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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVIII Legislatura

XII Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Martedì 22 gennaio 2019

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Lorefice Marialucia , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA IN MATERIA DI FONDI INTEGRATIVI DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE

Audizione di rappresentanti della Federazione italiana della mutualità integrativa volontaria (FIMIV), della Fondazione GIMBE e del Centro di ricerche sulla gestione dell'assistenza sanitaria e sociale (CeRGAS), nell'ambito dell'indagine conoscitiva in materia di fondi integrativi del Servizio sanitario nazionale.
Lorefice Marialucia , Presidente ... 3 
Piermattei Massimo , membro della presidenza della FIMIV ... 3 
Borgonovi Elio , presidente del CeRGAS ... 6 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 7 
Cartabellotta Antonino , presidente della Fondazione GIMBE ... 7 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 11 
Bologna Fabiola (M5S)  ... 11 
D'Arrando Celeste (M5S)  ... 11 
De Filippo Vito (PD)  ... 11 
Cecconi Andrea (Misto-MAIE-SI)  ... 12 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 13 
Borgonovi Elio , presidente del CeRGAS ... 13 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 15 
Piermattei Massimo , membro della presidenza della FIMIV ... 15 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 18 
Cartabellotta Antonino , presidente della Fondazione GIMBE ... 18 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 19

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo Italiani all'Estero-Sogno Italia: Misto-MAIE-SI;
Misto-Civica Popolare-AP-PSI-Area Civica: Misto-CP-A-PS-A;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI;
Misto-+Europa-Centro Democratico: Misto-+E-CD.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
MARIALUCIA LOREFICE

  La seduta comincia alle 12.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati, nonché la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti della Federazione italiana della mutualità integrativa volontaria (FIMIV), della Fondazione GIMBE e del Centro di ricerche sulla gestione dell'assistenza sanitaria e sociale (CeRGAS), nell'ambito dell'indagine conoscitiva in materia di fondi integrativi del Servizio sanitario nazionale.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in materia di fondi integrativi del Servizio sanitario nazionale, l'audizione di rappresentanti della Federazione italiana della mutualità integrativa volontaria (FIMIV), della Fondazione GIMBE e del Centro di ricerche sulla gestione dell'assistenza sanitaria e sociale (CeRGAS).
  Saluto i nostri ospiti, ringraziandoli per aver accolto l'invito della Commissione a partecipare all'audizione. Sono presenti la Federazione italiana della mutualità integrativa volontaria con Massimo Piermattei, vicepresidente del Consorzio mutue sanitarie, la Fondazione GIMBE con il presidente Antonino Cartabellotta, e il Centro di ricerche sulla gestione dell'assistenza sanitaria e sociale con il presidente Elio Borgonovi.
  Pregherei i nostri ospiti di contenere il proprio intervento entro sette minuti, per dare modo ai deputati di porre delle domande, cui seguiranno le repliche dei soggetti auditi, che potranno consegnare alla segreteria della Commissione un documento scritto o farlo pervenire successivamente. La documentazione sarà pubblicata sul sito internet della Camera e resa disponibile ai deputati attraverso l'applicazione GeoCamera.
  Do la parola al vicepresidente del Consorzio mutue sanitarie, dottor Massimo Piermattei per la Federazione italiana della mutualità integrativa volontaria.

  MASSIMO PIERMATTEI, membro della presidenza della FIMIV. Grazie, buongiorno a tutti. Devo scusare l'assenza del presidente della Federazione italiana mutualità integrativa volontaria, Placido Putzolu, che purtroppo questa mattina è stato colto da influenza, quindi lo rappresento in qualità di vicepresidente del consorzio delle principali mutue sanitarie operanti in Italia.
  Vi ringraziamo di questa opportunità di partecipare a questa audizione, ieri abbiamo anche fatto pervenire una breve nota. Approfitto di questi pochi minuti per inquadrare il punto di vista della nostra Federazione delle mutue rispetto al tema dei fondi sanitari integrativi.
  La nostra Federazione è nata all'inizio del 1900 proprio come Federazione delle società di mutuo soccorso, ed è l'organizzazione di rappresentanza delle principali società di mutuo soccorso che operano anche nell'ambito dell'assistenza sanitaria integrativa.
  La nostra legge di riferimento è ancora la legge del 1886, la n. 3818, che nel 2012 ha avuto degli aggiornamenti che hanno Pag. 4consentito di ribadire e mettere ancora più fuoco le nostre finalità nell'ambito della capacità di istituire e gestire anche fondi sanitari integrativi.
  Il fenomeno del mutuo soccorso è un fenomeno antico, che trae origine alla fine del 1800 in conseguenza del fenomeno delle industrializzazione e quindi da una prima forma spontanea di welfare, in cui i lavoratori mettevano a disposizione proprie risorse di risparmio per darsi reciproco aiuto.
  Questi valori del mutuo soccorso hanno attraversato questi decenni e i riferimenti dell'istituzione del Servizio sanitario nazionale hanno differenziato in senso integrativo anche il ruolo delle mutue, quindi mutue non più rivolte ad alcune categorie di lavoratori, ma riservate ad integrare le prestazioni del Servizio pubblico.
  La sanità integrativa, prevista già nel 1992-1993, quindi a circa quindici anni di distanza dall'istituzione del Servizio sanitario nazionale, identificava proprio la necessità di individuare degli strumenti che oggi potremmo definire sussidiari. L'universalismo del Servizio sanitario nazionale è messo in discussione, come sappiamo, da fenomeni legati alla contrazione delle risorse, all'invecchiamento della popolazione e all'innovazione tecnologica, e oggi il ruolo della sanità integrativa proprio in chiave sussidiaria diventa uno strumento importante di sostegno alle famiglie, per garantire l'accessibilità alla cure e alle prestazioni sanitarie.
  I princìpi delle mutue sanitarie sono ancorati a valori, che sono l'assenza di scopo lucrativo, il principio della porta aperta, dell'inclusività, di non discriminare mai le persone assistite in considerazione delle loro condizioni di salute piuttosto che dell'età (le società di mutuo soccorso non esercitano mai il diritto di recesso nei confronti del proprio assistito e c'è una partecipazione democratica).
  Sicuramente il tema che stiamo affrontando oggi (entro nell'argomento delle criticità in tema di sanità integrativa) è proprio legato a questo aspetto. Negli ultimi decenni si è sviluppata molto la sanità integrativa, in particolare in chiave di welfare contrattuale; la maggioranza dei contratti collettivi dei lavoratori dipendenti ha previsto l'istituto della sanità integrativa e uno degli obiettivi è quello di fare in modo che queste risorse messe a disposizione dal datore di lavoro o dal lavoratore vadano non a duplicare prestazioni già garantite dal servizio pubblico, ma ad integrarsi.
  Possono esserci delle storture, perché la sanità integrativa di tipo contrattuale può sembrare che riconosca delle prestazioni che sono già erogate dal pubblico, ma dobbiamo anche mettere in evidenza il ruolo delle mutue sanitarie, che rappresentano uno strumento di secondo pilastro e sono in grado di coniugare responsabilità e partecipazione. Noi non vogliamo trasformare i nostri assistiti in consumatori di prestazioni sanitarie, chi aderisce ad una forma di sanità integrativa non lo fa perché vuole spendere di più o duplicare le spese garantite dal pubblico, ma perché ci sono dei bisogni effettivamente scoperti.
  I bisogni scoperti sono le prestazioni escluse dai LEA come l'odontoiatria, l'assistenza sociosanitaria, la riabilitazione e la non autosufficienza, ma è evidente che spesso questo tipo di bisogni viene messo in discussione laddove ci sono tempi di attesa molto lunghi per quanto riguarda l'accesso alle prestazioni. Effettuare una visita specialistica dopo sei mesi o un esame diagnostico dopo cinque mesi può compromettere una tempestività di diagnosi e di cura, quindi dare ai cittadini l'opportunità di scegliere un percorso privato rappresenta non uno spreco, ma la maniera di garantire effettivamente l'accessibilità alle prestazioni sanitarie.
  Riteniamo che le mutue sanitarie integrative proprio per questi loro aspetti valoriali, se inserite all'interno della contrattazione collettiva, siano in grado di essere generative di una esternalità positiva.
  Il limite dei fondi sanitari di origine contrattuale è che sono rivolti esclusivamente a lavoratori dipendenti, ma spesso questa copertura viene meno quando il lavoratore esce dal mercato di lavoro e va in pensione. Il nostro modello mutualistico è invece un modello assolutamente inclusivo, che vuole creare le basi e l'opportunità affinché il lavoratore possa rimanere Pag. 5assistito nel nostro sistema integrativo sussidiario anche quando esca dalla fase attiva e quindi garantirsi un'assistenza per tutta la vita, in particolare nei momenti in cui ne ha più bisogno.
  Indubbiamente le prestazioni vincolate del 20 per cento impattano molto sui bisogni delle persone più giovani nella fase attiva per quanto riguarda gli aspetti dell'odontoiatria, impattano invece in misura minimale per quanto riguarda le prestazioni a carattere riabilitativo o per l'assistenza per la non autosufficienza.
  Il nostro obiettivo è quello di realizzare una sorta di trait d'union, di ponte di solidarietà, tra i fondi di origine contrattuale e i fondi aperti a tutta la generalità dei cittadini, per consentire una solidarietà intercategoriale e intergenerazionale.
  Sugli aspetti legati alla nascita e allo sviluppo dei fondi che devono garantire al 100 per cento prestazioni integrative, quelli riferiti all'articolo 9 del decreto legislativo n. 502 del 1992, erogano prestazioni che non hanno incontrato l'interesse dei cittadini, perché prevedono limitazioni assolutamente restrittive. Spesso il cittadino che sceglie di effettuare una prestazione sanitaria non lo fa perché vuole spendere, ma perché è il sistema sanitario pubblico che gli chiede di accedere a pagamento in libera professione, e il cittadino non ha la possibilità di scegliere di effettuare la prestazione nel pubblico piuttosto che nel privato, ma è costretto ad anticipare dei costi sia per quanto riguarda l'aspetto legato alla diagnostica che per quanto riguarda gli interventi chirurgici.
  Riteniamo che il richiamo, che era stato fatto anche nel programma dell'indagine, a rendere cogente il divieto da parte delle imprese ad alimentare un sistema integrativo del Servizio sanitario nazionale faccia riferimento a una normativa di quarant'anni fa che ormai riteniamo superata nei tempi. La necessità di far intervenire forme sussidiarie no profit che riescano a dare un contributo di secondo pilastro nell'interesse di tutta la collettività e non soltanto limitato ad una categoria di lavoratori dipendenti è ormai diventato un'esigenza ineludibile e anche trasversale; i bisogni della popolazione legati specialmente all'invecchiamento rendono assolutamente indispensabile riuscire ad accantonare delle risorse aggiuntive proprio per far fronte anche ai temi della longevità.
  Non possiamo pensare che la sanità integrativa sia soltanto quella di origine contrattuale rivolta ai lavoratori dipendenti, ma dobbiamo immaginare questo accantonamento di risorse come qualcosa che si tramanda di generazione in generazione e fa sì che queste risorse accantonate quando la persona ancora lavora ed è attiva possano essere utilizzate anche nella sua fase di non-autosufficienza, spesso legata alla terza e alla quarta età.
  La posizione della Federazione è quella di vigilare affinché non ci possano essere tentativi di inquinare il nostro settore con finalità esclusivamente assistenziali. Le norme fiscali legate agli incentivi per quanto riguarda gli enti di terzo settore hanno riconfermato la detraibilità dei contributi associativi che i nostri soci versano per quanto riguarda le nostre coperture di adesione volontaria, e questo rappresenta sicuramente una premialità per il fatto che le società di mutuo soccorso garantiscono assistenza a vita intera, hanno princìpi di trasparenza, partecipazione e democraticità.
  Spesso assistiamo a questa anomalia per cui i fondi di origine negoziale non avendo un'autonoma capacità gestionale sono affidati in gestione a compagnie di assicurazione, e giustamente il gestore assicurativo non è un fondo, il gestore assicurativo fa un'attività di tipo imprenditoriale che ha finalità di carattere commerciale, mentre noi rivendichiamo che la realtà della sanità integrativa possa invece essere in qualche modo autogestita anche sotto l'egida di controlli pubblici, ma che abbia effettivamente questa funzione di carattere sussidiario.
  Per consentire uno sviluppo che non sia soltanto limitato ai lavoratori dipendenti, perché altrimenti si va ad acuire ancora di più questo divario tra cittadini tutelati e cittadini che non appartengono al mondo del lavoro in quanto casalinghe, pensionati o comunque persone che non hanno più Pag. 6contratti privilegiati, affinché possano invece accedere a questi fondi aperti è necessario fare in modo che le prestazioni non siano considerate al 100 per cento integrative, ma che questa soglia del 100 per cento di integrazione, che poi è il motivo per cui i fondi aperti non sono decollati, possa essere ridotta almeno al 50 per cento e garantire non soltanto prestazioni di tipo odontoiatrico, sociosanitario e assistenziale, ma magari anche le spese legate ai ticket, alla libera professione intramoenia e alla compartecipazione.
  Noi mutue siamo quindi assolutamente favorevoli e non vogliamo assolutamente mettere in discussione l'universalismo del Servizio sanitario nazionale, ma vogliamo essere uno strumento a disposizione di tutta la collettività, uno strumento di terzo settore che non ha una logica imprenditoriale e commerciale, ma che invece vuole essere un volano, una stampella per consentire un circuito virtuoso, raccogliere delle risorse aggiuntive per fare in modo che l'universalismo possa essere garantito sugli aspetti legati non solo alla sanità, ma anche ai bisogni di carattere socio-assistenziale e sociosanitario.
  Vi ringrazio e sono a disposizione per vostre eventuali domande.

  ELIO BORGONOVI, presidente del CeRGAS. Buongiorno a tutti. Due precisazioni: ieri ho mandato alcuni materiali che potranno essere messi in consultazione, mentre questa mattina ho mandato una breve nota che sintetizza il mio intervento. Lascerò anche alcune copie dell'Osservatorio sulle dinamiche del Servizio sanitario del nostro centro di ricerca.
  Prima considerazione: ricordo che subito dopo l'istituzione del Servizio sanitario nazionale alcune imprese assicurative lanciarono delle assicurazioni del ramo sanità, nell'ipotesi che una certa parte della popolazione non gradisse il Servizio sanitario pubblico.
  Questa fu una strategia perdente, come si dice in gergo fecero un bagno di sangue, nel senso che non furono sottoscritte queste polizze proprio perché il Servizio sanitario nazionale cominciò a garantire un buon livello di assistenza.
  In seguito, con il già ricordato decreto legislativo n. 502 furono introdotti i fondi integrativi, che prevedevano forme di tutela aggiuntiva al Servizio sanitario che, come ricordato, non decollarono, ma si posero in una situazione nella quale gradualmente la capacità del servizio sanitario di soddisfare i bisogni diminuì per l'allungamento della vita, per le nuove opportunità e soprattutto per i ritardi con cui furono definiti e poi aggiornati i LEA.
  A questo punto, queste forme integrative si sono sviluppate in modo non coordinato e non organico, e la domanda che dobbiamo farci oggi è se sia prevedibile che ci sia un aumento della quota del prodotto interno lordo destinato alla sanità nel prossimo futuro. Sembrerebbe proprio di no. È prevedibile che i LEA possano essere aggiornati in modo abbastanza veloce in rapporto all'evoluzione delle conoscenze e delle tecnologie? Anche qui la risposta è che sembra molto improbabile che ci sia questo adeguamento, quindi credo che la soluzione sia quella di porre mano ad una normativa organica, come in parte anticipato dal precedente intervento, per evitare che nel futuro ci sia un aumento delle disuguaglianze in termini di accessibilità ai servizi di tutela della salute.
  Una normativa organica che deve tener conto di questi elementi, di come si compongono i circuiti del finanziamento. I circuiti di erogazione sono sintetizzabili in finanziamento pubblico che finanzia erogatori pubblici (ASL, aziende ospedaliere), finanziamento pubblico che va al circuito del privato per gli erogatori privati accreditati e contrattualizzati.
  Ci sono poi i circuiti della solidarietà volontaria, che sono i fondi interprofessionali, i fondi negoziali, le casse e le società di mutuo soccorso, che sono finanziamenti privati che possono andare ad erogatori privati o finanziamenti privati che possono andare anche a strutture pubbliche. nel senso che possono finanziare le erogazioni delle prestazioni intramoenia, e in futuro qualche azienda pubblica particolarmente innovativa potrebbe offrirsi come erogatore di qualità anche per privati. Pag. 7
  C'è poi il circuito privato-privato, che qualcuno definisce un terzo pilastro, ma che è il pilastro sostanzialmente delle assicurazioni private, che vanno a finanziare erogazione di privati.
  L'Italia ha un'anomalia rispetto a tutti gli altri Paesi europei nei quali si sono sviluppate forme di tutela integrativa. Nel materiale che vi ho mandato ieri ho messo anche un'analisi che abbiamo fatto come Osservatorio sui consumi privati in sanità su Francia, Spagna, Gran Bretagna e Portogallo, quindi il confronto con l'Italia che voi potrete eventualmente vedere.
  L'anomalia italiana è che la parte di spesa privata è in gran parte pagata direttamente dalle famiglie o dagli individui, come si dice out of pocket. Ormai siamo arrivati a circa il 26 per cento di finanziamento privato, rispetto a un 74 per cento di finanziamento pubblico, ma rispetto a questo 26 per cento, il 21 o 22 per cento è costituito da pagamenti out of pocket e l'altro 4-5 per cento passa attraverso forme intermediate. Questo pone il problema dell'evasione fiscale, perché l'evasione fiscale è prevalentemente nel circuito out of pocket con erogatori privati, specialisti o strutture private.
  La proposta è innanzitutto un ripensamento, una ridefinizione di una normativa che superi la distinzione tra i cosiddetti «fondi doc», quelli previsti dal decreto n. 502, che hanno anche un trattamento fiscale particolare, e fondi cosiddetti «non doc». Questo superamento potrebbe essere fatto prevedendo che una parte delle prestazioni siano prestazioni aggiuntive. una parte possano essere anche prestazioni sostitutive o che si sovrappongono ai livelli LEA, che non sempre sono garantiti secondo le modalità richieste dai pazienti.
  Questa normativa potrebbe per esempio essere aggiornata ogni cinque anni e ridefinire queste percentuali per orientare il sistema dell'assistenza intermediata integrativa verso quelle aree di bisogni nelle quali il Servizio sanitario nazionale presenta maggiori difficoltà, che non necessariamente sono quelle a più elevato costo unitario.
  Gli altri elementi di questa normativa dovrebbero essere la capacità di programmare e di dare indirizzi da parte dello Stato, ovviamente d'intesa con le regioni viste le competenze, per poter avere un orientamento abbastanza omogeneo nel Paese, e il rafforzamento della raccolta di dati e informazioni per capire con immediatezza l'evoluzione dei consumi ed intervenire laddove si manifestassero fenomeni di consumismo sanitario, quindi di prestazioni inappropriate, di prestazioni di dubbia efficacia, per esempio non basate sull'evidenza.
  L'altro pilastro potrebbe essere quello di un'attività di vigilanza intesa non in senso ispettivo o penalizzante, ma di una vigilanza che faccia in modo che i vari fondi diano garanzie di solvibilità anche patrimoniale e soprattutto rispettino i criteri di solidarietà.
  Concludo ricordando, anche se ai presenti sarà assolutamente noto, che il concetto di mutualità, che è quello su cui si basano le assicurazioni, significa avere dei premi rapportati al tipo di rischio, quindi le persone che hanno rischi di eventi di salute più elevati pagano premi più elevati, e questo crea delle discriminazioni, delle differenziazioni tra la popolazione, invece i fondi negoziali e anche aziendali nell'ambito della riorganizzazione del welfare prevedono la mutualità, perché devono stare in piedi anche economicamente, ma la solidarietà perché hanno contributi equivalenti, per cui i soggetti con minori rischi sanitari di fatto aiutano e finanziano coloro che hanno più elevati rischi di tutela della salute.
  Mi fermo qui e sono disponibile per le domande. Chiederei alla presidente se posso andare alle 13.30, perché avevo un appuntamento che ho spostato a Milano.

  PRESIDENTE. Grazie, presidente Borgonovi. Sicuramente sì, perché avremo già concluso entro quell'ora.
  Do la parola al presidente della Fondazione GIMBE, Antonino Cartabellotta.

  ANTONINO CARTABELLOTTA, presidente della Fondazione GIMBE. Onorevole Pag. 8presidente, onorevoli deputate e deputati, grazie intanto per l'opportunità. Come avrete visto, abbiamo fatto in modo di realizzare in occasione della presente audizione un report ad hoc, una volta identificati gli obiettivi di questa Commissione che finalmente, dopo tanti anni di silenzio politico, ha tirato fuori un argomento di grande interesse, su cui si sa relativamente poco dal punto di vista dei numeri e di altri aspetti dettagliati.
  La mia presentazione è organizzata in quattro punti, quindi vorrei farvi una sintesi del nostro report, partendo dalla premessa di descrivere alcuni aspetti dello scenario attuale e riportarvi alcuni dati, almeno quelli reperibili nelle fonti disponibili, e le proposte della Fondazione GIMBE.
  Credo che il primo elemento da cui partire sia l'attuale scarsa trasparenza dei dati. L'anagrafe dei fondi sanitari integrativi presso il Ministero della salute non è pubblicamente accessibile e la richiesta dei dati a fini di studio che abbiamo ripetutamente fatto non è mai stata soddisfatta, per cui tutte le analisi che abbiamo effettuato derivano da una pluralità di fonti che sono spesso parziali o settoriali, quali presentazioni a convegni, audizioni parlamentari o elaborazioni di altri enti.
  Una delle prime cose che quindi la Fondazione GIMBE richiede a questa Commissione, e all'intero Governo, è di mettere in atto una serie di azioni affinché questi dati, che dovrebbero essere di dominio pubblico, vengano messi a disposizione da parte dell'anagrafe del Ministero della salute.
  In che scenario ci stiamo muovendo con l'evoluzione di normative che si sono stratificate nel tempo? Sono già state richiamate dal collega Piermattei e dal professor Borgonovi, e le nostre analisi documentano che oggi siamo di fronte a una normativa (non ripeto ovviamente tutti gli elementi legislativi) che si è stratificata nel tempo e ha creato un impianto normativo frammentato, incompleto, che noi oggi abbiamo identificato come una deregulation completa del settore, che contribuisce a minare la sostenibilità del Servizio sanitario nazionale. La cosiddetta espansione del secondo pilastro, vista da molti come soluzione alla crisi di sostenibilità, secondo le nostre analisi, insieme al definanziamento pubblico, all'eccessivo numero dei livelli essenziali di assistenza e a sprechi e inefficienze, costituisce un quarto elemento che mette a rischio la sostenibilità del Servizio sanitario nazionale.
  Lungi dal voler sembrare portatore di un pregiudizio ideologico - la nostra analisi è priva di qualunque interesse di categoria - e sicuramente oggi siamo di fronte a un quadro in cui tutte le potenzialità della sanità integrativa sono compromesse da questa normativa, che ha permesso sostanzialmente ai fondi sanitari integrativi, al di là del loro aggettivo qualificativo, di diventare prevalentemente sostitutivi, mantenendo le agevolazioni fiscali; alle compagnie assicurative di generare profitti operando in qualità di riassicuratori o di gestori di questi fondi in un contesto, in un alveo che è stato creato dalla normativa per enti no profit; in ultimo, di orientare i pacchetti offerti da parte dei fondi, pacchetti prevalentemente sostitutivi, che alimentano il consumismo sanitario, con i fenomeni di sovradiagnosi e di sovratrattamento che rischiano anche di danneggiare la salute delle persone.
  Cerchiamo di essere molto sintetici su quelle che sono oggi le situazioni. La prima è questa: per godere delle agevolazioni fiscali è sufficiente che il fondo sanitario integrativo destini solo il 20 per cento delle risorse a prestazioni extra-LEA. Se volessimo guardare la parte mezza vuota del bicchiere, potremmo dire che un fondo può essere iscritto all'anagrafe dei fondi e usufruire delle agevolazioni fiscali destinando sino all'80 per cento a prestazioni già incluse nei livelli essenziali di assistenza.
  Dal loro canto, le compagnie assicurative operano, come dicevo, o in qualità di assicuratore per problemi di solvibilità, o di gestore dei fondi, in un contesto creato per enti no profit. E questo non è un fenomeno residuale. Il numero di fondi che oggi agisce attraverso una convenzione con una compagnia assicurativa è aumentato dal 55 per cento del 2013 all'85 per cento del 2017. Possiamo dire che oltre quattro Pag. 9quinti dei fondi operano praticamente in collaborazione con un ente profit.
  Tra l'altro, come ha già anticipato il professor Borgonovi, l'erogazione delle prestazioni rimborsate dai fondi avviene quasi esclusivamente in strutture di tipo privato accreditato, grazie agli accordi messi in atto tra gestori ed erogatori dei fondi. Tra i quattro circuiti – riprendo le definizioni di una pubblicazione della Bocconi – si sta fortemente potenziando il cosiddetto «circuito 4», per noi un corto circuito dell'assistenza sanitaria, perché incrocia un finanziamento privato con un'erogazione privata, eludendo completamente il servizio sanitario pubblico.
  Peraltro, come già anticipato, i piani di prevenzione spesso proposti ai lavoratori sono dei veri e propri piani di consumismo, perché offrono una serie di prestazioni che, oltre a essere incluse nei LEA, vengono proposte, come numero e come frequenza, in maniera assolutamente inappropriata. A titolo esemplificativo, un classico piano di prevenzione sanitaria prevede, rispetto a quanto offerto nei LEA, che una donna faccia 45 mammografie nel corso della vita, 45 pap-test e una serie di esami, quali l'ecografia transrettale, il doppler dei tronchi sovraortici o le visite cardiologiche, che nella popolazione normale non hanno nessuno scopo preventivo, ma rischiano di aumentare i fenomeni di sovradiagnosi e di sovratrattamento.
  Infine, con la diffusione del welfare aziendale, le imprese beneficiano di ulteriori agevolazioni fiscali, che alimentano il business sia di compagnie assicurative sia di sanità privata accreditata.
  Peraltro, i terzi paganti aumentano la spesa sanitaria complessiva e non riducono quella out of pocket, per una ragione molto semplice: il 40-50 per cento dei premi versati ai fondi sanitari non può generare servizi per gli iscritti, perché eroso dai costi amministrativi dei fondi, quelli chiamati expense ratio, che in Italia ammontano a circa il 25 per cento; dal fondo di garanzia che deve essere accantonato, pari a circa un terzo dei premi versati; dalla riassicurazione; dagli eventuali utili delle compagnie assicurative, che ovviamente operano in stretta collaborazione con i fondi.
  Oggi, quindi, siamo di fronte a una serie di effetti collaterali dei fondi sanitari per cui a legislazione vigente, se si trattasse di un farmaco, credo che qualunque agenzia regolatoria ne avrebbe già disposto il ritiro dal mercato.
  Vorrei portarvi adesso alcuni dati che credo possano essere utili relativamente all'evoluzione dell'indagine e alle decisioni che questo Governo deve prendere in merito.
  Come ha anticipato già il professor Borgonovi, stiamo parlando di una fetta di spesa sanitaria pari a circa 5,6 miliardi di euro e che rappresenta solo il 12 per cento della spesa privata, che oggi ammonta a 40 miliardi, che rappresenta ormai quasi il 30 per cento della spesa sanitaria totale nel nostro Paese.
  È da notare che, di questi 5,6 miliardi, la maggior parte delle risorse viene assorbita dai fondi sanitari, buona parte dei quali chiamati anche polizze sanitarie collettive, mentre le polizze assicurative individuali di fatto non sono mai decollate in Italia, perché il cittadino ritiene che, al di là del costo, in Italia esista ancora un sistema di tutela della salute sufficientemente forte.
  Oggi, siamo arrivati a oltre 10 milioni di iscritti ai fondi sanitari, e non sono soltanto lavoratori; ci sono anche pensionati e familiari, ma circa i tre quarti comunque sono lavoratori. Questi fondi sono progressivamente aumentati nel corso degli anni, ma prevalentemente a carico di quelli di tipo B, mentre i fondi di tipo A, di fatto quelli che erogano prevalentemente prestazioni esclusivamente di tipo sostitutivo, sono progressivamente diminuiti.
  Quali sono altri due dati di particolare rilevanza? Primo, rispetto al trend 2010-2016, siamo di fronte a un progressivo incremento sia del numero degli iscritti sia delle risorse impegnate nei fondi, che nel 2016 hanno avuto un ammontare di oltre 2 miliardi e 300 milioni. La cosa interessante è che, però, nonostante l'aumentare del numero dei fondi, la percentuale delle risorse destinate a prestazioni extra-LEA in Pag. 10questi sei o sette anni è rimasta sostanzialmente costante, quindi di fatto il 30 per cento delle risorse va a prestazioni extra-LEA e il 70 per cento delle risorse va invece a prestazioni di tipo sostitutivo.
  Un ulteriore dato interessante estrapolato dalle nostre analisi è questo: l'incremento medio degli iscritti ha avuto dal 2010 al 2016 un incremento medio del 22,3 per cento l'anno, mentre l'aumento medio delle risorse impegnate è del 6,4 per cento l'anno. Che cosa significa questo, in una sola parola? I fondi incassano sempre di più, ma rimborsano sempre di meno.
  Una delle questioni che questa Commissione dovrebbe porsi è: se incassano sempre di più e spendono sempre di meno; in quanto enti no profit, dovrebbe andare ad alimentare il fondo di garanzia. Perché una quota sempre maggiore di fondi si riassicura se il fondo di garanzia sostanzialmente cresce?
  Rimangono aperte alcune domande alle quali questa Commissione vorrebbe trovare risposta secondo il programma dell'indagine conoscitiva. La prima è quella dell'entità del mancato gettito per l'erario connesso alle agevolazioni fiscali riconosciuto ai fondi sanitari.
  Oggi, questo non è desumibile da nessuna delle fonti in nostro possesso anche per le ragioni già specificate. Sappiamo quanto impegnano i fondi, ma non conosciamo l'ammontare dei premi versati.
  In secondo luogo, non sappiamo a quanto ammonta complessivamente il fondo di garanzia dei fondi sanitari integrativi. Paradossalmente, potrebbe trattarsi di qualche decina di milioni di euro, ma potrebbe trattarsi di svariate centinaia di milioni di euro. Non è dato saperlo.
  Soprattutto, terza domanda, che già ho anticipato, se i fondi spendono sempre di meno incassando sempre di più, per quale motivo c'è questa necessità di riassicurazione?
  Le nostre proposte partono sostanzialmente dall'assoluta necessità e inderogabilità di un riordino normativo della sanità integrativa, idealmente un testo unico, che sia in grado di ottenere alcuni risultati: innanzitutto, restituire alla sanità integrativa il ruolo di coprire prevalentemente, se non esclusivamente, e questa è una scelta più politica che tecnica, prestazioni extra-LEA; evitare che il denaro pubblico, sotto forma di incentivi fiscali, vada ad alimentare business privati, in particolare quelli dell'intermediazione finanziaria e assicurativa, altrimenti rifinanziamo il fondo sanitario nazionale, come sarebbe molto più semplice; tutelare cittadini e pazienti da derive consumistiche di privatizzazione, ma anche garantire a tutti gli operatori del settore le condizioni per una sana competizione. Io non posso giudicare alla stessa maniera un fondo non autoassicurato che eroga prevalentemente prestazioni di tipo integrativo e un fondo assicurato che eroga l'80 per cento di prestazioni di tipo sostitutivo. Non sono sicuramente alla pari in un giudizio indipendente.
  Infine, c'è una governance nazionale, che oggi è minacciata da autonomie ulteriori che hanno richiesto le regioni con il regionalismo differenziato.
  Vado velocemente ad alcune proposte dettagliate. Non me ne vogliate se vi prendo due minuti in più. Credo che uno degli aspetti legati ai fondi sanitari integrativi riguardi una riflessione molto più ampia sui LEA. Oggi, abbiamo sicuramente uno squilibrio tra i LEA potenzialmente esigibili e il finanziamento pubblico. Un eventuale sfoltimento di prestazioni poco costo-efficaci non potrebbe che facilitare anche il campo di azione della sanità integrativa.
  Andrebbero definiti nuovi nomenclatori, definendo anche quali sono le prestazioni che possono essere a carico della sanità integrativa, altrimenti oggi non sappiamo che cosa c'è e che cosa non c'è di extra-LEA rimborsato; andrebbero rimodulati i criteri di detrazione fiscale, o aumentando la quota di risorse vincolate a prestazioni extra-LEA o, e ripeto che è una decisione politica consentire la detrazione fiscale solo per prestazioni extra-LEA, rendere pubblica l'anagrafe dei fondi sanitari integrativi. Ritengo che, per un Governo che fa della trasparenza il suo vessillo fondamentale, non è assolutamente accettabile che siano le istituzioni a essere poco trasparenti. Pag. 11
  Ci vuole un regolamento per disciplinare l'ordinamento dei fondi sanitari. Basterebbe riprendere il decreto attuativo mai pubblicato i cui elementi principali erano previsti dal comma 8 dell'articolo 9 del decreto n. 502 del 1992. Ci vuole un sistema di accreditamento pubblico delle assicurazioni che possono operare in sanità, perché questo fa parte delle strategie di tutte le politiche della salute. Soprattutto, bisogna regolamentare i rapporti tra compagnie assicurative, che hanno sicuramente obiettivi profit, dai fondi sanitari integrativi, che nascono come enti no profit, e che paradossalmente oggi, fino a quando non decolla definitivamente la normativa del terzo settore, non hanno nemmeno l'obbligo di pubblicare i bilanci. Questo vi dice tutto sull'opacità complessiva del sistema.
  Inoltre, bisognerebbe regolamentare i rapporti tra finanziatori privati ed erogatori privati accreditati e incentivare l'erogazione di prestazioni da parte delle strutture pubbliche. Per quale motivo oggi i fondi si convenzionano solo con le strutture private e non fanno rientrare denaro pubblico nel Servizio sanitario nazionale?
  Regolamentare le campagne pubblicitarie può rappresentare un obiettivo delle vostre proposte su fondi sanitari e assicurazioni per evitare messaggi consumistici. Bisognerebbe fare anche campagne informative istituzionali sulla sanità integrativa perché cittadini e lavoratori conoscano vantaggi e svantaggi del cosiddetto secondo pilastro.
  Ancora, bisognerebbe escludere che il trasferimento della gestione dei fondi possa essere spostato alle regioni tra le autonomie previste dal regionalismo differenziato. Infine, andrebbe coinvolta l'imprenditoria sociale secondo le riforme previste per il Terzo settore.
  Ovviamente, il report da noi inviato contiene approfondimenti su tutti questi aspetti.

  PRESIDENTE. Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  FABIOLA BOLOGNA. Vorrei fare una domanda al presidente Cartabellotta.
  Come Commissione abbiamo bisogno di comprendere, in questo percorso che stiamo facendo, esattamente quali siano le risorse pubbliche impiegate per i fondi sanitari proprio al fine di consentire un confronto tra il progressivo definanziamento del Sistema sanitario nazionale e le agevolazioni fiscali dei fondi sanitari. Vorremmo capire, quindi, se sia o meno doveroso ipotizzare di equilibrare o riequilibrare le rispettive risorse.
  Inoltre, ancora più in dettaglio, vorremmo sapere se, nell'ambito degli incentivi/benefìci fiscali ai fondi integrativi, siano evincibili delle differenze in termini di agevolazioni a seconda che il fondo integri effettivamente le prestazioni non garantite dai LEA o che copra anche le prestazioni già garantite da essi.

  CELESTE D'ARRANDO. Ringrazio gli auditi per aver contribuito a quest'indagine conoscitiva.
  Per quanto riguarda il CeRGAS, vorrei fare una domanda. Oggi, il welfare aziendale è generalmente inteso come quell'insieme di prestazioni e servizi che i datori di lavoro possono offrire ai dipendenti in veste di incentivo volto sostanzialmente a migliorare la qualità e gli stili di vita, e soprattutto a garantire quelle prestazioni sociosanitarie assistenziali convenzionate con strutture pubbliche e con strutture private sia per la famiglia sia per il dipendente.
  In questo scenario, chiediamo se dalle vostre ricerche sia desumibile lo stato di attuazione del welfare aziendale, e se soprattutto siano evincibili anche in proiezione le risorse che attraverso il welfare aziendale sono state o saranno destinate alla sanità integrativa.
  Inoltre, chiediamo una vostra valutazione sull'opportunità, nell'ambito del welfare aziendale, che benefit relativi a prestazioni sanitarie o sociosanitarie non incluse nei livelli essenziali di assistenza possano essere oggetto di contrattazione collettiva nazionale.

  VITO DE FILIPPO. Come credo gli auditi sapranno, e anche i colleghi, il senso profondo di quest'indagine conoscitiva, riassunto Pag. 12 proprio nel programma che abbiamo ampiamente condiviso, corrisponde anche a buona parte delle osservazioni che ho sentito nelle tre audizioni di questa mattina.
  Vi chiederei un ulteriore approfondimento, anche nella ristrettezza dei tempi a disposizione.
  Come è stato già valutato mi pare da tutti, questo è un impianto che ormai appare desueto, perché è nato con il decreto legislativo n. 502 del 1992 e ha avuto nel corso del tempo un aggiornamento abbastanza disordinato e forse poco raffinato. Secondo voi, una nuova normativa, che io condivido si pretenda su questo tema, dovrebbe superare totalmente l'impianto del decreto n. 502 sul tema dell'integrazione, posto che molte volte le prestazioni sono sostitutive?
  Anche relativamente all'argomento più volte riferito della trasparenza, da quello che so la trasparenza dell'anagrafe del Ministero ha qualche difficoltà, se non qualche divieto, in termini di privacy. Mentre sul sito del Ministero sono facilmente fruibili la procedura per iscriversi e i termini di iscrizione di un fondo, per la quantità e la qualità delle prestazioni erogate forse ci sarebbe bisogno di un approfondimento ulteriore in termini legislativi.
  Il secondo argomento che è stato posto è quello dell'appropriatezza. Voi ne avete parlato, in maniera molto efficace, come di consumismo sanitario.
  Si sa bene quanto sia difficile, in Italia – qualche anno fa, c'è stata un'iniziativa che riguardava proprio questo tema – mettere mano al tema dell'appropriatezza quando certe volte si registrano reazioni fuori misura quando si mettono in campo provvedimenti che vanno in questa direzione. Quello dell'appropriatezza è un tema relativo ai fondi integrativi, ma mi pare sia un tema sostanziale anche del sistema sanitario italiano.
  Vi pare che rafforzare il tema dell'appropriatezza, e quindi delle responsabilità dei soggetti prescrittori, sia un tema generale al quale dovremmo far riferimento anche quando non si parla di fondi integrativi?

  ANDREA CECCONI. Io ho una richiesta e una domanda.
  Ricollegandomi a quello che appena detto il collega De Filippo sull'appropriatezza, immagino che la politica si ponga il problema dei fondi integrativi, della sanità integrativa, considerando che il Servizio sanitario nazionale non riesce a erogare tutte le prestazioni per la salute della popolazione e che la popolazione deve spendere di tasca propria, col famoso out of pocket, per ottemperare a una richiesta di salute: è molto importante per noi sapere di che cosa è composto questo out of pocket, se ci si comprano farmaci omeopatici o prestazioni importanti per la salute dell'individuo.
  Io sono stato tra coloro che hanno chiesto l'intervento sia della GIMBE che del CeRGAS, conoscendo benissimo la vostra natura di strenuo difensore del Servizio sanitario nazionale, da un lato e, dall'altra parte, di difensore della sanità integrativa o privata. Sicuramente, quindi, siete in condizione di fornire alla Commissione un dato completo sulla spesa out of pocket. Avrete sicuramente fatto un'analisi attenta della spesa che i cittadini di tasca propria fanno in merito alla salute: se per fondi sanitari integrativi, per mutue, che spesa farmaceutica hanno, che spesa nel convenzionato hanno. Se è possibile, chiederei che ci forniste questa documentazione.
  La domanda che vorrei fare, un po’ anche ricollegandosi alle domande poste dai miei colleghi, riguarda la compartecipazione dello Stato, quindi con fondi pubblici, nei fondi sanitari o nelle mutue.
  È noto a tutti che, se lo Stato non ci mette direttamente qualcosa, perlomeno una cifra non rientra nelle tasche dei cittadini, per esempio in merito alla contribuzione, che è defiscalizzata, per cui se si versa in un fondo, si detraggono le spese. Per la sanità puramente privata, lo Stato interviene con il 19 per cento della spesa, ossia quello che il cittadino detrae con il suo 730.
  La domanda è: se questo tipo di contribuzione, di defiscalizzazione, non dovesse più intervenire, ossia non fosse più nella possibilità del datore di lavoro, del cittadino, detrarre quest'imposta, i fondi continuerebbero Pag. 13 a sopravvivere o sarebbero destinati a un declino inesorabile, perdendo quella che giudico invece un'utilità di questi fondi, ossia l'erogazione di quello che il servizio sanitario non garantisce, prima di tutto l'odontoiatria e, in seconda battuta, l'assistenza?
  Faccio l'ultima domanda al rappresentante della FIMIV, che parlava di produrre un accantonamento per poi sviluppare, quando la persona diventa anziana, forme di assistenza.
  Come prevedete questo tipo di accantonamento? A parte l'accantonamento di legge che deve essere fatto per la sostenibilità della mutua o dell'assicurazione, generalmente accede a questi fondi chi i soldi ce li ha. Chi non è dipendente, infatti, difficilmente accede al fondo, se non un familiare del dipendente o un pensionato iscritto a un sindacato, attraverso il quale accede al fondo. Chi, invece, non ha un reddito, non accede al fondo e, quando finisce di lavorare, generalmente esce da quel fondo, per cui eventualmente l'accantonamento non riguarda più quella persona che ha contribuito.
  Relativamente a questo meccanismo di accantonamento per permettere un'assistenza nell'età avanzata, aspetto che sostanzialmente manca al Servizio sanitario nazionale, che va sicuramente implementato, e che i fondi attualmente si vogliono premurare di portare a compimento in un progetto di riorganizzazione, come avete intenzione di rendere sostenibile questo tipo di processo?

  PRESIDENTE. Do ora la parola ai soggetti auditi per delle brevi repliche alle domande poste dai deputati. Do la parola innanzitutto al presidente Borgonovi, che ha altri impegni.

  ELIO BORGONOVI, presidente del CeRGAS. Il welfare aziendale copre tante prestazioni. Copre la tutela della salute, per esempio paga borse di studio per i figli dei dipendenti. È molto ampio.
  Nel documento che vi ho mandato ieri, che è il capitolo del rapporto OASI (Osservatorio sulle Aziende e sul Sistema sanitario Italiano) sui consumi privati – e in parte rispondo anche all'ultima domanda – c'è un'analisi molto dettagliata sulla spesa privata, sulle sue componenti, sul tipo di prestazioni che coprono e così via. Ovviamente, non ho il tempo di sintetizzarlo qui, ma lì lo trovate in dettaglio, poi lascio anche il rapporto.
  Il welfare aziendale è una dinamica presente in tutti i Paesi occidentali. La ristrutturazione del welfare è una tendenza che ha ragioni di tipo generale. Semmai, la differenziazione avviene tra chi lavora, i lavoratori, e chi non lavora.
  Questo mi consente anche di dire – il rappresentante della FIMIV integrerà – che i fondi aperti, non solo ai dipendenti, possono essere una soluzione che consente anche a coloro che non lavorano di entrare in un sistema – faccio notare – di solidarietà, perché i fondi e le casse aziendali hanno una componente di solidarietà, e non solo di mutualità, e non solo di profitto.
  Questo spiega anche una parte della dinamica sottolineata dal collega Cartabellotta: che ci sia l'aumento delle riassicurazioni dipende dal fatto che, se le dimensioni non sono elevate, i rischi mutualistici devono coprirsi presso le imprese. Questa è la dinamica.
  Credo di aver risposto alla prima domanda sul welfare. Attenzione, oggi la dinamica dei bisogni è questa: prima, si parlava di sanità, poi, si parla di sociosanitario, lungodegenza e così via; poi, si di sociosanitario assistenziale; oggi, c'è un allargamento notevole del concetto di benessere.
  Quanto alla considerazione sull'appropriatezza, non può essere affrontata con norme e con vincoli. Questa è la nostra convinzione. L'appropriatezza si affronta non dal lato domanda, ma dal lato dell'offerta, coinvolgendo i medici, i professionisti, i direttori delle aziende sanitarie, che attivano dei programmi in cui rilevano le prescrizioni dei diversi medici di medicina generale e fanno delle riunioni in cui mostrano come ci siano comportamenti molto diversi. In questo modo si affronta il tema Pag. 14dell'appropriatezza. E così vale per tutte le specialità.
  Affrontarlo dal lato della domanda significa illudersi. Noi diciamo che in Italia c'è molta inappropriatezza, ma ci siamo mai domandati perché l'Italia ha comunque la più bassa percentuale di finanziamento pubblico di sanità rispetto al prodotto interno lordo (6,5, che sta andando a 6,4), ha comunque la più bassa incidenza della spesa totale pubblico e privato? Su questo c'è una leggera differenza rispetto al collega Cartabellotta.
  Il consumismo non è quello determinato dai fondi, perché il terzo pagante ha comunque convenienza a fare un certo tipo di controllo. Semmai, il terzo pagante più debole è lo Stato, è il pubblico, comunque il terzo pagante più debole rispetto al terzo pagante fondo. Noi abbiamo una percentuale di prodotto interno lordo di spesa pubblica e privata inferiore alla Gran Bretagna, inferiore dello 0,7 e forse anche dell'1 per cento, inferiore di quasi 2 punti rispetto alla Germania e alla Francia. È vero che c'è inappropriatezza, è vero che ci sono inefficienze, però il problema non è solo lì, e non si può risolvere lì.
  Non so se la domanda relativa a posizioni diverse si riferisse al fatto che il CeRGAS è più a favore di una visione più generale e non di difesa del Servizio sanitario nazionale.
  Mi permetto di far notare, primo, che il CeRGAS è strenuo difensore del Servizio sanitario nazionale, perché ha iniziato a ragionare in termini di appropriatezza, efficacia ed efficienza da quarant'anni, ma il CeRGAS ha una posizione, e cioè ritiene che le dinamiche dei sistemi non possano essere governate in modo centralistico autoritario, ponendo dei vincoli e delle esclusioni.
  Noi abbiamo avviato un osservatorio sui consumi privati di sanità, non perché siamo a favore o contro, ma semplicemente per capire più a fondo che cosa succede. Osservare non vuol dire essere a favore di un sistema pluralistico.
  Peraltro, la nostra Costituzione prevede che il nostro sia un Paese fondato sul pluralismo e quindi si era prevista fin da subito la presenza del privato e dell'accreditato. Il problema è abbastanza complesso.
  Quindi, in questo senso ritengo che – e qui do una risposta precisa – il superamento della distinzione tra fondi che garantiscono solo prestazioni aggiuntive e fondi che garantiscono anche prestazioni sostitutive è necessario, perché non è possibile definire dei confini precisi tra ciò che è il livello essenziale di assistenza garantito e ciò che non lo è.
  Una volta definiti sappiamo che un conto è definire i livelli essenziali di assistenza, altro conto è garantirli, come accade nelle differenze che ci sono tra varie regioni e all'interno della stessa regione, faccio l'esempio della Lombardia, tra chi risiede a Bergamo e Brescia, per non parlare di Milano, e chi è nelle valli, perché riceve comunque prestazioni diverse.
  Chiudo dicendo che più che porre dei vincoli di esclusione penso sia necessario fare una politica di tutela della salute. Se vedo che in certi settori di attività il Servizio sanitario pubblico ansima e non ce la fa, allargo la possibilità per i fondi integrativi di intervenire in quell'area.
  Dopo cinque anni, cambiano le conoscenze, cambiano le tecnologie, qualche ASL, qualche azienda ospedaliera diventa efficiente e posso modificare anche la composizione. Qualcuno dirà che questo è difficile. È vero, ma se si attiva la programmazione, se, come dice il collega Cartabellotta, diventa più trasparente anche la dinamica delle spese, delle coperture che vengono fatte, se si attiva la vigilanza per evitare che ci siano dei fenomeni che in parte ci sono, quelli che ha sottolineato il collega Cartabellotta; perché ci sono certi opportunismi, qualcuno che ci marcia un po’ sulla tutela della salute, questo è indubbio, ma secondo me non è proprio così clamoroso. La riassicurazione è in parte necessaria, se ho un fondo con un numero limitato di persone, la copertura del rischio sanitario, non della solidarietà, la vado a fare con le assicurazioni.
  Questo è il problema, che spiega anche perché le assicurazioni private non lanciano forme di assicurazione privata-privata, Pag. 15 perché questo costerebbe troppo non essendoci la solidarietà.

  PRESIDENTE. Do la parola a Massimo Piermattei, membro della presidenza della FIMIV, per la replica.

  MASSIMO PIERMATTEI, membro della presidenza della FIMIV. Faccio qualche brevissima considerazione per poi rispondere alla domanda dell'onorevole. Volevo specificare due aspetti. Noi mutue, storicamente, abbiamo sempre fatto convenzioni anche con le strutture pubbliche fin da quando, ancora prima dell'istituzione del Servizio sanitario nazionale, c'erano i famosi ospedali con le camere differenziate.
  C'è, però, un tema: le convenzioni e i costi della libera professione fatta all'interno delle strutture pubbliche sono, ahimè, molto più costosi rispetto alle prestazioni che i cittadini possono fruire presso le strutture private.
  Il problema non è tanto privilegiare il privato rispetto al pubblico, ma c'è il fatto che la libera professione si mette su una condizione di mercato e quindi anche i cittadini e noi mutue che dobbiamo garantire le prestazioni, ovviamente, dobbiamo scegliere la qualità a un costo che sia calmierato e conveniente.
  La seconda riflessione che faccio attiene al razionamento, che qualcuno definisce implicito e qualcun altro esplicito, delle prestazioni del Servizio sanitario nazionale. Al netto dell'odontoiatria, dell'assistenza per gli anziani, delle lungodegenze, sfido chiunque di noi, se ha un figlio con un problema dermatologico o una figlia che deve fare una visita ginecologica, ad andare dal medico di base, farsi prescrivere la prestazione, poi andare al CUP, fare la fila al CUP, aspettare tre o quattro mesi per avere la visita specialistica o per una ecografia o quanto magari. Per queste prestazioni, che chiamiamo di diagnostica leggera, accede molto più volentieri (e quindi stiamo parlando di un consumo, non di consumismo, di un consumo naturale e normale) al proprio oculista di fiducia, al proprio dermatologo di fiducia o al proprio ginecologo di fiducia.
  Andare a definire queste, che sono prestazioni normalmente utilizzate dalle persone senza avere delle particolari patologie, come una deviazione del sistema rischia di diventare molto pericoloso, perché oggi come oggi dove siamo abituati, grazie anche alle nuove tecnologie, a risolvere il problema in un giorno o in due giorni, mentre una volta si aspettava la fila e dopo tre mesi si faceva la tac per capire se si aveva un tumore oppure no, per le condizioni di benessere che abbiamo, questa è una scelta inaccettabile. Anche un dipendente che magari guadagna 1.000-1.200 euro al mese, rispetto alla preoccupazione di avere una patologia tumorale o avere un problema a cui deve dare una risposta è evidente che scelga di ricorrere alla sanità privata, che è molto più flessibile, che magari con dei costi molto più accessibili riesce a risolvere il problema.
  Questa spesa sanitaria privata da cosa è costituita? Gli studi della Bocconi ci dicono che metà è costituita da servizi, metà è costituita da beni, una grossa fetta è legata all'odontoiatria, una grossa fetta è legata ai farmaci, quelli a pagamento, i farmaci di fascia C, una grossa fetta è legata agli integratori, alle prestazioni di diagnostica leggera, una fetta più piccola è legata agli interventi chirurgici. Vedo dal nostro osservatorio quante persone, anche anziane, rispetto a patologie tumorali in strutture pubbliche, anche della Lombardia piuttosto che del Lazio, si sentono dire che devono aspettare e devono mettersi in lista d'attesa perché non è possibile operare subito.
  Queste persone sono in mano ai medici che in buona sostanza, in maniera subliminale, affermano che se si procede attraverso il canale della libera professione intramoenia si è operati nel giro di due o tre giorni, altrimenti bisogna aspettare due o tre mesi. Questo è un fenomeno di cui dobbiamo essere consapevoli, di cui siamo tutti quanti coscienti, perché è vero che esiste il Servizio sanitario nazionale, ma è anche vero che tutti quanti ambiamo a essere operati sempre dal primario, ad avere il confort alberghiero, a non avere tempi di Pag. 16attesa. Questo è entrato a far parte del nostro stile di vita.
  Per carità, uno può dire: aspetti i tuoi tempi, hai una patologia tumorale, è importantissimo intervenire subito, ma siccome ci sono persone più avanti di te, aspetti. Quale persona che abbia delle disponibilità economiche, anche se vuole tentare l'intervento impossibile, non cerca di anticipare l'intervento di due o tre mesi? Perché quei due o tre mesi possono essere un elemento vitale per la propria sopravvivenza.
  Qui entriamo nel vivo di quelli che sono i bisogni o gli istinti delle persone. Sono d'accordo che bisogna evitare l’overtreatment, ma in realtà i nostri soci, quelli che vogliono la sanità integrativa, non sono tutte persone consumiste o malate immaginarie, sono persone che sono sensibili ad avere una qualità della vita e anche una prevenzione diagnostica fatta in maniera tempestiva, fatta in maniera flessibile. Se c'è un problema per i figli e si ha bisogno di avere una risposta nel giro di pochi giorni, reperirla nel mercato privato magari con dei costi molto più accessibili rispetto a quelli della libera professione intramoenia nel pubblico è una scelta ovvia perché sappiamo che se un prodotto, un servizio lo riusciamo ad acquisire a un prezzo più basso con la stessa qualità quello è un fenomeno naturale. Possiamo mettere tutti i paletti che vogliamo rispetto ai fondi, ma su quello non si può intervenire.
  Rispetto alla domanda sulle persone che non hanno reddito, su come possiamo pensare di accantonare queste risorse per le persone che una volta uscite dal mercato del lavoro non hanno reddito, è evidente che se una persona non ha reddito non riesce neanche ad andare al supermercato a fare la spesa, al di là degli ultimi provvedimenti che sono in pista. È evidente che qui stiamo cercando di creare un «mercato» di persone che passano da una contribuzione che è versata dal suo datore di lavoro a una contribuzione che poi diventa volontaria.
  Voi sapete benissimo che in Germania è stato costituito il Fondo per la non autosufficienza, che è finanziato con una percentuale del reddito del dipendente. Per cui, tre quarti sono a carico del datore di lavoro e un quarto a carico del dipendente. Questo Fondo per la non autosufficienza è stato istituito in maniera obbligatoria e cogente per tutti i lavoratori dipendenti, ma hanno inserito all'interno anche i lavoratori autonomi.
  Perché c'è la sanità integrativa? Perché queste risorse, questi sgravi fiscali non li mettiamo tutti nel calderone – «calderone» è una brutta parola –, nel piatto del Servizio sanitario nazionale per fare in modo che questo funzioni meglio? Perché purtroppo il Servizio sanitario nazionale ce l'abbiamo da quarant'anni. Per i primi dieci anni ha funzionato perfettamente senza neanche un ticket, già dopo dieci anni abbiamo visto che incominciava ad avere dei problemi, soprattutto perché il PIL non cresce, perché se il PIL in Italia crescesse è chiaro che anche il finanziamento pubblico del Servizio sanitario nazionale aumenterebbe.
  Il problema è che c'è stata una crisi di consenso. Dagli ultimi vent'anni una delle opzioni principali è quella di non aumentare la fiscalità, ma non c'è dubbio che se in Italia potessimo aumentare la fiscalità per il Servizio sanitario nazionale sarebbe tanto di guadagnato, ma c'è un problema di consenso. Quelle risorse inserite all'interno del Servizio sanitario nazionale hanno generato un'irritazione sempre più alta da parte dei cittadini.
  Per cui, si è detto: diamo la possibilità di costituire delle forme integrative. Ovviamente, in queste forme integrative ci sono quelle più virtuose e quelle meno virtuose. È ovvio che quando si creano delle opportunità spesso succede che chi arriva dopo imita un modello e spesso è più capace di trarre dei vantaggi rispetto a chi, invece, ha una finalità o un obiettivo veramente in sintonia con quelli che sono i bisogni e le esigenze della popolazione.
  Per tornare alla domanda, che non voglio eludere, è evidente che per creare dei fondi per la non autosufficienza bisogna anche interrogarci se effettivamente oggi come oggi vogliamo la mutualità, la solidarietà Pag. 17 che sbandieriamo nei convegni o non ne siamo veramente convinti.
  Vedo che effettivamente la società odierna adesso... Come dicevamo prima l'età media è molto aumentata, e arriviamo tranquillamente a 85-90 anni. È evidente che una persona giovane, che entra nel mondo del lavoro, spesso si trova in condizioni di precarietà, spesso sa che non potrà contare su una pensione così ricca come quella che hanno avuto i propri nonni o i propri genitori, difficilmente avrà tutto questo desiderio di pensare ad accantonare delle risorse per i prossimi trenta, quaranta o cinquant'anni. In realtà, noi abbiamo bisogno in qualche modo anche dell'aiuto della politica, di immaginare, di creare le condizioni per aiutare i giovani ad entrare nel mondo del lavoro e pensare agli anziani da quando sono giovani, perché non possiamo pensare agli anziani soltanto come un problema, come un costo.
  Dobbiamo cercare, invece, di promuovere... In questo le mutue stanno cercando di fare delle azioni positive, perché in realtà la salute non è soltanto l'esame diagnostico, non è soltanto il costo della prestazione, non è soltanto la visita, la salute si costruisce con dei percorsi condivisi che possono essere la prevenzione, la promozione di stili di vita sani, può essere un invecchiamento attivo della popolazione.
  In realtà, la vera domanda che ci dobbiamo chiedere è se oggi come oggi c'è ancora questa volontà di creare un patto per la salute, perché il Servizio sanitario nazionale è uno strumento assolutamente di tipo mutualistico.
  Il problema è che c'è stata una crisi del consenso rispetto al finanziamento del servizio pubblico e una crisi nei confronti dell'aumento delle tasse a favore del finanziamento del Servizio sanitario nazionale.
  Rispetto alla domanda su cosa succede se andiamo a eliminare i vantaggi fiscali per i fondi, è chiaro che il vantaggio fiscale non è tanto un vantaggio al fondo – capiamoci bene – è un vantaggio fiscale a favore dell'azienda e a favore del lavoratore, perché altrimenti sembra che chi beneficia del vantaggio fiscale sia il fondo.
  Il fondo non è altro che un contenitore di risorse che viene in qualche modo messo a disposizione di tutti i lavoratori e anche qui la sfida è quella di non pensare soltanto ai lavoratori quando sono attivi, perché molto spesso – su questo il sindacato è un po’ colpevole – si pensa al lavoratore quando è attivo, cioè quando entra in fabbrica, in azienda, a venticinque o trent'anni, fino a quando ne esce, a sessantacinque anni. Dopodiché, non è più un suo problema perché evidentemente non è più rappresentato. In realtà, la persona, l'essere umano deve attraversare tutte queste fasce della propria vita, da quando nasce fino a quando invecchia.
  La proposta che vogliamo fare è una proposta anche di tipo culturale, non è soltanto una proposta di tipo fiscale: fare in modo di favorire quei legami familiari che ormai si sono in qualche modo anche un po’ degradati per il fatto che ormai le famiglie...
  Io vengo da Bologna e a Bologna metà delle famiglie è composta da soltanto una persona. Di queste il 30 per cento è composto da anziani. Un'altra grande percentuale al massimo ha soltanto un figlio e molto spesso questo figlio vive fuori dalla città o addirittura all'estero.
  In realtà, stiamo attraversando un problema epocale di cambiamento delle normali reti di cure familiari parentali e quindi bisogna fare in modo di trasformare lo strumento della sanità integrativa contrattuale in qualcosa che non cessa quando uno va in pensione, perché paradossalmente di sanità ce n'è più bisogno da quando si va in pensione in poi.
  Ecco, quindi, la sfida di fondi di tipo mutualistico che vogliono cercare di creare questo trait d'union tra risorse che all'inizio vengono messe a disposizione dall'azienda attraverso la contrattazione collettiva, ma anche attraverso quell'aziendale e il welfare e queste risorse che possono essere mantenute nel tempo attraverso delle contribuzioni volontarie, alimentate magari delle pensioni.
  È ovvio, non possiamo adesso pensare di risolvere il problema di chi non ha nessun tipo di lavoro, chi non ha famiglia. Questi Pag. 18sono problemi legati più a un sistema assistenzialistico. Noi non siamo assistenzialisti, ma siamo un esempio di come le persone organizzandosi insieme riescono a essere sussidiarie, cioè a intervenire collaborando insieme, ma per collaborare ci vuole responsabilità.
  Responsabilità significa destinare una parte dei propri risparmi, anziché soltanto a eventi voluttuari, anche alla propria previdenza sanitaria e probabilmente anche assistenziale in futuro. In questa maniera si riesce forse a ricomporre, però abbiamo bisogno che la mutualità, la solidarietà sia condivisa attraverso le generazioni.
  Mi sembra di vedere che da un punto di vista culturale questo non è un momento di grande solidarietà, come magari è successo negli anni Settanta. Vedo che stiamo un po’ arretrando, ognuno a difesa della propria condizione: i pensionati sono privilegiati, i giovani sono svantaggiati... Dobbiamo, secondo me, ritrovare il modo, in maniera molto trasparente e molto partecipativa, di non mettere in contrapposizione giovani e anziani, lavoratori e pensionati, ma cercare tutti insieme di rifare un nuovo patto perché soltanto aiutando tutte le generazioni, se tutti quanti stiamo bene, riusciamo a costruire un percorso che ci consente di avere quel servizio sanitario d'eccellenza che l'Italia ha rispetto alle poche risorse che sono destinate.
  Se una parte di queste risorse provengono da contribuzione del datore di lavoro o del lavoratore autonomo, proprie, volontarie, io non la vedo come un'anomalia, ma magari possono rappresentare, invece, uno strumento che consenta di trasformare questo welfare state molto monolitico centralizzato in un welfare aziendale, ma anche in welfare community. In realtà, è l'insieme di tutti questi vari welfare che riesce a realizzare questa rete sussidiaria che poi è la carta vincente per la nostra qualità della vita.

  PRESIDENTE. Passo la parola ad Antonino Cartabellotta, presidente della Fondazione GIMBE, per la replica.

  ANTONINO CARTABELLOTTA, presidente della Fondazione GIMBE. Intervengo molto rapidamente, visto anche l'orario.
  All'onorevole Bologna rispondo che il problema di conoscere l'entità delle detrazioni fiscali è fortemente condizionato da due cose. La prima è che noi non conosciamo, anche per l'assenza di quelle informazioni in un'anagrafe non accessibile, qual è l'ammontare totale delle risorse versate ai fondi. Questo è reso ancora più complesso da quando è partito il welfare aziendale, perché secondo le previsioni della legge finanziaria 2007 fino a 3.000 euro l'anno, e fino a 4.000 euro l'anno per i lavoratori che hanno anche un coinvolgimento paritetico, i premi di risultato possono essere sostanzialmente erogati in attività di sanità integrativa.
  È chiaro che qui manca la base dati su cui poter fare questa stima. È ovvio che si tratta di cifre importanti, anche perché, tra l'altro, va sottolineato, anche per rilevare quelli che possono essere non dei disaccordi, ma dei punti di vista differenti, che sono convinto che i sindacati, favorendo il welfare aziendale, hanno consentito ai lavoratori di barattare una quota di TFR e una quota di pensione conseguente ai minori contributi versati con una serie di prestazioni che solo in parte sono realmente integrative.
  Per cui, sicuramente le imprese ci hanno guadagnato perché il gettito fiscale complessivo è diminuito per lo Stato, sicuramente ci hanno guadagnato le compagnie assicurative che intermediano e gestiscono i fondi, sicuramente ci ha guadagnato la sanità privata accreditata, perché produce più prestazioni, che ci abbiano guadagnato i lavoratori questo ancora è tutto da dimostrare. Questo è il motivo per cui, anche rispetto alla nostra posizione, che non vuole essere ideologica o anacronistica o in contrapposizione con altri, se di sanità integrativa dobbiamo continuare a parlare, questa, anche dal punto di vista delle agevolazioni fiscali, deve essere realmente integrativa rispetto a quello che offre il Servizio sanitario nazionale, tanto che in un momento storico dell'evoluzione della normativa si era prevista anche la possibilità che Pag. 19l'entità del beneficio fiscale fosse proporzionale alla complementarietà delle prestazioni offerte, cosa che poi con il decreto del Ministro della salute del 31 marzo 2008, il cd. «decreto Livia Turco», fu definitivamente annullata.
  La riflessione è che, al di là di tutti gli aspetti che rientrano all'interno di queste problematiche, tra cui l'appropriatezza, che ovviamente riguarda anche il pubblico e non solo le prestazioni private, le relazioni pubblico-privato, la spesa out of pocket che solo in parte fronteggia le minori tutele, ma in parte anche il consumismo sanitario, va immaginata una potenziale riforma che deve restituire, se si vuole, la vera integratività ai fondi.
  Se immaginiamo dei fondi che possono offrire delle soluzioni anche sostitutive, con il denaro pubblico, la riflessione va fatta. Sicuramente è un'azione politica che ha un certo peso dal punto di vista delle decisioni per il futuro del Servizio sanitario nazionale, però non credo che in questo momento storico possiamo permetterci che la sanità integrativa vada avanti così, perché il rischio è quello un po’ della rana bollita, dove l'acqua si scalda a poco a poco e la rana muore senza rendersi conto che, di fatto, il sistema l'ha uccisa.
  Ribadisco quelle che sono le nostre posizioni generali, che, ripeto, non vogliono essere né ideologiche né anacronistiche rispetto all'ingresso di capitale privato in sanità. La collaborazione pubblico-privato è fondamentale per il Servizio sanitario nazionale, ma, se mi permettete, le regole le deve fissare il pubblico.

  PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Cartabellotta e in generale i nostri ospiti per essere intervenuti e per il contributo che hanno voluto condividere con noi.
  Dichiaro conclusa l'audizione odierna.

  La seduta termina alle 13.25.