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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVIII Legislatura

Commissioni Riunite (III e XIV)

Resoconto stenografico



Seduta n. 3 di Martedì 12 novembre 2019

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Battelli Sergio , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SUI NEGOZIATI RELATIVI ALLA BREXIT E SUL RELATIVO IMPATTO PER L'ITALIA

Audizione del Capo negoziatore dell'Unione europea sulla Brexit , Michel Barnier.
Battelli Sergio , Presidente ... 3 
Barnier Michel , Capo negoziatore dell'Unione europea sulla Brexit ... 4 
Battelli Sergio , Presidente ... 8 
Ungaro Massimo (IV)  ... 8 
Giglio Vigna Alessandro (LEGA)  ... 8 
De Luca Piero (PD)  ... 9 
De Giorgi Rosalba (M5S)  ... 10 
Formentini Paolo (LEGA)  ... 10 
Sensi Filippo (PD)  ... 10 
Delmastro Delle Vedove Andrea (FDI)  ... 10 
Ianaro Angela (M5S)  ... 11 
Colaninno Matteo (IV)  ... 11 
Battelli Sergio , Presidente ... 11 
Barnier Michel , Capo negoziatore dell'Unione europea sulla Brexit ... 11 
Battelli Sergio , Presidente ... 16 

ALLEGATO: Documentazione depositata dal Capo negoziatore dell'Unione europea sulla Brexit, Michel Barnier ... 17

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Partito Democratico: PD;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Cambiamo!-10 Volte Meglio: Misto-C10VM;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI;
Misto-+Europa-Centro Democratico: Misto-+E-CD;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
DELLA XIV COMMISSIONE SERGIO BATTELLI

  La seduta comincia alle 12.30.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-TV della Camera dei deputati.

Audizione del Capo negoziatore dell'Unione europea sulla Brexit , Michel Barnier.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Capo negoziatore dell'Unione europea sulla Brexit, Michel Barnier, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui negoziati relativi alla Brexit e sul relativo impatto per l'Italia.
  Saluto e ringrazio il nostro ospite, anche a nome della presidente Marta Grande.
  Nell'introdurre il dibattito, desidero sottolineare l'importanza di questa audizione, che si svolge a distanza di poche settimane da due importanti Consigli europei. Il 17 e 18 ottobre scorso infatti, in seguito alla riapertura dei negoziati, sono stati approvati i nuovi testi dell'Accordo di recesso e della dichiarazione politica che definisce il quadro delle future relazioni tra l'Unione europea e il Regno Unito. Il 28 ottobre, invece, il Consiglio europeo ha approvato, su richiesta di Londra, un ulteriore rinvio per l'uscita definitiva, portandola dal 31 ottobre al 31 gennaio. Uscita che – lo ricordo – potrà avvenire anche prima del 31 gennaio, ossia il primo giorno del mese successivo alla ratifica da parte di Londra e Bruxelles.
  Ritengo opportuno ricordare che il Consiglio europeo, nella stessa riunione, ha anche approvato una dichiarazione che, se da un lato esclude, per il futuro, la riapertura di negoziati sull'Accordo di recesso, dall'altra specifica che, fino alla data di uscita effettiva, il Regno Unito rimane a tutti gli effetti uno Stato membro dell'Unione europea, con tutti i diritti e gli obblighi; tra questi, c'è anche quello di indicare un candidato per la carica di membro della Commissione europea, il cui insediamento, com'è noto, è slittato almeno al primo dicembre 2019 in virtù del respingimento dei candidati di Francia, Romania e Ungheria da parte del Parlamento europeo. La stessa dichiarazione del Consiglio ha, inoltre, impegnato il Regno Unito ad astenersi da misure che potrebbero mettere in pericolo il raggiungimento dei compiti dell'Unione europea, in particolare nel suo processo decisionale.
  Nonostante la situazione di elevata incertezza, ritengo importante ringraziare il Capo negoziatore Michel Barnier per aver contribuito a mantenere una posizione compatta e coerente tra gli Stati membri dell'Unione europea durante negoziati così complessi. Ricordo che, per scongiurare il no deal – a mio giudizio una vera e propria catastrofe per britannici ed europei –, gli accordi dovranno essere approvati dal Parlamento del Regno Unito e, successivamente, dal Consiglio dell'Unione europea e dal Parlamento europeo, mentre la Dichiarazione sul quadro delle future relazioni tra Unione europea e Regno Unito, che seguirà l'uscita dall'Unione europea, coinvolgerà anche gli Stati membri che dovranno Pag. 4 ratificare la decisione secondo le rispettive norme costituzionali.
  Com'è evidente, il percorso è tutt'altro che lineare. A ciò si aggiunge un quadro reso ancora più incerto dalle elezioni che si terranno nel Regno Unito il prossimo 12 dicembre. È anche per questo motivo che accogliamo positivamente il fatto che il Capo negoziatore Barnier sia stato invitato a presiedere anche la task force che sarà incaricata di coordinare i negoziati per il futuro accordo di libero scambio tra Unione europea e Regno Unito, sempre che il quadro politico che potrebbe delinearsi da qui alle prossime settimane non abbia in serbo ulteriori colpi di scena. In quel caso ci riserviamo di invitarla ulteriormente qui in Parlamento.
  Concludo dicendo che una volta preso atto della volontà espressa dai cittadini britannici nel 2016 – al netto di ulteriori sorprese – il ruolo dell'Italia è sempre stato quello di incoraggiare la mediazione e l'accordo, non solo per tutelare l’export e tutti i rapporti commerciali ed economici, ma soprattutto per salvaguardare il futuro di lavoratori e imprese che operano nel Regno Unito. Ricordo che sono 700 mila gli italiani che vivono e lavorano lì e non possiamo certo sottovalutare il fatto che sarebbero loro l'anello debole nel caso di un'eventuale uscita senza accordo. Ecco perché faremo di tutto per scongiurare un'ipotesi del genere.
  Prima di ascoltare il dottor Barnier in ordine alle novità di questo nuovo Accordo e, in generale, sulle future prospettive per l'Europa e le sue relazioni con il Regno Unito, chiedo alla collega presidente Grande se intende, a sua volta, svolgere un intervento introduttivo.
  Rinuncia. Do quindi la parola al dottor Barnier, che ringrazio ancora per la sua disponibilità, chiedendo fin d'ora ai gruppi di far pervenire al banco della presidenza le richieste di eventuali interventi al fine di organizzare il dibattito nel modo più ordinato e consentire a tutti i colleghi che lo desiderino di intervenire.

  MICHEL BARNIER, Capo negoziatore dell'Unione europea sulla Brexit. La ringrazio, onorevole presidente. Onorevoli deputati, sono lieto di ritrovarvi in una sala nuova. Ero già venuto tre o quattro volte dall'inizio di questa mia missione negoziale davanti al Parlamento italiano. È importante per me proseguire e intensificare questo dialogo. Vi ringrazio di consentirmi di portarlo avanti nella mia lingua madre. Ringrazio gli interpreti. Non ho molte scuse, dovrei parlare italiano, in effetti. Alcuni di voi sanno che per quasi vent'anni sono stato eletto deputato, senatore nel mio Paese, ma in una regione molto vicina all'Italia: sono stato presidente della Savoia per quasi vent'anni, quindi non ho scuse. Eppure non sono in grado di esprimermi in italiano. Vi ringrazio comunque per la vostra comprensione.
  Siamo in un momento chiave di questi lunghi, complessi e straordinari negoziati. Stiamo aspettando, ancora una volta, che il Parlamento britannico, dopo le elezioni generali del 12 dicembre, si pronunci sull'accordo che abbiamo raggiunto, ancora una volta, col Governo britannico; ne avevamo già trovato uno quasi un anno fa e abbiamo raggiunto un nuovo accordo su altri punti con il primo ministro Johnson. Ora aspettiamo la ratifica di questo accordo. Ricordo che, se il Governo britannico e il Regno Unito vogliono ancora uscire dall'UE, questa è una scelta britannica, non nostra. Se il Governo britannico vuole ancora uscire in modo ordinato, se vuole il divorzio e lo vuole ordinato – è molto meglio di un divorzio disordinato –, allora questo è l'unico accordo possibile per organizzare una separazione ordinata. Ma la Brexit o questa separazione ordinata non è la fine della storia, è solo una tappa; la Brexit non è una destinazione. Poi, noi dovremo ricostruire tutto ciò che avremo smantellato con la Brexit, dovremo ricostruire una relazione, un partenariato importante e ambizioso con il Regno Unito, in tutti i campi in cui avremo smantellato i nostri rapporti perché questa è stata la scelta britannica. Dovremo ritrovare accordi per ricostruire il nostro partenariato.
  Rapidamente ricordo, con le slides che vi sono state distribuite, come si presenta questo straordinario negoziato (vedi slide 1): in giallo il negoziato sull'Accordo di Pag. 5recesso; in verde la Dichiarazione politica che accompagna l'accordo di recesso e che ha pari importanza, almeno ai miei occhi, perché definisce il quadro dei rapporti futuri. Al momento stiamo attendendo la ratifica e il giorno dopo il processo di ratifica, non solo in sede di Camera di comuni, ma anche al Parlamento europeo, che avrà l'ultima parola da parte europea, a quel punto potremo avviare un nuovo negoziato.
  Nell'Accordo del novembre scorso abbiamo acquisito un certo numero di punti con la signora May, che si ritrovano nell'Accordo firmato con il signor Johnson. Sono punti importanti per l'Italia e per i cittadini e le imprese italiane, innanzitutto riguardo ai cittadini, che sono stati la nostra priorità, del Parlamento europeo, ma anche di voi parlamentari; stiamo parlando di 700 mila italiani che vivono e lavorano nel Regno Unito. L'accordo con il signor Johnson conferma che i diritti di tutte queste persone, i diritti acquisiti fino alla fine della transizione, ovvero fino alla fine del 2020, saranno tutelati e mantenuti per loro, le loro famiglie e per tutta la durata della loro vita. Stiamo parlando di 4,5 milioni di persone in totale, di cui 700 mila italiani; 3,5 milioni di europei nel Regno Unito e un milione e mezzo di cittadini britannici che vivono, lavorano e talvolta trascorrono la pensione tra noi.
  Il secondo punto è il regolamento finanziario che interessa le regioni italiane, le università italiane, Erasmus, le aziende agricole italiane. Ciò che è convenuto in questo accordo, confermato dal primo ministro Johnson è che tutto ciò che è deciso a ventotto, cioè insieme ai britannici, sarà pagato dai ventotto, anche dopo l'uscita dei britannici. Poi, quando l'Unione europea conterà ventisette membri, sarà altrimenti, ad esempio per le nuove prospettive finanziarie sarà un'altra faccenda, ma tutto ciò che è stato deciso con i britannici sarà pagato insieme ai britannici. La transizione è un periodo ormai un po’ più breve: undici mesi se i britannici escono il primo febbraio. Non saranno più nell'Unione europea, nel Parlamento, nella Commissione, nella Corte dei conti, nel Consiglio, ma saranno sempre nel mercato unico e saranno sempre nell'Unione doganale. È un tempo preparatorio per il dopo, sarà anche una fase negoziale per i futuri rapporti e sarà una fase molto breve.
  Sempre in merito alla separazione, ho già detto davanti a voi che la Brexit, come un divorzio, crea molte incertezze e devo dire che le conseguenze della Brexit sono state grandemente sottovalutate e, di solito, spiegate male, specie nel Regno Unito.
  Che cosa abbiamo fatto in questo trattato di seicento pagine, ormai convenuto con il signor Johnson? Abbiamo cercato di riportare certezza giuridica in tutti i campi e per tutte le persone a cui la Brexit, come un divorzio, crea incertezza: i cittadini, i beneficiari dei fondi europei, Euratom, la tutela dei dati. La tutela delle indicazioni geografiche è un tema importante per l'Italia, il vostro Governo me ne ha parlato spesso – non occorre convincermi, perché sono stato anche Ministro dell'agricoltura francese: ci sono 3 mila indicazioni geografiche agricole (olio d'oliva, formaggi, vini e altre) che sono tutelate e saranno tutelate dai britannici nei loro futuri accordi commerciali, come noi tuteliamo le indicazioni geografiche britanniche (il whisky scozzese, ad esempio) nei nostri negoziati commerciali a venire.
  La governance e poi l'Irlanda (qui mi soffermerò un attimo). L'Irlanda è in una situazione particolare. Nessuno fino ad oggi è stato capace di dimostrarmi il valore aggiunto della Brexit. La Brexit fa perdere tutti, è un negoziato in cui tutti ci rimettono, ma dobbiamo portarlo avanti, perché questa è la volontà del Regno Unito dopo il referendum, anche se a noi dispiace. Il luogo in cui meglio si vede a che punto la Brexit produce rischi e crea conseguenze negative è l'Irlanda, perché lì c'è una situazione molto particolare; non solo si tratta di commerci, di merci, ma si tratta di persone, della pace, della stabilità di un Paese dell'Unione, o anche accanto a un Paese dell'Unione, quando i britannici saranno usciti. Appena vent'anni fa in Irlanda si è concluso un conflitto che ha provocato 4 mila morti e si è concluso con un documento che si chiama «Accordo del Pag. 6venerdì santo», ai sensi del quale le due parti, le due comunità, gli unionisti e i repubblicani, o i cattolici e i protestanti, hanno deciso di cooperare. Ci sono 140 cooperazioni in tutti i campi (donne, giovani, occupazione, ambiente, salute), con il sostegno dell'Unione europea, dei suoi diritti e delle sue politiche. Una delle condizioni di questa pace è che non ci sia più alcuna frontiera sull'isola dell'Irlanda tra i due Paesi, che oggi sono entrambi membri dell'Unione, membri del mercato unico e membri dell'Unione doganale.
  Lei, presidente, è qui accanto a me: immaginiamo che lei è nella Repubblica di Irlanda, a Dublino. Attraversa la stanza ed è nel Regno Unito; la frontiera in mezzo non c'è e non si può ricostruire una frontiera senza correre il rischio di provocare nuovi tumulti. Quello che conta in Irlanda sono le persone, la pace. Io, da tre anni ho questo in mente: non fare nulla che comprometta o indebolisca la pace, che è così delicata in Irlanda. Il problema è che dopo la Brexit il limite del mercato unico attraversa l'isola, quindi abbiamo un problema di controllo dei prodotti. Ricordo che su tutte le frontiere esterne del mercato unico, che si tratti dell'Italia, della Polonia, della Grecia, della Finlandia, o del Regno Unito, noi esercitiamo controlli rigorosi, in modo che non ci siano controlli poi all'interno. La condizione per non avere controlli all'interno è che noi i controlli li facciamo all'esterno e li facciamo su tre fronti: controllo dei prodotti per motivi sanitari, di sicurezza alimentare, di lotta alle malattie animali o vegetali; in secondo luogo proteggiamo il bilancio europeo e i bilanci nazionali, alimentati dal gettito dei dazi sulle importazioni e di tasse come l'IVA, e infine tuteliamo le aziende nei confronti di prodotti importati che non rispettassero le norme europee, oppure prodotti contraffatti. In Italia sapete, come noi in Francia, quali siano le conseguenze della contraffazione: ogni anno distrugge 220 mila posti di lavoro in Europa. Dunque controlliamo. In Irlanda non possiamo rifare la frontiera, ma dobbiamo fare i controlli. Quindi con il primo ministro Johnson, alla fine, abbiamo trovato un accordo che ci consente di fare questa quadratura del cerchio: niente frontiera dura, economia dell'intera isola, rispetto delle norme del mercato interno, tutela dei consumatori e delle aziende, e anche il fatto che l'Irlanda del Nord continui a far parte del territorio doganale britannico. Questo porta a un sistema un po’ complicato, ma stabile, operativo, se lo si applica bene, ai sensi del quale i prodotti che entreranno nell'Irlanda del Nord dovranno rispettare le norme europee, allineamento regolamentare per i prodotti, una sorta di mercato unico dei beni, ai sensi del quale, ancora, il Codice doganale europeo si applicherà anche in Irlanda del Nord, cioè i prodotti che entreranno nell'Irlanda del Nord saranno controllati dalle autorità britanniche sotto la nostra supervisione e dovranno rispettare le norme europee se poi passano sul territorio della Repubblica di Irlanda.
  È un sistema complesso, lo ammetto, ma è il sistema che abbiamo trovato, sotto il controllo di tutti i nostri esperti e giuristi, per preservare il mercato unico e verificheremo che questo sistema sia sostenuto dalle autorità politiche, dagli eletti all'Assemblea legislativa dell'Irlanda del Nord, ogni quattro anni. Ciò conferirà durata e sostenibilità al sistema, che dovrà essere appoggiato regolarmente, democraticamente dalle autorità politiche dell'Irlanda del Nord.
  Ecco a che punto siamo con questo accordo, di cui attendiamo la ratifica adesso da parte del Parlamento britannico. Come vi ho detto, onorevoli deputati, questa non è la fine della storia. La storia va avanti e la cosa più importante, per me, dopo il divorzio, è ricostruire un rapporto durevole con il Regno Unito. Qui, con il primo ministro Johnson ci siamo intesi su un testo di dichiarazione politica piuttosto preciso, di ventisei pagine (più facile da leggere rispetto al trattato della Brexit lungo 600 pagine), in cui descriviamo quattro grandi cantieri che trovate nella diapositiva (vedi slide 4): il cantiere dell'economia, evidentemente un accordo di libero scambio; il cantiere degli accordi specifici che dobbiamo raggiungere con i britannici, ad esempio in fatto di cooperazione inter-universitaria, oppure in fatto di pesca, aviazione, Pag. 7trasporti, Erasmus e tanti altri campi; il cantiere della cooperazione giudiziaria e di polizia (estradizione, eccetera); il settore della difesa, della sicurezza esterna e della politica estera. Io sono pronto, nell'ambito che mi affiderà il Consiglio europeo, ad aprire tutti questi cantieri, negoziando su una dozzina di tavoli non appena ci sarà la Brexit, perché vi ricordo che non possiamo negoziare accordi del genere con un Paese ancora membro dell'Unione: il Regno Unito deve uscire prima che si possa cominciare a negoziare.
  Torno al primo pilastro, per mostrarvi la mia famosa scaletta. In questa diapositiva (vedi slide 5), che forse avete già visto, vi mostro i vari rapporti che abbiamo con una serie di Paesi terzi con cui abbiamo relazioni economiche, a partire dal livello di massima integrazione, che consiste nel far parte dell'Unione – e vi ricordo che il miglior rapporto con l'Unione europea consisterà sempre nel far parte dell'Unione europea, sembra banale ma ricordarlo non guasta. Ogni altro tipo di rapporto sarà meno favorevole. Il secondo livello è quello dei nostri rapporti con la Norvegia, che non ha voluto entrare a far parte dell'Unione, ma ha chiesto di far parte del mercato unico e rispetta le regole che i britannici oggi non vogliono più rispettare. La Norvegia versa al bilancio europeo, rispetta la libertà di circolazione delle persone, rispetta il quadro normativo del mercato unico e rispetta il ruolo della Corte di giustizia.
  Queste sono le linee rosse britanniche, cose che i britannici non vogliono più fare, ecco perché loro chiudono la porta anche a questo modello.
  Scendiamo al modello che accettano i britannici, stando a quanto ci ha detto il signor Johnson e sta scritto nella Dichiarazione politica. Il modello che loro accettano è un semplice modello di libero scambio, come lo abbiamo con il Canada, con la Corea del Sud, o recentemente con il Giappone. Noi siamo pronti a negoziare un accordo del genere, però richiamo la vostra attenzione, perché questo interessa molto ai consumatori italiani e alle industrie italiane. Questa è la prima volta nella storia commerciale dell'Unione europea che noi negozieremo un accordo commerciale non nell'ambito di un processo di convergenza normativa, com'è successo con il Canada e la Corea, con cui abbiamo avvicinato le norme, gli standard, per poter commerciare più facilmente, qui è il contrario. Il Regno Unito è pienamente integrato nel mercato unico, ma comincerà a divergere, vuole divergere e addirittura questo è uno dei motivi della Brexit. Quindi dobbiamo negoziare un accordo commerciale nell'ambito di un processo di divergenza regolamentare e la questione, per noi e per voi, è: che ne sarà di questa divergenza? Rimarrà una divergenza ragionevole e controllata, o diventerà uno strumento di dumping sociale, fiscale, ambientale, nel campo dei diritti dei consumatori? Questo è il tema fondamentale dei nostri futuri rapporti. Il Regno Unito, lasciando l'Unione europea, vuole anche lasciare il modello normativo europeo? Se è così, dobbiamo stare attenti. Ecco perché abbiamo detto – e lo ripeto qui davanti a voi – che noi siamo pronti a un accordo a tariffe zero, quote zero, come vuole il signor Johnson. Ma non solo. Sarà tariffe zero, quote zero e dumping zero. Questo, più precisamente, vuol dire che il livello di accesso al nostro mercato europeo per i prodotti britannici sarà proporzionale agli impegni che il Regno Unito assumerà quanto al rispetto di certe regole del gioco in materia di aiuti di Stato, di fiscalità, di diritti dei lavoratori, o di diritti ambientali o dei consumatori. Ecco qual è il negoziato che si aprirà e vi faccio notare che sarà di competenza, probabilmente, dei Parlamenti nazionali. Ecco perché sono contento di tornare a trovarvi e tornerò ancora, se lei, presidente, gradisce, perché voi siete coinvolti in questa nuova fase negoziale.
  Sulla Brexit la ratifica europea spetterà al solo Parlamento europeo, anche se ho già dedicato del tempo a venire due o tre volte a discutere con voi, ma nella nuova fase negoziale sul futuro rapporto con il Regno Unito, tutto il negoziato o parte di esso, tutti i temi o parte di essi, si tradurranno in accordi misti in termini giuridici; accordi che esigeranno non solo la ratifica del Parlamento europeo, ma anche quella Pag. 8dei ventisette Parlamenti nazionali, tra cui il vostro, all'unanimità, più forse anche alcuni Parlamenti regionali, come si è visto in Belgio. Da parte britannica e da parte nostra raccomando a tutti di non sottovalutare l'importanza di questo futuro processo di ratifica.
  Qui mi fermo. Volevo dirvi che è anche questo il motivo per cui oggi sono qui a discutere con voi e che la mia squadra, diretta da Paulina Dejmek-Hack – che è qui accanto a me – un’équipe di settanta persone: è la vostra équipe negoziale, che coinvolge tutti i servizi della Commissione europea sotto il controllo del Parlamento europeo e del Consiglio europeo, e sarà a vostra disposizione per fornirvi, nel corso di questa fase negoziale, tutti i dati e gli elementi di risposta che vorrete. Noi saremo prioritariamente a disposizione dei Parlamenti nazionali, tra cui il Parlamento italiano. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie al Capo negoziatore Barnier.
  Do la parola ai colleghi che intendano porre quesiti e formulare osservazioni pregandoli di contenere i loro interventi nel limite di quattro minuti ciascuno.

  MASSIMO UNGARO. Grazie Capo negoziatore Barnier, noi ci sentiamo, come gruppo Italia Viva, completamente d'accordo con lei. Sarebbe stato meglio non avere la Brexit ma, in caso di Brexit, sicuramente è meglio l'accordo che avete fatto con il governo Johnson, altrimenti noi pensiamo che comunque, in caso di no deal, l'Italia sia abbastanza pronta, grazie al decreto Brexit approvato da questo Parlamento all'unanimità qualche mese fa.
  Pieno sostegno quindi a lei. Noi abbiamo sempre portato sostegno a un'azione comunitaria comune e non bilaterale, quindi pieno sostegno a lei, alla sua squadra e all'operato che lei ha fatto in questi ultimi anni.
  Un appello, se mi posso permettere, per la relazione futura, una volta che il divorzio verrà sancito: la lezione della Brexit è avere un atteggiamento tollerante, aperto con il Regno Unito, per favorire un rientro tra una o due generazioni, quando si renderanno conto, forse, i nostri amici britannici, dell'enorme sbaglio che stanno compiendo chiedendo di poter tornare. Quindi un appello ad avere un rapporto di indulgenza e di apertura verso i nostri fratelli britannici.
  Ho due domande. La prima: alla luce dei tre anni e passa di negoziato che lei ha fatto da Capo negoziatore, se ha un punto per noi legislatori italiani su come evitare Brexit future, se c'è un punto politico. Il secondo – ricordo peraltro che sono eletto nella circoscrizione Estero – deriva anche dalla mia esperienza: ho vissuto per quindici anni nel Regno Unito e lei, come me, si renderà conto che per i nostri concittadini – che sono oltre 700 mila, come lei ricordava – e per l'Italia il Regno Unito rappresenta il nostro quarto mercato di esportazione e quindi assume particolare rilievo il tema dell'incertezza, ovviamente. Quindi se lei si sente abbastanza sicuro, se può rimarcarlo, che l'accordo è il modo migliore per proteggere i diritti acquisiti dai nostri concittadini e come giudica, invece, l'opzione, che non è completamente remota, di un recesso senza accordo, il cosiddetto no deal.
  L'ultimo appunto è sul nuovo permesso di residenza (settled status): la nostra preoccupazione è per le fasce deboli, o quelle che hanno meno competenze telematiche, quelle che magari hanno meno facilità a certificare la loro presenza nel Regno Unito (come le persone più anziane), noi abbiamo paura che, essendo un meccanismo di diritto britannico, ci sia una difficoltà per queste fasce. Vorrei soltanto mettere l'accento su questo tema nei futuri negoziati che lei avrà con il Regno Unito. La ringrazio.

  ALESSANDRO GIGLIO VIGNA. Sarò non politicamente corretto, non prettamente morbido. La sua ricostruzione non ci quadra molto, non è quello che abbiamo visto noi. Anche le sue parole: il Regno Unito vuole ancora uscire, come se quel referendum fosse stato, di fatto, uno sbaglio, è qualcosa che a pelle ci irrita abbastanza. Sarò molto chiaro: la sua ricostruzione non corrisponde a ciò che abbiamo Pag. 9visto noi. Referendum, ovviamente, totalmente legittimo, è la volontà del popolo. Quello che abbiamo visto è stato un atteggiamento decisamente rigido da parte dell'Unione europea: continue aperture durante tutta la trattativa da parte della Gran Bretagna, tentativi da parte dell'Unione europea di far fare il secondo referendum alla Gran Bretagna (a nostro parere totalmente inutile). Arrivati poi a un certo punto, l'Unione europea ha dovuto cedere, presumibilmente quando ha capito che il Regno di Gran Bretagna si stava avvicinando agli Stati Uniti e all'area economica nordamericana e quando ha capito che per il Regno di Gran Bretagna il no deal era accettabile, purché Brexit ci fosse.
  Il caso Irlanda è di sicuro la soluzione più logica trovata, come peraltro già si era intuito a seguito delle audizioni degli ambasciatori di Gran Bretagna e della Repubblica di Irlanda, ove, di fatto, questa era stata prospettata dalle due delegazioni diplomatiche permanenti a Roma. Che cosa succederà ora? Semplicemente che il 12 dicembre ci saranno le elezioni, il nuovo Parlamento ratificherà Brexit, e la Gran Bretagna ricostruirà senza i lacci interni dell'Unione europea i rapporti sia con i Paesi membri dell'Unione europea sia con la stessa Unione europea. Sarà Brexit e sarà la volontà del popolo britannico.
  Grazie, presidente, non ho domande.

  PIERO DE LUCA. Ringrazio anch'io Michel Barnier per la sua rinnovata disponibilità a venire a fare il punto su una situazione che ci preoccupa notevolmente, legata alla futura Brexit.
  Noi condividiamo, come gruppo del Partito Democratico, quanto lei ha esposto. Siamo consapevoli e condividiamo in pieno che non ci sono effetti positivi dal percorso di Brexit che si è messo in atto. Anzi, questo percorso crea – a nostro modo di vedere e come lei ha confermato – solo rischi e conseguenze negative, sia per la Gran Bretagna che per i ventisette restanti Stati europei, da un punto di vista della stabilità politica, della tutela dei diritti dei cittadini, della stabilità sulla sicurezza interna, la difesa, la stabilità economica, finanziaria e anche la protezione sanitaria, legata all'importazione, per esempio, di alcuni prodotti. Per questa ragione, noi le chiediamo che cosa pensa lei: questo è davvero il miglior accordo possibile che l'Unione poteva negoziare con la Gran Bretagna in queste condizioni? E, a rassicurazione dei nostri concittadini, è un accordo quello – per ora – ratificato anche dal Consiglio, che tutela adeguatamente le imprese italiane e i cittadini italiani nel Regno Unito, a suo modo di vedere? E cosa può fare l'Unione per facilitare un'intesa ed evitare un'uscita disordinata? E se ritiene – io non condivido quanto ha detto il collega Giglio Vigna – che sia un'ipotesi non così fantasiosa la possibilità di un secondo referendum, per quello che lei ha avuto modo di verificare nei rapporti con Johnson e con i suoi colleghi britannici? È un'ipotesi verosimile quella del secondo referendum? E l'Unione europea sarebbe, nel caso, disponibile a rimettere in discussione il processo di fuoriuscita della Gran Bretagna, qualora ci fosse l'ipotesi di un secondo referendum che andasse verso un no leave piuttosto che verso un leave, com'è stato più di due anni fa?
  Lei ha parlato di un primo step, un'eventuale uscita della Gran Bretagna, che sia il 30 gennaio o il 1° febbraio, è solo il primo passaggio; avremo necessità, dopo, di una serie di negoziazioni stabilite secondo un framework, un quadro già stabilito. Secondo lei è corretta, da un punto di vista prettamente giuridico l'idea che non possiamo andare oltre fin quando la Gran Bretagna è ancora membro dell'Unione europea: ma ci sono dei margini per definire ancor più queste linee guida per avere maggiore certezza e sicurezza per i nostri concittadini, per le nostre aziende, per le nostre imprese, per i nostri lavoratori, con un accordo preliminare legato ai futuri rapporti tra Unione e Regno Unito? Perché vedendo come si sono svolte le negoziazioni in questi due anni, abbiamo un po’ di preoccupazione su quello che può essere l'esito di future negoziazioni tra l'Unione e la Gran Bretagna in quanto futuro stato terzo. L'esito e lo svolgimento delle vicende non ci rassicura particolarmente. Pag. 10
  Noi condividiamo la necessità di un salto di qualità – e affidiamo anche a lei questo messaggio da poter trasmettere alle Istituzioni europee – nel processo di integrazione europea. Noi siamo consapevoli che l'Unione non è la causa delle difficoltà che attraversano oggi gli Stati membri, ma che anzi è l'unica possibile soluzione per i medesimi. A tal riguardo, crediamo che la sicurezza interna, da un punto di vista fisico, la difesa, la sicurezza delle nostre imprese in un mercato globalizzato dai dazi e quant'altro, si può avere solo attraverso un'Unione europea più forte. Quindi affidiamo anche a lei un messaggio per un impegno maggiore volto al rafforzamento del processo e del progetto di integrazione europea a tutela dei nostri figli e a monito, affinché vicende del genere, quali quelle della Brexit, non possano ripetersi per altri Stati membri. Grazie.

  ROSALBA DE GIORGI. Dopo aver ringraziato il commissario Barnier per averci fornito un quadro della situazione estremamente aggiornato sulla cosiddetta Brexit, vorrei focalizzare l'attenzione su quanto registratosi lo scorso 28 ottobre, quando il Consiglio europeo ha approvato una dichiarazione con cui, escludendo la riapertura dei negoziati sull'accordo di recesso, ha impegnato il Regno Unito ad astenersi da misure che potrebbero mettere in pericolo il raggiungimento dei compiti dell'Unione europea, in particolare nel processo decisionale della stessa Unione. Un impegno che, per come è stato formulato, non contribuisce certo a tranquillizzare gli attori di una vicenda forse non ancora vicina alla sua definizione. A tal proposito, mi pare opportuno chiedere al Capo negoziatore Barnier, di poter illustrare meglio la portata di quelle misure che, semplificando per comodità di discorso, potrebbero provocare problemi all'Unione europea. La richiesta di chiarimenti è d'obbligo, sia alla luce di quanto si sta registrando nell'ambito di questo tormentato processo di uscita dall'Unione europea da parte del Regno Unito (ancora non si sa se ci sarà un'uscita ordinata, un no deal, o addirittura un altro referendum), sia per capire se tali misure potrebbero, in qualche modo, intaccare la tutela dei diritti dei cittadini dell'Unione europea che attualmente risiedono nel Regno Unito. Grazie.

  PAOLO FORMENTINI. Io credo che qui oggi non si debba entrare nei cavilli del negoziato, ma ci si debba porre piuttosto un problema di democrazia. Noi siamo così convinti che l'Unione europea abbia agito in modo democratico nei confronti del Regno Unito?
  Il Capo negoziatore ha detto due volte che non sarà la fine della storia, l'uscita della Gran Bretagna dall'Unione europea. Noi crediamo che l'uscita della Gran Bretagna, che ci sarà, ne siamo sicuri, perché così ha voluto il popolo inglese, non sarà la fine della storia, ma sarà la fine di questa Unione europea, costruita in modo burocratico e senza rispetto per i popoli.
  Noi, da sempre, ci battiamo e continueremo a farlo perché l'Unione europea non sia la gabbia dei popoli, ma la casa dei popoli. Questo, secondo me, si è scordato durante tutto il negoziato. Grazie.

  FILIPPO SENSI. Ringrazio il Capo negoziatore Barnier per questa audizione. Visto che è possibile un no deal alla fine del 2020, che a dicembre del 2020 si possa riproporre questo spettro, cioè se i negoziati sulle relazioni future non andranno a buon fine, vorrei chiedere un punto politico a Barnier: è plausibile che si riesca a negoziare le questioni commerciali in meno di un anno? Grazie.

  ANDREA DELMASTRO DELLE VEDOVE. Anch'io ringrazio Michel Barnier. Ciò che perplime è l'assoluta indisponibilità da parte dell'Europa a chiedersi che cosa sia successo. Anni fa l'Inghilterra tentava di entrare in Europa e oggi l'Inghilterra vuole uscire dall'Europa. Eppure, nonostante quello che diceva prima il collega Formentini, mi sembra siano tutti indisponibili a chiedersi perché e se c'è stato qualcosa nel processo di integrazione che non ha funzionato. Siamo qua a spiegare che ci perderemo tutti, ma forse un po’ più l'Inghilterra, che forse farà un secondo referendum. È allucinante verificare come, Pag. 11da parte europea, non vi sia stato un minimo di resipiscenza sul disegno europeo che ha condotto una nazione importante come l'Inghilterra, prima a chiedere di poter entrare e poi abbandonare quest'Europa.
  Fermo restando questo clima, che trovo veramente inadeguato a comprendere che cosa sia accaduto, troppo auto-assolutorio, troppo auto-giustificatorio da parte dell'Europa, devo dire che poi, evidentemente, io rimango all'interno dell'Europa, l'Italia rimane all'interno dell'Europa e mi chiedo – e chiedo conferma sotto questo profilo a Barnier – quali saranno le misure che l'Europa vorrà mettere in campo nel più breve tempo possibile, in caso di Brexit non concordata, con l'Organizzazione mondiale del commercio, per la tutela di una serie di indicazioni geografiche protette nel settore agroalimentare anche nel territorio del Regno Unito, perché riguarda un comparto di rilevante interesse nazionale per l'Italia.

  ANGELA IANARO. Desidero anch'io ringraziare il dottor Barnier per essere stato con noi oggi qui per l'ennesima volta, ad affrontare problemi enormi che riguardano non soltanto il nostro presente ma anche il futuro. Siamo tutti preoccupati soprattutto per il futuro delle giovani generazioni, di tutti i ragazzi che fino a poco tempo fa conoscevano, e sono cresciuti in un'Europa dove vi è la possibilità di libera circolazione e che ha visto essere il Regno Unito una delle principali mete soprattutto per la formazione universitaria e post-universitaria. È proprio su questo aspetto, che mi sta particolarmente a cuore, che volevo avere un chiarimento e possibilmente delle rassicurazioni su un aspetto fondamentale, che lei stesso ha citato: la cooperazione inter-universitaria dell'Erasmus. Sebbene oggi abbiamo una garanzia per coloro che sono già nel Regno Unito (mi riferisco ai lavoratori, ma anche agli studenti), quali saranno le prospettive future per i giovani universitari europei? Sarà possibile, nell'ambito delle future relazioni e negoziazioni, garantire ai giovani studenti italiani ed europei un accesso privilegiato nel Regno Unito per la formazione universitaria e post-laurea? Grazie.

  MATTEO COLANINNO. Ovviamente, mi riconosco in pieno nell'intervento, che mi ha preceduto, del collega Massimo Ungaro. La mia è una domanda politica, dottor Barnier. Ferme restando le dinamiche democratiche di ciascun Paese, secondo lei quanto è ancora attuale il concetto di sovranità nazionale, così come lo abbiamo sempre concepito, o come ce lo ha consegnato la storia? E in un mondo così fortemente interconnesso com'è possibile ancora conciliare la tecnocrazia, che è una struttura strettamente necessaria in un mondo così dinamico e così interconnesso, con le pulsioni e con le spinte che vengono dal basso, dai popoli, così com'è accaduto in occasione del referendum britannico e così come sta – a mio giudizio, purtroppo – avvenendo anche in molti altri Paesi?
  La ringrazio e buon lavoro.

  PRESIDENTE. Do la parola al dottor Barnier per la sua replica.

  MICHEL BARNIER, Capo negoziatore dell'Unione europea sulla Brexit. Grazie, presidente. Ringrazio per tutti gli interventi, da nessuno dei quali rimango scioccato. Io non vengo qui da supertecnocrate brussellese, beninteso: io non sono un supertecnocrate, io sono un uomo politico, io sono stato eletto dai cittadini e dal popolo per tutta la vita (al Parlamento nazionale, al Parlamento locale, al Parlamento europeo). Questo per me è importante.
  Visto che voi mi parlate di politica, parlerò di politica anch'io. Non mi dà alcun fastidio. Tratterò gli interventi nell'ordine, sia pure telegraficamente. Onorevole Ungaro, anche se lei prima ha detto il contrario, io non sono mai stato aggressivo in questo negoziato: non troverete una parola che possa suffragare quanto da lei detto poc'anzi. Sono sempre stato rispettoso del Regno Unito. Nutro molta ammirazione per il Regno Unito, per il suo popolo, la sua cultura. Non dimentico la sua solidarietà nelle ore gravi del secolo scorso. Dirò perfino, riferendomi a quanto ha detto poc'anzi l'onorevole Colaninno circa il primo referendum e la prima adesione del Regno Unito, che ho un ricordo personale che Pag. 12spiega perché nutro rispetto per quel Paese. Ero molto più giovane, votai per la prima volta in vita mia – in Francia si votava allora a ventun anni e non a diciotto – nel referendum, organizzato dal presidente Pompidou nel 1972, proprio sull'adesione del Regno Unito, dell'Irlanda, della Danimarca e della Norvegia. All'epoca ero – e lo sono ancora – membro del partito gollista e, pur essendo gollista, feci la campagna per il sì all'adesione del Regno Unito e non mi sono mai pentito di quel voto, perché penso – all'epoca e ancora più oggi – che sia meglio stare insieme – l'onorevole Colaninno parlava di sovranità nazionale – che ognuno a casa sua e ognuno per sé. Non me ne sono mai pentito. Questo per dirvi con che spirito ho portato avanti questo negoziato a nome dell'Unione europea, con molti rimpianti perché voi avete il diritto di dire che la Brexit è fantastica e io ho il diritto di dire che invece a me dispiace.
  Nessuno è riuscito a dimostrarmi il valore aggiunto della Brexit. Nessuno. Neanche il signor Farage, che ho ricevuto nel mio ufficio, su sua richiesta, che ho ascoltato con attenzione e a cui ho rivolto la domanda: «qual è il valore aggiunto della Brexit per il Regno Unito?». Nessuno è riuscito a dirmi quale fosse questo valore aggiunto. È quello che constato, pur rispettando la decisione della maggioranza dei cittadini britannici, prova ne sia che noi abbiamo fatto di tutto per attuare tale decisione.
  Nessuno può dire che noi abbiamo un atteggiamento rigido, francamente. Ma non abbiamo nemmeno ceduto. Io non ho mai concepito questo negoziato come una sorta di mercanteggiamento, come si usa nel commercio; questo negoziato è un processo di uscita del Regno Unito perché vuole uscire, il che dimostra che il Regno Unito non è ingabbiato, per riprendere un'espressione che è stata usata. L'Unione europea non è una prigione, non è una gabbia, se ne può uscire (articolo 50 del Trattato). E, quando se ne esce, ci si deve far carico della propria decisione e assumerne le conseguenze. Non sta ai cittadini italiani, spagnoli, francesi o tedeschi pagare le conseguenze. Si esce con cognizione di causa e ci si fa carico delle conseguenze. È di questo che si tratta adesso.
  Onorevole Ungaro, io ho sempre avuto un atteggiamento aperto e continuerò a porre in prospettiva quello che stiamo facendo. In politica è questo l'importante: alzare la linea dell'orizzonte per collocare i problemi quotidiani in prospettiva, e per me la prospettiva è: 1) la pace in Irlanda (ci penso tutti i giorni); 2) il rispetto e la tutela del mercato interno europeo, che è la nostra carta migliore – uno dei grandi motivi per cui il presidente Trump o il presidente cinese ci rispettano è il nostro mercato interno, che è molto più di una zona di libero scambio: è un ecosistema di cinquecento milioni di consumatori e ventidue milioni di aziende; 3) Il futuro rapporto che dovremo costruire con il Regno Unito, perché ad ogni buon conto il Regno Unito rimarrà nostro vicino, nostro partner, nostro alleato nel campo della sicurezza, nell'ambito dell'alleanza atlantica, quindi, anche se dobbiamo ricostruire il partenariato in modo diverso – perché loro vogliono uscire –, dobbiamo mantenere la prospettiva di un reale, ambizioso e intelligente partenariato con il Regno Unito. Tuttavia, onorevole Ungaro – se devo dire la verità (come faccio sempre) –, la Brexit non potrà essere business as usual, avrà tantissime conseguenze, e uscire dall'Unione, uscire dal mercato unico, uscire dall'unione doganale, come vogliono i britannici, avrà delle conseguenze, specie se dopo la loro unica ambizione sarà quella di essere legati a noi soltanto attraverso un trattato di libero scambio. Non è il mercato unico. Se vogliono venire nel mercato unico, come fa la Norvegia, a noi sta bene; se vogliono l'unione doganale con noi, a noi sta bene. Ma non vogliono questo: vogliono uscire dal mercato unico e non avere più l'unione doganale con noi per ritrovare la sovranità commerciale, e ciò ha delle conseguenze che loro stessi provocano, perché non saremo noi a subirle.
  Lei, onorevole Ungaro, come l'onorevole Sensi, ha citato il rischio del no deal: questo rischio permane in due momenti, anche se è non della stessa natura. No deal (uscita Pag. 13senza accordo). Il rischio esiste sempre a fine gennaio: perché cessi di esistere, occorre che il Parlamento britannico e quello europeo ratifichino l'accordo che abbiamo raggiunto con il primo ministro Johnson. Questo è il primo rischio, e dobbiamo stare attenti. Ho detto anche stamani in Confindustria, lo dirò ai sindacati italiani che incontrerò oggi pomeriggio che dobbiamo rimanere attenti e vigili, perché il rischio di no deal esiste ancora, se non c'è ratifica preliminare entro il 31 gennaio. Si pone il rischio di un'uscita senza accordo e, se accordo c'è, ratificato, entriamo nel periodo di transizione – come avete detto. E qui avremo un altro rischio alla fine del 2020: non più il no deal perché ci sarà stato l'accordo, avremo acquisito assieme la tutela dei cittadini, il bilancio; il rischio allora sarà per il Regno Unito di uscire dal mercato unico e dall'unione doganale, cioè uscire dalla transizione senza accordo sul futuro. Ecco perché noi lavoreremo presto, e bene, nell'anno a venire. Onorevole Sensi, per noi sarà possibile avere un accordo di base di libero scambio a zero tariffe, zero quote e zero dumping, se ci sarà una volontà comune. Noi la volontà la abbiamo, vogliamo chiudere nel giro di un anno e faremo di tutto per raggiungere tale obiettivo.
  Onorevole Ungaro, lei ha posto una domanda che interessa tutti gli altri deputati e i cittadini italiani che rappresentate. Il permesso di residenza che hanno istituito i britannici per i 4,5 milioni di cittadini europei che vivono nel Regno Unito: noi siamo consapevoli delle difficoltà, specie per quanto riguarda l'uso di internet per diverse persone che, essendo anziane, non lo maneggiano bene; la nostra rappresentanza a Londra è attivissima nell'aiutare, consigliare, sostenere e stiamo continuando a sensibilizzare i britannici affinché semplifichino al massimo, conformemente agli impegni presi, le formalità per acquisire il permesso di residenza. Continueremo ad essere vigili, e anche il Parlamento europeo lo è.
  Onorevole Giglio Vigna, le ho già risposto sui vari punti che lei ha trattato, le ho detto che noi non abbiamo ceduto. Non è vero. Io avevo raggiunto un accordo con la prima ministra May, un accordo equilibrato, più di un anno fa; ora c'è un nuovo Governo britannico che ci dice che non vuole più il backstop irlandese, che non vuole più l'opzione dell'unione doganale, che si vuole concentrare sull'accordo di libero scambio e che cosa faccio io, onorevole Giglio Vigna, dico di no? Se diciamo di no, siamo chiaramente nella situazione che lei ha criticato. Ma non ci troviamo in quella situazione. Non abbiamo avuto un atteggiamento rigido: noi d'accordo l'abbiamo voluto, l'abbiamo cercato per partorire la Brexit, per attuare la decisione del referendum, e l'accordo lo abbiamo trovato con il primo ministro Johnson, modificando (in modo intelligente – credo – e anche in modo equilibrato) la proposta che riguardava l'Irlanda, che non è più una proposta temporanea come il backstop («fino a» e «a meno che»), ma è una proposta operativa per adesso e duratura. La differenza è questa. Questo accordo lo abbiamo raggiunto con Johnson, non senza di lui o contro di lui.
  Lei mi dice che questa proposta le è stata presentata da due ambasciatori un anno fa. Non è possibile! Questa proposta è sul tappeto dal mese di luglio. Ciò di cui lei parla è un'altra cosa: l'idea del primo backstop che avevo proposto che riguardava solo il territorio dell'Irlanda del Nord, che avevamo proposto di integrare, «fino a che» e «a meno che», nel nostro territorio doganale. È questa la proposta che i due ambasciatori le avevano presentato, ma adesso non è più quello, anche se somiglia, perché abbiamo trovato una soluzione duratura e operativa per l'Irlanda del Nord, che rimane in territorio doganale britannico (cosa che con la nostra prima proposta non accadeva), ma applicandosi il codice doganale europeo e l'allineamento normativo. Ecco cosa ha accettato il signor Johnson, e cosa abbiamo accettato anche noi.
  Onorevole De Luca, noi vogliamo un partenariato ambizioso e lavoreremo per questo risultato, pur difendendo gli interessi dell'Unione europea. È questo il mandato da me ricevuto: l'integrità del mercato Pag. 14interno soprattutto, che non consentirà di «cogliere fior da fiore» da parte di altri. Quanto all'accordo firmato sui diritti dei cittadini ricordo, onorevole De Luca, che la migliore garanzia per i quattro milioni e mezzo di cittadini è proprio l'accordo che è sul tavolo, perché in questo accordo la priorità è stata la sicurezza dei cittadini di ambo le parti: italiani nel Regno Unito o britannici in Italia.
  Mi chiede che ne è di un secondo referendum. Io non mi pronuncio su questo. Io sono il negoziatore dell'Unione, il mio compito è di trovare un accordo per organizzare la Brexit in modo ordinato; ho la mia opinione su ciò che accade nel Regno Unito, ma non ve la dirò. Non sono qui per questo. L'altro giorno ero al Parlamento europeo, c'erano dei deputati britannici, dei Libdem, liberali, dei socialisti, Labour, dei verdi che mi hanno detto: «ci vuole un secondo referendum, bisogna rinviare, spostare il termine». Scusate, ho detto, ma qui c'è un malinteso: io sono il negoziatore per organizzare una Brexit ordinata, e questo è ciò che faccio. Io rispetto il dibattito britannico, ma non ci posso intervenire. Condivido, onorevole De Luca, la sua opinione, cosa che posso dire come cittadino, e voglio mostrare l'ultima diapositiva (vedi slide 6) che interesserà tutti, guardatela bene (è stata pubblicata dal primo ministro Cameron cinque anni fa, quando io ero commissario al mercato interno, per sostenere quello che facevo nel mercato interno), che indica il piazzamento dei quattro Paesi europei che sono ancora nei primi dieci dell'economia mondiale. Nessuno nel mondo sta fermo ad aspettarci. Qualcuno forse lo spera ancora, ma nessuno ci aspetta più: né i cinesi, né gli americani, né i russi. Quello che non faremo per l'Europa noi, non lo farà nessuno al nostro posto. Ogni dieci anni vedete che qualcuno esce da questa classifica: l'Italia c'è ancora, poi esce; poi tocca alla Francia e al Regno Unito. La Germania rimane lì, sola soletta, nei primi dieci, ma un giorno uscirà anche la Germania. Che succede se rimaniamo insieme? Le cifre sono quelle del signor Cameron: se rimaniamo insieme abbiamo una possibilità di rimanere seduti attorno al tavolo. Da soli non saremo più attorno al tavolo, diventeremo sub-fornitori e succubi dei cinesi e degli americani, e io non mi sono impegnato in politica dietro al generale de Gaulle, in Francia, all'età di quattordici anni, per diventare il subfornitore o il succube dei cinesi e degli americani.
  Lei, onorevole De Giorgi, ha parlato delle misure preconizzate dal Consiglio europeo circa la buona fede che ci attendiamo dai britannici nel corso del periodo transitorio. È stato chiesto che durante questo periodo intermedio il Regno Unito, non essendo più membro dell'Unione ma rimanendo membro del mercato unico, manifesti un atteggiamento cooperativo. Anche nel periodo per il quale è stato prorogato l'articolo 50. Un esempio attuale è che, siccome il Regno Unito è ancora membro dell'Unione, deve designare un commissario europeo, ieri o oggi. È questo l'atteggiamento che noi ci aspettiamo dal Regno Unito per una buona cooperazione fintantoché sarà membro dell'Unione europea, pur nella peculiare situazione del suo processo di uscita, affinché da ambo le parti, durante il periodo di transizione, ci sia lo stesso atteggiamento mentale quando il Regno Unito sarà fuori dall'UE ma dentro il mercato unico, per quanto riguarda la presenza dei suoi funzionari al Consiglio. Io non ho motivo di credere che il Regno Unito non assumerà questo atteggiamento di buona cooperazione con noi.
  Onorevole Formentini, le ho risposto: io non sono un supertecnocrate, sono un uomo politico come lei. Sono stato eletto per tutta la vita. L'Unione europea non è una gabbia, se ne può uscire. La dimostrazione eccola, ma bisogna valutare le conseguenze per sé stessi quando si esce.
  All'onorevole Sensi sul no deal ho già risposto.
  Onorevole Delmastro Delle Vedove: buona domanda. Lei ha fatto una domanda interessante che mi faccio anch'io e che ci dobbiamo porre: come mai i britannici sono usciti? Io qui esco dal mio compito di trattare le conseguenze della Brexit, come ho fatto anche in questo trattato per organizzare la Brexit chiesta dai britannici e organizzarla ordinatamente, compito che Pag. 15non è concluso perché ora si deve ricostruire; ma la sua, onorevole Delmastro Delle Vedove, è una buona domanda e ce la dobbiamo porre per capire come mai il 52 per cento dei britannici ha votato contro l'Europa. Certo, ci sono motivi britannici, ma ci sono anche motivi che ritroviamo un po’ dappertutto: l'assenza di tutela, i flussi migratori, la deindustrializzazione. Il suo Paese, anche se conosco i problemi gravissimi che avete adesso nella siderurgia, ha saputo mantenere la sua industria da quando è entrato nell'UE, ma questo non accade in tutti i Paesi. La Francia ha perso gran parte della sua industria a vantaggio dei servizi. Anche il Regno Unito ha perso gran parte della sua industria a vantaggio dei servizi, e ciò in molte regioni, anche in Belgio, ha provocato una desertificazione industriale, una perdita di servizi pubblici, ed è questo uno dei motivi che hanno provocato quel voto di collera sociale, di angoscia sociale, e io raccomando – forse la sorprenderà che io sia un po’ sulle sue posizioni – di stare attenti, capire, ascoltare e cercare di rispondere a questo sentimento popolare. Il sentimento popolare non è la stessa cosa del populismo, bisogna ascoltare e dare una risposta.
  Cosa è stato fatto? Io penso che, da quando c'è la Brexit, ci sia stata una presa di coscienza in seno alla Commissione europea nelle politiche che portiamo avanti, ad esempio la politica degli investimenti lanciata da Juncker, le iniziative prese nel campo della difesa, e anche una minore ingenuità in campo commerciale.
  Onorevole Delmastro Delle Vedove, la sua domanda sulle indicazioni geografiche. Non posso prevedere quello che sarà il nostro rapporto futuro commerciale con il Regno Unito, ma per adesso nell'accordo di recesso abbiamo trovato una buona protezione per le tremila indicazioni geografiche, e le ripeto che sono stato Ministro dell'agricoltura e della pesca francese, quindi non ho bisogno di farmi convincere dell'importanza delle indicazioni geografiche.
  Onorevole Angela Ianaro. Torniamo alla mia tabella. Nel secondo pilastro di questa tabella (vedi slide 4) avete tutti gli accordi settoriali che dovremo negoziare per ritrovare rapporti normali con il Regno Unito, ma non necessariamente uguali a prima. Non sarà business as usual, perché loro dovranno pagare, ma sono fermamente deciso a trovare un accordo anche per la cooperazione universitaria per consentire agli studenti italiani o di altri Paesi di proseguire i loro studi, e il primo ministro Johnson mi è sembrato pronto ad accordare visti facili di breve durata per chi viene a studiare e a fare ricerca. Si troverà una risposta alla sua importante domanda. Per la cooperazione universitaria – come per la ricerca – ci vuole tuttavia un accordo e i britannici dovranno prendere atto che parteciperanno come Paese terzo. L'altro giorno, ad esempio, ho incontrato i responsabili di un gruppo di dieci ospedali europei – non so se c'era anche un ospedale italiano, probabilmente sì – che sono attivi nella ricerca anticancro, ospedali specializzati, tra cui quello di Cambridge, che si sono messi in rete per accomunare lo sforzo di ricerca: questo è intelligente, questo è l'interesse generale, questo non si fermerà a causa della Brexit. Occorre continuare, e anche andare oltre. Quindi troveremo il modo, in un altro quadro giuridico e finanziario, per proseguire queste cooperazioni. Ma sono d'accordo con lei soprattutto sulla presenza degli studenti.
  L'onorevole Colaninno, infine, ha posto una domanda concreta che esula dai miei compiti, alla quale proverò comunque a rispondere. Ciò che noi auspichiamo nell'Unione europea, contrariamente a ciò che pensano forse l'onorevole Giglio Vigna ed altri – onorevole Giglio Vigna, la cito perché faccio sempre attenzione a ciò che lei dice – non è uno Stato federale: io non sono federalista. Le ho detto quale è la mia provenienza, la mia origine politica. Non c'è un popolo europeo, non c'è una nazione europea, ci sono ventotto nazioni oggi, ventotto popoli, ventiquattro lingue ufficiali che sono praticate, e tutto ciò va rispettato. Ciò che noi facciamo è semmai qualcosa che somiglia a una associazione mutualistica: noi accomuniamo, rispettiamo le identità nazionali. Ciascun popolo ha la sua, che è differente: voi tenete alla vostra identità nazionale, alla vostra lingua, come i Pag. 16francesi o gli sloveni, tutti teniamo alla nostra identità nazionale e alla nostra differenza: l'Unione europea deve rispettare le differenze.
  Torniamo però all'ultimissima slide. Vi raccomando di non dimenticare mai, nel mondo in cui siamo, questa diapositiva (vedi slide 6): se dovete ricordare un solo punto della mia audizione, ricordatevi di questa slide, perché, qualunque cosa si dica, questa è la realtà di oggi e di domani e, se non rimaniamo insieme in un modo che, certo, potrà essere corretto, potrà essere migliorato – meno burocrazia, più democrazia, sono d'accordo –, diventeremo sub-fornitori e succubi di chi è seduto intorno a un tavolo dal quale saremo esclusi e subiremo le loro decisioni da spettatori. Questo mi porta a dire, onorevole Colaninno, a proposito della sovranità nazionale, che essa va rispettata, ma bisogna anche saperla condividere. Uno dei miei ex colleghi della Commissione europea, ai tempi della Commissione Prodi, Chris Patten (conservatore britannico), un giorno ha tenuto una conferenza in cui ha posto la sua stessa domanda: «la difesa dell'interesse nazionale oggi è solo nazionale?». Io penso che la difesa dell'interesse nazionale, che è la nostra missione – e la vostra come deputati italiani –, passi anche attraverso più Europa, non esclusivamente, certo, perché c'è sempre una difesa nazionale, ma la difesa degli interessi nazionali nel campo del cambiamento climatico, delle migrazioni, del cambiamento digitale, della sicurezza passa attraverso un'azione collettiva, altrimenti non saremo più a quel tavolo, al tavolo del mondo per organizzare l'ordine o il disordine mondiale. Questo volevo dirvi.
  Vi ringrazio ancora. Sarò felice di venirvi a trovare nuovamente, man mano che il negoziato va avanti.

  PRESIDENTE. Ringrazio il Capo negoziatore Barnier, anche per la documentazione che sarà pubblicata in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato), e i colleghi e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 13.45.

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