con le altre forze politiche: la riforma del Titolo V della Costituzione, ivi incluso l'articolo 116, terzo comma, di cui stiamo discutendo, venne varata dal centrosinistra nell'ormai lontano 2001, esattamente per cercare di tenere insieme lo sforzo di ammodernamento del Paese e la capacità di rappresentare le peculiarità delle singole aree. Ci si rendeva conto che un'impostazione di carattere centralistico e uniformante non era più in grado di assicurare uno sviluppo complessivo del Paese e si voleva – e si vuole, perché siamo ancora lì – tenere insieme la capacità di uno Stato forte, e come tale leggero, e la capacità di regioni che siano in grado di applicare le loro peculiarità in un quadro di allineamento del pacchetto istituzionale. A noi fa piacere che lei abbia colto un dato, che noi qui vorremmo sottolineare: l'applicazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione – e questa è anche una domanda che le faccio per capire se lei può essere più esplicito – non è un espediente di sindacalismo para-istituzionale, né un'intesa fra corpi istituzionali diversi, ma è una filosofia che tiene insieme tutto il pacchetto che nel 2001 vide la riforma della Costituzione, dall'articolo 114 all'articolo 119. In altre parole, noi non possiamo pensare che si possa applicare l'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, prescindendo da quanto previsto all'articolo 114, che pone in una condizione di equiordinazione tutti i livelli di governo della Repubblica, all'articolo 117, relativo al riparto delle competenze legislative, e all'articolo 119, concernente l'autonomia tributaria e l'obbligo di perequazione.
  Penso che la base su cui costruire quella legge quadro o legge cornice, cui lei ha fatto riferimento, sia esattamente questa: noi dobbiamo affrontare il tema di come applicare questi articoli della Costituzione nella cornice dell'articolo 116, terzo comma, della nostra Carta fondamentale, il che significa – e su questo le rivolgo una specifica domanda conclusiva – immaginare di contemplare nel percorso di concertazione e di intesa non solo i livelli legislativi, ossia lo Stato e le regioni, ma anche i livelli amministrativi, e cioè il sistema delle autonomie, in questo modo affrontando il tema della loro modernizzazione. In altri termini, noi non possiamo immaginare l'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, prescindendo Pag. 10 dalla riforma del sistema delle autonomie locali e dal tema dell'autonomia tributaria degli enti locali. In relazione a questo aspetto, occorre altresì immaginare un meccanismo in virtù del quale applicare il principio costituzionale in base a cui tutte le funzioni amministrative spettano agli enti locali, perché altrimenti noi rischiamo di creare un altro Moloch nel quale al centralismo statale agganciamo i vari centralismi regionali, determinando una situazione a quel punto non più gestibile. La mia domanda è dunque sostanzialmente questa: il Governo ritiene di immaginare, nell'ambito del disegno di legge cornice di futura presentazione, un percorso abbinato agli articoli 114 e 119 della Costituzione e, in tale quadro, inserire il tema della riforma delle autonomie locali, da un lato, e della fiscalità locale, dall'altro?

  REBECCA FRASSINI. Ringrazio anzitutto il signor Ministro per la sua presenza nella odierna audizione. Cercherò di essere sintetica ma ho tre domande molto precise, sulle quali le chiederei la cortesia di avere una risposta altrettanto precisa. La prima domanda è la seguente: lei recentemente avrebbe dichiarato che, prima di poter valutare adeguatamente le richieste di maggiore autonomia formulate dalle regioni Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, sarebbe necessario definire sul piano nazionale i livelli essenziali delle prestazioni (LEP) e dei servizi, così come previsti dalla legge n. 42 del 2009. Tenuto conto del tempo oramai trascorso dall'approvazione della citata legge, che sinora è stata attuata solo limitatamente ad alcuni ambiti e ad aspetti molto circoscritti, penso ad esempio ad alcune prestazioni sanitarie o all'organizzazione e al funzionamento dei centri per l'impiego, le chiedo cortesemente di indicare quanto tempo è ancora necessario attendere per la loro determinazione e applicazione.
  La seconda domanda è invece inerente alle dichiarazioni che lei ha oggi reso circa la necessità – in merito alla richiesta di dar seguito alle istanze di regionalismo differenziato pervenute dalle regioni Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna – di approvare dapprima una legge cornice, come lei stesso ha dianzi evidenziato e come ha rimarcato anche il collega Enrico Borghi, in modo tale da rendere omogenea l'azione dello Stato nel negoziato con le regioni che intendano intraprendere il cammino dell'autonomia. Tuttavia, la norma costituzionale sul regionalismo differenziato non prevede affatto, ai fini della sua attuazione, il ricorso ad una legge ordinaria. Le domando quindi: non nutre qualche dubbio in ordine al fatto che l'utilizzo di un tale strumento legislativo possa essere giudicato affetto dal vizio di illegittimità costituzionale? E in ogni caso, ammesso e non concesso che si riesca a superare il vaglio della Corte costituzionale, quanto tempo ulteriore occorrerà al Parlamento per l'approvazione del nuovo provvedimento?
  Le pongo, infine, un'ultima domanda. Lei, signor Ministro, ha affermato pubblicamente non solo che non si può pretendere che in quindici giorni possa essere concluso il negoziato tra lo Stato e le regioni, in corso oramai da quindici mesi, ma che in questi ultimi quindici mesi sostanzialmente non è stato raggiunto alcun risultato apprezzabile per il Governo e che pertanto, a suo avviso, bisognerebbe ora ripartire da zero. Nel caso della Lombardia, però, le ricordo che il 28 febbraio del 2018 è stato sottoscritto un accordo preliminare con l'allora Premier, Paolo Gentiloni, e che nel febbraio scorso, dopo numerosi ed approfonditi incontri tecnici con i vari ministeri, la regione Lombardia ha perfezionato un testo, consegnato tra l'altro nelle mani del Presidente del Consiglio dei ministri, Giuseppe Conte, che a nostro parere era molto preciso e dettagliato, nonché frutto di un grande lavoro. Le chiedo allora, signor Ministro, se lei ritiene davvero che il negoziato sin qui svolto e i documenti che ne sono scaturiti non debbano essere in alcun modo presi in considerazione. Io sono lombarda e penso di dar voce ai tanti cittadini lombardi che hanno votato al referendum, insieme anche ai veneti, e dunque la nostra impressione è che lei voglia dilazionare ulteriormente i tempi, in ciò destando in noi molta preoccupazione.

  STEFANIA PRESTIGIACOMO. Buongiorno. Io sono siciliana, ma appartengo a Pag. 11un partito che ha l'ambizione di avere una rappresentanza nazionale, quindi affronta problematiche che riguardano l'intero territorio nazionale. Come figura in Costituzione l'articolo 116, terzo comma, così figura in Costituzione l'articolo 119, che prevede la perequazione e che è stato attuato con la legge n. 42 approvata nel 2009, che prevedeva una serie di interventi, che però non sono stati realizzati.
  La questione dell'autonomia, richiesta da alcune regioni del Nord, cui penso faranno seguito anche altre regioni del Mezzogiorno, a noi sta particolarmente a cuore, ma riteniamo che nel precedente Governo forse non ci fosse realmente l'ambizione di arrivare a una conclusione e a un risultato, perché i toni sono stati un vero crescendo nel corso dell'ultimo anno e mezzo e pareva che si fosse sconfinati oltre i limiti della Costituzione stessa. Penso invece che l'approccio del Ministro Boccia, che so essere un convinto autonomista, perché lo conosco, come parlamentare, da parecchio tempo e mi fa piacere rivederlo sui banchi del Governo, sia un approccio giusto, che non tenda a dilazionare – questo comunque lo verificheremo nel corso dei prossimi mesi, perché avremo modo in Commissione bilancio, ma anche in altre, di verificare il suo operato.
  D'altro canto, se nell'approccio precedente era previsto un anno per definire costi standard e tre anni per definire i livelli essenziali dei servizi, io non credo che ci sia la necessità di utilizzare per intero questo periodo di tempo e che probabilmente, con un po' di buona volontà e un po' di collaborazione da parte di tutti gli altri Ministri, si possa pensare di definire questi, che sono i paletti fondamentali, in anticipo rispetto a quei termini che erano previsti nel precedente approccio. Quindi io le auguro buon lavoro e mi fa piacere che lei abbia intenzione di verificare la ripartizione di tutti i tipi di fondi nonché quali risorse arrivano realmente a tutte le regioni – e non solo alle regioni, ma anche alle province. Credo che questa sia finalmente un'operazione di trasparenza di cui abbiamo una grandissima necessità.
  Faccio presente solo un piccolo dato, che può essere utile per una riflessione: i dati ISTAT del gennaio 2018, relativamente ad esempio agli asili nido, un tema di cui si parla moltissimo in queste ore, dimostrano che solo 30 bambini su 100 al Nord trovano accoglienza negli asili nido – quindi una percentuale inferiore a quella fissata dall'Unione europea come obiettivo strategico per un pieno inserimento delle donne nel mondo del lavoro – ma questo dato precipita a 10-14 bambini su 100 nel Sud e nelle Isole. Ecco allora che, anche rispetto alla propaganda di questi giorni sugli asili gratis per tutti – vedremo poi in legge di bilancio ovviamente di che cosa realmente parliamo – è chiaro che, se pensiamo di dare un aiuto economico alle famiglie prevedendo asili gratis e non pensiamo a realizzare più asili, continueremo a mantenere una disparità nel territorio nazionale.
  Allora, dopo avere manifestato una grande apertura rispetto al suo approccio al tema che rappresenta la sua competenza primaria, cioè il tema delle autonomie, l'invito che le rivolgo, signor Ministro, è anche quello di farsi valere in Consiglio dei ministri, perché non abbiamo sentito la parola Sud in tutta la propaganda dei suoi colleghi in televisione in questi giorni relativamente alla prossima legge di bilancio. Nella NADEF avevamo letto un titolo speranzoso, ma dopodiché non c'è nulla, non c'è nulla in termini di accelerazione delle infrastrutture e soprattutto ci preoccupa moltissimo, oltre ai dati che citava il collega Enrico Borghi, la lettera inviata dall'Unione europea in cui si dice che l'Italia fa venire meno il principio dell'addizionalità nell'utilizzo dei fondi strutturali europei e che i fondi europei non possono essere sostitutivi della spesa statale.
  A questo riguardo c'è innanzitutto un problema relativo all'utilizzo dei fondi strutturali – e sappiamo che questa responsabilità ricade prevalentemente in capo alle regioni e alla loro incapacità di progettare e di spendere. Lei però giustamente ha richiamato l'articolo 3 della Costituzione, laddove si dice che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli sociali ed economici che impediscono la piena uguaglianza. Pag. 12 Ritengo quindi che sia giunto il momento di comprendere quale ruolo possa avere lo Stato rispetto a questa incapacità storica delle regioni, inclusa la mia, di spendere i fondi europei, ma è anche vero che lo Stato non può pensare che attraverso i fondi europei possa rinunciare a quello che è un suo dovere e cioè quello di impiegare i propri fondi – perché i cittadini meridionali pagano le tasse esattamente come le pagano i cittadini del Nord – e possa rinunciare a programmare interventi che possano finalmente ridurre questa disparità ormai insopportabile nella qualità della vita, che si è addirittura tradotta – esaminando a fondo tutti i dati ISTAT – in una speranza di vita dei cittadini meridionali più bassa rispetto a quelli del Nord.

  MAURA TOMASI. Grazie, signor Ministro, per essere qui. Io oggi ho sentito che le modalità attraverso le quali l'attuale Governo vorrebbe realizzare il federalismo fiscale e l'autonomia sono l'approvazione di una legge quadro, con la possibilità quindi che anche tutte le altre regioni a statuto ordinario, che non siano la Lombardia, il Veneto e l'Emilia-Romagna – che per prime hanno chiesto appunto l'autonomia – possano naturalmente inserirsi in questo percorso. Tuttavia l'approvazione di una legge quadro, come la chiama lei, non solo non è prevista dall'articolo 116 della Costituzione, ma sicuramente andrà a rallentare la realizzazione dell'autonomia, quindi mi chiedo se le sue dichiarazioni fatte in occasione dell'incontro a Bologna tra lei e il presidente Bonaccini – avvenuto il 23 settembre 2019 – in base alle quali, facendo riferimento al processo di autonomia differenziata emiliano-romagnola, lei sosteneva che era sicuro di realizzarla entro questa legislatura, possano oggi essere confermate, e quindi se possa confermarci che la nostra autonomia, la nostra richiesta, io parlo ovviamente per la regione Emilia-Romagna, possa ricevere soddisfazione entro questa legislatura, vale a dire entro il 2023 o addirittura prima, se la legislatura dovesse terminare anticipatamente.

  YLENJA LUCASELLI. Ministro, le do innanzitutto il benvenuto in questa Commissione, dove avrà capito – questo lo sapeva già – che ci sono anime politiche che hanno idee anche un po' differenti e che non è indubbiamente fra le Commissioni più facili che ci siano, ma questo lo sa già per esperienza.
  Vengo alle domande. Cerco di ricollegarmi un po' ad alcuni ragionamenti precedenti, precisando che la posizione di Fratelli d'Italia è indubbiamente a favore della riapertura del cantiere delle autonomie. Vorremmo però che non venisse forzato in maniera esagerata l'articolo 116 della Costituzione e il suo utilizzo.
  Parto da una prima domanda: la spesa pro-capite. Quando si analizzano i dati, uno degli elementi che è stato discusso molto a lungo nel dibattito pubblico è quello del basso livello della spesa pubblica nelle regioni del Nord e questo dato viene tratto dalla Ragioneria generale dello Stato, che ci fornisce questi dati. Però questi elementi individuati dalla Ragioneria sono in realtà controversi, perché prendono a riferimento i dati sulla spesa storica regionalizzata. Ma se andiamo a vedere, a verificare e ad allargare il nostro spettro di valutazione, i dati cambiano completamente, perché se utilizziamo i conti pubblici territoriali e consideriamo il settore pubblico allargato, quindi le pubbliche amministrazioni regionali e locali, le imprese pubbliche nazionali e locali, il quadro della spesa pro-capite cambia completamente e la questione viene assolutamente ribaltata. Quindi io avrei piacere di chiederle qual è la posizione del Governo, se avete già iniziato a fare valutazioni su quella che è la spesa pro-capite e come si intendono analizzare questi dati.
  Il secondo elemento, del quale hanno già parlato alcuni colleghi in precedenza, riguarda il sistema che è previsto dalle bozze di intesa. Noi vediamo – parlo in questo caso dell'istruzione e dei dati relativi a Lombardia e Veneto – che l'ammontare delle risorse delle funzioni trasferite è sostanzialmente ed essenzialmente determinato dall'istruzione, perché noi abbiamo 4,6 miliardi di euro per la Lombardia e 2,3 miliardi di euro per il Veneto, e questa Pag. 13copertura ovviamente non avviene con trasferimenti dello Stato, ma con le compartecipazioni. Questo è il quadro generale. Siccome la spesa residua, quindi i fabbisogni, verranno considerati e valutati solo ex post, e pertanto ci sarà una spesa residua che allo stato viene comunque lasciata all'autonomia delle regioni, volevo capire se questo è un principio invariato e invariabile anche secondo questo Governo o se invece si intende riutilizzare in maniera diversa quei residui. Perché chiedo questo? Perché la terza domanda, che è collegata alla precedente, è se non crede che questa invariabilità porti poi ad avere un uso limitato e quindi a un limite concreto sul coordinamento della finanza pubblica.
  Altra domanda, e su questo mi ricollego a quello che diceva prima il collega Enrico Borghi. La legge n. 42 del 2009 è stata una legge sostanzialmente inapplicata per una serie di motivi, per una serie di difficoltà, e c'è stato poi l'intervento della crisi. Su quel principio si è intervenuto moltissimo in maniera disomogenea e di fatto poi ne è stato un po' snaturato il senso. L'articolo 116, terzo comma, della Costituzione dà soluzioni a specifiche esigenze di specifiche regioni. Pensa questo Governo di rimettere in moto e quindi di attuare concretamente quelli che sono i principi della legge n. 42 del 2009?
  Ultima domanda, e con questo credo di avere concluso: quando si parla dell'articolo 116 della Costituzione, quindi delle autonomie, come dicevano giustamente prima i colleghi, bisogna poi sempre raffrontare quello che succede con le amministrazioni locali e ci pare che le autonomie locali in questo momento stiano soffrendo moltissimo, perché anche in questo caso ci sarebbe l'intromissione da parte delle regioni in alcune specifiche competenze, che invece dovrebbero essere delle amministrazioni locali – penso ai cicli di spesa che adesso sono sostanzialmente decisi a livello centrale e limitano l'attività sui territori delle amministrazioni locali. Volevo capire se nell'applicazione dell'articolo 119 della Costituzione c'è, secondo questo Governo, la possibilità di rivisitare l'autonomia locale e quindi finalizzare l'utilizzo dell'articolo 119 anche nei confronti degli enti locali.

  ALBERTO STEFANI. Grazie, Ministro, per essere qui. Io volevo chiederle informazioni in merito a questa legge quadro e volevo chiedere informazioni da due punti di vista. Il primo è un aspetto politico: ci domandavamo, ci interrogavamo – e credo che possa essere interessante una riflessione sul punto – se questa legge quadro sia una legge che rinvia, come ha già detto lei, a leggi già esistenti, se sia un passaggio fondamentale, un passaggio essenziale – al di là degli aspetti di eventuale incostituzionalità e di mancato rispetto dell'articolo 116, comma terzo, della Costituzione. Che forza innovatrice ha questo passaggio, questa legge quadro, rispetto all'ordinamento giuridico preesistente e quindi che passo in più determina questa legge quadro nel percorso del regionalismo differenziato? Questo è un aspetto che secondo me deve essere messo in luce in maniera chiara.
  Il secondo aspetto è più tecnico: già prima è stato sottolineato come l'approvazione di questa legge quadro in realtà potrebbe denotare qualche profilo di incostituzionalità. Più che questi profili di incostituzionalità, io mi chiedo, se si vuole rispettare l'articolo 116, comma terzo, della Costituzione, con che maggioranza si pensa di approvare questa legge quadro, perché l'articolo 116, terzo comma, richiederebbe la maggioranza assoluta dei componenti delle Camere per l'approvazione della legge.
  Poi c'è il tema dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP). Lei più volte ha dichiarato di voler partire dall'individuazione dei LEP e la domanda che le voglio fare è se sia già stato dato l'incarico alla SOSE Spa per l'individuazione dei LEP stessi.
  E per ultimo, visto che sono deputato del Veneto, volevo soffermare la mia attenzione sul tema del regionalismo differenziato del Veneto e volevo chiederle se, nell'interlocuzione in essere, sono già state individuate le competenze da trasferire. Sappiamo, e penso che più volte queste dichiarazioni siano già state fatte, che il Veneto non ha intenzione di fare passi indietro rispetto alla richiesta delle 23 materie che sono state oggetto, tra l'altro, del Pag. 14nostro referendum consultivo. Noi non abbiamo fatto passi indietro quando eravamo al Governo con il MoVimento 5 Stelle e non intendiamo farli oggi, anzi a maggior ragione oggi che ci ritroviamo ad affrontare questo percorso di autonomia e di regionalismo differenziato con un Governo le cui forze politiche hanno sempre visto l'autonomia del Veneto, anche e soprattutto nell'ottimizzazione del referendum consultivo, come fumo negli occhi e mai come una forma di razionalizzazione della spesa e di sviluppo del nostro Paese.

  STEFANO FASSINA. Ringrazio il Ministro per la sua presenza e per un'esposizione, da me pienamente condivisa, che ho trovato molto coerente e molto lucida. Mi permetto di sottolineare che non è soltanto un'impostazione politica diversa, capovolta, come ha detto lei, ma a me pare l'unica impostazione costituzionalmente corretta e coerente. Lei ha definito legittime le pre-intese, sia quella firmata con il Governo Gentiloni a febbraio 2018, sia le cosiddette bozze condivise, che abbiamo appreso dai siti web a febbraio di quest'anno. Ritengo che sia le pre-intese, sia le bozze condivise fossero sostanzialmente incoerenti con il quadro costituzionale, perché sganciavano i fabbisogni standard dal gettito trattenuto dalle Regioni. Non è questa la sede per entrare nel merito, per guardare al passato, ma dobbiamo andare avanti ed impegnarci a raggiungere l'obbiettivo. Infatti, ritengo che l'obiettivo vada raggiunto e che debbano trovare soddisfazione le richieste che vengono da Regioni importanti, che rappresentano qualitativamente e quantitativamente una parte rilevante del nostro Paese. Consiglio a tutti di rimanere con i piedi per terra; quando sento l'esaltazione dei risultati referendari, vorrei sommessamente ricordare che in Lombardia ha votato il 38 per cento degli aventi diritto – quindi un dato rilevante, ma pur sempre il 38 per cento –, in Veneto ha votato il 57 per cento degli aventi diritto, e in entrambi i casi si è trattato di quesiti molto generici. I veneti non hanno votato sulla scuola pubblica regionale, così come i lombardi non hanno votato sulla scuola pubblica regionale. La Corte costituzionale ha ammesso quei quesiti proprio perché, nella loro genericità, non contrastavano con il quadro costituzionale. Fatta questa premessa, con la convinzione che si debbano approvare delle leggi per l'autonomia differenziata, credo che sia utile avanzare alcune proposte al Ministro, al fine di chiarire la situazione. Innanzitutto c'è una questione di trasparenza; con lo scorso Governo il Parlamento ha sofferto una drammatica carenza di informazioni. Questo credo sia un dato oggettivo, non la posizione di una parte politica. Eravamo all'oscuro di tutto! Le bozze circolavano perché fatte uscire da qualcuno! Quindi, innanzitutto, le chiederei lavori trasparenti, che siano in grado di rassicurare tutti, consentendo di evitare dubbi e interpretazioni più o meno strumentali. In termini di trasparenza, le chiedo se è possibile mettere a disposizione del Parlamento quello che lei ha messo agli atti, cioè i punti a cui si è arrivati nonché i rilievi formulati dalle amministrazioni. Credo che questo sarebbe un passaggio importante per tutti.
  Lei ha detto che il Parlamento deve avere l'ultima parola, e su questo non c'è dubbio; il punto è in che modo avrà l'ultima parola! Si può avere l'ultima parola, seguendo la procedura contemplata per il recepimento delle intese con le confessioni religiose, che prevede un prendere o lasciare da parte del Parlamento, oppure il Parlamento può avere l'ultima parola svolgendo un lavoro che entra nel merito, discutendo, proponendo emendamenti e poi ratificando i testi. Nonostante formalmente stiamo parlando di provvedimenti che non hanno rilievo costituzionale, sostanzialmente rivestono carattere costituzionale. Come lei ha ricordato, da quella normativa discende, per una parte importante, la possibilità di attuare la Costituzione; quindi, ritengo fondamentale partire da una legge quadro di attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione. Non è possibile, infatti, che ci sia una contrattazione che prescinda da un quadro di riferimento e che sia legata soltanto ai rapporti di forza contingenti o al colore del Governo contingente. È necessario, invece, che un intervento così rilevante sul piano costituzionale Pag. 15trovi un quadro di riferimento. A mio avviso questo è una questione decisiva. L'altro elemento decisivo è rappresentato dalla definizione dei livelli essenziali delle prestazioni. Non ritengo che sia un lavoro esclusivamente tecnico! Non può essere affidato alla SOSE Spa un lavoro che poi il Parlamento si limita a recepire! È un lavoro squisitamente politico! Definire i livelli essenziali delle prestazioni è un lavoro squisitamente politico; è il legislatore che deve decidere dove mettere l'asticella in relazione ai diversi ambiti di intervento, non è un problema che può risolvere un tecnico. Volevo capire se la Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale può essere l'ambito in cui affrontare il lavoro, ovviamente con il supporto tecnico della SOSE e degli altri organismi utili a questo fine. Deve essere, però, un lavoro che compete innanzitutto al legislatore. A proposito di livelli essenziali delle prestazioni, e in conseguenza di quanto appena detto, ritengo che il lavoro sui predetti livelli essenziali – ho già sottolineato il punto in occasione dell'audizione del Ministro Gualtieri prevista nell'ambito dell'esame della Nota di aggiornamento del DEF – vada incrociato con la questione della spending review. Non avrebbe senso affrontare una spending review a prescindere dalla coerenza con cui verranno definiti i livelli essenziali delle prestazioni.
  Infine, volevo capire come pensa di includere le Regioni a statuto speciale in questo passaggio. Conosco bene la difficoltà politica, le sensibilità che entrano in campo nel momento in cui si affronta questo capitolo, ma in termini di coerenza costituzionale e di logica, sarebbe singolare, in un passaggio che ridefinisce l'assetto della Repubblica – perché è chiaro che l'autonomia differenziata ridefinisce l'assetto della Repubblica! – escludere a priori una parte così importante del nostro Paese. Infine, le chiedo: Roma Capitale come si colloca in questo quadro? Non è questa la sede per entrare nel merito – spero prima o poi ne avremo una – ma lo voglio sottolineare, perché i poteri speciali di Roma Capitale, a mio avviso, non hanno meno rilevanza dell'autonomia differenziata delle Regioni italiane. Il quadro di coerenza deve includere anche l'assetto di Roma Capitale, altrimenti il disegno non funziona.

  BRUNO TABACCI. È un'occasione straordinaria oggi: la possibilità di discutere di un argomento, che è stato tenuto al di fuori della sensibilità parlamentare per un tempo lunghissimo. Il fatto che le pre-intese siano state raggiunte il 28 di febbraio 2018, quattro giorni prima delle elezioni del 4 di marzo, testimonia che non c'è stata alcuna grande lungimiranza sul tema specifico. Così come potremmo dire che forse, caro Ministro, è il caso di iniziare a riflettere sulla crisi del regionalismo, quasi 50 anni dopo; quello è il tema centrale, a cui la riforma del titolo V ha portato «ulteriore benzina». Qui si vorrebbe continuare a spingere sul tema dell'autonomia. Io l'ho fatta una qualche esperienza di autonomia però non voglio rivendicare nulla. Capisco di essere «antidiluviano», ma l'idea di un'autonomia senza responsabilità è un'idea malsana, che non sta in piedi, perché qui si immagina di continuare a tenere distinta la mano che spende da quella che tassa. Questa è una condizione drammatica che poi si prospetta nel divenire delle cose. Sono grato al presidente che ci dà l'occasione di questo confronto con il Ministro Boccia, perché su tale questione dell'autonomia differenziata è stato messo il silenziatore e si è evidenziato un fastidio per il ruolo del Parlamento. Anche il fatto che per parlare un deputato debba dichiarare chi rappresenta è significativo. Non c'è vincolo di mandato! Noi siamo qui a rappresentare l'interesse del Paese, nella sua unitarietà, o dobbiamo fare delle dichiarazioni sulle aree che dovremmo rappresentare? Io sono deputato di Milano, ma non mi ricordo di esserlo: sono qui per cercare di rappresentare gli interessi generali, finché siamo insieme! Non capisco perché si debba fare una dichiarazione pregiudiziale! Sul rispetto dell'universalità della qualità dei servizi resi a tutti i cittadini italiani, si cita la Costituzione; ci sono dei princìpi che sono inderogabili, rispetto ai quali è necessario tener presente i criteri di finanziamento e di allocazione delle risorse a disposizione del Paese, che sono sempre più scarse. Su Pag. 16questo elemento fondamentale rappresentato dai livelli essenziali delle prestazioni, mi chiedo come mai siamo al punto di partenza, visto che la legge n. 42 risale al 2009. È l'ambiguità che stava dentro quel contesto che non è stata sciolta. Non possiamo dare l'incarico a qualche organismo esterno di sciogliere le questioni politiche che stanno alla base di tale centrale questione. È evidente che, se non c'è nessuna definizione dei LEP e l'attuazione è rinviata al 2020, tutto l'impianto del cosiddetto federalismo fiscale viene privato di un elemento essenziale. La Corte costituzionale nel frattempo ha continuato a lavorare – non solo per ridurre il danno a seguito della modifica costituzionale del titolo V, tanto che la Corte ha lavorato prevalentemente sui conflitti tra Stato e regioni e ancora oggi lavora prevalentemente su questo – per dirimere questioni sul cosiddetto residuo fiscale. Quante «chiacchiere» sono state fatte sul tema del residuo fiscale? Si fa gara a chi la spara più grossa! A chi ha il residuo più grosso! Ebbene, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 60 del 2016, ha definito il contesto del residuo fiscale; non è l'araba fenice! Noi vorremmo massimizzare gli introiti, che sono dello Stato, trasferendoli alle Regioni, senza dire in danno di chi si fa tale operazione. Anzi, si dice che nessuno ci perderà. Come si possa tenere in piedi un'operazione di questo genere Dio solo lo sa! Certamente, non sono in grado di dare un contributo in questa direzione. È veramente una giornata importante questa, perché almeno siamo messi nella condizione di esprimere qualche dubbio, a fronte di tutte queste certezze sull'autonomia. Un referendum con il quale si chiede se si vuole più o meno autonomia equivale a chiedere a un bambino se vuol bene alla mamma; questo è il senso di quel referendum: vuoi bene alla mamma? Sì, certo, che devo fare? Si pensa su questo di costruire l'idea di un contesto nel quale c'è contrasto tra il ruolo dello Stato e il ruolo delle istituzioni regionali. Quindi, Ministro, c'è molto da fare. Ci si chiede quanto impiegheremo; quanto è necessario in termini di tempo per disboscare tutte queste ambiguità. È chiaro che se le ambiguità restano in piedi, la Lombardia non può andare avanti per conto suo. Non facciamoci illusioni su questo punto! È un errore clamoroso, non perché la vicina Catalogna dimostra come stanno le cose. Che senso ha continuare a soffiare sul fuoco! Diventa impraticabile. Anche per la legge dei grandi numeri, la Lombardia da sola dove va? Il Veneto dove va? Di cosa parlano? Questa storia dell'Europa delle Regioni è molto vecchia, se ne parlava qualche decennio fa; pensare che in un mondo in cui l'importanza si riduce addirittura per l'Europa in quanto tale, che è il 7 per cento della popolazione mondiale – quindi non dico irrilevante, ma sempre più modesta, di fronte al venir meno degli equilibri demografici mondiali a cui eravamo abituati – pensare di star qui a rivendicare delle autonomie parziali, come se queste potessero stare in piedi da sole, è una cosa che grida vendetta. Ministro, buon lavoro, c'è molto da fare, però finalmente abbiamo potuto capire. Le chiedo se ci evidenzia le proposte unilaterali delle Regioni e le modalità con cui sono state intercettate – lei ha richiamato certi giudizi – dalle Amministrazioni centrali. Di questi documenti non abbiamo mai visto nulla, non sappiamo di che cosa si parla; sono stati oggetto di campagne elettorali, prima, dopo e durante, e qualche elezione che si sta avvicinando, anche quella dell'Emilia-Romagna, si gioca su delle carte che nessuno ha mai visto salvo le Regioni interessate. Qui non c'è una stanza di compensazione, non c'è il sindacato delle Regioni; noi siamo in Parlamento e abbiamo il dovere di ricomporre le cose. Questa è la funzione politica che spetta ai deputati eletti nel nostro Parlamento, che operano senza vincolo di mandato.

  PRESIDENTE. Raggiungere l'efficienza rappresenterebbe un costo per chi operava nell'inefficienza, che, quindi, ora ci perderebbe. Sicuramente qualcuno con questi numeri ci perderebbe.

  FABIO MELILLI. Ringrazio il Ministro. Comprendo che un'audizione sulle linee programmatiche possa essere trasformata Pag. 17in un dibattito sul tema più rilevante, più di attualità politica. Mi permetterà, il Ministro, non di allontanarmi – perché affronteremo anche questo tema – ma di avere una visione un po' diversa dalla maggioranza dagli interventi che ho ascoltato. Ricordo, se non altro per un difetto anagrafico, lo spirito costituente che mosse il legislatore nell'elaborare l'articolo 116 della Costituzione. Mi pare di ricordare che anche nel dibattito dottrinale dell'epoca il tema vero era rappresentato dalla questione relativa a come avvicinare le decisioni al cittadino. Questo principio, difficilissimo da attuare, andava di pari passo con la sussidiarietà – sulla quale ci siamo tutti confrontati – per realizzare la quale le stesse Regioni dovevano fare uno sforzo di avvicinamento. Non si trattava solo di spostare le decisioni sul sistema associativo e privato, ma anche sul sistema istituzionale, per essere più vicini alle esigenze dei nostri cittadini. Quel tema presupponeva – è accaduto nel nostro Paese con un'accorta legislazione, anche quando abbiamo elaborato le leggi Bassanini – che la ricerca e lo spazio di maggiore autonomia che alcune Regioni rivendicavano – e che era giusto rivendicare – fosse un'eccezione, fosse una parte della costruzione di un nuovo modello istituzionale del Paese, dove le stesse Regioni evitavano quello che abbiamo definito per anni il centralismo regionale (a volte molto più opprimente, rispetto alle autonomie locali, in alcune Regioni del nord e del sud del Paese, per la verità), rispetto al cuore della democrazia costituito dalle comunità locali. Quindi, la domanda che le pongo è se nella legge quadro possa essere immaginato un meccanismo per il quale, rispettando i limiti costituzionali della sovranità regionale, si possano spostare le decisioni ancora verso le comunità locali (le chiedo poi in che forma ciò possa avvenire). Ho considerato – ma è un'opinione personale che esprimo qui – questa trasformazione dell'autonomia differenziata, da eccezione su tematiche peculiari a rivendicazione tout court di 23 o 18 materie, un'anomalia, come se, attraverso il «grimaldello» dell'articolo 116 della Costituzione, si volesse costruire un modello istituzionale per il quale lo Stato si spoglia, se non di tutto, quasi di tutto a favore delle Regioni. Si tratta di una sede che, tra l'altro, comprende in sé il potere legislativo e quello amministrativo, tema antico e complesso, sul quale, anche attraverso l'elezione diretta, abbiamo aperto un varco, su cui andrebbe svolta qualche riflessione. Mi domando se il tema dell'autonomia possa essere accompagnato ad un disegno nuovo di distribuzione diversa dei poteri nel nostro Paese. Mi permetto di domandarlo al Ministro, perché in quella riforma noi abbiamo raggiunto un altro obiettivo importante: la costituzionalizzazione delle città metropolitane. Spesso è poi lo stesso legislatore costituente che, quando trasforma un principio costituzionale in norma ordinaria, si diverte eccessivamente; mi permetta di dirlo, con il rispetto che debbo ai legislatori di questo nostro Paese. Noi abbiamo costruito un meccanismo infernale per cui siamo diventati tutti delle metropoli! Suggerirei magari al Ministro di organizzare una gita con le singole città metropolitane magari al Cairo o in qualche altro luogo, che dia un po' più il senso di che cos'è una metropoli del mondo (non solo occidentale). In quel caso abbiamo davvero esagerato! Se, nel definire città metropolitana qualche area del Paese, indicassimo Milano, Roma e Napoli, saremmo già andati oltre il consentito; sono tra quelli che la pensano così, ma mi domando e domando al Ministro – al quale riconosco a pieno la titolarità della delega dell'autonomia (credo che il suo Dipartimento si debba occupare di questioni complesse, ma sicuramente affascinanti, come l'architettura istituzionale di questo Paese) – se abbiamo fatto bene ad istituire città metropolitane lasciando loro le identiche competenze delle vecchie province, al di là dei confini con cui le abbiamo delineate, per un fatto di comodità. Abbiamo stabilito, infatti, che il territorio delle città metropolitane viene identificato con quello della provincia, creando dei casi originalissimi, per cui i paesi di mille abitanti diventano metropoli inseriti in un meccanismo metropolitano. Oppure mi chiedo se non sia l'occasione, Ministro, per cominciare Pag. 18 a ragionare sulla funzione della città metropolitana, che è luogo di gestione di reti, che è luogo di gestione di dinamiche economiche e sociali sovracomunali e non un luogo al quale cambiare semplicemente l'etichetta. Quello che abbiamo fatto un po' con Roma Capitale; ci è costato parecchio, lo dico al collega Fassina: cambiare le divise dei vigili, la carta intestata, per la definizione di Capitale, senza che, tuttavia, a tale processo sia seguita una reale attenzione del Paese nei confronti della Capitale. Immagino che il tema dell'autonomia possa essere declinato in forme nuove. Non vado oltre, perché ragioneremmo di associazionismo comunale – vedo qui il Sottosegretario Variati che ne sa più di me –, però penso che il tema vada inserito in una logica di armonia tra i livelli di Governo, che forse dobbiamo sforzarci di ricercare – se ci vuole qualche settimana, non credo che caschi il mondo – nel rispetto naturalmente delle scelte che le collettività regionali hanno costruito e sulle quali è naturale provare ad avanzare, nel dibattito e nel confronto con il sistema statale, a vantaggio delle Regioni. Ministro, svolgo soltanto una considerazione: è ovvio che lo Stato resista e che i Ministeri facciano obiezioni, ma penso che spetti al Parlamento – e fa bene a ricordare la centralità di questo luogo – trovare la sintesi tra quelle che sono le esigenze delle Regioni e quelle che sono le esigenze dello Stato centrale. Condivido quanto lei afferma sul tema delle aree interne e sul tema delle diversità socioeconomiche all'interno delle Regioni, penso soltanto – e concludo – che ci voglia un'operazione molto nuova: considerare il sistema infrastrutturale e il suo sviluppo nel nostro Paese non più in termini longitudinali, ma in termini trasversali. Al nord questo è stato in parte fatto, ma nella restante parte del Paese credo sia davvero una novità. Per questo naturalmente la ringraziamo.

  PRESIDENTE. Mi rendo conto che tutti vogliano dire la loro, però stiamo andando oltre i tempi a disposizione; quindi, vi prego ora di contenere i vostri interventi in un minuto. Ho provato a vedere se eravate ragionevoli, però evidentemente il desiderio di dire la propria su un tema così interessante prende il sopravvento.

  FRANCESCO BOCCIA, Ministro per gli affari regionali e le autonomie. Anche io avevo altri impegni, ma mi permetto di fare una proposta. Posso tornare nel pomeriggio oppure posso dare subito alcune risposte, con l'impegno a tornare in seguito per concludere l'audizione. Ne ho bisogno io; infatti, molte delle cose che avete detto mi serviranno. Decidete voi.

  PRESIDENTE. Proviamo a fare questo esperimento di prevedere un minuto per ogni intervento.

  FRANCESCO BOCCIA, Ministro per gli affari regionali e le autonomie. Un minuto per sette persone è complicato!

  PRESIDENTE. Si tratta di sette minuti. Prego, onorevole Pella.

  ROBERTO PELLA. Grazie, Presidente. Tre considerazioni veloci: in primo luogo, condivido pienamente quanto detto dalla collega Frassini e quindi non mi dilungo, dico solo al Ministro Boccia che in sede di Commissione parlamentare per le questioni regionali abbiamo concesso la proroga, e che comunque i presidenti delle Regioni e soprattutto i cittadini aspettano una risposta. Non è una questione di un mese in più o di un mese in meno, ma non possiamo sicuramente andare oltre certi limiti, perché mi sembra che i cittadini attendano una risposta. In secondo luogo, ho preso atto con grande soddisfazione che nel suo intervento introduttivo ha dato valore e spessore al ruolo della Conferenza Stato-Regioni e della Conferenza unificata. Credo che su questo si giochi realmente il futuro del nostro Paese e sono estremamente felice che nella Conferenza Stato-Città possa esserci l'autorevolezza di un Sottosegretario come Achille Variati, che conosce perfettamente la valenza e l'importanza di quella Conferenza in materia di enti locali e di ruolo dei comuni e delle province. Un'ultima considerazione, signor Ministro, anche alla luce di quello che Pag. 19diceva il collega Melilli: lei lunedì ha avuto un incontro estremamente interessante con il sindaco Sala sul ruolo delle Città metropolitane; vorrei chiederle se lei ha già presente una chiara modalità con cui le aree metropolitane e i sindaci entrerebbero in gioco rispetto alla definizione della materia e soprattutto con quali responsabilità. Mi sembra che lei abbia fatto riferimento all'ambito esclusivo delle periferie, vorrei invece capire se anche altri ambiti rientrano nella riflessione che lei pone sulle Città metropolitane, ed infine se la Città di Milano sarà coinvolta come una sorta di progetto pilota, essendo anche stata da lei definita un laboratorio, come tutte le Città metropolitane, oppure se ci sarà la volontà del coinvolgimento di tutte.

  RICCARDO MAGI. Sarò telegrafico, sulla questione delle autonomie non ripeterò cose già dette, faccio mie e condivido pienamente le parole del collega Tabacci, in particolare sulla necessità di una riflessione più profonda sul senso e sulle dinamiche innescate dal regionalismo nel nostro Paese prima di intraprendere nuove ed ulteriori strade di questo tipo. Vi è poi la questione, che è stata toccata da diversi colleghi, di Roma Capitale, che credo sia urgente tornare ad affrontare sia sotto il profilo istituzionale sia sotto il profilo politico. Come sapete, era prevista in materia una delega all'interno della legge sul federalismo fiscale, ci sono stati i decreti attuativi successivi, l'ordinamento transitorio di Roma Capitale è diventato un ordinamento permanente, ma soprattutto la successiva legge sulle Città metropolitane non è stata minimamente raccordata con l'ordinamento di Roma Capitale, e questo ha creato una situazione di stallo e di vuoto; quindi avere un'indicazione sull'orientamento del Governo sarebbe utile ed importante.

  VANESSA CATTOI. Innanzitutto mi dispiace di aver colto da alcuni colleghi questa forma di antagonismo che deve essere posta necessariamente tra le Regioni autonome e le Regioni che richiedono l'autonomia differenziata. Sono deputata di una Regione autonoma, e non lo dico perché sia un motivo di vanto, ma perché ritengo che sia necessario e sia una forma di grande responsabilità permettere alle Regioni che chiedono un'autonomia differenziata di poterla avere, perché questo non crea una disomogeneità, ma permette comunque ai singoli territori all'interno delle loro specifiche peculiarità di raggiungere quel livello di eccellenza che poi si trasferisce necessariamente sui servizi erogati ai nostri cittadini. Quindi puntare all'autonomia e alla responsabilità significa puntare a servizi eccellenti per i singoli cittadini, questo è il concetto che deve passare: l'autonomia non deve essere considerata come una mera forma di privilegio o come una causa di esborso economico–finanziario. Lei proponeva di raccordare tutti i fondi pluriennali vincolati mettendo a disposizione una quota di risorse per tutte le aree in ritardo di sviluppo, il che va benissimo, però questo deve essere fatto contestualmente a un cronoprogramma ben preciso che definisca anche i tempi di realizzazione, altrimenti una serie di risorse dedicate senza indicare il cronoprogramma e il timing di realizzazione delle singole opere a favore dei cittadini sarebbe, a mio avviso, poco utile ed efficiente per i cittadini stessi. In merito all'autonomia, chiedo come questo nuovo Governo intenda approcciarsi alle Regioni autonome e come le veda inserite all'interno di questo nuovo quadro normativo, che verrà a definirsi e a delinearsi, comprensivo anche delle autonomie differenziate.

  MAURO D'ATTIS. Ministro, anche a me fa piacere vederla in questo ruolo, non fosse altro per una questione di campanile, visto che proveniamo entrambi dalla Puglia. Mi soffermo – e non perché faccio il sindacalista delle Regioni, ma faccio il sindacalista del mio territorio – su un argomento complicato, perché oltre ad essere differenziata l'autonomia è evidente che sono spesso differenziate anche le posizioni nei partiti, nelle maggioranze e nelle opposizioni: si passa dalla spinta autonomista da lei rappresentata alla spinta nazionalista rappresentata ad esempio dal collega Tabacci, stiamo parlando della stessa maggioranza, Pag. 20 ma anche dall'altra parte ci possono essere delle differenze. Il Consiglio regionale della Puglia ha approvato all'unanimità una mozione proposta da Forza Italia il cui contenuto è finalizzato alla salvaguardia dei princìpi di solidarietà nazionale, alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni sulla base di costi standard, all'introduzione, oltre che dell'indice di invecchiamento della popolazione, anche del tasso di disoccupazione della popolazione attiva nei meccanismi di definizione del costo standard, alla richiesta di aumento della dotazione finanziaria del fondo perequativo. Noi siamo impegnati a sostenere il contenuto di una mozione del genere, se queste cose combaciano, e mi sembra in linea generale che possano farlo. È importante che però l'audizione, le parole del Ministro, la legge quadro che propone abbiano un corrispettivo nella manovra finanziaria, perché tutte queste cose devono essere realtà, altrimenti rischiano di rimanere teoria.

  VANNIA GAVA. Da buona friulana sarò veloce e concreta, anche perché mi appassiona molto il dibattito sull'autonomia, suppure a tratti è inquietante, per quello che ho sentito dai colleghi, ma i presidenti delle Regioni che hanno depositato il testo saranno in grado di farsi valere. Mi voglio rivolgere al Ministro, dicendo che i primi segnali dal suo insediamento sono stati molto negativi, soprattutto rispetto alla volontà di impugnazione delle leggi regionali: chiedo se ritiene di proseguire in questa direzione o se invece, come è auspicabile, la valutazione sulle impugnazioni si basi unicamente su presupposti tecnici e non politici, o addirittura ideologici, come nel caso della legge di assestamento di bilancio del Friuli-Venezia Giulia. È chiaro che nessun dialogo istituzionale può avviarsi su queste premesse perché, vede, non è mai successo con il precedente Governo che siano state impugnate leggi regionali del Friuli-Venezia Giulia, eppure è stata la stessa penna che l'ha scritta, quindi dobbiamo pensare ad una volontà neo-centralista che fa impugnare volentieri le leggi, e chiedo un chiarimento al riguardo.

  EMANUELE CESTARI. Signor Ministro, intervengo per una domanda, o meglio per una curiosità, in questo contesto in cui dibattiamo un tema molto importante: sento parlare di cornici, di quadro, di leggi quadro, leggi cornice, ma spunta anche una bozza in questo che potrei chiamare un po' artisticamente «olio su tela» di questa autonomia: mi riferisco al decreto-legge fiscale, quello che credo abbia messo a punto il suo Governo, che all'articolo 45 prevede che venga posticipata al 2021 l'attuazione del federalismo fiscale e dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP). Da una parte, lei prima ha detto che bisogna fare in fretta, quindi inizieremo subito in autunno, ma dall'altra parte nel decreto-legge fiscale è contenuta una proroga di un anno, quindi inizieremo a parlare di autonomia nel 2021. Mi chiedo, dunque, questo «olio su tela» dell'autonomia quand'è che vedrà la luce.

  PRESIDENTE. Do la parola al Ministro per la replica.

  FRANCESCO BOCCIA, Ministro per gli affari regionali e le autonomie. In primo luogo, grazie davvero, perché non avevo bisogno di essere convinto della necessità, dell'opportunità di essere audito in queste due Commissioni, anche perché le ritengo casa mia, e lo sottolineo, ma molti degli stimoli arrivati serviranno davvero a migliorare il lavoro che stiamo facendo e, se il Presidente Borghi lo riterrà e i se Presidenti delle altre Commissioni lo riterranno, tornerò volentieri e spesso, anche prima di varare alcuni provvedimenti.
  Parto dalla fine: il decreto fiscale contiene un semplice adeguamento di norme più volte adeguate. Penso che lei possa chiedere ad autorevoli suoi colleghi di partito, che hanno più volte messo le mani su quella norma facendo esattamente le stesse cose che sono state fatte in questo decreto fiscale. Non c'entra nulla con il ragionamento che stiamo facendo noi oggi, perché per varare i livelli essenziali delle prestazioni è necessario definire quali funzioni sono oggetto di trasferimento: questo lavoro io non l'ho trovato; devo confessare che avrei sperato nella definizione delle Pag. 21funzioni, perché questo mi avrebbe consentito di trovare qualcosa: non l'ho trovato, sono costretto a farlo io, non voglio farlo di corsa, perché confesso che diffido di tutti quelli che corrono all'impazzata, che fanno gli ignavi e poi si schiantano quasi sempre, perché non riescono nemmeno ad agguantare quello stendardo a cui sono stati condannati dalla loro condizione di ignavi. Per questa ragione, e cerco di rispondere in maniera veloce, anche se avrei voluto entrare nel merito di ogni quesito, correremo quando sapremo dove stiamo andando.
  I LEP saranno definiti (Commenti)... la SOSE non risponde al Dipartimento degli affari regionali, ma risponde, opportunamente, al Ministero dell'economia e delle finanze. Il Dipartimento degli affari regionali – così come il Ministero dell'interno, qui rappresentato dal Sottosegretario Variati – sta lavorando dal 5 settembre con il Ministero dell'economia e delle finanze per ridefinire le regole del gioco. Abbiamo chiesto al Ministero dell'economia e delle finanze di attivare le procedure per consentire alla SOSE di svolgere alcune rilevazioni e alcune valutazioni, che saranno fatte sulla base del lavoro che verrà fuori dal confronto con le Regioni. La SOSE ha già molti dati, a mio avviso interessanti, e le modalità con cui li recupereremo dipenderà da che tipo di accordi facciamo.
  Faccio un passo indietro. Sui LEP, una domanda ricorrente riguarda la tempistica. Io non ho trovato le funzioni; ho trovato solo un impegno politico che ci portava a definire i LEP in tre anni. Ritengo che questo sia stato sbagliato. Sulla legge quadro mi è stato detto che la Costituzione non prevede una norma ordinaria: vorrei capire dai miei colleghi se tutte le disposizioni indicate in Costituzione prevedono norme ordinarie correlate. La Costituzione della Repubblica italiana tocca a noi legislatori attuarla, interpretarla, onorarla, e ci sono norme che ovviamente ci consentono di attuarla in maniera adeguata, e quando non funzionano le modifichiamo. Riprendo un concetto che aveva espresso il collega Borghi: noi vogliamo mettere dentro la norma quadro le disposizioni attuative che vanno dall'articolo 114 all'articolo 119. L'articolo 116 non è che viva di luce propria, perché se si ignora l'articolo 119, così come nella prima versione della proposta del Presidente Zaia, che non faceva riferimento alla legge n. 42 del 2009 e al decreto legislativo n. 68 del 2011, è chiaro che quel modello non funziona, indipendentemente dal fatto che sia stata firmata una pre-intesa, perché se si firma una pre-intesa non si va da nessuna parte se manca poi il quadro entro cui muoversi. Quindi, quando il Presidente Zaia e la delegazione trattante ci hanno ripresentato l'impianto generale facendo riferimento all'attuale sistema di perequazione delle Regioni a statuto ordinario ho detto che si trattava un passo in avanti importante, perché finalmente entriamo nel merito. Non solo l'ho apprezzato, ma ci stiamo lavorando. Quindi la legge quadro serve a questo, e poi valuterete voi quanto coerente sia.
  Mi è stato chiesto se ripartiamo da zero. No, ripartiamo da quello che ho trovato. Sui LEP non è che ripartiamo da zero, è che non è mai stato fatto un passo in avanti. Dobbiamo essere noi, come Parlamento, ad indicare la strada, su questo condivido l'intervento del collega Fassina: quando avremo definito le funzioni con le Regioni – mi rivolgo all'Onorevole Fassina – ritengo che debba avvenire tutto in Parlamento e che il Parlamento debba essere nella condizione anche di emendare le proposte. Definiremo cosa dovrà fare il Parlamento dopo l'attuazione dell'autonomia, perché poi bisognerà attivare modalità di confronto e di controllo, quindi sia prima sia dopo penso che il Parlamento debba esprimersi.
  Un altro passaggio fondamentale è il riferimento alla previsione della distribuzione tra Regioni ed enti locali delle funzioni amministrative oggetto di devoluzione. Penso che sia necessario: il nodo posto da molti colleghi rispetto al confronto avvenuto con il coordinamento delle Città metropolitane, prima, e successivamente con alcuni sindaci metropolitani, a partire dal sindaco Sala, mi ha convinto ancora di più che è opportuno prevedere modalità che consentano alle Città metropolitane Pag. 22 di avere in automatico alcune funzioni. Parallelamente, il Sottosegretario Variati avvierà il lavoro sulla ridefinizione non solo del funzionamento delle Conferenze, di cui vi ho detto in apertura, ma anche di alcune regole che forse dobbiamo rivedere per quanto concerne il testo unico sugli enti locali. Auspico che le cose che ci siamo detti, vale a dire che è necessario intervenire sui modelli di ritardo di sviluppo, siano condivise dal Parlamento. È naturale che le Città metropolitane debbano occuparsi di periferie, è il livello più vicino, e ovviamente, dove non ci sono le Città metropolitane, dovranno farlo gli enti locali. Non entro nel merito, perché i vuoti normativi che riguardano le province sono noti e bisognerà capire insieme se il livello migliore è quello o bisogna tornare direttamente alle città, ma questa è una valutazione che va condotta insieme. Ritengo ci sia un forte bisogno di coinvolgere le Città metropolitane, e Milano da questo punto di vista è quasi una sperimentazione naturale, è già con la testa e il corpo in Europa e ha già dimostrato con le misure normative che gli sono state messe a disposizione di essere in grado di fare...

  PRESIDENTE. La prego di avviarsi alla conclusione.

  FRANCESCO BOCCIA, Ministro per gli affari regionali e le autonomie. Posso anche concludere ora, ma vi è una serie di quesiti, che penso interessino i colleghi, ai quali rispondere. Sono disposto a ritornare, ma ritengo necessarie comunque alcune brevi precisazioni. Penso che abbia molto senso, onorevole Tabacci, onorevole Fassina, trasmettere gli atti al Parlamento con grande trasparenza, affinché tutti conoscano tutto. È opportuno che il Parlamento venga coinvolto in ogni passaggio, spero di anticipare i tempi rispetto al decreto-legge, quindi di tornare qui anche durante la sessione di bilancio, rispettando ovviamente le regole della legge di bilancio che noi per primi abbiamo il dovere di rispettare. Quindi, se saremo in grado di costruire una norma quadro che rispetti i criteri di ammissibilità della legge di bilancio, non escludo di chiedere al Governo di presentare al Parlamento una norma che possa già essere oggetto di un confronto parlamentare, però ci confronteremo prima con le Regioni, perché è evidente che questo lavoro riguarda il rapporto tra Governo e Regioni, poi insieme decideremo se è arrivato il momento, visto che c'è questa ansia sul tempo, io però quest'ansia vorrei canalizzarla per costruire qualcosa di duraturo.
  Rispetto ai criteri per le intese, lo ribadisco: i criteri per le intese voglio agganciarli alla legge quadro che consentirà al Parlamento di esprimersi su tutti gli articoli della Costituzione che incidono indirettamente sull'attuazione dell'articolo 116, terzo comma. Non era possibile pensare che l'articolo 116, terzo comma, fosse sganciato da tutto il resto del titolo V, questa è la ragione per cui ho insistito sulla legge quadro. Mi riprometto, Presidente Borghi, di tornare qui appena mi inviterete, e completeremo il lavoro che oggi ritengo sia stato solo iniziato.

  PRESIDENTE. Non mancherà l'occasione. La ringrazio, signor Ministro, e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 10.55.