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XVIII Legislatura

VII Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 9 di Martedì 3 marzo 2020

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Gallo Luigi , Presidente ... 3 

Audizione del Ministro per il sud e la coesione territoriale, Giuseppe Luciano Calogero Provenzano, sui divari territoriali nell'istruzione (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento della Camera dei deputati):
Gallo Luigi , Presidente ... 3 
Provenzano Giuseppe Luciano Calogero , Ministro per il sud e la coesione sociale ... 3 
Gallo Luigi , Presidente ... 8 
Fusacchia Alessandro (Misto-CD-RI-+E)  ... 8 
Toccafondi Gabriele (IV)  ... 10 
Aprea Valentina (FI)  ... 11 
Piccoli Nardelli Flavia (PD)  ... 12 
Furgiuele Domenico (LEGA)  ... 13 
Lattanzio Paolo (M5S)  ... 14 
Sgarbi Vittorio (Misto-NI-USEI-C!-AC)  ... 15 
Di Giorgi Rosa Maria (PD)  ... 15 
Melicchio Alessandro (M5S)  ... 16 
Gallo Luigi , Presidente ... 17 
Provenzano Giuseppe Luciano Calogero , Ministro per il sud e la coesione sociale ... 18 
Gallo Luigi , Presidente ... 21

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Partito Democratico: PD;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Noi con l'Italia-USEI-Cambiamo!-Alleanza di Centro: Misto-NI-USEI-C!-AC;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Centro Democratico-Radicali Italiani-+Europa: Misto-CD-RI-+E;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
LUIGI GALLO

  La seduta comincia alle 18.45.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata, oltre che attraverso il resoconto stenografico, anche mediante la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Ministro per il sud e la coesione territoriale, Giuseppe Luciano Calogero Provenzano, sui divari territoriali nell'istruzione.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Ministro per il sud e la coesione territoriale, sui divari territoriali nell'istruzione. Ringrazio il Ministro di essere presente oggi in Commissione cultura. Avverto che il dibattito successivo alle relazione iniziale del Ministro sarà organizzato nel modo seguente: ciascun gruppo potrà intervenire per massimo cinque minuti, fermo restando che il tempo potrà essere suddiviso tra due o più oratori. Quando sono iscritti a parlare per uno stesso gruppo più deputati, darò inizialmente la parola ai primi dell'elenco per ogni gruppo e poi nel secondo giro passerò ai successivi. Quanto all'ordine di intervento: come al solito la parola sarà data secondo la consistenza numerica dei gruppi della Commissione, a partire dai meno numerosi. Avranno quindi facoltà di parlare nell'ordine: Liberi e Uguali, il Gruppo Misto, Fratelli D'Italia, Italia Viva, Forza Italia, Partito Democratico, Lega e Movimento Cinque Stelle. Seguirà a conclusione del dibattito, compatibilmente con il tempo disponibile, la replica del Ministro. Se le fasi precedenti si prolungheranno oltre il previsto, rinvieremo il seguito dell'audizione a un'altra data. Do a questo punto la parola al Ministro Provenzano.

  GIUSEPPE LUCIANO CALOGERO PROVENZANO, Ministro per il sud e la coesione sociale. Grazie, presidente. Grazie, onorevoli deputati. Grazie dell'occasione che mi offrite di affrontare un tema che è stato al centro della mia iniziativa politica dal momento dell'insediamento. Vi lascerò una copia del Piano per il Sud 2020/2030 che affronta nello specifico il tema dell'istruzione, su cui qualcosa dirò, ma ci terrei a fare una premessa di carattere generale per capire la serietà della situazione che stiamo affrontando nel corso di questi anni.
  La dinamica dei divari territoriali nel nostro Paese ha seguito dall'Unità in poi un'evoluzione anche a fasi alterne; non sempre il divario è stato costante, ci sono state alcune evoluzioni. Invece, abbiamo riscontrato un processo di convergenza sostanzialmente costante, dall'Unità fino ad oggi, in tutti quei fattori di progresso sociale che accompagnavano la modernizzazione del Paese. Uno di questi è stato il settore dell'istruzione che è quello su cui, dall'Unità in poi, si sono fatti i maggiori progressi. Che cosa è accaduto invece negli ultimi anni? È accaduto che questo processo di convergenza sociale che si era determinato nel nostro Paese si è quasi interrotto: i divari territoriali si combinano sempre di più e sempre più frequentemente con divari di diritti di cittadinanza che noi riscontriamo, soprattutto a partire dal settore dell'istruzione, in numerosi indicatori. Devo dire che questo è un aspetto Pag. 4molto, molto rilevante, perché riguarda quello che gli economisti, con una metafora infelice, chiamano «il capitale umano» o «l'accumulazione del capitale umano», uno dei fattori decisivi per la competitività e lo sviluppo secondo tutte le agende, nazionali e internazionali. Su questo si è consumato nel corso degli ultimi quindici anni almeno, nel nostro Paese e soprattutto nell'area meno sviluppata, il suo Mezzogiorno, un significativo paradosso: avevamo avuto, proprio all'inizio degli anni Duemila, una convergenza molto accentuata nel settore dell'istruzione, dell'accumulazione del capitale umano. I parametri, gli indicatori che riguardavano l'istruzione erano gli unici su cui non si registrava una sostanziale divergenza o un divario sostanziale tra le aree del Paese. Nel corso degli ultimi anni, complice la crisi economica e le risposte inadeguate che sono state date alla crisi, si è interrotto questo meccanismo di accumulazione e il processo di divergenza economica e sociale ha determinato alcune ripercussioni anche su questo. I giovani meridionali che erano state le punte più avanzate della modernizzazione di quell'area negli anni Duemila – perché si erano iscritti in massa all'università, perché avevano accumulato sapere e conoscenza, venendo poi lungamente marginalizzati nel mondo del lavoro o, peggio, costretti all'emigrazione per migliorare le proprie condizioni di vita – hanno finito per essere le vittime di questo meccanismo. La conseguenza è che le generazioni più giovani hanno smesso di investire su se stesse, nel sospetto che non solo non basti, perché l'investimento in sapere, in conoscenza, non basta per definizione, ma nemmeno serva poi a migliorare le proprie condizioni di vita. Questo è il quadro rispetto al quale dobbiamo agire.
  Dobbiamo fare in fretta proprio per non consolidare questo circolo vizioso che si sta determinando nella società meridionale e non solo, perché poi la questione dei divari territoriali riguarda la frattura storica tra Nord e Sud, ma riguarda sempre più, anche nel settore dell'istruzione, una dimensione complessa della coesione territoriale, cioè il rapporto tra centro e periferie, quindi in tutto il Paese, il rapporto tra grandi aree urbane e aree interne, aree rurali.
  Per stare ai dati più significativi, tuttavia, riscontriamo alcuni divari molto significativi: i giovani tra i 20 e i 24 anni che hanno completato le scuole superiori sono al Sud solo il 76 per cento, contro l'83 per cento del Centro-Nord. Quelli che hanno conseguito la laurea tra i 25 e i 34 anni al Sud superano di poco il 20 per cento, mentre la media italiana è quasi del 30 e il target che Europa 2020 si era data su questo settore è già 40. Questi dati riflettono la bassa propensione a iniziare i percorsi di studio più avanzati, in particolare terziari. Anche questo è un fattore che abbiamo scoperto solo dopo la seconda metà degli anni Duemila, in particolare con la crisi, perché prima i tassi di passaggio all'università e i tassi di iscrizione, in particolare al Sud, erano molto, molto accentuati. Invece questa è la curva che ci preoccupa maggiormente: una difficoltà al completamento degli studi, dovuta a una pluralità di fattori. C'è anche l'aspetto del diritto allo studio che è stato garantito in misura insufficiente nel corso di questi anni.
  L'insieme di questi fattori ha determinato un ulteriore elemento che sta depauperando il capitale umano di quell'area: la migrazione intellettuale, soprattutto dei settori più qualificati delle nuove generazioni meridionali. Sono numeri che conoscete, che abbiamo dato molte volte: negli ultimi quindici anni hanno abbandonato il Mezzogiorno circa 240.000 laureati. Il dato per certi versi ancora più preoccupante è che questa emigrazione diventa sempre più precoce, già al momento della scelta universitaria. Ciò è dovuto probabilmente sia a politiche ordinarie che hanno sistematicamente, dietro parametri di presunta neutralità, sfavorito le università meridionali, insieme al diritto allo studio, sia alle aspettative di placement, di rispondenza nel mercato del lavoro delle competenze acquisite nel percorso formativo. Questi sono primi dati quantitativi che si combinano con quelli, anch'essi molto preoccupanti, di natura più qualitativa, legati alle conoscenze e alle competenze effettive che gli studenti maturano Pag. 5 nei percorsi di studio. Come vedete, in questo ragionamento tengo insieme tutta la filiera dell'istruzione, dall'infanzia fino all'università, perché secondo me è questo il modo corretto con cui dobbiamo guardare al tema del Sud. Il Sud, sia nelle indagini PISA dell'OCSE, sia nelle prove Invalsi, si colloca sistematicamente al di sotto della media italiana. È interessante vedere anche la complessità dell'aspetto dei divari territoriali e capire che la frattura non è soltanto tra Nord e Sud, ma che c'è una diversificazione molto accentuata tra le regioni e all'interno di queste; addirittura, anche all'interno – lo sapete meglio di me – delle scuole. Ci sono alcune realtà scolastiche anche nel Mezzogiorno che diventano veri e propri luoghi di segregazione sociale, rispetto ai quali bisogna avere una politica mirata. Questo circolo vizioso – che pesa poi in termini di acquisizione delle competenze, soprattutto di quelle che servono per la vita, sui retroterra economici, sociali e territoriali degli studenti – sta alimentando quel fenomeno di dispersione scolastica implicita che è una delle realtà che stiamo registrando con maggiore preoccupazione nel Mezzogiorno, da anni. Tutti i centri studi che si occupano del tema lo stanno evidenziando con grande preoccupazione. A tutti questi fattori si aggiunge un deficit infrastrutturale, in particolare nelle infrastrutture scolastiche, in termini di offerta di laboratori, di attività extradidattiche che continuano a rappresentare, a mio avviso, un elemento indispensabile per l'emancipazione dei giovani, degli studenti, dai contesti familiari e geografici da cui derivano. Insomma, la pluralità dei fabbisogni d'investimento che in tutta la filiera dell'istruzione emergono per le aree meno svantaggiate non è solo il frutto delle analisi a cui ho fatto riferimento, ma è una richiesta costante che ci viene sia dalle istituzioni comunitarie al massimo livello, sia dagli attori sociali: le forze della cittadinanza attiva che vivono la quotidianità di contesti urbani, e non solo, molto difficili. Devo dire che anche le parti sociali, il partenariato economico e sociale, hanno individuato questo come uno degli elementi fondamentali della coesione territoriale.
  Cito il documento che a metà ottobre Confindustria, CGIL, CISL e UIL mi hanno consegnato proprio sui temi del Mezzogiorno, in cui, tra le priorità individuate, si segnalava la necessità di rafforzare tutto il sistema dell'istruzione e della formazione e non ultimo, lo dicevo, il country report 2020 della Commissione europea che, nelle raccomandazioni specifiche per l'Italia, evidenzia quanto l'istruzione sia diventata una sfida cruciale soprattutto per il Sud. Devo dire che questo tema era stato messo a fuoco all'inizio del mandato di questo Governo. Lo avevamo condiviso con il Presidente del Consiglio. Io stesso, nelle prime uscite pubbliche sulle necessità di investimento nel Mezzogiorno, avevo esplicitato quanto il tema della scuola, dell'istruzione, della formazione fosse prioritario.
  Abbiamo provato a dare una prima risposta con il Piano Sud 2030, in cui si individuano alcune prime azioni da avviare su questo tema, che vanno però inserite in una politica generale rispetto alla quale volevo, in questa sede, provare a individuare un insieme coerente di interventi. La sede scelta per presentare il Piano per il Sud è stato un istituto d'istruzione superiore di Gioia Tauro, che ha una storia particolare. Era un istituto che appena dieci anni fa era diroccato poi, grazie ad alcuni progetti europei, è stato, sia dal punto di vista infrastrutturale che dal punto di vista didattico, fortemente ammodernato. Oggi è uno degli istituti che presentano livelli di performance elevatissime degli studenti, sia rispetto alle indagini che lo misurano, sia soprattutto anche al placement, in un contesto di mercato del lavoro molto complicato, come quello della Calabria. Simbolicamente, essere andati lì significa affermare quanto importante sia l'investimento nella filiera dell'istruzione per il Mezzogiorno. Non a caso, la prima delle cinque missioni che orientano le grandi direttrici di investimento del Piano, si chiama «un Sud rivolto ai giovani» e parte proprio dalla necessità di investire su tutta la filiera dell'istruzione. Già diverse volte ho avuto modo di sottolineare quanto sia scandaloso per un Paese come l'Italia tollerare livelli di povertà minorile, con un nesso molto stretto Pag. 6con la povertà educativa minorile, che al Sud raggiunge mezzo milione di bambini. Si tratta, però, di un fenomeno che non riguarda solo il Mezzogiorno, ma anche altre aree svantaggiate del nostro Paese: periferie urbane del Centro-Nord, della città di Milano, alcune aree interne in tutta Italia, un pezzo dell'Appennino. È un tema che va affrontato dal punto di vista meridionale, perché lì incide sicuramente di più, ma riguarda la coesione territoriale in tutto il Paese; c'è l'idea che la scuola non sia più luogo di emancipazione o che non riesca a essere fino in fondo quel luogo di emancipazione personale, di aggregazione sociale e di presidio di cittadinanza che deve contestualmente provare a essere in tutte le realtà.
  Nel «Piano per il Sud» abbiamo individuato alcune prime azioni da avviare nel 2020. Lo abbiamo fatto in particolare su questa prima missione «un Sud rivolto ai giovani», collaborando molto con il Ministero dell'istruzione. Non sono solo qui le misure che riguardano tutta la filiera dell'istruzione, perché abbiamo anche un'altra missione che è orientata all'innovazione, un Sud frontiera dell'innovazione, in cui c'è un investimento sugli ITS. Anche questo riguarda una politica generale in tutto il Paese; ma con il Piano Sud stiamo parlando di risorse aggiuntive, addizionali, che devono innescare processi di convergenza. Il primo tema e la prima azione, che abbiamo chiamato «scuole aperte nel Mezzogiorno», è uno degli esempi più chiari di quanto sia necessario coordinare l'azione pubblica ordinaria con le politiche di sviluppo e coesione, le politiche aggiuntive che dobbiamo realizzare nel Mezzogiorno. Ciò di cui abbiamo bisogno oggi per colmare alcuni dei divari nelle performance scolastiche degli studenti è di aumentare l'offerta di tempo pieno e tempo prolungato nelle scuole del Sud; tuttavia, questo sarà possibile solo, ad esempio, fissando i livelli essenziali delle prestazioni da garantire in quei territori e assicurando le risorse ordinarie per la fornitura di alcuni servizi che oggi, i comuni, in quelle realtà, non sono in grado di attivare. È una delle ragioni per cui è molto difficile realizzare il tempo pieno e il tempo prolungato in quelle realtà. In attesa che questo accada, abbiamo però la possibilità, con le risorse aggiuntive, con le risorse della coesione, di realizzare programmi di attività didattiche extracurriculari, di carattere culturale, sociale, artistico, sportivo, anche nel pomeriggio, attivando laboratori nelle scuole, secondo progetti che già esistono in alcune regioni, che hanno funzionato e hanno prodotto buoni risultati e che noi vorremmo progressivamente estendere a tutte le scuole del Mezzogiorno che sono in grado di poter attivare questi percorsi. Bisogna farlo a partire dalle aree a maggiore incidenza di povertà educativa minorile, di dispersione scolastica implicita. Su questo c'è già una mappatura in corso da parte del dipartimento e questo ci orienta molto nella selezione della politica. Bisogna realizzarlo, però, anche in collaborazione con le regioni. Con il Ministero dell'istruzione, vogliamo attivare un tavolo immediato per poter realizzare questo percorso già nell'anno scolastico 2020/2021, quello che si aprirà.
  La seconda azione mira a rafforzare a Sud il contrasto alla povertà educativa e alla dispersione scolastica. In questo caso, lo si fa rafforzando nel Mezzogiorno l'azione già importante del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile, in collaborazione con le fondazioni di origine bancaria che sono interessate a rafforzare la loro azione nelle realtà meridionali. È una misura che stiamo mettendo a punto. C'è un'azione invece, sempre concordata con il Ministero dell'istruzione, che mira – nell'ambito del programma di riduzione dei divari territoriali nelle competenze, che il Ministero dell'istruzione sta avviando – a fare carotaggi su alcune scuole, in particolare della Campania e della Sicilia, che si trovano in una situazione particolarmente problematica in termini di dispersione scolastica implicita, per rafforzare gli interventi e il contributo delle politiche di coesione su quelle regioni, in modo da estendere i modelli su tutto il resto delle regioni del Mezzogiorno.
  Come dicevo all'inizio, tra i fabbisogni d'investimento che emergono, quelli infrastrutturali Pag. 7 hanno un peso, secondo noi molto, molto rilevante. Il fabbisogno per l'edilizia scolastica comunicato al Ministero dalle regioni, nella recente programmazione 2018/2020, ammonta complessivamente a circa dieci miliardi, per oltre 6.000 interventi. Stiamo provando a potenziare l'edilizia scolastica nel Mezzogiorno, migliorando la capacità di spesa dei fondi già esistenti che sono complessivamente stimati in quasi 8 miliardi di euro. Lo facciamo anche rafforzando e migliorando l'esperimento della task force sull'edilizia scolastica che ha operato presso l'agenzia alla coesione territoriale, in collaborazione con il Ministero dell'istruzione. Già a dicembre dello scorso anno, con il Ministro Fioramonti, avevamo sottoscritto il protocollo d'intesa per estendere e rafforzare la task force sull'edilizia scolastica fino al 2023, assicurando un percorso e risorse adeguate per offrire assistenza ai beneficiari degli interventi, insieme a misure di semplificazione sul processo di investimento, che favorissero l'accesso da parte delle istituzioni scolastiche alle risorse regionali e nazionali programmate per questi interventi, perché su questo ci viene evidenziata una criticità forte da parte delle istituzioni scolastiche. Il Piano, da questo punto di vista, adotta procedure di attuazione rafforzata, con una maggiore disponibilità da parte di presidi centrali dell'amministrazione pubblica, di centri di competenza nazionale, di fornire supporto poi alla progettazione nel caso delle politiche di sviluppo e di coesione, che possono tornare molto utili anche dal punto di vista dell'edilizia scolastica.
  Mi preme ricordare che ci sono azioni che riguardano anche il mondo dell'università e della ricerca. Su tutta la filiera ricerca e innovazione, con il Ministro dell'università abbiamo inserito nel Piano alcune azioni per attrarre ricercatori al Sud. Anche in questo caso c'era già una linea di azione con la ricerca e l'innovazione che aveva avviato un percorso in questo senso. Devo dire che i ricercatori stessi mi segnalano la necessità, in termini di inquadramento, di assicurare una continuità all'offerta e alla capacità di produrre ricerche in questi territori che, a mio avviso, deve essere attenzionata anche nei lavori di questa Commissione.
  Un'altra azione che abbiamo avviato con il Ministro dell'università e della ricerca, che riguarda in particolare le università del Mezzogiorno, prova a correggere un sostanziale paradosso della no tax area al Sud: una misura che dovrebbe garantire un diritto d'accesso all'istruzione più avanzata, all'università, rischia, poiché le risorse non vengono ristorate a sufficienza, di penalizzare paradossalmente proprio le università del Mezzogiorno, dove l'incidenza di studenti no tax area è maggiore. Quindi, stiamo ragionando su come rivedere i criteri di accesso alla no tax area per gli atenei del Mezzogiorno, in modo da rafforzare il contributo straordinario che si può dare a compensazione dei mancati importi che derivano per quelle università. Questo è un meccanismo che, insieme allo sforzo che si sta facendo per la copertura del diritto allo studio e delle borse per gli idonei nelle università meridionali, dovrebbe almeno favorire e accrescere il diritto all'accesso all'istruzione più avanzata.
  Vorrei concludere con alcune considerazioni di carattere generale. Il 16 settembre del 2019, all'inaugurazione dell'anno scolastico, il Presidente della Repubblica a L'Aquila – c'ero anch'io – aveva affermato che ancora troppi studenti lasciano precocemente la scuola senza completare il ciclo di studi e questa è una grave menomazione della vita sociale. Credo che questa menomazione penalizzi soprattutto il Mezzogiorno, ma diventi un vincolo enorme allo sviluppo dell'intero Paese. È con questa stessa ragione che abbiamo affrontato il Piano Sud 2030. Ridurre i divari territoriali non è solo un'esigenza di giustizia per rendere questa Italia più coesa, ma anche la leva per attivare il potenziale inespresso di sviluppo dei territori e delle persone, anche nel Mezzogiorno. C'è bisogno però di intervenire non solo per affrontare l'emergenza, ma anche per offrire una prospettiva di lungo periodo; perché, quando hai un processo di spopolamento così massiccio, come quello che è avvenuto nelle regioni meridionali, il tema non è solo l'emergenza, Pag. 8 la mancanza di lavoro nell'immediato, ma anche la mancanza di una prospettiva di sviluppo a dieci, vent'anni, in quei territori. Sono convinto che proprio a partire dai percorsi, dall'investimento nell'istruzione, possiamo cominciare a costruirla. Per questo c'è bisogno sicuramente di politiche di coesione che mirano specificamente a ridurre i divari territoriali, ma anche di una politica ordinaria che tenga conto dei differenti impatti territoriali delle proprie scelte, una politica ordinaria che non sia più cieca rispetto ai luoghi e ai fabbisogni diversi nelle aree territoriali, perché altrimenti le politiche di coesione restano uno strumento molto limitato per riuscire a correggere e a invertire la tendenza. Non si deve perdere l'ambizione, tuttavia, a provare a plasmare, a inserire meccanismi, anche sperimentali, che possano migliorare l'azione pubblica ordinaria.
  Questo è quello che proviamo a fare, sapendo però che il circolo vizioso, in cui a una debolezza del sistema produttivo corrisponde un impoverimento del capitale umano, va spezzato in più punti, perché i nessi di causa-effetto non sono mai univoci. Sono convinto che dobbiamo agire sulla filiera dell'istruzione, così come su quella della produzione, dello sviluppo, perché solo spezzando in più punti quel circolo vizioso, possiamo provare a costruire quello che, a partire dalle scuole, deve essere un diritto a restare anche nei territori in cui si vive. Questo non riguarda solo il Mezzogiorno, riguarda, a mio avviso, anche le valli del Centro-Nord che si stanno spopolando. I giovani devono essere liberi di andare, ma devono avere l'opportunità di tornare e costruirsi un futuro di qualità, anche nei luoghi in cui sono nati e cresciuti.
  Aggiungo, in conclusione, un pensiero che mi ha costantemente accompagnato mentre venivo qui: questi sono giorni in cui la cronaca prende il sopravvento rispetto a tutto ciò che abbiamo in mente. Spesso ci riporta alle vere priorità. È così l'emergenza del coronavirus, ma non posso in questa sede non ricordare quanto accaduto a Napoli nei giorni scorsi. È una tragedia sbagliata. Una storia sbagliata da qualsiasi punto di vista la vogliamo guardare. Quando un giovane di quindici anni perde la vita in una rapina, possiamo indagare sulle responsabilità individuali, che pure ci sono e che esistono, ma questo richiama la politica e le istituzioni a una responsabilità molto, molto grande. Nell'editoriale di un giornale era scritto: «Chi va a fare una rapina sa che si può prendere una pallottola in testa.» A me ricorda una frase che spesso mi sento ripetere al Sud: «chi va per questo mare, questi pesci prende». Il problema che riguarda noi è che non siamo stati in grado di allontanare troppi giovani, in troppi contesti urbani, in particolare al Sud, in particolare in alcuni quartieri della grande città di Napoli, da queste acque tempestose. Non possiamo accettare che il destino dei giovani sia segnato dalla sorgente fino alla foce e che non ci sia la possibilità di emanciparsi e di liberarsi da una storia già scritta. Tutto questo dobbiamo farlo noi. Dobbiamo farlo come istituzioni, dobbiamo farlo con le politiche pubbliche, dobbiamo farlo anche con le politiche di coesione e dobbiamo farlo chiedendo aiuto e un contributo importante a tutte quelle realtà associative, a quelle reti di cittadinanza attiva che già stanno operando in quei territori che conoscono queste difficoltà e che l'hanno fatto troppo spesso in una sostanziale solitudine rispetto alla politica pubblica. Questa solitudine è quella che noi dobbiamo provare a colmare per fare in modo che non avvenga più.

  PRESIDENTE. Grazie, Ministro. Passerei a dare la parola a chi ha prenotato l'intervento, partendo dal Gruppo Misto. Prego.

  ALESSANDRO FUSACCHIA. Grazie, presidente. Volevo ringraziare anzitutto il Ministro per la presentazione e per la riflessione che ci ha fatto sul Piano per il Sud e sul fatto che è tutto costruito – mi pare di capire non solo leggendo il testo, ma anche in quello che ci diceva – attorno alla questione delle persone, del capitale umano. Mi sembra una buona innovazione, non Pag. 9perché mi sfugga il drammatico problema delle infrastrutture fisiche al Sud, ma perché viviamo in un mondo talmente veloce e complesso che o capiamo che l'unica chiave un po' liberale, mi verrebbe da dire, Ministro, è quella di investire sulle persone e sugli individui, oppure non ne usciamo.
  Ho quattro, cinque punti molto veloci, visto che ho poco tempo, che volevo sollevare all'attenzione del Ministro. Non so se ci sarà una replica, comunque confido che poi il Ministro farà tesoro degli spunti che escono questa sera da questa Commissione. Il primo: scolarizzazione a tre anni obbligatoria. Visto che abbiamo parlato tanto di istruzione, università, ricerca. Lo dirò anche alla Ministra Azzolina, ad altri suoi colleghi, però qui c'è una questione che riguarda il Sud, per cui abbiamo dei dati che non mi confortano, nel senso che i dati sono troppo buoni rispetto a qualsiasi giro uno si faccia in tanti posti del Sud. Invece, credo che rafforzare le possibilità di avere un'effettiva scolarizzazione di bambini e bambine a tre anni sia un fattore centrale e fondamentale di contrasto alle disuguaglianze di partenza. Non vorrei che il Governo e il Parlamento siano un po' distratti su questo, perché ogni volta che arriva un dato, per quanto ci siano ancora differenze tra regioni d'Italia, è significativamente buono, quando è ufficiale. Quindi, voglio sollevare un campanello d'allarme, perché con le sue strutture e con quelle del Governo si faccia un approfondimento, una verifica. Collegato a questo: bene mettere soldi, approfittando dei finanziamenti europei, sul tempo lungo. Stiamo facendo un lavoro in Commissione sull'innovazione didattica, da cui sta emergendo la questione di tenere di più a scuola, mi verrebbe da dire semplificando, i ragazzi; bisogna però migliorare ulteriormente che cosa fanno questi ragazzi quando stanno a scuola. L'innovazione didattica riguarda anche i muri: significa rifare le classi, perché non vanno bene come sono state fatte nel Novecento. È fatta di tecnologia, ma è fatta anche di insegnanti che lavorano diversamente. Stiamo cominciando a trasmettere il concetto di formazione lungo tutto l'arco della vita agli studenti e alle studentesse, ai giovani, ma lo dobbiamo trasmettere a tutti gli adulti, ai lavoratori, e dobbiamo trasmetterlo pure agli insegnanti. Il Ministero competente, in questo caso, fa del lavoro da anni, ma non si finisce mai di fare abbastanza su questo fronte e sarebbe buono, anzi, ottimo, se anche il Ministro per il sud e per la coesione territoriale, prendendo da un lato ancora una volta i finanziamenti europei, potesse intervenire significativamente su questo.
  Un altro punto veloce ha a che fare con la parte degli italiani all'estero. Io sono stato eletto in Europa, quindi ci tengo particolarmente per contratto elettorale, mi verrebbe da dire. C'è una questione che ho trovato molto originale nel rapporto: quella delle rimesse 2.0. Sono stato con alcuni colleghi a Parigi di recente. Abbiamo parlato proprio di questo tema, cioè del contributo culturale che possono dare. Nel Novecento, il ragionamento era: riportiamo qualche cervello scappato dal Sud Italia nelle università. Oggi, come lei ha giustamente ricordato, stiamo parlando di circolazione dei cervelli, non solo di rientro; per quanto sia reale il problema dell'emorragia, tuttavia ci sono tante formule per far sì che i migliori giovani e non giovani che stanno in Europa, senza allargarmi troppo, in questo momento possano dare un contributo da dove stanno a risollevare il capitale culturale e sociale del Sud Italia.
  Due questioni e vado a chiudere velocemente. La prima: con alcuni colleghi abbiamo proposto al Governo di fare i dottorati comunali, cioè di costruire dentro i comuni dei presìdi di ricerca che consentano a tanti giovani di poter dare un contributo allo sviluppo dei propri territori e a far sì che i comuni, anche quelli più piccoli, possano avere un contributo di ricerca e di attenzione per affrontare la sfida della transizione digitale e della transizione ecologica a livello locale. Sarebbe bello – ne parleremo, ovviamente anche con il Ministro Manfredi, visto che lo ha citato più volte e con cui mi pare che abbiate una buona collaborazione su tanti fronti – aggiungere anche il capitolo della rigenerazione urbana. Un tema legato alla nostra Commissione, perché l'idea di avere alcuni luoghi, Pag. 10oltre alla scuola e all'università, che vengano recuperati e trasformati in posti dove i giovani possano poi esercitare tutte quelle funzioni sociali orizzontali, che li aiutano a crescere come persone, credo sia importante dappertutto, soprattutto al Sud. Su questo so che sta lavorando. Ci piacerebbe e mi piacerebbe molto saperne di più e poter capire come anche il Parlamento e la nostra Commissione, sempre sul lato del capitale umano e della conoscenza, potrebbe dare una mano.
  Chiudo, presidente, su un punto molto semplice: tutto questo si fa, Ministro, con un'amministrazione pubblica diversa. C'è una questione di persone che mancano e quindi di insufficiente numero di persone, ma c'è pure una questione di qualità e di età media, anagrafica e di competenze maturate prima, fuori dalla pubblica amministrazione. Su questo serve una rivoluzione copernicana in tutta Italia, ma soprattutto in alcune parti d'Italia. Quindi mi piacerebbe molto sapere come lei, per quello che attiene alla sua sfera di competenza e, in generale, il Governo, sta cercando di prendere di petto questa questione, perché altrimenti tante cose belle che ci stiamo dicendo, rischiano poi di non arrivare fino in fondo, perché si perdono lungo la cinghia di trasmissione che parte dalla politica e arriva all'ultimo dei funzionari, nell'ultimo dei comuni d'Italia. Grazie.

  GABRIELE TOCCAFONDI. Grazie, presidente. Ringrazio il Ministro. Visto che il Ministro stesso ci ha chiesto sia un parere, sia alcune idee in merito a quanto oggi descritto e al piano del Sud, entrerei in maniera schematica, proprio sul suo suggerimento e sulla sua richiesta.
  Parto dall'università. Noi non abbiamo mai demonizzato – e non vogliamo iniziare a farlo oggi – l'emigrazione universitaria proprio perché, per sua natura, il percorso universitario, non essendo obbligatorio, deve poter garantire ad ogni singolo studente la possibilità di frequentare, in ragione delle proprie vocazioni, l'ateneo migliore rispetto a un certo indirizzo. La fase della proliferazione degli atenei – anche al Sud è successo – e delle sedi distaccate non ha funzionato, perché non è così che si fanno alta formazione universitaria e qualità del percorso universitario. Dobbiamo puntare, certo con risorse anche aggiuntive – lo sottolineiamo anche noi – sulla qualità degli indirizzi già oggi presenti in molti atenei del Sud e su indirizzi nuovi, rispetto sia alle prospettive occupazionali e lavorative, sia alle nuove occupazioni e ai nuovi lavori.
  Sul tema degli ITS: Ministro, funzionano e lo sappiamo tutti, funzionano bene quelli che hanno imprese che investono anche capitale umano al loro interno. Si può chiedere tutto al percorso professionalizzante degli ITS o delle lauree professionalizzanti che occupano parallelamente un altro segmento, tranne che creare impresa e lavoro. Si formano tecnici avanzati, specializzati, che il mondo del lavoro altrimenti non avrebbe sul mercato. Più che la proliferazione di nuovi ITS in tutta Italia, Sud compreso, è forse il caso di andare nella direzione che è contenuta nel DPCM 25 gennaio 2008 che istituì gli ITS, ovvero quella della proliferazione dei corsi e non delle fondazioni. Si possono benissimo fare corsi anche in Regione, che hanno difficoltà a trovare tessuto imprenditoriale, ma partendo da ITS che funzionano magari anche in altre regioni. Quindi, rispetto alle idee, bene gli ITS, ma attenzione alla proliferazione della governance, cioè della testa della fondazione e non la proliferazione dei corsi, magari chiedendo aiuto a ITS che già funzionano.
  Il tema della dispersione scolastica: a mio avviso è il tema principale e il più drammatico, soprattutto, ahimè, in alcune aree del Sud. In particolar modo, da sempre, a me destano preoccupazione i dati statistici della dispersione scolastica, dei percorsi secondari di secondo grado, le scuole superiori e i tecnici e professionali che in alcune realtà del Paese arrivano a perdere il 30 per cento dei ragazzi. Quando un ragazzo scappa da un istituto professionale, mi chiedo sempre dove possa andare a finire. La risposta ognuno se la può dare. Non chiedo certo al suo Ministero di risolvere questo tema. Lo dico a me stesso e a tutti noi, perché con il Ministero dell'istruzione, dobbiamo prendere in considerazione Pag. 11 il tema della revisione dei percorsi di istruzione tecnica e superiore, perché lì si annida il tema della dispersione.
  L'ultimo dato, presidente, lo rivolgo al tema delle scuole aperte: è fondamentale. Ci crediamo tantissimo. La sperimentazione dei bandi «Scuole aperte», qualche anno fa, ha funzionato. Dobbiamo però riempirle di contenuti, soprattutto per combattere la dispersione scolastica, perché i ragazzi, va da sé, avranno difficoltà se gli si dice di rimanere anche il pomeriggio. Quindi i bandi, perché presumo che saranno fatti alcuni bandi, devono contenere esplicitamente progetti e percorsi che la scuola deve fare insieme ad altri soggetti del territorio, che possono riguardare lo sport, la cultura, il teatro, l'associazionismo, il volontariato, gli oratori: un territorio che faccia attività all'interno della scuola. A quel punto possono essere – la sperimentazione ha dato questa indicazione – luoghi di aggregazione vera e, quindi, anche di contrasto alla dispersione scolastica. Grazie.

  VALENTINA APREA. Grazie, presidente. Ministro, mi concentrerò sui finanziamenti, un Piano Sud per i finanziamenti. Pur ammettendo che gli investimenti previsti possano rappresentare una buona opportunità per il Sud – anche se si tratta di utilizzo di fondi comunitari che da sempre sono a disposizione delle regioni del Sud e non sempre sono stati utilizzati – mi sento di dire, e questo è il cuore del mio discorso, che è un piano vecchio, Ministro. Non le si addice, perché lei è giovane. Sono ricette che hanno già fallito. Allora voglio cominciare con la denuncia di due mancanze che possono inficiare tutto il piano, con riferimento alla pur richiamata qualità dell'istruzione.
  Innanzitutto un problema, Ministro: il Sud ha un solo problema e da questo derivano tutti gli altri. Glielo dico, perché il Sud rimarrà com'è, finché non saremo in grado di garantire l'accessibilità universale alla banda ultralarga, alla BUL. Guardi, non è un modo di dire questo, è un alibi. La cultura degli alibi finirà, quando il Sud avrà le stesse opportunità del Nord, ma se non gliele diamo e non gliele costruiamo, la cultura degli alibi crescerà sempre. È assente in tante zone del Sud la banda ultralarga, è assente in tante scuole, soprattutto superiori che, pur volendo, non riescono ancora a utilizzare la didattica digitale in forma gratuita, perché prive di connessione. Non hanno neanche il registro elettronico, cioè il minimo sindacale della didattica digitale. Anche se questa competenza attiene al Ministero dell'innovazione, quindi capisco bene che magari questo pezzo possa essere stato previsto da un altro Ministero e da un altro Ministro, è grave che questo Ministero non sia stato coinvolto nel piano, perché c'è un'altra innovazione. La banda ultralarga, il piano, l'agenda digitale dovrebbero essere previste comunque di default; però qual è il problema? Cosa mi aspetto da lei? Da un Ministro giovane – e che so essere nel suo partito anche un punto di riferimento di queste politiche del Sud – mi sarei aspettata una declinazione di tutto quello che avremmo potuto fare, come fanno i bambini, no? Se avessimo la banda ultra larga, che cosa si potrebbe fare in questo territorio, dove oggi non c'è tutto questo? Così, rispetto alle altre due misure delle scuole aperte tutto il giorno e del contrasto all'abbandono scolastico, si prefigura – non si faccia trascinare in questo dal Ministero dell'istruzione, dai ministeriali – un aumento di docenti e di tutor, insomma nuove assunzioni, ma senza alcun riferimento all'azione prioritaria di formazione straordinaria dei docenti, che sola può, con percorsi di trasformative learning, portare anche la scuola del Sud nel terzo millennio. Loro sono convinti di essere comunque in una situazione di povertà anche culturale, però non mettono in discussione tutto questo. Finché si trascinano vecchi e fallimentari metodi di insegnamento e di apprendimento e si insiste solo sulla quantità – più tempo scuola, più insegnanti – non si otterrà più qualità, percorsi di apprendimento digitali, ambienti multifunzionali, alternanza scuola-lavoro, ricerca e innovazione, hard e soft skill del terzo millennio. Insomma, il contrasto alla povertà educativa e alla dispersione scolastica nel 2020 non può, non potrà e non deve essere Pag. 12perseguito con le logiche del Novecento, peraltro inefficaci.
  Se dopo tanti anni di interventi straordinari a favore delle zone depresse del Sud, maestri di strada, implementazioni di organici, tempi lunghi, tempi pieni, i risultati non sono arrivati, è gravissimo che il «Piano per il Sud» non faccia riferimento mai ai percorsi di istruzione e formazione professionale. La formazione professionale, Ministro, per il conseguimento di qualifiche professionali molto richieste dal mercato del lavoro che rimandano a modalità diverse di apprendere, con un focus molto più incentrato sulle attività pratiche on the job che su quelle teoriche. È giusto potenziare gli ITS proprio al Sud, ma questi non vanno confusi con le lauree professionalizzanti. Bisogna creare tecnici specializzati 4.0., manutentori di impianti energetici, tecnici del settore tessile, abbigliamento, progettazione del prodotto di moda, tecnici superiori per la meccatronica, quindi tecnici smart, tecnici per la mobilità, per le infrastrutture marine. Potremmo ancora continuare, ma sempre a livello di tecnici.
  Su tutta quella realtà e mi avvio alla conclusione, c'è un ultimo aspetto. Così pure una raccomandazione con riferimento al potenziamento dell'edilizia scolastica: evitiamo, Ministro, di costruire edifici ancora secondo le logiche del secolo scorso con aule, banchi, lavagna. Non è peregrina questa mia osservazione, perché abbiamo visto recentemente consegnare alle zone terremotate edifici di questo tipo. Se anche si riuscisse, Ministro, a realizzare tutto questo per il Sud, ci sarebbe ancora una criticità richiamata nel piano che fa tremare le vene e i polsi. L'ha accennato, ma io voglio arrivare ancora a quello che viene prima, cioè quella che voi definite giustamente «la nuova emigrazione». L'ISTAT ha reso noti, nel mese di febbraio, dati sconcertanti sulla popolazione nelle regioni meridionali, che nel 2019 si è ridotta di 129.000 persone: più di quella di tutta l'Italia nel suo complesso. Sempre secondo L'ISTAT, il calo delle nascite e l'aumento dell'emigrazione verso il resto del Paese stanno erodendo la popolazione delle regioni meridionali. L'Italia si riempie pian piano da una parte e si svuota rapidamente dall'altra. Nello scenario mediano dell'ISTAT il numero degli abitanti del Nord cresce fino al 2042, mentre quello del Sud non fa che calare. Tra ventidue anni sarà meno di due terzi rispetto al settentrione. Più di un laureato su tre se ne va, mentre il Nord ne riceve un afflusso netto.
  Un'ultima riflessione: la forza lavoro nella parte meno ricca dell'Italia potrebbe diventare sempre meno qualificata e produttiva, aggravando e accelerando le tendenze recessive già presenti su quel territorio. Allora Ministro, occorre favorire reti orizzontali, filiere verticali, distretti tecnologici per produzioni avanzate, coinvolgendo enti pubblici e privati, centri di ricerca e industrie 4.0, per far nascere tante Silicon Valley nel Sud. Di questo abbiamo bisogno: tante Silicon Valley. Poiché il problema è la denatalità, bisogna assolutamente – non a parole – dotare le zone del Sud, di servizi sociali per bambini, asili nido e scuole dell'infanzia, sostenere con incentivi giovani famiglie che decidano di stabilirsi al Sud. In questo senso occorre pianificare interventi che non perdano di vista i dati anagrafici legati alle scelte della popolazione più giovane, per evitare di ritrovarsi tra dieci anni, come già accade in molte zone del Sud, con realtà prive delle giovani generazioni e quindi prive di futuro.
  Ho già visto tanti ministri che, prima di lei, si sono cimentati in queste politiche, ma se riproponiamo sempre le stesse politiche fallimentari, Ministro, nel 2020, mi creda, non ce la caviamo. Lei che è giovane può fare anche un salto di qualità. Non stia a sentire troppo i ministeriali, i vecchi ministeriali dei vecchi ministeri.

  FLAVIA PICCOLI NARDELLI. Grazie, presidente. Ministro, la nostra collega, Valentina Aprea, mette grandissima passione – lei l'ha capito bene – in questa sua battaglia sulle innovazioni, sulle nuove tecnologie, su un tentativo di trasformare il Sud, tenendo conto di queste possibilità. Io vengo invece da una cultura politica di vecchia tradizione che ha investito moltissimo nel Sud e che ha nelle proprie radici questo tipo di investimento. L'investimento Pag. 13sul capitale umano, ma nella consapevolezza anche della straordinaria complessità tipica di questo problema, derivante dal fatto che molte zone presentano situazioni molto diverse fra di loro e che, quindi, è difficile poi definire in maniera semplice.
  Lei ha parlato di un tema fondamentale, quello di un circolo vizioso che si crea e che ha portato a molti fallimenti ogni volta che si affronta il problema del Sud. Nel suo piano lei deve lavorare, Ministro, con due punti di riferimento: da un lato il Ministero dell'istruzione e quello dell'università e della ricerca e, dall'altra, invece, il Ministero per i beni e le attività culturali e il turismo. Sono convinta che è anche tenendo conto di queste due realtà che possiamo affrontare meglio il problema del Sud, cioè il problema della scuola, dell'istruzione, della dispersione scolastica, in connessione con le profonde radici culturali del Sud, le sue ricchezze straordinarie.
  Mi sembra molto interessante, per quello che io ho visto del suo Piano per il Sud, la prospettiva di lungo termine, cioè di pensare al 2030, avendo ben chiaro di dover inserire nella politica generale del nostro Paese – per proporre, lei dice – in un insieme coerente di interventi, questo intervento specifico, tenendo sempre ben presente che queste sono risorse aggiuntive, ma che devono sommarsi a quello che è il nostro obiettivo, cioè arrivare a risorse ordinarie, sufficienti. Credo che dobbiamo avere ben presente questa consapevolezza.
  L'altro tema che lei ha affrontato, quello della cittadinanza attiva, che dobbiamo avere come punto di riferimento, credo sia centrale per poter affrontare al meglio i problemi del Sud del nostro Paese. Mi sembra molto interessante quello che lei dice a proposito dei progetti bandiera, in termini di prossimità, riconoscibilità, trasformazione.
  Su alcune grandi tematiche, cioè sul progetto «Grande Pompei», sul piano per il parco archeologico di Sibari e sul progetto dell'acquario mediterraneo di Taranto, le chiederei di dirci, se può, qualcosa di più. Grazie.

  DOMENICO FURGIUELE. Grazie, presidente. Grazie Ministro per la sua disamina che, da uomo del Sud, rappresentante delle istituzioni parlamentari, accolgo con lo spirito di un'interlocuzione che lei vuole stabilire nel modo più concreto e proficuo possibile, almeno nello spirito. Vede, signor Ministro, lei giustamente accennava ai dati che ci restituiscono una fotografia del Mezzogiorno d'Italia, dal punto di vista scolastico, di una povertà educativa che definire allarmante potrebbe essere soltanto un eufemismo. I giovani in età scolare, che dovrebbero rappresentare il giacimento per la rinascita di quei territori, in realtà sembra che vivano all'interno di una gabbia di pregiudizio sociale, di disagio sociale che ormai è troppo ampio. In realtà, come diceva lei, la nostra Nazione non sembra essere un Paese per i minori, se è vero che esistono un milione e 300.000 ragazzi in età scolare che vivono nella povertà più assoluta; il 12,5 per cento; quasi uno su dieci. In questo, ovviamente le regioni del Sud, il Mezzogiorno intero, sono nel bassofondo di una classifica, che si contendono diverse regioni, non sto qui a specificare quali. Nel Sud, ma non solo, sembra che la nostra Nazione si distingua per il fatto che i giovani non riescono ad emanciparsi, ad affrancarsi dal disagio che vivono le proprie famiglie, non riescono a trovare luoghi di incontro per favorire lo sviluppo della cultura, per favorire lo svolgimento delle attività sportive e di tutta una serie di attività ludico-ricreative. Non riescono a usufruire realmente di strutture che, nella migliore delle ipotesi, sono sottoutilizzate e nella peggiore sono addirittura chiuse e abbandonate. Strutture che, se messe in rete – lei lo ha anche esplicitato prima indirettamente – potrebbero rappresentare uno start, una nuova ripresa per percorsi che potrebbero essere virtuosi, percorsi di resilienza per i bambini che potrebbero condurli a migliorare, nel breve periodo, le proprie competenze. C'è però bisogno di percorsi virtuosi e non virtuali. C'è bisogno di mettere in rete tutte queste strutture che sono di proprietà di diverse istituzioni – che, nella maggior parte dei casi, non hanno i fondi per metterle a regime – attraverso una collaborazione tra il Ministero della pubblica istruzione e il MiBACT, come diceva Pag. 14 la collega che mi ha preceduto. C'è bisogno di questi spazi aggregativi per fare sport, per fare cultura, per fare cinema, che nel Mezzogiorno d'Italia funziona tantissimo. C'è bisogno dei bonus libri. C'è bisogno che le scuole, su impulso del MiBACT siano richiamate a valorizzare il bacino culturale, il patrimonio culturale del proprio territorio. Sto parlando in modo pragmatico, sollecitando a far entrare le classi direttamente a contatto con gli scavi che sono abbandonati, con i musei che ormai sono relegati alla polvere e alle ragnatele. Chiedo al Ministro se non ritenga utile convogliare la forza del Ministero dell'istruzione e del MiBACT per far sì che la cultura entri direttamente nel problema. È soprattutto la scuola che deve entrare nella trincea e non può rimanere inerme.
  Altro punto fondamentale da meridionale, da calabrese: ha presentato a Gioia Tauro il Piano per il Sud e immagino che lei conosca quella parte d'Italia. Non crede che gran parte del divario dipenda anche dall'assenza di infrastrutture, di trasporti per alcune regioni come quella calabrese che spesso e volentieri viene considerata come una grande spiaggia, ma poi geomorfologicamente in realtà è una catena montuosa che contiene al suo interno, nel suo entroterra, vere e proprie cittadine che spesso rimangono isolate, con la conseguenza che questo isolamento si riverbera inevitabilmente sulla realtà giovanile? Signor Ministro, lei ha presentato con il presidente Conte questo Piano per il Sud a Gioia Tauro. Eppure, c'è stata una piccola polemica sulla copertina di presentazione raffigurante il golfo di Trieste. Lo dico perché non vorrei che ancora una volta, come ha detto la collega Aprea, le ragioni del Sud vengano considerate con troppa superficialità. I giovani del Sud probabilmente avranno un retaggio politico. Strumentalmente, le potrei dire che non hanno colore o appartenenza politica, probabilmente; tuttavia, spero che ce l'abbiano, anche se questo non ci riguarda. Noi tutti abbiamo il dovere morale di mettere a frutto quelle risorse e quei giacimenti. Grazie.

  PAOLO LATTANZIO. Grazie. Ben ritrovato, Ministro. Alcuni spunti in maniera molto breve: innanzitutto mi sento di esprimere apprezzamento per l'approccio ampio del piano che lei ha presentato e dell'illustrazione che ne ha fatto; ampio non tanto per il numero di aree che è andato a coprire, ma proprio per il tipo di lettura dei vari fenomeni.
  Mi ha colpito ciò che avevo sentito già dalle sue parole prima di questa audizione, ovvero il modo di intendere l'edilizia scolastica non soltanto come costruzione di nuove scuole o di nuovi spazi, ma come una riflessione ampia sugli spazi educativi, innovativi e quindi sulla tipologia di didattica da portare all'interno delle scuole del Sud. Questo credo sia un aspetto molto, molto importante.
  Mi rincuora sentirla parlare spesso di povertà educativa, di povertà educativa minorile, perché vuol dire che davvero finalmente questo tema è al centro dell'agenda quotidiana. La prima domanda è su questo: il contrasto alla povertà educativa, come ci insegnano alcune delle esperienze principali in Italia, ma non solo, si realizza soprattutto attraverso la creazione di una comunità educante. Quindi vorrei capire come intende posizionare e rafforzare la scuola all'interno di questa comunità educante, laddove, soprattutto al Sud, molte piccole comunità rischiano di essere eccessivamente disgregate, mentre sappiamo che, invece, si deve partire dalla scuola sia per il contrasto alla povertà, sia per il contrasto a ogni forma di illegalità diffusa.
  Il secondo punto riguarda la sua definizione del Sud come frontiera dell'innovazione, come frontiera innovativa. Credo che ci sia una grande sfida fra i gap – lo citava poco fa il collega Fusacchia – che le pubbliche amministrazioni e tutto il Sud dimostrano in merito alle competenze della platea di soggetti attivi che possono lavorare sulle politiche e sulle grandi sfide che la società pone, soprattutto alle nostre comunità. Credo che su questo, e mi piacerebbe sentire il suo punto di vista, una collaborazione sempre più stretta tra pubblico e privato e soprattutto fra università pubblica ed enti locali possa avvicinare i Pag. 15ragionamenti, le speculazioni sull'innovazione tecnologica, l'innovazione digitale e l'innovazione ecologica ai bisogni, alla capacità degli enti pubblici, seppur piccoli, di realizzare specifici interventi nelle varie comunità. Grazie.

  VITTORIO SGARBI. Ministro Provenzano, ho letto negli appunti alcune delle cose che lei ha detto. Le pongo un problema che è stato affrontato soltanto marginalmente: il sapere del Meridione, nella dimensione della criminalità organizzata, è un sapere che il settentrione non conosce. Non ci sono scuole di crimine; mentre le scuole di crimine che sono la formazione di genitori verso i figli – come l'ultimo episodio che abbiamo visto del giovane ucciso dal carabiniere incriminato, persino volontario – indicano che ci sono scuole di formazione che nel Nord non hanno ragione di essere. Non possiamo con questo immaginare un'Italia divisa in due, ma certamente, rispetto al sapere, sì. Il sapere della criminalità è una forma di istruzione che è difficile apprendere nel Nord. Questo sapere poi è ulteriormente potenziato dalla produzione di film che sono generalmente legati a un fenomeno piuttosto indagato, che è quello di uno scrittore, il quale indica la mitologia dei giovani criminali in film che hanno spesso poi la benedizione di ministeri e dello Stato. Ora, per quanto noi vogliamo fare, l'emulazione che quei film incutono nei giovani è talmente forte che nessuna scuola riuscirà ad avviarli verso obiettivi più importanti. Non sarà insegnando Platone od Omero, che riusciremo a vincere i modelli culturali dei camorristi, dei cantanti camorristi e di tutto quello che viene insegnato ai giovani come modello, perché dove non c'è lavoro e dove non c' è conoscenza, l'alternativa è il mondo della criminalità, che offre a sua volta lavoro. Questo occorrerebbe riuscire a contrastare: da un lato, l'idea di una parte d'Italia che, a parte il coronavirus che ha paralizzato il Nord, è economicamente penalizzata; dall'altra parte, l'influsso di modelli culturali negativi che non vengono dalla strada, ma dal mondo della cultura, dal mondo del cinema, dal mondo di quelli che pensano di combattere la mafia e in realtà la sostengono dal punto di vista dell'immagine. Questo mi sembra un tema fondamentale. Non so come si possa reagire con un'alternativa cinematografica: l'idea di fare imparare ai giovani qualcosa come la bellezza che hanno davanti agli occhi, ma che ignorano; quale quantità di meraviglie ci sono in Meridione, del tutto disertate, salvo la mitologia, anche questa, dall'enfasi cinematografica di Pompei. C'è una quantità di luoghi di sapere che sono del tutto disertati e dall'altra parte abbiamo una promozione culturale, perché il cinema è cultura, che indica come valori quelli negativi. È evidente che un ragazzino di quindici anni sarà un ottimo ladro, che rischierà di essere ucciso come non accade a un ragazzino del Nord. Quindi mi pare che il tema sia sostanziale. Non saprei se affrontarlo con bande larghe o bande strette. Va affrontato dal punto di vista etico e del lavoro. Occorre riuscire a immaginare un Meridione che diventi produttivo e che offra lavoro e non criminalità, non delitto e non furto. I Rolex in tasca di quel ragazzo segnalavano una formidabile formazione. Ha fatto un'ottima scuola. Non era la scuola giusta, ma è assurdo che noi, con i soldi dello Stato, finanziamo poi promozioni di quel mondo attraverso autori che hanno anche molto rilievo, che non indicano il male, ma lo esaltano. L'esaltazione del male è il vero problema del Meridione.

  ROSA MARIA DI GIORGI. Grazie. Come dire, gli interventi di Sgarbi non sono mai interventi che non lasciano traccia. In realtà, se possiamo essere d'accordo sulla questione della mitizzazione del filmato, quello di cui stiamo parlando, certamente non si può pensare che su questo ci sia possibilità di intervento. Allora pensiamo a Montalbano, di Camilleri: quello è un esempio positivo, no? Però non è emulato. E allora, rispetto a questo, certo, l'osservazione è anche corretta. È ciò che si diceva ai tempi della trilogia de Il padrino, quando tutti poi volevano essere il «mafiosone» italoamericano. Comunque, indubbiamente l'influsso della cultura c'è. Io sono una critica su quel tipo di sceneggiato, che però vedo diffuso dappertutto; quindi chiudo la parentesi. Pag. 16
  Vorrei riportare la discussione sul tema di stasera. Intanto, voglio porre una questione più generale: quella legata al fatto che abbiamo un Ministro per il Sud. Ritengo che questo sia un elemento assolutamente positivo, da considerare come una svolta nelle nostre politiche. Acquisire come tema delicato, delicatissimo, del nostro Paese – e dalla sua relazione appare molto bene – il fatto che abbiamo un problema Sud, e di volerlo affrontare con un Ministero ad hoc, a me dà tranquillità. Naturalmente, le manovre e le mosse possono essere varie. Ci sono le politiche di questo Ministero e sulle politiche del Ministero o sulla valutazione del Piano per il Sud naturalmente ci possono essere opinioni diverse; siamo partiti diversi e quindi abbiamo, grazie al Cielo, opinioni diverse. Trovo che ci siano, invece, molte sollecitazioni positive che sono state anche poste dai colleghi che hanno parlato fortemente del tema della cultura, quindi del patrimonio culturale del Sud, e in quale misura si debba intervenire perché esso diventi davvero qualcosa di sacrale e usufruibile a tutti i costi dai giovani del Sud, ma non solo. La cultura come elemento trainante: rispetto a questo, credo che abbiamo moltissimo da fare e possiamo soltanto sbizzarrirci e far sì che le imprese, ma gli stessi giovani nel Sud, fra sé, oppure organizzati in associazione, possano utilizzare tutti gli strumenti dell'imprenditorialità che usufruiscono di finanziamenti di varia natura, non ultimi naturalmente – direi anzi per primi, in quelle sedi – i finanziamenti europei. Credo che rispetto a questo ci possa essere una crescita, che evidentemente non può che andare in una prospettiva positiva.
  L'aspetto che, invece, intendo trattare in particolare, perché mi sembra che il Ministro l'abbia sviluppato, è il tema dell'approccio che dobbiamo avere e delle misure che dobbiamo mettere in campo relativamente alla questione della scuola, cioè l'abbandono scolastico, la dispersione. Faccio parte della Commissione per l'Infanzia e l'Adolescenza. Due o tre giorni fa, abbiamo avuto il Procuratore presso il Tribunale dei minori di Napoli, che, come soluzione ai problemi drammatici che ci sono, a Napoli in particolare, vedeva come soluzione da prospettare quella dell'apertura pomeridiana delle scuole: la scuola come antidoto, come unico strumento realmente utile, perché si possa intervenire sulla criminalità, sul disagio, sulla disgregazione, sulla povertà educativa. Credo che si debbano scegliere le linee di intervento, perché è giusto fare un piano, e l'ho condiviso; dopodiché, con alcuni ministeri di competenza, è necessario che si abbiano alcune priorità.
  Edilizia scolastica: al Sud bisogna rifare le scuole, e i fondi ci sono; quindi bisogna orientarli verso il Sud da parte del Ministero competente. Le aperture, gli insegnanti: ci sono meno studenti al Nord; Valentina Aprea, la collega, lo sa bene. Allora, possiamo forse orientare verso il Sud tante risorse di insegnanti, che devono e possono anche ritornare nei loro luoghi per le aperture pomeridiane. Su questo dobbiamo lavorare, ma non è qualcosa che compete al Ministro. Naturalmente, ci deve essere una fortissima collaborazione con il Ministero dell'istruzione.
  Non parlo dell'università, ma vorrei dire, Presidente, soltanto una cosa: tanti giovani del Sud scelgono di andarsene. Scelgono di fare tre anni al Sud, fanno la triennale al Sud e poi vanno al Nord a fare il biennio, perché al Nord pensano di avere maggiori opportunità. Ecco, rispetto all'analisi che facciamo, dobbiamo considerare questo tema, e considerarlo fortemente, perché sono flussi che in qualche modo devono essere governati e governabili, perché altrimenti perdiamo un pezzo della nostra analisi. Quindi, buon lavoro. Noi ci siamo per essere stimolanti e per riuscire a dare il nostro contributo. Credo che sulle priorità ci sia bisogno di fare delle scelte, e questa è indubbiamente la scelta dei giovani, dei bambini, degli asili nido; e mi pare siano scelte del Governo. Credo che queste strade siano da percorrere assolutamente. Grazie.

  ALESSANDRO MELICCHIO. Grazie, presidente. Grazie Ministro. Da calabrese non posso che ringraziarla d'aver scelto Gioia Tauro per presentare il suo Piano per il Sud. Rincuorano anche le sue parole e la Pag. 17sua attenzione. Io mi concentrerò prevalentemente su aspetti universitari.
  Volevo riportare quello che emerge dall'ultimo rapporto AlmaLaurea sul profilo e sulla condizione occupazionale dei laureati. Si dice che, per motivi di studio, al netto dei pochissimi laureati che dal Centro-Nord si iscrivono ad atenei meridionali, il Sud perde quasi un quarto dei diplomati del proprio territorio. Questi dati trasmettono il timore che gli atenei, da fattori di mobilità sociale, si trasformino in amplificatori delle disuguaglianze. Non si tratta di un caso, ma questo scenario è il risultato di un lungo processo che ha portato i governi precedenti, prima, a tagliare i finanziamenti sul fondo ordinario, e poi a redistribuirlo in parti diseguali tra gli atenei, penalizzando quelli del Mezzogiorno. Continuando a permanere quei criteri di distribuzione, sia delle risorse economiche sia delle facoltà assunzionali, che stanno penalizzando le università del Sud, gli atenei del Meridione perdono ogni anno più di cento professori. Non è solo una questione di divergenza. È giusto parlare di «divergenze» e non di «divergenza», perché sicuramente ci sono divergenze anche fra aree rurali e urbane; però se parliamo di università stiamo parlando prevalentemente dei capoluoghi di provincia; di conseguenza parliamo di aree urbane. La differenza emerge ancor di più fra Nord e Sud. La perdita di docenti per le università è una questione decisiva, perché con meno docenti si riduce il contributo delle università al territorio di insediamento, e, come rilevato dallo SVIMEZ, al Centro-Nord per un docente che esce ne entrano fino a cinque; al Sud, meno di uno. Perciò, una delle questioni su cui ragionare è la distribuzione dei punti organico. Ovviamente è una questione prettamente del Ministro dell'università, ma gliela sottopongo perché è un tema che secondo me è da dibattere, sia all'interno del Governo, ma anche per volerlo sottoporre ai colleghi di questa Commissione. Finora, la ripartizione dei punti organico si è basata su criteri che hanno premiato le università con iscritti in zone economicamente più vantaggiose. Se noi mettiamo sull'asse delle ordinate il reddito pro capite e sull'asse delle ascisse le tasse universitarie di quegli atenei, vediamo che alla crescita del reddito pro capite cresce anche l'importo di tassazione applicato dal diverso ateneo. Dato che nella ripartizione dei punti organico e dell'FFO il bilancio pesa molto in questa distribuzione, non possono che essere avvantaggiati gli atenei dove ci sono gli iscritti – passatemi il termine – più ricchi. Di conseguenza, bisognerebbe agire su questo. Non è solo una questione di no-tax area non ripagata; è proprio una questione sociale scegliere di premiare quegli atenei in cui ci sono iscritti meno abbienti, per riequilibrare la scala sociale. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie. Prima di passare la parola al Ministro, che ha deciso di replicare, dando la disponibilità a farlo anche stasera, vorrei segnalare in un minuto alcuni temi. Lei ha citato il caso sostanziale, avvenuto questa settimana, di un rapinatore e di alcune uccisioni; purtroppo, è solo l'ultimo dei casi accaduti che vedono violenza, degrado, criminalità, anche minorile, all'interno di uno stesso episodio avvenuto in contesti urbani e vicino alle scuole. Su questo fronte, esiste l'idea di una misura strutturale d'intervento, anziché una serie di progetti? Secondo me è importante prevedere un contenitore unico, come è stato fatto dal Governo con il Piano per il Sud, ma la necessità di una misura shock, che sia uniforme e strutturata, nei momenti in cui si continuano a presentare episodi più o meno con le stesse dinamiche, forse è un'esigenza che va colta e a cui bisogna dare una risposta. Penso a reti strutturali intorno alle scuole, dove ci sono terzo settore, imprese e tutti i presìdi culturali che devono rendicontare risultati e fare il monitoraggio delle politiche attuate.
  Ultimo tema: in questa Commissione è stata approvata la legge sulla lettura, poi approvata definitivamente al Senato. In quella misura si parla della carta per affrontare il tema della povertà educativa e culturale. Visto che è stato citato dal Piano per il Sud, si pensa di poter integrare le politiche del Piano con le misure che questa Commissione ha già approvato? Si prevede anche di potenziare gli strumenti legislativi Pag. 18 già in corso per definirli al meglio, anche coordinandosi con altri ministeri? Grazie.

  GIUSEPPE LUCIANO CALOGERO PROVENZANO, Ministro per il sud e la coesione sociale. Do la mia disponibilità a replicare adesso, ovviamente, però faccio una brevissima premessa: questo è uno strumento di lavoro; non è un piano che ha definito il programma delle azioni per il Sud nei prossimi dieci anni. È uno strumento che ha provato a offrire, sulla base delle analisi dei fabbisogni, alcune prime azioni e direttrici strategiche di intervento sulle quali orientare l'azione pubblica. Consentitemi di chiarire alcune delle cose che sono state sollevate; anche alcune obiezioni critiche.
  Vede, onorevole Aprea, io non ho l'ansia di fare cose nuove; ho l'ansia di fare le cose giuste, e possono consistere anche, in qualche caso, nel recuperare uno spirito di missione nazionale per il riequilibrio territoriale del nostro Paese, che nel corso degli anni è andato perduto. Non si tratta solo di risorse europee, che qui ci sono sempre state; anzi quella è la parte del Piano meno sviluppata, nel senso che la programmazione 2021-2027 è quella che dà un orizzonte più ampio, rispetto al quale abbiamo provato a definire missioni e obiettivi prioritari che siano coerenti con gli obiettivi di policy che ci vengono dalla Commissione europea e soprattutto con gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell'Agenda dell'ONU 2030. Una delle ragioni per cui si chiama Agenda 2030 è anche questo: non solo perché si collega alla nuova programmazione, ma anche per questi obiettivi. Non si tratta solo di risorse aggiuntive, perché questo Piano non è un atto di indirizzo politico, non è un decreto; anzi, le norme che hanno consentito di elaborare questo Piano sono già scritte nella legge di bilancio, in particolare nel rafforzamento della clausola del 34 per cento, che riguarda risorse ordinarie, quindi non aggiuntive, e soprattutto la possibilità di riattivare, rispetto alle risorse europee, anche la leva nazionale delle politiche di coesione, che negli ultimi anni era stata un po' immobilizzata. È il cosiddetto Fondo sviluppo e coesione, i cui dati di assorbimento e di spesa che ho registrato al momento del mio insediamento sono peggiori rispetto, perfino, a quelli che analizzavo da studioso, nel senso che nel 2018 abbiamo speso di FSC nel Mezzogiorno appena 1,2 miliardi.
  Una delle cose su cui ho voluto agire è proprio il rilancio degli investimenti. In qualche caso significa alzare il telefono e capire dove si è fermato o inceppato quel processo. Qualche risultato, anche nell'ultimo scampolo del 2019, su questo l'abbiamo ottenuto. Sa, onorevole Furgiuele, a volte gli errori possono essere provvidenziali. Sono veramente contento del fatto che si è parlato di questo Piano anche per la foto di Duino, che non era una copertina, ma era una slide che voleva proprio provare a dire quanto il Piano per il Sud fosse importante per l'Italia. Questo è uno dei concetti fondamentali che provo a sviluppare nell'azione politica che accompagna poi le scelte di Governo, perché, dopo un'intera Seconda Repubblica, che è stata segnata ed è nata dalla contrapposizione territoriale tra Nord e Sud, sono convinto che, tra le cose antiche da recuperare nel nostro Paese, c'è questo concetto dell'«interdipendenza», che è ancora attualissimo e fondamentale. Ovvero, quanto l'investimento al Sud può far bene anche al resto del Paese, quanto può attivare in termini di domanda di beni e servizi. Questa è l'idea di un Sud che non si vendica dei torti subiti. Eppure, qualche torto l'ha subito nel corso degli ultimi decenni, a mio avviso. È un Sud che si mostra utile allo sviluppo del Paese.
  Sull'attuazione del Piano Sud 2030 – perché qui era la mia introduzione e mi sono concentrato sull'aspetto che riguarda l'istruzione – penso che dare attuazione a questo Piano sia di straordinaria attualità proprio oggi, in questi giorni, proprio nel momento in cui l'area più produttiva del Paese sta entrando in difficoltà e il Sud ha l'occasione di sentire su di sé, sul suo mondo del lavoro, sul suo mondo delle imprese, che esiste. Non c' è un deserto produttivo al Sud. Nonostante il ventennale sistematico disinvestimento pubblico al Sud, c'è stato un sistema produttivo che ha Pag. 19provato a reagire, che è stato anche resiliente rispetto alla crisi. Ecco, tutto questo mondo ha una responsabilità in più per far capire quanto può essere utile allo sviluppo dell'Italia. Questo è il quadro generale su cui ci muoviamo. Faccio tesoro di molte delle osservazioni che sono emerse in questo dibattito, in questa discussione. Dando anche qualche rassicurazione, il Piano parte. Parte subito – anche perché le norme e gli interventi che consentivano di attuarlo sono già operativi – con alcune scelte, proprio come ci invitava a fare l'onorevole Di Giorgi, per le scuole aperte. Sono queste le prime azioni che sono state avviate o avviabili nel 2020. Su questo, condivido molte delle cose che sono emerse qui, cioè l'esigenza di fare anche innovazione didattica, di coprire gli spazi pomeridiani con attività extracurriculari che possano richiamare anche l'attenzione dei giovani a frequentare le scuole, ma non solo: l'idea è quella delle scuole aperte alla cittadinanza, alle famiglie, ai genitori, alla cultura diffusa per disseminare sapere, soprattutto in alcuni contesti fondamentali. Su questo c'è la piena sintonia rispetto alle cose che mi avete detto, anche sul tema degli ITS.
  Nel Piano si parla del rafforzamento degli ITS addirittura con percorsi di accompagnamento, con gli ITS che già funzionano. Su questo c'è un'analisi in corso su alcuni istituti maggiormente in difficoltà al Sud, che hanno la necessità di attivare percorsi didattici diversi, che guardino a una vocazione produttiva, che magari in quel territorio può cambiare. Qui è emerso il tema della cultura: per esempio, la prospettiva di industrie culturali e creative in alcune aree in cui sono in corso processi di deindustrializzazione, che hanno messo in crisi quegli istituti tecnici. In quel caso è necessario avviare percorsi nuovi.
  C'è tutta la questione dell'università, emersa anche adesso, da ultimo, nell'intervento dell'onorevole Melicchio. Concordo con l'idea dell'università di Campanile, però, al Sud in particolare, ma in tutta Italia, c'è un grande tema che riguarda le città medie. Non credo a questa storia del «secolo delle città», del fatto che tutto debba concentrarsi, agglomerarsi. Anche perché dobbiamo, sì, favorire processi di agglomerazione, che nell'economia della conoscenza sono fondamentali, ma abbiamo anche la necessità di avere un meccanismo di città che funzioni in maniera molto più equilibrata su tutto il territorio nazionale; ma occorre porsi anche il problema di come gestire una transizione. Non so se il prossimo sarà il «secolo delle città», delle megalopoli. Ma, sicuramente, l'Italia è ancora oggi un Paese di province; ha una grandissima ricchezza nelle sue città medie, che non può essere impoverita, in particolare dal punto di vista dell'offerta universitaria. Faccio il caso di Cosenza, che è un caso fondamentale per quanto riguarda il Sud, relativamente al ruolo che quell'università ha avuto, anche nell'attivazione dei processi di sviluppo molto innovativi, per rispondere alle sollecitazioni dell'onorevole Aprea. Grazie all'investimento che si è fatto, a Cosenza abbiamo la localizzazione di una multinazionale giapponese che si occupa, tra le poche in Italia, di intelligenza artificiale. Questo implica la necessità di preservare anche quei presìdi universitari in quel territorio.
  C'è un tema che riguarda il Fondo di finanziamento ordinario e tutta la questione dell'accessibilità. Condivido la sollecitazione che veniva dall'onorevole Piccoli Nardelli sul tema della cultura e, in effetti, nell'introduzione non mi ci ero soffermato troppo, ma c'è il capitolo che qui abbiamo chiamato «di nuova politica territoriale». C'è un tema che riguarda il Sud, di politiche di sviluppo, così come l'abbiamo impostato: Nord e Sud a livello macro; ma poi, sul piano territoriale, vogliamo intervenire su due grandi contesti. In fondo, io ho voluto chiamarmi «Ministro per il Sud», ma anche «per la coesione territoriale», proprio perché c'è un tema di divari territoriali che riguarda il rapporto centro-periferia, il rapporto aree urbane e aree interne, il rilancio delle aree interne, che viene fatto attraverso la garanzia del soddisfacimento dei diritti essenziali, a cominciare dall'istruzione e dalla salute; quindi, in quel caso, il tema dell'istruzione è fondamentale nel rilancio della SNAI (Strategia nazionale aree interne). Pag. 20
  In realtà, questo piano prova ad avere nuovo slancio e nuova linfa proprio con il contributo della cultura. Il MiBACT ha individuato alcuni progetti, soprattutto in alcuni borghi, in alcune realtà che vanno valorizzate dal punto di vista del sapere diffuso, un sapere che ha anche ricadute produttive. Questa montagna povera dell'Appennino che si sgretola non è ancora un deserto; è un luogo in cui ancora si produce, in cui c'è cultura, e che va valorizzato e preservato.
  Poi c'è tutto il tema dei contesti urbani, per venire anche alla sollecitazione di un disegno integrato di interventi che veniva fatto dal presidente. I contesti urbani sono le periferie del Sud. Noi abbiamo già sperimentato, nella programmazione attuale, uno strumento di intervento che ha funzionato molto bene, soprattutto in alcune aree del Paese, perché ha fatto leva non solo sulle smart city e quindi su quell'asse, ma anche su come si coniughino innovazione urbana e innovazione sociale all'interno delle città. Il PON Metro, che ha avviato una serie di progetti integrati nelle periferie, fa leva proprio sugli attori sociali presenti in quei territori, con esperienze importantissime a Milano, a Bologna, ma anche in alcune realtà del Sud. Su questo, non solo vogliamo preservare e rafforzare la prossima programmazione, ma già attivare alcune linee di intervento sulle città medie, quindi non soltanto sulle città metropolitane. In questo quadro di interventi di riqualificazione c'è tutto il tema delle periferie urbane del Sud, dove ci sono i fenomeni che oggi la cronaca ci riporta all'attenzione, ma che registriamo da anni. Su questo abbiamo avviato una serie di progetti, anche concreti. C'è tutto il tema della riqualificazione di alcune aree. Scampia: abbiamo visto l'abbattimento della vela, ma abbiamo anche rimodulato il patto per immaginare la rigenerazione di quel quartiere, facendo leva anche sulle associazioni e i soggetti, le reti di cittadinanza, che lì operano e vivono.
  Anche quello dei progetti bandiera non è un tema cinematografico, per rispondere all'onorevole Sgarbi, come viene raccontato, ad esempio, il Grande Progetto Pompei. Abbiamo bisogno, anche per far riguadagnare credibilità a queste politiche di coesione, che l'hanno perduta in larga misura, di capire esattamente che cosa facciamo con esse. Abbiamo smarrito la possibilità di immaginare grandi progetti con le politiche di coesione, ma questi grandi progetti non sono grandi opere. Sono progetti integrati, innanzitutto; prodotti che vengano poi riconosciuti, che siano riconoscibili. In un quadro in cui ci lamentiamo sempre che i fondi europei in Italia non vengono spesi, o quando vengono spesi vengono spesi male, il Grande Progetto Pompei rappresenta una delle migliori pratiche in Europa che viene studiata. Replicare quel modello, che è stato anche un modello di governance che ha funzionato, e farlo in maniera integrata, è una delle possibilità per non essere costretto sistematicamente a difendermi dal fatto che voglio fare politiche di riequilibrio territoriale, perché quelle politiche cambiano i territori e cercano di migliorarli.
  Ovviamente, mi sono soffermato sulla parte legata all'istruzione; invece nel corso del dibattito è emersa la pluralità delle questioni che riguardano i temi del Mezzogiorno. Ho apprezzato lo sforzo di sintesi dell'onorevole Aprea. Non credo che sia solo il tema dell'infrastruttura digitale il principale problema del Sud. Il Sud ha una pluralità di problemi ai quali, con il Piano, vogliamo dare risposte articolate: le cinque missioni, le misure trasversali sull'impresa e il lavoro... Certo che il tema delle infrastrutture è decisivo per spezzare l'isolamento, perché quei processi di abbandono e di spopolamento sono dovuti anche alla sensazione di isolamento che si vive. Però, proprio perché siamo in una sede parlamentare così prestigiosa, bisogna anche dirsi le cose come stanno: il Piano Banda ultralarga, in cui, peraltro, io sono coinvolto – sono fondi alla coesione che utilizziamo – e che era orientato a fornire le infrastrutture digitali, in particolare nelle aree in cui il mercato non doveva arrivare, cioè nelle aree interne, è fortemente in ritardo rispetto al cronoprogramma realizzato, per una ragione precisa: occorre, da parte di tutti, uno sforzo di maturazione sulle modalità Pag. 21 con cui lo Stato organizza anche la sua domanda pubblica. Penso che l'errore fondamentale sia stato immaginare, per un'infrastruttura così strategica, un affidamento attraverso una gara al massimo ribasso, che consente oggi all'impresa responsabile di rispettare il cronoprogramma, di pagare, per i suoi ritardi, penali che sono inferiori rispetto agli investimenti che avrebbe dovuto fare per rispettare quel cronoprogramma. Questo è un tema che riguarda non solo il Governo, ma anche il Parlamento. Siccome i piani per la banda ultralarga vanno fatti, nel prossimo evitiamo di replicare questo meccanismo assurdo del massimo ribasso, che sulle infrastrutture strategiche ci sta uccidendo. Pensiamo a quanto sarebbe stata fondamentale la banda ultralarga in questi giorni in cui si parla di telelavoro, di lavoro a distanza; ma, soprattutto, garantire un futuro all'altezza.
  La battaglia per le aree interne non è la battaglia per un piccolo mondo antico. Lì vivono oltre dieci milioni di persone e c'è la possibilità di immaginare percorsi di sviluppo. Il vero elemento di novità, riguardo però all'attuazione – su questo davvero la invito a dare un'occhiata a questo Piano – è il metodo. Ci sono scelte, pure non scontate, che sono state compiute, in termini di policy, di azioni prioritarie da definire. Altre le faremo attraverso un percorso partenariale nel quale io credo molto; però la vera novità riguarda il metodo e la necessità di rigenerazione amministrativa. Su questo non mi posso soffermare, ma è un tema sollevato anche dall'onorevole Fusacchia. Cos'è che, secondo me, qualifica questo Piano rispetto a quelli che sono stati predisposti in passato? Lo scopo è provare a dare un'idea del Sud, da qui al 2030, che sia diversa.
  Per rispondere alle sollecitazioni dell'onorevole Sgarbi, senza entrare nelle critiche che ha sollevato su alcune fiction cinematografiche, ricordo l'eco di critiche antiche mosse a chi ha raccontato la mafia. «Il giorno della civetta», di Sciascia, è stato accusato di nobilitare la paura di don Mariano, ma oggi, a tanti anni di distanza, sappiamo che resta uno strumento fondamentale di lettura del fenomeno mafioso e anche di critica coraggiosa a quel fenomeno. Non ho le competenze per entrare in questo tema e non voglio farlo. Di certo, abbiamo la necessità di creare le alternative e di instradare percorsi che ci consentano di costruirle. Non so se quei ragazzi vadano a scuola o se sia un gioco della fortuna che li porta a incrociare destini diversi. Oggi il tema delle mafie riguarda tutto il Paese: la presenza della criminalità organizzata si è estesa anche al Centro-Nord. Oggi la politica di contrasto alle mafie è una vera politica di coesione nazionale, perché le mafie sono riuscite a unificare il Paese molto più di quanto ci siano riuscite le istituzioni. Quindi, non ridurrei la questione meridionale a questione criminale, perché questa sarebbe una scorciatoia intellettuale nella quale non voglio entrare.
  Non so se sia un frutto di scuole o frutto anche della fortuna, ma so che la politica, come chiedeva Machiavelli agli uomini, deve creare argini rispetto alla fortuna, che come un fiume in piena ci può portare in ogni direzione, compresa quella sciagurata che spesso registriamo nei contesti urbani del Sud, dove ci sono ragazzi quindicenni che finiscono a fare quella vita, senza una vera alternativa.
  L'alternativa sono i percorsi che noi costruiamo, proprio a partire dalla filiera dell'istruzione, della formazione, della conoscenza, del sapere, della cultura, della scuola, sui quali c'è stato uno sforzo, anche nel Piano, di capire, rispetto anche a ricette tradizionali, quanto prioritari siano oggi nel Mezzogiorno: quella è la strada migliore per costruire questi argini di cui gli uomini non possono fare a meno.

  PRESIDENTE. Ringrazio per la replica il Ministro e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 20.30.