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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVIII Legislatura

XIII Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 7 di Martedì 9 ottobre 2018

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Gallinella Filippo , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULL'EMERGENZA LEGATA ALLA DIFFUSIONE DELLA XYLELLA FASTIDIOSA NELLA REGIONE PUGLIA

Audizione di Antonia Carlucci, docente presso l'Università di Foggia, Margherita Ciervo, docente presso l'Università di Foggia, Cristos Xyloyannis, docente presso l'Università della Basilicata, Franco Nigro, docente presso l'Università di Bari, Francesco Porcelli, docente presso l'Università di Bari, Marco Nuti, docente presso le Università di Padova e di Pisa, del professore Emilio Stefani, rappresentante per l'Italia al Panel EPPO e della dottoressa Margherita D'Amico, responsabile scientifica del Progetto «Sistemi di lotta ecocompatibili contro il CoDiRO (SILECC)».
Gallinella Filippo , Presidente ... 3 
Xyloyannis Cristos , docente di Fisiologia delle specie da frutto, frutticoltura generale e tecniche vivaistiche presso l'Università della Basilicata ... 3 
Nuti Marco , docente presso le Università di Padova e di Pisa ... 5 
Nigro Franco , docente presso l'Università di Bari ... 7 
Porcelli Francesco , docente presso l'Università di Bari ... 8 
Stefani Emilio , rappresentante per l'Italia al Panel EPPO ... 9 
Carlucci Antonia , docente presso l'Università di Foggia ... 10 
D'Amico Margherita , responsabile scientifica del Progetto «Sistemi di lotta ecocompatibili contro il CoDiRO (SILECC)» ... 12 
Ciervo Margherita , docente presso l'Università di Foggia ... 13 
Gallinella Filippo , Presidente ... 15 
Cillis Luciano (M5S)  ... 15 
L'Abbate Giuseppe (M5S)  ... 15 
Gadda Maria Chiara (PD)  ... 15 
Cunial Sara (M5S)  ... 16 
Cenni Susanna (PD)  ... 17 
Cassese Gianpaolo (M5S)  ... 17 
Viviani Lorenzo (LEGA)  ... 17 
Gallinella Filippo , Presidente ... 17 
Xyloyannis Cristos , docente di Fisiologia delle specie da frutto, frutticoltura generale e tecniche vivaistiche presso l'Università della Basilicata ... 17 
Nuti Marco , docente presso le Università di Padova e di Pisa ... 18 
Nigro Franco , docente presso l'Università di Bari ... 19 
Gallinella Filippo , Presidente ... 22 
Stefani Emilio , rappresentante per l'Italia al Panel EPPO ... 22 
Carlucci Antonia , docente presso l'Università di Foggia ... 22 
D'Amico Margherita , responsabile scientifica del Progetto «Sistemi di lotta ecocompatibili contro il CoDiRO (SILECC)» ... 23 
Ciervo Margherita , docente presso l'Università di Foggia ... 23 
Gallinella Filippo , Presidente ... 24 
Ciervo Margherita , docente presso l'Università di Foggia ... 24 
Gallinella Filippo , Presidente ... 25 
Gadda Maria Chiara (PD)  ... 25 
Gallinella Filippo , Presidente ... 25 
Gadda Maria Chiara (PD)  ... 25 
Ciervo Margherita , docente presso l'Università di Foggia ... 25 
Gadda Maria Chiara (PD)  ... 25 
Gallinella Filippo , Presidente ... 25 
Porcelli Francesco , docente presso l'Università di Bari ... 25 
Gallinella Filippo , Presidente ... 25 

Allegato 1: documentazione depositata dal professore Marco Nuti ... 26 

Allegato 2: documentazione depositata dal professore Francesco Porcelli ... 29 

Allegato 3: documentazione depositata dalla dottoressa Margherita D'Amico ... 32 

Allegato 4: documentazione depositata dalla professoressa Margherita Ciervo ... 35

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE;
Misto-Civica Popolare-AP-PSI-Area Civica: Misto-CP-A-PS-A;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia: Misto-NcI;
Misto-+Europa-Centro Democratico: Misto-+E-CD;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
FILIPPO GALLINELLA

  La seduta comincia alle 12.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di Antonia Carlucci, docente presso l'Università di Foggia, Margherita Ciervo, docente presso l'Università di Foggia, Cristos Xyloyannis, docente presso l'Università della Basilicata, Franco Nigro, docente presso l'Università di Bari, Francesco Porcelli, docente presso l'Università di Bari, Marco Nuti, docente presso le Università di Padova e di Pisa, del professore Emilio Stefani, rappresentante per l'Italia al Panel EPPO e della dottoressa Margherita D'Amico, responsabile scientifica del Progetto «Sistemi di lotta ecocompatibili contro il CoDiRO (SILECC)».

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'emergenza legata alla diffusione della Xylella fastidiosa nella Regione Puglia, l'audizione di Antonia Carlucci, docente presso l'Università di Foggia, Margherita Ciervo, docente presso l'Università di Foggia, Cristos Xyloyannis, docente presso l'Università della Basilicata, Franco Nigro, docente presso l'Università di Bari, Francesco Porcelli, docente presso l'Università di Bari, Marco Nuti, docente presso le Università di Padova e di Pisa, del professore Emilio Stefani, rappresentante per l'Italia al Panel EPPO e della dottoressa Margherita D'Amico, responsabile scientifica del Progetto «Sistemi di lotta ecocompatibili contro il CoDiRO (SILECC)».
  Ringrazio i nostri ospiti per aver accolto il nostro invito e lascio loro la parola per la relazione introduttiva, cui faranno seguito le eventuali domande dei colleghi.

  CRISTOS XYLOYANNIS, docente di Fisiologia delle specie da frutto, frutticoltura generale e tecniche vivaistiche presso l'Università della Basilicata. Grazie, presidente. Il nostro approccio è la convivenza con la Batteriosi. Quali interventi fare per convivere e contenere il batterio?
  Partiamo subito dall'analisi della situazione che abbiamo trovato: cioè olivi abbandonati che venivano potati ogni 5 anni, terreno quasi sterile, senza sostanza organica. Come contenere il batterio nella zona infetta. Attraverso le potature frequenti, guardando i sintomi che si vedono della malattia ogni 2, 3 o 4 mesi, con passaggi rapidi, senza tagli drastici, eliminando i rami con la malattia. In questa maniera conteniamo la carica batterica e diamo alla pianta la possibilità di rigenerarsi.
  Abbiamo iniziato con due progetti finanziati dalla regione Puglia un anno e mezzo fa e nelle slides che vi mostrerò potete vedere lo stato delle piante che abbiamo trovato, l'intervento di potatura per rigenerare la vegetazione, la situazione dopo 3 o 4 passaggi di potatura, eliminando i rami con dei sintomi e dando alla pianta la possibilità di rigenerare.
  Non abbiamo eradicato il batterio, non c'è la possibilità di eliminare il batterio, e abbiamo l'esperienza di altre malattie e altri batteri con cui conviviamo, queste altre malattie colpiscono piante che hanno un reddito elevato e quindi c'è la possibilità Pag. 4per gli agricoltori di stare dietro alle piante. Questo non è il caso dell'olivo, che è una coltura molto povera, quindi chiedere all'agricoltore di intervenire con 3 o 4 interventi di potatura è impossibile dal punto vista economico. Si può quindi convivere con la malattia.
  Abbiamo fatto un'indagine su diverse aziende per valutare l'aspetto economico, quindi questa olivicoltura non può sostenersi dal punto di vista economico, una certa olivicoltura può sostenere le spese richieste per questo tipo di gestione, non competere con questa sul mercato, se non si prende in considerazione la multifunzionalità dell'agricoltura del Salento e dell'olivicoltura italiana in generale.
  L'altro aspetto in questo nostro approccio multidisciplinare, se si considera l'intero sistema, non soltanto il vettore e la malattia, è il suolo. Suoli sterili, privi di sostanza organica, non c'è vita nei suoli, non soltanto nel caso dell'ulivo ma in quasi tutta l'agricoltura negli ultimi settant'anni abbiamo distrutto la sostanza organica dei suoli e liberato il carbonio nell'atmosfera, quindi dobbiamo tornare indietro.
  Come ricostruire la sostanza organica del suolo? Attraverso gli apporti di carbonio esterni (il letame non si trova, ma dobbiamo puntare sul compost, come abbiamo fatto nelle aziende olivicole non soltanto nel Salento, ma utilizzando da 30 anni (da 30 anni sono in Basilicata, prima ero in Toscana) il compost in Basilicata per ripristinare la fertilità microbiologica dei suoli.
  Qui potete vedere le caratteristiche del compost, oltre al carbonio che apportiamo nel suolo apportiamo anche diversi elementi minerali di cui la pianta ha bisogno. Il compost innesca anche un altro aspetto, raccolta differenziata, frazione umida. Qui potete vedere la quantità di compost che la Puglia potrebbe preparare se venisse utilizzata tutta la frazione umida dalla raccolta differenziata, 200.000 tonnellate all'anno.
  Sta invece producendo circa 54.000 tonnellate all'anno, quindi le potenzialità sono enormi e dobbiamo puntare ad incentivare gli impianti di compostaggio, per produrre compost di qualità e certificato da utilizzare nel settore agricolo. Ho fatto vedere prima a che livelli siamo nella raccolta differenziata al sud Italia, in particolare in Puglia e Basilicata.
  Questa è una misura presa dalla regione Puglia dando circa 374 euro a ettaro, utilizzando compost per ripristinare la fertilità dei suoli, queste misure vanno potenziate e incentivate per mandare un messaggio forte non soltanto verso l'agricoltura, ma verso l'intera società per quanto riguarda la raccolta differenziata.
  Il processo non è rapido, in 70 anni abbiamo distrutto la sostanza organica dei suoli e per aumentare dell'1 per cento la sostanza organica con 10 tonnellate di compost all'anno ci vogliono 10-12 anni. Qui abbiamo il nostro esempio, dal 2000, circa vent'anni, stiamo gestendo un oliveto a Ferrandina, in Basilicata, in maniera sostenibile.
  Il compost cosa comporta? Aumentando dell'1 per cento la sostanza organica, aumentiamo drasticamente la fertilità microbiologica dei suoli. Qui potete vedere quanto abbiamo aumentato in un grammo di suolo i batteri e anche i funghi rispetto a un suolo senza compost, senza interventi di agricoltura sostenibile, e non soltanto nel suolo, ma anche sulla pianta abbiamo modificato tutta la complessità del sistema, quindi abbiamo creato un sistema non così fragile come il sistema del Salento, fragile nei riguardi di stress biotici e abiotici. Sappiamo benissimo il ruolo che svolgono i microrganismi nel suolo per aumentare le difese naturali della pianta, come succede in tutti gli organismi.
  L'altro aspetto è l'acqua. È ovvio che non possiamo parlare di utilizzare l'acqua nell'olivicoltura in Puglia e anche in altre coltivazioni, perché la Puglia non ha acqua, molta la prende dal sottosuolo, quindi l'acqua è il fattore fondamentale per rendere questa coltura sostenibile dal punto vista economico.
  Circa 10 tonnellate di un oliveto vecchio a Ferrandina irrigato con le acque reflue urbane trattate, 10 tonnellate ettaro rispetto a 4 tonnellate di olive ettaro (sono dati di più anni, non soltanto di un anno). Pag. 5La Puglia butta via 1.250.000 metri cubi di acqua al giorno, insieme con l'acqua buttiamo via all'anno 8.000 tonnellate di azoto, 400-500 tonnellate di fosforo e 8.000 tonnellate di potassio. Se venisse utilizzata tutta questa risorsa idrica, potremmo irrigare 150.000 ettari con 3.000 metri cubi ettaro all'anno.
  Non si può assolutamente pensare di sostituire l'olivo con altre colture che richiedono acqua, perché andremmo a prendere l'acqua dal sottosuolo, e con 3.000 metri cubi di acqua per ettaro noi distribuiamo circa 4 tonnellate di sali per ettaro all'anno (andiamo verso la desertificazione per eccesso di sali nel suolo).
  Cosa suggeriamo? Incentivare l'utilizzo degli ammendanti compostati per ripristinare la fertilità dei suoli (ci sono diversi impianti di compostaggio in Puglia), sostenere per 3-4 anni i maggiori costi per portare avanti un'olivicoltura sostenibile, per aumentare le difese naturali della pianta, incentivare il recupero e il riuso in agricoltura delle acque reflue urbane, sostenere la ricerca finalizzata, mettere i ricercatori in condizione di lavorare in laboratorio e trovare soluzioni, sostenere gli agricoltori non soltanto dal punto di vista economico, ma anche con assistenza tecnica qualificata.
  Quali sono i maggiori costi per questo tipo di gestione? Circa 600 euro a ettaro, quindi bisogna dare la situazione in mano agli agricoltori, dando loro anche i mezzi per poter gestire, la formazione e la comunicazione corretta.
  L'ultima cosa: perché se ci troviamo in questa difficoltà dei 100 metri di raggio nella fascia di contenimento, nella fascia cuscinetto, dove dobbiamo distruggere tutte le piante infette e non infette, e ci troviamo in difficoltà perché questo non viene applicato? Potete immaginare una pianta infetta nel raggio di 100 metri vuol dire 30.400 metri quadrati, dovrei creare il deserto, se mentre mi sposto nel raggio di 100 metri trovo un'altra pianta infetta a 80 metri, mi devo spostare ad altri 100 metri, potete immaginare cosa succederebbe se applicassi questa misura dei 100 metri, all'interno dei centri abitati dovrei entrare dentro le case, dentro i giardini, quindi è difficile se non impossibile l'attuazione di questa misura. Grazie.

  MARCO NUTI, docente presso le Università di Padova e di Pisa. Vengo dall'Università di Pisa dove sono professore emerito e attualmente lavoro al Sant'Anna di Pisa. Mi pongo in un quadro di agricoltura di tipo rigenerativo, come è stato appena accennato dal collega Xyloyannis, che è una evoluzione e un perfezionamento per alcuni aspetti dell'agricoltura conservativa, che si è sviluppata dagli anni ’90.
  Se guardiamo all'olivicoltura nella sua complessità (penso che si sia persa la visione olistica della coltivazione dell'olivo), ci dobbiamo ricordare che non importa soltanto quello che emerge dal terreno, ma forse è ancora più importante ciò che sta sotto il terreno.
  Ci sono due ambienti in natura dove la densità dei microrganismi raggiunge i massimi oggi noti, 1011 intorno alle radici delle piante e 1013 in un altro ambiente, che è il nostro intestino. Chiamiamo microbiota la totalità dei microrganismi di questi due ambienti, microbioma in senso funzionale, perché questa alta densità ha anche un'alta funzionalità. Comincerò dal nostro intestino perché quando questi ambienti si ammalano per una causa qualsiasi (spesso è uno stress, biotico o abiotico), si verificano casi di disbiosi che potrebbero passare inosservati, ma per gli esseri umani non tanto, perché c'è una relazione diretta fra nutrizione, stress e salute, in quanto alle disbiosi corrisponde la comparsa di depressione, ansietà, alterazione delle funzioni cognitive, obesità, diabete di tipo 2, alterazione delle funzioni del sistema immunitario, certe forme di cancro, colesterolo.
  Se questo è stato accertato negli ultimi 12-13 anni e c'è una letteratura scientifica enorme sulla correlazione diretta fra la disbiosi intestinale e la comparsa di certe malattie, cosa è stato fatto? Quando si altera il microbiota intestinale, assumiamo normalmente probiotici (lactobacilli, bifido batteri) oppure prebiotici, cioè sostanze chimiche (probiotici sono microbi, prebiotici sono sostanze chimiche) e ci curiamo Pag. 6per ripristinarne l'equilibrio, quindi vengono ridotti gli stati d'ansia, i comportamenti antidepressivi e le funzioni cognitive vengono potenziati, è ridotta la risposta agli stress.
  Domanda a me stesso come agli altri: quando si altera il microbiota della pianta cosa facciamo? Ci sono dei primi, incoraggianti interventi con biofertilizzanti, biostimolanti, che sono gli elementi tipici dell'agricoltura rigenerativa. Mi pongo però una seconda domanda ancora più drammatica: quando si altera il microbiota del terreno cosa facciamo? Attualmente ben poco, e sì che è noto che la gestione agronomica fa la sua differenza sulla composizione del microbioma del suolo (qui c'è il riferimento).
  Di questa slide richiamo soltanto un dato: la biomassa microbica, quindi il microbiota o microbioma se ne parliamo in senso funzionale, nei deserti è 3 quintali per ettaro e nei terreni organici produttivi 1,2 tonnellate, quindi una quantità ben maggiore (lascio a voi il calcolo). A questo punto viene spontaneo domandarsi se sia possibile rimettere in salute il terreno, consentendo alle piante di essere più sane e, se le piante saranno più sane, saranno anche in relazione diretta con la salute umana e animale.
  È stato richiamato il fatto che in Puglia ci sono dei residui che possono essere utilizzati come fonte di sostanza organica, ne aggiungo uno, che è forse sottostimato dal punto di vista della utilizzazione, quell'ammendante compostato verde (solo verde, niente residui animali) che proviene dalla coltivazione dell'olivo, cioè le sanse, le acque di vegetazione, ora poi con i nuovi sistemi di estrazione ci saranno quantità incredibili di paté e di digestato se le acque di vegetazione vengono immesse in impianti di biogassificazione.
  Gli effetti dell'utilizzazione in serra e in campo di questi ammendanti compostati verdi si vedono subito, anche perché il modo con cui vengono fatti questi ammendanti compostati verdi è tale che si raggiungono i massimi gradi di umificazione in soli 90 giorni, che sono tempi industriali, mentre se aspettassimo un'umificazione naturale ci vorrebbero anni.
  L'uso di questi compost verdi favorisce una maggior disponibilità di acqua per le piante (qui siamo nelle colline pisane, dove purtroppo abbiamo sofferto un'altra emergenza ben peggiore, perché è bruciato il Monte Serra e non ci ha potuto far nulla nessuno), stimola una maggior forza delle piante contro gli stress e, nel caso della Xylella in Puglia (ve ne ha parlato il dottor Giovannetti) ha ottenuto risultati incoraggianti.
  Dove sono stato, sotto Nociglia, verso la punta dalla quale è cominciata questa infezione, la sostanza organica è 1,2 per cento, quando invece per quella zona, per l'Italia e per l'Europa dovrebbe collocarsi su valori più alti; giustamente la Commissione e le agenzie internazionali hanno richiamato l'attenzione negli ultimi tre anni sul fatto che i nostri suoli europei contengono mediamente meno del 2 per cento di sostanze organiche (in Puglia ho trovato 1- 1,2).
  Questa percentuale data così secca potrebbe non dire niente, ma ricordiamoci che la biodiversità funzionale del terreno rimane nelle sue funzioni quando la sostanza organica supera il 3,5 per cento, le generazioni precedenti contavano su terreni che avevano dal 4 per cento di sostanza organica in su, le piante erano sane, erano ben nutrite, c'era resilienza verso gli stress biotici ed abiotici.
  Al controllo delle micorrize c'è da prendersi spavento da come sono poche, e in effetti quando sono stati trattati nella zona di Nociglia 7 ettari nel mezzo di 33 ettari di olivi distrutti quella centrale ha ricominciato a vegetare, e questo già al secondo anno. Questo significa che un effetto c'è quando consideriamo la pianta dell'olivo nel suo complesso, non soltanto la parte sopra, ma anche la parte al di sotto delle radici, della rizosfera, del suolo circostante, in modo tale da favorire una maggior resilienza contro gli stress.
  È chiaro che questo non è un rimedio unico, così come sono multifattoriali le cause del disastro che stiamo vivendo, non può esserci un rimedio solo, dovrebbe essere considerato un rimedio, tenendo conto in maniera più olistica di cos'è una pianta Pag. 7d'olivo, quindi ristabilire il contenuto della sostanza organica, ristabilire l'integrità dei micro-aggregati, che, come dice il collega, sono stati distrutti negli ultimi settant'anni, comunque progressivamente sempre di più, utilizzando ammendanti organici ristrutturanti o strutturanti, riutilizzare in olivicoltura, nell'ottica di un'economia circolare, i residui e i sottoprodotti dell'olivicoltura (è possibile farlo), utilizzare una olivicoltura di tipo rigenerativo, quindi biofertilizzanti e biostimolanti, per aumentare proprio la resilienza degli olivi.
  Queste sono le osservazioni che volevo portare alla vostra attenzione.

  FRANCO NIGRO, docente presso l'Università di Bari. Anch'io avevo preparato qualche slide, ma ne faccio a meno perché voglio lasciare spazio alla discussione e alle domande.
  Sono Franco Nigro, professore associato di patologia vegetale che, come è definita nella declaratoria del decreto ministeriale 255, si occupa delle malattie delle piante causate da batteri, virus, viroidi, funghi e alterazioni di natura abiotica. Questo per sgombrare il campo, perché nelle competenze di un patologo vegetale ad oggi non sono ancora previste sezioni o sottosezioni.
  Voglio partire da quanto ho ascoltato qui questa mattina anche con riferimento a quanto è stato prodotto in questa Commissione.
  Sicuramente oggi non abbiamo altra strada che la convivenza con il batterio, il batterio ormai è insediato nell'ambiente meridionale, probabilmente si svilupperà e conquisterà nuove fasce di territorio. Il problema è quale sarà la convivenza.
  Faccio soltanto un brevissimo excursus di quello che si è verificato in questi ultimi 4-5 anni, in cui abbiamo assistito ad una velocità di conquista di nuovo territorio da parte del batterio ad una media di circa 30-35 chilometri l'anno, se non di più, indipendentemente dalle condizioni del terreno, dalla quantità di sostanza organica nel terreno e dalle condizioni di coltivazione.
  In Salento esistono e ci sono sempre state punte di eccellenza di olivicoltura, con terreni e uliveti condotti in agricoltura biologica, dove la quantità di sostanza organica non arriva certamente al 3,5 per cento, ma si attesta intorno a valori come 2, 2,2 e 2,3, con quantità di acqua di un certo rilievo, perché l'agricoltura biologica in Salento è rilevante, il numero delle aziende che producono in biologico in Salento è uno dei più elevati, comprende comuni che vanno da Nociglia fino ad arrivare alle zone più settentrionali e recentemente alle porte della Valle d'Itria.
  Non credo che questo fenomeno di impoverimento o comunque di destrutturazione del terreno sia stato così veloce e tale da seguire la velocità della malattia. Quale convivenza dunque? Da quando sono state notificate le prime aree come aree infette, secondo quanto prevede la normativa, in questi ultimi anni abbiamo soltanto assistito ad uno spostamento delle linee, ovvero ad un nuovo focolaio scoperto al di fuori delle aree demarcate con la legislazione precedente ci si spostava di 20 chilometri più a nord. Automaticamente l'area da zona di contenimento diventava zona infetta e, come zona infetta (scusate la franchezza) veniva letteralmente abbandonata a se stessa.
  Dobbiamo pensare che il ritrovamento di un focolaio con i 100 metri di raggio non significa che tutte le altre piante siano infette, per cui possiamo considerarla zona completamente perduta. Il rischio che corriamo è che, considerata la caratteristica della malattia che si sviluppa a spot sul territorio e poi si allarga, per uno spot perdiamo aree lunghe 40 chilometri per quanto è larga tutta la Puglia dallo Ionio all'Adriatico.
  Questo significa che in aree di contenimento, che per decisione UE adesso sono diventate zone infette, noi perdiamo tutta l'area. Queste zone che sono nel limbo, che sono state dichiarate infette per intervento decisionale della UE perché è soltanto un focolaio che poteva e deve essere gestito con l'approccio che ad oggi conosciamo, praticamente vengono completamente perse.
  Così è successo nell'area che va dal confine nord della provincia di Lecce, da Torchiarolo fino a Brindisi, poi fino a Ostuni, adesso siamo arrivati alle porte della provincia Pag. 8 di Bari con lo stesso meccanismo, ovvero trovato un focolaio spostiamo le zone e facciamo traslare, per cui la zona di contenimento diventa zona infetta, troviamo una zona cuscinetto più a nord e quella che rimane dietro, essendo diventata zona infetta, non richiede gli interventi previsti in una zona di contenimento, ovvero quantomeno l'intervento chirurgico di eradicazione della pianta infetta e di controllo del vettore.
  Ad oggi, al netto di quanto possiamo pensare e legittimamente sostenere, non ci sono evidenze scientifiche chiare e inequivocabili che una pianta infetta da Xylella, che non appartenga a qualche varietà resistenti o qualche semenzale che ha un comportamento diverso, riesca a sopravvivere alla malattia, non è possibile pensare che una pianta di olivo che mostra i sintomi della malattia riesca a sopravvivere se non appartiene ad una di queste due varietà.
  È evidente quindi che considerare la zona di contenimento che diventa zona infetta una zona ormai persa è davvero drammatico. Tutta la zona che con l'ultima decisione UE è definita zona infetta rispetto a zona di contenimento di qualche mese prima presenta delle aree e degli oliveti che possono e devono essere salvati.
  L'unico modo per salvare adesso gli olivi, per cercare di rallentare perché giustamente non possiamo fare deserto, è abbassare l'inoculo sacrificando chirurgicamente la pianta d'olivo infetta manifesta con sintomi, perché è la fonte source and sink del batterio, deposito e fonte del batterio, e soprattutto controllare la popolazione del vettore attraverso interventi diversificati, che ci illustrerà il professor Porcelli.
  Non c'è altra strada, così come non si può rinunciare al monitoraggio continuo, perché soprattutto zone di contenimento diventate zone infette per decisione, per rispetto della normativa comunitaria non possono essere lasciate così, con un intervento di monitoraggio che si verifica sì e no una volta l'anno.
  Fino adesso non se ne è fatto nessuno, tutta la zona che va da Oria fino a Mesagne, fino giù a Brindisi e Lecce, dove sono presenti gli olivi secolari più antichi della Puglia (a Muro Tenente, uno dei primi insediamenti latini nella zona tra Oria e Mesagne, ci sono olivi che ricordano Columella) è una zona dichiarata infetta che non è stata più monitorata, e adesso da Oria fino a Francavilla e a tutta la provincia di Brindisi è un continuo divampare di nuovi focolai.
  Queste sono le linee di intervento concrete che abbiamo ad oggi, ben vengano tutti gli altri interventi accessori che hanno a che fare con la gestione del suolo, della chioma della pianta, ma se non riduciamo la pressione di inoculo soprattutto in queste zone che non hanno altra possibilità, davvero stiamo uccidendo l'agricoltura pugliese, perché nella zona del leccese con il reimpianto di varietà resistenti c'è forse una boccata di ripresa di questa attività (magari poi con le domande interagiamo meglio su questi aspetti), ma in queste zone di nuova colonizzazione ad oggi non ci sono altre soluzioni.

  FRANCESCO PORCELLI, docente presso l'Università di Bari. Grazie per l'opportunità. Sono un entomologo e mi sono occupato faticosamente di questo argomento, faticosamente perché la Xylella fastidiosa, in quanto organismo da quarantena anche gravemente dannoso, presenta due piani di lettura, quello dell'organismo da quarantena che prevederebbe l'eliminazione dell'organismo dal territorio, e quello del danno, che invece è un fatto decisamente diverso.
  La Xylella è un batterio trasmesso da insetti, quindi va da sé che, se potessimo con la bacchetta magica eliminare tutti i vettori, avremmo risolto il problema, perché le piante infette alla fine muoiono e quindi avremmo un'automatica pulizia del territorio dal batterio se non fosse per quelle piante asintomatiche, che quindi resterebbero presenti sul territorio e serbatoio.
  Naturalmente anche una graduale, importante riduzione del vettore porta automaticamente a gestire l'invasione del batterio sul territorio, che è asintomatica e a naso direi che viaggia 15-20 chilometri davanti ai sintomi. Questo è un aspetto importante che invece è stato completamente Pag. 9ignorato da noi tutti, e non dovremmo considerare le piante sintomatiche, dovremmo intervenire contro i vettori in un'area molto distante dai primi sintomi, per impedire che le piante che diventano serbatoio possano permettere ai vettori residenti in quella zona di precederci continuamente nell'invasione.
  Questo è un aspetto particolare di Xylella, perché manifesta sintomi e danni molto dopo l'infezione, perché in Xylella sintomo e danno coincidono, a differenza di tante altre patologie e tanti insetti che manifestano danni o sintomi molto da presso all'infezione.
  Fino all'anno scorso, se mi aveste chiesto di dire parola, non avrei potuto farlo, perché non avevamo un metodo di campionamento degli stadi giovanili e quindi una possibilità di quantificare la dimensione della popolazione efficace, dall'anno scorso l'abbiamo. Diventa quindi possibile costruire sistemi, strategie di controllo integrato razionali, con cui stabilire costi e benefici di ogni azione di controllo e quindi dare una prospettiva (potrei dirvi due o tre anni) durante la quale abbattere consistentemente, opportunamente, in modo sostenibile. Non si parla infatti di eccesso di uso di insetticidi (in gran parte le azioni sono fisiche e applicabili anche in organic, in bio), si parla di osservare il fenomeno del riavvicinarsi del margine dell'infezione con il margine del sintomo.
  A questo punto dovremmo avere non più piante infette, grazie al controllo in area asintomatica o esente, e potremmo pensare di convivere in area infetta, perché sarà un piacere vedere se queste piante resistano a produrre in area infetta perché, non essendoci non tanto le infezioni, cioè la prima trasmissione, quanto le reinfezioni e le super infezioni, che sono quelle che aggravano la malattia con una quantità di sintomi che porta a morte la pianta, non vedremo più questo ulteriore fenomeno.
  Tante opportunità, che sono le potature di rimonda, cioè le potature di pulizia, o altre che ancora dobbiamo intravedere diventano quindi possibili, ma – mi preme dire – in modo prevedibile nei costi e nei risultati, perché altrimenti il decisore politico ha difficoltà a compiere delle scelte.
  Non direi altro, perché forse ho già bucato i cinque minuti. Aggiungo soltanto la preghiera di rivedere questa affermazione «le varie attività di contrasto, in particolare quelle di monitoraggio», perché il monitoraggio non è un'attività di contrasto, il monitoraggio significa star lì a guardare, è come misurare la febbre a un figlio, a cui però la febbre non passa se gliela misuro, quindi c'è una serie di altre attività di cui oggi possiamo parlare in modo condivisibile e misurabile. Grazie mille.

  EMILIO STEFANI, rappresentante per l'Italia al Panel EPPO. Buongiorno, sono professore di patologia vegetale a Reggio Emilia, ex Facoltà di Agraria, oggi Dipartimento di scienze della vita, ma sono qui forse con un doppio ruolo. Il primo ruolo mi viene dalla delega concessami oltre vent'anni fa a rappresentare il nostro Servizio fitosanitario centrale in sede di agenzia intergovernativa EPPO (European and Mediterranean Plant Protection Organization), il secondo essendo batteriologo da tanti anni e avendo anche lavorato alla Xylella.
  Nel 1990, 1991 e 1992 realizzammo infatti un progetto finanziato dall'Unione europea sulla Xylella in seguito ad un allarme sulla possibilità che alcune viti italiane portate in Francia avessero la Xylella, ma accertammo che non era vero.
  In sede intergovernativa, in sede EPPO, il nostro scopo è quello di fornire servizi sanitari e laboratori a chi si occupa di diagnostica e di analisi del rischio caratterizzati da standard validati universali, che possano essere usati per certificare materiali ad infezione latente, per verificare se una termoterapia funzioni o meno, per avere dei metodi di campionamento, qualcosa che viene sviluppato da ricercatori, pubblicato, ma anche verificato in diversi laboratori internazionali, non solo europei, ma anche negli Stati Uniti e in Cina.
  Il nostro scopo è quindi aggiornare continuamente quello che l'analista può fare in laboratorio, non ultimo un video messo in rete su come prelevare un campione da insetti possibilmente vettore di Xylella e Pag. 10poterli analizzare con una buona, se non ottima affidabilità di rintracciare il patogeno. Il nostro lavoro consiste quindi nel metterci in rete con tanti altri e fornire i laboratori di questi metodi.
  Come batteriologo volevo prendere due o tre minuti perché su Xylella ho lavorato a suo tempo, ma soprattutto ho lavorato quando in Emilia-Romagna nacquero due altre emergenze forse più gestibili della Xylella. La prima emergenza, il colpo di fuoco batterico, nel 1994-1997, quando dozzine di ettari furono estirpati e bruciati, con gli agricoltori che urlavano e piangevano. Successivamente c'è stata un'altra emergenza, quella del cancro batterico dell'actinidia.
  In entrambi i casi ci chiedevano soluzioni e con il mio gruppo di lavoro abbiamo potuto dimostrare, non solamente in Campania, che lavorando sull'interazione microrganismo-microrganismo da un lato è possibile rintracciare degli organismi antagonisti che possano rallentare e fermare i patogeni, dall'altro stimolare alcune sequenze geniche silenti nelle piante ospiti. Questo almeno nel caso del colpo di fuoco batterico e del cancro batterico dell'actinidia.
  La difficoltà in più che abbiamo con la Xylella rispetto alle due malattie che ho appena citato è che la Xylella ha un vettore, quindi occorrerebbe anche lavorare sulle comunità microbiche dei vettori per capire se possiamo estendere questa filosofia di azione anche agli insetti vettori.
  Mi fermerei qui e lascerei spazio alle domande.

  ANTONIA CARLUCCI, docente presso l'Università di Foggia. Mi scuso per il ritardo, ma ho avuto problemi con il treno, quindi non è dipeso da me. Ringrazio per la convocazione, sono onorata di poter contribuire all'approfondimento di questo argomento. Spero di non prendere moltissimo tempo e cercherò di sintetizzare per lasciare spazio alle domande e a eventuali curiosità.
  Tutti ormai sappiamo che l'epidemia causata da Xylella fastidiosa è piuttosto grave, lo sappiamo noi addetti ai lavori, ma soprattutto lo sanno gli agricoltori per i quali rappresenta un dramma, una tragedia. Per loro è vanificata la possibilità di reddito, quindi la situazione creatasi in Salento è veramente molto drammatica.
  Mi riferisco in particolare a quella olivicoltura che insiste nella cosiddetta «zona infetta», per quanto nella zona di contenimento ritengo ci siano oggi strumenti per contenere l'avanzamento del batterio, dobbiamo semplicemente applicarli, sono quelli previsti dalla Comunità europea. Se quindi c'è il focolaio, la pianta infetta, purtroppo bisogna accettare di sacrificare quella pianta, onde evitare che il batterio e quindi l'epidemia vada oltre, un sacrificio che a questo punto ritengo dovuto.
  È importante a mio avviso insistere nell'area infetta, cioè comprendere quali possano essere gli strumenti, le azioni o le attività da mettere in atto per consentire agli agricoltori di continuare nella loro produzione, quindi dare loro una speranza.
  La ricerca scientifica e la politica hanno fatto quello che hanno fatto (non voglio entrare in polemica su questi aspetti), è stato fatto quello che in quelle condizioni e in quegli anni (mi riferisco agli ultimi cinque anni) era possibile fare, quindi quello che è stato fatto evidentemente è stato il massimo, però oggi credo che sia importante guardare al futuro.
  Aver individuato due cultivar di olivo quali la cosiddetta Favolosa o FS-17, che è un ibrido di recente costituzione (credo che non abbia più di vent'anni questa nuova linea genetica) e il Leccino, è importante, ma non è il traguardo, ritengo sia il punto di partenza.
  Si tratta di due varietà di olivo definite resistenti, da patologo vegetale so benissimo cosa significa resistenza, resistenza non significa immunità, significa che oggi (credo che qualcuno l'abbia già messo in evidenza nelle audizioni precedenti) la pianta resistente ha una bassissima carica batterica al suo interno, in quanto tale non offre al vettore sufficiente carica da trasmettere di pianta in pianta.
  Questo aspetto è già un punto di partenza ottimale, significa che il vettore avrà a disposizione una pianta con una carica batterica molto bassa e quindi non potrà Pag. 11trasmettere il batterio, come invece sta accadendo adesso sull'ogliarola salentina, che è una pianta molto sensibile e suscettibile.
  Ritengo comunque che non ci si debba fermare a queste uniche due varietà, studiare la resistenza con la speranza di individuare cultivar di olivo già note e presenti sul territorio nazionale, ma anche su territorio europeo o forse internazionale (dipende da quanto vogliamo estendere la ricerca), quindi individuare varietà note, resistenti, sempre con la speranza di individuarne una immune è importantissimo, ma non deve essere finalizzato a scrinare le varietà oggi già note.
  È importante che la politica a livello nazionale promuova nella ricerca un processo di miglioramento genetico dell'olivicoltura nazionale. Sono a disposizione numerose linee di olivo genetiche nuove che meritano di essere studiate, vagliate e verificate nei confronti di questo batterio.
  La ricerca scientifica dovrebbe quindi continuare a ricercare nuove resistenze non solo in cultivar già note, ma in linee genetiche di nuova costituzione, di cui sono ben noti i parentali. Si tratta quindi di linee genetiche ottenute all'occorrenza sulla base di determinate caratteristiche. Certo, il costitutore non ha pensato a linee di ricerca o a caratteristiche quali la resistenza o l'immunità al batterio, ha pensato ad altre caratteristiche.
  Per questo vi posso essere di conforto: ci sono linee di ricerca che provengono da parentali resistenti al Verticillium, che è un fungo e in quanto tale è vascolare, xilematico, molto simile al batterio Xylella, quindi si muove all'interno del tessuto xilematico. In Italia ci sono varietà resistenti al Verticillium, come è stato accertato e verificato negli studi precedenti, quindi considero molto importante studiare e vagliare nuove linee di ricerca che provengano da incroci voluti, i cui parentali sono rappresentati da piante con queste particolari caratteristiche di rusticità e resistenza.
  La politica e la ricerca dovrebbero insistere soprattutto in questo senso per consentire l'individuazione di varietà utili per un reimpianto nelle aree infette, a garanzia del mantenimento del patrimonio olivicolo pugliese. Io sono della provincia di Foggia, dove le piante secolari e ultra secolari sono molto rare, mentre nel Salento ce ne sono centinaia, quindi presumo che siano così concentrate perché si sono selezionate nel corso dei secoli, perché lì hanno trovato delle condizioni pedoclimatiche ma soprattutto climatiche idonee.
  Altre colture in quel territorio sono di difficile attuazione. In questi giorni ho sentito parlare di piante tropicali, di cui ho una mia collezione personale, quindi non le demonizzo, però mi rendo conto che le piante tropicali hanno bisogno di acqua e in quel territorio credo ce ne sia ben poca.
  La pianta di olivo è una pianta rustica, non esigente, quindi probabilmente si è selezionata nel corso dei secoli proprio per questo motivo, perché le condizioni climatiche permettono lo sviluppo soltanto di piante non esigenti dal punto di vista idrico.
  Sempre per dare un contributo alla speranza degli agricoltori che risiedono in queste aree ormai considerate infette voglio portare alla luce alcuni risultati di sperimentazioni (la ricerca non è stata possibile) in cui abbiamo utilizzato prodotti a basso impatto ambientale (in qualche caso c'era qualche molecola chimica, ma sempre prodotti a bassissimo impatto ambientale).
  Quest'anno abbiamo ottenuto risultati importanti dal punto di vista metabolomico, ovviamente abbiamo investito risorse proprie, non abbiamo avuto contributi di nessun genere. Precedentemente ci siamo sempre soffermati a descrivere l'assenza di sintomi, il vigore delle piante, la ripresa vegetativa, la fioritura e la fruttificazione di queste piante, pur consapevoli che si trattava di piante infette. Io stessa ho fatto le analisi sierologiche, quindi ho potuto accertare che erano piante infette, però in seguito ai vari trattamenti hanno mostrato una vigoria, una ripresa vegetativa.
  Quest'anno abbiamo ottenuto dei risultati legati alla metabolomica, cioè abbiamo notato che le piante infette non trattate hanno prodotto un profilo metabolomico di un certo tipo. Gli altri 14 trattamenti (più che di prodotti parlerei di strategie, perché abbiamo migliorato l'intervento sperimentale) Pag. 12 hanno fatto sì che le piante producessero un profilo metabolomico completamente diverso rispetto alle piante non trattate.
  Dal punto di vista sierologico (ribadisco sierologico in quanto non ho ancora fatto le analisi molecolari del batterio) si tratta di piante tutte infette, che però in seguito ai trattamenti hanno diversificato la risposta ai vari trattamenti. Il passaggio successivo sarà valutare quali metaboliti abbiano prodotto queste piante, quindi il trattamento x la secrezione di quale metabolita abbia stimolato, e capire se questi metaboliti possano avere un'azione antagonistica o antimicrobica nei confronti del batterio.
  Se non avessero risposto, non avremmo ottenuto queste risposte metabolomiche, queste riprese vegetative, correlate ovviamente a una risposta metabolomica davvero molto interessante.
  Ho detto che non volevo prendere molto spazio, quindi concludo qui e rimango a disposizione per eventuali approfondimenti.

  MARGHERITA D'AMICO, responsabile scientifica del Progetto «Sistemi di lotta ecocompatibili contro il CoDiRO (SILECC)». Buongiorno a tutti, grazie per questa graditissima convocazione. Voglio fornire a questa Commissione il punto di vista di una biologa prima ancora che fitopatologa, e per poterlo fare devo descrivere la situazione che ho osservato in Salento a partire dal 2013. Innanzitutto sono osservazioni abbastanza comuni, ci sono delle eccezioni che riguardano oliveti condotti in maniera nella maggior parte dei casi biologica.
  Cosa ho osservato invece negli oliveti condotti in maniera integrata? Innanzitutto, come giustamente diceva il professor Nuti, il terreno è assolutamente importante, perché le radici dell'olivo si nutrono del terreno e quando questo è talmente compatto da poterci camminare tranquillamente con scarpe di suola e uscirne puliti significa che c'è un enorme ristagno idrico dovuto alle sempre più frequenti alluvioni che si verificano nella zona, e c'è un sicuro stato di asfissia radicale, perché il terreno è compatto. La radice si trova quindi in una situazione di sofferenza e di stress.
  Guardando alla diversità delle specie vegetali che si presentano negli oliveti salentini salta subito all'occhio ad un attento osservatore come le specie predominanti siano soprattutto quelle appartenenti al genere Conisa e Lolium. Queste due specie notoriamente sono resistenti al glifosato, questo è un dato di fatto che è possibile reperire su diversi siti, anche su quello del Gruppo italiano della resistenza erbicidi (GIRE), all'interno del quale è possibile selezionare le regioni, il sistema colturale e il tipo di inibizione.
  Il glifosato mette in atto l'inibizione di un enzima, EPSP sintasi, che è indispensabile per la sintesi di alcuni aminoacidi aromatici, e viene assorbito dalla foglia e traslocato all'interno delle radici. Più volte mi è stato fatto notare che il glifosato va dato sulla foglia, non sulla chioma dell'olivo, però poi veniamo a scoprire che, poiché purtroppo non c'è un'ottima informazione riguardo l'uso di questi presìdi, vengono consigliate miscele fatte di glifosato e un altro erbicida chiamato spollonante, che viene utilizzato per combinare le due azioni, cioè effettuare un diserbo e una spollonatura chimica. Mi chiedo quindi quanto di fatto il glifosato non sia entrato nelle radici dell'olivo e sarebbe utile una risposta a questo.
  Avvicinandosi alla pianta dell'olivo, a livello del piede, nel pedale e sulle radici principali che nella maggior parte dei casi sono affioranti, si nota un marciume molto esteso, che in qualche caso è stato possibile attribuire al marciume lanoso che, come i patologi sanno, è causato da rosellinea e in altri casi da altri funghi, insetti nematodi, anche questi rilevati su queste piante. C'è quindi non solo un marciume a livello del pedale, ma anche una compromissione della struttura e della stabilità della pianta, non in tutti, ma nella maggior parte dei casi.
  Proseguendo nell'osservazione della pianta verso l'alto, sul tronco e sulle branche principali sono evidenti delle enormi cavità procurate dalla carie del legno, causata da agenti di carie che sono anch'essi dei funghi, che all'interno di queste cavità causano un ristagno idrico dell'acqua piovana, dell'umidità, che quindi crea un ambiente Pag. 13 assolutamente favorevole alla continua proliferazione degli agenti di carie e anche un ricovero per diversi insetti, molti dei quali patogeni.
  Ci sono poi molti fori, molte gallerie, le più grosse delle quali causate dal rodilegno giallo, alcune sicuramente, vista l'enorme presenza, dal fleotribo. A parte causare un danno meccanico, queste gallerie sono la via d'ingresso preferenziale per funghi che viaggiano con il vento, con le piogge, attraverso gli insetti, e attraverso le loro spore colonizzano l'ambiente interno del ramo, della branca della pianta.
  Questo è confermato dalle sezioni trasversali delle branche principali, che presentano estesi imbrunimenti, che in molti casi si estendono all'intera circonferenza. Imbrunimento significa ostruzione del vaso, quindi che nel periodo in cui si è verificato l'imbrunimento la pianta non ha potuto usufruire di acqua e di elementi minerali, quindi è compromessa la funzionalità dello xilema, ma anche del floema.
  Vi è quindi una serie di situazioni (ne ho citate solo alcune) ed è possibile fare un quadro clinico di quello che sta accadendo non solo all'olivo, ma a diverse piante arboree del Salento. Questo quadro clinico mi ha permesso di ipotizzare una massiccia presenza, dal punto di vista sia di tipologia, sia di quantità, di diversi patogeni, molti dei quali dell'olivo.
  Ho sempre detto che l'oliveto salentino dovrebbe essere oggetto di studio per la patologia vegetale, perché presenta quasi tutti i patogeni che interessano questa coltura, quindi questa massiccia presenza di patogeni o parassiti cosa sta ad indicare dal punto di vista dell'ecosistema? Significa che c'è stata la rottura di un equilibrio, che ci sono pochi predatori, pochi nemici naturali, pochi antagonisti, perché probabilmente si è andata ad intaccare (il grado ancora non possiamo conoscerlo) la biodiversità tipica degli oliveti pugliesi.
  Intaccare la biodiversità significa causare inevitabilmente un abbassamento della resilienza di un ecosistema e anche di una pianta come l'olivo, che è una pianta plurisecolare che si è adattata ed evoluta insieme all'ambiente in cui ha vissuto, in stretta interazione con l'attività dell'uomo.
  Un'ultima considerazione che voglio fare da biologa è che certamente in Salento siamo in presenza di un'emergenza, ma sarei cauta nell'imputare questa emergenza ad un patogeno piuttosto che ad un altro, parlerei di un'emergenza ambientale che va assolutamente approfondita per poter stabilire quali sono le strategie migliori da mettere in campo per migliorare l'ambiente in cui l'olivo in questo momento si trova.
  Un patologo sa quanto è importante l'ambiente nello sviluppare una malattia e, oltre al fatto che sono importanti la virulenza del patogeno e la suscettibilità dell'ospite, ci deve essere un ambiente assolutamente favorevole al patogeno e sfavorevole all'ospite per avere lo sviluppo di una malattia grave come quella dell'olivo nel Salento. Grazie.

  MARGHERITA CIERVO, docente presso l'Università di Foggia. Buongiorno e grazie per la convocazione che mi dà la possibilità di contribuire alla riflessione generale con un altro punto di vista, che è quello di una geografa studiosa del territorio, che quindi guarda ai fenomeni con un approccio sistemico.
  È in quest'ottica che mi sono approcciata nell'analizzare e valutare le misure predisposte, che, al di là della motivazione per cui sono state attuate, quindi la lotta al patogeno, al batterio, coinvolgono decisamente tutto il territorio, anzi producono effetti irreversibili al paesaggio e impatti significativi all'ecosistema con particolare riferimento al suolo, alla biodiversità, alla qualità delle acque, ma anche all'economia locale, oltre che alla salute ma per ovvie ragioni non tratterò di quest'aspetto. Effetti che diventano tanto più significativi, almeno in termini potenziali, durante lo stato di emergenza per ovvie ragioni, vista la possibilità di derogare alla legge ordinaria e che, da quanto risulta, è la prima volta in Italia che è stato concesso per ragioni fitopatologiche.
  Quindi, per le ragioni cui ho appena accennato, queste misure avrebbero forse richiesto un tipo di approccio integrato, Pag. 14olistico, multidisciplinare, che tenesse in considerazione questi vari aspetti. Peraltro, sono state prese in presenza di una mancanza di esperienze di successo, per esempio a proposito dell'eradicazione, come attestato dalla stessa EFSA nel 2013 e poi successivamente, così come in presenza dell'attestata inefficacia dell'uso di pesticidi per il controllo del vettore, ovviamente una volta che il patogeno è stato insediato, e con la certezza della dannosità di tale misura per l'ambiente, in particolare con riferimento all'alterazione della catena alimentare e dei danni alla salute dell'uomo e dell'animale, come riconosciuto e attestato ancora una volta dall'EFSA.
  In ogni caso, queste misure, che per la prima volta troviamo nella delibera 2023/2013 della regione Puglia, sono state poi riprese in vari provvedimenti di tipo governativo nonché europeo sulla base di quelle che, perlomeno apparentemente, sembrano delle incongruenze. Mi spiego, anzi cito semplicemente, dato il tempo a disposizione, due casi emblematici.
  Mentre a marzo 2015 il commissario straordinario, almeno per quanto si apprende da varia stampa, dichiarava e comunicava al prefetto un milione di piante infette, ecco che invece a giugno il ministero rendeva noti altri dati, e precisamente, sulla base di quasi 27.000 campionamenti, 612 erano i casi infetti. Nel 2018, accade qualcosa di analogo: mentre alcune associazioni di categoria dichiarano sui loro siti e alla stampa 10 milioni di piante infette, ecco che i dati della regione Puglia dicono qualcosa di molto diverso e, tanto per dare dei riferimenti, al 23 marzo 2018, su quasi 170.000 campioni analizzati, le piante infette erano 3.058, cioè circa l'1,8 per cento, tant'è che la regione Puglia per mezzo del suo assessore ha fatto un comunicato stampa nel quale dice che non c'è nessun boom, che anzi la percentuale è regredita rispetto ai risultati ottenuti fino al 31 dicembre 2017.
  Ancora, per richiamare alcuni aspetti importanti che non hanno impedito né le misure né hanno evidentemente richiesto ulteriori approfondimenti, queste misure sono state adottate nonostante le evidenze emerse nel frattempo dai monitoraggi, ma anche dalle ricerche scientifiche. Mi riferisco, ad esempio, a casi di disseccamento nei quali non era stato rinvenuto il batterio e viceversa.
  Ancora, è stato qui richiamato in maniera specifica il ruolo di altri patogeni, dei fattori agronomici e delle condizioni ambientali, in particolare lo stato di salute dei suoli, sui quali mi riservo di portare alla vostra attenzione soltanto dei dati.
  Per ultimo, ci sono le sperimentazioni scientifiche ed empiriche di successo, perché mostrano, dati alla mano, una ripresa anche in termini produttivi delle piante.
  Con riferimento ai dati sul suolo, richiamo brevemente, prima di entrare nel vivo dell'osservazione, che in letteratura scientifica è ormai stabilita la correlazione tra povertà del suolo trattato con prodotti chimici, maggiore vulnerabilità delle piante e patogeni, con specifico riferimento agli erbicidi e, in uno studio condotto negli Stati Uniti, anche con riferimento specificatamente al batterio in questione, ovvero la Xylella Fastidiosa.
  D'altro canto, si sono già rilevate, in questo caso con riferimento ai disseccamenti, delle forme di disseccamento nel 1974 proprio nell'agro di Gallipoli, attribuite all'utilizzo di un erbicida utilizzato appunto in una quantità cospicua, 4,5 chilogrammi per ettaro. Questo dice la pubblicazione scientifica a firma di Luisi e De Cicco.
  Osservando semplicemente i dati della distribuzione dei fitofarmaci raccolti dall'ISTAT dal 2003 in poi, si nota, con particolare riferimento alla classe degli erbicidi, un utilizzo inatteso per la provincia di Lecce, su dati assoluti, e anche per la provincia di Brindisi, sui dati relativi. Mi spiego meglio.
  Quella di Lecce risulta, tra il 2003 e il 2008, la prima provincia per utilizzo di questa classe, quindi di erbicidi, nonostante abbia una superficie agricola che è poco più della metà di quella di Bari e circa un quarto di quella di Foggia, nonostante la SAU si presenti frazionata. Stiamo parlando di appezzamenti molto piccoli che nella zona focolaio hanno una media, a Pag. 15seconda dei comuni, che va da 1 a 2 ettari. Non siamo, quindi, in presenza delle monocolture presenti per l'appunto a Foggia, in particolare nel Tavoliere, né dell'intensivo molto diffuso a Bari, che per definizione fanno maggiore uso di tali prodotti.
  Allo stato attuale – avevo portato del materiale che non posso proiettare per il ritardo di cui mi scuso; certamente vi lascerò tutto – è evidente questo dato di fatto, che ovviamente pone un interrogativo, associato alla resistenza agli erbicidi già richiamata dalla dottoressa D'Amico.
  Questi elementi, penso, meriterebbero di essere approfonditi con riferimento sia al fenomeno del disseccamento nel suo complesso, ma anche ovviamente con riferimento alla diffusione del batterio Xylella Fastidiosa nello specifico. Grazie.

  PRESIDENTE. Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni. Chiedo velocità nelle domande, in modo da dare il tempo per le risposte.

  LUCIANO CILLIS. Professor Xyloyannis, le domande che le vorrei rivolgere riguardano la diffusione del batterio. La gestione necessaria fatta con le migliori pratiche agronomiche e l'arricchimento dei terreni con sostanze organiche e tutte le best practice che ha ottimamente descritto e di cui va fatto assolutamente tesoro, possono bloccare la diffusione del batterio anche in aree come quella lucana, campana o quella stessa pugliese a nord della fascia protetta?
  Come consiglia di contenere il batterio nelle sedi già compromesse da tali batteri?
  In ultimo, le piante risultate infette da Xylella e sottoposte alle potature di cui ci ha esposto la rigenerazione sopravvivono, per quanto tempo e quali evidenze scientifiche ci sono a supporto della tesi? Grazie.

  GIUSEPPE L'ABBATE. Anch'io avrei una domanda per il professor Xyloyannis. Ha parlato del problema della sostanza organica nella zona del Salento e con i suoli di tutta Italia e un po’ di tutta Europa, ma considerata la velocità di avanzamento della malattia, ci sono evidenze scientifiche che anche nella Valle d'Itria il contenuto della sostanza organica nel terreno è tanto basso da determinare l'insediamento della malattia?
  Al professor Nigro vorrei chiedere se ci sono possibilità di controllo biologico della malattia e, dato che se ne parla da sempre, qual è l'effetto del glifosato sulla malattia e sui microrganismi del terreno.
  Al professor Nuti vorrei chiedere qualcosa in merito all'audizione del professor Giovannetti che si è svolta la settimana scorsa.
  Lui ci ha rilasciato una relazione, che io ho letto, ma forse sarà sfuggito a me, quindi chiedo chiarimenti a lei, che ne ha parlato, e credo sia a conoscenza o forse avrà collaborato: le piante trattate sono state sottoposte a un accertamento diagnostico per verificare l'infezione da Xylella Fastidiosa? Quali tipi di esami sono stati fatti, biologico o molecolare?
  Poi vorrei da tutti tre risposte secche: inoculare il batterio Xylella Fastidiosa in una pianta sana porta alla morte della pianta? Gli espiantati nella zona della fascia di contenimento, nella fascia cuscinetto, sono necessari per limitare l'avanzamento della malattia? Gli interventi agronomici e anche con alcuni fitofarmaci, eventualmente, in zone in cui non si può intervenire meccanicamente, per controllare il numero di vettori è necessario, sempre nella zona di contenimento, per cercare di rallentare l'avanzata della malattia? Grazie.

  MARIA CHIARA GADDA. Vi ringrazio. Innanzitutto, desidero ricordare a me stessa e a questa Commissione che non spetta a noi intervenire nel dibattito della comunità scientifica. Questa è una Commissione parlamentare, ognuno ha i suoi ruoli. Spetta soprattutto al decisore politico fare una valutazione sulla base non tanto del dibattito scientifico, che è molto articolato e molto diverso – l'abbiamo visto anche questa mattina – ma soprattutto capire quali e quante ricerche hanno un'evidenza scientifica, e l'evidenza scientifica si rileva anche dalla qualità delle pubblicazioni e dal riscontro Pag. 16 che queste pubblicazioni hanno avuto anche sulla base dei risultati.
  La prima domanda che mi sorge spontanea è, appunto, questa. Ribadisco che non vorrei nemmeno entrare nel dettaglio di domande tecniche, pur avendone molta curiosità, perché non spetta a noi capire quali trattamenti, quali interventi, ma alla comunità scientifica e al rilievo che queste pubblicazioni danno.
  Temo, però, di non aver compreso alcuni passaggi. Li esemplifico con alcune forse banali domande. A voi risulta che all'interno delle aree nelle zone cuscinetto o nei focolai in cui purtroppo questo fenomeno è intervenuto, ad esempio all'interno di aziende che praticano agricoltura biologica, non ci siano casi di attacco da Xylella? Soprattutto, vi risulta che aziende di questo tipo non abbiano chiesto danni? Questo è un elemento importante. Oggi, dalle osservazioni che ho brevemente ascoltato, che non danno assolutamente rilievo della qualità delle vostre ricerche, che sicuramente durano da molto tempo, banalizzando mi chiedo se produzioni di quel tipo abbiano avuto o meno lo stesso impatto, lo stesso effetto di produzioni con metodo tradizionale.
  Allo stesso tempo, vorrei capire dal punto di vista quantitativo e qualitativo se esistono terreni dove sono state rinvenute quantità importanti di sostanza organica che mostrano un comportamento diverso della pianta ai disseccamenti. Noi dobbiamo capire l'evidenza di questi fenomeni.
  Inoltre, vi risulta, ad esempio, che la pratica di potatura drastica abbia in alcuni casi peggiorato lo stato degli alberi infetti? Questo è un altro elemento.
  Non ho ben compreso l'ultimo intervento. Probabilmente, ho sentito male, perché l'audio questa mattina non è adeguato. Lei ha parlato di insuccesso nell'eradicazione: questo significa una contrarietà all'eradicazione o significa, d'altro lato, che l'eradicazione non è stata repentina, che non è intervenuta nelle fasi iniziali? Sono due concetti radicalmente diversi.
  Detto questo, ritengo anch'io, come è stato detto questa mattina, che il ruolo della ricerca, il miglioramento genetico e tutti quegli interventi che possono migliorare la qualità ambientale dei terreni non valgano soltanto per la Puglia, ma per tutto il territorio italiano.
  Mi devo chiedere, però, come legislatore politico, siccome siamo in questa Commissione a dover valutare quella che io personalmente ritengo un'emergenza che riguarda un danno non soltanto per le regioni interessate, ma per l'intero territorio italiano dal punto di vista colturale ed economico, quali sono gli interventi che oggi hanno un'evidenza scientifica e che ci consentono di arrestare il fenomeno. La ricerca, purtroppo, ha spesso tempi molto diversi dalla contingenza.
  Da audizioni precedenti abbiamo ascoltato e abbiamo compreso che dai primi focolai l'area si è notevolmente ampliata. A noi in questa fase non spetta entrare nel merito delle osservazioni che abbiamo ascoltato questa mattina, ma capire che cosa deve essere oggettivamente fatto.
  L'ultima domanda è per tutti. Si è sentito parlare – mi scuso se la pronuncia magari non è corretta – del progetto Epizixy: che cosa ne pensate, che valutazione avete di questo progetto? Grazie.

  SARA CUNIAL. Grazie agli auditi. Vorrei fare tre domande velocissime.
  Professor Nigro, nel dicembre del 2017 al Forum di medicina vegetale lei ha segnalato la presenza su alcune cultivar di Arbequina, che è stato anche precedentemente nominato, in oliveti intensivi di Adria e di Barletta. Questo prototipo in Spagna sta rendendo molto difficile la vita dei coltivatori, e soprattutto delle giovani piante di olivo. In vista dell'impianto di Leccino e di Favolosa, che sono stati fortemente consigliati anche da lei, come si comportano queste due cultivar a eventuali attacchi di questo patogeno?
  Dottoressa Ciervo, ci può prospettare i possibili scenari legati all'abbattimento su vasta scala delle piante di olivo secolari, ma anche, sempre sul piano economico, legati all'imposizione dell'uso massiccio e diffuso degli insetticidi presenti nel decreto Martina?
  A tutti vorrei poi ricordare che anche in questa sede, durante le audizioni, è stato Pag. 17rilevato che sostanzialmente il batterio di Xylella, così come confermato alla Conferenza europea sulla Xylella Fastidiosa a Palma di Maiorca lo scorso novembre, sarebbe presente nel nostro territorio da almeno vent'anni. Vorrei capire quali secondo voi possono essere eventuali strategie da mettere in atto nel comparto agricolo per prevenire che si verifichino situazioni analoghe anche con altri patogeni, che magari sono già presenti, così come anche la Xylella, che si è fatta vedere solo ora. Grazie.

  SUSANNA CENNI. Ho una brevissima domanda, ovviamente ringraziando tutti gli auditi che abbiamo sentito anche questa mattina.
  Ho trovato molto interessanti alcune cose che ci sono state dette. Sicuramente, credo che sia indispensabile avere un approccio complessivo a questa situazione. Voi ci confermate quanto il ruolo della ricerca sia fondamentale per giungere quantomeno ad arginare questo disastro che ha riguardato una parte importante della nostra produzione olivicola.
  Mi chiedo in quale luogo, in quale sede possa avvenire un coordinamento e un confronto molto largo delle varie tesi anche di carattere scientifico che abbiamo ascoltato. Probabilmente, non potremo sciogliere noi questo nodo.
  Ho trovato particolarmente interessante l'appello che da molti di voi è emerso sulla necessità di non abbandonare definitivamente le aree infette, anzi di ragionare su come si può anche forse tornare a coltivare in quelle aree.
  Detto ciò, faccio una domanda a chi di voi vorrà rispondere. Vorrei anche una vostra valutazione di questa natura, ovviamente sulla base delle vostre conoscenze e dei vostri approfondimenti scientifici: quali ritenete siano state le misure più utili adottate sino a oggi e quali ritenete siano state le misure meno utili, o quantomeno più inefficaci, adottate sino a oggi per arginare la Xylella?

  GIANPAOLO CASSESE. Buongiorno a tutti. Ringrazio gli auditi. Non ripeterò, ovviamente, le domande dei colleghi. Magari, entro nello specifico solo di uno degli interventi ascoltati.
  Vorrei chiedere alla dottoressa D'Amico, a proposito del progetto di cui è responsabile, qual è la condizione a oggi delle piante; se sono state fatte analisi per quantificare il batterio nelle piante trattate e in quelle non trattate; qual è la concentrazione del batterio. Grazie.

  LORENZO VIVIANI. Limitando il mio intervento a ringraziare la presenza degli auditi, vorrei comunque porre un dubbio che mi è sorto durante questo ciclo di audizioni in cui abbiamo ascoltato agricoltori e associazioni di categoria, ma anche enti di ricerca e varie università.
  Conoscendo anche un po’ il mondo scientifico, secondo voi gli sforzi sono stati coordinati in maniera giusta? Abbiamo audito varie università e vari enti di ricerca. Vi dico la verità, ora non mi ricordo neanche quante sigle in effetti abbiamo audito. Quello che vi chiedo è se ci sia stato un coordinamento nel mondo della ricerca per unire gli sforzi e cercare comunque, anche magari nel solito campo, di vedere i vari aspetti e concentrare gli studi o se ci sia stata anche un po’ una dispersione delle informazioni. Grazie.

  PRESIDENTE. Do ora la parola agli auditi per la replica, magari nell'ordine in cui siete intervenuti. Se è necessario per la vostra risposta allegare del materiale, ce lo fate pervenire e lo distribuiremo ai colleghi della Commissione. Chiedo la massima sintesi possibile.

  CRISTOS XYLOYANNIS, docente di Fisiologia delle specie da frutto, frutticoltura generale e tecniche vivaistiche presso l'Università della Basilicata. Nella mia esposizione ho cercato di portare alla vostra conoscenza i risultati della nostra esperienza negli ultimi anni sull'olivo, esperienza più che ventennale non in Puglia con la Xylella, ma in Basilicata e in Toscana. Per quanto riguarda la Xylella, abbiamo iniziato da un anno e mezzo, con i progetti finanziati dalla regione Puglia. Pag. 18
  Il nostro obiettivo principale era quello di cercare di vedere se ci fosse la possibilità di convivere, non di eradicare, ma di convivere con il batterio. È da un anno e mezzo che siamo intervenuti su cinque aziende con due progetti, non soltanto facendo le potature illustrate, gli interventi sul terreno, una concimazione guidata per ripristinare anche la fertilità chimica dei suoli, ma anche attraverso incontri con gli agricoltori.
  Una cosa fondamentale in quest'emergenza è stata la possibilità per gli agricoltori di incontrare ricercatori e tecnici e di sentire la loro opinione. Gli agricoltori, e gli olivicoltori in particolare, sono stati abbandonati non soltanto dal punto di vista dell'assistenza tecnica. Bastano – ho estratto i dati – quelli che sono stati gli incentivi a livello europeo, che hanno penalizzato l'agricoltura e l'olivicoltura italiana, che è multifunzionale, dando gli incentivi in relazione alla produzione per ettaro, senza guardare agli altri ruoli fondamentali che svolge l'olivicoltura italiana, salentina in particolare, penalizzata doppiamente.
  Per quanto riguarda la diffusione del batterio, se possa arrivare al nord di Bari o in Basilicata e così via, anch'io mi sto ponendo questa domanda e guardo gli entomologi e i patologi. Basta tagliare gli alberi per contrastare, bloccare il batterio? Non parlo soltanto degli alberi di ulivo, attenzione, ma di tutti gli alberi, nella fascia del cuscinetto. Basta creare quello che abbiamo visto insieme, il deserto, per cercare di essere sicuri al 100 per cento che non ci sarà più la fonte del batterio?
  La domanda che mi pongo è questa: negli ultimi quindici anni, vent'anni, quanti milioni di piante sono stati importati dall'America centrale attraverso l'Olanda e dove sono state vendute queste piante distribuite in Europa, piante sintomatiche e asintomatiche per quanto riguarda la Xylella? Qualcuno ha fatto quest'indagine? E, se ci sono queste piante dappertutto, non mi basta tagliare gli ulivi e gli altri nella fascia di cuscinetto, perché avrò focolai tra un anno, due anni, altrove. Escono continuamente in Spagna, Francia e in altri Paesi.
  Questa è la domanda che mi preoccupa molto. Possiamo concordare insieme di usare certe metodologie e certe tecniche per contrastare, agronomiche e non agronomiche, ma poi esce il focolaio e non è dovuto al vettore.
  Quanto alla sostanza organica e ai consorzi e alle aziende biologiche all'interno della zona infetta, quando c'è una carica batterica così elevata, il sistema stesso non può bloccare la trasmissione del batterio all'oliveto accanto, anche se è biologico. Abbiamo visto che il batterio c'è, ma con le buone pratiche agricole e ripristinando la sostanza organica con le potature si può convivere e portare le piante anche in produzione. Abbiamo il progetto per un altro anno e mezzo. Abbiamo visto che quest'anno le piante producono, cioè si può convivere, come abbiamo visto in altri casi. Sono state tagliate diverse piante, ma si convive con il fuoco batterico. Analogamente per il discorso della batteriosi del kiwi- l'80-85 per cento degli impianti oggi in Italia- ma in Nuova Zelanda hanno il batterio dentro e sono produttivi grazie agli interventi di buone pratiche agricole.
  È tutto l'insieme. Non dico che riusciremo a eradicare, a eliminare il batterio, ma cercheremo di convivere come abbiamo fatto finora, però passando a una cultura diversa, cercando di trasferire la cultura agli agricoltori e ai tecnici, e anche a certi docenti e ricercatori, una cultura diversa sull'uso delle risorse nel settore agricolo.

  MARCO NUTI, docente presso le Università di Padova e di Pisa. A me sembra che qui l'imputato mal si identifichi con la Xylella. Qui l'imputato è una cosa forse un po’ più grande della Xylella. È il sistema di gestione agronomica, che implica che rivediamo alcuni parametri, ma li rivediamo davvero.
  Sono andato in visita nel sud, verso il leccese: avete presente dove crescono gli olivi? Avete presente che cosa c'è tra olivo e olivo? C'è da spaventarsi. Non c'è niente. Certo, l'uso di glifosato garantisce tante cose, su questo non c'è dubbio, ma pongo la domanda: è quello il sistema di gestione agronomica o forse dovremmo ripensarlo? Come olivicoltore, quando ho perso, nella Pag. 19gelata del 1986, 2.500 olivi, non sono andato lì con il glifosato per cercare di fare uno spicinìo; ho dato più sostanza organica, non meno.
  Quanto all'Andalusia, avete visto tra Siviglia e Jaén dove sono gli oliveti? Lì danno di matto in questo momento, perché è rimasto lo scheletro, non c'è più nulla. Questo comporta inesorabilmente un aumento della fertilizzazione chimica, la quale ha un effetto perverso, perché stimola il metabolismo del suolo, che però è sorretto – i microbi sono organotrofi – dai microrganismi, che non ci sono perché non c'è sostanza organica, quindi si peggiora ancora la situazione.
  Ripeto che mi piacerebbe che la discussione, focalizzata giustamente sul fatto emergenziale della Xylella, non facesse però perdere di vista che l'obiettivo non è soltanto la Xylella, ma è qualcosa di un po’ più importante, perché implica la perdita di resilienza delle piante, incluso l'olivo. Certo, se arriva un patogeno e trova una pianta debole e acciaccata, che cosa deve fare? Fa il suo lavoro. Non è una sorpresa che le piante poi vadano a carte quarantotto, assolutamente. È quello che deve accadere, e che accadrà sempre di più se si continua in questa maniera.
  L'uso dei pesticidi non va demonizzato, ma vanno utilizzati nella giusta maniera, tenendo presente che esiste il regolamento europeo 1107/2009, che implica la valutazione comparativa tra sostanze che hanno simile attività, ma con in favore la scelta di quelle che hanno meno impatto ambientale. Siccome è una catena, da qualche parte bisogna partire, non tenendo presente solo una componente, ma insieme anche quelle altre.

  FRANCO NIGRO, docente presso l'Università di Bari. Relativamente alla possibilità di controllo biologico, distinguerei il controllo biologico della malattia nella pianta e il controllo biologico del vettore. Probabilmente, parliamo di due orizzonti diversi, almeno in termini di utilità che ne possiamo trarre immediatamente per la gestione dell'emergenza.
  Per quanto riguarda il controllo biologico della malattia nella pianta, ho perso questi ultimi quattro anni, letteralmente persi, perché, come diceva il professor Stefani, abbiamo saggiato un po’ di endofiti, ottenuti dalla caratterizzazione della popolazione microbica presente nello xilema, bacillus subtilis, bacillus licheniformis, che sono stati somministrati per endoterapia all'interno dello xilema per vedere l'effetto che fa.
  Bene, ci sono stati risultati bellissimi, dopo sei mesi, con una riduzione della quantità di malattia e della carica di inoculo del batterio determinata per PCR quantitativo intorno al 45-50 per cento, però dopo un anno e mezzo tanto nelle piante non trattate quanto nelle piante trattate.
  Un esperimento può essere tecnicamente perfetto e riuscito, ma se alla fine della fiera mi dà una riduzione del 10 per cento di quantità di malattia rispetto al non trattato, io non ho un prodotto che posso portare in campo e dire all'agricoltore «fa’ così, perché otterrai una riduzione». Per quanto riguarda il controllo biologico della malattia, probabilmente gli orizzonti sono un po’ più lunghi e non ci troviamo d'accordo con le esigenze che diceva la collega di dover subito entrare in azione. È qualcosa che dobbiamo seguire, ma probabilmente più a lunga scadenza. Forse, per l'insetto la cosa è diversa.
  Quanto all'effetto del glifosato sui microbi del terreno, rifiuto quest'idea che il Salento sia la discarica del glifosato. Non so il professor Nuti che cosa abbia visto, ma posso garantire che nel Salento l'attuazione delle pratiche, delle buone pratiche, compreso il razionale utilizzo dei fitofarmaci, è cosa molto comune. Il Salento non è il far west.
  Sarei pure molto onorato di vedere i dati reali nella commercializzazione di questi agrofarmaci, magari forniti da Agrofarma, e non tanto addizionati di passaggio in passaggio che fanno sì che poi nella provincia di Lecce ci si ritrovi con quantità spropositate, altrimenti mi chiederei come mai anche nella zona del nord brindisino, dove la Xylella sta facendo sfracelli attualmente non ci sia un'utilizzazione, stando ai dati, stando ai numeri, di questi prodotti. Pag. 20
  Sul glifosato la letteratura ha dei dati contrastanti. In relazione alle quantità utilizzate, l'effetto sulla popolazione microbica del terreno può essere completamente negativo o, in qualche caso, addirittura nullo, non c'è assolutamente effetto.
  I chimici mi insegnano, e credo che qua dentro ci sia qualche chimico, che la struttura del glifosato assomiglia a quella di un amminoacido in qualche misura, quindi probabilmente le dosi utilizzate fanno la differenza. Non è acqua fresca. È un fitofarmaco e, come tutti i fitofarmaci, deve essere utilizzato con criterio, diverso dal 2,4-D, diverso dal pirimetanil, che veniva utilizzato per fare i trattamenti lungo le rotaie e che causava quei danni a cui la dottoressa Ciervo faceva riferimento, che sono stati ormai banditi e non possono più essere utilizzati in agricoltura. Io ho lavorato due anni – sono dati in pubblicazione – sull'effetto del glifosato sulla popolazione microbica del terreno dello xilema, e non ci sono queste differenze tremende. Certo, c'è un effetto, c'è una riduzione, o tutt'al più la neutralità. Non c'è un aumento. Questo è chiaro.
  A inoculare Xylella Fastidiosa, una pianta muore? Sì. Con l'inoculazione artificiale, le piante inoculate con Xylella muoiono dopo un periodo di tempo variabile dai 12 ai 18 mesi. Parlo di piantine di un anno in serra idonea per il contenimento della quarantena. In pieno campo, probabilmente i tempi di incubazione sono diversi.
  Gli espiantati sono necessari? Rispondo in modo secco: alla luce delle attuali conoscenze, non essendoci dati scientifici dimostrati che riguardano l'effetto di possibili altri fattori nello sviluppo della malattia, a oggi ritengo che espianti chirurgici siano necessari per convivere con la malattia; se non un intervento di questo tipo, cosa? Diversamente, significa: lasciamo tutto come sta, aspettiamo che arrivi anche nella conca dell'olivicoltura barese.
  Ci sono degli interventi agronomici? Sì, e qui giustamente possiamo trovare delle sinergie importanti. La gestione delle infestanti è forse una delle migliori iniziative applicate e messe in atto dalla regione Puglia per quanto riguarda sia la zona infetta sia la zona di contenimento e tutte le altre zone.
  Io, però, ritengo che sia anche importante associare l'uso di agrofarmaci, che siano biologici o convenzionali. Questo dipende da quello che abbiamo. Dico soltanto una cosa: i tempi per avere disponibile uno di questi prodotti sono geologici. Noi abbiamo il problema hic et nunc, adesso abbiamo il problema, e quindi adesso bisogna prendere delle decisioni e fare qualcosa per bloccare la malattia.
  Quanto a un uso ragionato degli agrofarmaci, ha ragione il professor Xyloyannis, probabilmente è mancato un elemento di contatto tra gli agricoltori, la ricerca e la tecnica, e per questo stiamo cercando di costruire con l'Ordine degli agronomi della Puglia una sorta di sistema olivo, in cui riusciamo un po’ a comunicare di più, a mettere in rete le nostre informazioni.
  A me risultano aziende in biologico nella provincia di Lecce che sono state completamente distrutte dalla Xylella. In tutta la superficie del comune di Caprarica di Lecce le aziende biologiche nella quasi totalità risultano completamente distrutte. Paradossalmente, da patologo vegetale, dico che una pianta rigogliosa, ricca, e qui mi potrà suffragare o meno l'entomologo, in cui le cime sono estremamente tenere, è sicuramente più appetita per la sputacchina rispetto a una pianta un po’ più debilitata, per cui è più difficile riuscire a succhiare la linfa.
  La potatura drastica ha un effetto deleterio. Da patologo vegetale, per analogia con tante altre malattie sistemiche, dico che, quando la malattia è sistemica e noi spingiamo la pianta a vegetare con tagli drastici, automaticamente il patogeno sarà portato a conquistare e a colonizzare meglio la pianta, che quindi finirà per collassare.
  Gli interventi leggeri di potatura, compatibilmente con il costo per un'azienda che deve stare in piedi, sono ottimi, tant'è vero che in Brasile l'hanno utilizzato come un criterio di intervento. Attenzione, però, gli agrumi sono una cosa, l'olivo è un'altra cosa. Ho qualche dubbio che, da un punto di vista tecnico, un agricoltore che ha una Pag. 21pianta monumentale in provincia di Brindisi, Bari o Lecce, possa fare questi interventi ogni tre o quattro mesi, perché i costi sarebbero letteralmente proibitivi.
  Quanto all'insuccesso dell'eradicazione, rispondo con un'altra domanda: perché è stato applicato da qualche parte in modo integrale il concetto dell'eradicazione in Puglia? A me non risulta che ci siano elementi tali per poter dire che l'eradicazione non funziona con la Xylella. Tranne che per qualche situazione in cui sono state tolte esclusivamente le piante infette, il concetto di eradicazione non è stato applicato né all'inizio né tanto meno nelle fasi successive. A oggi, quindi, non abbiamo elementi per dire che l'eradicazione funziona o non funziona.
  L'Epizixy è un progetto che ha consentito di fare luce sulla quantità di ospiti, sulla gamma di ospiti della Xylella. È un progetto che ha consentito di trovare sistemi di campionamento del vettore che hanno fatto piena luce sul comportamento di Philaenus spumarius. È un progetto che ha consentito di escludere, tra le possibili concause della malattia, i funghi, e su questo concedetemi soltanto due minuti.
  Il problema dei funghi è stato all'inizio anche molto dibattuto. Tutti gli agenti precursori di carie, da Pleurostomophora ad Acremonium e così via, sono presenti tanto nel Salento quanto nel nord della Puglia. Epizixy ha consentito di ottenere questi risultati. Non essendoci questa differenza di incidenza, non possiamo dire che hanno un ruolo nella malattia.
  Defogliante? Non defogliante? Sì, questo è un problema, e qui torniamo a bomba sulla necessità di potenziare i servizi fitosanitari, perché per tutte le piantine che vengono importate in Italia, siccome siamo in un mercato comune ed è evidente che ci fidiamo tutti del sistema di certificazione denominato CAC, e siccome gli amici spagnoli applicano un sistema di certificazione CAC, è fuor di dubbio che non possiamo metterci a cercare il pelo nell'uovo. Probabilmente, però, un po’ di controllo in più sarebbe necessario perché il patotipo defogliante ritrovato per adesso esclusivamente nella zona di Barletta e Andria rimanga confinato.
  Sulla presenza della malattia da vent'anni ho qualche dubbio, non fosse altro perché, almeno in termini di presenza di sintomi, Google Street View ci dà la possibilità di andare indietro nel tempo di parecchi anni, e non mi risulta che vent'anni fa, o più semplicemente quindici anni fa, ci fossero sintomi così evidenti della malattia. Probabilmente, era presente in forma silente. Oltretutto, non tutte le specie ospiti del batterio manifestano una sintomatologia così grave e distruttiva come quella che stiamo vedendo sull'olivo.
  Non sarebbe un deserto, professor Xyloyannis, perché il ciliegio e il mandorlo sono infetti, ma non mostrano una gravità della malattia così elevata come quella che vediamo sull'olivo. Probabilmente, quest'approccio chirurgico può essere più funzionale che un approccio invece sistemico. Almeno, mi riferisco alle zone di contenimento.
  All'ultima domanda non possono non rispondere, relativamente al coordinamento tra gli sforzi della ricerca.
  In Italia stiamo vivendo su questa vicenda forse una discrasia. Da un lato, abbiamo un sistema, il nostro ministero, il sistema della ricerca, che spinge per la valutazione della qualità della ricerca, per la ricerca competitiva, per una serie di attività, e quindi evidentemente impone determinate categorie quando si fa ricerca.
  Non mi pare che nel caso della Xylella non ci sia stato coordinamento, se è vero, come è vero, che adesso sono oltre trenta i gruppi che in due progetti di ricerca internazionali collaborano per risolvere, o comunque per avere informazioni su questo. E nella fase iniziale della malattia tutti hanno avuto modo di accedere alle aree, di presentare progetti di ricerca e di fare le loro osservazioni. Nessuno ha impedito niente a nessuno, ma quello è un patogeno da quarantena e bisogna rispettare le regole della quarantena in quanto a movimentazione del materiale.
  Il coordinamento della ricerca che è stato fatto a proposto della Xylella è un risultato fantastico, altrimenti non avremmo Pag. 22avuto la possibilità di avere nelle mani due progetti di ricerca internazionali, che sono l'orgoglio della ricerca italiana.

  PRESIDENTE. Alle 14 devo chiudere, quindi cercate di essere sintetici.

  EMILIO STEFANI, rappresentante per l'Italia al Panel EPPO. Dirò solamente due cose molto veloci, perché hanno detto già i colleghi tantissime verità.
  La prima questione è: da quanti anni la Xylella è presente da noi o in Europa? Ero in Francia oltre dieci anni fa quando furono ritrovate delle piante sintomatiche di caffè che mi fecero vedere – ero delegato EPPO – e si sospettava già che anni addietro la Xylella fosse stata trovata in Francia. Delle analisi erano state fatte, ma poi tutto è morto lì.
  Iniziative prese in quegli anni? Nessuna a livello comunitario, ma anche a livello nazionale. Fu trattato, questo caso, come una curiosità. Erano tre piante di caffè che venivano, credo, dal El Salvador o dal Costa Rica, dall'America Centrale.
  Da quanti anni la Xylella può essere presente in Puglia? Certamente, non dal 2013. Un'amico, il dottor Boscia, quando andammo in ispezione per ordine dell'EPPO, mi fece vedere diversi uliveti, e certamente quegli uliveti nel 2014, a gennaio, erano in una situazione tale per cui, da batteriologo ormai da trent'anni, posso dire che lì il patogeno c'era da qualche anno in più che non dall'anno precedente.
  Quanto al coordinamento nella ricerca, io non sono coinvolto attualmente in ricerche legate alla Xylella, legate alla Puglia. Quello che posso rilevare, sempre come rappresentante EPPO, è che forse nella fase iniziale è mancato il coordinamento con il servizio fitosanitario regionale. Non ho dettagli particolari, ma certamente quando si sospetta qualcosa di legato alle normative di quarantena molto chiara, il primo atto dovrebbe essere quello di cercare di informare, collaborare con il servizio sanitario, con gli ispettori, di capire se effettivamente l'ipotesi è vera. Questa è la mia sensazione.
  Un'altra questione riguarda le analisi fatte sulle piante. Pianta positiva, pianta negativa: ricordiamo che il campione molto spesso non è rappresentativo dell'intera pianta. Noi raccogliamo qualche foglio, qualche germoglio e pretendiamo poi di capire se la pianta sia infetta o meno. A volte, ci riusciamo. A volte, non ci riusciamo, perché il patogeno non ha una distribuzione uniforme nella pianta. Può essere presente su un ramo, su un altro. Dipende da dove la nostra sputacchina o altri vettori lo hanno posto. A volte, quindi, la pianta mostra un'infezione latente, è sana, però è positiva. Altre volte, notiamo magari qualche disseccamento, poi stranamente all'analisi risulta negativo. La Xylella, purtroppo, come tanti altri batteri, è fatta così.
  Sull'eradicazione ho un solo commento: la normativa fitosanitaria europea e i decreti legislativi italiani ci impongono di agire, quindi dobbiamo pensare a eradicare il patogeno. Forse, l'approccio è stato errato, ma di base dobbiamo impedire che il patogeno, quando è regolamentato, si diffonda nel territorio, per cui gli interventi di eradicazione, che abbiano successo o meno, sono comunque da prevedere.

  ANTONIA CARLUCCI, docente presso l'Università di Foggia. Cercherò di essere piuttosto veloce. Avrei voluto avere più tempo per commentare alcune domande.
  Condivido alcune risposte date dai colleghi che mi hanno preceduto, ma vorrei sottolineare una domanda in particolare: se la Xylella sia presente nel nostro territorio da vent'anni.
  Si è ipotizzato vent'anni, ma il professor Stefani ha anche detto che probabilmente determinati sintomi fanno intendere che la Xylella fosse su quelle piante già da prima del 2013, quindi, se non proprio da vent'anni prima, già quattro, cinque o dieci anni, il che è molto probabile.
  Relativamente all'ipotesi che attualmente siano in corso altre epidemie simil-Xylella, la domanda era: che cosa si può fare? Come si può tempestivamente intervenire su queste potenziali o fantomatiche epidemie che oggi non vediamo, non osserviamo? Probabilmente, essere più presenti sul territorio. Faccio presente un altro aspetto. Pag. 23
  Sentivo oggi di concimazioni, cure del terreno e altro. Ci sono delle situazioni in Salento per cui determinate attività non si possono effettuare. Sarò stata io sfortunata, ma ho visitato degli uliveti in cui il terreno presentava rocce affioranti, quindi mi chiedo: in queste condizioni, gli olivicoltori salentini come possono intervenire con le arature, le concimazioni organiche e tutto il resto? È chiaro, si può intervenire con le concimazioni liquide e altro, ma questo rappresenta un aggravio nella gestione dell'olivo.
  Un aspetto che secondo me non è venuto fuori dalle domande è questo: come si può ripristinare una biodiversità?
  In fondo, mi dico: la biodiversità olivicola in Salento alla fin fine non c'è. La cultivar più presente, forse per l'80-90 per cento – non ho fatto un censimento in questo senso – è rappresentata appunto dalla ogliarola salentina, che sembra essere molto sensibile alla Xylella. Promuovere una biodiversità olivicola in quel territorio, credo che sia imperativo, cioè individuare cultivar che siano più resistenti, più tolleranti. La speranza è quella di individuare piante immuni.
  Nel frattempo, nella zona infetta possiamo fare tutto quello che a oggi si sta sperimentando. È tutto valido. Nell'ottica di integrare più azioni, più volontà, si può fare qualsiasi cosa, microrganismi, antagonisti, prodotti a basso impatto ambientale, impiego di sistemi per tenere lontani gli insetti, per distruggere gli insetti. Tutto va bene. Nella zona infetta abbiamo, quindi, un laboratorio a cielo aperto, messo a nostra disposizione e a disposizione della ricerca per mettere a punto dei protocolli più efficaci.
  La ricerca ha dei tempi lunghi. Le risposte non si possono avere nell'arco di diciotto o di ventiquattro mesi. I tempi sono più lunghi, quindi potremo avere le risposte soltanto tra qualche anno.

  MARGHERITA D'AMICO, responsabile scientifica del Progetto «Sistemi di lotta ecocompatibili contro il CoDiRO (SILECC)». Comincio con la condizione delle piante nel campo sperimentale SILECC.
  Gli ultimi dati di fine settembre di quest'anno hanno dimostrato un'enorme variabilità tra i blocchi all'interno di ciascuna tesi. Che cosa significa? Significa che all'interno di ciascuna tesi alcune piante si presentavano rigogliose e con i frutti; altre, all'interno della stessa tesi, erano praticamente con poca chioma e disseccamenti.
  Quello che abbiamo sicuramente visto è che c'è una forte correlazione tra stato della chioma, soprattutto per le piante che hanno reagito peggio, che presentavano i maggiori disseccamenti, e stato delle radici. Come dicevo, le radici si sono presentate marce, si staccavano con le mani. Questo è un dato che stiamo approfondendo. Stiamo cercando di capire anche quali sono le eventuali cause.
  Per quanto riguarda le analisi su Xylella, queste sono ancora in corso. Le stanno conducendo i ricercatori dell'Istituto di protezione sostenibile delle piante del CNR di Bari.
  Voglio rispondere alla domanda che chiedeva se la Xylella Fastidiosa fosse in grado di uccidere gli olivi.
  Dei dati preliminari dicono che su alcune piantine di un anno di età, sì, è in grado di provocare dei disseccamenti. Da dati che provengono dalla California è evidenziato poi che della Xylella Fastidiosa, appartenente sicuramente a un'altra sub-specie, l'olivo è addirittura in grado di ostacolare la progressione e ridurre autonomamente la carica.
  Poi c'è l'altro elemento dell'albero infetto in località Termetrio a Cisternino. Quest'albero è stato campionato un anno e mezzo fa, nel periodo di giugno, quindi è già passato un anno e mezzo. Presumibilmente, è stato infettato l'anno prima, quindi siamo già a due anni e mezzo. Nel frattempo, non ha mostrato nessun sintomo di malattia.

  MARGHERITA CIERVO, docente presso l'Università di Foggia. Cercherò di essere telegrafica, perché sono diverse le sollecitazioni e le domande ricevute, e parto proprio dalla questione posta dal collega, cioè i dati che ho utilizzato.
  Fino a prova contraria, i dati sulla distribuzione dell'utilizzo di fitofarmaci che Pag. 24ho utilizzato sono quelli dell'Istituto nazionale di statistica, evidentemente omogenei sia sul territorio regionale sia sul territorio nazionale.
  Detto questo, è vero che in dati assoluti questa distribuzione in attesa riguarda la provincia di Lecce, che supera, come ho detto, Bari e Foggia. Tuttavia, se mettiamo in rapporto il dato quantitativo dell'erbicida distribuito con la SAU, vediamo che la provincia di Lecce è la prima e la seconda è la provincia di Brindisi, sempre nel periodo 2003 e 2009-10 per quanto riguarda il dato relativo.
  Questo è un dato che quantomeno penso dovrebbe suscitare interesse ed essere magari verificato sul campo. Chiaramente, qua non siamo più nella mia competenza, ma di fatto questa è un'anomalia che si rileva in effetti anche sulla provincia di Brindisi. Stiamo parlando, per intenderci, nell'anno di massima punta, ovvero il 2007, di 5,36 chilogrammi per ettaro di erbicidi distribuiti per la provincia di Lecce e di 4,04 chilogrammi per ettaro per la provincia di Brindisi.
  Detto questo, rispondo all'onorevole Gadda sui dati relativi all'agricoltura del biologico. Anche qui, delle ricerche sul campo dovrebbero chiaramente confortare, ma partendo sempre, come osservazione generale di dati indiretti, da quelli forniti dall'ISTAT, si osserva che la SAU biologica sulla SAU generale nei comuni della provincia di Lecce, nei comuni orientali, ha percentuali decisamente maggiori, fino ad arrivare a sfiorare il 40 per cento in alcuni comuni. Nel caso dei comuni ricadenti nella zona focolaio, invece, questa percentuale è in media del 5,5 per cento, con comuni che praticamente rasentano lo zero.
  Questo è un dato che dovrebbe fornire un'indicazione che andrebbe verificata, ma fatto sta che il focolaio nasce in una zona in cui la SAU biologica è sicuramente inferiore e in cui, da quello che ci dicono i dati ISTAT, il trattamento con fitofarmaci sembra decisamente significativo.
  Quanto alla frase che ho riportato, chiaramente ho dovuto condensare tutto in meno di dieci minuti, e capisco bene che delle affermazioni possono apparire o potrebbero apparire non circostanziate. Quando riporto della mancanza di esperienze di successo nell'eradicazione, riporto semplicemente quanto dice l'EFSA in una pubblicazione del 2013 e poi in una del 2015. Testualmente: «Non ci sono indicazioni di eradicazione di successo della Xylella Fastidiosa una volta stabilita». Questo è l'estratto, pagina 25, del 2013. Nel 2015 si dice: «Nessuna indicazione che l'eradicazione è un'opzione di successo una volta che la malattia – in questo caso parla di disease – è stabilita in un'area», pagina 117 del 2015.
  All'onorevole Cunial non posso che rispondere con i titoli da questo punto di vista, perché si richiederebbe un'argomentazione ben più corposa.

  PRESIDENTE. Tutte le documentazioni che pensate siano utili a questa Commissione, le potete inviare.

  MARGHERITA CIERVO, docente presso l'Università di Foggia. Se la domanda è «quali scenari si aprono?», rispondo che non sono dei dati, che si possono snocciolare. Bisognerebbe avere il tempo. Comunque, ringrazio, perché mi dà la possibilità almeno di richiamare gli scenari che si aprono all'orizzonte: cambiamento del sistema colturale, ma anche cambiamento del sistema produttivo da sistema tipicamente tradizionale a un super intensivo, con tutte le differenze e gli effetti che questo comporta da un punto di vista ambientale, ecologico, ma anche dell'economia locale.
  Sul cambiamento dell'economia quale riflessione si è aperta? Questa non è una questione solo fitopatologica, su questo siamo d'accordo? Non è solo una questione biologica o ecologica. Le misure messe in atto e anche gli scenari che si stanno delineando richiamano scelte di politica economica oltre che strettamente economiche. E quale dibattito e in quale sede si è aperto, per esempio, sull'economia territoriale che verrebbe soppiantata da un'economia superintensiva globale, come peraltro auspicato da diverse associazioni di categoria? Pag. 25
  Concludo sulla questione, perché l'altra misura è quella dei pesticidi, fornendo solo un dato.
  Chiaramente, i pesticidi imposti d'obbligo dal decreto metterebbero definitivamente in ginocchio, forse farebbero morire, il settore dell'apicoltura, ma sarebbero distruttivi per quello biologico. E non stiamo parlando di un settore di nicchia. Stiamo parlando di un settore che, da quando è nato, negli anni Novanta, ha avuto un trend crescente. È l'unico settore che ha tenuto la crisi, anche contrariamente a quello tradizionale dell'agroalimentare, negli anni della crisi 2008, ma soprattutto è un settore che sta caratterizzando fortemente il nostro sud, e in particolare la Puglia.
  Vado a memoria: nel 2016-2015, le superfici a biologico in Puglia crescono di circa il 40 per cento; il numero degli operatori cresce di circa il 50 per cento.

  PRESIDENTE. Sono dati che conosciamo. Devo interromperla su questo.

  MARIA CHIARA GADDA. Voglio intervenire sull'ordine dei lavori. In questa sede, non possiamo – sottolineo, non possiamo – poiché ci sono, oltre ai colleghi, anche molte persone, molti cittadini, che possono ascoltare questa discussione, metterci a fare un dibattito di questo tipo.
  Chiedo sull'ordine dei lavori di ritornare all'oggetto di quest'audizione.

  PRESIDENTE. Ha ragione, onorevole Gadda.

  MARIA CHIARA GADDA. Lo dico a ragion veduta come firmataria della proposta di legge sul biologico, ma non è questa la sede, non è questa la modalità per aprire un dibattito, peraltro senza contraddittorio.

  MARGHERITA CIERVO, docente presso l'Università di Foggia. Ho risposto alla domanda in maniera...

  MARIA CHIARA GADDA. Non mi sto riferendo a lei, scusi. Mi sto riferendo al presidente sull'ordine dei lavori di questa Commissione, non a lei, perché non mi permetto di valutare e di giudicare gli interventi.

  PRESIDENTE. Passiamo all'ultimo intervento. L'indagine è sull'emergenza Xylella.

  FRANCESCO PORCELLI, docente presso l'Università di Bari. Telegraficamente, abbiamo la possibilità nel prossimo anno, nei prossimi due anni, di congelare la situazione, quindi avremo un parterre di situazioni per vedere l'evoluzione della malattia. Se spegniamo il vettore, spegniamo le trasmissioni. Avremo, quindi, comunque delle piante sulle quali sperimentare, comunque delle situazioni da vivere, alcune cose da capire meglio nell'evoluzione della malattia – forse, facciamo anche il bene della comunità, che ci chiama a dare delle risposte, perché finora il controllo del vettore praticamente, o anche teoricamente, non è stato fatto – con pratiche assolutamente compatibili anche con l’organic, che non mi prendo dieci minuti per spiegarvi, non ci penso nemmeno, vi manderò qualcosa di scritto. I piani di controllo sono ormai maturi e le strategie di controllo integrato sono ben descritte. Grazie.

  PRESIDENTE. Ricordo, come è stato sottolineato, che questa è un'indagine per affrontare l'emergenza Xylella. Discussioni sulla politica economica del sud magari si riservano ad altra sede. Autorizzo la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna della documentazione consegnata da alcuni auditi (vedi allegati). Ringrazio i nostri ospiti e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.10.

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ALLEGATO 1

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ALLEGATO 2

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ALLEGATO 3

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ALLEGATO 4

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