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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVIII Legislatura

III Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 10 di Mercoledì 29 luglio 2020

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Formentini Paolo , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE EVENTUALI INTERFERENZE STRANIERE SUL SISTEMA DELLE RELAZIONI INTERNAZIONALI DELLA REPUBBLICA ITALIANA

Audizione di Giulio Terzi di Sant'Agata, già Ministro degli Affari esteri.
Formentini Paolo , Presidente ... 3 
Terzi di Sant'Agata Giulio , già Ministro degli Affari esteri ... 4 
Formentini Paolo , Presidente ... 9 
Comencini Vito (LEGA)  ... 9 
Formentini Paolo , Presidente ... 10 
Picchi Guglielmo (LEGA)  ... 10 
Formentini Paolo , Presidente ... 11 
Terzi di Sant'Agata Giulio , già Ministro degli Affari esteri ... 11 
Formentini Paolo , Presidente ... 13 
Orsini Andrea (FI)  ... 13 
Terzi di Sant'Agata Giulio , già Ministro degli Affari esteri ... 13 
Formentini Paolo , Presidente ... 14

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Partito Democratico: PD;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Noi con l'Italia-USEI-Cambiamo!-Alleanza di Centro: Misto-NI-USEI-C!-AC;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Centro Democratico-Radicali Italiani-+Europa: Misto-CD-RI-+E;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE;
Misto-Popolo Protagonista - Alternativa Popolare: Misto-PP-AP.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
PAOLO FORMENTINI

  La seduta comincia alle 15.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di Giulio Terzi di Sant'Agata, già Ministro degli Affari esteri.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle eventuali interferenze straniere sul sistema delle relazioni internazionali della Repubblica Italiana, l'audizione dell'Ambasciatore Giulio Terzi di Sant'Agata, già Ministro degli Affari esteri.
  A nome della Commissione do il benvenuto all'Ambasciatore, che ringrazio per la disponibilità a prendere nuovamente parte ai nostri lavori dopo la recente audizione svolta il 13 luglio scorso, nell'ambito dell'esame in sede referente delle proposte di legge recanti l'istituzione di una Commissione parlamentare per le questioni degli italiani all'estero. Come segnalato già in quella sede, Giulio Terzi di Sant'Agata, oltre a essere stato Ministro degli Esteri dal novembre 2011 al marzo 2013, nella sua lunga carriera diplomatica ha ricoperto prestigiosi incarichi, tra cui quello di Rappresentante permanente alle Nazioni Unite a New York, Vicesegretario Generale e Direttore Generale per la cooperazione politica multilaterale presso la Farnesina. Dall'ottobre 2009 a novembre 2011 è stato Ambasciatore d'Italia negli Stati Uniti, contribuendo all'ulteriore sviluppo delle relazioni bilaterali tra Italia e Stati Uniti d'America. Sul piano atlantico e della sicurezza internazionale, il suo biennio a Washington è stato contrassegnato da un'intensificata e strutturata cooperazione con gli Stati Uniti, sia bilaterale sia nelle sedi multilaterali, in particolare per le questioni riguardanti Afghanistan, Paesi del Mediterraneo e Medio Oriente, Paesi dell'Africa, Russia, Cina e le altre economie emergenti. Rilevanza centrale ha avuto, inoltre, il rilancio dei rapporti tra Stati Uniti e Unione europea quale banco di prova della politica estera di sicurezza comune, con l'obiettivo di creare una zona economica euro-atlantica integrata.
  Venendo al merito dei nostri lavori, in una videoconferenza organizzata dalla Fondazione Einaudi il 23 marzo scorso, intitolata La Cina di oggi, opportunità o minaccia, l'Ambasciatore ha affrontato temi molto rilevanti ai fini dell'indagine conoscitiva che stiamo conducendo. Partendo dall'insabbiamento iniziale dell'epidemia da parte della Cina, passando per la disinformazione e le fake news, ci si è chiesti se il soft power cinese di promozione all'estero della cultura del Paese sia ancora tale o se sia ormai diventato anche quello sharp power. Nello stesso periodo, in un intervento sulla testata online Formiche.net, l'Ambasciatore ha dichiarato che «non solo dalla SARS in poi la Cina ha nascosto, censurato e truccato i dati sulla sanità pubblica, impedendo di reagire in tempo grazie al suo dominio delle Agenzie ONU», ma la scomparsa di Li Zehua, ex giornalista cinese che ha documentato l'assenza di trasparenza e la propaganda del Partito comunista cinese nella gestione dell'emergenza Pag. 4 del COVID-19, «riaccende i riflettori sulla manipolazione e falsificazione dell'informazione da parte del Governo cinese.».
  Sono certo che, anche attingendo al patrimonio della sua lunga e prestigiosa carriera diplomatica, l'Ambasciatore Terzi di Sant'Agata potrà dunque offrire un contributo prezioso ai nostri lavori. Ciò premesso, do la parola al nostro ospite affinché svolga il Suo intervento.

  GIULIO TERZI DI SANT'AGATA, già Ministro degli Affari esteri. La ringrazio molto, signor presidente, e ringrazio gli onorevoli parlamentari che hanno proposto questa audizione. È per me un rinnovato onore, dopo l'audizione di pochi giorni fa, riprendere un dialogo e una possibilità di scambio di valutazioni in quest'organo di fondamentale rilevanza per la definizione e la comprensione di molti aspetti della nostra politica estera e di sicurezza, delle relazioni economiche, scientifiche e culturali del nostro Paese. La ringrazio anche delle espressioni eccessivamente generose che ha riservato alla mia opera di funzionario e poi, per una breve stagione, di membro di un passato Governo.
  Io credo che parlare di ingerenze significhi approfondire aspetti che vanno al di là di una normale – con tutto il beneficio dell'inventario che la parola «normale» può avere in questi tempi – attività di relazioni politiche e diplomatiche fra gli Stati, fra i Governi e fra le società civili. Le interferenze, nel modo in cui io propongo di discuterle oggi, sono molte attività, sempre più diffuse e sempre più inquietanti, che vanno oltre qualsiasi zona d'ombra, qualsiasi cono d'ombra, per dirla alla Conrad, qualsiasi twilight zone nella quale si possa ancora sostenere che certe cose le fanno tutti, che lo spionaggio è una caratteristica delle attività dai tempi dell'antichità di qualsiasi tipo di relazione di uno Stato con un altro, di un potentato con un altro. Le attività che però propongo di discutere oggi sono ben più sharp, come ha detto il presidente. Non hanno ormai più niente di culturale; hanno moltissimo, in modo prevalente la volontà di disinformare, di sviare, di condizionare l'opinione pubblica e molto spesso sono attività che sono basate sulla forza del ricatto economico, militare, di prossimità o di interferenza negli affari stessi altrui, nella sovranità altrui quando parliamo di Stati indipendenti come il nostro, o di sovranità parziali. Forse non sono neanche sovranità, ma sono autonomie, comunque regolamentate da precisi accordi internazionali e da precisi passaggi sanciti anche dalle Nazioni Unite, com'è lo status di Hong Kong. È a queste interferenze che io vorrei riferirmi oggi, perché queste interferenze ledono dei princìpi, a mio modesto avviso, che sono una minaccia per delle cose, dei valori, ma anche per delle norme sancite dalla nostra Costituzione e dai Trattati europei. Penso, in particolare, agli articoli 21 e 22 del Trattato sull'Unione europea, relativi alla promozione e tutela dei diritti umani e dello Stato di diritto. Sono minacce che si sono materializzate in misura crescente in questi ultimi anni, sia per quanto riguarda la nostra politica estera e di sicurezza, sia per quanto riguarda la nostra sovranità e il nostro interesse nazionale nella sfera economica, scientifica e dell'informazione.
  Quando parlo di «interesse nazionale», parlo di interesse a tutelare la nostra proprietà intellettuale, la nostra conoscenza scientifica, la nostra ricerca e il valore delle nostre azioni, delle nostre aziende e delle nostre tecnologie. Sia sul primo punto sia sul secondo, cioè sia sul punto della politica estera e di sicurezza sia su quello della sovranità economica, scientifica e culturale nel nostro Paese, il Presidente a vita Xi Jinping, che è titolare, è diventato, in questi ultimi anni soprattutto, – dall'accesso alla Presidenza, ma soprattutto con le riforme costituzionali della carta del Partito avvenute negli ultimi due o tre anni, diversamente e in maniera molto più forte di quel potere che veniva esercitato da tutti i suoi predecessori, da Mao in poi –, il centro assoluto delle maggiori responsabilità politiche, economiche e di sicurezza proprie dell'intero Partito comunista cinese e del sistema della Repubblica popolare cinese. Anche per effetto di questa trasformazione nel potere interno, la Cina è diventata oggi il Paese che dimostra di voler influire sulla politica estera e di sicurezza anche dell'Italia, Pag. 5 ma per molti versi soprattutto dell'Italia in Europa, e spera di poterlo fare con successo attraverso una serie di misure e di tendenze che sintetizzerò subito.
  Non siamo certamente il solo Paese target di questa strategia. Pechino non si avvale certamente solo nei nostri confronti di strumenti che esulano completamente da prassi e regole dell'attività diplomatica e politica degli Stati. Pechino svolge, in effetti, a tutto campo pressioni economiche, azioni di intelligence aggressiva e a vastissimo raggio, campagne cyber sui social e di hackeraggio contro governi stranieri, partiti politici, dirigenti politici americani, europei, australiani, neozelandesi, giapponesi, sudcoreani e a favore invece – anche con sostegni politici ed economici documentati – delle numerose personalità che il Governo cinese ritiene amiche.
  Non è solo la Cina a promuovere, soprattutto con l'occasione offerta dalla pandemia, una strategia mirata al sovvertimento – lasciatemi parlare con grande franchezza – della democrazia liberale. È una revisione radicale del diritto internazionale, pattizio, consuetudinario, ampiamente e generalmente riconosciuto. Questo diritto è ratificato dalla stessa Cina negli ultimi settanta anni attraverso un'infinità di strumenti, di accordi, di intese politiche, giuridiche e legali e non è solo la Cina a promuovere una politicizzazione estrema, a proprio favore, delle principali organizzazioni internazionali. Lo vediamo nella posizione dei membri permanenti del Consiglio di Sicurezza: è uno strumento legalmente riconosciuto dalla fine della seconda guerra mondiale a favore di cinque Paesi, che se ne avvalgono interamente e abusano anche del diritto di veto o della condizione di veto che viene loro concessa dalla carta. È la Cina, però, che in questi ultimi anni – direi otto o dieci anni per essere preciso, ma più otto che dieci – utilizza tutte le posizioni che aveva in precedenza per parlare ancora delle Nazioni Unite in questioni di sicurezza, ma anche del DESA e di alcune altre Agenzie, ma che adesso è riuscita a moltiplicare come centri d'appoggio e di sostegno di obiettivi nazionali. Non si venga a parlare di multilateralismo e di visione generale di un mondo multilateralista basata su una nuova ventata di fiducia nelle organizzazioni internazionali: la Cina ha fiducia nelle organizzazioni internazionali che controlla direttamente – abbiamo parlato del Consiglio di Sicurezza – grazie ai voti di un ampio movimento di sostegno e anche grazie a una politica di aiuto allo sviluppo sui generis, sulla quale potremmo soffermarci a lungo, ma è di aiuto allo sviluppo in seno all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Ha acquisito indubbiamente posizioni dominanti, che non aveva in passato, alla FAO, all'IFAD, al Consiglio dei diritti umani a Ginevra, all'International Telecommunication Union, dove non ha ottenuto la Presidenza, ma ha una posizione estremamente forte.
  In questa partita geopolitica sono certamente comprimari anche la Federazione russa e specialmente la Repubblica islamica iraniana. Potrei parlarne, ma per non appesantire la mia esposizione ne parleremo magari nel corso del dibattito e dello scambio di opinioni, per darmi modo di chiarire di cosa parlo. È comunque sotto gli occhi di tutti che, in misura diversa, questi tre Paesi antagonizzano l'occidente nel suo insieme, l'Unione europea e l'Alleanza atlantica, ma la Cina è di gran lunga molte miglia avanti. Gli altri due Paesi che si uniscono sul piano laterale alle posizioni cinesi nel gioco generale della geopolitica, in modo anche abbastanza evidente, sono in realtà la Federazione russa, dettata da una sua strategia che non divide con nessuno – se non con il proprio interesse nazionale – e quindi da una strategia che definirei opportunista, e l'Iran, guidato da qualcosa di diverso, da una visione messianica del mondo. L'Iran ha una posizione di grande leadership nel mondo musulmano. Pur avendo una posizione minoritaria numericamente, ritiene di avere una posizione ideologica e di trascinamento che può dominare nel portare il mondo musulmano su posizioni di contrasto e – perché no – forse anche di conflitto, e regionalmente lo sta facendo. Adesso non vorrei avvicinare il termine «messianismo» a quello del Partito comunista cinese come a quello dell'Islam sciita e dei mullah sciiti, Pag. 6ma indubbiamente l'Iran ha una visione del mondo a lungo termine basata sull'auspicio e sul convincimento che i dirigenti di quei Paesi cercano di inculcare ai propri popoli con tutti gli strumenti possibili, dalla propaganda alla repressione, anche al versante economico quando riescono, una certa idea di un destino del loro Paese e del loro popolo. Guardiamoci bene, parlo di popolo in senso etnico, non in senso razziale, come fanno alcuni, ma sicuramente etnico e culturale. Vediamo la posizione degli Han in Cina rispetto ai tibetani, ai musulmani, e sicuramente non sono quelli a costituire l'identità culturale della Cina oggi. Semmai sono delle identità che vanno combattute, secondo il Governo cinese. Lo stesso in gran parte vale per l'Iran, che, pur essendo un crogiolo di realtà culturali ed etniche, ha una posizione di preminenza basata sulla fede sciita. Questo è per chiarire che la Cina non è l'unico protagonista di questo tipo di operazioni di interferenza, ma è il campione – a mio avviso e ad avviso di diversi altri osservatori, non soltanto italiani – di queste interferenze indebite e in alcuni casi – diciamocelo sinceramente, per capire a cosa mi riferisco – fortemente lesive della sovranità del popolo italiano garantita dalla Costituzione. Se mi trovo di fronte a interferenze fatte attraverso sistemi anche indecifrabili e non attribuibili a intelligence; ad attacchi sui social media attraverso troll e intelligenza artificiale; a risposte cyber di ogni tipo e modalità che cercano di modificare l'atteggiamento complessivo dell'opinione pubblica italiana a favore di tesi che convengono soltanto a una trasformazione interna del nostro Paese, così come di altri Paesi; a tesi che sono mirate a incidere sulle relazioni internazionali del nostro Paese in modo molto profondo, sicuramente non siamo in un campo di valutazione serena da parte della cittadinanza per quello che è il giudizio che deve essere poi espresso attraverso la cittadinanza dalle istituzioni che i cittadini italiani rappresentano.
  Allora andiamo a vedere quali sono le azioni principali. Sinceramente, me le sono scritte rapidamente senza fare grandi ricerche, ma sono nella memoria di tutti e sotto gli occhi di tutti, almeno sotto gli occhi di quelli che guardano e che non vogliono girare la testa dall'altra parte. Siamo di fronte a un quadro di interferenze inquietanti volte a modificare, impedire, censurare qualsiasi presa di posizione italiana su almeno sette o otto punti straordinariamente importanti per la nostra politica estera.
  Il primo è un punto che riguarda l'assoluta necessità dell'Italia di far parte e di promuovere, suggerire, agire, fare di tutto per impedire il ripetersi di genocidi di qualsiasi forma. In Xinjiang è in atto un genocidio. Non è necessario avere sei milioni di vittime nelle camere a gas. Lo vediamo in tutti i manuali: chiunque apra un manuale di storia della giustizia internazionale lo vede con grande facilità; il genocidio inizia con la deculturazione, lo sradicamento dell'identità, la sterilizzazione forzata delle donne, l'internamento delle famiglie, la separazione dei bambini dai genitori, il riconoscimento, il prelievo del DNA da decine di milioni di cinesi nelle zone critiche del Paese per capire le componenti genetiche.
  Il secondo punto è stato anche oggetto di molte polemiche sulle posizioni prese, almeno dall'Italia, in questi ultimi tempi riguardo all'appropriazione con la forza del Mar della Cina meridionale. L'appropriazione con la forza del Mar della Cina meridionale è un dato di fatto che si è realizzato nonostante e contro una sentenza della Corte internazionale di giustizia, che condannava la Cina a eliminare la restitutio in integrum sul ricorso filippino, poi rimasto in sospeso nell'attuazione, ma che la Cina ha detto di non voler assolutamente attuare. In fin dei conti la Cina è il Paese più potente, ha bisogno della sua Lebensraum, ha bisogno del suo spazio vitale. La Cina va a prendere quello che le serve, quindi le risorse naturali, anche altrui, perché il popolo cinese deve crescere, ha una missione nel mondo. È stato uno smantellamento da parte del più grande e più popoloso Paese, forse fra non molti anni anche del membro economicamente e militarmente più potente delle Nazioni Unite, di una fondamentale conquista del diritto Pag. 7internazionale, cioè – ne abbiamo sentito parlare tanto – la Convenzione della Giamaica sul diritto del mare, UNCLOS. Questo vuol dire che si sono lasciati calpestare completamente i diritti territoriali di sovranità, di sfruttamento economico, di navigazione il Vietnam, il Brunei, l'Indonesia. Più a Nord, poi, la questione si propone anche col Giappone e con la Corea del Sud. Quali sono le posizioni e le azioni diplomatiche che stiamo attuando per impedire che il diritto internazionale si pieghi al riconoscimento, attraverso la prassi acquisita per anni, del fatto che il diritto internazionale lo si fa con una forza? Non lo si fa con ricorso alle giurisdizioni internazionali, non lo si fa con il negoziato, non lo si fa con i meccanismi di risoluzione delle controversie o con decisioni legittime di organi internazionali a ciò abilitati; lo si fa occupando, se uno ha la forza. Mi dispiace dire questo, perché ho una visione parecchio diversa rispetto a quello che è il rapporto che noi abbiamo avuto sempre e che dobbiamo continuare a coltivare con la Russia. Questo è un problema di fondo, che riguarda anche ciò che è avvenuto e che sta avvenendo nel Donbass: non c'è la possibilità di chiarire attraverso il processo di Minsk questo tipo di contenzioso, ma nel Mar della Cina non c'è neanche un processo di Minsk o un qualsiasi altro processo, nulla. La comunità internazionale rimane zitta; l'Italia è stata estremamente tiepida, a quanto capisco, a meno che non ci siano stati dei passi segreti che non ho nessun diritto di conoscere, ma questo è un punto importante.
  Forse qualcuno ha letto sui giornali che pochi giorni fa c'è stata una manifestazione di poche persone, perché purtroppo sono rimasti in pochi in grado di alzare la voce su questo: ci sono cento milioni di vittime, di perseguitati da ventuno anni, del Falun Gong, una confessione, una linea di pensiero culturale che predica la non violenza, la tolleranza, l'amore per il prossimo. Sono pericolosissimi in Cina, tant'è vero che la Cina, nel momento in cui è entrata nell'Organizzazione mondiale del commercio, proprio in quei mesi ha deciso di avviare una persecuzione durissima contro il Falun Gong. Vi risparmio i rapporti, oramai oggetto anche di sentenze di magistratura in giro per il mondo, sull'espianto forzato di organi dai prigionieri del Falun Gong da parte di ospedali cinesi, che sono in un circuito che poi è collegato anche, purtroppo, a beneficiare i medici che inconsciamente cadono in questa rete.
  Quarto punto, il Tibet. È un problema irrisolto, ma sempre più aggravato da un trasferimento di popolazione e una «cinesizzazione» della componente prevalente del Paese e che indubbiamente da molti anni rappresenta uno dei tanti crimini contro l'umanità su cui non ho più sentito parlare se non in contesti esterni alla composizione di Governo – lo dico con molta chiarezza – nella politica estera italiana, mentre in passato se ne parlava con diversa frequenza e convincimento per quanto riguarda l'affermazione dei diritti umani e lo Stato di diritto.
  Il quinto punto riguarda Hong Kong, cioè l'imposizione della nuova legge sulla sicurezza in violazione della legge fondamentale e delle intese sino-britanniche convalidate e recepite dalle Nazioni Unite. Su questa cosa consentitemi di dire che c'è molta delusione. Non conta il piano degli interessi economici e finanziari, ma Hong Kong, perché quello che accade, che è accaduto e che accadrà sempre di più in quel territorio lo si vede come il test della praticabilità di «un Paese, due sistemi», che crolla completamente con quello che sta avvenendo.
  In tutto questo c'è il sesto punto, cioè la disinformazione, le azioni di minaccia e le interferenze sistematiche da parte delle autorità cinesi, persino quando si parla, quelle poche volte che si riesce, al di fuori magari di dibattiti parlamentari formali, con side event come convegni o conferenze stampa in Aule del Senato o della Camera organizzati da parlamentari particolarmente sensibili a questi temi, insieme a think tank che operano su questi territori. Io penso che sia giusto parlare in questi termini quando l'Ambasciata di Cina a Roma tuona contro un approfondimento o un dibattito libero sulla situazione a Hong Kong alla Sala Nassiriya del Senato, qualche mese fa, Pag. 8che vedeva l'intervento via Skype di Joshua Wong, Ambasciata che dà degli irresponsabili ai parlamentari che vi prendevano parte. Questa è un'interferenza sulla politica estera italiana e su molte altre cose, ma anche sulla dignità del Parlamento. Ci sono state proteste da parte dei diversi responsabili di partiti che erano presenti e spero che le autorità cinesi ne abbiano tenuto conto, ma sono cose che giustamente devono essere stigmatizzate.
  Con il settimo punto torniamo alla legge per la sicurezza nazionale. Sicuramente gli onorevoli parlamentari presenti la conoscono perfettamente, perché questa legislazione è straordinaria, soprattutto alcune norme. È straordinaria l'idea che un Paese possa legiferare sul diritto penale in materia di antiterrorismo e di sicurezza dello Stato con una giurisdizione e un'applicabilità globale. La legge dice che chiunque sia reo di atteggiamento sedizioso o sovversivo per parlare di libertà, democrazia, Stato di diritto, diritti umani a Hong Kong è passibile di essere processato ed estradato verso la Cina per essere giudicato. Non lo dice solo ai cittadini cinesi, magari rifugiati politici, e questo sarebbe già abbastanza grave, ma lo dice senza qualificazioni, cioè a chiunque di noi parli in questi termini ritenuti offensivi. Ci sono stati anche degli scambi sui social con le autorità cinesi, le quali non hanno assolutamente chiarito questo, e quindi rimaniamo nel dubbio.
  L'ottavo punto è la cyber information warfare, cioè quel conflitto a bassa intensità di cui è sempre più specializzata l'intelligence di molti Paesi, ma qui parliamo dell'intelligence cinese, di disinformazione e pressione al massimo livello politico, con l'obiettivo di far passare tesi propagandistiche persino con l'impiego di pubblicità mirate o di articoli compiacenti sulla grande stampa del nostro Paese (stampa, media eccetera). Questo non avviene solo in Italia, per carità, ma avviene in tutto il mondo, perché le risorse che vengono destinate dal Governo cinese a questo tipo di operazione sono molto ampie, ma in Italia sicuramente questo è un elemento che si inserisce nelle diverse cose che erano contemplate dal Memorandum of understanding firmato lo scorso anno in occasione della visita del Presidente Xi Jinping, Memorandum che era stato venduto a tutti come un accordo commerciale, un accordo che favorisse l'interscambio, che favorisse la crescita economica eccetera e poi ha delle clausole molto precise nelle quali l'Italia si impegna nel contribuire alla diffusione di notizie date dalle agenzie stampa del Partito comunista cinese scambiando informazioni non con riferimento all'intelligence, ma informazioni sensibili fra i due Paesi. Tutto questo l'abbiamo visto. Questa attività di cyber information warefare è stata evidentissima su tre piani: la lotta al coronavirus nel suo insieme e tutta la storia degli aiuti cinesi, sulla quale non mi dilungo perché è stra-conosciuta; la cyber information warefare per cercare di ribaltare la frittata addirittura sulle spalle degli occidentali e – tragicamente ridicolo – anche sulle spalle italiane riguardo all'origine del coronavirus, quando in base all'International Health Regulation, entro ventiquattro ore, l'accordo firmato e ratificato dalla Cina nel 2005 dopo l'epidemia SARS obbligava Pechino a informare tutti gli altri centottanta aderenti a quel sistema e informare in parallelo l'OMS. Questo non è avvenuto ancora, neanche fino ad oggi, perché sappiamo che l'OMS continua a dire quanto sono bravi i colleghi cinesi, ma cose concrete che interessano non sono uscite fuori e tanto meno questa grande collaborazione e amicizia con l'Italia ha prodotto qualche canale privilegiato, se non forse quello degli aiuti e delle mascherine regalate e in parte, credo, pagate dal contribuente italiano. Non si è prodotta quella collaborazione scientifica che poteva essere importante, magari, anche se è vero che i medici cinesi sono stati da Wuhan a Brescia, Bergamo eccetera. Non mi pare, però, che sul piano della collaborazione scientifica ci sia stato molto, dato che anche il dottor Fauci ha rilasciato dichiarazioni ripetute alle televisioni italiane sottolineando come questa collaborazione sia stata da loro richiesta, dagli americani, da Fauci stesso, e sempre negata. C'è stata tanta disinformazione, ma il rating della Cina nell'opinione pubblica è salito Pag. 9per l'apertura che è stata data anche all'informazione pubblica. Questo grazie alla stampa e alla televisione, che ha trasmesso soprattutto servizi sugli aiuti cinesi. Sappiamo che hanno trasmesso cinque, sei o sette volte più questi servizi rispetto a quelli sugli aiuti russi o americani.
  Cito solo come elemento di attenzione la grande questione del 5G e di quella che è l'intelligence economica. Vogliamo mettere il 5G sul tema dell'intelligence economica? Sicuramente entra, ma entra su qualsiasi tipo di intelligence (politica, strategica, militare eccetera). È una questione determinante. Qui c'è una cosa da osservare, che non è marginale. C'è una totale disinformazione sull'assoluta verginità di un colosso come Huawei per quanto riguarda i rapporti con l'intelligence cinese. Basta vedere la strutturazione verticistica e ideologica dell'intelligence della Cina, basata su un raccordo molto stretto col vertice e quindi alla fine con Xi Jinping, mirato all'avanzamento rapidissimo nei settori più cruciali per il Paese per la trasformazione, l'innovazione e la ricerca – lo dicono espressamente i documenti cinesi – attraverso l'«acquisizione» – termine eufemistico, diciamo più in linguaggio corrente la «sottrazione» – in qualsiasi modo possibile di conoscenze, tecnologie e controlli proprietari attraverso le attività di intelligence. Quello che avviene in campo economico, scientifico e tecnologico avviene tramite l'ignorare, da parte di molti nel nostro Paese, dell'articolo 7 della legge sulla sicurezza nazionale del 2017, che obbliga qualsiasi ente, azienda o singolo operante all'estero a contribuire e a operare sulle questioni nelle quali viene richiesto in stretto raccordo con l'amministrazione centrale e con il Governo. Quindi, come si fa a venire e dire che un'azienda di quelle proporzioni – che sappiamo come è nata, come si è sviluppata, di cui sappiamo che i 20 mila dipendenti hanno fatto parte delle forze armate dell'intelligence e sono stati catalogati uno per uno qualche tempo fa – sia affidabile perché dice di essere affidabile? È una sorta di autocertificazione che io mi auguro funzioni meglio di tante autocertificazioni che vediamo in giro.
  Forse con eccessiva cattiveria, che potrebbe farmi giustamente redarguire in un certo senso, avevo portato qui per leggere – presidente, la prego di sapere che rinuncio a questo già in partenza perché sennò altro che essere redarguito! – due pagine e mezza di un rapporto pubblicato da Merix, grande istituto di ricerca tedesco a Berlino, collegato al German Marshall Fund e a tanti altri centri di ricerca europei, sull'influenza cinese in Italia attraverso think tank, attraverso l'opera di altissime ex personalità di Governo che vengono nominate nelle loro precedenti e attuali funzioni, attraverso associazioni costituite ad hoc e collegate direttamente a situazioni italiane di amicizia, di cultura eccetera, collegate direttamente, ad esempio, con lo United front work Department, dipendente dal sistema di intelligence militare cinese, e addirittura qualche esponente cinese di tale Dipartimento è inserito organicamente in queste associazioni.
  Voi sapete che ci sono circa trecento entità cinesi che hanno investimenti considerevoli o controllano, in parte o totalmente, circa ottocento aziende italiane. C'è chi sostiene che sarebbe molto improbabile che queste forme di controllo di partecipazione ai consigli di amministrazione eccetera non siano l'occasione per facilitare tutta questa immane operazione di intelligence economica che si sta portando avanti. Se a qualcuno interessa questo rapportino, così come se interessa qualcosa di più su quello che costituisce per le elezioni nei Paesi occidentali, in particolare in Europa, la minaccia cyber, c'è un altro un altro rapportino che posso rendere disponibile. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie di cuore. Il Suo è davvero un contributo enorme per la nostra indagine conoscitiva. Chiedo quindi ai colleghi se ci sono domande od osservazioni. Comencini, prego.

  VITO COMENCINI. Ringrazio l'ex Ministro per questa audizione molto approfondita e interessante, perché è andato veramente a estrapolare delle parti importanti, in particolar modo sul pericolo della Cina Pag. 10e dell'influenza nel nostro Paese della politica cinese, che credo finora nelle varie audizioni, per quanto tutte molto importanti e interessanti, non si era andati ad approfondire e a sviscerare. Mi ha fatto anche piacere soprattutto che abbia toccato, ad esempio, la questione della minoranza, che poi non è così minoranza, del Falun Gong. Alcuni esponenti sono spesso fuori dal nostro Parlamento a protestare e sono stati spesso, purtroppo, anche ignorati. Rispetto a questi ho chiesto un'audizione dell'associazione di medici che si batte contro il prelievo forzato di organi. Credo che sia uno dei tanti talloni di Achille che ha questo regime comunista cinese, da cercare innanzitutto di far emergere e portare a conoscenza dei cittadini rispetto alla cattiva informazione che diceva Lei, cioè al fatto che viene invece presentata la Cina come un qualcosa di positivo, di bello, di utile per l'occidente e in particolar modo per l'Italia.
  Volevo, però, chiedere anche se era possibile un'aggiunta rispetto a quello che Lei ha detto nella Sua spiegazione di una visione delle possibili interferenze e geopolitica rispetto all'occidente. In particolar modo, ha fatto riferimento anche alla Russia e all'Iran come Paesi che possono avere una particolare influenza e anche una particolare visione globale. In particolare, parlava dell'Iran e di quella missione – se non sbaglio – messianica, cioè quasi di conquista del mondo, o comunque una visione da impero persiano, anche se in questo momento c'è un regime che non c'entra nulla con quel magnifico impero; anzi, è un regime basato su un'ideologia probabilmente islamica, quindi tutt'altra cosa, però, paragonato a quello, mi viene in mente in questo momento la questione di un altro Paese, che non va sottovalutata da questo punto di vista: la Turchia. Volevo capire la Sua visione in merito. Anche la Turchia è un Paese che talvolta si barcamena tra posizioni di amicizia, a volte con la Russia, e poi rientra nelle posizioni atlantiche, però nel contempo ha un Ministero che finanzia – se non sbaglio – la costruzione di moschee in Europa. Lo stesso Erdoğan raccomanda ai turchi di fare cinque figli a testa in modo da conquistare l'Europa. Magari questo non tanto per quanto riguarda l'Italia, ma noi siamo anche in Europa, quindi non possiamo fingere di non vedere quello che succede in Germania o in Austria, dove sono state chiuse molte moschee perché finanziate dalla Turchia e avevano all'interno la propaganda islamista estremista a favore del terrorismo islamico.
  Anche nei Balcani è evidente, per motivi storici, che la presenza turca è sempre più preponderante. In particolar modo mi viene in mente una riflessione su questo Paese perché Lei diceva che l'interferenza può avvenire in vari modi, ad esempio anche con ricatto economico o cose del genere. Questo lo vediamo in particolar modo con i migranti. In questo momento in Grecia si sta vivendo una situazione sempre più emergenziale legata alla Turchia, che sappiamo come, di fatto, ha ricattato l'Europa dicendo che non avrebbe mandato gli immigrati in cambio di soldi.
  Un'altra questione, che riguarda in questo caso anche un po' l'Italia, è quella della Libia, dove è evidente che la Turchia gioca un ruolo da protagonista in questo momento. Seppur non è l'Italia, la Libia è un Paese rispetto al quale l'Italia dovrebbe giocare un ruolo da protagonista e quindi non si può far finta di non vedere quello che succede rispetto a questo Paese. Volevo avere da parte Sua, se possibile, una riflessione in merito a questo per capire anche come questo Paese può incidere rispetto alla nostra sovranità. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, c'è anche il collega Picchi. Magari raccogliamo entrambi gli interventi. Se ci sono altri colleghi poi magari si prenotano.

  GUGLIELMO PICCHI. Grazie, presidente. Della sua relazione emerge chiaramente quanto la Cina sia la sfida per la politica estera del mondo occidentale, e anche per l'Italia. Nel suo giudizio, quanto gli attori della politica estera italiana sono consapevoli del grado di pericolosità di questa minaccia? Naturalmente non parlo solo della parte politica, ma di tutti coloro che se ne occupano, dagli analisti ai giornalisti, Pag. 11 agli operatori stessi e ai suoi ex colleghi, per essere molto banale. Grazie.

  PRESIDENTE. Aggiungo anch'io una domanda, se possibile. All'interno del nostro sistema Paese, o di quel poco che ne rimane, vede svilupparsi degli anticorpi a questi influssi che così bene ci ha descritto? Quale preoccupazione ha per queste oggettive interferenze che ci ha documentato? Grazie mille.

  GIULIO TERZI DI SANT'AGATA, già Ministro degli Affari esteri. In senso anti-cronologico, parto dal presidente. Avevo una certa impressione quando ho cominciato un po' più seriamente a studiare il rapporto con la Cina. Ho un'antica consuetudine di lavoro alle Nazioni Unite con i colleghi cinesi, di cui ho sempre avuto il massimo rispetto. La battaglia sulla riforma del Consiglio di Sicurezza era fatta veramente in grossa collaborazione con loro e con tanti Paesi di cui eravamo parte. Ho cominciato però a concentrarmi di più, da un anno e mezzo a questa parte, sulle implicazioni di ciò che stava avvenendo, soprattutto in preparazione della visita del Presidente Xi Jinping e di tutto quello che questo comportava con il Memorandum of understanding. Un anno e mezzo fa avevo la sensazione, unica nella mia esistenza professionale di cittadino italiano, di essere una sorta di vox clamans nel deserto. Prendevo delle posizioni che nessuno condivideva e mi sembrava di diventare un'identità bizzarra. In quest'anno e mezzo, per carità, per un fenomeno di generazione spontanea di attenzione, ho visto nascere delle preoccupazioni da diverse parti in seno alle forze politiche italiane.
  In Europa il fenomeno è molto più radicato perché bisogna fare i conti col fatto che, per esempio, al Bundestag e al Bundesrat ogni gruppo parlamentare ha un suo centro studi sulla Cina che si dedica solo a questo. Esistono task force molto dedicate su questo, quindi lì queste preoccupazioni c'erano già da molto tempo, anche se sappiamo essere controbilanciate da interessi economici di grandissima proporzione dell'industria tedesca in Cina. In Italia la narrativa era sempre stata quella del grande mercato. Vi ricordo, onorevoli, la famosa affermazione che io ho sentito la prima volta a Radio Radicale: «La Via della Seta è il Piano Marshall degli anni 2000.» C'era una personalità estremamente autorevole della politica italiana che ripeteva questa affermazione e c'erano tantissimi che seguivano. In questo anno e mezzo le cose sono cambiate. Si è costituita un'associazione interparlamentare sulla Cina di circa 150-200 parlamentari che lavorano a fondo su questi temi e lavorano in modo coordinato fra loro, in 30-40 diversi Parlamenti del mondo. Ci sono personalità di Governo un po' in tutti i Paesi che lavorano su questo tema; quindi la consapevolezza sta emergendo ed è una consapevolezza forte. Noi abbiamo il COPASIR e la relazione conclusiva della questione 5G, credo che il relatore fosse l'onorevole Elio Vito: era chiarissimo, c'era il consenso completo sulla pericolosità di consegna del 5G a un gigante cinese. Poi abbiamo visto che l'implementazione di questa raccomandazione parlamentare è stata molto claudicante per alcuni aspetti, forse meno in questi ultimi tempi con la decisione di Tim, ma c'è sempre da stare molto attenti e molto accorti.
  Questo per quanto riguarda la consapevolezza: dal punto di vista dell'intensità della minaccia e di quello che comporta l'insieme di questa situazione – rispondendo all'onorevole Picchi, che ha un'esperienza di Governo molto importante – io credo che l'Italia abbia il dovere di muoversi in un senso coerente con quello che dicevo all'inizio, cioè con la propria sovranità economica, scientifica, culturale, della ricerca. Non c'è nessuna distrazione che possiamo prendere. Qui si tratta di guardare le cose punto per punto. La collaborazione spaziale, per dirne una, è una collaborazione straordinariamente importante che la Cina vede nell'Italia per i programmi satellitari militari delle forze armate cinesi e noi siamo un punto di raccordo che è importante per i cinesi perché siamo il principale partner europeo Pag. 12 della NASA, ma è evidente che aprendo la porta se ne socchiude perlomeno un'altra; quindi su questi punti a mio giudizio ci deve essere una grande attenzione, molto puntuale. Si può correggere nel suo insieme la politica che stiamo avendo, ma io tante volte ho lanciato lo slogan «Stop all'attuazione del Memorandum of Understanding» se non vengono fornite tutte le collaborazioni che devono essere date, per esempio, nella lotta alla pandemia, al di là della propaganda. Quindi su questo bisogna anche fare i conti con un'opinione pubblica che è stata abituata a una narrativa dei principali organi di informazione, nelle università e dovunque, una narrativa che era a senso unico, che era tutta quella che si è sviluppata dal famoso punto del 1999-2000 a favore di un'illusione di riforme, addirittura di un processo costituzionale in Cina, che invece è andato in direzione completamente opposta.
  Vado velocemente sugli ultimi due temi. La Turchia è un interlocutore importantissimo per l'Europa, in senso negativo e anche con qualche elemento positivo. In senso negativo sempre di più: basta vedere l'intolleranza religiosa, perché il fenomeno di ri-trasformazione di Santa Sofia in moschea non è una cosa fatta per compiacere, ma risponde a un convincimento di fondo del Presidente Erdoğan e del suo partito della necessità di far risorgere la componente islamica, l'Islam politico, di riaffermarlo e di farlo progredire in tutta l'area di interesse della Turchia, cioè non soltanto nel Paese, ma anche in quella che era definita da un ex Primo Ministro turco, Davutoğlu, la «profondità strategica» della Turchia. Noi italiani pensavamo che la profondità strategica della Turchia andasse più verso l'Asia Minore. Con un brusco risveglio ci siamo accorti che la sua profondità strategica veniva anche da questa parte e, guarda caso, proprio nel controllo della zona economica che per noi è di vitale importanza dal punto di vista di sfruttamento di idrocarburi, di connessioni, ma anche di grandi correnti migratorie e sappiamo quanto Erdoğan abbia giocato sull'arma migratoria per ottenere aiuti o per effettuare pressioni. Quindi è un partner atlantico, è un partner economico sempre più problematico, ma che secondo me è su un piano ben diverso da quello dell'Iran.
  L'Iran ha tutto quello che si può dire dell'Islam politico dei Fratelli Musulmani, che sicuramente non hanno al loro interno delle componenti tenere verso il dialogo interreligioso. Anche riguardo alla lotta al terrorismo ci sono delle componenti storiche dei Fratelli Musulmani che sono state fortemente compromesse: basti dire che Sadat è stato ucciso proprio da una di queste componenti. Negli anni, poi, sono proseguite, ma mi sembra che l'Iran sia su un piano completamente diverso. Il terrorismo, l'assassinio, il massacro fanno parte della politica estera e di sicurezza iraniana. C'è un utilizzo sempre più esteso di Hezbollah nelle sue diverse configurazioni, ma anche gli Islamic Revolutionary Guard Corps, i pasdaran, le Jihad islamiche di altre formazioni sono un elemento della politica di sicurezza iraniana per prendere il controllo, nella misura in cui a loro conviene, di tutto il circondario: parlo dell'Iraq, dove abbiamo visto le difficoltà del nuovo Primo Ministro che aveva cercato di disarmare lì le milizie iraniane; della Siria, che è ampiamente controllata, seppure in partenariato con la Russia, dall'Iran e dalle formazioni iraniane militari; del Libano; dello Yemen. In modo inquietante terrorismo, sostegno al terrorismo, azione per i proxy, programma nucleare – quella è una cosa che sicuramente non sta andando per il verso giusto, possiamo discuterne a lungo –, antisemitismo, minacce all'esistenza di Israele; è uno Stato delle Nazioni Unite che minaccia di unificare il territorio fra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo dichiarandolo pubblicamente. Da un punto di vista di constatazione delle tendenze geopolitiche e di sviluppo economico di un'intera regione che va dal Libano sino allo Yemen, la destabilizzazione e l'influenza militare e politica iraniana portano un'incontrollabile diffusione progressiva di violenza, oramai da anni, e un Pag. 13impoverimento inarrestabile di tutte quelle popolazioni, anche se sono Paesi, a cominciare dall'Iran, in parte anche la Siria, con ricchezze vere nel sottosuolo e con altre potenzialità. È questo l'aspetto che secondo me aggrava una valutazione sull'Iran rispetto a quella sulla Turchia, ma sono perfettamente d'accordo che è un elemento di preoccupazione anche quello.

  PRESIDENTE. Grazie. C'è ancora una domanda del collega Orsini.

  ANDREA ORSINI. Grazie. Prendo spunto da un riferimento che Lei ha fatto poco fa all'Italia nell'Alleanza atlantica. È del tutto evidente che il tema dei rapporti con la Cina è estraneo alle competenze istituzionali e territoriali dell'Alleanza atlantica. È altrettanto evidente che l'Alleanza atlantica, essendo l'insieme dei Paesi che condividono un sistema di valori di tipo occidentale, è direttamente interessata alla sfida, che è una sfida sistemica che la Cina sta portando al sistema occidentale sul piano politico, economico e direi anche militare. Naturalmente, l'Alleanza atlantica è nata immaginando come competitor l'allora Unione Sovietica e in qualche modo, soprattutto da parte dei Paesi di nuova acquisizione, è rimasta nell'Alleanza atlantica questa forte sensibilità alla contrapposizione con la Russia, che però evidentemente va sempre affievolendosi nella sua rilevanza strategica rispetto al tema del rapporto con la Cina.
  Lei ritiene che negli anni questo porterà a una trasformazione del ruolo e delle funzioni della NATO, anche a un possibile ripensamento dei trattati, che ci sia una qualche prospettiva di questo tipo?

  GIULIO TERZI DI SANT'AGATA, già Ministro degli Affari esteri. Io credo che noi europei abbiamo un cronico e crescente deficit di sicurezza, capacità e difesa. È evidentissimo che non siamo riusciti mai a far veramente decollare neanche un nucleo di Paesi europei credibile all'interno dell'Alleanza atlantica per potersi in qualche modo sostituire, crescendo, a tante funzioni che l'America, magari volutamente, per un periodo storico anche molto lungo, si è accollata anche per i propri interessi strategici nazionali. L'Alleanza atlantica è un'organizzazione politico-militare – politica prima che militare, anche se il valore militare è grandissimo – che rappresenta uno strumento insostituibile, ancor di più in una fase storica di disorientamento sulle questioni della difesa dell'Europa nel suo insieme, perché siamo tutti convinti di questa crescita e questa consapevolezza, che abbiamo spesso invocato in ogni possibile contesto. Purtroppo lo vediamo sempre più lontano, ancora di più con quello che ci ha colpito negli ultimi mesi. Da un anno e mezzo a questa parte l'Alleanza atlantica si è posta il problema della Cina, perché si è posta da sempre – non dico dall'inizio, ma forse da una stagione avanzata della guerra fredda – il tema delle sfide globali. Pensiamo, ad esempio, all'intelligenza artificiale, al controllo entro quattro o cinque anni: la Cina rischia di arrivarci prima se non ci arrivano prima gli altri, o comunque a pari merito. C'è un controllo rapidissimo di questa nuova rivoluzione, che è una rivoluzione di qualsiasi idea, non soltanto tecnica di realizzazione di armamenti, ma di pensiero strategico; quindi è in seno all'Alleanza Atlantica, che fra l'altro svolge anche delle funzioni molto importanti contro la cyberwar o qualcosa di simile. Ricordiamoci il Manuale di Tallinn, l'esperienza con l'Estonia sin dagli anni 2007 e tutto quello che si è costruito da allora. Da quello che sento dei lavori a Bruxelles, nel quartier generale NATO c'è un convincimento dell'utilità di continuare a lavorare in un contesto atlantico da parte dei Paesi che ne fanno parte. Questo serve anche per la standardizzazione dei materiali, per l'affinamento, anche per la condivisione di elementi di intelligence che sono magari circoscritti a gruppi ristretti all'interno dell'Alleanza, ma che sono favoriti dall'esistenza dell'Alleanza. C'erano tante previsioni di dissoluzione dell'Alleanza atlantica in parallelo alla dissoluzione del Patto di Varsavia. Ora io credo che abbiamo di fronte qualcosa che rischia di diventare ben più pericoloso di quello che era il Patto Pag. 14di Varsavia degli anni Ottanta, perlomeno. Grazie.

  PRESIDENTE. Ringrazio nuovamente l'Ambasciatore per il Suo contributo e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.15.