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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVIII Legislatura

XII Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 2 di Martedì 29 gennaio 2019

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Lorefice Marialucia , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA IN MATERIA DI FONDI INTEGRATIVI DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE

Audizione di rappresentanti dell'Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (AGENAS), del Forum diritto alla salute e dell'Associazione nazionale sanità integrativa e welfare (ANSI), nell'ambito dell'indagine conoscitiva in materia di fondi integrativi del Servizio sanitario nazionale.
Lorefice Marialucia , Presidente ... 3 
Mastrobuono Isabella , esperto dell'AGENAS ... 3 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 7 
Trianni Gianluigi , consigliere del Forum diritto alla salute ... 7 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 10 
Anzanello Roberto , presidente dell'ANSI ... 10 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 11 
Carnevali Elena (PD)  ... 12 
Bologna Fabiola (M5S)  ... 13 
Novelli Roberto (FI)  ... 13 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 13 
Mastrobuono Isabella , esperto dell'AGENAS ... 13 
Trianni Gianluigi , consigliere del Forum diritto alla salute ... 14 
Anzanello Roberto , presidente dell'ANSI ... 16 
Lorefice Marialucia , Presidente ... 16 

ALLEGATO: Presentazione informatica illustrata da Isabella Mastrobuono ... 17

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo Italiani all'Estero-Sogno Italia: Misto-MAIE-SI;
Misto-Civica Popolare-AP-PSI-Area Civica: Misto-CP-A-PS-A;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI;
Misto-+Europa-Centro Democratico: Misto-+E-CD.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
MARIALUCIA LOREFICE

  La seduta comincia alle 12.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati, nonché la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti dell'Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (AGENAS), del Forum diritto alla salute e dell'Associazione nazionale sanità integrativa e welfare (ANSI), nell'ambito dell'indagine conoscitiva in materia di fondi integrativi del Servizio sanitario nazionale.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in materia di fondi integrativi del Servizio sanitario nazionale, l'audizione di rappresentanti dell'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (AGENAS), del Forum diritto alla salute e dell'Associazione nazionale sanità integrativa e welfare (ANSI).
  Saluto i nostri ospiti, ringraziandoli per aver accolto l'invito della Commissione a partecipare alle audizioni. Sono presenti per l'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (AGENAS) la dottoressa Isabella Mastrobuono, esperto della materia; per il Forum diritto alla salute, il consigliere Gianluigi Trianni e per l'Associazione nazionale sanità integrativa e welfare (ANSI), il presidente Roberto Anzanello e il vicepresidente Luciano Dragonetti.
  Pregherei i nostri ospiti di contenere il proprio intervento entro dieci minuti per dare modo ai deputati di porre delle domande, a cui seguiranno le repliche dei soggetti auditi, che potranno consegnare alla segreteria della Commissione un documento scritto o farlo pervenire successivamente. La documentazione sarà pubblicata sul sito internet della Camera dei deputati e resa disponibile ai deputati attraverso l'applicazione GeoCamera.
  Do la parola Isabella Mastrobuono dell'Agenzia nazionale per i servizi sanitari per lo svolgimento della sua relazione.

  ISABELLA MASTROBUONO, esperto dell'AGENAS. Buongiorno. Innanzitutto rivolgo alla presidente e a tutta la Commissione un ringraziamento per l'invito e un saluto da parte del direttore generale, il dottor Francesco Bevere, che mi ha inviata per mettere a vostra disposizione, se e come lo riterrete opportuno, i 25 anni di esperienza che in questo settore ho maturato a partire dal 1995, quando per la prima volta il Ministro Guzzanti, allora Ministro della salute del Governo Dini, mi diede l'incarico di fare la prima indagine conoscitiva su questo settore. Tale indagine conoscitiva portò a individuare circa trenta fondi, alcuni preesistenti al Servizio sanitario nazionale, e circa un milione di iscritti, che oggi invece sono diventati 12,5 milioni. Ho anche partecipato alla stesura dei successivi decreti, i decreti del 2008 e i decreti del 2009, il decreto Livia Turco e il decreto Sacconi. Ho, quindi, avuto modo di conoscere questo settore molto da vicino e di lavorarvi con una serie di aspetti che penso possano essere importanti.
  Nel 1999 uscì questo testo, che voi vedete (vedi slide n. 2) e che è riportato in calce. È il primo testo che scrissi con il professor Guzzanti sul tema delle forme Pag. 4integrative di assistenza. La definizione che qui è riportata non è secondaria, perché cerca di riportare il concetto sui punti fondamentali. I fondi sanitari integrativi non sono sanitari, sono sociosanitari, e la cosa non è di poco conto, tant'è vero che nella definizione vedrete che si riporta la possibilità per queste organizzazioni di raccogliere su base volontaria, singola o di gruppi di cittadini, risparmio che può essere della singola persona o di tipo contrattuale, che integra le prestazioni assicurate, non solo dal Servizio sanitario nazionale, ma anche dal sistema di protezione sociale.
  Perché dico questo? Perché le prestazioni sociosanitarie sono prestazioni sociali a valenza sanitaria e noi sappiamo che sono spesso e volentieri erogate per le persone in difficoltà dai comuni, non sono erogate dal Servizio sanitario nazionale. I fondi, in realtà, hanno uno spirito e vedremo che anche nella normativa, che è molto più complessa di quella che generalmente viene citata, sono rivolti anche alle prestazioni sociosanitarie.
  Il secondo concetto è che non sono solo sostitutivi – e lo vedremo insieme velocemente – ma sono sostitutivi, integrativi e complementari. I fondi cosiddetti «non DOC», che hanno tutte e tre queste caratteristiche, oggi interessano 12,5 milioni di persone, mentre i fondi cosiddetti «DOC», che non sono neanche questi davvero degli integrativi puri, interessano soltanto 9.000 persone e tali sono rimasti dal 1999 a oggi i fondi cosiddetti «DOC».
  Questo è importante, perché la normativa è un po’ più complessa di come noi la leggiamo. La leggiamo soltanto vedendo la legge n. 502 del 1992 e la n. 229 del 1999, ma non è così. Non dimentichiamo l'articolo 26 della legge n. 328 del 2000, che è la legge quadro sui servizi sociali, che prevedeva che i fondi sanitari integrativi andassero verso l'erogazione di prestazioni sociali. Sapeste quanti fondi attualmente oggi esistenti erogano prestazioni di tipo sociale nel loro contesto, non soltanto sanitario. Lo sentirete anche da chi mi segue subito dopo.
  Tra l'altro, ci siamo dimenticati che su quel mondo dal 1999 a oggi sono intervenute tantissime normative. Sono intervenute le normative del cosiddetto «welfare aziendale» ed è intervenuta la normativa che regola il cosiddetto «Terzo settore»; ed è talmente complessa tutta la questione fiscale delle detrazioni, delle deduzioni, della considerazione degli enti non commerciali o commerciali che si è in attesa, proprio sui fondi sanitari integrativi e sulla mutualità, di un decreto urgente di riaffermazione di alcuni princìpi. Di conseguenza, in questo mondo, a dire il vero, regna un po’ di confusione.
  Ecco perché, in realtà, è il tema più complesso. Che i fondi siano sociosanitari è evidente. Quel decreto, che quando è stato scritto aveva una sua filosofia alla base, riporta prestazioni sociali a rilevanza sanitaria – sono quelle per le quali abbiamo le maggiori difficoltà o si registrano le maggiori difficoltà – prestazioni sanitarie a valenza sociale e prestazioni a elevata integrazione, che sono quelle per la non autosufficienza. Questo avviene perché – ma non vi annoio – la spesa sociale per i comuni non è in aumento. Per fortuna adesso si registra un aumento del 2 per cento, ma stiamo parlando di dati molto bassi e comunque accompagnati da una compartecipazione alla spesa da parte degli utenti che ogni giorno è maggiore.
  Detto questo, naturalmente non mi sto a dilungare sul discorso delle detraibilità e deducibilità. Basti pensare soltanto che anche i cosiddetti «fondi integrativi puri» hanno dei grossi problemi, per esempio per quanto riguarda l'utilizzo delle strutture.
  Se non erro, la vicepresidente Boldi, oltre che un medico, è anche un'esperta del mondo dell'odontoiatria e sa molto bene, per esempio, che nel mondo degli studi odontoiatrici, se si dovesse veramente seguire la legge n. 229 alla lettera, che prevede che vengano utilizzate solo le strutture odontoiatriche accreditate, si creerebbe un grande problema tra i cittadini che sono iscritti a fondi non DOC e che possono utilizzare qualsiasi struttura odontoiatrica autorizzata e quelli che, se non mettiamo mano finalmente alla legge n. 229, Pag. 5dovrebbero rivolgersi solo a strutture accreditate. C'è un magnifico parere del giudice Sabino Cassese che equipara di fatto i due fondi, consentendo ai cittadini di potersi rivolgere a tali strutture.
  Non parlo del mondo del welfare aziendale, che ha introdotto una serie di punti di grande importanza su questo argomento. Su di uno soltanto mi soffermo: nel TUIR (Testo unico delle imposte sui redditi), all'articolo 51, è stata prevista anche la possibilità che i fondi integrativi rivolti agli iscritti possano destinare somme e prestazioni di assistenza ai familiari anziani e non autosufficienti, il che è a dimostrazione ancora una volta della natura sociale e sociosanitaria, non esclusivamente sanitaria, dei fondi.
  Per quanto riguarda la normativa, vi prego di ricordare che ormai tutte le regioni – so che audirete il professor Campedelli e io ne sono lieta, perché ha fatto un'indagine su tutte le regioni – chi più e chi meno, chi in un modo e chi in un altro, hanno comunque affrontato questo tema.
  Nei primi accordi, che sono quelli per la maggiore autonomia delle regioni Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, all'articolo 8 è scritto quello che voi vedete qua (vedi slide n. 8), cioè: «Nel rispetto dei vincoli di bilancio e dei livelli essenziali di assistenza, è attribuita alla regione una maggiore autonomia legislativa, amministrativa e organizzativa in materia di istituzione e gestione dei fondi sanitari integrativi».
  I Paesi europei ormai vanno verso sistemi misti. Noi abbiamo una spesa privata che è in linea con quella europea, ma la parte mediata da forme integrative di assistenza è molto bassa. In Francia è al 97,6 per cento; c'è una legge dello Stato che ha obbligato tutti i lavoratori a iscriversi a forme integrative di assistenza. In Inghilterra è al 41, in Germania è al 44, in Italia è al 15. Come vedete (vedi slide n. 9), è un valore molto più basso rispetto ad altri Paesi. Una cosa interessante in Francia è la possibilità per legge per i comuni di creare forme territoriali di assistenza.
  Vado velocemente a farvi vedere un'ultima cosa, che è forse quella che potrebbe essere di maggiore ausilio se voi considerate alcuni aspetti. Il Servizio sanitario nazionale non è utilizzato da tutti i cittadini. Le forme di political health management, ovvero l'incrocio dei dati su tutti i flussi esistenti, ci dicono che oltre il 60 per cento della popolazione non si rivolge al Servizio sanitario nazionale. Sono i giovani, sono la parte che lavora tendenzialmente, sono quella di cui sappiamo pochissimo. È quella parte della popolazione sulla quale insistiamo per la promozione, insistiamo per la prevenzione, ma della quale i risultati non sono veramente straordinari.
  Pensate che noi per la prevenzione impieghiamo 80 euro pro capite, contro un valore europeo che è pari al doppio. Nel nostro Paese si registra il dato più basso e non vantiamo degli ottimi risultati in termini di prevenzione dell'obesità infantile, per fare un esempio, senza contare l'altro grande tema, che è veramente impressionante, cioè il fatto che i pazienti cronici – che sono soltanto dal 20 al 30 per cento della popolazione – sono quelli che spendono il cosiddetto «80 per cento delle risorse».
  Vi faccio una domanda. L'età, quindi, è alta per coloro che utilizzano il Servizio sanitario nazionale. È altrettanto alta per coloro che sono iscritti ai fondi cosiddetti «sanitari», ma abbiamo detto che sono sociosanitari integrativi? No, l'età è più bassa. Sostanzialmente ecco quello che consumano (vedi slide n. 13). Questi sono tre fondi che mi hanno dato i loro dati: un valore di circa 221.000 persone. È questo più o meno quello che ne deriva. Di questi dati noi non sappiamo nulla, di questi cittadini che aderiscono ai fondi non sappiamo nulla, ma i 325 fondi di questo Paese sanno perfettamente quello di cui hanno bisogno i loro iscritti, e guai a chi dice che non ci sia appropriatezza, perché dietro ogni richiesta c'è quella di un medico, che rende naturalmente possibile l'erogazione della prestazione.
  Sulla non autosufficienza voglio farvi vedere solo una cosa. Gli anziani che si rivolgono al Servizio sanitario nazionale, affetti da patologie croniche, in particolare quelli non autosufficienti, sono 3,2 milioni. Questi dati sono impietosi, me ne rendo Pag. 6perfettamente conto, ma è necessario che una Commissione importante come la vostra li conosca e li possa valutare.
  Due sono i pilastri della non autosufficienza: l'assistenza domiciliare integrata e la residenzialità. Cosa eroghiamo ai nostri cittadini, essendo queste prestazioni del Servizio sanitario nazionale e del livello distrettuale? Per quanto riguarda l'assistenza domiciliare, eroghiamo diciotto ore di assistenza l'anno. Sono dati ufficiali, non sono dati che escono fuori da chissà che cosa. Diciotto ore sono la media mensile di altri Paesi, da noi sono la media annuale. La realtà vera? Sono a casa, sono a carico delle nostre famiglie e questo – va detto – senza che costituisca un problema.
  L'altro aspetto è che spendiamo 2,3 miliardi. I dati che vedete qua sono a vostra disposizione (vedi slide n. 16). Come e quando riterrete di averli, li potrete avere. Sono dati ufficiali, che nascono da ricerche e indagini ufficiali, che sono state presentate al Ministero della salute.
  È in diminuzione il valore per l'assistenza domiciliare integrata. Ne diamo poca in realtà rispetto a quello che sarebbe il bisogno, per non parlare delle residenze sanitarie assistenziali. Abbiamo 197.000 o forse 200.000 posti letto, ovvero diciotto posti letto per mille abitanti over 65. Il resto dell'Europa viaggia a una media di cinquanta, la Svezia è a 81, noi ne abbiamo diciotto. Ripeto: sono a casa.
  Questa è un'altra importantissima considerazione, che naturalmente ha portato a cosa? Vado a chiudere, perché è giusto ricordarci che cosa fanno gli italiani. Gli italiani spendono circa 7 miliardi per questa realtà. Che cosa fanno gli italiani? Si avvalgono delle badanti. Quante sono? Sono 983.695.
  Vi siete chiesti perché? Ieri l'ISTAT ha fatto uscire un'interessantissima considerazione e dei dati molto importanti. Nel momento di crisi le cooperative sociali sono aumentate e sono soprattutto le cooperative che si occupano di servizi sociali e sanitari. Molte di queste sono state messe in opera e sono state stimolate dal mondo dei fondi integrativi, non dal mondo del pubblico, che ha grandi difficoltà in termini economico-finanziari. Sono quelle che sono aumentate del 40,9 per cento, sono quelle che danno lavoro al 37 per cento di tutti i lavoratori delle cooperative, che sono aumentate negli ultimi anni.
  Se questo è vero, faccio solo due brevissime considerazioni, che lascio naturalmente a voi e che derivano in primo luogo dalla complessità di questo mondo. Non è così semplice né da un punto di vista normativo né dal punto di vista delle detrazioni fiscali né dal punto di vista delle deducibilità, come preferite. È un momento complesso ed è difficile poterci lavorare sopra.
  Una cosa è certa, però: il tema centrale è la defiscalizzazione. Intende questo Governo riconoscerne la meritorietà sociale? È questa la vera unica domanda che ci dobbiamo porre e forse alla quale siete chiamati a dare una vostra considerazione.
  Questo fu lo spirito che ci fece lavorare nel 2008, è con questo spirito che ho lavorato nella Commissione della Ministra Livia Turco, è con questo spirito che ho lavorato con il Ministro Sacconi. Non ce n'è stato altro di spirito e scrivemmo quei decreti che mancano. Li abbiamo scritti e sono nei cassetti (non so quali) del Ministero della salute.
  Scrivemmo il regolamento e scrivemmo anche le modalità di affidamento in gestione, con tutti i temi che voi ritrovate là. Potete averli, potete chiederci, li abbiamo conservati. Sono: le modalità di costituzione, di scioglimento, dell'affidamento in gestione, della composizione degli organi, di contribuzione, i destinatari, il trattamento delle garanzie, le cause di decadenza e le attività di vigilanza. Non è un lavoro che non sia stato fatto. Il problema è dirsi che in questi dieci anni purtroppo non è stato portato a compimento.
  Io credo che abbiano bisogno di un solo elemento le cose che abbiamo scritto e che abbiamo fatto. Hanno bisogno di trovare nelle istituzioni un interlocutore attento, lungimirante, dialogante, per approntare un quadro di riferimento normativo che ancora manca, la strumentazione di controllo necessaria e la riorganizzazione armonica Pag. 7 del sistema delle detrazioni e delle deduzioni fiscali.
  Se abbiamo retto la crisi, se gli italiani ce l'hanno fatta, è anche perché è stato possibile, attraverso queste formule, dare delle risposte che altrimenti sarebbe stato complesso dare ai cittadini e, quindi, bisogna riconoscere alcune meritorie attività che sono state svolte. L'Istat, per mia personale convinzione, ne ha dato prova ieri pubblicando i dati delle cooperative sociali e sanitarie. Vi ringrazio per avermi ascoltato.

  PRESIDENTE. Grazie, dottoressa Mastrobuono. Ovviamente, noi siamo qui anche per questo, per dialogare e per trovare delle soluzioni.
  Do ora la parola al consigliere del Forum del diritto alla salute, Gianluigi Trianni, per lo svolgimento della sua relazione.

  GIANLUIGI TRIANNI, consigliere del Forum diritto alla salute. Buongiorno e grazie per l'invito a partecipare ai lavori di questa Commissione. Ho ascoltato con grande interesse la relazione della dottoressa Mastrobuono e con il titolo del documento che ha originato il nostro invito do subito una risposta al quesito con cui lei chiude.
  Il forum alla fine dell'anno scorso ha promosso un convegno, da cui è uscito un documento, sottoscritto da 97 personalità della cultura, della programmazione sanitaria e dell'economia sanitaria, dal titolo «Più privato in sanità? No grazie». Essendo in fase di discussione della legge di bilancio 2019, si è sostenuta la tesi di eliminare le agevolazioni fiscali per la spesa sanitaria privata sostitutiva dei LEA e destinare le risorse al Servizio sanitario nazionale.
  Questo è un indirizzo politico, che ovviamente va trasferito in attività e in norme amministrative. Va preso nella sua secchezza come indirizzo politico, che propone una svolta netta rispetto alla tendenza alla progressiva privatizzazione dell'assistenza sanitaria, quale viene a configurarsi con le facilitazioni fiscali alla spesa sanitaria privata diretta e intermediata.
  Non c'è dubbio che in questi anni il Servizio sanitario nazionale abbia visto sostanzialmente e progressivamente ridursi il suo finanziamento. Anche con la legge di bilancio per il 2019 l'incremento di circa un miliardo rispetto agli stanziamenti del 2018, in realtà, è inferiore al tasso di inflazione e, quindi, costituisce un definanziamento del Servizio sanitario nazionale pubblico e l'opinione pubblica registra preoccupazioni per liste di attesa, trasferimenti eccetera. Una parte delle risposte che l'opinione pubblica dà a questa domanda è ovviamente il ricorso all'acquisizione privata di prestazioni di assistenza sanitaria.
  Esistono studi in Italia che segnalano come in realtà questa acquisizione sia diseguale in rapporto al ceto sociale e anche in rapporto alla residenza regionale. È sostanzialmente più alto per i ceti sociali più fortunati dal punto di vista remunerativo e molto più basso per i ceti meno abbienti e si distribuisce prevalentemente nel Nord rispetto al Sud.
  La nostra è una proposta, come è stato autorevolmente considerato, di politica fiscale. Ovviamente sappiamo bene che la nostra Costituzione sancisce la libertà di impresa privata con l'articolo 38 e quella di impresa in assoluto con l'articolo 32, quindi non intendiamo assolutamente impedire a chi vuole di accedere al privato. Noi riteniamo che si debba, invece, bloccare il finanziamento indiretto, la facilitazione del ricorso privato all'assistenza sanitaria, costituita dalle detrazioni fiscali a vario titolo che sono andate costruendosi negli anni.
  Vogliamo anche specificare che c'è una legge in vigore, che è la legge n. 833 del 1978, la quale all'articolo 1 stabilisce che l'attuazione del Servizio sanitario nazionale compete allo Stato, alle regioni, agli enti locali, garantendo la partecipazione dei cittadini, e deve consentire l'accesso a tutta la popolazione senza distinzioni di condizioni individuali o sociali e secondo modalità che assicurano l'eguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio. Abbiamo una legge che vincola tutti, che ci dice che dobbiamo programmare la potenzialità di erogazione del Servizio sanitario nazionale per coprire i bisogni sanitari di Pag. 8tutta la popolazione. Questo è un obbligo di legge e le leggi vanno rispettate.
  Perché riteniamo che le assicurazioni e i fondi integrativi svolgano un ruolo negativo? Innanzitutto le assicurazioni e i fondi integrativi costruiscono un risparmio e un beneficio solo per chi ne usufruisce e sono un onere a carico di tutti i contribuenti, in particolare di coloro che ne sono esclusi. L'incentivo alla sanità privata indebolisce la solidarietà basata sul sistema della fiscalità generale progressiva, aumentando le diseguaglianze sociali, ed esclude milioni di cittadini a basso reddito, che non possono dotarsi di assicurazioni o fondi sanitari, per esempio quelli che non lavorano.
  Introducono e favoriscono lo sviluppo di un doppio binario nell'accesso ai servizi, privilegiando chi ha un'assistenza integrativa e creando un'ulteriore discriminazione, non solo in base al reddito, ma anche alla posizione lavorativa. Peraltro, come emerge dalla relazione della dottoressa Mastrobuono, alla fine questi fondi non coprono i bisogni assistenziali più rilevanti, soprattutto quelli che si manifestano in età avanzata; promuovono una medicina predittiva inefficace, spacciata per prevenzione; favoriscono il consumismo sanitario, moltiplicando prestazioni inutili e inappropriate; incrementano i costi sia per gli assicurati che per il servizio pubblico, al quale poi comunque gli assicurati si devono necessariamente rivolgere, perché le polizze assicurative offrono delle coperture che sostanzialmente non sono totali.
  È vero che la materia è super complessa, è vero che necessita di studi approfonditi, ma è anche vero che l'apparato centrale e periferico dello Stato dispone di strutture che devono essere indirizzate a fare studi che portino trasparenza in questa materia. Oggi questi studi sono sostanzialmente lasciati a think tank più o meno finanziati da sistemi assicurativi e farmaceutici. Abbiamo necessità di un settore pubblico che faccia studi adeguati e io ritengo – scusate – che i parlamentari debbano chiedere questi studi.
  Segnalo che un Paese nel quale il sistema assicurativo è usato come sistema ordinario per l'acquisizione dell'assistenza sanitaria, quale gli Stati Uniti, è la prospettiva che possiamo studiare per capire quali rischi abbiamo di fronte a noi.
  Negli Stati Uniti innanzitutto c'è un'altissima spesa pubblica rispetto al PIL, che è all'8,2 per cento, e complessivamente è arrivata a sfondare il 17,2 per cento. Il resto è spesa intermediata o direttamente out of pocket. Gli Stati Uniti sono il Paese nel quale l'incidenza sul PIL della spesa assicurativa è più alta.
  L'Italia, come sapete, le statistiche dell'OCSE si riferiscono al 2016, ha un'incidenza complessiva pubblico-privata sul PIL del 9,2 e quella pubblica è intorno al 6,5. La media dell'OCSE è dell'8,9, la media degli Stati Uniti è del 17,2. Negli Stati Uniti sostanzialmente la sanità pubblica assicura prestazioni ai suoi assistiti pagandogli polizze assicurative, quindi l'assistenza è intermediata dalle polizze assicurative.
  La prospettiva, quindi, è un impatto devastante sul bilancio pubblico e anche sul bilancio dei privati. Esiste una grande letteratura, che qui non posso citare per motivi di spazio, che riferisce di questo trend, che è spiegabile in vari modi. Innanzitutto, man mano che si allarga l'influenza del sistema assicurativo sull'erogazione delle cure, si riduce la possibilità di controllare i prezzi. I prezzi tendono a crescere. In secondo luogo, l'attività stessa delle strutture assicurative ha altissimi costi amministrativi, pari al 25 per cento complessivo delle prestazioni. In Italia la spesa pubblica del Servizio sanitario nazionale è più bassa, aggirandosi intorno al 12-13 per cento.
  Negli Stati Uniti avete visto come la sanità sia oggetto di uno scontro sociale e di una preoccupazione costante da parte delle famiglie, ma anche in Europa la gran parte dei Paesi ha una spesa complessiva superiore all'Italia e nella gran parte dei Paesi prevale, come è stato dimostrato anche dalla dottoressa Mastrobuono, una dimensione assicurativa dell'assistenza sanitaria.
  Vorrei anche segnalare che la riduzione delle entrate in percentuale al PIL pone l'Italia a un livello intorno all'8 per cento, mentre la Germania è all'1 per cento e la Francia al 2,5 per cento. Il sistema di Pag. 9riduzione delle entrate a seguito delle agevolazioni fiscali in Italia è assolutamente esteso. Recenti studi hanno segnalato come nel 2016 le agevolazioni fiscali hanno riguardato circa 799 tipologie e hanno fatto riferimento a un ammontare di 313,1 miliardi. Ovviamente queste sono dimensioni finanziarie che non subiscono prelievo fiscale. È chiaro che non sono solo quelle sanitarie. In Italia c'è un grande ricorso al cosiddetto «welfare fiscale», che si traduce sostanzialmente in una grave riduzione dei bilanci pubblici.
  Vorrei anche segnalare che da questo angolo visuale c'è stato un importante allarme dell'Unione europea, la quale nel 2015 ha affermato: «Per migliorare la sostenibilità delle finanze pubbliche e la loro capacità di creare un ambiente favorevole alla crescita, si ribadisce che l'efficienza del sistema tributario potrebbe essere migliorata ampliando le basi imponibili, eliminando o riducendo, per esempio, l'uso e la generosità delle esenzioni e dei regimi preferenziali, verificando la portata e l'efficienza delle spese fiscali e rafforzando l'amministrazione fiscale, semplificando il sistema tributario e combattendo l'evasione fiscale e la pianificazione fiscale aggressiva».
  Credo di aver messo in campo molti temi. Mi avvio alla conclusione, pertanto. Voglio subito precisare che noi riteniamo che trasferire dal livello delle esenzioni fiscali al Fondo sanitario nazionale circa 2 miliardi, come sarebbe stato possibile fare nel 2019 e come sarà possibile fare nel 2020, se il Parlamento prenderà questa strada, evidentemente è un finanziamento del tutto insufficiente. Dei think tank autorevoli, che sostengono peraltro l'intermediazione assicurativa, hanno stimato in 10 miliardi l'anno per un certo numero di anni il fabbisogno del Fondo sanitario nazionale. Ovviamente questi 10 miliardi vanno investiti sia in personale che in strumenti, per fare una grande programmazione... No, non è troppo. Si tratta di valutare qual è il ritorno in termini di valore economico e di diritti assolti. In termini di valore economico è risaputo che l'investimento in sanità ha un rendimento altissimo: fatto 100 l'investimento, il rendimento è intorno al 115-150 per cento. Non si capisce per quale motivo questi rendimenti debbano essere lasciati al settore privato e non possano essere, invece, gestiti nell'ambito del settore pubblico.
  È evidente, quindi, che abbiamo davanti circa un anno, fino alla legge di bilancio per il 2020, per affrontare approfonditamente questo tema e prepararci a una manovra che segni una svolta, la svolta verso la minore spesa e la maggiore efficienza del servizio sanitario pubblico.
  È chiaro che siamo in una fase politica molto preoccupante per noi. Siamo assolutamente preoccupati e anche totalmente contrari all'iniziativa che va configurandosi di regionalismo differenziato, il quale, non solo costituisce una cosiddetta «secessione dei ricchi» in relazione agli aspetti più strettamente fiscali, ma soprattutto, come è stato già denunciato dalla dottoressa Mastrobuono con una sua specifica slide, aprirebbe un far west nel settore delle assicurazioni.
  Non parlo del far west relativo ai contratti di lavoro e alle modalità di accesso, perché l'autonomia legislativa delle regioni non può che estendersi, per dieci anni, tra l'altro, come previsto dall'attuale normativa, a tutti questi ambiti. Porterebbe un nuovo far west nel settore dei fondi assicurativi, con l'esplicito obiettivo di incrementarli.
  Noi siamo contrari e invitiamo i parlamentari a riprendere nelle mani l'unità del nostro Paese, che è soprattutto un'unità dei diritti, oltre che delle frontiere, e a giocare un ruolo importante nel caso del regionalismo differenziato, anche per l'obiettivo di riportare il sistema sanitario pubblico ad avere un finanziamento che consenta di accettare le enormi sfide che la tecnologia attuale ci propone. Pensate solo ai costi devastanti che ci attendono nel settore farmaceutico.
  Mi fermo qua. Per il futuro bisogna che torniamo a sviluppare il principio dell'articolo 1 della legge n. 833, adeguandolo alle nuove dimensioni dello sviluppo tecnologico e dei diritti.

Pag. 10

  PRESIDENTE. Ringrazio il consigliere Trianni.
  Do infine la parola al presidente dell'Associazione nazionale sanità integrativa e welfare, Roberto Anzanello, per lo svolgimento della sua relazione.

  ROBERTO ANZANELLO, presidente dell'ANSI. Buongiorno a tutti. Grazie alla Commissione e alla presidente per questa opportunità. Procederò per concetti molto rapidi.
  L'Associazione nazionale sanità integrativa e welfare è stata fondata da enti di sanità integrativa. Sostanzialmente sono tre oggi gli enti di sanità integrativa ammessi dalla legge. Si sono sviluppati in oltre 150 anni di storia dell'Italia e sono: i fondi sanitari, le casse di assistenza sanitaria e le società generali di mutuo soccorso. Deve essere molto chiaro questo.
  Deve essere altrettanto chiaro che questi enti, seppur rivolgendosi con meccanismi operativi diversi a pubblici leggermente diversi, hanno due fondamenti uguali. Il primo fondamento è che si basano sul concetto di mutualità – questo deve essere estremamente chiaro – quindi utilizzano un valore universale, che è quello del mutuo soccorso, col quale l'umanità si è sempre regolata fin dalla notte dei tempi, per auto-assistersi e auto-proteggersi nei confronti di eventi negativi che potrebbero colpire qualcuno di loro.
  Sono, quindi, organizzazioni di auto-assistenza fatte tra i cittadini, che nel nostro Paese sono state socialmente favorite da alcuni passaggi culturali molto chiari e che sono sostanzialmente degli enti che operano sul territorio.
  Prima, la dottoressa Mastrobuono citava alcuni casi. Potrei raccontarvi, ma non abbiamo tutto questo spazio, di un nostro ente associato che ha creato la banca delle visite, che è sostanzialmente uno strumento per cui chi vuole versa un contributo volontario e, sulla base di alcune caratteristiche di analisi medica e sociale, questi soldi vengono utilizzati per consentire a delle persone che non possono farlo di fare visite ed esami. Un altro nostro ente associato ha creato un sistema di prevenzione effettuato tramite strumenti di medicina a distanza che opererà su tutto il territorio nazionale a costi inferiori a quelli del ticket sanitario. Questi sono degli esempi; la mutualità è quell'elemento con cui i cittadini tra loro tendono ad auto-assistersi.
  La seconda cosa che voglio dirvi è che gli enti di sanità integrativa sono tutti non lucrativi, sono enti no profit. Nessuno gode di eventuali avanzi di bilancio positivi che questi enti hanno.
  La terza cosa importante, per fare chiarezza estrema, è che sono questi gli enti ai quali sono diretti i vantaggi fiscali oggi in vigore. Il mercato assicurativo qua non c'entra nulla. Le polizze assicurative non hanno vantaggi fiscali. Le polizze assicurative sono gestite da Spa che hanno degli azionisti privati e non sono enti no profit.
  Vorrei fare chiarezza: la sanità integrativa non è la sanità privata. La sanità privata è un altro meccanismo su cui si possono fare molti ragionamenti, ma se qui oggi siamo a parlare di sanità integrativa, siamo a parlare di un concetto molto chiaro: uno Stato che sarà impossibilitato, ma non lo Stato italiano, tutti gli Stati, qualsiasi Stato al mondo, ad assistere tutti i propri cittadini per tutte le esigenze sanitarie. Questo è un dato incontrovertibile, non è una valutazione di tipo politico, sociale o economico.
  La popolazione invecchia, grazie a Dio – è un vantaggio sociale, viviamo tutti più a lungo – la scienza medica si amplia, la tecnologia sanitaria si sviluppa trovando sempre nuovi macchinari. Se uno Stato volesse garantire a tutti i propri cittadini tutta l'assistenza sanitaria possibile, dovrebbe usare tutto il bilancio dello Stato. Questo è il dato incontrovertibile.
  Se questo non è possibile, bisogna consentire ai cittadini di auto-associarsi tra loro in quelle che sono chiamate forme integrative, che ripeto non c'entrano assolutamente nulla con le compagnie di assicurazione e che, in quanto no profit, godono di alcuni vantaggi fiscali.
  Noi partiamo da un presupposto: in questo contesto, il nostro Servizio sanitario nazionale ha espresso sempre, a livello mondiale, il valore dell'esempio di un sistema sanitario che si commisurasse adeguatamente Pag. 11 alla richiesta sociale dei cittadini e alla spesa economica. Noi siamo convinti che, per mantenere questo livello, lo Stato debba dirigersi verso le fasce deboli della popolazione, gli anziani, i bambini, i malati cronici, quelli che per esempio potrebbero godere del reddito di cittadinanza. Questa è la fascia di popolazione a cui devono essere destinate le risorse dello Stato per consentire a questa popolazione di avere tutta l'assistenza sanitaria possibile.
  Siccome, però, non si possono – è impossibile – avere risorse per tutti, il nostro concetto è che va concesso agli enti di sanità integrativa, quindi ai cittadini, di associarsi tra loro in forma mutualistica per utilizzare delle forme di sanità che non sono, come ha ricordato molto bene prima la dottoressa Mastrobuono, sostitutive della sanità pubblica, ma sono sostanzialmente integrative a tutta l'attività che la sanità pubblica riesce a fare.
  Gli enti di sanità integrativa non hanno, infatti, limiti di età, non hanno discriminazione di reddito, non hanno discriminazione di stato sociale. L'adesione è fornita secondo il principio della porta aperta.
  Alle società di mutuo soccorso in particolare – vi cito il caso – possono aderire anche i singoli individui, i liberi cittadini, senza bisogno di essere dipendenti di un'azienda o di qualche ente. Questo consente a qualsiasi cittadino di aderire in forma mutualistica a una prestazione sanitaria che lo Stato non è che non voglia, non è che non desideri, ma che economicamente, strutturalmente e statisticamente non potrà più dargli.
  La nostra idea è che ci voglia molta chiarezza in questo campo. Bisogna ben comprendere che un conto è quello che deve fare la sanità pubblica, e quindi dirigersi in maniera sempre più intensa, sempre più appropriata verso le fasce della popolazione più deboli (i malati, coloro che usufruiranno del reddito di cittadinanza, i bambini, gli anziani, i malati cronici); una sanità integrativa in cui i cittadini nelle varie forme si associano tra loro, si autoproteggono tramite una sanità veramente integrativa allargata il più possibile con enti senza scopo di lucro, che godono di vantaggi fiscali, che andrebbero anzi razionalizzati e omogeneizzati tra loro.
  Calcolate che ogni elemento che può determinare un peggioramento dei vantaggi fiscali nei confronti della sanità integrativa rappresenta semplicemente investimenti della sanità o soldi che nella sanità dovrebbe spendere di più il Governo.
  Infine, dobbiamo calcolare che la sanità integrativa non allontana le persone dal Servizio sanitario nazionale, ma anzi ne incentiva la cultura. Questo è il vero tema.
  Noi abbiamo un Servizio sanitario nazionale, nel nostro mondo ideale, che farebbe delle cose molto dirette, molto precise, molto protettive nei confronti delle fasce deboli della popolazione; poi, dei cittadini che tra loro si sono associati nelle varie forme che, autotassandosi si autoproteggono per eventi negativi che colpiscano qualcuno di loro, per proteggersi dal punto di vista sanitario, per proteggere loro e le loro famiglie, con forme fiscalmente avvantaggiate, perché fatte da enti senza scopo di lucro.
  Un terzo pilastro, che è la sanità privata, sostanzialmente le assicurazioni, le cliniche private e così via, è regolato dalle leggi che il Parlamento vorrà dagli, ma che in quest'ambito non c'entra assolutamente niente in questo momento. In questo momento, stiamo parlando di enti di sanità integrativa.
  Noi siamo convinti che la strada che è stata creata sia corretta, che le forme di sanità integrativa presenti in 150 anni di storia del nostro Paese siano adeguate. Siamo convinti che potremmo essere di esempio al mondo in quanto siamo su un percorso corretto di adeguata integrazione tra sanità pubblica e sanità integrativa. E siamo convinti che in questa direzione vada semplicemente riorganizzato e ri-omogeneizzato il sistema, che presenta ancora degli sbilanciamenti.
  Siamo, però, altresì convinti che, se andiamo in questa direzione, favoriamo quello che dice la nostra Costituzione sulla tutela del diritto alla salute di tutti gli italiani.

  PRESIDENTE. Grazie, presidente Anzanello. Pag. 12
  Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ELENA CARNEVALI. Mi permetto di fare prima una valutazione di ordine politico, perché credo che l'obiettivo del lavoro che stiamo facendo sia anche quello di avere degli elementi di conoscenza, non tanto di aprire una «guerra punica» tra fondi, tra il finanziamento della sanità pubblica e la sanità integrativa.
  Penso, però, che siamo passati, ed è stato un passaggio storico al quale siamo particolarmente legati, da un sistema mutualistico a uno universalistico. Io sono convinta che questo sia un valore per noi da preservare. Devo dire che da questo punto di vista sono sempre stata anche in linea, pur essendo su schieramenti diversi, anche alle iniziali posizioni, e spero che si continui su questa strada, dell'attuale ministro.
  Detto questo, ho sentito un po’ troppo spesso in questa sede, e per me è una preoccupazione, sollevare l'idea che, siccome siamo di fronte a un problema di sostenibilità del Servizio sanitario nazionale, in qualche modo ben venga una sorta di cambiamento di rotta.
  Voglio ricordare a tutti qui che, mentre gli Stati Uniti spendono pro capite 9.400 dollari, e conosciamo bene i limiti di quel servizio sanitario, la Germania ne spende 5.500, la Francia 4.900, noi ci attestiamo su cifre molto più basse, con un sistema in cui tutti i parametri di performance ci dicono che siamo sicuramente migliori di chi sta spendendo molto, ma molto di più. Questo è per dire che cosa?
  A me ha fatto particolarmente piacere e concordo sul fatto che si sia fatta chiarezza, perché c'è molta confusione, tra fondi integrativi e sanità di tipo assicurativo. Riconoscere, quindi, il valore in sé di quella che può essere la sanità integrativa, ben venga.
  Ci sono, però, un po’ di cose di cui secondo me avrebbe bisogno questa Commissione: capire dove li spendiamo, quanto spendiamo, quali sono i settori in cui spendiamo.
  Se è vero che questo può aiutare a fare cultura sanitaria, e questo può essere un dato oggettivo, è però anche vero, e spesso lo vediamo – ce lo dicono direttamente e l'abbiamo sentito anche nelle audizioni precedenti – che a volte c'è una distorsione nell'utilizzo delle risorse, per le quali tra l'altro abbiamo i vantaggi di una fiscalità nazionale, perché non sempre magari sono indirizzate nel modo corretto.
  C'è la necessità di avere dati trasparenti per capire di che cosa stiamo parlando. È una necessità, sennò siamo in una posizione in cui uno difende, e devo dire che io faccio parte di quelli che continuano a pensare che quello di una sanità pubblica sia un bene... Anche sul fatto che dobbiamo garantire solo quelli che non ce la fanno, i più poveri, personalmente sarei molto più prudente, per come immagino io, anche per altri studi, che vengono anche da altre fonti.
  Il problema vero e l'auspicio che in particolare rivolgo a voi è quello di poter avere delle indicazioni su dove vengono investite queste risorse, al di là delle casse, che hanno peraltro una loro necessità anche per chi magari non ha sistemi previdenziali adeguati.
  Un altro tema riguarda la questione legata soprattutto alla non autosufficienza e alle malattie croniche. Se è pur vero che il 70 per cento dei bilanci regionali – la nostra è una sanità regionalizzata – con quest'articolo, di fatto già nelle richieste di federalismo sanitario che stanno portando avanti alcune regioni, il tema della non autosufficienza... Ed è particolarmente interessante questa parte in cui si ricorda che la spesa non è solo per le prestazioni sanitarie, ma anche per le prestazioni sociosanitarie. Attenzione, però, che questo non diventi una giustificazione per disincentivare l'investimento pubblico.
  Io continuo a ricordare che il 12 per cento del PIL viene da un investimento nella spesa in sanità, in quello che io chiamo investimento in sanità. Sicuramente, una governance, che in questo momento c'è con molta fatica, o forse c'è poco, e una riallocazione in modo diverso delle risorse, potrebbero non vederci di fronte a una Pag. 13«guerra punica», ma neanche fare in modo che questo diventi un esercizio per paventare l'idea che l'Italia si debba avviare verso un sistema misto, idea con la quale personalmente non sono d'accordo.

  FABIOLA BOLOGNA. Vorrei fare una domanda alla dottoressa Mastrobuono relativa alle sue valutazioni circa la possibilità avanzata da qualcuno di trasferire la gestione dei fondi sanitari integrativi alle regioni: lo ritiene condivisibile? quali potrebbero essere le motivazioni e le conseguenze?

  ROBERTO NOVELLI. Vorrei partire con una considerazione.
  Queste audizioni, che sono estremamente importanti, probabilmente ci danno una visione più ampia rispetto alle singole conoscenze che ognuno di noi ha nell'ambito della sanità in Italia.
  Quello che è stato ripetuto più volte è che esistono dei modelli sanitari differenti. Abbiamo visto come negli Stati Uniti ci sia una sanità in sostanza totalmente privata; in altri Stati europei, c'è un equilibrio tra la sanità pubblica e la sanità privata; in Italia, siamo ancora in una condizione in cui, seguendo i princìpi costituzionali, la sanità è universalistica, deve essere considerata e deve essere ovviamente sostenuta in termini universalistici, ma esistono questi fondi integrativi che, come è stato correttamente sottolineato, sono sostanzialmente divisi tra fondi che esprimono il concetto di mutualità e gli enti che, invece, hanno scopo di lucro, e che quindi attraverso le assicurazioni forniscono delle prestazioni.
  La domanda che faccio è questa. Da tutti è stato evidenziato che la sostenibilità del sistema sanitario pubblico in prospettiva è sempre più difficoltosa. Probabilmente, ci sono anche delle differenze regionali per le quali ci troviamo in una condizione per cui il servizio sanitario pubblico viene offerto con delle differenze non accettabili.
  È pensabile ragionare di un sistema complessivo in cui c'è la presenza del pubblico, che ovviamente fa la parte del leone, ma che viene equilibrato in modo bilanciato con il concetto di mutualità e con gli enti privati, che ovviamente fanno business sulla sanità, ma che appunto in un concetto complessivo globale, ragionato ed equilibrato, riescono a dare quell'offerta sociosanitaria di cui i cittadini hanno bisogno?
  Se focalizziamo la nostra attenzione soltanto su un tipo di sistema, dicendo che la sanità privata e i fondi privati non vanno bene perché tolgono al pubblico, e che il pubblico non riesce – presumo – adesso e in futuro, a compensare la parte più carente dell'offerta, credo che non andremo nella direzione giusta. L'Italia è un Paese con delle caratteristiche particolari, e lo stiamo dimostrando anche nell'offerta sociosanitaria, con tutte le sue carenze.
  Domando se, anziché spaccarsi tra chi giudica la sanità pubblica come l'unica soluzione e chi invece ritiene che quella privata debba essere implementata, sia possibile pensare a un equilibrio, che naturalmente deve essere legato anche a una legislazione forse più chiara, revisionata.

  PRESIDENTE. Do la parola agli auditi per la replica.

  ISABELLA MASTROBUONO, esperto dell'AGENAS. Per quanto riguarda la richiesta delle regioni di una maggiore autonomia nell'organizzazione e nella gestione dei fondi, questa è nei preaccordi che sono stati predisposti, ma è anche conseguenza di alcune riflessioni che le regioni da anni stanno portando avanti. Il fatto che dal 2009 in poi non si sia più fatto nulla su questo tema ha determinato comunque un'azione a livello locale. La legislazione prevede che le regioni e gli enti autonomi si possano fare portavoce di iniziative di mutualità. La regione Lombardia, per esempio, ma anche la regione Emilia-Romagna, la regione Veneto, ma non solo, tante, e le ho riportate nella diapositiva, hanno deliberato.
  Che cosa hanno deliberato? Possibili rapporti tra il sistema regionale e il sistema dei fondi. La provincia autonoma di Trento, per esempio, una regione ricchissima, la più ricca nel nostro panorama nazionale, ha creato fondi integrativi per tutta la Pag. 14componente del personale pubblico. Pensate che istituti di ricerca, università, regioni, ministeri hanno introdotto nella contrattazione, e quest'aspetto è importante, forme integrative di assistenza per centinaia e centinaia di migliaia di lavoratori dipendenti di questo Paese, che sono anche nelle regioni.
  La realtà è che questo tipo di discorso comporta, ha comportato per le regioni questa richiesta. Mancando una componente nazionale che abbia abbastanza diradato le ombre, aperto un po’ i confini, che cosa succede? Le regioni autonomamente si lanciano e chiedono una maggiore autonomia su questo tema.
  Perché soprattutto le regioni del nord? Perché anche per i fondi sanitari integrativi, sociosanitari insisto io, o le mutue, le casse – chiamiamole come vogliamo – si pone un problema nord/sud. Si pone un problema perché sono più diffusi al nord. Si pone un problema perché sono meno diffusi al sud, dove è prevalente la mutualità, mentre al nord sono prevalenti i fondi di tipo contrattuale, perché le industrie sono prevalentemente localizzate al nord. Decisioni o atti che interessino questo mondo incidono anche su quegli aspetti di insieme di si parlava prima.
  Come lo vedo io? Io non debbo vederlo. Io lo posso semplicemente illustrare. È sicuramente un'esigenza.
  Ha ragione l'onorevole Carnevali quando dice che servono più studi. È vero, servono più informazioni su questo specifico argomento. L'anagrafe nacque, quando la creammo, con questo specifico scopo, che era quello di analizzare i dati che non venivano soltanto dai bilanci, ma dalla tipologia delle prestazioni: quante, come, in che modo, di tipo sociale, non di tipo sociale e così via.
  Una sola cosa mi permetto di dire: è già una realtà. Quello che gli studi devono fare è far capire e comprendere che cosa è stato fatto in questi anni. Senza un governo, la situazione ormai è esplosa.
  Sulla non autosufficienza mi permetto di dire che il nostro Paese ha una caratteristica rispetto a tutto il resto dell'Europa, e lo dico perché è uno dei temi che ho affrontato occupandomi di sanità, e soprattutto di assistenza territoriale, e di cronicità in particolare: la non autosufficienza nel nostro Paese è caratterizzata da pochi servizi, ma da una grossa componente di trasferimento di denaro.
  Attraverso il cosiddetto «assegno di accompagno», attraverso la legge n. 104, attraverso le forme pensionistiche, abbiamo prevalentemente trattato quel campo, che negli altri Paesi invece è stato ridotto, fino a scomparire in Danimarca, sostituito da servizi e da prestazioni. Sono venticinque anni che sento parlare della possibilità di mettere finalmente mano a una legge sulla non autosufficienza, e non c'è ancora, e non è sul tavolo. È un problema serio dinanzi al quale sicuramente gli studi possono servire per le grandi decisioni che siete chiamati a prendere nei prossimi tempi.

  GIANLUIGI TRIANNI, consigliere del Forum diritto alla salute. Vorrei precisare che la nostra proposta si riferisce in prima battuta alle prestazioni sostitutive dei livelli essenziali di assistenza, non alle prestazioni integrative, che evidentemente, pesando sulle spalle e sui redditi di ceti medi, depauperati e dei ceti poco remunerati, in questa fase necessitano di essere ancora facilitate.
  Naturalmente, noi riteniamo però che il Servizio sanitario nazionale debba mettersi in grado, per esempio, di arrivare prima o poi a offrire anche le cure odontoiatriche, le cure riabilitative e così via. La nostra è una proposta in due fasi: si inizia a togliere le agevolazioni fiscali per le prestazioni sostitutive che il servizio sanitario pubblico è tenuto a derogare; si mantengono per le prestazioni non coperte dai LEA per un certo periodo di tempo, che ci consenta di adeguare il nostro Servizio sanitario nazionale.
  Il secondo punto che vorrei chiarire è che siamo sottoposti a un battage intenso circa la pretesa insostenibilità della spesa sanitaria per il bilancio dello Stato: non è vero. Il bilancio dello Stato ha poste diverse, e ciascuna di queste è sostenibile o meno a seconda che vi si investa o che non lo si faccia.
  Vorrei segnalare a questo proposito, come vi avevo già prima segnalato, che l'investimento Pag. 15 in sanità, specie nel terzo millennio, è produttivo non solo di dignità e di pari opportunità per tutti, ma anche di grande ricchezza, perché l'investimento in sanità significa investire in ricerca, in diversità, in strutture edilizie nuove.
  Quando parliamo di investimenti sanitari, diciamo che dobbiamo realizzare le case della salute in tutti i comuni e quartieri, in relazione al dimensionamento, ogni 15-20.000 abitanti, e non ci sono. Sarebbe un grande momento di lancio dell'economia pubblica. È attraverso l'economia pubblica che riparte l'economia complessiva. Quello in sanità è un investimento virtuoso per uscire dalla crisi. Questo è il punto centrale.
  Ho provato anche a dirvi, ma forse non sono stato sufficientemente efficace, che negli Stati Uniti, dove la presenza delle assicurazioni private è preponderante, abbiamo un peso per le finanze pubbliche eccessivo, gravato anche dall'eccessivo costo delle prestazioni e dall'eccessivo costo delle attività amministrative di supporto.
  È evidente che nella nostra tesi non abbiamo preso in considerazione l'aspetto sociosanitario, nel senso dell'aspetto sociale, che necessita anch'esso di uno specifico importantissimo piano di investimenti.
  Anche il sociale è un terreno che produce ricchezza non solo sul versante dei diritti, ma anche su quello dell'economia. Non c'è dubbio che queste sono attività assistenziali ad alto investimento di lavoro umano, di lavoro relazionale. Il computer non può sostituire, checché se ne dica, l'assistenza sociale o l'assistenza infermieristica. Può migliorarla, potenziarla, ma assolutamente non la sostituisce. E sappiamo tutti che in sanità abbiamo un buco occupazionale intorno alle 100.000 unità tra medici, infermieri e figure di varia tipologia.
  L'investimento in sanità pubblica è, quindi, un volano per la crescita. Tutti gli investimenti che facilitano la moltiplicazione del profitto in sanità, a parte il fatto che la salute non può essere considerata una merce perché è il diritto primo, e quindi va tutelata, alla fine sottraggono risorse, perché prendono risorse dalle tasche dei contribuenti, soprattutto quelli poveri, e le portano a concentrarsi in alcune dimensioni, che sono i fondi di investimento.
  Ormai, la presenza dei fondi di investimento in sanità e nella ricerca scientifica è preponderante. Non è un caso che i fondi arabi puntino al mercato della salute italiano per moltiplicarsi. Siamo di fronte a una dimensione epocale. Prima, si diceva che in tutta Europa c'è una promozione del ricorso all'integrazione privata dell'assistenza pubblica, ma tutto questo comporta maggiori costi. Per quali motivi non dobbiamo aumentare la sanità, l'investimento sul pubblico, se andiamo a preconizzare un costo superiore per integrarlo attraverso iniziative private?
  Poi, ribadisco che non siamo contro la coesistenza. Siamo contro la facilitazione del settore privato. Questo è il tema. La Costituzione prevede il diritto all'assistenza privata e il diritto d'impresa. Bene, si sviluppi quell'assistenza e senza facilitazioni competa con la pubblica. La pubbliche, intanto, deve essere in grado di coprire le esigenze di tutti gli italiani.
  Vi ricordo il famoso episodio dell'avvocato Agnelli che in pieno infarto dovette ricoverarsi alle Molinette, perché il privato non gli poteva assicurare la cura del suo infarto. Noi vogliamo una sanità di questo tipo, dove i super ricchi sanno che possono venire a curarsi con piena fiducia.
  Vorrei ricordare a tutti che il Servizio sanitario nazionale, la legge n. 883, ,nacque a seguito anche di una svolta, e cioè di una totale incontrollabilità delle spese indotte dalle mutue. Questo è un dato storico che avete a disposizione. Importanti storici della medicina e dell'economia sanitaria di sicuro ve lo potranno testimoniare.
  Ribadiamo che non si tratta di un'artificiosa contrapposizione. Si tratta di essere pragmatici nella difesa dei diritti e nella gestione dell'economia pubblica. Per questo motivo, per i rischi che il regionalismo differenziato porti ad un'esplosione incontrollata del ricorso al privato in sostituzione del welfare pubblico, vi proponiamo di vigilare e di non accettare gli accordi che Pag. 16le regioni hanno siglato con il Governo Gentiloni.

  ROBERTO ANZANELLO, presidente dell'ANSI. Rispondo ai quesiti formulati. Risponderò in maniera sintetica ai tre quesiti dei deputati.
  Al quesito della deputata Carnevali le risposte sono sostanzialmente due. Ripeto che la sanità integrativa, svolta tramite gli enti di sanità integrativa, nulla ha a che vedere con il mondo farmaceutico, il mondo privato, il mondo dei fondi di investimento. Tramite gli enti di sanità integrativa non nega il concetto universalistico della protezione statale, ma lo rafforza, perché la mutualità è evidentemente e storicamente, dall'inizio della storia del mondo, un concetto universalistico per definizione.
  Il secondo aspetto è che, per capire tutti i dati, che credo tutti gli enti di sanità integrativa abbiano – io posso parlare per i miei iscritti – e sono ben disponibili a fornirli, c'è già uno strumento, che è l'anagrafe dei fondi, che può richiedere dei dati integrativi. Per far capire dove vengono destinate le risorse prima la dottoressa Mastrobuono ha fatto vedere una tabella dei dati forniti da tre fondi, ma quei dati ce li hanno tutte le forme di assistenza. La risposta, quindi, è: sì, i dati si possono avere. Basta chiederli e capire quali dati si vogliono.
  Passo alla risposta deputata Bologna che parlava di regionalità.
  Noi siamo convinti che il tema della sanità debba essere universalistico, quindi un approccio tipico degli enti di sanità integrativa dello Stato è quello delle porte aperte. L'esperienza ci insegna che portare a livello regionale un indirizzo politico nazionale può creare degli scompensi tra categorie di cittadini che suggeriremmo di evitare in una visione, in una gestione del tema sicuramente più nazionale che regionale.
  La domanda del deputato Novelli, che chiedeva se sia possibile costruire un modello, anche qui ha una risposta abbastanza precisa.
  Il modello esiste già. Il quadro, le leggi e le norme che regolano la sanità pubblica, il terzo settore e gli enti di sanità integrativa, che vi ricordo sono enti del terzo settore, i fondi sanitari, le casse di assistenza, le società di mutuo soccorso, esistono già. Non si tratta di ridipingere un quadro, ma semplicemente di mettere assieme tutti questi elementi che riguardano i due pilastri che possono sostenere una sanità universalistica, quindi la sanità pubblica e la sanità integrativa, e riordinarli in una maniera omogenea. Essendo state le norme emanate, perlomeno in maniera intensa, dal 1990 in poi, in oltre ventotto anni hanno qualche forma di disequilibrio.
  Se, però, visto in un'ottica politica, in una riorganizzazione e ri-omogeneizzazione, il sistema esiste già, e quindi la risposta è sì, si può avere un modello integrato in cui l'Italia, secondo noi, è molto più avanti rispetto a tutti gli altri Paesi del mondo. L'Italia non è gli Stati Uniti, l'Italia non è la Francia, l'Italia non è la Germania. In campo sanitario, l'Italia ha sempre insegnato a tutti. Quello italiano è stato un modello d'esempio nel mondo per cento anni. È tuttora un esempio nel mondo. Riorganizzando il sistema, abbiamo la possibilità di essere e rimanere ancora un modello sanitario, un esempio per tutto il mondo.

  PRESIDENTE. Vi ringraziamo per il nostro contributo, per essere intervenuti, e vi auguro buon pomeriggio. Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della presentazione informatica illustrata dalla dottoressa Mastrobuono (vedi allegato).
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 13.25.

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