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Resoconti Stenografici delle sedi Legislativa, Redigente e Referente

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XVIII Legislatura

Commissioni Riunite (V Camera e 5a Senato)

Resoconto stenografico



Seduta n. 2 di Lunedì 12 novembre 2018

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Borghi Claudio , Presidente ... 4 

Audizione di rappresentanti dell'ISTAT (Attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio per il 2019-2021, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del Regolamento della Camera):
Borghi Claudio , Presidente ... 4 
Franzini Maurizio , presidente dell'ISTAT ... 4 
Borghi Claudio , Presidente ... 9 
Raduzzi Raphael (M5S)  ... 9 
Comaroli Silvana Andreina (LEGA)  ... 10 
Saccone Antonio  ... 10 
Lorenzin Beatrice (Misto-CP-A-PS-A)  ... 10 
Fassina Stefano (LeU)  ... 11 
Padoan Pietro Carlo (PD)  ... 11 
Mandelli Andrea (FI)  ... 12 
Pesco Daniele  ... 12 
Borghi Claudio , Presidente ... 12 
Franzini Maurizio , presidente dell'ISTAT ... 13 
Monducci Roberto , direttore del dipartimento per la produzione statistica dell'ISTAT ... 13 
Franzini Maurizio , presidente dell'ISTAT ... 14 
Borghi Claudio , Presidente ... 15 

Audizione di rappresentanti della Corte dei conti (Attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio per il 2019-2021, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del Regolamento della Camera):
Borghi Claudio , Presidente ... 15 
Buscema Angelo , presidente della Corte dei conti ... 16 
Borghi Claudio , Presidente ... 27 
Pesco Daniele  ... 27 
Comaroli Silvana Andreina (LEGA)  ... 27 
Marattin Luigi (PD)  ... 28 
Borghi Claudio , Presidente ... 28 
Buscema Angelo , presidente della Corte dei conti ... 28 
Flaccadoro Enrico , consigliere della Corte dei conti ... 30 
Borghi Claudio , Presidente ... 30 

Audizione del presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio, Giuseppe Pisauro (Attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio per il 2019-2021, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del Regolamento della Camera):
Borghi Claudio , Presidente ... 30 
Pisauro Giuseppe , presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio ... 30 
Marattin Luigi (PD)  ... 38 
Pisauro Giuseppe , presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio ... 38 
Borghi Claudio , Presidente ... 38 
Lorenzin Beatrice (Misto-CP-A-PS-A)  ... 38 
Prestigiacomo Stefania (FI)  ... 39 
Raduzzi Raphael (M5S)  ... 39 
Marattin Luigi (PD)  ... 39 
Ferrero Roberta  ... 41 
Turco Mario  ... 41 
Borghi Claudio , Presidente ... 41 
Boschi Maria Elena (PD)  ... 41 
Borghi Claudio , Presidente ... 41 
Pisauro Giuseppe , presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio ... 42 
Borghi Claudio , Presidente ... 44 
Pisauro Giuseppe , presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio ... 44 
Boschi Maria Elena (PD)  ... 44 
Pisauro Giuseppe , presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio ... 44 
Borghi Claudio , Presidente ... 45 

(La seduta, sospesa alle 13.50, è ripresa alle 14.25) ... 45 

Audizione di rappresentanti dell'ANCI, UPI e della Conferenza delle regioni e delle province autonome (Attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio per il 2019-2021, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del Regolamento della Camera):
Borghi Claudio , Presidente ... 45 
Caparini Davide Carlo , coordinatore della Commissione affari finanziari della Conferenza delle regioni e delle province autonome ... 45 
Borghi Claudio , Presidente ... 47 
Marattin Luigi (PD)  ... 47 
Borghi Claudio , Presidente ... 47 
Riva Vercellotti Carlo , vicepresidente dell'Unione delle province d'Italia ... 47 
Borghi Claudio , Presidente ... 49 
Mangialardi Maurizio , sindaco del comune di Senigallia ... 49 
Borghi Claudio , Presidente ... 52 
Misiani Antonio  ... 52 
Presutto Vincenzo  ... 52 
Lorenzin Beatrice (Misto-CP-A-PS-A)  ... 52 
Borghi Claudio , Presidente ... 54 
Lorenzin Beatrice (Misto-CP-A-PS-A)  ... 54 
Borghi Claudio , Presidente ... 54 
Lorenzin Beatrice (Misto-CP-A-PS-A)  ... 54 
Borghi Claudio , Presidente ... 54 
Lorenzin Beatrice (Misto-CP-A-PS-A)  ... 54 
Borghi Claudio , Presidente ... 54 
Comaroli Silvana Andreina (LEGA)  ... 54 
De Micheli Paola (PD)  ... 54 
Marattin Luigi (PD)  ... 55 
Manca Daniele  ... 57 
Carnevali Elena (PD)  ... 57 
Angiola Nunzio (M5S)  ... 58 
Pesco Daniele , Presidente ... 58 
Riva Vercellotti Carlo , vicepresidente dell'Unione delle province d'Italia ... 59 
Mangialardi Maurizio , sindaco del comune di Senigallia ... 60 
Caparini Davide Carlo , coordinatore della Commissione affari finanziari della Conferenza delle regioni e delle province autonome ... 60 
Lorenzin Beatrice (Misto-CP-A-PS-A)  ... 61 
Caparini Davide Carlo , coordinatore della Commissione affari finanziari della Conferenza delle regioni e delle province autonome ... 61 
Borghi Claudio , Presidente ... 61 
Caparini Davide Carlo , coordinatore della Commissione affari finanziari della Conferenza delle regioni e delle province autonome ... 61 
Borghi Claudio , Presidente ... 62 

Audizione di rappresentanti di Confindustria (Attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio per il 2019-2021, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del Regolamento della Camera) :
Borghi Claudio , Presidente ... 62 
Boccia Vincenzo , presidente di Confindustria ... 62 
Borghi Claudio , Presidente ... 69 
Madia Maria Anna (PD)  ... 69 
Mandelli Andrea (FI)  ... 69 
Misiani Antonio  ... 70 
Prestigiacomo Stefania (FI)  ... 70 
Adelizzi Cosimo (M5S)  ... 70 
Marattin Luigi (PD)  ... 71 
Polverini Renata (FI)  ... 71 
Zennaro Antonio (M5S)  ... 72 
Borghi Claudio , Presidente ... 73 
Turco Mario  ... 73 
Angiola Nunzio (M5S)  ... 73 
Borghi Claudio , Presidente ... 74 
Boccia Vincenzo , presidente di Confindustria ... 74 
Borghi Claudio , Presidente ... 76 

Audizione di rappresentanti di R.ETE. Imprese Italia (Attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio per il 2019-2021, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del Regolamento della Camera) :
Prestigiacomo Stefania , Presidente ... 76 
Vaccarino Daniele , presidente di R.ETE. Imprese Italia ... 76 
Prestigiacomo Stefania , Presidente ... 82 
Pesco Daniele  ... 82 
Vaccarino Daniele , presidente di R.ETE. Imprese Italia ... 82 
Prestigiacomo Stefania , Presidente ... 82 

Audizione di rappresentanti dell'ABI (Attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio per il 2019-2021, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del Regolamento della Camera) :
Prestigiacomo Stefania , Presidente ... 82 
Sabatini Giovanni , direttore generale dell'ABI ... 82 
Prestigiacomo Stefania , Presidente ... 85 
Comaroli Silvana Andreina (LEGA)  ... 85 
Pesco Daniele  ... 85 
Prestigiacomo Stefania , Presidente ... 85 
Sabatini Giovanni , direttore generale dell'ABI ... 85 
Prestigiacomo Stefania , Presidente ... 86 

Audizione di rappresentanti dell'ANCE e di Confedilizia (Attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio per il 2019-2021, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del Regolamento della Camera) :
Prestigiacomo Stefania , Presidente ... 86 
Buia Gabriele , presidente dell'ANCE ... 86 
Prestigiacomo Stefania , Presidente ... 88 
Mandelli Andrea (FI)  ... 88 
Buia Gabriele , presidente dell'ANCE ... 89 
Prestigiacomo Stefania , Presidente ... 89 
Spaziani Testa Giorgio , presidente di Confedilizia ... 89 
Prestigiacomo Stefania , Presidente ... 92 
Mandelli Andrea (FI)  ... 92 
Pellegrini Marco  ... 93 
Spaziani Testa Giorgio , presidente di Confedilizia ... 93 
Rivolta Erica  ... 93 
Spaziani Testa Giorgio , presidente di Confedilizia ... 94 
Prestigiacomo Stefania , Presidente ... 94 

Audizione di rappresentanti di Confapi, Confimi e Confprofessioni (Attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio per il 2019-2021, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del Regolamento della Camera) :
Prestigiacomo Stefania , Presidente ... 94 
Camisa Cristian , componente della Giunta di presidenza di Confapi ... 95 
Prestigiacomo Stefania , Presidente ... 97 
Boschi Maria Elena (PD)  ... 97 
Camisa Cristian , componente della Giunta di presidenza di Confapi ... 97 
Prestigiacomo Stefania , Presidente ... 98 
Ramaioli Fabio , direttore generale Confimi Industria ... 98 
Prestigiacomo Stefania , Presidente ... 101 
Natali Marco , componente della Giunta esecutiva di Confprofessioni ... 101 
Prestigiacomo Stefania , Presidente ... 103 
Mandelli Andrea (FI)  ... 103 
Pellegrini Marco  ... 103 
Zuliani Cristiano  ... 104 
Prestigiacomo Stefania , Presidente ... 104 
Natali Marco , componente della Giunta esecutiva di Confprofessioni ... 104 
Prestigiacomo Stefania , Presidente ... 106 

Audizione di rappresentanti dell'Alleanza delle cooperative (Attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio per il 2019-2021, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del Regolamento della Camera):
Prestigiacomo Stefania , Presidente ... 106 
Gardini Maurizio , presidente di Alleanza delle cooperative italiane e di Confcooperative ... 106 
Prestigiacomo Stefania , Presidente ... 109 
Raduzzi Raphael (M5S)  ... 109 
Gardini Maurizio , presidente di Alleanza delle cooperative italiane e di Confcooperative ... 110 
Lovecchio Giorgio (M5S)  ... 110 
Gardini Maurizio , presidente di Alleanza delle cooperative italiane e di Confcooperative ... 110 
Carnevali Elena (PD)  ... 111 
Gardini Maurizio , presidente di Alleanza delle cooperative italiane e di Confcooperative ... 111 
Prestigiacomo Stefania , Presidente ... 111

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE;
Misto-Civica Popolare-AP-PSI-Area Civica: Misto-CP-A-PS-A;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI;
Misto-+Europa-Centro Democratico: Misto-+E-CD.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 4

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
DELLA V COMMISSIONE DELLA
CAMERA DEI DEPUTATI
CLAUDIO BORGHI

  La seduta comincia alle 10.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti dell'ISTAT.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio per il 2019-2021, l'audizione, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del Regolamento della Camera, di rappresentanti dell'ISTAT.
  Per iniziare questa giornata di audizioni abbiamo il piacere di ospitare il presidente dell'ISTAT Maurizio Franzini. Lo staff dei collaboratori che lo accompagnano include il direttore generale Antonucci e altri direttori e ricercatori dirigenti di sezione, che saluto e ringrazio.
  Do la parola al presidente Franzini per la relazione.

  MAURIZIO FRANZINI, presidente dell'ISTAT. In questa mia relazione farò riferimento all'aggiornamento del quadro congiunturale a livello internazionale, europeo e italiano, aggiornando quello che ho già detto in occasione dell'audizione del 10 ottobre scorso. Esaminerò, poi, con qualche dettaglio, alcuni provvedimenti previsti nel disegno di legge di bilancio. Si tratta di cinque o sei provvedimenti.
  A livello internazionale la congiuntura prosegue, sostanzialmente, la sua fase espansiva con dinamiche differenziate per quello che riguarda gli Stati Uniti e l'Europa. Negli Stati Uniti il PIL è cresciuto anche nel terzo trimestre a un tasso dello 0,9 per cento, con una lieve decelerazione rispetto all'1 per cento del periodo precedente. I tassi di disoccupazione – come è noto – sono molto bassi, stabili attorno al 3,7 per cento. Anche i vari indicatori di fiducia e di anticipazione del ciclo sono positivi.
  La crescita dell'area dell'euro è decisamente più moderata. Nel terzo trimestre è stata dello 0,2 per cento per quanto riguarda la variazione di congiuntura del PIL, in rallentamento rispetto allo 0,4 per cento dei tre mesi precedenti. La crescita tendenziale annua è scesa dal 2,8 all'1,7 per cento. Il tasso di disoccupazione è stabile attorno all'8,1 per cento.
  Gli indicatori di fiducia sono misti, nel senso che ci sono atteggiamenti e posizioni diverse riguardo ai consumatori. Tra i settori industriali, l'unico che si presenta un po’ ottimista è quello delle costruzioni. Per quanto riguarda il tasso di cambio, l'euro si è deprezzato ulteriormente nei confronti del dollaro e il brent, il prezzo del petrolio, continua ad essere elevato e crescente.
  I dati sul commercio internazionale evidenziano, comunque, una crescita del commercio nel corso dei primi otto mesi dell'anno nella misura del 3,9 per cento. È in espansione soprattutto il commercio delle economie emergenti, mentre quello dei Paesi avanzati registra una sostanziale stagnazione.
  Veniamo all'Italia. La variazione congiunturale del terzo trimestre è stata tale da dare luogo a un tasso di crescita nullo Pag. 5del PIL. Si tratta del primo tasso nullo dopo quattordici trimestri di crescita positiva. Questo risultato è l'effetto di un contributo praticamente nullo alla creazione del PIL sia della domanda interna sia di quella estera.
  Il tasso di crescita acquisito finora sull'anno è dell'1 per cento. Pertanto, se si volesse calcolare in modo meccanico quanto occorrerebbe per raggiungere, da qui alla fine dell'anno, l'obiettivo dell'1,2 per cento, bisognerebbe immaginare un aumento dello 0,4 per cento nell'ultimo trimestre dell'anno.
  Questa stabilità del PIL è il frutto della combinazione di andamenti differenziati dei valori aggiunti dei diversi settori. In particolare, abbiamo avuto un aumento del valore aggiunto in agricoltura, silvicoltura, pesca e servizi e una diminuzione nel settore industriale. In particolare, la produzione industriale, che segnalava già una riduzione dello 0,2 per cento tra giugno e agosto, risulta confermata in diminuzione dello 0,2 per cento anche a settembre sulla base di un dato che sta per essere pubblicato proprio adesso e che abbiamo appena reso noto. Ciò vuol dire che nel terzo trimestre, complessivamente, la caduta della produzione industriale è stata dello 0,2 per cento.
  Per quanto riguarda le esportazioni, ho già detto che il contributo che le esportazioni nette hanno dato al PIL è stato praticamente nullo. Questo è il frutto, in particolare, di una dinamica abbastanza negativa nei confronti dell'area extra Unione europea. Il calo che si è verificato a settembre nelle esportazioni in quest'area è dell'ordine del 3,7 per cento. Gli unici Paesi rispetto ai quali abbiamo esportato un pochino di più sono la Svizzera e l'India. Parlo di Paesi extra Unione europea. A livello di Unione europea nel mese di settembre abbiamo, invece, dinamiche positive verso la Francia, la Germania e la Polonia.
  Tornando ai singoli settori, in maniera divergente rispetto all'andamento dell'industria in senso stretto, il settore delle costruzioni segnala una dinamica positiva, rilevata sia a livello di permessi richiesti sia a livello di indici di produzione. I dati della produzione, in particolare, confermano che nel trimestre giugno-agosto si è avuto un incremento dell'1,7 per cento.
  Veniamo, ora, al mercato del lavoro. I dati di settembre segnalano qualche peggioramento. Si registra una diminuzione degli occupati: meno 0,1 per cento rispetto al mese precedente, ossia 34.000 unità in meno. Sono aumentate le persone in cerca di occupazione e si sono ridotti gli inattivi. È da sottolineare che tra gli occupati a tempo indeterminato e quelli a tempo determinato la dinamica è naturalmente diversa. Aumentano quelli a tempo determinato o a termine e diminuiscono gli altri, per un saldo netto di 34.000, di cui ho parlato prima, ma si perdono 77.000 posti tra i dipendenti permanenti.
  Un dato interessante che segnala una controtendenza è quello relativo ai lavoratori autonomi. L'ISTAT ha pubblicato un'indagine accurata sull'andamento del lavoro autonomo, segnalando la diminuzione di lungo termine anche negli ultimi tempi. Nel mese di settembre, invece, si registra un aumento di 16.000 unità di lavoratori autonomi.
  Complessivamente, se guardiamo al terzo trimestre nel suo insieme, i dati sono ancora di segno positivo, con un tasso di occupazione aumentato di 0,1 punti percentuali e un tasso di disoccupazione diminuito di 0,6 punti. Quindi, sul trimestre i risultati sono di segno positivo.
  Nell'ambito dell'andamento dell'inflazione, si segnala un aumento del tasso di inflazione per quanto riguarda l'indice dei prezzi al consumo. Nel mese di ottobre questo indice, il NIC, è cresciuto su base annua dell'1,6 per cento, aumentando di due decimi di punto rispetto al mese precedente, ossia settembre. Questa tendenza alla ripresa dell'inflazione è comune ai Paesi dell'area dell'euro, il che dimostra l'esistenza di cause esogene, mentre l'inflazione interna, di fondo, si mantiene su livelli contenuti e da maggio oscilla su ritmi pari alla metà di quello totale, circa lo 0,8 per cento.
  La spinta principale proviene dal comparto energetico, mentre si riscontra una Pag. 6situazione di tipo deflattivo, cioè una pressione al contenimento dei prezzi, per quanto riguarda il contributo relativo ai prodotti non alimentari importati, rispetto ai quali l'importazione contribuisce a tenere bassa la dinamica.
  Le previsioni dei soggetti economici sull'inflazione riguardano l'aggravarsi di queste tendenze, riducendosi il saldo negativo tra la quota di soggetti che prevedono aumenti e quella di soggetti che prevedono diminuzioni. Abbiamo, cioè, un aumento di coloro che prevedono aumenti. Tra le imprese aumenta lievemente la quota di quelle che programmano incrementi di prezzo.
  Le prospettive di crescita a breve termine basate sugli indicatori di fiducia e sull'indicatore anticipatore sono, anche in questo caso, leggermente variegate, anche se quello delle imprese, con l'eccezione delle imprese del settore delle costruzioni, segnala una tendenza al peggioramento. Anche l'indicatore anticipatore del ciclo segnala la persistenza della fase di debolezza del ciclo economico. A tal proposito, va ricordato un dato interessante: l'indice di dispersione settoriale della produzione di recente segnala che si è verificato un lieve aumento dell'incidenza dei settori in espansione. Quindi, aumenta la quota di settori che possiamo considerare in espansione.
  Prima di commentare alcuni provvedimenti, ricordo che gli obiettivi di finanza pubblica risultano sostanzialmente confermati a seguito della verifica da parte della Commissione europea dei dati forniti, coerentemente con la procedura per i deficit eccessivi. È confermato per il 2017 – sto parlando del passato – un indebitamento del 2,4 per cento del PIL e un debito pari al 131,2 per cento. Risultano, sostanzialmente, confermati i dati relativamente al 2018 e al 2019 resi noti in occasione dell'audizione sulla Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza, ma va tenuto presente che la modifica dello scenario economico potrebbe produrre effetti limitati nel 2018, ma più consistenti nel 2019.
  Passo, ora, all'esame di alcuni provvedimenti previsti dal disegno di legge di bilancio, che è stato condotto compatibilmente con le informazioni di cui disponiamo e con il grado di dettaglio che è stato reso noto relativamente all'applicazione di questi provvedimenti. Come sappiamo, molti dettagli saranno resi noti con i disegni di legge collegati.
  Inizierò dagli effetti della sterilizzazione delle clausole di salvaguardia e dell'aumento delle accise, in particolare descriverò quello che sarebbe accaduto ai tassi di inflazione nel caso in cui questo provvedimento non fosse stato adottato. Secondo le nostre stime, l'impatto inflazionistico nel 2019, nell'ipotesi di una completa e immediata traslazione dell'imposta, sarebbe stato dell'1,3 per cento. Questo deriva dalla considerazione dell'incremento dell'aliquota ridotta dal 10 all'11,5 per cento e di quella ordinaria dal 22 al 24,2 per cento. La quota principale di questo aumento, pari a otto decimi di punto, sarebbe stata imputabile all'aumento dell'aliquota ordinaria; il resto, invece, all'aumento dell'aliquota ridotta. L'effetto maggiore si sarebbe avuto sui tabacchi, con 1,9 punti percentuali di aumento, sui beni energetici e su altri beni industriali non energetici, con 1,7 punti percentuali. Per quanto riguarda la dinamica dei servizi, si sarebbe avuto un aumento dell'1,2 per cento, con un contributo pressoché identico dell'incremento delle due aliquote.
  Passerò, ora, a descrivere l'insieme dei provvedimenti fiscali che ricadono sulle imprese. Come già fatto in passato, l'ISTAT ha esaminato, sulla base dei suoi modelli, l'impatto di queste misure, che sono sostanzialmente tre: la mancata proroga del maxi ammortamento, l'introduzione della mini IRES e l'abolizione dell'ACE, cioè degli aiuti alla crescita economica, secondo la versione italiana di questo acronimo.
  Viene proposta un'analisi degli effetti di questi tre provvedimenti anche sul costo del capitale per le imprese. Nel complesso risulta che, in seguito a questi tre provvedimenti, la riduzione del debito di imposta IRES riguarderà il 7 per cento delle imprese, mentre più di un terzo delle imprese si troverà di fronte a un debito fiscale accresciuto. Pag. 7
  L'aggravio medio di imposta è pari al 2,1 per cento in quanto l'introduzione della mini IRES, che di per sé produrrebbe una riduzione dell'1,7 per cento, non è sufficiente a compensare gli effetti dell'abrogazione dell'ACE (più 2,3 per cento) e della mancata proroga del maxi ammortamento (più 1,5 per cento).
  Questi risultati dipendono sostanzialmente dalla maggiore selettività della mini IRES rispetto all'ACE e al maxi ammortamento, cioè dal fatto che la platea dei beneficiari risulta modificata e ridotta. Quanto alla distribuzione per dimensione, si può dire che l'aggravio fiscale è maggiore tra le imprese che occupano fino a dieci dipendenti.
  Il complesso dei provvedimenti svantaggerebbe poco le imprese manifatturiere ad alta tecnologia, mentre risentirebbe molto, anche soltanto della mancata proroga del maxi ammortamento, un numero limitato di grandi imprese, soprattutto nel settore dell'alta tecnologia.
  Per quanto riguarda il costo del capitale, l'analisi svolta, i cui dettagli si trovano nell'allegato che abbiamo depositato, mostra che l'effetto complessivo dei provvedimenti e, in particolare, dell'abrogazione dell'ACE è quello di ampliare lo squilibrio tra il costo del finanziamento con capitale proprio e il costo del finanziamento con debito a favore di quest'ultimo. Risulta, quindi, una non neutralità rispetto ai costi delle fonti di finanziamento.
  Passo ora a descrivere gli effetti del provvedimento riguardante la decontribuzione per le assunzioni nel Mezzogiorno. L'articolo 20 prevede di prorogare le misure in essere nelle aree meridionali per favorire le assunzioni a tempo indeterminato di giovani fino a 34 anni e degli ultra trentacinquenni privi di un impiego regolarmente retribuito da almeno sei anni.
  La platea dei potenziali beneficiari di queste misure è costituita da 3,5 milioni di persone, che sono, per gli individui tra i 15 e i 34 anni, dipendenti con lavoro a termine, disoccupati o forze di lavoro potenziale, cioè coloro che vorrebbero lavorare, ma che non hanno lavorato o svolto attivamente ricerca di lavoro negli ultimi sei mesi, mentre per coloro che hanno più di 35 anni si tratta di disoccupati e di forza di lavoro potenziale non occupata negli ultimi sei mesi.
  Come dicevo, si tratta di circa 3,5 milioni di persone, tra cui la quota degli under 35 è leggermente maggiore.
  L'ISTAT fornisce dati anche sulla composizione di tale platea relativamente al genere, al titolo di studio, che tendenzialmente è molto basso, ma anche rispetto alle condizioni familiari, ossia se si vive con la famiglia di origine e se si hanno figli.
  Un dato abbastanza interessante è che molti sono genitori e, quindi, si tratta probabilmente di famiglie nelle quali si sviluppa la povertà minorile.
  Un ulteriore provvedimento è quello del reddito di cittadinanza. Sul reddito di cittadinanza, come è noto, l'articolo 21 prevede un finanziamento di 9 miliardi di euro, di cui 2,2 corrispondenti ai precedenti finanziamenti per il reddito di inclusione.
  L'articolo 21 destina alla riforma dei centri per l'impiego 1 miliardo di euro, cosicché la somma disponibile per il sussidio monetario è di circa 8 miliardi di euro, ai quali si potrebbero eventualmente aggiungere risparmi che venissero effettuati sui 6,7 miliardi di euro destinati nel 2019 al fondo per la revisione del sistema pensionistico.
  I dettagli relativi all'applicazione di questa misura non sono disponibili al momento e quindi l'ISTAT ha cercato di fornire alcuni elementi che possono essere utili per comprendere meglio quali potrebbero essere gli effetti di questa misura in base anche ad alcune caratteristiche della platea dei beneficiari.
  Inizio a descrivere come l'ISTAT calcola la povertà assoluta e le relative soglie. Si determina un paniere di beni omogeneo sul territorio nazionale, ma si prevedono costi differenziati in base a composizione della famiglia, territorio e localizzazione dell'abitazione tra centro e periferia, cosicché si formano tante soglie di povertà assoluta, differenziate per i motivi che ho appena detto. Pag. 8
  Applicando queste soglie differenziate emerge che 1,8 milioni di famiglie italiane, cioè circa il 6,9 per cento, si trovano in povertà assoluta e si tratta, come è abbastanza noto, di circa 5 milioni di individui variamente distribuiti sul territorio nazionale, particolarmente concentrati nel Mezzogiorno.
  Su questo dato una riflessione che vogliamo proporre è quella che riguarda il titolo di godimento delle abitazioni delle famiglie in povertà assoluta. Dai nostri dati risulta che il 43,7 per cento delle famiglie in povertà assoluta abiti in una casa in affitto, mentre il dato corrispondente a tutte le famiglie italiane è pari al 17,2 per cento. Quindi, è chiaro che c'è una quota maggiore di famiglie che vivono in affitto. Questa quota è rilevantissima nei centri metropolitani, arriva al 64 per cento, ed è più forte nel Nord che nel Sud: 50,6 per cento nel Nord contro una quota più bassa nel Mezzogiorno.
  Il costo medio dell'affitto per famiglie in povertà assoluta è di 310 euro al mese, con una notevole variabilità tra il Mezzogiorno e il Centro: 384 euro al Centro e 230 euro nel Mezzogiorno. Le restanti famiglie non abitano in case in affitto. Il 56,3 per cento non è in affitto. Coloro che abitano in case di proprietà sono il 40,7 per cento, mentre i restanti, il 15,6 per cento, o ha una casa in usufrutto o ha una casa in uso gratuito. Tra le famiglie che vivono in case di proprietà, una su cinque circa paga un mutuo, che è di importo mensile pari a 525 euro in media, anche qui con differenze territoriali molto marcate.
  È chiaro che il titolo di godimento dell'abitazione incide in maniera rilevante sulle condizioni di vita, anche a parità di reddito. Quindi, un problema su cui si potrebbe riflettere è quello della diversità di situazioni che, a parità di reddito, si troverebbero a vivere coloro che sono proprietari, con mutuo o senza mutuo, e coloro che vivono in affitto.
  L'attenzione al titolo di godimento potrebbe essere un elemento che contribuisce a fissare le soglie di accesso al reddito di cittadinanza.
  Un'ulteriore analisi che abbiamo svolto rispetto a questa misura è quella che parte dalla considerazione dei moltiplicatori del reddito, che l'ISTAT stima con il suo modello MeMo-It, il quale in generale prevede che, per un aumento di spesa pubblica dell'1 per cento del PIL, il PIL stesso crescerà dello 0,7 e che questo benefico effetto si esaurirà nel giro di cinque anni per una serie di reazioni che lo annullano.
  Tutto ciò vale, naturalmente, a patto che non si verifichino peggioramenti nelle condizioni di politica monetaria, il che vuole dire nell'ipotesi che i tassi di interesse di breve termine restino costanti. Se questi crescessero, gli effetti sarebbero più contenuti. Quindi, considerando 8-9 miliardi di euro di spesa per il reddito di cittadinanza, si stima un moltiplicatore dello 0,2 per cento rispetto allo scenario di base.
  Tenete presente che la spesa di 8-9 miliardi di euro è equivalente a 0,5-0,6 punti di PIL e quindi non può essere confrontata direttamente con il dato dello 0,7 di cui parlavo prima, riferito a un punto di PIL.
  Nel caso in cui questa misura potesse essere considerata uno shock diretto sui consumi piuttosto che una misura di trasferimento soltanto, il moltiplicatore dello 0,2 per cento crescerebbe allo 0,3 per cento. Naturalmente, in presenza di maggiori dettagli su come verrà strutturata la misura, l'ISTAT è disponibile e pronto ad effettuare ulteriori analisi degli effetti distributivi e macroeconomici.
  Illustrerò ora la misura per contenere i tempi di attesa delle prestazioni sanitarie. L'articolo 39 prevede un'autorizzazione di spesa in conto capitale per favorire l'accesso dei cittadini al Servizio sanitario nazionale e ridurre, in qualche modo, i disagi e i tempi di attesa. L'ISTAT dispone di statistiche sull'accesso ai servizi sanitari ed è, quindi, in grado di individuare alcune delle principali conseguenze del protrarsi dei tempi di attesa. I dati più aggiornati sono riferiti al 2017.
  Secondo i nostri dati, rinunciano a visite o accertamenti specialistici per problemi di liste di attesa circa 2 milioni di persone, il 3,3 per cento della popolazione, mentre coloro che vi rinunciano per motivi economici Pag. 9 sono oltre 4 milioni, un po’ meno del 7 per cento della popolazione.
  A rinunciare sono soprattutto le persone comprese tra i 45 e i 64 anni, ed è rilevante l'intreccio tra le condizioni della rinuncia, o meglio, l'influenza che sulle condizioni della rinuncia hanno le condizioni economiche di coloro che rinunciano. Coloro che dichiarano di avere risorse insufficienti rinunciano nella misura del 5,2 per cento, mentre coloro che dichiarano di avere le risorse adeguate rinunciano solo per l'1,9 per cento. Anche in questo caso la distribuzione territoriale è disomogenea, con una maggiore incidenza nelle isole. La rinuncia è più frequente per le visite specialistiche che non per gli accertamenti.
  L'ultimo provvedimento su cui abbiamo fatto una piccola indagine è quello relativo all'incentivo alla nascita del terzo figlio, di cui tratta l'articolo 49 del disegno di legge. Questo articolo mira a favorire la crescita demografica sostenendo le famiglie che abbiano un terzo figlio nato negli anni dal 2019 al 2021.
  Come sappiamo, il problema della fertilità e della riproduzione in Italia è un problema molto serio e di lunga durata. Ricordo alcuni dati: le donne nate subito dopo la Grande Guerra avevano in media 2,5 figli, le donne dell'immediato secondo dopoguerra ne avevano 2 e, secondo le stime più aggiornate, quelle della metà degli anni Settanta ne hanno 1,4, ben al di sotto del tasso di riproduzione.
  Un dato aggiuntivo rispetto a quello riportato nel documento riguarda il numero di donne che hanno avuto il terzo figlio negli anni scorsi. In media, si tratta di 50.000 donne. Da rilevare all'interno di questo complesso problema è che la quota nazionale di donne senza figli è in continuo aumento: una su dieci per le donne nate nel 1950 e una su cinque, quindi il dato è raddoppiato, per le donne nate negli anni Settanta.
  Parallelamente, aumentano leggermente le donne con un solo figlio, ma crolla il numero delle donne con almeno due figli. Si tratta, quindi, di un problema molto complesso, che richiede speciale attenzione.
  Concludo sperando che queste informazioni siano di qualche aiuto per interpretare meglio e per eventualmente integrare i provvedimenti che stanno per essere adottati. Naturalmente l'ISTAT resta a disposizione non solo per rispondere a domande che vorrete formulare, ma anche per procedere ad approfondimenti quando saranno disponibili i dati che consentiranno analisi più adeguate degli effetti macroeconomici e distributivi di questi provvedimenti.

  PRESIDENTE. Grazie, presidente.
  All'inizio della seduta non ho ripetuto la richiesta, che però rimane valida, di registrarsi per formulare le domande secondo i consueti criteri, per i quali è consentito un tempo massimo di intervento pari a dieci minuti per gruppo.
  Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  RAPHAEL RADUZZI. Grazie, presidente, per il quadro che ci ha fornito.
  Avrei un paio di domande di carattere generale. Una è sulle variabili esogene, che noi ci troviamo ad analizzare, in particolare riguardo al prezzo del petrolio e al tasso di cambio. Abbiamo registrato in queste ultime settimane un calo molto forte del prezzo del petrolio e anche il tasso di cambio, che era programmato nella Nota di aggiornamento al DEF già al ribasso a 1,19 (cambio euro-dollaro) e ora è pari a 1,12. Volevo capire se, secondo lei, questi parametri esogeni possono influenzare in senso positivo il quadro di crescita macroeconomico.
  Ho un'altra domanda riguardante il moltiplicatore dei trasferimenti, che effettivamente voi stimate allo 0,7 per cento. Le chiedo un commento riguardo un possibile moltiplicatore stimato allo 0,1 per cento per lo stesso tipo di trasferimento che altre istituzioni, che sentiremo in questa sede, hanno posto nella loro analisi. Vorrei sapere se un moltiplicatore allo 0,1 per cento rispetto a una misura di trasferimento così importante non sia una sottostima.

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  SILVANA ANDREINA COMAROLI. Ringrazio il presidente Franzini per la sua relazione.
  Vorrei chiederle se avete avuto modo di effettuare raffronti tra le cause e i fattori principali che evidenziano il diverso andamento dell'economia degli Stati Uniti, dove vediamo che effettivamente il PIL cresce in misura molto notevole rispetto alla situazione dell'Italia che, come abbiamo visto anche negli anni scorsi, ha avuto un PIL inferiore rispetto alla media europea. Vorrei sapere quali sono i fattori che, secondo l'ISTAT, hanno inciso maggiormente su questa differenza.

  ANTONIO SACCONE. Buongiorno, presidente. Più che porle una domanda, avrei bisogno di un chiarimento. In merito al reddito di cittadinanza, lei ha detto che «investendo» la metà, più o meno, di un punto percentuale di PIL (di 16 miliardi la metà è 0,8), gli effetti benefici che vanno a incidere sul PIL si misurano più o meno pari allo 0,2 per cento. L'ISTAT scrive questo nella sua relazione. Se va tutto benissimo, si può sperare in uno 0,3, quindi non in uno 0,5 per cento come ci si aspetterebbe.
  Dopodiché, ha proseguito dicendo una cosa che ritengo esageratamente preoccupante, specificando che ciò sarà possibile nel caso in cui non ci dovesse essere una rimodulazione del tasso di interesse. Nel caso in cui, invece, questo dovesse avvenire – purtroppo, potrebbe seriamente essere rivisto il tasso di interesse – l'incidenza sul PIL di questo provvedimento sarebbe pari a zero. Volendo essere ottimista, sarebbe pari allo 0,001 per cento.

  BEATRICE LORENZIN. Vorrei intervenire formulando una domanda specifica sull'ultimo punto che il presidente Franzini ha toccato, cioè sulla crisi demografica in Italia. Credo – chiedo a lei se convenga con me – che essa, tra l'altro, impatti su altre questioni strutturali, come la sostenibilità del sistema previdenziale, sul sistema futuro dello sviluppo economico del Paese (consumi e lavoro) e, non ultimo, sul tema della sostenibilità del sistema sanitario nazionale, legato, ovviamente, al calo dei giovani, ma soprattutto a un aumento della domanda sanitaria crescente per quanto riguarda la popolazione over 65 nel nostro Paese.
  Per quanto riguarda le coorti delle donne fertili, lei ha illustrato con brevissimi cenni il loro crollo, la loro caduta negli ultimi quarant'anni. I numeri che l'ISTAT ci aveva fornito anche lo scorso anno, oltre che in merito alle nascite, in merito anche alla previsione della diminuzione delle coorti e della diminuzione dei nati nei prossimi dieci-quindici anni sono piuttosto allarmanti.
  Alla luce del fatto che voi avete una panoramica, una visione generale del sistema italiano, mi chiedo se quella delle misure per la natalità, quindi delle misure prettamente di incentivo demografico, rappresenti una necessità primaria nel sistema Paese, non solo per l'attualità, ma per il prossimo futuro. Le chiedo se abbiamo bisogno, quindi, di una riforma strutturale e profonda (potremmo pensare al modello francese) per quanto riguarda le misure di natalità.
  Rispetto a questa domanda, registro oggi che è stato eliminato con un emendamento, pare, il bonus bebè, che era sicuramente soltanto un gancio rispetto a misure di natalità necessarie più complessive. Però c'era. Ho letto la proposta per incentivare il terzo figlio con l'offerta di un campo agricolo, però, per esempio, non ci sono misure sul secondo figlio. A prescindere dal fatto che, per quanto riguarda il terzo figlio (come lei ci ha detto, sono soltanto 50.000), devono nascere prima i secondi, non so quanti potrebbero fare gli agricoltori. Per quanto riguarda i secondi figli, invece, credo ci sia la necessità di lavorare sull'aumento delle nascite del secondo bambino.
  Vorrei sapere da voi, anche in base alle stime, quanto questo potrebbe impattare sulle altre politiche. Si tende a considerare le misure demografiche soltanto come un qualcosa di legato alla famiglia. In una mentalità come quella italiana, quindi, rimane quasi una questione privata.
  Il tema delle misure demografiche, invece, mi dica se sbaglio, credo impatti sul Pag. 11resto dell'economia italiana e sulla sostenibilità del sistema di welfare per i prossimi decenni.

  STEFANO FASSINA. È molto utile la micro-analisi degli effetti, in particolare, dei provvedimenti fiscali. Credo ci sia materia di riflessione, soprattutto per quanto riguarda il costo delle diverse fonti di approvvigionamento delle attività delle imprese. L'effetto delle misure introdotte e delle misure abolite è preoccupante, viste anche le caratteristiche della congiuntura.
  Un chiarimento e due domande specifiche. Il chiarimento riguarda il moltiplicatore del cosiddetto «reddito di cittadinanza». Chiaramente mancano dettagli, quindi non è facile capire, però, se il trasferimento fosse concentrato sui nuclei familiari poveri, perché non potremmo stabilire di prevedere una proporzione più alta dello 0,7 in consumi? Quali sono le ragioni per le quali una famiglia in povertà assoluta non dovrebbe spendere il cento per cento del trasferimento che ottiene? Vorrei anche capire l'ulteriore riduzione del moltiplicatore nella simulazione relativa ai 9 miliardi, per la quale si dice che l'effetto incrementale sul PIL sarebbe dello 0,2 per cento.
  Infine, le rivolgo due domande. In realtà, sono due richieste di approfondimenti. La prima richiesta di approfondimento riguarda il regime forfettario. Quali variazioni, in termini di debito d'imposta, implica il regime forfettario? Sarebbe interessante saperlo facendo qualche differenziazione tra le diverse tipologie di imprese o realtà territoriali.
  La seconda domanda, che in realtà è molto connessa al cosiddetto «reddito di cittadinanza», che vorrebbe essere uno strumento di attivazione di lavoro, riguarda la stima della capacità produttiva inutilizzata nel Mezzogiorno. Come alcuni di noi hanno messo in evidenza, la disoccupazione nel Mezzogiorno non è un problema di mismatching tra domanda e offerta di lavoro, ma di drammatica carenza di domanda di lavoro da parte delle imprese. Quindi, sarebbe utile avere una stima della capacità produttiva inutilizzata.

  PIETRO CARLO PADOAN. Rivolgo un ringraziamento particolare al presidente Franzini. L'appetito vien mangiando: avete fatto molti esercizi di simulazione, ma molti altri si potrebbero fare. È molto importante capire le ipotesi che si profilano rispetto alle varie misure, dirette e indirette.
  Lei mi scuserà, presidente Franzini, se contribuisco ad alimentare l'elenco delle possibili richieste. Prima di fare questo elenco, però, ho una richiesta più generale: se lei potesse elaborare un po’ di più questo dato che oggi avete confermato, quello sull'andamento della produzione industriale, che è fonte, ovviamente, di preoccupazione. Mi rendo conto che è una domanda a cui è difficile rispondere in senso tecnico, però sarebbe utile avere un'idea se si tratta di un blip, una caduta temporanea, sia pure abbastanza violenta, o se riflette qualcosa di più profondo.
  Per quanto riguarda le altre cose da fare, mi permetto di elencarne quattro. Mi piacerebbe sapere da voi quali impatti prevedete. Intanto, il tema del costo del finanziamento, che è stato già sollevato da alcuni colleghi. Viviamo in un mondo in cui tutto il sistema finanziario è stato impattato dal mutamento di aspettative e di clima. Questo mutamento di aspettative e di clima non cambia. I costi di finanziamento per tutti gli agenti dell'economia sarà più alto da qui in avanti. La domanda è se voi avete intenzione o possibilità di fare valutazioni di questo impatto, visto che lei citava nella sua relazione anche l'ipotesi che non ci fossero ulteriori aumenti dei tassi di interesse, cosa che, evidentemente, purtroppo, non è prevedibile nel breve termine.
  Vi sono altre questioni. Avete fatto un'analisi dell'impatto sui prezzi delle clausole di salvaguardia? Avete in mente o potete (o volete) fare una valutazione sulle quantità di questo impatto delle clausole di salvaguardia? Il moltiplicatore è oggetto di controversie continue anche con il Ministro dell'economia e delle finanze. C'è una parte importante della strategia del Governo, quella legata agli investimenti pubblici, che sono di dimensione limitata, ma che beneficiano, nelle intenzioni del Governo, di investimenti già stanziati e non mobilizzati Pag. 12da precedenti Governi. Quali sono le vostre ipotesi, se ci sono, di moltiplicatori specifici degli investimenti pubblici?
  Infine, c'è un aggravio fiscale, come lei ricordava, dovuto a varie misure o a varie «non misure». Vorrei sapere se questo aspetto può essere isolato dal punto di vista dell'impatto sull'attività economica.

  ANDREA MANDELLI. Intervengo per mettere in fila alcune questioni dell'interessante relazione che abbiamo sentito. Parto dalla prima. Dalle simulazioni che l'ISTAT ha fatto, mi sembra di intendere – non ho guardato, ovviamente, tutte le tabelle per motivi di tempo – che ci sia, tutto sommato, un aumento della pressione fiscale in generale sulle aziende. Quindi, a conti fatti, non vedo segnali così positivi per il futuro.
  Allo stesso modo, credo di dover verificare, al netto della domanda che ha fatto il mio collega di Forza Italia, qualche perplessità anche sul reddito di cittadinanza, anche con riferimento all'impatto previsto. Vorrei avere una conferma in merito a queste due sensazioni.
  Terza questione. Partendo dalle analisi sulla crescita delle spese out of pocket in sanità (che non sono riferite nella vostra illustrazione perché non rappresentano il tema di questa audizione, però qualche dato l'ho visto nelle settimane scorse) e aggiungendo un aumento della spesa sanitaria personale, che non rientra nel Servizio sanitario nazionale, mettendola in relazione alla rinuncia della popolazione a curarsi a causa delle lunghe liste d'attesa, ma forse anche a causa della disparità che si viene a creare, finisce che il cittadino deve pagare sempre più di tasca propria per avere prestazioni. Dall'altro lato, invece, vedo una crescente disaffezione alle cure, soprattutto al Sud.
  Questi dati riferiti ai tempi d'attesa li ritenete più in generale un problema sanitario di tenuta del sistema italiano? Quest'anno ricade il quarantesimo anniversario dell'istituzione del Servizio sanitario nazionale, una conquista fondamentale per la democrazia del nostro Paese. Qualche interrogativo sulla tenuta del sistema con questi dati comincio a pormelo in modo sempre più frequente.

  DANIELE PESCO. Vorrei chiedere un commento sulle clausole di salvaguardia, nate nel 2011 con lo scopo di ordinare i conti pubblici. All'epoca si parlava di una riduzione di spesa di 20 miliardi di euro che, alla fine, è stata - come è successo negli anni successivi - bypassata o evitata non tramite maggiori entrate, ma tramite maggiore indebitamento. Se facciamo la somma di questo maggiore indebitamento, arriviamo a quasi 100 miliardi di euro di maggiore indebitamento, che portano, a regime, a circa 3 miliardi di interessi in più sul nostro debito pubblico ogni anno.
  La questione è stata affrontata con tentativi di misure di austerità, nel senso che si è cercato di ridurre la spesa, ma non si è riusciti. Magari avremmo potuto avere effetti migliori se fin dall'inizio si fossero pensate misure espansive, cosa che non è avvenuta.
  A questo punto, mi pongo una domanda. È efficace avere queste clausole di salvaguardia? Visto che alla fine si ricorre comunque all'indebitamento, quindi si pagano maggiori interessi sul nostro debito pubblico, qual è l'esito di queste clausole di salvaguardia dal 2011 a oggi?

  PRESIDENTE. Grazie, presidente. Approfitto anch'io della sua disponibilità. Sempre in merito ai moltiplicatori – magari a qualcuno sfugge cosa voglia dire un moltiplicatore allo 0,2 –, ma se interpreto bene, dato il fatto che un punto di PIL è pari a circa 18 miliardi nominali, un aumento di PIL dello 0,2 implica un moltiplicatore dello 0,4 circa. Mi conforta anche l'onorevole Fassina. In buona sostanza, 9 miliardi di euro equivalgono allo 0,5 per cento di PIL, giusto per intendersi.
  Se allo 0,5 per cento di PIL corrisponde un incremento di PIL dello 0,2, significa che il moltiplicatore è pari a 0,4. A me tutto questo sembra molto strano, anche a prescindere dal provvedimento. Significa che, in buona sostanza, su un euro ce ne sono 0,6 che svaniscono dal prodotto interno lordo. Pag. 13
  Io non trovo riferimenti nella letteratura scientifica per una cosa del genere, specialmente in condizioni di tassi di interesse abbastanza vicini allo zero e in situazioni molto lontane dalla piena occupazione e da una espansione economica. Non dico questo perché si fa riferimento al reddito di cittadinanza, varrebbe lo stesso se si scavasse una buca per strada e la si ricoprisse.
  Faccio fatica a capire come ciò possa concordarsi anche con il fatto che il vostro modello si riferisce normalmente a un moltiplicatore pari a 0,7, ciò implica anche che la spesa pubblica italiana non sia sempre un modello di efficienza.
  Quindi, si considera, per quello che riguarda il reddito di cittadinanza, ma anche probabilmente relativamente ad altre misure, un moltiplicatore che è la metà di quello che normalmente si usa per la spesa pubblica. Mi piacerebbe sapere se il moltiplicatore allo 0,7 è corretto per il tasso di interesse o se è variabile a seconda della crescita o della decrescita dei potenziali di crescita, perché – lo ripeto – è piuttosto basso.
  C'è tanta letteratura scientifica che indica, rispetto a situazioni in cui si è piuttosto lontani dal potenziale di crescita normale, dei moltiplicatori che normalmente sono pari circa a uno. Mi piacerebbe capire bene l'origine di questa decisione.

  MAURIZIO FRANZINI, presidente dell'ISTAT. Grazie mille per tutte le domande. Naturalmente non risponderò a tutte le domande che richiederebbero un tempo infinito, ma cercherò di dire le cose essenziali. Siccome molte domande riguardano i moltiplicatori, farei rispondere chi ne sa più di me del modello che viene utilizzato dall'ISTAT. Chiederei, quindi, a Roberto Monducci di provare a rispondere.

  ROBERTO MONDUCCI, direttore del dipartimento per la produzione statistica dell'ISTAT. Il tema è abbastanza complesso, però ci sono anche effetti di arrotondamento.
  Non vorrei banalizzare questi conteggi, però ci sono anche effetti di arrotondamento sulle cifre che poi possono far scalare un decimale in più o in meno rispetto a quello che calcoli piuttosto immediati potrebbero realizzare. In ogni caso, il tema è questo: noi abbiamo un modello macro econometrico abbastanza complesso.
  Il nostro modello è in linea sostanzialmente con la letteratura sulla modellistica di questo tipo. Questo moltiplicatore dello 0,7 sulla spesa pubblica è assolutamente condiviso in generale. Rispetto all'impatto sul reddito di cittadinanza, è evidente che il passaggio da un trasferimento alla spesa effettiva e in che cosa viene poi declinata la spesa effettiva, per esempio beni di importazione, porta a una perdita progressiva di impatto, che abbiamo stimato nella dimensione descritta.
  In ogni caso, quei 9 miliardi di euro generano plausibilmente un aumento di PIL dello 0,3 per cento, al netto, quindi, di tutti gli effetti di attrito, di perdita di presa sull'attività produttiva che ci si possono attendere da provvedimenti di questo genere. Secondo noi, la valutazione è abbastanza in linea. Poi possiamo anche produrre ulteriori approfondimenti, distinti per componente. Se volete, possiamo produrre un piccolo dossier proprio sulle caratteristiche del modello, che cosa ci dice, e accettare i vostri suggerimenti in termini di simulazione.
  Ho sentito parlare di investimenti pubblici, quindi possiamo lavorare sul modello in modo tale che renda al massimo un servizio di quantificazione. Tuttavia, non rileviamo onestamente problemi particolari di disallineamento.
  Vorrei sottolineare soltanto una cosa, però, riguardo agli interessi. Chiaramente, questa simulazione è unilaterale. Abbiamo preso in considerazione il lato della spesa senza effetti di retroazione. Chiaramente i tassi di interesse potrebbero aumentare. In questo caso, ci potrebbe essere una stima di un impatto dello 0,7 per cento negativo sul PIL a fronte di un aumento di 100 punti base dei tassi di interesse. Anche questo caso è da verificare, da declinare. Chiaramente non parliamo di spread o di tassi d'interesse sul debito pubblico, parliamo di tassi d'interesse che fanno riferimento al Pag. 14finanziamento del sistema economico, quindi delle imprese, sostanzialmente. Questo è il balance che abbiamo.
  Per quanto riguarda il reddito di cittadinanza, è evidente che anche il dispositivo, come abbiamo scritto nel testo, cioè la capacità direttamente di generare consumi, e che tipo di consumi, può fare la differenza in termini di effetti espansivi.

  MAURIZIO FRANZINI, presidente dell'ISTAT. Non so se siete soddisfatti di questa risposta. La materia dei moltiplicatori è una materia molto complessa, molto calda. Vorrei solo aggiungere una considerazione, che è quella per la quale la valutazione dei provvedimenti ovviamente va fatta in base anche ad altri parametri, non soltanto a quello dell'impatto macroeconomico, che possono avere e questo vale, in particolare, per le misure di cui stavamo parlando.
  Provo a rispondere rapidamente alle altre domande, per quello che sono in grado di fare, cercando di tenere separate le mie personali convinzioni da quelle che possono risultare sulla base delle competenze dell'ISTAT.
  Gli effetti del prezzo del petrolio e del tasso di cambio nel deprezzamento del cambio sono sicuramente rilevanti dal punto di vista dell'impatto inflazionistico, come dicevo prima l'andamento dell'inflazione rimanda a queste due dinamiche. In particolare, questo non è solo un problema italiano, ma è un problema europeo.
  Quanto agli effetti reali di queste dinamiche, ci potremmo aspettare effetti di segno opposto dal deprezzamento, da un lato, e dall'aumento del prezzo del petrolio, dall'altro. Non abbiamo fatto stime, però si potrebbe in qualche modo approfondire questo tema. Ripeto, l'impatto immediato e più rilevante è quello sull'inflazione.
  Per quanto riguarda il confronto tra le dinamiche degli Stati Uniti e le dinamiche europee, italiane in particolare, ci vorrebbe un seminario per rispondere adeguatamente a questa domanda. Non vi è dubbio che il quadro macroeconomico statunitense – mi riferisco anche ai deficit e ai debiti pubblici americani – e il quadro macroeconomico europeo sono profondamente diversi, così come sono profondamente diverse alcune misure di protezione dell'industria statunitense rispetto a quella europea.
  Abbiamo recentemente visto i dati sulla dinamica della crescita tedesca, in cui si sentono gli effetti negativi della crescita americana via protezione e riduzione delle esportazioni. La ridotta dinamica delle esportazioni italiane nei confronti dell'area extra Unione europea risente anche di queste misure che sono, almeno nell'immediato, di vantaggio per gli Stati Uniti. Gli elementi sono quindi moltissimi, ma i due di cui parlavo, cioè una forma di protezione dell'economia americana e una forma di indebitamento e di deficit sostenuti, hanno un rilievo notevole per spiegare queste differenze.
  In merito alla domanda in tema della denatalità, tutte le cose che l'onorevole Lorenzin diceva sono tali da suscitare le nostre preoccupazioni, che già su questo tema erano alte. Vi ricordo che il problema della denatalità in Italia assume contorni particolarmente gravi, ma non è un problema esclusivamente italiano, è un problema che ha rilevanza anche in altri Paesi, i quali hanno preso delle misure.
  Quello che vorrei dire qui, non come ISTAT ma da ricercatore, è che le analisi che noi abbiamo a livello internazionale sull'efficacia delle misure nei confronti della denatalità portano a sostenere che le misure più efficaci sono quelle che tendono a migliorare le condizioni di inserimento delle donne nel mercato del lavoro piuttosto che quelle che mirano direttamente a sostenere la natalità. Le ragioni possono essere spiegate in maniera diversa, però emerge questo tipo di risultato, per cui è meglio favorire le condizioni economiche delle donne attraverso l'inserimento nel mercato del lavoro.
  Dopodiché gli effetti che lei menzionava sul sistema previdenziale e su moltissime altre condizioni rilevanti per il benessere di un Paese sono senz'altro fondati, però non dimentichiamo che l'aumento di popolazione di per sé non significa aumento di occupazione, quindi, se non avessimo un'economia dinamica, quegli effetti sarebbero probabilmente più limitati. Pag. 15
  Per quanto riguarda quanto diceva l'onorevole Padoan, relativamente al fatto se ci dobbiamo preoccupare o meno dell'andamento industriale, ho citato il dato di settembre perché conferma le tendenze in atto da qualche tempo. Ho citato gli indici anticipatori del ciclo che vanno in una direzione non favorevole e non positiva. Ho citato le difficoltà delle esportazioni, che sono un elemento importante, che riguardano in particolare il settore della produzione industriale. Guarda caso, va bene il settore delle costruzioni, cioè vanno bene settori nei quali alcune delle dinamiche negative esogene si manifestano con minore intensità.
  La mia valutazione non deriva, quindi, da un approfondimento specifico che abbiamo fatto in termini prospettivi, ma tale valutazione, sulla base degli indizi che abbiamo, è che non si tratti di una cosa leggerissima. Gli approfondimenti sui quattro punti che ha menzionato l'onorevole Padoan sicuramente sono tutti rilevanti e li proporremo alla nostra squadra.
  La successiva domanda riguardava largamente i moltiplicatori, quindi in parte ha avuto risposta. Sulla pressione fiscale, il dato che ho portato riguardo all'aumento del debito d'imposta è sostanzialmente in linea con l'idea che la pressione fiscale non diminuisca in seguito a questi provvedimenti.
  La pressione fiscale è naturalmente un concetto più ampio di quello che abbiamo esaminato ora, perché questo riguarda soltanto alcuni provvedimenti, però l'impatto che questi provvedimenti possono avere sul debito d'imposta delle imprese è tale da rendere più gravoso questo debito per un gran numero di imprese.
  Quanto dipendano da questo i tempi attesa, c'è un problema più strutturale? Certamente la risposta è positiva: i tempi di attesa dipendono anche dalle risorse di cui si dispone, dal modo in cui è organizzato il servizio, e le modalità con cui si interviene dovrebbero avere attenzione particolare a questo insieme di cause.
  Come dicevo, la combinazione di difficoltà economiche (lei menzionava anche questo aspetto) e di organizzazione che prolunga i tempi di attesa è tale da generare un disagio molto forte nei confronti di segmenti di popolazione molto deboli, cioè quelli poveri e quelli malati, il che evidentemente è qualcosa che andrebbe corretto.
  Sulle clausole di salvaguardia mi sembra che ci si chiedeva se fossero meglio le clausole di salvaguardia o l'austerità, ma è difficile rispondere in due battute, perché ci vorrebbe un confronto accurato sia delle modalità con le quali le due misure vengono attuate, sia dell'intensità delle due misure, che non sono necessariamente confrontabili.
  Quello che però si può senz'altro dire è che, per confrontare la preferibilità di una misura rispetto all'altra bisognerebbe, come in molti altri casi, valutare l'impatto delle misure alternative, che non è zero. Infatti, solitamente si pensa che se non si adotta una misura non succede niente, mentre si devono fare altre cose e gli effetti devono essere in qualche modo valutati.
  Sulla domanda dei moltiplicatori ha risposto più o meno il dottor Monducci, però – ripeto – quella dei moltiplicatori è una materia particolarmente scottante, su cui approfondimenti sono indispensabili.
  Quello che diceva il dottor Monducci, produrre analisi verificabili e discutibili in modo più dettagliato anche al confronto con chi raggiunge risultati diversi, mi sembrerebbe una buona strada per arrivare a un consenso più generale su questa tematica.
  Spero di avere almeno abbozzato le risposte alle domande che mi avete posto.

  PRESIDENTE. Grazie, presidente.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti della Corte dei conti

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio per il 2019-2021, l'audizione, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del Regolamento della Camera, di rappresentanti della Corte dei conti. Pag. 16
  Abbiamo il piacere di avere qui con noi il presidente della Corte dei conti, Angelo Buscema, che ringrazio personalmente e a nome di tutti i commissari.
  Ringrazio anche per la presenza i consiglieri Flaccadoro, Romano, Chiorazzo, Palomba, Benedetti e Marletta, che ci fanno la cortesia di essere presenti ad adiuvandum.
  Lascio la parola al presidente per la relazione.

  ANGELO BUSCEMA, presidente della Corte dei conti. Darò lettura di un documento che è stato approvato dalle Sezioni riunite della Corte dei conti. Come di consueto, la Corte, in vista dell'audizione, procede a sottoporre un documento alle Sezioni riunite. Il documento depositato è molto ampio. Considerando anche i tempi dell'audizione, ne leggerò soltanto una parte, rinviando, per quanto riguarda il resto, al documento scritto.
  Mi riserverò, eventualmente, in sede di dibattito, di rispondere alle domande. Magari chiederò ai colleghi, ciascuno per la parte che ha trattato, di intervenire su domande e punti specifici.
  Il disegno di legge oggetto dell'odierna audizione rappresenta l'elemento centrale di una mutata strategia di fiscal policy. Il tratto distintivo del nuovo percorso consiste nella scelta di derogare al perseguimento del pareggio strutturale di bilancio previsto dagli accordi europei nel medio termine e puntare ad una maggiore crescita, affidandosi prevalentemente all'espansione della spesa pubblica finanziata in deficit.
  Già in sede di esame della Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza, la Corte ha segnalato gli stretti margini di sicurezza offerti prima facie da tale impostazione al proseguimento della discesa del rapporto debito/PIL e sottolineato come un giudizio organico sul nuovo progetto sarebbe comunque dipeso dalla qualità delle misure proposte ed approvate.
  Con la presentazione del decreto-legge n. 119 del 2018, recante «Disposizioni in materia fiscale», è iniziata nelle settimane scorse la concreta messa a punto del primo tassello della manovra, sulla quale la Corte ha già avuto modo di riferire nella Commissione finanze del Senato. Il contributo che offriamo oggi al Parlamento si ricollega per gli aspetti generali al parere già espresso sulla Nota di aggiornamento e, per i profili specifici, ad alcune osservazioni già prospettate in materia fiscale, che vengono ora contestualizzate nell'ambito dell'analisi del comparto di entrata dell'intera manovra.
  La decisione di dedicare al reddito di cittadinanza specifici provvedimenti normativi (disegni di legge, collegati e altro) priva il disegno di legge di rilevanti componenti informative sul fronte della spesa. Pertanto, l'analisi qualitativa della stessa deve essere per tali parti necessariamente rinviata.
  Prima di passare all'esame della struttura complessiva della manovra e a una valutazione delle sue principali misure, appare utile richiamare i tratti salienti del quadro economico generale nel quale essa viene oggi a collocarsi. Il complesso delle informazioni tutt'oggi disponibili sembra confermare che, a partire dalla scorsa estate, le attività economiche hanno registrato un rallentamento dell'intera area dell'euro, e in Italia in misura più accentuata.
  Per il nostro Paese il dato più significativo è, naturalmente, la stima del PIL per il terzo trimestre che segna una stagnazione rispetto ai tre mesi precedenti e una crescita tendenziale dei primi nove mesi pari all'1 per cento. L'effetto contabile di trascinamento per il 2019 potrebbe essere a fine anno molto modesto, con la conseguenza che l'obiettivo di crescita dell'1,5 per cento per il 2019 richiederebbe una ripartenza particolarmente vivace o una ripresa duratura.
  In conclusione, al di là delle quantificazioni degli effetti della manovra, il tema cruciale, in questa fase, è l'entità del deterioramento in atto nelle tendenze economiche di fondo, quindi il possibile risvolto del quadro di finanza pubblica a legislazione vigente.
  Passiamo alla composizione della manovra. La manovra proposta dal Governo con il disegno di legge di bilancio e con il decreto-legge n. 119 del 2018 è superiore a 36 miliardi di euro nel primo anno. Cresce Pag. 17fino a 39,6 miliardi di euro nel 2020 e a 38,7 miliardi di euro nel 2021.
  Nel 2019 le maggiori spese sono pari a circa 22,6 miliardi di euro e rappresentano poco meno del 63 per cento della manovra. Più dell'80 per cento di queste è relativo a spese correnti. La riduzione delle entrate è di circa 13,5 miliardi di euro. Per il 2019 è determinante il peso delle risorse necessarie per l'abolizione della clausola IVA. Al netto degli importi relativi alla clausola, il rilievo degli interventi di riduzione si ridimensiona considerevolmente: poco più di 900 milioni di euro.
  Nel biennio successivo la composizione muta progressivamente. Il rilievo delle minori entrate, che comprendono una riduzione, seppure parziale, della clausola per 5 miliardi di euro nel 2020 e 4 miliardi di euro nel 2021 si riduce ulteriormente e rappresenta meno del 28 per cento degli impieghi.
  Le maggiori spese superano i 28 miliardi di euro. Cresce il rilievo delle spese in conto capitale. Per il 2021 supera il 30 per cento dei nuovi interventi.
  Nel 2019 la copertura della manovra è assicurata per 14,2 miliardi di euro da nuove risorse e 21,8 miliardi di euro dalle variazioni in aumento dell'indebitamento. Le maggiori entrate previste sono pari a circa 8 miliardi di euro, mentre le riduzioni delle precedenti voci di spesa contribuiscono a poco più di 6 miliardi di euro (meno del 40 per cento delle risorse mobilitate e per il 58 per cento minori spese correnti).
  Nel biennio successivo cresce il rilievo assoluto del contributo assicurato dal ricorso all'indebitamento. Ciò è legato alla riduzione dell'impatto dei tagli alla spesa, che tuttavia mutano la loro composizione. Oltre il 92 per cento della riduzione del 2021 riguarda la spesa corrente.
  Nel complesso, la manovra comporta una riduzione netta di entrate nel 2019 di circa 5,6 miliardi di euro, tre decimi di punto in termini di prodotto. Al netto della clausola, si registra un incremento di gettito di circa 7 miliardi di euro. Nel 2021 la pressione fiscale si riduce a 41,3 per cento rispetto a 42,1 per cento del quadro tendenziale, variazione ascrivibile più alla crescita del PIL programmatico che alla riduzione del gettito atteso dalla manovra, che è di poco superiore a 2,3 miliardi di euro.
  L'aumento della spesa netta (16,3 miliardi di euro nel 2019) è di circa nove decimi di punto in termini di prodotto. Nel complesso, la spesa finale, al netto di interessi, rappresenta il 44,6 per cento del PIL. Il profilo di crescita del PIL nominale, soprattutto la dinamica della spesa già scontata nel tendenziale, consente di riprendere nel triennio un profilo di riduzione della spesa, nonostante il rilievo crescente degli interventi previsti con la manovra. A fine periodo la spesa finale primaria è di poco superiore al 43 per cento in termini di prodotto, cinque decimi di punto superiore al livello del quadro tendenziale.
  Passiamo alla distribuzione delle risorse tra gli obiettivi della manovra. Le misure previste con la manovra si confermano concentrate su alcuni obiettivi programmatici. Delle maggiori spese, circa il 40 per cento è destinato a interventi per l'inclusione sociale (il reddito di cittadinanza), il 30 per cento alle misure relative alle pensioni e poco meno del 17 per cento a sostegno di investimenti delle amministrazioni centrali e di quelle territoriali. Le restanti quote sono destinate a finanziamenti, a impegni derivanti dalle cosiddette «politiche invariate», a interventi particolari nel settore di spesa (sanità, scuola, spettacolo e sport), che pesano per il 3 per cento nelle maggiori spese, e al personale pubblico, sia in temi di nuove assunzioni che di rinnovo dei contratti.
  Nel biennio successivo il peso degli obiettivi muta in misura significativa. Si riduce dal 72 al 60 per cento quello del complesso degli interventi per il lavoro, l'inclusione sociale e la previdenza, mentre crescono soprattutto le risorse destinate all'investimento (il 21 per cento nel 2020 e il 24 per cento nel 2021) e il rifinanziamento di autorizzazioni di spesa.
  Egualmente molto concentrato è il quadro delle minori entrate. Nel 2019 il 93 per cento delle riduzioni è assorbito dalla detrazione delle clausole IVA e accise. Di rilievo ancora marginale l'estensione del Pag. 18regime dei minimi, mentre si segnala l'impatto sia della revisione della disciplina delle perdite fiscali, sia dell'estensione della cedolare secca per redditi da immobili ad uso commerciale.
  Nel biennio successivo muta il peso degli interventi. Oltre alla parziale sterilizzazione delle clausole, cresce il rilievo sia dell'estensione del regime dei minimi sia dell'applicazione dell'aliquota ridotta del 15 per cento sulla parte del corrispondente agli utili reinvestiti. Delle minori entrate previste (10,5 miliardi di euro), il 34 per cento è riconducibile a tali due interventi.
  Nel 2021, oltre a questo, significativo è il rilievo delle minori entrate connesse alla tassazione separata dal reddito da lavoro autonomo e di impresa, a cui è riconducibile il 10,7 per cento del minor gettito atteso. Anche dal lato delle coperture, la manovra si presenta concentrata su alcune linee di intervento. Sul fronte delle spese, oltre il 58 per cento delle riduzioni, che nel complesso ammontano a 6,3 miliardi di euro, è riconducibile a definanziamenti, riprogrammazioni e tagli previsti sia nel testo normativo che in bilancio. Si tratta, in generale, di numerose riduzioni di importo limitato, a cui si aggiungono i tagli di fondi e le riprogrammazioni degli interventi relativi al Fondo per il cofinanziamento dell'Unione europea e a Rete Ferroviaria Italiana (RFI). Di particolare rilievo è poi l'ammontare del definanziamento del reddito di inclusione, destinato ad essere sostituito dal reddito di cittadinanza. Si tratta di 2,2 miliardi di euro.
  Nel biennio 2020-2021 la riduzione degli effetti attesi da definanziamenti e riprogrammazioni di spesa è in parte compensata dalla crescita dei risparmi da interventi settoriali, in particolare da quelli in campo sanitario, a cui si riconduce nell'ultimo anno un miliardo di euro di minori esborsi rispetto al quadro tendenziale.
  Sul fronte delle entrate, la manovra individua risorse a copertura per poco più di 7,8 miliardi di euro nel 2019. Si tratta, per circa il 28 per cento, degli effetti attesi dalla soppressione di due istituti, l'ACE (aiuto alla crescita economica) e l'IRI (imposta sul reddito di impresa), ma sono soprattutto interventi di aumento nei versamenti di acconto richiesti alle società di assicurazioni, il differimento della deducibilità della riduzione di valore dei crediti e la rimodulazione della deducibilità delle DTA sull'avviamento ad apportare oltre il 50 per cento delle nuove entrate.
  Ancora marginale nel primo anno di programmazione risulta l'apporto relativo alle misure per la pacificazione fiscale e il contrasto all'evasione introdotte con il decreto-legge n. 119 del 2018.
  Importanti sono, poi, le revisioni dei proventi attesi dalla cessione delle frequenze (più 200 milioni di euro), in materia di giochi (più 239 milioni di euro), di tassazione dei tabacchi (più 132,6 milioni di euro): tutti interventi che si valuta assicurino un maggiore gettito permanente nel triennio.
  Anche in questo caso, il rilievo e la composizione delle entrate mutano nel biennio successivo. Esaurito l'effetto dell'aumento degli acconti in riferimento alla riduzione dei crediti, cresce l'effetto attribuito alla posizione dell'ACE e soprattutto alle misure disposte dal decreto-legge n. 119 del 2018, a cui è riferibile nel 2020 il 28,5 per cento delle maggiori entrate, importo che cresce al 42 per cento nel 2021.
  Oltre alla conferma dei gettiti attesi da giochi, frequenze e tabacchi, assume rilievo la modifica della disciplina dei crediti di imposta per ricerca e sviluppo (più 300 milioni di euro annui).
  In merito alle disposizioni in materia di entrate, le disposizioni tributarie contenute nel disegno di legge di bilancio 2019 si articolano in misure che si collegano direttamente a previsioni normative già in essere e a misure che presentano carattere di novità. Della prima tipologia fanno parte la sterilizzazione delle clausole di salvaguardia afferenti l'IVA e le accise, la sterilizzazione dell'aumento delle accise sui carburanti, la proroga e la rimodulazione del cosiddetto «iper-ammortamento», la proroga delle detrazioni fiscali per l'efficienza energetica, per le ristrutturazioni edilizie, per l'acquisto di mobili e per le sistemazioni a verde. Pag. 19
  Sulle misure con carattere innovativo, invece, appare opportuno soffermarsi. L'articolo 4 (estensione del regime forfetario minimo) innova profondamente il regime già previsto per le persone fisiche che esercitano attività di impresa professionali di contenuta dimensione economica (articolo 1, commi da 54 a 89, della legge n. 190 del 2014). L'ammontare dei ricavi o compensi entro i quali il regime forfetario è applicabile, attualmente differenziato tra 25.000 e 50.000 euro in ragione delle diverse attività identificate mediante codici ATECO, viene uniformato e innalzato a 65.000 euro per tutte le categorie economiche. Il mancato superamento di tale ammontare di ricavi per il periodo d'imposta precedente costituisce, ora, l'unico presupposto per l'applicazione del regime, venendo meno gli altri requisiti costituiti dal ridotto ammontare dei beni strumentali e delle prestazioni di lavoro utilizzate dall'attività.
  Vengono, poi, rafforzate le disposizioni volte a prevenire comportamenti opportunistici ed abusi, prevedendo preclusioni per chi fa parte di imprese familiari o è socio di società di persone o a responsabilità limitata, nonché per coloro che svolgano attività prevalentemente a favore di un soggetto già datore di lavoro e contribuente nel biennio precedente o nei confronti di altri soggetti comunque riconducibili allo stesso datore di lavoro.
  Nessuna modifica subisce la misura dell'imposta sostitutiva dell'IRPEF e dell'addizionale dell'IRAP, che resta stabilita al 15 per cento a regime e viene ridotta al 5 per cento per i primi cinque anni di attività.
  Con l'aumento dei limiti di applicabilità, in diversi casi più che raddoppiati rispetto a quelli attuali, il regime forfetario potrebbe riguardare buona parte dei circa 2,4 milioni di persone fisiche che svolgono attività professionale o imprenditoriale in forma individuale, ove si consideri che il volume d'affari medio dichiarato per il periodo d'imposta 2016 da tali contribuenti è appena 91.000 euro.
  Il nuovo assetto normativo suggerisce alcune considerazioni di fondo. In primo luogo, va segnalato come la sempre più estesa applicazione dei regimi sostitutivi, inizialmente riservata ai redditi di capitale e ai redditi diversi di natura finanziaria, poi progressivamente estesa a buona parte dei redditi di lavoro autonomo, di impresa e di fabbricati, stia ormai sempre più conferendo all'IRPEF la valenza di un'imposta personale progressiva sui redditi di lavoro dipendente e di pensione.
  Nel caso del regime forfetario per le attività di impresa e professionali, il carico tributario che scaturisce dalla forfetizzazione dei costi e delle spese, riconosciuti dunque prescindendo dalla loro effettività e dalla misura dell'aliquota applicata, può risultare inferiore a quello che grava sui redditi di pari importo lordo assoggettati all'IRPEF e alle relative addizionali.
  Dovrebbero, inoltre, essere valutati gli effetti modificativi del mercato del lavoro e i livelli di contribuzione previdenziale che possono derivare dall'ampliamento del regime forfetario, che potrebbero indurre i nuovi contribuenti e le imprese datoriali a preferire l'assoggettamento a tale regime piuttosto che costituire nuovi rapporti di lavoro dipendente.
  Andrebbero considerati pure gli effetti del regime forfetario a seguito del mancato addebito dell'IVA a titolo di rivalsa. Infine, si dovrebbero monitorare le conseguenze derivanti dal venir meno dell'addizionale regionale e comunale dell'IRAP per gli enti destinatari del relativo gettito.
  Con l'articolo 5 viene introdotta, a decorrere dal 2019, un'imposta sostitutiva delle imposte sui redditi sui compensi derivanti da lezioni private e ripetizioni rese da docenti titolari di cattedre nelle scuole di ogni ordine e grado. La disposizione ha l'evidente scopo di far emergere i compensi conseguiti per lo svolgimento di attività didattiche in questione, oggi in gran parte occultati.
  A tale riguardo, preme evidenziare come la misura potrebbe avere maggiore efficacia se si accompagnasse all'introduzione di una specifica detrazione dell'imposta a beneficio delle famiglie sulle quali gravano i compensi. L'introduzione temporanea di una detrazione potrebbe contribuire all'emersione, sia pure parziale, dei redditi. Pag. 20
  Con l'articolo 6 viene istituita, a decorrere dal 2020, un'imposta sostituiva dell'IRPEF, delle addizionali e dell'IRAP per gli imprenditori individuali e gli esercenti arti e professioni che nell'anno precedente conseguono ricavi con compensi superiori a 65.000 euro e fino a 100.000 euro. La misura del tributo è fissata al 20 per cento. Le somme percepite sono escluse dalle ritenute di acconto. Non appare chiaro se tale esclusione dalle ritenute operi anche nel caso di benefici bancari per spese di ristrutturazione edilizia e risparmio energetico introdotte – come è noto – proprio per prevenire numerose omissioni ascrivibili all'impresa operante nei settori di attività interessati.
  Si ripropongono, anche con riferimento a tale regime sostitutivo, le osservazioni circa la coerenza con il principio di progressività del sistema e con i princìpi generali che disciplinano il prelievo tributario.
  Non va trascurato che la nuova disposizione potrebbe riflettersi sullo sviluppo delle attività economiche e sull'auspicata crescita dimensionale delle imprese, considerato il differenziale di imposta che consegue al superamento del limite di 100.000 euro di ricavi e compensi.
  L'articolo 8 concerne la tassazione agevolata degli utili reinvestiti per l'acquisizione di beni materiali e strumentali e per l'incremento dell'occupazione. La disposizione si correla alla contemporanea abolizione, prevista dall'articolo 88 del disegno di legge, dell'aiuto alla crescita economica (ACE). Tenuto conto di quanto emerge nella relazione tecnica alle due norme, il saldo tra le due misure risulta essere, a regime, 851,6 milioni di euro. A tal riguardo, pur non rientrando nel contenuto della norma, si deve segnalare come frequenti modificazioni della normativa volta a favorire la capitalizzazione delle imprese potrebbero incidere sui processi decisionali degli operatori, stante l'esigenza di assimilare compiutamente la portata delle nuove disposizioni e di mettere a punto complesse pianificazioni pluriennali degli investimenti.
  Con l'articolo 9 il regime opzionale della cedolare secca, già previsto per il canone di locazione degli immobili abitativi dall'articolo 3 del decreto legislativo n. 23 del 2011, viene esteso alle unità immobiliari della categoria catastale C1 (negozi e botteghe), con superficie fino a 600 metri quadri. In merito a tale misura, che, oltre ad avvantaggiare i proprietari immobiliari interessati, potrebbe, forse, eliminare una relativa flessione dei canoni e indurre alla locazione di mobili attualmente non locati, si rileva come la stessa confermi la tendenza del legislatore a estendere i regimi sostitutivi.
  Completano il quadro delle maggiori entrate previste dalla manovra quelle del decreto-legge n. 119 del 2018, che contiene un insieme di misure che affrontano la materia della pacificazione e della semplificazione fiscale e dell'innovazione del processo tributario. Le misure previste dal decreto comportano maggiori entrate nette per meno di 150 milioni di euro per il 2019, che crescono ad oltre 1,2 miliardi di euro nel 2010 e a 1,5 miliardi di euro nel 2021. Sono soprattutto le disposizioni relative all'estensione della fatturazione elettronica a garantire nei prossimi anni il contributo più significativo.
  Sul decreto la Corte dei conti si è già espressa rendendo una specifica audizione in sede parlamentare il 31 ottobre scorso. Rinvio, quindi, alle principali osservazioni formulate in quell'occasione dalla Corte.
  Veniamo alla spesa e alle misure per il lavoro, previdenza e inclusione sociale. Di particolare rilievo nell'ambito della manovra sono le misure per il lavoro, l'inclusione sociale, la previdenza e il risparmio. Ai relativi articoli, che vanno dal 21 al 38, va ascritto circa il 60 per cento degli effetti netti sul saldo della pubblica amministrazione. L'insieme delle disposizioni previste rappresenta circa il 40 per cento degli impieghi, mentre supera il 70 per cento come quota delle maggiori spese. La parte di gran lunga prevalente (quasi il 95 per cento) è correlata alla volontà di intervenire in materia di previdenza ed assistenza.
  Con l'articolo 21 vengono creati i presupposti finanziari per tali interventi, disponendo l'istituzione di due fondi, rispettivamente di 9 miliardi di euro per ciascuno Pag. 21 degli anni del triennio per il reddito di cittadinanza e di 6,7 miliardi di euro per il 2019 e di 7 miliardi di euro per il 2020 e il 2021 per la revisione del sistema pensionistico, attraverso l'introduzione di ulteriori forme di pensionamento anticipato e l'incentivazione delle assunzioni di lavoratori giovani.
  Entrambi gli importi costituiscono limiti di spesa iniziali. È previsto, infatti, un meccanismo di intercomunicazione e compensazione tra i due contenitori, con eventuale rideterminazione, se del caso, del limite individuale e fermo restando il vincolo complessivo.
  L'introduzione del reddito di cittadinanza implica maggiori oneri per la finanza pubblica pari a 6,8 miliardi di euro nel 2019 e nel 2020 e a 6,9 miliardi di euro nel 2021.
  Per quando riguarda, invece, gli oneri connessi a interventi per le pensioni, essi vengono considerati pari all'importo del richiamato fondo.
  Il disegno di legge di bilancio 2019 segna la ripresa di una politica espansiva in materia di spesa per il personale. Gli articoli da 28 a 36 prevedono assunzioni straordinarie in deroga in alcuni settori nevralgici della pubblica amministrazione (Ministeri della giustizia, dell'interno, dell'ambiente, magistratura ordinaria e amministrativa, Forze di polizia, Vigili del fuoco, ricercatori delle università, ispettori del lavoro), nonché la quantificazione delle risorse per il rinnovo dei contratti collettivi relativi al triennio 2019-2021 e di quelle correlate al riordino dei ruoli e delle carriere del personale dei Corpi di polizia e delle Forze armate.
  Tali misure, al netto delle spese di funzionamento connesse con le predette assunzioni e di quelle per le procedure concorsuali (4,5 milioni di euro nel 2019 e 4 milioni di euro negli anni 2020 e 2021), nonché delle maggiori entrate tributarie e contributive, determinano effetti finanziari sull'indebitamento netto pari a 448,2 milioni di euro nel 2019, 794,9 milioni di euro nel 2020 e 1.067,8 milioni di euro nel 2021.
  La quantificazione, basata sulle retribuzioni medie riportate nel conto annuale 2016, aggiornate con gli incrementi dell'ultima tornata contrattuale, appare realistica.
  Tali facoltà assunzionali in deroga si aggiungono a quelle ordinarie, che dal 2019 già consentono un tasso di ricambio pari al cento per cento del personale cessato dal servizio. In alcuni casi (magistrati e personale amministrativo del Consiglio di Stato e dei TAR, magistrati ordinari, Vigili del fuoco e, come ho detto, INAIL) viene incrementata, per consentire le nuove assunzioni, la stessa dotazione organica delle istituzioni interessate.
  Considerata l'importanza e la vastità delle nuove facoltà assunzionali, sarebbe stato utile accompagnare le misure in esame, peraltro necessarie per garantire un fisiologico ricambio generazionale ai dipendenti pubblici in settori particolarmente rilevanti, con un programma di riforma e riorganizzazione degli uffici, riprendendo alcuni dei princìpi contenuti nella legge n. 124 del 2015 che, come più volte osservato dalla Corte, ha avuto nei settori interessati dalle norme in oggetto un'attuazione parziale e limitata. Faccio riferimento al riordino e alla razionalizzazione delle Forze di polizia e dei Vigili del fuoco, alla trasformazione delle prefetture in uffici territoriali dello Stato, al riordino della dirigenza pubblica.
  Si osserva, inoltre, che la prevista ampia immissione di personale sembra destinata a determinare costi aggiuntivi di funzionamento. Va poi segnalato l'incremento delle dotazioni organiche dell'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie e delle infrastrutture stradali e autostradali, istituita dall'articolo 12 del decreto-legge n. 109 del 2018 presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, in sostituzione dell'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie, in quanto la dotazione organica, rivista in aumento, era stata fissata, nello scorso mese di settembre, dal decreto-legge citato.
  L'articolo 34 quantifica le risorse necessarie al rinnovo dei contratti collettivi del personale statale per il triennio 2019- 2021 in 1.100 milioni di euro per il 2019, 1.425 milioni di euro per il 2020, 1.775 milioni di Pag. 22euro per il 2021 e a regime, corrispondenti a un incremento a regime di circa il 2 per cento della massa salariale di riferimento.
  Le predette risorse sono comprensive di quelle necessarie per corrispondere l'indennità di vacanza contrattuale: 310 milioni di euro per il 2019 e 500 milioni di euro per gli altri due anni. In termini di indebitamento netto, considerati gli effetti riflessi in termini di maggiori entrate tributarie e retributive e, per il 2019, l'utilizzo di 140 milioni di euro relativi ai residui della precedente tornata contrattuale, il costo del rinnovo dei contratti del personale a carico del bilancio dello Stato è cifrato in 334,8 milioni di euro nel 2019, 476,4 milioni di euro nel 2020 e 656,6 milioni di euro nel 2021.
  Per le restanti amministrazioni pubbliche il costo della tornata contrattuale a carico del bilancio degli enti è stimato in ulteriori 940 milioni di euro nel 2019, 1,2 miliardi di euro nel 2020, 1,4 miliardi di euro nel 2021 e a regime.
  La Corte prende positivamente atto che il Governo ha provveduto alla quantificazione e alla copertura dei predetti oneri, invertendo la prassi finora seguita fin dal primo anno di scadenza della precedente tornata contrattuale.
  La relazione tecnica non chiarisce, peraltro, sulla base di quali parametri è stata effettuata e ritenuta congrua la quantificazione delle risorse per i rinnovi.
  Dalle risorse stanziate per i rinnovi contrattuali vanno detratte quelle necessarie, quantificate in 250 milioni di euro, per continuare a corrispondere il particolare emolumento perequativo in favore delle categorie con reddito più basso previsto dal contratto collettivo vigente. Tale emolumento dovrebbe essere riassorbito all'interno della sottoscrizione di nuovi contratti.
  La norma non chiarisce se questa voce retributiva è destinata a divenire stabile ovvero se il suo mantenimento dipenda dalle decisioni da assumere in sede di contrattazione come è avvenuto nel precedente biennio.
  Veniamo al Fondo per gli investimenti. Nel quadro della strategia di bilancio degli investimenti, già esposta nel Documento programmatico di bilancio 2018, che prevedeva miglioramenti organizzativi e regolatori realizzati anche attraverso una rivisitazione del quadro normativo e la semplificazione delle procedure amministrative, il disegno di legge di bilancio introduce un nuovo Fondo per gli investimenti delle amministrazioni centrali, con una dotazione complessiva di 9,4 miliardi di euro nel triennio 2019-2021 e di 50,2 miliardi di euro in quindici anni, che va ad affiancare l'analogo strumento già previsto dall'articolo 1, comma 140, della legge n. 232 del 2016 e rifinanziato nel 2018.
  Le misure proposte si pongono, dunque, in continuità con quelle già presenti nelle passate ultime due manovre di bilancio. Complessivamente gli strumenti iniettano risorse per oltre 102 miliardi di euro fino al 2033.
  Rispetto al fondo già istituito nel 2017 non vengono individuate, in questa fase, le finalità di investimento, lasciando alle singole amministrazioni richiedenti la selezione, in base ai propri programmi settoriali, di progetti da finanziare. È una scelta che potrebbe comportare una frammentazione degli interventi che non consente di incanalare le risorse disponibili negli ambiti più strategici per lo sviluppo e la crescita del Paese.
  Sotto l'aspetto procedurale, il riparto delle risorse avviene con le stesse modalità previste per il fondo di cui all'articolo 1, comma 140, legge n. 232 del 2016 (tenendo conto, ovviamente, anche dell'intervenuta sentenza della Corte costituzionale n. 74 del 2018), ma con una innovazione del contenuto del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di ripartizione che riguarda l'individuazione delle modalità di eventuale revoca degli stanziamenti non utilizzati entro diciotto mesi dall'attribuzione e la loro assegnazione ad altri interventi.
  Al riguardo si osserva che per l'eventuale distribuzione delle risorse su altri progetti si fa riferimento al criterio dell'appartenenza alle finalità indicate della legge, ma, come detto, questo elemento è assente dall'articolo 15. Pag. 23
  Va considerato che le procedure per la ripartizione e l'assegnazione delle risorse hanno tempi che rischiano di rallentare l'effettiva realizzazione della spesa e quindi l'effetto di stimolo all'economia.
  Mirando all'elemento quantitativo e qualitativo del capitale a disposizione del sistema Italia, le azioni per lo sviluppo e gli investimenti puntano a rafforzare la capacità di programmazione degli interventi pubblici che ne superi la frammentazione, con attento monitoraggio ai tempi di esecuzione delle opere.
  Nel delineare le azioni a sostegno dello sviluppo degli investimenti pubblici e privati, il disegno di legge si occupa di interventi dello Stato in infrastrutture di rilevanza nazionale e di interventi a favore degli enti locali e delle imprese, tenendo conto della struttura dimensionale delle aziende italiane.
  Di particolare rilievo per il riavvio della politica di investimenti è poi il disegno della nuova governance prevista con la manovra. Esso è costituito dalla istituzione, all'articolo 18, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di una struttura di missione per il supporto delle attività del Presidente del Consiglio dei ministri di coordinamento delle politiche del Governo e dell'indirizzo politico amministrativo dei Ministri in materia di investimenti pubblici e privati, denominata InvestItalia.
  Completa il disegno della governance la costituzione, con decorrenza dal 1° gennaio 2019, di una centrale per la progettazione delle opere pubbliche, dotata di autonomia amministrativa, organizzativa e funzionale. La nuova struttura potrà svolgere, su richiesta delle amministrazioni centrali e degli enti territoriali, previa stipulazione di convenzioni e senza oneri diretti di prestazioni professionali per gli enti territoriali richiedenti, compiti di progettazione di opere pubbliche, ai sensi degli articoli 23 e 24 del codice dei contratti pubblici.
  Nelle intenzioni del legislatore la centrale dovrebbe, pertanto, rappresentare un supporto tecnico, soprattutto per quelle amministrazioni che hanno mostrato difficoltà proprio nell'attività di progettazione esecutiva. Questa rappresenta, infatti, una delle fasi nelle quali sono state segnalate, nel corso di monitoraggi effettuati dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, le maggiori criticità e i conseguenti problemi di rallentamento delle procedure di adozione delle opere pubbliche.
  A completare il disegno complessivo del Governo, sul piano della regolazione e semplificazione del quadro normativo, è stato avviato un programma di interventi di revisione delle procedure di appalto, con svolgimento di una consultazione presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per la modifica di specifici istituti del codice dei contratti e il successivo avvio presso il Senato di un'indagine conoscitiva sulla sua applicazione.
  Il comma 4 dell'articolo 16 del disegno di legge introduce una norma modificativa del codice degli appalti, secondo cui l'ambito territoriale di riferimento delle centrali di committenza coincide con il territorio provinciale o metropolitano e i comuni capoluoghi di provincia ricorrono alla stazione unica appaltante, costituita presso le province e le città metropolitane, per gli appalti di lavori pubblici.
  La modifica introdotta potrebbe consentire una facilitazione delle procedure di gara, in particolare nelle amministrazioni territoriali più piccole, con una ricaduta positiva sui tempi di realizzazione degli interventi di manutenzione delle infrastrutture a rischio immediato. Attualmente quasi la metà delle province istituiscono stazioni uniche appaltanti tramite convenzioni con i comuni di piccola dimensione.
  Dal funzionamento del nuovo sistema di governance ci si attende un impatto macroeconomico di breve e medio termine sia in termini di accelerazione degli investimenti già in corso, sia per l'avvio di nuovi investimenti. Lo svolgimento delle tre principali fasi del ciclo degli investimenti, quali la programmazione, l'allocazione delle risorse e la realizzazione dei progetti, seppure impiantato nelle due nuove strutture, andrebbe tuttavia collocato in un quadro definito di ripartizione dei compiti tra i Ministeri coinvolti.
  La scelta di intervenire su una specifica fase del ciclo può produrre, infatti, impatti Pag. 24diversi sull'efficacia dell'investimento. Sarebbe, pertanto, opportuno arrivare a definire, in una forma estesa, nell'ambito di successivi passaggi normativi, le modalità con cui si intende dare attuazione ai nuovi compiti attribuiti sia alla centrale che alla nuova struttura di missione, anche in relazione alle competenze, ai soggetti istituzionali responsabili e al livello centrale e territoriale.
  In un sistema caratterizzato da un elevato grado di decentramento, del resto, l'introduzione delle nuove procedure richiede adeguati meccanismi di coordinamento tra i diversi livelli di governo, soprattutto in ambiti in cui gli strumenti di programmazione e di pianificazione, nonché le prassi di collaborazione tra soggetti interistituzionali, sono consolidate nel tempo.
  Vediamo ora le misure per gli enti territoriali. Il complesso delle norme che riguardano gli enti territoriali è volto ad incidere sulla ripresa degli investimenti, superando, anche in ragione della necessità di adeguarsi alle recenti sentenze della Corte costituzionale, le regole sul contributo degli enti agli obiettivi di finanza pubblica che, dal 2016, hanno sostituto il patto di stabilità interno.
  Le disposizioni della legge n. 243 del 2012 hanno finora previsto per tali enti un saldo non negativo in termini di competenza tra entrate e spese finali, meccanismo che avrebbe dovuto favorire le scelte d'investimento attraverso maggiori spazi finanziari e l'eliminazione dei vincoli ai pagamenti per spese in conto capitale.
  Come rilevato dalla Corte, da ultimo, nel Rapporto 2018 sul coordinamento della finanza pubblica dello scorso luglio, con la nuova regola fiscale non sono emerse nel 2016 e nel 2017 difficoltà per l'insieme degli enti di ciascuna regione, semmai essi non hanno utilizzato tutti gli spazi di cui disponevano, raggiungendo risultati di bilancio ampiamente più favorevoli di quanto richiesto, anche giovandosi degli spazi finanziari ceduti e acquisiti nell'ambito dei patti regionali e nazionali.
  Per le regioni, l'eccedenza sull'obiettivo è stata di 3,9 miliardi di euro, per le province e le città metropolitane di 392 milioni di euro. I comuni hanno presentato la maggiore differenza tra risultati conseguiti e obiettivi, sia in termini assoluti che in rapporto alla spesa: 4,3 miliardi di euro, il 6 per cento della spesa. Nonostante ciò, la spesa in conto capitale stenta ancora a riprendere vigore. Anche i dati sui pagamenti degli investimenti fissi lordi, relativi al terzo trimestre del 2018, mostrano per gli enti locali ancora una flessione rispetto allo stesso periodo del 2017, seppure contenuta (meno 0,2 per cento). In controtendenza sono le regioni che segnano una crescita significativa (più 14,1 per cento) rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.
  Il disegno di legge dedica a regioni ed enti locali diverse disposizioni finalizzate fondamentalmente alla semplificazione e al rilancio degli investimenti. Solo due articoli prevedono oneri per la finanza pubblica ed è su questi che si svolgono alcune considerazioni.
  L'articolo 60 rivoluziona i princìpi di coordinamento, definendo nuove modalità di concorso dell'autonomia territoriale alla realizzazione degli obiettivi della finanza pubblica. Dal 2019 le regioni a statuto speciale, le province autonome e gli enti locali, e dal 2021 anche le regioni a statuto ordinario, saranno considerati in equilibrio, sia in termini di contabilità finanziaria sia ai fini del concorso alla manovra di finanza pubblica, in presenza di un risultato di competenza non negativo rilevato secondo le modalità previste dal decreto legislativo n. 118 del 2011 nell'allegato 10 del rendiconto di gestione.
  Il riferimento a un unico saldo, quello previsto dalla contabilità armonizzata, rappresenta una semplificazione significativa del quadro normativo.
  Va, tuttavia, osservato come esso implichi la considerazione delle poste dell'indebitamento tra quelle valide per gli equilibri, in contrasto con i princìpi stabiliti sia dall'articolo 9, che non prevede l'inclusione, sia dall'articolo 10, comma 3 e seguenti, della legge rinforzata n. 243 del 2012, che fissa limiti e modalità per il finanziamento Pag. 25degli investimenti con ricorso all'indebitamento.
  Nell'ottica di semplificazione, il comma 5 dell'articolo 60 dispone la disapplicazione dal 2019 di gran parte delle norme che disciplinavano le modalità di attuazione del pareggio, previste dalla legge n. 232 del 2016: gli adempimenti connessi al monitoraggio e alla certificazione, il sistema sanzionatorio e premiante, la regolazione degli spazi finanziari aggiuntivi, i controlli della Corte dei conti finalizzati a far emerge e sanzionare comportamenti elusivi adottati per conseguire il rispetto solo formale dei saldi, eccetera.
  Rimangono solo obblighi di monitoraggio e certificazione per il saldo 2018, mentre il sistema sanzionatorio sembra fermarsi al mancato rispetto per il 2017. Con riguardo, in particolare, al sistema sanzionatorio, da sempre un corollario della disciplina specifica della regola fiscale in tutte le sue diverse formulazioni, il nuovo criterio di equilibrio ne sarebbe privo. Rimarrebbe a salvaguardia del rispetto degli obblighi di finanza pubblica posti a carico delle autonomie territoriali solo l'eventuale pronuncia della Corte dei conti di accertamento di cui all'articolo 148-bis del testo unico degli enti locali nei confronti degli enti locali che non rispettino gli equilibri economico-finanziari e il giudizio di parifica del rendiconto delle regioni, attraverso il quale la stessa Corte accerta che i conti rispettino i vincoli europei e gli equilibri di bilancio e che la gestione contabile sia caratterizzata dal rispetto della legge e rappresentata in modo veritiero e affidabile nel rendiconto.
  L'articolo 61 disciplina le modalità di concorso alla finanza pubblica da parte delle regioni a statuto ordinario per il 2019 e per il 2020 e, per loro tramite, il rilancio degli investimenti regionali. La norma è frutto dell'accordo sancito in Conferenza Stato-regioni e province autonome il 15 ottobre scorso e ha ad oggetto il contributo a carico delle regioni a statuto ordinario previsto per il 2019-2020. Secondo un meccanismo già attuato in passato, lo Stato riconosce alle regioni un contributo per il rilancio degli investimenti (negli anni precedenti era destinato all'abbattimento del debito), pari agli importi suddetti, e le regioni rinunciano al trasferimento a compensazione del concorso alla finanza pubblica per il settore non sanitario e, in termini di indebitamento netto e fabbisogno, si impegnano ad effettuare 800 milioni di euro di nuovi investimenti con risorse proprie e 1.696,2 milioni di euro di avanzo sull'equilibrio di finanza pubblica per il 2019 (908,4 milioni di euro di nuovi investimenti e 837,8 milioni di euro di avanzo nel 2020).
  Tra le misure volte a favorire gli investimenti territoriali va menzionato anche l'articolo 70, che reintroduce per le regioni la possibilità di coprire spese di investimenti mediante mutui autorizzati e non contratti, consentendo il rinvio del perfezionamento del contratto di mutuo al momento, eventuale, in cui dovessero manifestarsi esigenze di cassa.
  Per le regioni a statuto ordinario, quindi, la semplificazione del concorso alla manovra di finanza pubblica attraverso il passaggio al saldo dell'equilibrio economico-finanziario viene rinviata al 2021. Seppure si comprendono le esigenze di ordine pratico alla base di tale scelta, è tuttavia evidente che nell'applicazione del nuovo sistema, graduale e differenziata sotto il profilo soggettivo, si deve tuttavia tener conto della ratio sottesa alla profonda revisione della disciplina degli equilibri, in coerenza con la linea interpretativa espressa dalla Corte costituzionale.
  Le misure per il sostegno degli investimenti privati si muovono lungo le tradizionali linee di intervento per detassazione e incentivi alle imprese. Esse appaiono in continuità con le indicazioni del Piano nazionale Industria 4.0, con uno spostamento di attenzione verso le piccole e medie imprese rispetto alle imprese di maggiore dimensione.
  La manovra apporta modifiche ad alcune delle misure di intervento a sostegno del sistema produttivo.
  Si ribadisce l'opportunità di un'articolazione degli incentivi economici distinguendo quelli che comportano un'elevata efficacia, avendo costituito la base per il Pag. 26forte recupero degli investimenti in macchinari e attrezzature (più 8,8 per cento nel 2017 e più 13,7 per cento nei primi trimestri del 2018).
  Veniamo, quindi, alle considerazioni conclusive.
  Con il disegno di legge di bilancio e il decreto-legge n. 119 del 2018 il Governo dà attuazione alla strategia preannunciata a fine settembre con la Nota di aggiornamento al DEF e delineata a metà ottobre con il Documento programmatico di bilancio. Si tratta di una strategia che, pur prevedendo una riduzione del debito, opta, come si è osservato in precedenza, per una significativa deviazione dal percorso di miglioramento del saldo, sia nominale che strutturale, rispetto a quanto previsto nel DEF di aprile. Ciò con l'obiettivo di stimolare una maggiore crescita economica e un migliore quadro occupazionale e di affrontare le principali difficoltà che sono conseguenti alla crisi economica e, nella lettura del Governo, ai provvedimenti assunti per arginarne gli effetti sui conti pubblici.
  L'ampliamento del disavanzo e la maggiore crescita economica caratterizzano nei documenti succitati il quadro programmatico, che evidenzia a fine periodo un miglioramento del rapporto debito/PIL. Come ricordato in premessa, è una prospettiva che deve oggi confrontarsi con la più recente tendenza della crescita a livello mondiale.
  Naturalmente il giudizio su tale scelta di fondo non può essere astratto, ma richiede una puntuale valutazione dell'impianto operativo della manovra di bilancio ora all'esame del Parlamento. Nello scenario proposto l'uscita dal percorso di aggiustamento nel triennio di previsione è percepita nei suoi contorni finanziari, ma non è ancora pienamente valutabile nelle sue caratteristiche specifiche.
  Il 44 per cento della manovra (oltre l'86 per cento della spesa corrente), la parte che riguarda il reddito di cittadinanza e la revisione del sistema pensionistico, troverà attuazione in provvedimenti collegati che saranno presentati in seguito. La valutazione potrà essere condotta, quindi, solo quando saranno note le caratteristiche degli interventi previsti e si potrà apprezzare l'adeguatezza delle risorse stanziate.
  Come si è visto, le misure di maggior rilievo già delineate sono riconducibili a tre obiettivi principali: il rilancio degli investimenti pubblici, anche semplificando le regole per il contributo delle amministrazioni territoriali e gli obiettivi di finanza pubblica, il potenziamento delle dotazioni di personale dei principali apparati pubblici e la riduzione del prelievo fiscale sui consumi e sui redditi delle imprese individuali.
  Un tratto accomuna le scelte che caratterizzano questi interventi: il ricorso a cambiamenti di strumenti piuttosto che di obiettivi; una modifica che, tuttavia, dovrebbe essere sempre sorretta da un'analisi delle ragioni alla base delle difficoltà di funzionamento delle misure che si intendono sostituire e/o delle modifiche che si intendono apportare nel ridisegno dei diversi settori del comparto pubblico.
  Il ricorso a nuove strutture organizzative da avviare e la necessità di ridisegnare il funzionamento dei nuovi strumenti può incidere non solo sul costo, ma anche sui tempi di avvio e, in definitiva, sull'efficacia degli interventi. Ciò in una fase in cui il successo delle scelte assunte con la manovra è esattamente legato alla capacità di stimolare l'economia.
  Al fine di rispondere a criticità sul piano sociale, oltre che all'urgenza di riavvio delle opere pubbliche, la manovra sceglie di concentrare le risorse su limitati interventi. Tale polarizzazione, tuttavia, si traduce in una carenza di risorse per affrontare i nodi irrisolti e per garantire un adeguato livello di servizi in comparti essenziali per la collettività.
  Il riavvio delle assunzioni nel settore pubblico, se da un lato sembra corrispondere, specie in alcuni comparti, all'esigenza di far fronte alla riconosciuta carenza degli organici, dovrebbe, tuttavia, inquadrarsi nel ridisegno degli aspetti organizzativi della pubblica amministrazione, dando piena attuazione, come più volte sollecitato dalla Corte, alle indicazioni contenute nella legge n. 124 del 2015.
  Positivo è l'intento di semplificare il quadro delle norme che regolano il contributo Pag. 27 degli enti territoriali agli obiettivi di finanza pubblica. Ciò richiederebbe, tuttavia, l'adeguamento del quadro normativo previsto con la legge n. 243, per evitare le criticità che potrebbero derivare dal permanere di antinomie.
  Sul fronte dei consumi e degli investimenti privati, numerosi interventi riguardano la conferma delle situazioni esistenti (riqualificazione energetica degli edifici, per le ristrutturazioni edilizie, per il consolidamento antisismico) e l'introduzione di nuove agevolazioni. Positiva è la conferma di iniziative nella direzione della cosiddetta Industria 4.0. Andrebbero comunque preservate alcune misure di incentivazione che hanno mostrato un'elevata efficacia.
  Con riguardo alle coperture, si conferma il rilievo delle misure di contrasto all'evasione, segnatamente tramite lo strumento della fatturazione elettronica nei rapporti tra privati, di cui con il decreto-legge n. 119 del 2018 si è prevista l'estensione.
  La Corte ha più volte in passato sottolineato come la lotta all'evasione fiscale costituisca una priorità assoluta dell'azione pubblica. Tuttavia, essa presenta dei limiti quando è usata come tipologia di copertura soprattutto per l'inevitabile incertezza nella realizzazione dei risultati attesi. Va comunque riconosciuto che tali interventi inducono a stabili modificazioni strutturali in direzione di un significativo progresso verso il necessario contenimento dell'evasione.
  A tal fine, occorre prestare grande attenzione affinché l'intervento normativo sia accompagnato da un'attività, affidata ad amministrazioni finanziarie, che dia ulteriore efficacia all'utilizzazione piena dei dati acquisiti.
  Quanto al complessivo fronte delle entrate, occorrerebbe un chiaro ed organico disegno programmatico, in grado di offrire punti di riferimento certi e stabili agli operatori economici. Sia per le famiglie che per le imprese e per la competitività del sistema produttivo, considerato nel suo insieme – ivi compreso il settore finanziario e creditizio, che tanta parte gioca nel sostegno delle piccole e medie imprese –, resta centrale l'obiettivo di ridurre la pressione fiscale e contributiva. Nel 2019 essa dovrebbe restare sostanzialmente stabile sui valori preconsuntivati per l'anno in corso (41,9 per cento): un risultato che sconta, tuttavia, l'attesa robusta crescita del PIL nominale (l'effetto denominatore).
  Occorrerebbe, infine, una incisiva azione sul fronte della razionalizzazione della spesa nelle sue componenti meno funzionali al sostegno della crescita. I risparmi previsti a copertura della manovra puntano soprattutto su rimodulazioni, riprogrammazioni e riduzioni di stanziamenti di fondi ancora da ripartire, ribadendo su questo fronte scelte del passato, volte a rinviare l'adozione di una effettiva individuazione delle aree meno funzionali ai compiti propri dell'amministrazione pubblica.

  PRESIDENTE. Grazie, presidente. Chiedo se vi siano domande o se l'esposizione è stata così dettagliata e ampia da esaurire ogni curiosità.
  Do la parola ai colleghi che desiderano intervenire.

  DANIELE PESCO. Insisto sulle clausole di salvaguardia, ne abbiamo parlato anche prima con i rappresentanti dell'ISTAT. Il giudizio della Corte dei conti su questo strumento, che dovrebbe essere finalizzato al contenimento della spesa pubblica, è positivo oppure si possono sollevare dei dubbi sul fatto che dovrebbe essere uno strumento per far risparmiare lo Stato, ma alla fine crea maggior debito e si ripercuote sui conti pubblici? Potete esprimere un giudizio oppure la situazione è troppo delicata?

  SILVANA ANDREINA COMAROLI. Nella sua relazione ha fatto cenno alla questione degli investimenti pubblici, fattore che ovviamente è molto rilevante e determinante per la produttività del nostro Paese, da cui si pensa possa derivare un forte aumento del PIL.
  Lei, però, denota anche le difficoltà, a livello burocratico, nell'effettivo utilizzo delle dotazioni dei fondi per gli investimenti pubblici. Pure all'interno della manovra troviamo alcuni fattori che dovrebbero cercare Pag. 28 di facilitare l'utilizzo di queste risorse per gli investimenti.
  Voi avete rilevato ulteriori misure o suggerite migliori formulazioni delle norme in grado di favorire l'utilizzo delle risorse stanziate per gli investimenti?

  LUIGI MARATTIN. Pongo due questioni, una sugli enti territoriali e una sulla pressione fiscale dalla quale parto. Abbiamo avuto problemi all'inizio a seguire la relazione per un errore di stampa, quindi può darsi che lei l'abbia detto e mi sia sfuggito, ma volevo la sua valutazione sul fatto che complessivamente la pressione fiscale nel 2019, rispetto al 2018, rimane inalterata, stanti le stime sul PIL che alcuni considerano comunque gonfiate. Qualora fossero effettivamente gonfiate, saremmo in presenza di un aumento previsto della pressione fiscale a livello aggregato per il 2019.
  Stante il fatto che la Corte dei conti ha spesso posto attenzione sull'importanza di continuare la riduzione del carico fiscale complessivo, volevo una sua valutazione sul fatto che per il 2019 rispetto al 2018 la pressione fiscale, secondo quanto affermato dal Governo, rimane, nella migliore delle ipotesi, stabile.
  Sugli enti territoriali mi allaccio alla domanda della collega con una domanda che ha due ramificazioni. Ringrazio per aver ricordato, autocitando la Corte dei conti sul Rapporto 2018, l'enorme ammontare del cosiddetto overshooting sulla regola fiscale, vale a dire sia regioni che province (in misura molto minore) che comuni hanno lasciato miliardi di euro inutilizzati di applicazione dell'avanzo negli ultimi anni, a conferma del fatto che il mancato rilancio degli investimenti pubblici locali non sembra affatto essere una questione di risorse.
  In quest'ottica, anche l'applicazione delle sentenze della Corte costituzionale, la n. 247 del 2017 e la n. 101 del 2018, suggerisce che si tratta appunto di scelte non discrezionali, anzi obbligate da parte del Governo. Da questo punto di vista, la liberazione completa degli avanzi non sembra di per sé essere una misura volta al rilancio totale degli investimenti, visto che ampissimi margini sono già stati lasciati inutilizzati dalle regole fiscali preesistenti.
  Vorrei una sua valutazione su questo e, allacciandomi alla domanda della collega, vorrei capire cos'altro ci sfugge per il rilancio del flusso di investimenti pubblici locali. Lei ha citato la norma delle stazioni appaltanti uniche a livello provinciale.
  Lei ha detto – e ovviamente è così – che la prassi di scambiare il contributo di spesa corrente che le regioni a statuto ordinario devono alla finanza pubblica, derivante in gran parte dal decreto-legge n. 66 del 2014, se non ricordo male, con la diminuzione della capacità di investimento delle regioni è una prassi che c'era anche nella scorsa legislatura. Vale a dire, pur di non subire il taglio alla spesa corrente, le regioni accettavano di avere un obiettivo di regola fiscale più alto degli altri.
  Questa prassi è perfettamente perpetuata quest'anno. A dispetto di dichiarazioni di stampa troppo entusiastiche che ho letto nei giorni scorsi, le regioni, pur di non farsi tagliare la spesa corrente, realizzano un avanzo artificiale sugli investimenti. Quest'anno, però, salta particolarmente all'occhio perché, essendo stato abolito nei fatti l'obbligo di pareggio per gli altri enti locali, le regioni a statuto ordinario, almeno per i prossimi due anni, si auto-infliggono, anche in virtù dell'accordo in Conferenza Stato regioni, una forte limitazione degli investimenti pubblici.
  Pur confermando che questa prassi è stata adottata anche dai governi della scorsa legislatura, la novità quest'anno è che è stato abolito l'obbligo di pareggio di bilancio in virtù delle considerazioni che facevo poco prima. Non le sembra che questa prassi secondo cui piuttosto che farsi tagliare un euro di spesa corrente, le regioni si autoinfliggono una limitazione degli investimenti sia particolarmente non auspicabile quest'anno?

  PRESIDENTE. Do la parola al presidente Buscema per la replica.

  ANGELO BUSCEMA, presidente della Corte dei conti. Essendo presente, ho ascoltato la domanda che è stata posta al presidente Pag. 29 dell'ISTAT quanto alle clausole di salvaguardia. Certo, sulle clausole da anni abbiamo posto l'attenzione sulla scelta da effettuare, rendendoci conto soprattutto degli effetti sulla finanza pubblica.
  Noi non abbiamo una formula da suggerire, però abbiamo sempre ribadito in tutte le occasioni e confermiamo anche in questa audizione l'attenzione alle clausole di salvaguardia, che ormai da anni si vanno a protrarre, considerando anche l'effetto sulla finanza pubblica derivante dal fatto che non siano più attivate, trattandosi di un aumento già deciso e previsto.
  Questa neutralizzazione porta chiaramente un carico alla finanza pubblica, quindi è da valutare in relazione agli effetti che può portare eventualmente la non applicazione delle clausole di salvaguardia. La nostra non è una risposta, ma è una valutazione del complesso del costo che può portare la disapplicazione delle clausole, che non è poco rilevante in tema di finanza pubblica.
  Si tratta di un tema complesso, su cui da anni abbiamo richiamato l'attenzione del Parlamento, considerati gli effetti complessivi anche riflessi che la non applicazione può portare in termini di IVA e per quanto riguarda anche il livello complessivo della tassazione, su cui avrebbe un effetto moltiplicatore.
  Si tratta di un tema complesso, sul quale come Corte dei conti molto spesso abbiamo richiamato l'attenzione ed è un tema centrale perché assorbe la maggior parte delle risorse.
  Per quanto riguarda gli investimenti pubblici abbiamo richiamato l'attenzione su alcune disposizioni di carattere organizzativo, che hanno introdotto meccanismi come le centrali di committenza, per arrivare a definire i modelli organizzativi. Questi meccanismi che sono stati introdotti potrebbero dare benefici.
  Noi siamo più preoccupati per l'allungamento dei tempi perché, se tutto questo può portare una semplificazione e una razionalizzazione, ben venga, se porta, invece, un allungamento dei tempi, credo vadano definiti con chiarezza gli obiettivi e le procedure.
  Noi crediamo che le procedure, per quanto riguarda questi meccanismi organizzativi, debbano essere definite per tempo, considerando che la struttura deve poter dare risposte in tempi immediati, laddove gli investimenti hanno un effetto sulla finanza pubblica se sono immediati, cioè se si riesce a spendere le risorse.
  Cerchiamo, quindi, di far sì che questo meccanismo non allunghi i tempi di realizzazione degli investimenti. Non abbiamo altri suggerimenti, sicuramente è un'operazione che può fungere da sprone per gli investimenti.
  Per quanto riguarda gli enti territoriali, sicuramente è apprezzabile l'istituzione di una centrale unica di committenza per venire incontro alle esigenze dei piccoli comuni di spendere e di investire, alla difficoltà progettazione nell'ambito degli enti locali, dove è risaputo che c'è un problema di dotazione di personale in grado di stilare progetti da realizzare in tempi rapidi. Sicuramente il problema della difficoltà progettuale potrebbe essere agevolato da questi interventi.
  Per quanto riguarda le regioni a statuto ordinario noi ci siamo limitati a prendere atto di una certa situazione che chiaramente è frutto di un accordo raggiunto in sede di Conferenza Stato-regioni e certamente si tratta di un meccanismo che adesso riconosce alle regioni un contributo per il rilancio degli investimenti. Questo sistema potrebbe generare ulteriori investimenti, bisognerà vedere concretamente come verrà applicato.
  Su questo tema lascerei, poi, la parola al consigliere Flaccadoro che si è occupato di questo aspetto.
  La pressione fiscale, come abbiamo detto inizialmente ed è stato giustamente puntualizzato, sostanzialmente non subisce grandi variazioni: si riduce nel 2021 al 41,3 per cento rispetto al 42 per cento, però questo risultato potrebbe derivare più dalla crescita del PIL programmatico che non dal gettito atteso dalla manovra. Si tratta di valutazioni che dovremo verificare concretamente nel prossimo triennio. Pag. 30
  Se il presidente è d'accordo, lascerei la parola al consigliere Flaccadoro per quanto riguarda il tema delle regioni.

  ENRICO FLACCADORO, consigliere della Corte dei conti. Rispondo telegraficamente all'onorevole Marattin. Sulla pressione fiscale ha già risposto il presidente; la nostra valutazione è che rimanga sostanzialmente inalterata e che questa riduzione, se un minimo si realizza, è dovuta proprio alla variazione del PIL che dovrà realizzarsi.
  Sugli enti territoriali lei ha richiamato il nostro Rapporto. Noi abbiamo sempre sottolineato come la regola fiscale di per sé non può essere vista come l'unico ostacolo alla politica degli investimenti, ed è questa la ragione per cui diciamo che, pur sottolineando e rilevando gli sforzi che in questa legge di bilancio vengono realizzati per affrontare i diversi nodi, certamente rimane un vizio di effettiva analisi delle ragioni che hanno impedito finora il coronamento di tutti gli sforzi che in questi anni sono stati messi in campo per accelerare le spese di investimento.
  Va anche detto che gli ultimi dati, per quanto ancora negativi, dimostrano che alcuni di questi interventi stanno cominciando a prendere forza. L'effettiva condizione finanziaria degli enti locali sarà determinante per riuscire a tradursi effettivamente nella liberazione degli avanzi e delle possibilità di indebitarsi, che ha limitato sicuramente una serie di enti di piccola dimensione soprattutto nel Centro-nord. Bisognerà vedere fino a che punto ciò si tradurrà in programmi effettivi.
  In questo caso emerge il problema, che secondo la nostra analisi è centrale, di definire e rivedere il centro di programmazione degli interventi. Oltre che la progettazione minuta, che può essere sostenuta anche attraverso il concorso di privati, una programmazione più complessiva del territorio è quella che a nostro avviso stenta a partire.
  Sul discorso delle regioni è vero che anche quest'anno si sceglie di eliminare la potenziale riduzione dei trasferimenti attraverso l'accordo che hanno conseguito le regioni e lo Stato, volto, da un lato, a impegnarsi a una ricomposizione interna, perché un minimo c'è, nel senso che le regioni si impegnano a incrementare la spesa per investimenti, dall'altro, a creare un saldo positivo. Ma bisogna sempre ricordarsi che, rimanendo nell'ambito della legge n. 243, lo spazio finanziario per raggiungere quel risultato è uno spazio che c'è sempre stato, almeno per gran parte delle regioni.
  Questo accordo, che procrastina il passaggio alla piena attuazione dell'articolo 118 della Costituzione, proprio per riassorbire quel biennio di sforzo fiscale richiesto alle regioni, che avrebbe portato a una riduzione dei trasferimenti, dovrebbe portare a una ricomposizione interna della spesa a favore di un maggiore investimento, questo almeno è l'impegno sottoscritto dalle regioni.
  Da questo punto di vista può guardarsi con meno negatività a questa tornata di accordi con le regioni rispetto al passato.

  PRESIDENTE. Ringraziamo i rappresentanti della Corte dei conti.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione del presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio, Giuseppe Pisauro.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio per il 2019-2021, l'audizione, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del Regolamento della Camera, del presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio, Giuseppe Pisauro.
  Do la parola al presidente, professor Giuseppe Pisauro.

  GIUSEPPE PISAURO, presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio. Grazie ai presidenti delle due Commissioni bilancio e buongiorno a tutti, deputati e senatori.
  Il testo che viene distribuito è, come al solito, relativamente ponderoso. Non lo leggerò certamente, ma vi fornirò una sorta di guida alla lettura. Salterò alcuni capitoli, dicendo soltanto che chi è interessato può trovare i vari argomenti in quei capitoli. Pag. 31
  Per iniziare, visto che di questo ci siamo occupati molto nella passata audizione, faccio un cenno alle tendenze macroeconomiche.
  Dalla data di pubblicazione della NADEF a oggi, il rallentamento congiunturale si è reso più evidente e incide sulla crescita del prossimo anno. In estrema sintesi, la nostra valutazione è che questa revisione intervenuta nel corso dell'ultimo mese rende l'obiettivo del Ministero dell'economia e delle finanze, cioè quello di una variazione dell'1,5 per cento reale del PIL nel 2019, ancora più ambizioso di quanto avevamo rilevato in precedenza. In realtà, anche il nostro stesso valore di allora, se ricalcolato oggi, sarebbe leggermente, come minimo, più basso. Trovate nel testo un'illustrazione più dettagliata delle tendenze congiunturali, valutazioni sul quadro dell'economia italiana e i rischi internazionali, che sono grosso modo quelli di cui abbiamo già parlato nella passata audizione.
  Passerei al tema principale di quest'audizione, che è il quadro programmatico di finanza pubblica e la composizione della manovra. Premetto che anche sulla composizione dalla manovra dovrò fare delle scelte, cioè parlare di alcuni provvedimenti che ci sembrano più «maturi».
  Quadro programmatico di finanza pubblica.
  La manovra di bilancio prevede misure espansive nell'apparato di tabelle. Le tabelle 2.2, 2.3 e 2.4 fanno, con diversi gradi di dettaglio, una sintesi della manovra nel suo insieme, di tutte e due le parti del disegno di legge di bilancio, e vi è anche incluso l'effetto del decreto-legge fiscale presentato nelle scorse settimane. È uno strumento di rilettura della manovra che spesso è risultato utile; quindi qui svolgiamo la funzione di supporto all'attività parlamentare.
  La manovra prevede impieghi, quindi misure espansive di aumento di spese o di riduzione di entrate, che nell'arco del triennio rimangono intorno al 2,1-2,3 per cento del PIL. Al netto delle clausole di salvaguardia, che, come sapete, sono eliminate per il 2019, ma permangono per il 2020-2021, i nuovi interventi producono invece effetti crescenti dall'1,4 del 2019 al 2 per cento del PIL nel biennio successivo. Dato l'incremento programmato del deficit, le risorse di copertura sono invece minori e costanti, grosso modo, allo 0,9 per cento del PIL nell'intero triennio.
  Per il 2019, le misure espansive impiegano circa 38 miliardi di euro, a fronte dei quali vengono individuate risorse per circa 16 miliardi, quindi il deficit aumenta di circa 22. È il quarto anno consecutivo – lo diciamo a ogni audizione in quest'occasione; l'anno scorso era il terzo, adesso è il quarto – che dal lato degli impieghi delle risorse l'intervento più consistente riguarda la sterilizzazione della clausola di salvaguardia sull'IVA, che in questa occasione vale 12,5 miliardi.
  Conoscete le altre principali misure. Non sto qui di nuovo, per l'ennesima volta, a elencarle.
  Dal lato delle coperture finanziarie, è interessante notare che tre quarti circa derivano da maggiori entrate, all'interno delle quali sono previsti tra l'altro aumenti di gettito proveniente dalle imprese, soprattutto bancarie, l'abrogazione dell'IRI, l'imposta sul reddito imprenditoriale, peraltro non ancora entrata in vigore, e delle deduzioni per l'ACE, l'aiuto alla crescita economica.
  Il contenimento delle spese, sempre dal lato delle coperture, è assicurato principalmente, oltre che da tagli ai Ministeri e alla sanità, da definanziamenti e riprogrammazione di trasferimenti delle Ferrovie dello Stato nonché da numerose e puntuali misure di razionalizzazione della spesa.
  Questo, quindi, è il quadro d'insieme.
  Provando a dare una lettura complessiva della manovra e del quadro programmatico la manovra implica una riduzione del disavanzo del 2020 e 2021 unicamente per la presenza di una parte rilevante di clausole di salvaguardia, pari rispettivamente allo 0,7 e 0,8 per cento del PIL nei due anni. Al netto di tali entrate, il deficit, compiendo un esercizio puramente meccanico, sarebbe pari nel 2020 al 2,8 del PIL, nel 2021 al 2,6.
  Sempre basandosi su un esercizio meccanico, queste clausole ancora in vita per il Pag. 322020 e il 2021 garantiscono, rispettivamente, il 70 e il 79 per cento, quasi l'80, della riduzione del rapporto programmato debito/PIL.
  Trovate altre considerazioni sempre di questo tenore. Forse, è superfluo adesso soffermarsi troppo sulla questione clausole, che mi sembra abbastanza facile da leggere, ma una cosa vorrei aggiungere per concludere questa carrellata generale.
  Non considerando le clausole di salvaguardia, infatti, facendo finta che non ci siano, e considerando che cosa comporta la manovra in termini di maggiori entrate nette e in termini di maggiori spese nette, la manovra comporta maggiori entrate nette nel 2019 per 7,4 miliardi di euro, che già a partire dal secondo anno si dimezzano, perché ritornano le famose clausole, quindi diventano 3,5 miliardi di euro, quindi 7,4 e poi 3,5 negli anni successivi. A queste sono associate maggiori spese nette, più che doppie nel primo anno, circa 17 miliardi di euro, che poi crescono e raggiungono circa 25 miliardi di euro nel secondo anno. Da un lato, quindi, abbiamo 7,4 che diventa 3,5; dall'alto, 17 che diventa 25. Questo è un modo un po’ sintetico di guardare all'insieme del quadro che abbiamo davanti.
  L'incertezza sulla crescita economica, che quest'anno è particolarmente seria, da un lato, e dall'altro l'incertezza sull'andamento dei tassi di interesse, rendono incerto questo quadro programmatico di finanza pubblica. Ci sono anche incertezze insite nei conti di dettaglio. Qui ne citiamo una. Poi, se si legge tutto il rapporto, se ne trovano altre. Non sono quantificati gli impatti sul conto delle amministrazioni pubbliche delle spese relative ai rinnovi contrattuali delle amministrazioni diverse da quelle centrali, quindi degli enti territoriali. Il reperimento di queste risorse rimane a carico degli enti decentrati.
  Questo quadro di finanza pubblica che leggiamo nei documenti ufficiali non sconta incrementi di spesa del personale di amministrazioni diverse da quelle centrali, che, se attuati, dovranno essere coperti o da riduzione di altre spese o da aumenti della tassazione locale, evidentemente.
  Incertezze possono valere anche per quanto riguarda l'efficacia delle misure di razionalizzazione della spesa, visto che comunque le tendenze di crescita della spesa negli ultimi anni sono state ampiamente contenute.
  Poi vi sono – onestamente, bisogna dirlo – anche incertezze che potrebbero operare dal lato opposto, dal lato della riduzione del disavanzo e, tra queste, quella sui tempi di attuazione di alcune norme, in particolare le due per le quali sono stati appostati dei fondi, quindi il reddito di cittadinanza e l'anticipo pensionistico; anche, se uno guarda all'esperienza del passato, la capacità di realizzazione dei valori programmatici della spesa per investimenti.
  Forse qualcuno ricorderà che citavamo, nella scorsa audizione, il dato che gli investimenti pubblici dovrebbero aumentare di 16 punti nel 2019 rispetto al 2018, che è un obiettivo più che meritorio, ma su cui qualche dubbio di realizzazione naturalmente resta.
  Questi sono tutti fattori, se queste spese poi non si materializzano appieno – o perché alcune misure non partono a gennaio, ma più avanti nel tempo, o perché c'è una difficoltà oggettiva a far partire quel programma complessivo di investimenti –, che produrrebbero un disavanzo più basso, evidentemente. Capite, quindi, che è estremamente difficile fare una stima oggi tenuto conto del cambiamento di quadro macroeconomico e di queste considerazioni in merito a quello che sarà effettivamente il disavanzo nel prossimo anno.
  Lasciamo da parte le incertezze sull'attuazione della manovra, quindi prendiamo la manovra nel suo valore facciale, tralasciando questi che potremmo definire rischi al ribasso del disavanzo, e concentriamoci solo su quelli al rialzo: crescita economica più bassa, tassi d'interesse più alti.
  Qui abbiamo di fronte due stime diverse. Una è quella, che mi pare per ora confermata del Governo, in cui il disavanzo si collocherebbe al 2,4 per cento del PIL; un'altra è quella della Commissione europea, secondo cui il disavanzo si collocherebbe al 2,9 per cento del PIL, sempre Pag. 33prendendo in entrambi i casi la manovra al suo valore facciale.
  Qui trovate, a pagina 14 del documento, anche una descrizione dei motivi della divergenza tra la stima della Commissione e la stima del Governo. Molto rapidamente, la Commissione assume il trascinamento di un risultato valutato in modo diverso rispetto a quello del Governo nel 2018, quindi ci sarebbe un 2018 che va in modo diverso da quello che dice il Governo, e questo si ripercuote sul 2019. I motivi più rilevanti, però, sono essenzialmente due, quelli che citavo prima: uno è quello di una minore crescita economica rispetto a quella incorporata nelle stime del Governo; l'altro è quello di tassi di interesse più elevati, e particolarmente più elevati a causa dell'adozione, che però è un'adozione necessaria, di un'ipotesi tecnica, per cui la Commissione prende i tassi di interesse in una determinata finestra temporale e usa quelli, la stessa finestra temporale, per tutti i Paesi. Capita che nel caso italiano sia una finestra temporale particolarmente sfavorevole, perché caratterizzata da una turbolenza particolarmente acuta dei mercati.
  Normalmente, non lo facciamo, ma questa volta, vista questa grande divergenza, abbiamo provato a fare una nostra stima. La nostra stima è una sorta di via di mezzo, ma non volutamente, perché viene fuori così. Noi stimiamo, cioè, un disavanzo al 2,6 per cento, a questo punto, per il 2019. È quasi ovvio, visto che abbiamo parlato dei fattori che spingono alla divergenza tra Governo e Commissione, che noi usiamo un'ipotesi tecnica sui tassi d'interesse che prende a riferimento un periodo più lungo, e quindi i tassi sono più alti di quelli incorporati nella stima del Governo, ma più bassi di quelli della Commissione.
  Qualcosa del genere avviene anche riguardo alla crescita nominale, non tanto a quella reale. La nostra è, com'era fin dall'audizione sulla NADEF, più bassa di quella del Governo, ma è leggermente più alta di quella della Commissione.
  Infine, noi non troviamo nessun motivo di avere un effetto di trascinamento ulteriore dal 2018 al 2019. Questo ci porta a un risultato di tipo centrale rispetto a queste due stime.
  Naturalmente, vale quello che ho detto prima: questo significa prendere al valore facciale la manovra. Chiaramente, se cominciassimo a dover fare ragionamenti sulle singole voci («questo avverrà», «questo non avverrà», «questo non darà questi risultati»), avremmo stime completamente diverse. Non prenderei, quindi, questo numero come un faro a cui guardare. Purtroppo, qui fari affidabili, a questo stadio delle conoscenze che abbiamo, non è che ce ne siano tanti.
  La relazione continua dando conto dei vari scambi di lettere tra Ministero dell'economia e delle finanze e autorità europee. Ci ricolleghiamo alla questione della verifica del rispetto delle regole e così via, ma anche qui chi è interessato può guardare il documento.
  Passiamo alla seconda parte dell'audizione. Riguardo alle singole misure, il capitolo sul quale mi soffermerei maggiormente è quello che riguarda le misure che intervengono sul sistema tributario. Poi dirò qualcosa anche su altre questioni, ma mi soffermerei un po’ di più su questo.
  La manovra di bilancio per il 2019 prevede misure quantitativamente e qualitativamente rilevanti sul reddito di impresa e sul reddito di lavoro autonomo, dalle quali è atteso un aumento del carico tributario, nel 2019, di 6,1 miliardi di euro, un aumento perché c'è la copertura che riguarda interventi di natura straordinaria, soprattutto sul settore finanziario e su quello assicurativo; negli anni successivi, 2020 e 2021, il carico tributario si ridurrebbe di mezzo miliardo di euro del 2020 e di quasi 2 miliardi di euro nel 2021.
  Le misure presentate comportano una notevole e interessante – interessante come oggetto di studio – modifica di parti importanti del nostro sistema tributario. Che cosa abbiamo, in estrema sintesi? Da un lato, è prevista l'estensione del regime forfetario con l'aliquota del 15 per cento e l'introduzione di un regime sostitutivo, con l'aliquota del 20 per cento, per i lavoratori autonomi e le imprese individuali con ricavi rispettivamente inferiori a 65.000 e a Pag. 34100.000 euro; d'altro canto, per le società di capitali, le società di persone e gli altri soggetti esclusi dai regimi precedenti, è prevista la riduzione di 9 punti percentuali dell'aliquota d'imposta su una parte del reddito imponibile.
  Nell'apparato delle tabelle trovate una serie di sintesi, anche di tipo qualitativo, una tabella con gli aumenti e le riduzioni del prelievo per i vari soggetti, per quali motivi pagherebbe di più, per quali pagherebbe di meno.
  La prima cosa che viene da dire guardando nell'insieme il complesso di queste modifiche è che il nuovo schema fa emergere una maggiore frammentazione del sistema e alcune importanti modifiche strutturali.
  Con riferimento alla frammentazione, l'IRI, anche se costituiva un regime opzionale, determinava una maggiore neutralità fiscale nella scelta della forma giuridica dell'impresa. Cercava di realizzare neutralità tra società di persone e società di capitali. La sua abolizione e l'introduzione del nuovo regime per i lavoratori autonomi e le imprese individuali caratterizza le diverse possibilità di tassazione, oltre che sulla base della natura giuridica (persone/capitale), anche su quella delle caratteristiche dimensionali delle imprese (livelli di fatturato, per esempio), generando di fatto tre regimi di tassazione.
  Al regime progressivo dell'IRPEF, cui sono soggette le imprese individuali in contabilità ordinaria e le società di persone, e al regime proporzionale dell'IRES, cui sono sottoposte le società di capitali, si aggiunge un ulteriore regime proporzionale per i soggetti persone fisiche ammessi al regime forfetario e all'imposta sostitutiva, quindi imprese individuali e lavoratori autonomi. Questo nuovo istituto, ampliando, come vedremo, in misura molto consistente la platea dei beneficiari, non può più essere considerato un regime agevolato come quello oggi vigente che riguarda i minimi.
  Partiamo dagli interventi che riguardano le società di capitali. Qui il passaggio cruciale è quello dall'ACE all'introduzione di un nuovo regime con aliquota agevolata, che comporta un'agevolazione per gli investimenti e per l'incremento di occupazione all'interno dell'impresa.
  Naturalmente, qui l'ottica è completamente spostata. L'ACE aveva un obiettivo, dal quale potevano derivare effetti positivi anche sulla capacità di investire eventualmente, ma non era quello l'obiettivo. L'obiettivo era garantire la neutralità fiscale rispetto alla scelta di finanziamento delle imprese tra capitale proprio e debito. Quest'obiettivo scompare.
  Qui, invece, c'è un incentivo, ma subordinato alla capienza in termini di utili non distribuiti. Se torniamo a guardare al modello ACE, che era quello di rendere neutrali debito e capitale proprio, qui si crea un nuovo ordine di preferenza delle fonti a favore dell'autofinanziamento. La graduatoria diventa, quindi, questa: il più favorito è l'autofinanziamento, perché gode delle misure che qui verrebbero introdotte, ovvero la possibilità di detassazione degli investimenti e degli incrementi di personale; a seguire, il debito e, infine, il capitale proprio. Naturalmente, il debito è favorito, nonostante le deducibilità negli ultimi anni abbiano subìto delle limitazioni.
  Questa modifica di ordine di preferenza ha effetti potenziali, difficilmente valutabili nel poco tempo che abbiamo avuto a disposizione per studiare questo pacchetto di misure, a favore appunto dell'autofinanziamento, con effetti potenziali sulle politiche dei dividendi e sulla distribuzione dei profitti delle imprese, lasciando invece intatta la convenienza tributaria del debito.
  Poi proviamo anche a ragionare un momento sugli incentivi alla crescita, ma non per tutte le imprese. Ovviamente, se il vincolo, il limite, è la capienza in termini di utili non distribuiti, chi non ha utili non distribuiti non se ne può avvalere. Qualche lettura assimilava queste misure a istituti del tipo crediti d'imposta per gli investimenti, ma questa misura è molto diversa. In quel caso, un investimento finanziato con debito, quindi in assenza di utili non distribuiti, avrebbe goduto del vantaggio, del beneficio fiscale. Qui, invece, questo non avverrebbe, quindi è una misura molto diversa. Pag. 35
  Poi c'è una categoria relativamente penalizzata dall'insieme di queste misure – uso quello che sto per dire come ponte per fare il ragionamento sulle partite IVA – costituita dagli imprenditori individuali con ricavi superiori a 100.000 euro e dalle società di persone.
  Questo deriva dal fatto che, da un lato, viene abolito il regime opzionale dell'IRI, solo in parte compensato dalla riduzione dell'aliquota d'imposta prevista per una quota della base imponibile; dall'altro, questi soggetti, avendo ricavi superiori a 100.000 euro, vengono esclusi dall'estensione del regime forfetario al 15 per cento e dall'applicazione dell'imposta sostitutiva al 20 per cento.
  A un primo calcolo la nuova agevolazione sugli utili reinvestiti, prevista nel disegno di legge di bilancio, potrà essere più favorevole rispetto al regime IRI abolito solo per le società di persone e per gli imprenditori individuali che scontano aliquote marginali inferiori al 24 per cento o che non avrebbero comunque avuto convenienza a optare per il regime IRI. Se gli utili non distribuiti da società di capitali, nel caso di reimpiego nell'impresa, potranno scontare un'aliquota del 15 per cento a prescindere dal livello dei profitti, per questi soggetti invece la tassazione potrà arrivare al 34 per cento sugli utili agevolati, lasciando inalterato il differenziale di 19 punti con l'aliquota delle società di capitali.
  Trovate anche una prima valutazione degli effetti redistributivi di questa misura nella tabella 3.3, in cui in termini di aliquota implicita si considerano diverse classi dimensionali delle imprese. Qui utilizziamo il nostro modello di microsimulazione delle imprese per provare a dare un primo risultato, però su questo non mi dilungo, altrimenti prenderei troppo tempo.
  La seconda questione riguarda la misura relativa a lavoratori autonomi e imprese individuali.
  Anche qui abbiamo svolto una prima analisi. La prima domanda ovvia è: di quel mondo, costituito da imprese individuali – in cui è massiccia la presenza di categorie come commercianti, artigiani e così via – e lavoratori autonomi – esercenti arti e professioni, quindi essenzialmente i professionisti –, quanta gente verrebbe coinvolta da queste misure?
  Sempre basandosi sul nostro modello di microsimulazione – queste, quindi, sono delle stime, non siamo l'Agenzia delle entrate – il limite dei 100.000 euro esclude dalla platea potenziale dei nuovi regimi solo il 20 per cento del complesso di lavoratori autonomi e imprenditori individuali. In teoria, l'80 per cento di questi rientrerebbe nel nuovo regime. Questo 80 per cento è composto da vari pezzi: il 19 per cento sono quelli che già usufruivano del regime dei minimi. L'estensione del regime forfetario, quindi arrivare a 65.000 euro, ne aggiunge un 17 per cento, e siamo al 36 per cento. L'imposta sostitutiva ne aggiunge un altro 8 per cento, e siamo al 44 per cento. Di quell'80 per cento, il 44 per cento è dato da queste tre categorie. Il restante 36 per cento, 80 meno 44, quindi di quelli potenzialmente coinvolgibili, non aderirebbe ai regimi. Essenzialmente, il motivo principale è perché è in perdita, quindi non ha nessun motivo di aderire a questi regimi, oppure perché non trarrebbe benefici dall'applicazione del nuovo regime.
  Chi è che potrebbe non trarre benefìci dall'applicazione di questo regime? Questo regime è forfetario, quindi ha come elemento da guardare il livello dei ricavi, poi il livello del reddito netto corrispondente a quei ricavi è calcolato forfetariamente, quindi c'è un coefficiente di costi da applicare. Se qualcuno ha un coefficiente di costi più elevato, documentabile, ovviamente potrebbe non avere convenienza ad aderire al nuovo regime.
  Lavorando su quelli che nel nostro campione, nel nostro modello, aderirebbero, abbiamo provato a calcolare quanto ci guadagnerebbero.
  Nel complesso, avremmo un beneficio medio complessivo per i contribuenti coinvolti di circa 5.300 euro, che corrisponderebbe a circa il 17 per cento del loro reddito, di cui la metà deriva dal passaggio dall'IRPEF alla tassazione sostitutiva, altri 5 punti sono dovuti all'esclusione del regime IVA e i restanti 4,2 all'agevolazione contributiva. C'è un'agevolazione contributiva Pag. 36 che abbatte i contributi del 35 per cento, ma vale solo per il regime forfetario, non anche per quello definito regime sostitutivo.
  I lavoratori autonomi, quindi i professionisti essenzialmente, sono in media maggiormente avvantaggiati dalla riforma. Il differenziale tra le due tipologie è più ampio nel regime sostitutivo, grazie al quale i lavoratori autonomi godono di benefìci in euro circa doppi rispetto agli imprenditori individuali. La ragione risiede prevalentemente nel fatto che, a sostanziale parità di ricavi, gli imprenditori individuali presentano mediamente costi degli input produttivi più elevati, e quindi un reddito inferiore a quello dei lavoratori autonomi. Questi ultimi, quindi, i lavoratori autonomi, godono di un maggior risparmio derivante dall'eliminazione dell'imposta progressiva. Per la stessa ragione, l'incidenza del risparmio dovuta all'esclusione del regime IVA è in rapporto al reddito più elevata per le imprese individuali.
  Quelle che ho citato sono delle medie, giusto per dare un'idea della distribuzione, ma trovate nelle figure e nelle tabelle il dettaglio di quest'analisi.
  Per una parte non marginale dei contribuenti il guadagno è ridotto. Abbiamo detto prima che il guadagno medio era 5.300 euro. Da un lato, il 25 per cento degli aderenti guadagnerebbe meno di 1.300 euro; dall'altro, chi è che ci guadagna di più? La parte con redditi più elevati dei professionisti. Il 25 per cento dei professionisti nella fascia con redditi più alti guadagnerebbe più di 9.000 euro da questo regime nel complesso.
  Se prendete solo l'imposta sostitutiva, cioè quella che vale per ricavi da 65.000 a 100.000 euro, le differenze tra lavoratori autonomi e imprenditori individuali sono più marcate: un quarto dei lavoratori autonomi in regime di imposta sostitutiva guadagna 13.500 euro in media.
  La conclusione che trovate nel testo è una serie di valutazioni su implicazioni per l'efficienza e l'equità di questa misura. L'implicazione per l'equità è ovvia, c'è un problema – ma questo è intrinseco nella misura – di equità orizzontale rispetto a chi non gode di questi regimi. A parità di reddito, si viene tassati in misura molto diversa, quindi rispetto ai lavoratori dipendenti e così via. Quanto all'efficienza, in prima battuta anche quest'effetto è ovvio: abbassando le aliquote marginali, si ha una riduzione del disincentivo al lavoro.
  C'è un aspetto, non del tutto ovvio, su cui bisogna però fare un minimo di attenzione, l'effetto del regime forfetario sulle scelte nella valutazione dei fattori produttivi.
  Nel regime ordinario, l'onere effettivo di acquisto di mezzi di produzione, beni o servizi, è mitigato dalla riduzione delle imposte associata con l'incremento dei costi. L'onere è pari al prezzo d'acquisto al netto dell'IVA scontato dell'aliquota marginale complessiva di quel contribuente. Comprando un bene o servizio che entra nella produzione, si può portare in deduzione l'ammontare di quella spesa, e quindi si risparmia l'aliquota marginale che si pagava prima.
  L'acquisto di un bene strumentale al prezzo netto di 1.000 euro, ad esempio, senza l'IVA, che si scarica essendo nella contabilità ordinaria, comporterebbe un onere effettivo di 530 euro. Questo è un esempio banale.
  Naturalmente, con il regime forfetario, invece, l'imposta è determinata sulla base di un coefficiente di redditività prefissato, quindi non faccio analisi dei costi; non si detrae l'IVA sugli acquisti, e quindi l'onere effettivo al margine è di tutti i 1.220 euro che si pagano, 1.000 più IVA. Questo è banale, ma è un elemento di cui tener conto.
  Nel testo poi trovate una descrizione delle misure di contrasto all'evasione e delle sanatorie fiscali. Trovate poi un paragrafo che riguarda gli interventi per il pubblico impiego, in cui, oltre alla descrizione dell'elemento di interesse, trovate un tabellone in fondo, in cui vengono messi a confronto gli incrementi di personale programmati nei vari settori con l'andamento del personale in questi settori negli ultimi dieci anni. Anche per farsi un'idea, si concede facoltà di assumere a settori che magari sono diminuiti di più o di meno della media o Pag. 37ragionamenti di questo tipo. Naturalmente, sono indicazioni puramente impressionistiche che si possono trarre da questo tipo di analisi, del tutto preliminare.
  Andiamo alle parti più difficili da raccontare, e quindi vado molto velocemente, essendo più difficili: misure per la famiglia e per il contrasto alla povertà.
  Qui, naturalmente, non si può dire molto fino a che non si conosce il disegno della misura. Il contributo conoscitivo che diamo in queste pagine è l'analisi che è possibile fare sull'esperienza del reddito di inserimento (ReI) a oggi: quindi chi ne ha usufruito, come è andata, qual è stato il take up, quanti dei potenziali fruitori ne hanno poi effettivamente fatto domanda e ne hanno usufruito. Trovate anche un piccolo confronto internazionale con esperienze simili in altri Paesi.
  Trovate anche un paragrafo sugli effetti sulla sanità, ma non ho tempo per trattarlo, sugli investimenti pubblici.
  Per quanto riguarda le pensioni, fatta di nuovo la premessa che non conosciamo esattamente di che cosa si tratti, e partendo con l'auspicio che questa misura preservi l'equilibrio attuariale, elemento cruciale nella sostenibilità futura del sistema pensionistico, ci siamo incuriositi molto nel leggere analisi, sulla base di uno stanziamento pari a 6,7 miliardi di euro per il 2019 e 7 miliardi annui a decorrere dal 2020, del tipo: questo è transitorio, è permanente, se fosse permanente, dovrebbe essere crescente e così via.
  Il contributo che diamo è solo questo, e di nuovo lo trovate nel corpo della relazione. Ci siamo chiesti: se «quota 100», cosa che non sappiamo, fosse pari a 62 anni di età e 38 di anzianità contributiva, quante persone sarebbero – sono dati INPS, li conosciamo, disponiamo anche di un campione INPS nell'Ufficio parlamentare di bilancio, e quindi siamo in grado di fare questo calcolo, sempre una stima, perché non è l'universo, ma abbastanza affidabile – potenzialmente interessate? Sarebbero 437.000 persone nel 2019.
  Naturalmente, anche questo del tutto ipotetico, se tutti andassero in pensione, come sarebbe il profilo della spesa quell'anno e negli anni successivi? Sarebbe crescente, decrescente e così via? Sarebbe sostanzialmente costante. Costerebbe 13 miliardi di euro nel 2019 e rimarrebbe sostanzialmente fisso negli anni seguenti, perché ogni anno una coorte esce e una coorte entra, grosso modo, poi è un po’ più complicato. Se volete, nella relazione trovate un po’ di dettagli di questo tipo. Chiaramente, però, non andrebbero via 437.000 persone, perché non tutti troveranno conveniente andare via.
  L'unico elemento che a questo stadio si può introdurre è farsi la domanda: anticipando, un po’ di pensione la si perde, perché si rinuncia a contribuire per qualche anno ancora, da 62 si potrebbe restare altri cinque anni forse, e così via. Lo stesso vale per l'anzianità contributiva.
  Trovate un calcolo che dice di quanto aumenta – perché potrebbe anche aumentare – o diminuisce la pensione sia nel complesso, sia anno per anno. Per darvi il risultato sintetico, chi optasse per «quota 100», subirebbe una riduzione della pensione lorda, rispetto a quella corrispondente alla prima uscita utile con il regime attuale, di circa il 5 per cento della pensione in caso di anticipo di solo un anno e di oltre il 30 per cento se l'anticipo è di oltre quattro anni. Già quest'elemento fa capire che, di quei 437.000, naturalmente non tutti ne usufruiranno. Poi ci sarà, naturalmente, tutta un'altra serie di considerazioni che le persone potranno fare e faranno certamente rispetto alla scelta e al costo.
  L'ultimo intervento, rapidissimo, riguarda la finanza locale. Una parte significativa della manovra è diretta ad aumentare la capacità di spesa degli enti territoriali, al cui incremento contribuisce anche la revisione delle regole di finanza locale, che, in linea con i rilievi della Corte costituzionale, consente l'utilizzo degli avanzi di amministrazione.
  Prima domanda: a quanto ammonta, anche qui in teoria, il volume massimo di risorse che verrebbero liberate da quest'intervento? La nostra stima è che siamo intorno ai 15 miliardi di euro. Questo, naturalmente, poi è soggetto a una serie di Pag. 38limitazioni nell'effettivo utilizzo, però l'ammontare totale di quello che almeno potenzialmente sarebbe spendibile è di circa 15 miliardi.
  Il Governo fa l'ipotesi di un profilo molto graduale di aumento della spesa, con un effetto nullo nel 2019 e moderato nei successivi due anni di previsione: 500-700 milioni di euro. Questo va verificato, bisogna fare molta attenzione. Naturalmente, nessuno si aspetta che vengano spesi 15 miliardi il prossimo anno, per essere chiari: 15 miliardi è il volume complessivo.
  Quindici miliardi sono quelli che ci sono oggi. La somma degli avanzi di amministrazione a oggi è pari a 15 miliardi. Già si sono realizzati. Lo stock.

  LUIGI MARATTIN. Solo comuni e province.

  GIUSEPPE PISAURO, presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio. Sì, naturale.
  Una maggiore rapidità di utilizzo rispetto alle stime governative è certamente possibile.
  L'altro dato interessante è dove stanno questi avanzi di amministrazione: sono soprattutto al Nord, sono nei comuni del Nord soprattutto.
  Poi c'è un altro aspetto altrettanto interessante, una sorta di via libera al ricorso all'indebitamento. Diventa possibile, per ciascun ente, finanziare gli investimenti con nuovo indebitamento, cioè accendendo nuovi mutui, con il solo limite della sostenibilità del piano di ammortamento dei debiti in essere. C'è un vincolo sul rapporto tra spesa per interessi e altre voci del bilancio dei singoli enti.
  Qual è la novità rispetto al regime attuale? Viene meno un vincolo aggiuntivo presente nel regime attuale, quello che prevede una procedura, gestita a livello regionale, volta ad assicurare che la maggiore spesa finanziata tramite ricorso a indebitamento sia compensata da una corrispondente minore spesa di altri enti all'interno della regione.
  La misura sembra consentire un'accelerazione della spesa per investimenti già finanziata da mutui, perché questo vale anche per i mutui già in essere, nonché del ricorso al nuovo indebitamento fin dal primo anno, con un possibile impatto immediato sul disavanzo e sul debito delle amministrazioni pubbliche.
  Mi fermerei qui.

  PRESIDENTE. Grazie, presidente.
  Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  BEATRICE LORENZIN. Ci sarebbe moltissimo su cui intervenire, anche sull'ultima questione posta dal presidente nella sua interessantissima relazione, la cui sintesi potrebbe essere che la manovra è da riscrivere. Dopo queste audizioni di stamattina, forse potremmo fare anche una piccola valutazione in questo senso. Non so se ci saranno i tempi, però questo lo vedrà il Governo.
  Io, invece, mi vorrei soffermare su un punto in cui lei giustamente – il tempo era quello che era – non si è addentrato, e farò una domanda molto precisa in questa giornata di oggi, riguardante interventi in materia sanitaria.
  Vedo che nella relazione si conferma il livello di finanziamento del Servizio sanitario nazionale per il 2019, che avevamo già fissato in 114,435 miliardi di euro, al netto anche della riduzione dei 604 milioni di euro che sappiamo esserci in base all'accordo avuto con le regioni a statuto speciale.
  Nella relazione si sottolinea come alla fine, se si incrociano i dati con il tendenziale della NADEF, in realtà vediamo una riduzione della spesa sanitaria già nei prossimi anni. Ci potrebbe essere un segno inverso – l'abbiamo letto anche nell'articolo 39 – se la Conferenza Stato-regioni e il Governo riescono a sancire il prossimo Patto per la salute già nel mese di gennaio 2019.
  Ora, con tutta la buona volontà possibile, è molto difficile, considerando che siamo in piena manovra di bilancio, che a gennaio si faccia il Patto per la salute. Non sarò stata particolarmente brillante io, ma ci abbiamo messo nove mesi per arrivare a Pag. 39un accordo. Per carità, sono sicura che gli altri saranno certamente più brillanti, ma rimane una preoccupazione.
  Alla luce delle varie questioni che avete qui sottolineato e che sono sul tavolo, che cosa succede al rinnovo del contratto dei medici, a cui è legato comunque uno stanziamento di circa un miliardo di euro? Che cosa succede al fondo per i farmaci innovativi, che qui non mi sembra rifinanziato? Non so se avete fatto una valutazione su questo. C'è poi l'impatto sul personale, che vedo avete già inserito, che meriterebbe comunque un'analisi a parte, che credo avremo occasione di fare. Vorrei capire, a bocce ferme, che cosa succede al finanziamento del Fondo sanitario e ai vari provvedimenti nel prossimo triennio, negli anni 2019, 2020 e 2021.

  STEFANIA PRESTIGIACOMO. Questa mattina, l'ISTAT ci ha detto, a proposito dei 9 miliardi di euro destinanti a finanziare il reddito di cittadinanza, che l'impatto sul PIL sarebbe dello 0,2-0,3 per cento circa, che è una valutazione, a nostro avviso, anche ottimistica. Volevo sapere se anche voi avete fatto delle valutazioni al riguardo.
  Un'altra cosa volevo chiederle a proposito della tassazione. Lei ci ha detto che la manovra di bilancio prevede complessivamente un aumento del carico tributario di 6,1 miliardi di euro e che in parte questo incremento è dovuto a interventi straordinari nel settore finanziario e nel settore assicurativo, per circa tre quarti.
  Noi sappiamo per esperienza che quando si pensa di coprire, di considerare questo carico tributario coperto, con interventi eccezionali in questi settori, poi, alla fine, tutto ciò viene sterilizzato, perché, di fatto, questi settori poi si rivalgono sui cittadini attraverso aumenti delle tariffe e, quindi, alla fine, questo costo in più ci sarà per i cittadini e per le famiglie.
  Chiedo se avete fatto un'analisi anche in questo senso.

  RAPHAEL RADUZZI. Grazie per la relazione. Effettivamente stiamo registrando in queste ultime settimane che alcuni indici si stanno deteriorando in una maniera più rapida del previsto. Dall'altra parte, però, volevo chiederle – l'ho chiesto anche questa mattina ai rappresentanti dell'ISTAT – delle considerazioni sulle variabili esogene. Ad esempio, sul prezzo del petrolio abbiamo visto nell'ultimo mese un sostanziale calo, molto forte – ora siamo intorno ai 70 dollari al barile, parlo per il brent – e anche per il tasso di cambio euro-dollaro che nella NADEF era fisso all'1,19 ora siamo a 1,12. Mi chiedevo se queste variabili esogene potrebbero influire in senso positivo per quello che è il quadro congiunturale.
  Ho un'altra domanda. Come ricordava la collega, questa mattina l'ISTAT ci ha sostanzialmente ricordato che il moltiplicatore implicito per i trasferimenti di spesa pubblica è pari allo 0,7. Una misura tipo il reddito di cittadinanza di 9 miliardi di euro porterebbe a un aumento del PIL dello 0,3 per cento.
  Vado un po’ a memoria. Ricordo quelle che erano state le vostre considerazioni all'epoca delle audizioni per la NADEF e voi stimavate una crescita all'1,2, con un sostanziale impatto della manovra programmatica di 0,3 punti percentuali. Si passava dal tendenziale a 0,9 a un impatto all'1,2. Mi pareva fossero questi più o meno i conti.
  Vediamo dai dati ISTAT, invece, che il moltiplicatore sarebbe molto più ampio di quello stimato da voi, che era 0,1-0,2 rispetto ai trasferimenti.
  Su questo chiederei una riflessione.

  LUIGI MARATTIN. Buongiorno, presidente. Pongo tre questioni abbastanza veloci. Avete fatto un'ottima analisi micro sul regime forfetario e regime sostitutivo. Ricordo a me stesso che quello sostitutivo, che entra in vigore nel 2020, è avvolto da un considerevole alone di mistero, in quanto è soggetto all'autorizzazione comunitaria.
  Forse un grado di realismo e di prudenza maggiore consiglierebbe di limitare – parlo per noi, ovviamente, per l'analisi finalizzata all'esame parlamentare – l'analisi al regime forfetario, in quanto quello sostitutivo deve ricevere il via libera comunitario, e ognuno di noi poi giudica se ciò è probabile o improbabile. Pag. 40
  Mi chiedevo un'altra cosa. Purtroppo siamo nella condizione, a volte, di dover ribadire l'ovvio, però a beneficio del dibattito forse può essere utile. Per quanto riguarda la pressione fiscale aggregata, questa manovra, rispetto al 2018, nel 2019 lascia, secondo il Documento programmatico di bilancio, la pressione fiscale inalterata al 41,8 per cento, basandosi, però, su una stima di PIL che ha le problematiche che conosciamo.
  Da questo punto di vista vorrei una sua valutazione sul fatto che, qualora la stima del PIL risultasse troppo ottimistica, la pressione fiscale non rimarrebbe stabile come al momento è, ma subirebbe nei fatti un aumento.
  Nel secondo quesito mi allaccio alla domanda del collega sui moltiplicatori (0,7 o 0,3 non ho compreso bene la domanda del collega, ma è una mia responsabilità) e arrivo a una questione più pregnante, dal mio punto di vista. A proposito del moltiplicatore associato ai trasferimenti, su cui qualche dubbio che sia 0,7 è plausibile – ma potrebbe essere anche 2,7 – il punto fondamentale è che, nel momento in cui tre quarti della manovra espansiva sono concentrati sui fondi destinati al reddito di cittadinanza, alla pensione di cittadinanza, che sono trasferimenti, e alla «quota 100», e nel momento in cui, secondo il Governo, praticamente tutto l'incremento del PIL previsto nel 2019 o gran parte di esso è basato sul dispiegarsi di questi trasferimenti, a cui è sotteso un moltiplicatore «x», qualora l'attuazione di questi strumenti per mezzo dei decreti collegati rendesse l'implementazione di questi trasferimenti molto parziale nel 2019 o addirittura assente, che ne sarebbe di tutta la stima del PIL?
  Noi possiamo pure mettere un moltiplicatore di 100 attaccato ai trasferimenti, ma secondo lei esiste una data del 2019 oltre la quale l'implementazione pratica di queste misure non avrebbe un effetto sui consumi e quindi sul PIL?
  Fra l'altro, la metto al corrente di un sogno che ho fatto stanotte, così mi dice se per caso ho mangiato troppo ieri sera o no. Questi fondi hanno stanziamenti per 15,7 miliardi di euro, ma per due interventi, il reddito di cittadinanza e la pensione di cittadinanza, i ritardi connessi all'approvazione dei collegati potrebbero non determinarne un'effettiva spesa nel 2019. Lei oggi ci ha dato un altro elemento anche sul terzo, vale a dire le persone potrebbero non considerare conveniente usufruire di «quota 100», quindi anche quei 6,7 miliardi di euro potrebbero in tutto o in parte non essere spesi (nel momento in cui da un punto di vista pratico il tiraggio da quei fondi non avvenisse).
  Il sogno che ho fatto stanotte è che quindi di quei 15,7 miliardi di euro a consuntivo 2019 la maggior parte verrebbe non spesa e a quel punto il Governo avrebbe una scelta, o destinarli ad altre misure di spesa, se l'esercizio non sarà già troppo avanzato, oppure destinarli all'abbattimento del deficit, rientrando così in quelli che potrebbero essere i dettami dell'Unione europea. Mi dica, presidente, secondo lei ho mangiato troppo ieri sera oppure no?
  L'ultimo punto sulla finanza locale è questo: lei giustamente ricordava lo sblocco degli avanzi, materia di un ottimo focus dell'Ufficio parlamentare di bilancio di qualche mese fa, però vorrei ricordare – ce lo ricordava prima la Corte dei conti – che l’overshooting sulla regola fiscale ancora l'anno scorso è stato di circa 4,3 miliardi di euro per il solo comparto comunale e di 3,9 miliardi di euro nel comparto regionale.
  La valutazione che le chiedo è se l'impatto espansivo associato alla liberazione completa degli avanzi, considerando che negli ultimi anni gli enti locali hanno lasciato amplissimi margini di avanzo non utilizzati, che pure erano utilizzabili, sia effettivamente così forte. Perché se ci fosse stata quella capacità, non avremmo assistito agli overshooting.
  Devo dire infine, presidente, che non concordo con la sua ultima affermazione sulla finanza locale, il vincolo per il ricorso all'indebitamento non è soltanto quello del 10 per cento nel rapporto fra interessi e spesa corrente, vi è, lo ricordate nell'audizione, il vincolo all'equilibrio di parte corrente, vale a dire che se ci si indebita molto adesso, occorre tener conto negli anni futuri Pag. 41 che le entrate correnti devono pareggiare le spese correnti più la quota capitale. È questa la differenza fra comuni e Stato, lo Stato può coprire il rimborso con il rollover, i comuni no.
  Non mi preoccupa tanto questo, a me preoccupa il combinato disposto fra questo e lo sblocco della leva fiscale per i comuni, nel senso che, nel momento in cui si liberalizza da questo punto di vista l'utilizzo del debito per i comuni e l'unica preoccupazione dei comuni è avere in futuro le entrate correnti per coprire il rimborso dei prestiti, liberalizzando adesso la leva fiscale, senza aver compiuto quella riforma della fiscalità immobiliare locale, che per noi era il presupposto fondamentale, non si rischia di avere in futuro più debito locale accoppiato a più tasse per coprire la quota ammortamento di quel debito?
  Il punto è questo, uno può disquisire finché vuole: la leva fiscale andava sbloccata per garantire autonomia ai comuni, secondo noi nel quadro di una riforma degli strumenti fiscali, ma se ne può discutere, ma quello che evidenzia lei, letto in combinato disposto con l'aumento delle tasse, siccome l'unico vincolo che i comuni devono rispettare da questo punto di vista è quello di parte corrente, non rischia di prefigurare una situazione in cui avremo più debito e più tasse nei prossimi anni?

  ROBERTA FERRERO. Io sono più fiduciosa rispetto al collega, forse faccio dei sogni migliori. In relazione alla nuova prospettiva dell'agevolazione sugli utili reinvestiti – mi riferisco in particolare al suo confronto tra ACE e riduzione di 9 punti percentuali della tassazione sugli utili reinvestiti – mi chiedevo se avete inserito nelle vostre stime un effetto in particolare. Non pensate che un incentivo sull'utile possa indurre le aziende – non mi fraintenda su questo – a dichiarare più utili, una sorta di riemersione?
  Questo potrebbe dare quindi un contributo all'aumento del PIL.

  MARIO TURCO. Mi riferisco anch'io alle dichiarazioni di Marattin. La domanda è questa: con riferimento alla nuova legge di bilancio e in virtù anche delle precedenti previsioni relative alla legge di bilancio dell'anno scorso, volevo conoscere l'effetto sulla decrescita dell'eventuale mancata neutralizzazione dell'IVA.
  Dato che nell'attuale disegno di legge di bilancio per fortuna andiamo a neutralizzare l'impatto dell'IVA con tutta una serie di benefici sui consumi e sul PIL, il moltiplicatore che l'Ufficio parlamentare di bilancio ha determinato quando ha analizzato le previsioni dell'anno scorso che tipo di moltiplicatore era? Quali previsioni di decrescita dei consumi erano state determinate? Qual era la decrescita del PIL in virtù di quell'incremento della tassazione indiretta che l'IVA avrebbe prodotto?

  PRESIDENTE. Mi permetto di porre una domanda, approfittando della presenza del professore a cui sarebbe un peccato non chiedere qualche consiglio.
  In merito al provvedimento incrementale sull'IRES giustamente lei ha osservato che va in un'ottica di aumento di patrimonializzazione o quantomeno di disincentivo alla distribuzione dell'utile. Se, supponendo, si pensasse di sostituirla con una semplice tassazione differenziata, più favorevole alle imprese che decidano di non distribuire l'utile, vedrebbe una differenza sostanziale come impostazione?

  MARIA ELENA BOSCHI. Anche alla luce della sua domanda ci sorge un altro interrogativo a questo punto per sentire anche se il professore concorda con quanto in alcune audizioni è già emerso, cioè se l'eventuale vantaggio in termini fiscali e poi anche di impatto positivo sulla crescita che può avere questa nuova misura introdotta sull'IRES, di cui parlavamo adesso, compensi in qualche modo gli svantaggi che presumibilmente potranno avere le aziende sia in termini fiscali, sia in termini complessivi di crescita del Paese in conseguenza della riduzione delle agevolazioni previste per il piano Industria 4.0.

  PRESIDENTE. Direi che abbiamo finito con le domande, quindi lasciamo la parola al professor Pisauro per la replica.

Pag. 42

  GIUSEPPE PISAURO, presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio. La prima domanda dell'onorevole Lorenzin riguarda quello che succede al finanziamento della sanità. Probabilmente chi pone la domanda sa di sanità molto più di chi deve rispondere, però a pagina 77 abbiamo una tabella, la 3.14, che sintetizza quello che è scritto nel testo. Sostanzialmente parte dal fabbisogno sanitario nazionale, il concorso dello Stato, e poi con segni più e meno evidenzia quello che aggiunge o toglie tutto l'insieme di questa manovra con le varie misure e arriva a un totale. Quindi la nostra è la valutazione che si desume dalla relazione tecnica, non c'è nessuna valutazione particolare, è soltanto una somma algebrica di addendi con il segno più e addendi con il segno meno.
  In termini complessivi per il 2019 avremmo un maggior finanziamento di 72 milioni, per il 2020 minore di 92, quindi per il 2019-2020 grosso modo non c'è un effetto netto né positivo, né negativo. Abbiamo un effetto netto negativo di 850 milioni nel 2021. Questa è la sintesi in quello che si può ricavare dalla lettura delle varie parti della manovra.
  L'onorevole Prestigiacomo chiede l'impatto del reddito di cittadinanza sul PIL, che poi è una domanda in qualche misura posta anche dall'onorevole Raduzzi. Premesso che noi usiamo un modello che è nato nell'ISTAT, quindi abbiamo numeri simili, adesso non ricordo onestamente a memoria quale fosse, però il racconto che ho fatto l'altra volta era il seguente. Normalmente il moltiplicatore di una spesa di trasferimento alle famiglie è relativamente basso, siamo intorno a 0,4-0,5, perché l'idea è che una parte del trasferimento venga risparmiata, un'altra parte vada in beni importati, e così via. Nel caso specifico, nella nostra valutazione di quella misura abbiamo introdotto una sorta di tara al contrario, nel senso che quel moltiplicatore medio si applica a trasferimenti alle famiglie in genere, quindi a una famiglia media, mentre qui il trasferimento sarebbe a favore di famiglie con redditi molto bassi, che possiamo definire povere, quindi queste famiglie spenderebbero di più. Nel linguaggio tecnico degli economisti sono famiglie liquidity constraint, senza soldi, quindi avrebbero una propensione al consumo più alta e quindi il moltiplicatore sarà relativamente più alto.
  Non ricordo a memoria onestamente il moltiplicatore specifico di questa misura dopo aver fatto girare tutto il modello, ma rispetto alla questione che lei poneva devo chiarire bene qual è il nostro tendenziale. Facciamo l'esercizio di valutazione della previsione macroeconomica del Governo in due step: prima noi e altri tre, ognuno per conto proprio, valutiamo il tendenziale, poi valutiamo il programmatico. Quando si valuta il tendenziale e si valida lo 0,9 del Governo, non significa che da quel punto in poi tutti ci mettiamo a 0,9, ognuno mantiene il suo. Noi abbiamo validato lo 0,9 del Governo perché avevamo un range che andava da 0,6 a 0,9 – nel nostro caso specifico avevamo 0,8 come tendenziale.
  Perché non ci dobbiamo mettere tutti allo stesso livello, ovvero tutti a 0,9, e rifare il calcolo sul delta? Lo spiego con un esempio semplice: l'IVA – anche questa è una domanda che mi è stata posta. Se io valuto molto l'effetto, recessivo o espansivo, a seconda se la metto o la tolgo, di un aumento delle aliquote IVA, avrò un tendenziale più basso, quindi magari quello che da noi ha detto che il tendenziale è 0,6 è perché aveva valutato molto l'effetto dell'IVA, quando lo toglierà lo valuterà ancora molto, ma partendo da 0,6; non lo portiamo a 0,9 e poi gli facciamo valutare in aggiunta l'effetto della nuova IVA. Quindi ognuno riparte dal suo tendenziale.
  Il calcolo non si fa sul delta, noi facciamo una valutazione complessiva. Nel nostro caso partivamo da un tendenziale di 0,8, l'eliminazione dell'IVA per noi valeva 0,2, quindi eravamo arrivati a 1, il resto della manovra, che dal punto di vista di dimensione in termini di rapporto al PIL era circa 0,4, per noi portava a un incremento ulteriore, a 1,2.
  Ognuno parte dal proprio punto di partenza, altrimenti introdurremmo una distorsione enorme nella stima. Il nostro compito non è valutare il tendenziale, noi valutiamo il tendenziale perché in Italia il Pag. 43programmatico esce la notte del giorno in cui deve essere pubblicato e deve essere poi valutato in due giorni, quindi valutiamo il tendenziale per avere una base di partenza condivisa con il Ministero dell'economia e delle finanze che produce quella cifra, per eliminare dalla discussione le differenze di valutazione dell'andamento tendenziale.
  In altri Paesi valutano semplicemente il programmatico, perché lo ricevono per tempo, e peraltro in altri Paesi questa differenza tra il tendenziale e il programmatico nei documenti ufficiali non la trovate, trovate la previsione di cosa accadrà all'economia, comprese le misure del bilancio, negli anni successivi.
  Un'altra domanda dell'onorevole Prestigiacomo riguardava, se ho capito bene, la possibilità che gli aggravi tributari posti a carico di banche e assicurazioni vengano traslati. No, onestamente non siamo in grado oggi di dare una risposta, vale il discorso di prima, abbiamo letto il documento come tutti voi, non l'abbiamo letto un mese prima, è un esame che richiede una capacità di analisi e una rapidità che in questo momento non abbiamo, però su questo possiamo provare a costruire una risposta sulla base dell'esperienza di misure precedenti, non abbiamo valutato queste misure in particolare.
  L'onorevole Raduzzi diceva giustamente che alcune delle variabili esogene, come il cambio, il prezzo del petrolio, sono migliorate, ma questo non è sufficiente a modificare il quadro. Con le nuove esogene abbiamo fatto degli esercizi, nell'insieme non cambia molto, quello che pesa di più sul 2019 a questo punto è l'informazione congiunturale sull'andamento del terzo trimestre, le previsioni sul quarto, il trascinamento molto ridotto sul 2019. È questo che pesa di più e che comporta una limatura nel nostro caso – nel caso della previsione ufficiale sarebbe ben più di una limatura – della previsione di crescita per il 2019.
  L'onorevole Marattin chiede: se il PIL diminuisce, la pressione fiscale aumenta? Sì aumenta, ma immagino fosse una domanda retorica. Per quanto riguarda il moltiplicatore associato ai trasferimenti alle famiglie credo di aver risposto in quello che ho detto poco fa.
  Sulla questione del sogno – se non si fanno né il reddito di cittadinanza né l'anticipo pensionistico – bisogna rivolgersi a esperti di sogni, non saprei cosa rispondere. Posso rispondere solo che, come abbiamo detto, potrebbe non convenire andare in pensione con «quota 100». Ammesso che ci sia «quota 100», speriamo che ad alcuni non convenga andare in pensione con «quota 100», perché altrimenti, come dicevamo prima, la spesa annuale sarebbe di 13 miliardi, non di 6,7 e poi 7 per sempre, quindi in quella stima è già incorporata l'idea che perlomeno la metà non vada in pensione.
  A questo stadio, di più non riesco a dire naturalmente, non conosciamo i dettagli delle misure, di cosa si tratta, è anche difficile fare una previsione sull'effettivo inizio di efficacia di quelle misure, quindi onestamente non riesco a rispondere. L'ho detto prima, c'è questa possibilità che effettivamente alcune spese non si realizzino, comprese anche quelle per gli investimenti, e questo in prima battuta produrrebbe un disavanzo più basso.
  Sulla finanza locale, nel presentare i nostri ragionamenti – su questo ci sarà modo di approfondire in seguito – sulla disponibilità degli avanzi di amministrazione volevo solo dare un'idea di qual è il possibile ammontare complessivo di risorse, chiaramente non ho nessuna idea che possa essere effettivamente di quella dimensione. Quello che però ci lascia un po’ dubbiosi sono le cifre previste dal Governo sull'utilizzo di quel fondo, che sono particolarmente basse.
  Riguardo invece alla questione dei mutui, all'accensione di nuovi mutui e così via, citava prima l'onorevole Marattin il fatto che ci fosse stato un overshooting della leva fiscale; da quello che mi risulta c'è un overshooting anche della regola degli interessi, quindi lo spazio per nuovi mutui senza andare a infrangere quella regola c'è, sulla parte corrente credo che non abbiamo un'analisi altrettanto dettagliata, quindi sicuramente quell'elemento conta. Pag. 44
  Anche qui, di nuovo, a questo stadio siamo in grado solo di segnalare potenziali problemi, non abbiamo una immagine sufficientemente dettagliata, non l'abbiamo ancora costruita, dei bilanci dei vari enti locali che ci consentirebbe di dire chi ha o meno spazio rispetto a quel vincolo. Sono d'accordo, quello è sicuramente un vincolo.
  Lo sblocco della leva fiscale. Una cosa interessante – ne parlavamo stamattina prima di venire riflettendoci un momento, non è nel testo – è che, come abbiamo visto, gli avanzi sono concentrati soprattutto al Nord. Il problema è che anche lo spazio fiscale è concentrato soprattutto al Nord, cioè le aliquote dei comuni del Sud sono mediamente più alte, cioè c'è meno spazio al Sud, Roma non ne parliamo.
  Abbiamo quindi questo effetto paradossale – non so se lo sia, ma potrebbe apparire tale – che contemporaneamente quelli che hanno più spazio per spendere, perché hanno avanzi di amministrazione, hanno contemporaneamente anche più spazio fiscale, quindi probabilmente avranno meno bisogno di aumentare le aliquote delle imposte locali.
  Anche questa è una prima considerazione impressionistica sul totale di quel mondo, e anche questa va qualificata, però tra IMU e addizionali IRPEF comunali da almeno dieci anni mediamente le aliquote sono più alte al Sud che non al Nord, per ovvi motivi: hanno una base imponibile molto più ristretta, quindi, dovendo raccogliere determinate cifre, hanno bisogno di aumentare l'aliquota. E poi sono anche quelli che hanno più problemi.
  La riduzione della tassazione sugli utili reinvestiti è un incentivo a dichiarare più utili? Senatrice Ferrero, non lo so, nel senso che da un lato dichiarando più utili si fa spazio per poter dedurre investimenti, ma comunque qualche imposta la si paga, con un'aliquota più bassa. Nove punti sono tanti, certo, anche su questo bisogna ragionare di più.
  Sull'impatto della neutralizzazione o meno dell'aumento dell'IVA ho già risposto.
  L'onorevole Borghi chiedeva invece se le misure relative all'IRES fossero un incentivo a non distribuire utili. Ma non assomiglierebbe molto all'ACE una cosa del genere? L'ACE sostanzialmente detassava o comunque agevolava fortemente gli aumenti di capitale, riconoscendo una deduzione.

  PRESIDENTE. Scusi, mi permetto di interloquire perché me lo chiede: una cosa è l'incremento di capitale, una cosa è la non distribuzione dell'utile.

  GIUSEPPE PISAURO, presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio. Assolutamente, è chiaro. Comunque la non distribuzione dell'utile, se non viene investita, andrà in riserva, quindi è questo meccanismo.
  L'ultima domanda era dell'onorevole Boschi, che però mi sono perso.

  MARIA ELENA BOSCHI. Ho chiesto se i complessivi interventi che il Governo ha immaginato in legge di bilancio, che possono in qualche modo favorire le aziende, possano compensare quello che invece si taglia per quanto riguarda il piano Industria 4.0 e poi indirettamente anche con l'ACE, come veniva ricordato adesso.

  GIUSEPPE PISAURO, presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio. A questo stadio di valutazione con un modello macroeconomico la risposta è che uno vale l'altro.
  In un modello macroeconomico voi avete una sorta di funzione degli investimenti che ha dentro variabili molto approssimative del sistema tributario, non c'è il sistema tributario, quindi se elimino l'ACE e la sostituisco con una cosa analoga dello stesso gettito l'effetto è zero in prima battuta, poi bisogna fare analisi di tipo micro sulle singole imprese e lì possiamo dare un altro tipo di risposta, ma ex ante, lavorando con un modello di tipo macroeconomico, le categorie sono trasferimenti alle famiglie, in cui posso al limite distinguere famiglie povere e famiglie ricche, interventi sul costo d'uso del capitale e sul tasso di interesse.
  A questo stadio non siamo in grado di dire se la sostituzione di una misura con Pag. 45l'altra produrrà o sia suscettibile di produrre un effetto positivo o negativo. Dichiaro la mia incapacità a rispondere a questa domanda.

  PRESIDENTE. Grazie mille, presidente.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta, sospesa alle 13.50, è ripresa alle 14.25.

Audizione di rappresentanti dell'ANCI, dell'UPI e della Conferenza delle regioni e delle province autonome.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio per il 2019-2021, l'audizione, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del Regolamento della Camera, di rappresentanti dell'ANCI, dell'UPI e della Conferenza delle regioni e delle province autonome.
  Saluto e ringrazio Davide Caparini, in rappresentanza della Conferenza delle regioni e delle province autonome, a cui lascio la parola.

  DAVIDE CARLO CAPARINI, coordinatore della Commissione affari finanziari della Conferenza delle regioni e delle province autonome. Grazie, presidenti Borghi e Pesco, gentili onorevoli e senatori. Ringrazio anche i rappresentanti di ANCI e UPI, per avermi consentito di intervenire per primo. Spero di non aver scombussolato i loro piani.
  Come di consueto, abbiamo allegato alla nostra relazione alcune tabelle esplicative, in modo da rendere anche più semplice la lettura della prossima manovra.
  Da queste tabelle si evince, per esempio, come, ancora una volta, le regioni, orgogliosamente, anche nei termini dalla collaborazione istituzionale che sempre ci ha contraddistinto, abbiano contribuito ai saldi di bilancio e l'hanno fatto in modo imponente, con 14,5 miliardi di euro per il 2019 e con 13,8 miliardi di euro nel 2020.
  Si dà conto, poi, per quanto riguarda l'intesa Stato-regioni che è stata siglata nel recente mese di ottobre, del contributo teso a qualificare gli avanzi in investimenti. Vi ricorderete – molti di voi erano presenti – dell'audizione che abbiamo svolto all'inizio di questa legislatura, durante la quale abbiamo avanzato la proposta, poi accolta dal Governo, di uno scambio tra la quota di avanzo che le regioni hanno realizzato con una spesa per investimenti, in modo da rilanciare gli investimenti pubblici, e, quindi, creare quella attesa quanto auspicata iniezione di risorse nel sistema produttivo e infrastrutturale del Paese.
  Nella nostra relazione abbiamo fornito un quadro generale relativo ai prossimi sette anni in merito ai profili temporali degli investimenti delle regioni a statuto ordinario, che ammontano a 5,7 miliardi di euro dal 2017 al 2023, e pari per l'anno prossimo a 1.102.000.000 euro.
  Vorrei farvi notare un fatto secondo noi sostanziale. Al di là dell'immane sforzo di qualificazione degli avanzi, ora ci poniamo anche un tema che riguarda una delle clausole che sono state sottoscritte nell'accordo in sede di Conferenza, ovvero il fatto che, se c'è un mancato o un parziale impegno degli investimenti, le regioni saranno costrette a riversarlo alle casse dello Stato.
  Vi faccio notare che questo non è previsto per lo Stato, o meglio, in caso di mancato stanziamento, lo Stato procede alla rimodulazione, e quindi applica a se stesso un taglio.
  Evidentemente, poniamo questo tema al dibattito della Commissione in quanto costituirebbe anche un elemento premiale per le amministrazioni che hanno dei comportamenti virtuosi.
  La relazione riassume, a legislazione vigente, le salvaguardie per quanto riguarda le politiche sociali, quindi il frutto virtuoso dell'accordo che è stato sottoscritto, e i fondi per le politiche sociali che sono stati garantiti attraverso quest'accordo.
  Vorrei sottolineare come sono fondamentali i 75 milioni di euro per l'autonomia e la comunicazione a favore del personale e degli alunni con disabilità fisiche e i 100 milioni di euro per il fondo nazionale per la non autosufficienza e anche i 120 milioni per il fondo per le politiche sociali. Pag. 46Sono trasferimenti quanto mai delicati e fondamentali da mantenere. Questo è stato garantito grazie a questo accordo, che quindi, oltre ad attuare le sentenze della Corte costituzionale, con lo spirito collaborativo con cui le regioni, che sono parte della Repubblica, hanno inteso muoversi, consente anche un concorso positivo da parte delle amministrazioni locali ai saldi, e quindi anche al rapporto debito/PIL, oltre che alla riqualificazione della spesa corrente verso gli investimenti per la crescita. Come risulta dalla relazione, per il 2019 concorreremo con 1,6 miliardi di euro, e quindi per lo 0,09 per cento in positivo rispetto al rapporto deficit/PIL complessivo del meno 2,4 per cento.
  Relativamente all'enorme impegno previsto dal comma 140 dell'articolo 1 della legge n. 232 del 2016, in tema di materie concorrenti, e agli investimenti che sono stati poi l'oggetto del contendere, portando alle sentenze della Corte costituzionale che hanno in qualche modo obbligato lo Stato a rivedere l'approccio e a prevedere l'intesa su tutti gli impegni di competenza regionale, o comunque su quelli in materia concorrente, avanziamo una proposta ulteriore.
  Invece di, come stiamo già facendo oggi e fino a quando si esaurirà l'effetto dell'intesa sottoscritta a ottobre, esaminare e poi approvare, e, in futuro, intervenire su ogni riparto, la nostra proposta è di trasferire tutto il frutto delle intese quadro in un unico fondo per gli investimenti per gli enti territoriali, all'interno del quale poi poter operare senza dover ricorrere ogni volta a uno o a più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri. Sapete che, infatti, a seconda del tipo di fondo, sono possibili diversi approcci: le Commissioni competenti, la Corte dei conti eccetera. Noi proponiamo di responsabilizzare ulteriormente gli enti territoriali, e quindi, proprio a fronte anche dalla sentenza della Corte costituzionale n. 74 del 2018, di convogliare tutto in un unico fondo di investimento.
  Questo è un elemento di dibattito che sottoponiamo alla vostra attenzione, anche a fronte del fatto che – come specificato nella Nota di aggiornamento al DEF 2018 – in questi anni le amministrazioni locali, in particolar modo le regioni, hanno dato un loro contributo fondamentale alla tenuta dei saldi, tanto è vero che il debito delle amministrazioni locali nel periodo 2021-2014 – si è ridotto del 13,68 per cento, ossia di 20 miliardi di euro. Contestualmente, al netto dei sostegni finanziari per l'area euro, le amministrazioni centrali segnano, invece, un aumento di 350 miliardi di euro.
  È evidente che, quindi, il maggiore sforzo chiesto alle amministrazioni locali, comunque, non corrisponde a un equivalente saldo positivo per quanto riguarda l'indebitamento. Vorrei sottoporre alla vostra attenzione quest'aspetto, che credo debba orientare o possa meglio orientare il legislatore a guardare verso le amministrazioni centrali allorquando si pensa di ottenere un abbassamento dell'indebitamento.
  Per quanto riguarda la natura del debito contratto, è evidente che questa cambia, perché le amministrazioni locali, a maggior ragione, hanno un tipo di indebitamento amortizing, quindi con un'estinzione comunque scaglionata nel tempo, e non di tipo bullet, come avviene per il debito dell'amministrazione centrale.
  Da qui c'è un altro tema che vorremmo porre alla vostra attenzione. So che è ardito, ma sicuramente so che c'è voglia di affrontare questi temi con rinnovato impegno per cambiare il quadro della finanza pubblica. In questo senso, noi proponiamo di dare l'intera autorizzazione a contrarre debito agli enti territoriali, in modo che loro stessi si facciano carico degli investimenti sul territorio, procedendo poi gradualmente alla loro ammortizzazione. È un approccio diverso rispetto a quello che finora c'è stato.
  Per quanto riguarda la parte più importante del bilancio delle regioni, ovvero la sanità, facciamo riferimento anche alla relazione che la Corte dei conti ha appena consegnato e illustrato a queste Commissioni, in cui è confermato il fondo di 114,5 miliardi di euro per il 2019, ulteriori 2 miliardi di euro per il 2020 e 1,5 miliardi di euro per il 2021. La questione in questo Pag. 47caso ruota, come anche la Corte dei conti ha sottolineato, intorno alla sottoscrizione del patto per la salute.
  Noi formuliamo una serie di proposte, anche attraverso emendamenti che la Conferenza e la Commissione sanità della Conferenza hanno già esaminato. Proponiamo un termine più realistico per quanto riguarda l'approvazione del patto per la salute. Inoltre, facciamo notare che, essendo a isorisorse il passaggio dal 2018 al 2019, non sarebbe teoricamente necessaria un'ulteriore valutazione, e anzi, proprio per rendere da subito disponibili le somme, crediamo che non sia assolutamente necessario un passaggio, una valutazione nel patto della salute, che deve invece avere durata dal 2020 al 2021.
  Poi c'è tutto il tema dei programmi per l'edilizia sanitaria, per cui c'è stato un incremento di 2 miliardi di euro. Vorremmo che siano meglio specificati quali sono gli ambiti di intervento.
  Poi c'è, evidentemente, l'ormai annosa questione del tema del trasporto locale. Abbiamo formulato una serie di emendamenti che tengono conto delle agevolazioni che sono state ricomprese nel trasferimento, e quindi sono a totale carico degli enti locali, stante, comunque, la cronica carenza di risorse.
  Altri temi su cui abbiamo posto l'attenzione, che sono sicuro saranno oggetto del dibattito, sono riferiti all'operatività dei centri per l'impiego, al rinnovo dei contratti per i dipendenti pubblici, al rinnovo del contratto del settore sanità – anche questo è un tema di cui queste Commissioni sono edotte –, alla proposta della ristrutturazione del debito con l'obiettivo di ridurre lo stock e, ultimo, al ristoro del minor gettito per le regioni per le norme previste dalla legge n. 119 del 2018.
  Per quanto riguarda, cioè, sia la minore entrata prevista dalla pace fiscale sia i maggiori oneri correnti, facciamo appello alla legge n. 42 del 2009, che prevede comunque, nel momento in cui c'è una modifica da parte del legislatore nazionale sulle basi imponibili o sulle aliquote dei tributi, che ci sia una contestuale adozione di misure di compensazione. Evidentemente, le regioni e gli enti locali devono essere messi in condizione di avere lo stesso trasferimento. Questi sono i temi che la Conferenza pone alla vostra attenzione.
  Aggiungo che, oltre a quanto detto per le regioni a statuto ordinario, le regioni a statuto speciale, soprattutto la regione Sardegna e la regione Sicilia, notano che con questo disegno di legge di bilancio si richiede alle regioni a statuto speciale di compensare tra loro i saldi predeterminati. Tali regioni interpretano questa previsione come un aggiramento della norma e soprattutto della sentenza della Corte costituzionale n. 77 del 2015, e quindi, evidentemente, nella loro autonomia di dialogo con il Governo, tendono a sottolineare come questa misura per loro sia profondamente iniqua. Si riservano, quindi, in sede bilaterale di affrontare la questione con il Governo.

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare sull'ordine dei lavori l'onorevole Marattin. Ne ha facoltà.

  LUIGI MARATTIN. Intervengo sull'ordine dei lavori, per formulare una proposta che non so se sia condivisa o meno. Propongo di porre prima le domande relative alle regioni, così poi lasciamo anche andare il rappresentante delle regioni, e quindi passare agli interventi dei rappresentanti di province e comuni.

  PRESIDENTE. I temi magari possono chiarirsi a vicenda, quindi sentiamo prima le relazioni, poi passiamo alla fase delle domande. Do, quindi, la parola al vicepresidente dell'Unione delle province d'Italia, Carlo Riva Vercellotti.

  CARLO RIVA VERCELLOTTI, vicepresidente dell'Unione delle province d'Italia. Presidenti, senatori e onorevoli, questa è un'importante occasione per noi per presentare la situazione delle province italiane.
  Intanto, richiamiamo al Parlamento l'importanza e l'urgenza di intervenire sulla rivisitazione profonda della legge Delrio, nata in una fase transitoria, in attesa della riforma costituzionale, che poi non è avvenuta. Pag. 48 Bene, allora, che sia stato istituito un tavolo tecnico-politico finalizzato proprio a una revisione organica delle norme che disciplinano le province e le città metropolitane, ma resta per noi un nodo molto importante e molto delicato, che è quello delle risorse.
  Nel disegno di legge di bilancio, come è stato proposto dal Governo, ci sono alcuni elementi per noi importanti e interessanti che vogliamo evidenziare e altre ombre su cui, invece, è bene ugualmente porre l'attenzione del Parlamento.
  Il primo tema e la prima richiesta sono quelli più importanti in assoluto: benissimo quei 250 milioni di euro su un piano di sicurezza per strade e scuole. È una cosa che abbiamo chiesto con forza ed è bene che il Governo l'abbia accolta. Noi abbiamo chiesto, in realtà, 350 milioni di euro. Infatti, per chi non lo sapesse, 350 milioni è il disallineamento che evidenzia SOSE a seguito di un'analisi metodologica effettuata in conseguenza di un decreto del 22 febbraio, che afferma che le province hanno un fabbisogno finanziario di 350 milioni di euro. E quindi abbiamo chiesto queste risorse per strade e per scuole. Benissimo, dunque, un piano di sicurezza per il quale sono stati previsti 250 milioni di euro.
  Per noi, però, queste risorse sono fondamentali per l'utilizzo in parte corrente. Lo dico con grande chiarezza. Abbiamo bisogno di garantire, dal 1° gennaio, lo sgombero della neve, dobbiamo garantire lo sfalcio dell'erba, le piccole manutenzioni, gli interventi di manutenzione stradale, ossia le più basiche esigenze di buona amministrazione. Se quest'inverno si rompe una caldaia, occorre intervenire subito, non si possono aspettare piani di investimento pluriennali.
  E voi sapete che oggi la situazione delle province è la seguente: due province sono ancora in dissesto finanziario, una dozzina è in pre-dissesto, alcune non hanno neanche approvato il bilancio per il 2018, altre lo hanno appena approvato in condizioni disastrose, cioè sono stati garantiti gli equilibri finanziari non certamente pluriennali, ma soltanto annuali, per il 2018 e non per il 2019 e per il 2020. La situazione rimane, quindi, ancora molto grave. Questi 250 milioni di euro sono una cifra importante, ma servono per la parte corrente. Gli emendamenti che proponiamo vanno in questa direzione, e vi preghiamo di porre la massima attenzione su questo punto, perché per noi è il più importante di tutti. Senza questo, non partono neanche gli investimenti, perché non riusciamo ad approvare nemmeno i bilanci.
  Il secondo punto riguarda proprio gli investimenti: bene le risorse messe a disposizione dal Governo, ma noi chiediamo sostanzialmente due cose.
  Ci è stato chiesto dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti di fare un lavoro particolarmente gravoso in una settimana, ossia raccogliere tutte le esigenze relative a ponti, viadotti e infrastrutture in generale. Abbiamo fatto un lavoro incredibile in una settimana di ferie, abbiamo raccolto i progetti, siamo andati a controllare personalmente, abbiamo fatto monitoraggi e interventi.
  Per le province l'esigenza complessiva evidenziata da questo monitoraggio è pari a 3 miliardi di euro. Ciò che chiediamo è di assegnare un fondo specifico per ponti, viadotti e gallerie di 300 milioni di euro all'anno per i prossimi cinque anni, cioè chiediamo almeno di dimezzare quelle necessità che abbiamo in un programma pluriennale, investendo 300 milioni di euro sulle infrastrutture. Dall'altra parte, chiediamo 300 milioni di euro per quanto riguarda l'edilizia scolastica.
  Infatti, nei piani regionali che sono stati predisposti dalle regioni italiane entro il 2 agosto, si evidenzia un fabbisogno da parte delle province di 2 miliardi di euro. Una norma di bilancio dello scorso anno prevedeva che il 30 per cento di 1,4 miliardi di euro messi a disposizione dallo Stato sull'edilizia scolastica dovesse andare alle province. Non tutte le regioni hanno agito in tal senso, la stragrande maggioranza, il che vuol dire che abbiamo 400-500 milioni di euro che prossimamente verranno assegnati alle province, ma il fabbisogno è pari a 2 miliardi di euro. Ecco perché chiediamo 300 milioni di euro per i prossimi Pag. 49cinque anni per far fronte al fabbisogno finanziario dell'edilizia scolastica.
  Dopodiché, quanto ai 3 miliardi di euro complessivi messi a disposizione, abbiamo bisogno di risorse. Lo dico chiaramente. Le province non si occupano soltanto di ponti, di viadotti e delle scuole. Abbiamo anche un'esigenza di manutenzione straordinaria continua: occorre rimettere e posare i guardrail, vi sono i piani di bitumatura, occorre porre rimedio ai cedimenti delle banchine dei versanti. Pensate, in questi giorni di pioggia e di situazioni alluvionali in giro per l'Italia, alle esigenze delle province sulla viabilità. In questo ambito abbiamo bisogno di risorse. Per quanto riguarda sia l'articolo 15 sia l'articolo 16 c'è bisogno di risorse, come richiedono in modo molto preciso gli emendamenti.
  Vengo all'ultima questione. Possiamo fare tutte queste cose e le facciamo, ma voi sapete che negli ultimi sette o otto anni le province non hanno più assunto personale. La riduzione del 50 per cento, tra l'altro effettuata con un taglio lineare, ha fatto sì che alcune province abbastanza sovradimensionate prima del taglio avessero ancora del personale, ma quelle che già prima avevano pochissimo personale, con la riduzione del 50 per cento si ritrovano senza personale. Il blocco delle assunzioni e questa riduzione al 50 per cento fanno sì che oggi il personale delle province in tanti settori chiave, fondamentali, sia ridotto ai minimi termini. È importante per noi tornare a una capacità assunzionale vera, reale, a un'autonomia finanziaria di entrate e di spesa, ma con una capacità assunzionale.
  Abbiamo raccolto negli emendamenti all'articolo 17 l'esigenza di assumere 300 unità. Su questa richiesta siamo molto pratici: visto che, anche in questo caso si parla di stazioni appaltanti in capo a province e città metropolitane, e si tratta di una funzione importantissima, che vogliamo svolgere, chiediamo che lo Stato tenga pure le funzioni di monitoraggio e controllo, ma lasci la parte di progettazione, la parte di esecuzione ai territori, che sono molto più rapidi, molto più elastici, molto più veloci, molto più pratici e molto più concreti. Un'altra proposta che formuliamo, quindi, riguarda la possibilità di assegnare alle province 250 unità delle 300 di cui si prevede l'assunzione per effettuare progettazione sul territorio.
  Queste sono, in sintesi, le nostre proposte. Spero di essere stato il più chiaro e rapido possibile.
  Per concludere, per dare una valutazione politica della proposta, non possiamo che leggere positivamente questi primi segnali che assegnano risorse a favore delle province per la manutenzione delle strade, purché queste risorse siano utilizzate per garantire i nostri equilibri finanziari. Se manca questo passaggio, il castello per noi crolla, non riusciamo neanche a investire, non riusciamo a fare null'altro.
  Le risorse per gli investimenti sono fondamentali e per noi sono anche importanti per rilanciare l'economia. Le province sono gli enti che rilanciano gli investimenti immediatamente. I soldi che vengono trasferiti alle province vengono spesi immediatamente. Ecco, allora, l'importanza di far avere direttamente le risorse alle province. Se ci sono ulteriori passaggi, vuol dire che i tempi si allungano inevitabilmente.
  Se si pensa che 3 miliardi di euro vengano immediatamente spesi sul territorio, quindi con le ricadute di crescita, occupazionali e altro, si sbaglia. I tempi – lo sappiamo per esperienza – diventano veramente biblici. Pensiamo all'esperienza sull'edilizia scolastica. Basta vedere la programmazione passata e i tempi dal momento in cui vengono assegnate le risorse a livello statale a quello in cui vengono realizzati i lavori: si tratta di due, tre, quattro, cinque anni, se va bene e non ci sono complicazioni. Chiediamo, quindi, di velocizzare i tempi, meno burocrazia e più semplificazione.

  PRESIDENTE. Do la parola al rappresentante dell'ANCI, Maurizio Mangialardi, sindaco di Senigallia.

  MAURIZIO MANGIALARDI, sindaco del comune di Senigallia. Presidenti, senatori e onorevoli, grazie per quest'opportunità, che riteniamo indispensabile per un contributo Pag. 50migliorativo alla legge che si sta predisponendo, rispetto alla quale ovviamente l'ANCI non rifà la storia del contributo che i comuni hanno dato, anche con grande senso di responsabilità, in questi anni di grande crisi, come hanno dimostrato i tagli che ci sono stati e i mancati investimenti nei nostri territori, e dell'esempio che abbiamo dato e anche della faccia che ci abbiamo messo.
  Spesso si è parlato di responsabilità, quando non si interviene nei territori nel corso di una crisi profonda, in cui il personale ormai è vecchio perché il turnover è stato bloccato, in cui il patto di stabilità ha impedito investimenti, in cui – ahimè – c'era necessità di dare risposte ai nostri cittadini e non riuscivamo a farlo, pur avendo competenza e capacità e anche grande dedizione e grande volontà.
  In questo contesto c'è stato, come dicevo, un grande senso di responsabilità. Abbiamo cercato sempre di assecondare quel percorso, che era necessario per il risanamento del Paese. Pensate solo che, dei 60 miliardi di euro circa che ci spettavamo nel 2010, ne abbiamo tagliati 13 in questi anni. Capite che, forse, è il più grande contributo che è stato dato al percorso di risanamento.
  Oggi siamo in una fase in cui, se non assumiamo correttivi a questa manovra, sono convinto che i comuni non ce la faranno. Non ci sono più le condizioni. E vengo ad alcuni elementi, che giudico assolutamente indispensabili, che poi sono contenuti nel documento che abbiamo depositato e che sono oggetto degli emendamenti che proponiamo come ANCI.
  Intanto, per quanto riguarda le risorse correnti e il contributo compensativo del passaggio IMU-TASI, è sparita l'assegnazione di 300 milioni di euro, che rappresentavano un impegno che i Governi precedenti si erano assunti. Tali risorse non incidono nella totalità delle amministrazioni locali, ma 1.800 comuni non chiuderebbero i propri bilanci. Io penso che quella cifra debba essere ripristinata senza indugio. Altrimenti, non ci sono le condizioni per chiudere gran parte di quei bilanci.
  Allo stesso modo, chiediamo di ripristinare le risorse tagliate con il decreto-legge n. 66 del 2014. Poco fa sono intervenuti i rappresentanti delle regioni, delle province e delle aree metropolitane, e non si capisce perché le risorse per le città metropolitane e per le province sono state indicate e non siano state previste invece per i comuni. Penso che anche questo sia un ripristino dovuto, sul quale vi chiediamo davvero di porre particolare attenzione.
  C'è anche il ripristino della facoltà della maggiorazione dell'imposta di pubblicità. In proposito c'è una sentenza che costringe, da una parte, a non applicare le maggiorazioni e, dall'altra, alla restituzione. Vi chiediamo di costruire la norma per consentire la restituzione graduale, che quindi non ci metta subito in difficoltà, e poi ci lasci la libertà di poter decidere sul territorio come intervenire con quel tipo di aliquota. Non penso che ciò sia troppo complicato anche rispetto a una sentenza che allora aveva un senso e che oggi, che stiamo ridisegnando la nazione, dobbiamo ripensare in questi termini.
  L'ANCI chiede anche che sia mantenuta al 45 per cento la percentuale delle risorse oggetto di perequazione per il 2019. È una richiesta secca. Io penso che anche questa non sia difficile da soddisfare.
  C'è anche la richiesta che la percentuale di accantonamento del Fondo crediti dubbia esigibilità (FCDE) sia mantenuta al 75 per cento anche per il 2019. Ovviamente, non ci sottraiamo al percorso che è stato messo in campo, ma ci rendiamo anche conto che, in una fase così complicata, attuarlo con le percentuali previste oggi dalla manovra metterebbe in grande difficoltà i comuni.
  Sempre per quanto riguarda la parte corrente, ci sono due elementi, che rappresentano due sottolineature importanti. Si chiede di prevedere l'anticipazione di tesoreria a cinque dodicesimi, di procedere con l'intervento di alleggerimento del peso del debito dei comuni e di realizzare il saldo di qualità del sistema di riscossione locale a partire dalle regole concordate attraverso il tavolo istituito presso il Ministero dell'economia e delle finanze. Pag. 51
  Due temi, poi, per noi risultano indispensabili, e ho sentito l'intervento che ci ha anticipato per quanto riguarda le province, durante il quale si è fatto riferimento a uno stanziamento di 50 milioni di euro, come previsto per le province, a uno di 250 milioni di euro per la manutenzione delle strade per quanto riguarda le città metropolitane e a uno di 100 milioni di euro per il finanziamento per le stesse nella parte corrente. Sono risorse minime per l'efficientamento e per gli interventi essenziali sul territorio delle città metropolitane.
  Ovviamente abbiamo salutato con grande positività le due sentenze che indubbiamente ci permettono oggi di semplificare l'utilizzo degli avanzi, e quindi consentire gli investimenti, oltre che liberare quello che i comuni avevano sostenuto negli anni. C'è, quindi, una sorta di percorso importante che dentro la norma viene recuperato. Devo, però, rimarcare delle difficoltà oggettive che si determinano, altrimenti, se il provvedimento dovesse rimanere com'è scritto, c'è il rischio che un pezzo del nostro territorio rimanga completamente escluso.
  Intanto, serve una regola più espansiva per gli enti che sono in complessivo disavanzo rispetto a quella dell'articolo 65, in modo che possano utilizzare gli avanzi vincolati. Non sono tanti, parliamo del 9 per cento dei comuni, ma solo per renderci conto, parliamo, tra l'altro, di Torino e di Firenze. Penso che sia indispensabile mettere in campo un segnale in questa direzione.
  Vale lo stesso discorso per tutti i comuni che sono in disavanzo tecnico. Ci siamo adeguati al decreto-legge n. 78 del 2015, che ci ha permesso il riparto trentennale. Partiamo da lì: se questa misura non viene ricalibrata, anche i comuni in disavanzo tecnico purtroppo non hanno la possibilità di applicare quella norma, e quindi anche in quei territori non potranno esservi investimenti. Anche per i comuni che hanno avanzi deboli, che corrispondono complessivamente al 25 per cento dei nostri comuni, c'è una norma che permette gli investimenti, ma non riusciamo ad applicarla.
  Vi chiediamo, quindi, di porre particolare attenzione su questo tema. Nel territorio c'è bisogno di investire, c'è bisogno di manutenere, c'è bisogno di guardare alle nostre scuole, c'è bisogno di ridare risposte nelle situazioni più complicate e anche in quelle più semplici. Penso, ad esempio, a cos'è accaduto dopo il tragico evento di Genova. Ci viene richiesto di effettuare la ricognizione sul nostro patrimonio, alla pari di quello che hanno fatto le province, ma con criteri che diventano complicati da individuare, almeno nella modalità, tempi brevi e indagini superficiali. Se, però, tale richiesta non corrisponde a una messe di risorse in grado almeno di arrivare alle verifiche di vulnerabilità, capite che abbiamo fatto un atto di pancia a cui poi non riusciamo a dare seguito. Questo tema non attiene alle risorse, ma al percorso.
  Dubbi enormi abbiamo per quanto riguarda la centrale unica di committenza, oggi trasferita interamente alle province. Non ne faccio un problema di chi fa che cosa, ma di chi ha fatto finora che cosa. Molti comuni si sono organizzati nelle unioni, quindi hanno trasferito la funzione della centrale unica di committenza a un ente che era previsto. Se scrivete che, invece, la competenza deve essere obbligatoriamente trasferita alle province, è ovvio che questo crea indubbiamente serie difficoltà.
  Ho cercato di illustrare rapidamente un percorso, sottolineando quali sono oggi le necessità degli enti locali, però vi chiedo di prenderle fortemente in considerazione, perché si rischia il default dell'80 per cento dei nostri comuni. Ovviamente, io confido nel dibattito parlamentare e che ci sia la disponibilità a cogliere le nostre proposte. Chi è in prima linea, chi deve rispondere al cittadino, alcune volte fa scarrocciare la responsabilità in colpa, e vi assicuro che non guarda in faccia nessuno. Quando non rispondiamo e cadono gli alberi, non abbiamo fatto le manutenzioni, non interveniamo sulle nostre strade e non facciamo gli interventi nelle nostre scuole, gran parte di queste situazioni non sono dovute all'incompetenza, ma alla mancanza di risorse o Pag. 52a un'articolazione burocratica che ci impedisce di agire come il cittadino vorrebbe.
  Nella relazione che abbiamo depositato trovate questi elementi. L'ANCI confida davvero nel recupero dei temi che abbiamo posto per rispondere maggiormente ai nostri territori.

  PRESIDENTE. Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni, magari specificando se preferite indirizzarvi all'uno o all'altro dei relatori.

  ANTONIO MISIANI. Ho due domande molto veloci. La prima è rivolta a tutti, ma è prevalentemente rivolta all'ANCI. Relativamente allo sblocco dell'autonomia impositiva, vorrei capire se c'è una stima del potenziale aumento della pressione fiscale a livello comunale, o comunque degli spazi residui di aumento della pressione tributaria.
  Chiedo poi se, invece di uno sblocco puro e semplice, non sarebbe preferibile – mi metto dal punto di vista dei contribuenti – una modulazione dello sblocco dell'autonomia impositiva, tenendo conto anche della sperequazione della capacità residua nella sua distribuzione geografica e simili.
  Inoltre, pongo una seconda domanda rivolta ad ANCI e UPI relativamente alla centrale di progettazione. Noi siamo molto perplessi, per usare un eufemismo, su questa proposta di organismo con 300 dipendenti. Rischia di essere un carrozzone, più che aiutare gli enti nello sforzo di progettazione. In effetti, l'UPI stessa propone, se non ho capito male, un decentramento di quest'unità, snellendola a livello nazionale e rafforzando la capacità di progettazione delle province e delle città metropolitane, cosa che mi convince, peraltro, perché sono più vicine al territorio e probabilmente più in grado di accelerare lo sforzo di progettazione. La posizione di ANCI mi sembra, invece, diversa, e vorrei avere un chiarimento da questo punto di vista.

  VINCENZO PRESUTTO. La mia domanda è rivolta al sindaco Mangialardi, in rappresentanza dell'ANCI. L'intervento che ha svolto è in linea con la tendenza abbastanza critica che sta riguardando molti comuni. Io vengo da Napoli, che forse rappresenta l'emblema per eccellenza della questione del deficit tecnico, che ha messo in seria difficoltà proprio l'equilibrio e l'esistenza stessa dell'attuale amministrazione. Allora, vorrei porre una domanda molto precisa.
  L'armonizzazione contabile è stata veramente impietosa nei confronti negli enti locali. La riduzione dei trasferimenti dello Stato è un dato oggettivo. Consultando i documenti della spending review attuata dai Ministeri, abbiamo visto che, a fronte di un miliardo di euro di risparmi, buona parte di quel miliardo sostanzialmente riguardava appunto minori trasferimenti. Una domanda, però, è doverosa, e la rivolgo in particolare all'attenzione dell'ANCI.
  Rispetto, ad esempio, alla riforma della pubblica amministrazione, quella che mette in evidenza l'importanza della performance, i comuni come si stanno attrezzando? La necessità di avere organismi locali sempre più attenti agli aspetti gestionali, proprio legati all'attuazione della strategia politica degli enti locali, e che richiedono un'attenzione diversa, da un punto di vista di qualità nuove rispetto anche al sindaco o alla stessa struttura dirigenziale che segue l'amministrazione, è un tema che riguarda anche lo Stato. Parlo della riforma Madia: è presente in aula la collega che ha portato avanti quest'importantissimo processo che riguarda lo Stato. Vorrei capire come si stanno attrezzando i comuni rispetto al tema della performance per contenere tutti gli elementi stringenti dell'armonizzazione contabile.

  BEATRICE LORENZIN. Vorrei porre alcune domande al rappresentante delle regioni. Rimarrò sul tema sanitario. L'ho detto in precedenza, ci sarebbero tantissime questioni su cui mi piacerebbe intervenire, ma visto anche il fatto che molte altre materie saranno sicuramente affrontate da altri colleghi, preferirei rimanere in questo settore.
  Il rappresentante delle regioni, coordinatore della Commissione affari finanziari, ci ha illustrato la sua valutazione in merito a questo disegno di legge per quanto riguarda Pag. 53 il sistema sanitario che mi ha abbastanza sorpreso, conoscendo nel dettaglio la nota inviata dalla Commissione salute della Conferenza Stato-regioni.
  La Commissione salute della Conferenza Stato-regioni ha espresso grandissima preoccupazione per il livello di finanziamento del fondo sanitario. La nota e la relazione che ci ha illustrato l'Ufficio parlamentare di bilancio prima ci hanno dato un tendenziale che ci porta a meno 821 milioni di euro di finanziamento per il 2021, senza considerare le spese oggettive, che sono rimaste eluse. Pensiamo al finanziamento del rinnovo dei contratti dei medici, al tema del payback, lì fermo con uno sforamento della spesa ospedaliera di circa 1,4 miliardi di euro, oltre alla necessità, ovviamente, di provvedere non solo al rinnovo, ma alle nuove assunzioni contrattuali.
  Nel disegno di legge di bilancio presentato non si comprende bene se il rinnovo dei contratti è anche legato a un fondo generale per la pubblica amministrazione, che, però, nell'articolo che stanzia i 50 milioni di euro per le liste d'attesa è legato agli investimenti e non al conto capitale. Abbiamo, quindi, veramente una serie di problematiche che sono rimaste eluse.
  Tornando, però, alla relazione della Commissione salute, pongo queste questioni: in primis il livello di finanziamento del fondo; anche dalla relazione dell'UPB emerge che si arriverà nel 2020-2021 a un livello rispetto al PIL del 6,2 per cento. Il 6,2 per cento non è un livello da Paese occidentale. Siamo attualmente al 6,6 per cento, che rappresenta il minimo possibile. Al di sotto di questa quota, il Paese viene considerato non sostenibile dal punto di vista dell'assistenza sanitaria.
  Per fare un esempio, i nostri partner europei a noi più simili (Germania, Francia, Spagna) navigano tra il 9 e l'11 per cento del PIL. Non parliamo degli Stati Uniti, che hanno un finanziamento, nonostante un sistema completamente diverso dal nostro, con cifre molto più grandi. Qui siamo veramente a un livello di non sostenibilità.
  Un intervento e una manovra di questo genere, presidente, potevano essere comprensibili solo se ci fossimo trovati in un caso di recessione che avrebbe portato a una legge di bilancio assolutamente drastica, come quella che – ahimè – abbiamo già affrontato nel 2011-2012 e abbiamo visto poi negli anni successivi che cosa significava, ma non certamente in una manovra di bilancio che ci porta al 2,9 per cento di deficit, con 16 miliardi di euro aggiuntivi allocati di spesa pubblica.
  È incomprensibile in un settore come questo, delicatissimo, che riguarda la vita e la sostenibilità delle persone più fragili della nostra società, e cioè le persone malate, che sono povere, meno povere, più o meno povere, ricche, ma sempre malate.
  Passando al secondo punto, sempre la Commissione salute esprime la sua preoccupazione riguardo non soltanto al sistema di finanziamento, ma anche rispetto al fatto di aver vincolato i 2 miliardi di euro aggiuntivi al patto della salute per gennaio.
  È inverosimile, anche a detta di tutti i membri della Commissione salute della Conferenza Stato-regioni, che per gennaio si possa concludere il patto della salute. Chiedono, quindi, che il termine possa essere rinviato almeno a giugno.
  Detto questo, le spese che vanno affrontate, quello che va postato in bilancio, va postato adesso. Adesso bisogna affrontare il tema del super-ticket, adesso bisogna affrontare il tema del payback con una norma di governance del farmaco che va messa ora nel disegno di legge di bilancio. Adesso va affrontato il tema del finanziamento dei contratti dei medici. Adesso va affrontato il tema dei contratti di specializzazione dei farmaci innovativi, dei 60 milioni di euro per i LEA e delle misure che sono necessarie.
  È la prima volta che io vedo nella Commissione bilancio le regioni che non vengono a chiedere più risorse, ma che dicono che gli vanno bene le risorse che hanno avuto. È una novità che noi ci troviamo ad affrontare. Spero che questo sia avvenuto in perfetta armonia tra chi rappresenta gli interessi del sistema sanitario, cioè tutte le strutture sanitarie che sono di pertinenza Pag. 54del sistema regionale, e chi rappresenta, invece, una visione più complessiva del bilancio.
  Questa è una questione annosa, ma ora ce la ritroviamo qui. Io non sarei ridente se fossi un membro della maggioranza della Commissione, ma mi preoccuperei molto, perché il reddito di cittadinanza non arriverà a giugno ai cittadini, ma il rischio è che i cittadini del Sud non si trovino i farmaci per le proprie malattie.

  PRESIDENTE. Onorevole Lorenzin, questa è un'occasione per cercare di fare domande, non per fare comizi.

  BEATRICE LORENZIN. Ne sto facendo tantissime, siete voi che fate comizi tutti i giorni, quindi mi permetta di non essere censurata e di porre le domande che voglio.

  PRESIDENTE. Si figuri se la censuro, le sto dicendo quale dovrebbe essere un ordinato svolgimento dei lavori.

  BEATRICE LORENZIN. Il disordine, presidente, è quello che abbiamo visto nella scorsa legislatura con i colleghi che salivano sui banchi durante le sedute della Commissione bilancio e non c'erano questioni drammatiche come questa.

  PRESIDENTE. Fortunatamente non c'ero.

  BEATRICE LORENZIN. Fortunatamente, perché noi siamo civili. Fortunatamente per noi lei non c'era. Abbiamo avuto un'audizione drammatica oggi. Tutti i rappresentanti delle istituzioni che sono venuti qui hanno detto cose drammatiche. L'opposizione non sta salendo sui banchi con i cartelli, sta ponendo questioni nel modo giusto in cui devono essere poste, cioè con la dovuta gravità, e non c'è spazio per battute, presidente.

  PRESIDENTE. Guardi che non sto facendo nessuna battuta. Le ricordo semplicemente quale in teoria dovrebbe essere lo scopo di queste audizioni.

  SILVANA ANDREINA COMAROLI. Ringrazio tutti i rappresentanti che sono intervenuti, che ci hanno sottoposto le diverse problematiche. Mi sembra che la problematica del fondo sanitario sia stata esposta anche negli scorsi anni e l'allora Ministro della salute, pur essendo un tema così rilevante, non ascoltava le richieste di chi poneva quelle questioni.
  Vorrei porre anch'io una domanda al rappresentante delle regioni sulla questione sanitaria e sul payback. In modo particolare, vorrei sapere se lui, come rappresentante delle regioni, ha eventuali suggerimenti da sottoporci per risolvere questa questione.
  C'è un'altra domanda che, invece, vorrei porre ai tre rappresentanti di regioni, province e comuni. Quella degli investimenti è una questione cruciale, rispetto alla quale saranno loro, a distinti livelli, gli attori fondamentali, perché giustamente saranno quelli che metteranno in pratica il rilancio degli investimenti pubblici.
  Da questo punto di vista, auspico consigli e proposte, soprattutto a livello procedurale. Spesso ci sono le disponibilità di risorse, ma non si riesce a concretizzare gli investimenti nei dovuti tempi. Anche da questo punto di vista i tempi saranno fondamentali. Vorrei, quindi, sapere se anche su questo punto avete suggerimenti rispetto a tutti i livelli di governo: comuni, province e regioni.

  PAOLA DE MICHELI. Farò riferimento a tre questioni, perché forse mi sono distratta, ma non ho sentito in nessuna delle tre relazioni affrontare queste tre problematiche.
  Il primo punto riguarda le misure non previste nel disegno di legge di bilancio, ma che potrebbero dover rientrare nel disegno di legge di bilancio, sugli stati di emergenza appena dichiarati a causa delle alluvioni e delle mareggiate che si sono verificate nelle ultime settimane.
  Ci sono strumenti a legislazione vigente che possono essere utilizzati – penso ai commi 422 e 428 dell'articolo 1 della legge di bilancio per il 2016, la n. 208 del 2015 – che riguardano tutti i rimborsi per i privati, però è previsto che alcuni di questi strumenti Pag. 55 vengano finanziati in corso d'anno e, quindi, potrebbe essere già tardi per alcune tipologie di attività produttive. Penso a chi ha stabilimenti balneari e a chi ha stazioni sciistiche.
  Mi domando se tutti e tre i livelli istituzionali auditi oggi hanno proposte per accelerare l'utilizzo di queste risorse. Probabilmente il veicolo, anche finanziario, potrebbe essere proprio il disegno di legge di bilancio.
  Permettimi una battuta sulle questioni del terremoto e dei terremoti, considerato che comunque sono in corso le ricostruzioni di tre aree terremotate (2009, 2012 e 2016-2017), in particolar modo sul tema delle misure economiche, che nel disegno di legge di bilancio sono completamente assenti. Solo per citare l'ultima misura economica che avrebbe bisogno di una proroga e probabilmente anche di una puntualizzazione in termini di utilizzo e di attuazione, penso alla zona franca urbana di tutta l'area del Centro Italia dei 138 comuni colpiti dall'ultimo evento sismico.
  Quella norma, finanziata per i primi due anni con mezzo miliardo di euro, a regime ha comunque tirato oltre 450 milioni di euro. È ovvio che una proroga di questo tipo, che ha bisogno di entrare in vigore all'inizio dell'anno, essendo una norma di natura fiscale, necessita di una copertura che deve essere per forza biennale, quindi di tutti i 450 milioni di euro che rappresentano il primo e anche l'ultimo tiraggio.
  Penso, per esempio, anche ai tempi di allungamento del rimborso della busta paga pesante, che oggi è prevista in 60 rate, ma che ripetutamente sia i presidenti di regione che i sindaci hanno chiesto di prorogare ulteriormente in 120 rate.
  Ultima ma non ultima domanda, vi siete tutti concentrati sulla questione della progettazione. Peraltro, sono particolarmente d'accordo con la rappresentanza dell'ANCI che sostiene l'esigenza di rafforzare, per i comuni e anche per le province, gli uffici territoriali di progettazione e, quindi, di non destinare risorse del personale che potrebbero risultare inutili su Roma, ma cercare magari un meccanismo per sbloccare le assunzioni sul territorio. Peraltro, abbiamo toccato con mano questa vicenda anche nei comuni del territorio.
  Io mi domando se ci sono delle proposte anche sull'utilizzo rapido delle risorse, stanziate in precedenza, ma che oggi non hanno un modello organizzativo nazionale, relativamente alle questioni di prevenzione. Noi siamo di fronte, comunque, al ritorno pressante della questione del dissesto idraulico e idrogeologico e, rispetto a questo, le strutture di programmazione nazionale, che prevedevano poi un rapporto di progettazione territoriale, sono state tutte abrogate.
  Come usiamo quelle risorse che sono disponibili e finalizzate per quegli obiettivi? Con quali strumenti? Noi un'idea ce l'avremmo, anche perché gli strumenti del passato sono stati particolarmente utili.
  Ho fatto una visita la scorsa settimana a Genova, non solo per l'emergenza relativa al ponte Morandi, ma ho incontrato anche i sindaci della provincia. La provincia di Genova è davvero in ginocchio. Le uniche aree nelle quali l'alluvione non ha generato problemi gravi sono quelle nelle quali sono stati fatti gli interventi previsti da «Italia sicura» in merito alla prevenzione del dissesto idrogeologico. Pertanto, io vi chiedo su questo tema una presa di posizione che sia coerente con gli allarmi che giustamente gli amministratori continuamente lanciano su questi temi.

  LUIGI MARATTIN. Sarò molto veloce, perché siamo in ritardo. Io non volevo intervenire in realtà, ma oggettivamente devo condividere, seppur con meno foga – ed è la prima volta in vita mia che intervengo con meno foga – quanto detto dalla collega Lorenzin, perché un po’ mi ha stupito l'atteggiamento di alcuni rappresentanti degli enti locali e territoriali che hanno preso la parola di sorprendente accondiscendenza, ricorrendo anche a volte a qualche informazione non perfettamente rispondente al vero.
  Ad esempio, vorrei chiedere al presidente Vercellotti se e quando verranno mai colmati questi famosi 350 milioni di euro di gap con il noto studio SOSE, su cui ci sarebbe molto da ridire. Infatti, ogni anno Pag. 56delle risorse vengono aggiunte, ma il fabbisogno rimane sempre 250 milioni di euro.
  Ad esempio, io ricordo che l'anno scorso – noi eravamo in ruoli differenti – c'era una persona che somigliava molto a lei, quando dall'altra parte del tavolo abbiamo concordato e inserito in legge di bilancio di far tornare nella disponibilità delle province 330 milioni di euro relativi ai tagli del decreto-legge n. 66 del 2014, che sono scaduti. Si tratta di un atteggiamento che il Governo quest'anno non ha ritenuto opportuno operare in maniera analoga per i comuni. Parliamo di circa 563 milioni di euro.
  Preannuncio che uno dei principali emendamenti del Partito Democratico relativo alla finanza locale riguarderà questa opportunità. Se è stata concessa a province e città metropolitane l'anno scorso, a essere sinceri, non vedo perché non debba essere concessa ai comuni. Si tratta – lo dico per chi non sia dentro la materia – dei tagli previsti dal decreto-legge n. 66 del 2014, che sono scaduti (quindi, il concorso alla finanza pubblica scade). In un caso quei soldi sono rientrati nelle disponibilità delle province, anche se qualcuno sembra dimenticarsene; nel caso dei comuni, invece, vengono acquisiti al bilancio dello Stato e crediamo che questa sia un'ingiustizia.
  Ai rappresentanti delle regioni chiedo velocemente due cose. La prima riguarda l'articolo sui vitalizi. In questi giorni sentiamo propagandare con molta forza una disposizione normativa secondo cui nei confronti delle regioni che non adeguano la propria normativa sui vitalizi in essere a quella decisa dagli Uffici di presidenza di Camera e recentemente Senato si applicherà un tragico taglio dell'80 per cento dei trasferimenti statali.
  Dalla tabella che il rappresentante delle regioni ci ha consegnato, escludendo le fattispecie escluse dall'articolo, il taglio dell'80 per cento si applica a 22 milioni di euro di trasferimenti per il miglioramento genetico del bestiame. Mi chiedo se per caso il rappresentante delle regioni non sia terrificato dalla prospettiva che, se non adegua immediatamente la normativa dei vitalizi al volere del popolo, avrà un taglio dell'80 per cento su 22 milioni, pari a 17,6 milioni, ai fondi per il miglioramento genetico del bestiame. Mi chiedo se non sia il caso di condividere questo terrore con tutti.
  Al rappresentante delle regioni chiedo anche – in questo caso mi associo nell'atteggiamento a quanto detto prima sulle province – come mai quest'anno viene interpretato in modo diverso un meccanismo che abbiamo sempre fatto. C'è qualcuno che lo conosce molto bene. Lo scambio per cui non si procede al taglio dei trasferimenti di parte corrente e, in cambio, le regioni producono un avanzo – una volta c'era l'obiettivo di pareggio, adesso non c'è più l'obiettivo di pareggio, ma si tratta sempre di avanzo – è un meccanismo che è in piedi da quattro anni. Come mai quest'anno diventa un grandissimo stimolo agli investimenti pubblici?
  Prima di voi è stato audito il presidente dell'UPB, che ci ha detto che quest'anno la manovra complessiva non dà un euro di risorse in più agli investimenti, perché è evidente che il contributo viene dato e poi tolto ed è evidente che la richiesta di avanzo di 1,7 miliardi di euro, analoga a quella degli scorsi anni, significa che alle regioni in realtà è preclusa la possibilità di fare investimenti che potrebbero fare applicando l'avanzo, perché le regioni preferiscono questo piuttosto che vedersi tagliati i trasferimenti di parte corrente.
  Come mai fino all'anno scorso questo costituiva un lamento e quest'anno diventa uno stimolo agli investimenti?
  Dico un'ultima cosa sui comuni, mentre ribadisco il tema, che per noi è fondamentale, dei 563 milioni di euro. Mi faccia rivolgere al sindaco col cuore. È una questione che, come qualcuno ricorda, seguo da tempo. Vorrei sapere se lei ritiene che faccia davvero così bene alla credibilità del confronto fra ANCI ed enti locali che ogni anno si torni indietro su impegni presi.
  Io ricordo che l'anno scorso – ma fu solo l'ultimo di una serie di impegni poi disattesi – si disse che la richiesta di tenere fermo al 45 per cento l'incremento della cosiddetta «perequazione», cioè la percentuale di fondo di solidarietà comunale, distribuito secondo fabbisogni standard e capacità Pag. 57 fiscale e non su base storica, sarebbe venuta meno una volta sbloccata la leva fiscale. Quest'anno la leva fiscale è stata sbloccata, ma l'ANCI reitera la richiesta di bloccare l'avanzamento dei fabbisogni standard.
  La mia domanda, col cuore in mano, è: fa veramente bene alla credibilità del confronto ogni anno prendersi impegni che poi vengono puntualmente smentiti al più tardi l'anno dopo?

  DANIELE MANCA. Ringraziando i rappresentanti delle regioni, dell'UPI e dell'ANCI, mi limito a una domanda e a una constatazione. Chiedo se i rappresentanti stessi non intravedono la necessità di aprire un tavolo strutturale per le riforme, perché ho sentito parlare di rivisitazione della legge Delrio, però manca completamente un'idea di come ricostruiamo un assetto di leale collaborazione tra Stato, regioni ed enti territoriali.
  Io credo che siamo molto distanti dall'opportunità di rimettere in moto gli investimenti, che è un'esigenza dentro il quadro di finanza pubblica che c'è stato rappresentato, a maggior ragione nella legge di bilancio. È una necessità fondamentale e non intravedo la risposta nella stazione appaltante unica, che può essere un aiuto e un sostegno, nella misura in cui si definiscano ambiti territoriali per aggregare i comuni e per stabilire rapidamente un'efficienza che a livello locale è venuta meno, in seguito a oltre dieci anni di tagli lineari, che si sono interrotti nel 2014, e a un patto di stabilità interno che non era sostenibile e che è stato rimosso. Oggi, con la manovra della sentenza della Corte costituzionale sugli avanzi, si mette solo teoricamente a disposizione una quantità di risorse, ma non ci sono le condizioni per utilizzarle.
  Siccome il quadro di natura economica rende la coperta molto stretta, io credo che, piuttosto che avanzare singolarmente proposte individuali da parte dei diversi comparti, sarebbe meglio cominciare a proporre al Governo un tavolo serio per ricostruire e riconnettere una leale collaborazione tra i diversi livelli di governo. Senza questa, io temo che tutte le previsioni che noi stiamo compiendo, sia sugli investimenti e a maggior ragione sull'efficientamento dell'ente locale, dunque della pubblica amministrazione come ambito territoriale, siano un titolo, ma nella concretezza e nella pratica vengano meno le risorse necessarie.
  Diciamoci con grande chiarezza una cosa molto semplice: le risorse relative alla manutenzione si sono azzerate dopo decenni di tagli lineari e dopo il venir meno degli oneri di urbanizzazione. Dunque, non è solo un problema di stazioni appaltanti, il problema è che nella parte corrente dei bilanci degli enti locali e delle autonomie territoriali non esistono né i funzionari tecnici necessari per avviare appalti né le risorse per accompagnare un nuovo piano nazionale per il recupero del dissesto idrogeologico e per il rilancio degli investimenti in ambito territoriale, che secondo me sarebbe la priorità di questo Paese.
  Dunque, anziché limitarsi ad accordi individuali, si intravede la necessità di aprire un tavolo strutturale sulle riforme in questo Paese per ristabilire una leale collaborazione tra Stato, regioni ed enti territoriali?

  ELENA CARNEVALI. Innanzitutto, ringrazio coloro che sono intervenuti in audizione. Pongo poche domande e mi concentro in particolare sulle questioni di natura sanitaria.
  Mi rivolgo in particolare all'assessore Caparini, che mi è sembrato avere un atteggiamento molto ben disposto, al limite del compiacente, che mi ha lasciato molto sorpresa, perché devo dire che con molta eleganza ha definito praticamente questo bilancio «di isorisorse».
  La domanda è la seguente. A me questo bilancio non sembra proprio per niente di isorisorse, perché, ancorché abbiamo un miliardo di euro in più, che serve per il finanziamento del Fondo sanitario nazionale, peraltro già previsto nella legge di bilancio dello scorso anno, credo che sarebbe utile, anche per i colleghi che sono qui presenti, sapere che con quel miliardo di euro occorre fare tutto: il rinnovo del contratto, rimettere le risorse per i livelli essenziali di assistenza e via dicendo. Persino i 10 milioni delle borse dei medici di Pag. 58medicina generale, da una parte, sembrano incrementati, ma poi, andando a vedere, il fondo rimane esattamente uguale a quello previsto nello scorso anno.
  Dunque, siccome non facciamo la moltiplicazione dei pani e dei pesci, non solo c'è una riduzione rispetto alle previsioni del rapporto tra risorse al Servizio sanitario e PIL, ma, di fatto, questo miliardo di euro è molto meno di quello che serve e di quello che servirà, considerando che non c'è alcuna misura relativa al payback e che ci sono, quindi, ancora molte cose da dover finanziare.
  Vi sono altri due temi. Mi dispiace che quando devo toccare questo argomento sparisce sempre il sottosegretario Garavaglia, perché volevo porre anche a lui questa domanda, in un bel combinato disposto. Prevedere lo 0,1 per cento di riduzione dello sblocco del personale lo scorso anno costò una certa fatica, condivisa, peraltro, con le regioni. Neanche un accenno, nemmeno un plissé è stato detto sulla necessità di uno sblocco del personale e nemmeno, peraltro – e mi ha particolarmente stupito –, sulla necessità di rivedere una nuova stabilizzazione, perché non possiamo pensare che se poi gli interessati sollevano la questione allora ci preoccupiamo. Vedo tanti colleghi del Nord, ma anche di tante aree depresse, dove non troviamo sanitari che sono disposti a operare nel nostro Servizio sanitario nazionale, se diciamo che non consentiremo loro neanche di essere stabilizzati.
  Francamente di tutto questo noi non abbiamo sentito alcunché. Va tutto bene, madama la marchesa. È vero che sarà un compito quasi impossibile concludere il patto per la salute entro il 31 gennaio, peraltro giustamente, con tutta una serie di impegni, ma la cosa che stupisce è che non è stata detta in questa audizione nemmeno mezza parola sulle richieste che sono, peraltro, contenute nel documento del 7 febbraio.
  Ho due domande molto secche. In primo luogo, qual è l'ammontare delle risorse che le regioni pensano sia necessario prevedere per poter tornare a rinegoziare sul payback, sia per quanto riguarda il passato che per quanto riguarda il futuro?
  Per la seconda domanda ci vorrebbe la presenza della Ministra della salute, alla quale noi auguriamo davvero una serena gravidanza, oltre a farle le felicitazioni. Sono cinque mesi che noi sentiamo una leggenda metropolitana rispetto a quante risorse servono per poter finanziare i livelli essenziali di assistenza. Io credo che le regioni lo sappiano e chiedo per favore di comunicarlo anche a queste Commissioni.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
DELLA 5a COMMISSIONE DEL SENATO
DELLA REPUBBLICA DANIELE PESCO

  NUNZIO ANGIOLA. Come è stato affermato dai colleghi che mi hanno preceduto, l'ANCI e le autonomie locali hanno presentato un'impostazione piuttosto permissiva, piuttosto lassista quasi, nei confronti di questo Governo, mentre erano molto più intransigenti negli anni precedenti.
  Probabilmente gli enti avranno avuto le loro ragioni negli anni precedenti, avendo contribuito al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica che i Governi dell'epoca si sono dati in misura veramente considerevole, per oltre 12 miliardi e 401 milioni di euro nei diversi anni.
  Tuttavia, non mi voglio soffermare su questo. Vorrei fare una domanda al sindaco Mangialardi, che magari ci può rispondere anche in separata sede, con riferimento al tema dello sblocco degli avanzi di amministrazione rispetto agli enti in disavanzo. Le chiedo una puntualizzazione. Dal documento che è stato consegnato e anche dalla sua relazione non si desumono dei riferimenti precisi per poter andare incontro anche agli enti in disavanzo con un intervento tecnicamente attuabile e fattibile. Se da questo punto di vista volesse, o adesso oppure nelle ore successive, farci giungere delle impressioni o delle proposte tecniche di miglioramento, potrebbero essere anche prese in considerazione.

  PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

Pag. 59

  CARLO RIVA VERCELLOTTI, vicepresidente dell'Unione delle province d'Italia. Molto rapidamente risponderò alle varie domande che sono state poste riguardanti le province.
  La prima riguardava la centrale per la progettazione. Abbiamo detto che apprezziamo che nel disegno di legge ci siano scelte che riguardano la semplificazione del sistema, trasferendo alle province e alle città metropolitane le procedure di gara e gli appalti, ma proprio per questo motivo serve personale. Perché di quelle 300 unità che devono essere assunte non se ne lasciano poche a Roma e non si porta il resto nel territorio? Questa è la nostra domanda e la nostra proposta.
  La seconda questione riguarda gli investimenti. Noi diciamo che per semplificare il sistema è fondamentale che, se si vuole rilanciare l'economia, gli investimenti partano, non dopo cinque anni o dopo tre anni, come è successo in passato, ma subito. Per fare questo, in primo luogo, vi chiediamo di affidarli direttamente gli enti locali e alle province, perché le province gestiscono 130.000 chilometri di strade e 5.000 edifici scolastici in tutta Italia insieme alle città metropolitane.
  In secondo luogo, lo scorso anno si è applicato un sistema, che è quello del comma 1076 dell'articolo 1 dell'ultima legge di bilancio, che invito a rivedere, in quanto semplifica molto il sistema. I pochissimi fondi messi a disposizione di province e città metropolitane lo scorso anno per le strade, non solo hanno consentito la progettazione e gli appalti, ma anche la realizzazione delle opere. Risorse che sono state previste in legge di bilancio, ripartite tra gennaio e febbraio, sono già state spese. Basta applicare quel sistema: date i soldi immediatamente agli enti locali e alle province e questi sono in grado di spenderli immediatamente. Si deve riprendere, non tanto la metodologia, che era un po’ fasulla, ma il sistema che accelera molto le tempistiche grazie alla disposizione prevista dal comma 1076 dell'articolo 1 dell'ultima legge di bilancio.
  Vengo al punto terzo. I 317 milioni di euro trasferiti lo scorso anno rispetto alle esigenze delle province erano un bel segnale, ma assolutamente insufficiente rispetto al fabbisogno reale delle province stesse, che è un'altra cosa. In questi anni le province sono state massacrate a livello finanziario, nel vero senso della parola. Quello era un piccolo segnale importante per cercare di ritornare verso un equilibrio finanziario.
  Qual è lo squilibrio finanziario non lo diciamo noi, lo dice il SOSE, società del Ministero dell'economia e delle finanze. Con i Governi prima Renzi e poi Gentiloni è stata definita quella che viene chiamata «la nota metodologica», approvata in ultima sede con un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 22 febbraio.
  Il SOSE, con questo decreto – c'era ancora il Governo Gentiloni – afferma che alle province mancano 350 milioni di euro. Invito l'onorevole Marattin a guardare con attenzione il nostro documento, perché spieghiamo bene nei dettagli la situazione delle province italiane. A noi mancano ancora molte risorse. Confidiamo che queste risorse possano essere spese per un grande piano di sicurezza del Paese, ma sulla parte corrente, che per noi è fondamentale.
  Arrivo alla quarta e ultima questione. Mi sembra di aver colto il tema generale della situazione del riordino della riforma Delrio. Innanzitutto, le province italiane hanno già prodotto un documento in cui spieghiamo e chiediamo al Parlamento e al Governo che è necessaria e fondamentale una revisione organica del sistema delle province e delle città metropolitane. L'abbiamo già detto, l'abbiamo già scritto e in questa sede lo ribadiamo.
  Abbiamo evidenziato prima quanto sia fondamentale che si sia ripartiti con un tavolo tecnico in sede di Conferenza Stato-città proprio su questo tema. L'importante per noi è che Governo e Parlamento si attivino con rapidità, sia per la parte ordinamentale sia per la parte finanziaria.
  Sulla parte finanziaria per noi rimane sempre lo stesso principio: l'applicazione della legge delega sul federalismo fiscale, la n. 42 del 2009, che si è bloccata clamorosamente nel 2012 ed è rimasta ferma. Tale legge prevedeva i livelli essenziali delle prestazioni, Pag. 60 che oggi non esistono sulle province, e prevedeva i fabbisogni standard, in riferimento ai quali SOSE afferma che alle province mancano 350 milioni di euro.
  Ciò che chiediamo al Parlamento oggi è di seguire con attenzione, sia nella parte finanziaria sia nella parte ordinamentale, il tema delle province, perché oggi è ancora totalmente irrisolto.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
DELLA V COMMISSIONE
DELLA CAMERA DEI DEPUTATI
CLAUDIO BORGHI

  MAURIZIO MANGIALARDI, sindaco del comune di Senigallia. Ero convinto di essere stato abbastanza chiaro: per il comparto dei comuni manca un miliardo di euro. Abbiamo avanzato delle proposte per capire quale fosse il percorso per recuperare le risorse. Quello della leva fiscale non è nelle nostre corde, perché non penso che, oltre a non dare risposte ai nostri concittadini, possiamo aumentare anche la pressione fiscale. Pur essendo un elemento costituzionale, non lo vogliamo esercitare.
  Abbiamo bisogno dei 300 milioni di euro di cui abbiamo parlato. Sui 560 milioni di euro siamo pronti al ricorso, perché è inevitabile. Pongo i temi e spero che il Governo prima e il Parlamento poi siano in grado di recuperarli, perché quando dico che l'80 per cento dei comuni, senza questi provvedimenti, è sulla soglia del default è un tema che si può porre in maniera elegante, ma il risultato formale diventa quello che ho illustrato.
  Sapete qual è la mia regione di provenienza. Non potete pensare che non abbia a cuore il tema del terremoto. Sono assolutamente d'accordo quando si dice che si è cancellato «Italia Sicura» e non si è fatto nient'altro, però rimango nell'oggetto dell'audizione di oggi. «Italia sicura» è stata in grado di recuperare risorse e di ridistribuirle; oggi è stata cancellata e vogliamo vedere che cosa accade di conseguenza, perché quotidianamente dobbiamo rispondere al tema del dissesto idrogeologico. Che si parli delle Marche, che si parli della Liguria, che si parli della Campania, lo vediamo – ahimè – tutti i giorni.
  Sulla richiesta che l'onorevole Marattin ci poneva dico che sul piano del principio siamo assolutamente d'accordo e pronti a ottemperare a quell'impegno, però vogliamo che lo Stato ci metta la parte propria, perché altrimenti la situazione è talmente articolata che non riusciremo, pur nel meccanismo molto preciso tra comuni, a ottemperare a quel tipo di imposizione.
  Sulla questione che è stata posta rispetto al meccanismo relativo all'avanzo, nel documento depositato ci sono gli emendamenti che abbiamo preparato, però, onorevole, se non sono sufficienti, sarà mia cura specificarli nel dettaglio.

  DAVIDE CARLO CAPARINI, coordinatore della Commissione affari finanziari della Conferenza delle regioni e delle province autonome. Presidente, mi spiace che siamo in ritardo, ma le questioni poste all'attenzione sono molte.
  Questa audizione segue quella svolta dinanzi alla Commissione speciale alcuni mesi fa e le cose dette allora, che ricalcano grosso modo anche quelle che l'ex Ministro Lorenzin ha avuto l'ardire di ribadire – e ne sono felice –, sono le stesse per cui noi abbiamo iniziato uno stretto confronto con il Governo, proprio per garantire i livelli minimi di finanziamento per quanto riguarda il settore sanitario.
  Come la stessa relazione della Corte dei conti sottolinea, il disegno di legge di bilancio «conferma i 114,4 miliardi del fabbisogno del 2019 (un miliardo in più rispetto al 2018)». Quindi evidentemente noi non siamo soddisfatti, ma siamo confidenti nel fatto che l'interlocuzione con il Governo, che ha portato alla messa in sicurezza di tutto il comparto sociale, che ha ricevuto un ulteriore finanziamento, e al livello che noi riteniamo minimo – come lo ritenevamo minimo alcuni mesi fa – nel settore sanitario, apra questa fase di discussione con tutte le forze politiche e con il Governo su alcuni punti fondamentali, che sono parte del documento che noi abbiamo illustrato sei mesi fa e abbiamo ribadito ora, che sono anche sintetizzati in alcuni emendamenti, che spero con la stessa Pag. 61enfasi e soprattutto con la stessa passione anche il deputato Lorenzin sosterrà, ovvero quelli che la Commissione sanità...

  BEATRICE LORENZIN. Sosterrò tutti.

  DAVIDE CARLO CAPARINI, coordinatore della Commissione affari finanziari della Conferenza delle regioni e delle province autonome. Non sapevo che ci fosse una nuova prassi.

  PRESIDENTE. No, non c'è la nuova prassi, continui pure.

  DAVIDE CARLO CAPARINI, coordinatore della Commissione affari finanziari della Conferenza delle regioni e delle province autonome. Per quanto riguarda l'articolo 39 della manovra, la Commissione sanità ha sottolineato come ci sia la necessità di discutere sull'utilizzo dei 50 milioni di euro per tre anni che, evidentemente, sono in conto capitale; quindi si apre il tema del loro utilizzo per l'abbattimento delle liste d'attesa.
  Del resto, nell'articolo 40 il termine del 31 gennaio per l'attuazione del patto per la salute, come ho già avuto modo di dire prima, evidentemente è un termine troppo stringente. Infatti, c'è una nostra proposta – e mi auguro che seguiranno anche degli emendamenti – che chiede di spostare al 30 giugno 2019 questo termine, ma per gli anni 2020-2021, perché, come ho già affermato, a isorisorse per quanto riguarda la manovra che ci è stata presentata, non riteniamo necessario vincolarla a un nuovo patto. Questo era il concetto, quindi mi riferisco a isorisorse rispetto a quello che leggiamo, perché evidentemente noi non possiamo che commentare una manovra che è stata deliberata dal Consiglio dei ministri.
  Per quanto riguarda, invece, i contratti di formazione specialistica, evidentemente viene reiterata la richiesta di aumentare la dotazione, come del resto per quanto riguarda l'articolo 42 sui programmi di edilizia sanitaria apprezziamo l'aumento, come è stato detto, di 2 miliardi di euro. Rispondo così anche all'onorevole Marattin sull'edilizia sanitaria. Anche questi sono evidentemente investimenti. Certo è che il modo in cui vengono recepiti dalle diverse regioni non ha consentito alla stessa Commissione sanità di formulare delle proposte unitarie.
  Rimane poi il tema cui ho già fatto riferimento prima, quello degli emotrasfusi. Vado al tema altrettanto importante del payback, ribadendo proposte che mi ricordo di aver fatto anche da parlamentare in questa Camera. Io registro che oggi c'è un tavolo aperto per la governance del payback 2014-2015. Vi è un emendamento riferito al decreto fiscale che, per quanto riguarda quel biennio, destina mezzo miliardo di euro, stimando in 1,1 miliardi di euro circa l'ammontare per il biennio. Il problema si pone dal 2016 in poi.
  Noi proporremo – così rispondo anche all'onorevole Comaroli – un'inversione dell'onere della prova, perché il problema fondamentale che abbiamo riscontrato nella definizione della proposta transattiva 2014-2015 sta nella contezza e nella certezza dei dati. Se noi chiediamo alle aziende i dati e poi su quelli ci confrontiamo, abbiamo una certificazione alla fonte e questo ci consentirebbe di evitare qualsiasi tipo di contenzioso, perché la fonte dei dati è una fonte che non lascerebbe adito, perlomeno, ai ricorsi al TAR che abbiamo subìto in passato. Mi auguro che qualche componente di queste Commissioni faccia sua questa proposta e ovviamente che anche il Governo apprezzi.
  Per quanto riguarda, invece, lo sblocco del turnover, c'è un tavolo di confronto tra la Conferenza e il Ministero, presieduto dal Ministro Stefani. Ovviamente questa è una delle richieste che noi abbiamo formulato e su cui c'è un confronto ancora aperto con il Governo, che ci auguriamo scaturisca in un provvedimento il più presto possibile, auspichiamo anche all'interno di questa manovra. È un dato di fatto che, evidentemente, se non si arriverà a un accordo proporremo tale intervento attraverso il processo emendativo.
  Per quanto riguarda gli investimenti, è noto – basta prendere la relazione della Corte dei conti, che avete audito prima Pag. 62degli enti territoriali – che l'anno scorso erano stanziati 400 milioni di euro per gli investimenti; quest'anno sono 2.496 milioni di euro, quindi sei volte di più. In totale, sul biennio, sono 4.200 milioni, quindi più di dieci volte.
  Mi sembra che la mole degli investimenti in conto capitale, per rispondere all'onorevole Marattin, sia imponente. Qui si tratta anche di capire come dare attuazione a questi investimenti.
  La relazione della Corte dei conti sottolinea il fatto che le regioni, comunque, nell'ultimo anno hanno dato prova di investire meglio. C'è un più 13,8 per cento. Evidentemente, vista la disponibilità, servirà fare di più e meglio ed è per questo che anche la Commissione affari istituzionali della Conferenza ha avanzato una serie di proposte anche per migliorare la capacità progettuale delle regioni.
  Questo, evidentemente, è strettamente collegato anche alla possibilità delle regioni stesse di assumere nuovo personale a tempo determinato e a tempo indeterminato. Ricordo che c'è anche un decreto-legge che è all'attenzione di questo Parlamento, in cui vengono liberate molte risorse per l'assunzione negli organismi centrali.
  Le regioni stesse si candidano, evidentemente in quanto soggetti attuatori di politiche di investimento, a poter qualificare anche il proprio personale al fine di svolgere la fase attuativa e di gestione degli investimenti stessi.
  Credo di aver risposto a tutti. Vi ringrazio per l'attenzione.

  PRESIDENTE. Ringrazio i rappresentanti delle regioni, delle province e dei comuni. Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti di Confindustria.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio per il 2019-2021, l'audizione, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del Regolamento della Camera, di rappresentanti di Confindustria.
  Saluto e ringrazio il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia. Credo sia la prima volta che viene audito dalle Commissioni bilancio di Camera e Senato. Quindi, ci fa particolarmente piacere averlo qui oggi, con una rappresentanza assolutamente qualificata. Saluto il direttore generale, la dottoressa Panucci, e i dottori Matonti, Montanino, Mariotti, Ruffo e Finazzo.
  Lascio direttamente la parola, per la relazione, al presidente Boccia.

  VINCENZO BOCCIA, presidente di Confindustria. Illustri presidenti, onorevoli deputati e senatori, vi ringraziamo per l'invito a questa audizione, che ci consente di condividere con voi alcune riflessioni su un passaggio chiave della politica economica del Governo e sul delicato momento che il nostro Paese sta vivendo, anche nel contesto europeo.
  Parto proprio da questo, dal rapporto con l'Europa. Con la presentazione della manovra economica 2019, il Governo ha reso esplicita la volontà di non rispettare le regole europee fin dal primo momento. Abbiamo evidenziato che questa decisione, pur mettendo in discussione impegni già presi dal nostro Paese, avrebbe un senso nella misura in cui diventasse l'occasione per avviare un confronto costruttivo in Europa e sul futuro dell'Europa, in particolare per dimostrare che attraverso la crescita economica si rende sostenibile la realizzazione del programma di Governo e, soprattutto, si avvia la trasformazione del Patto di stabilità e crescita in Patto di crescita e stabilità, dove è la crescita che determina la stabilità, e non viceversa.
  Rispetto a questo cambio di paradigma la chiave è proprio la crescita: passare, cioè, da una politica di saldi di bilancio a una politica che, invece, abbia come prima missione gli effetti sull'economia reale, per poi intervenire sui saldi di bilancio. Lo è perché l'Italia riuscirà nei fatti a determinarla, secondo gli annunci del Governo, e potrà mettersi alla testa del processo riformatore, che per noi non può e non deve consistere nel mettere in discussione, chiaramente, il valore irrinunciabile dell'Europa e dell'euro, ma nel far sì che la Pag. 63cornice europea torni ad essere un motore di sviluppo e di benessere.
  Al contrario, se la crescita annunciata non ci sarà, lo sforamento sarà stato fine a se stesso, con l'aggravante che recherà maggiore deficit, quindi più debito pubblico, mettendo a rischio la nostra stessa credibilità. La stima della Commissione europea di un deficit pubblico che cresce fino a superare il 3 per cento del PIL nel 2020 ci pone in un sentiero pericoloso che, come italiani, non meritiamo dopo gli sforzi di questi anni. Questo è il motivo per cui, fin dall'avvio del dibattito sulla manovra, abbiamo continuamente richiamato il Governo alla doverosa coerenza sulla questione della crescita, anche perché la manovra poggia su due pilastri: uno è la realizzazione dei principali obiettivi del contratto di Governo e l'altro è proprio la crescita, che il Governo stima nel 2019 all'1,5 per cento come effetto della manovra stessa.
  Come avrò modo di argomentare, l'esame del disegno di legge e la valutazione del contesto esterno ci portano a ritenere che questa stima sia troppo ambiziosa, con il rischio, tra l'altro, di rendere non sostenibili gli obiettivi del contratto di Governo. In proposito, occorre anzitutto considerare alcuni dati sull'Italia, che dimostrano come il cambiamento in termini economici potrebbe anche significare un peggioramento, cosa che chiaramente non deve essere e non dovrebbe essere.
  La crescita, infatti, si sta assottigliando seguendo una tendenza avviatasi nella seconda metà del 2017, ma che l'ha portata a fermarsi nel terzo trimestre di quest'anno. Il peggioramento è dipeso da fattori esterni e interni, dall'incertezza legata alla politica commerciale americana, alla turbolenza che si è registrata in alcuni importanti Paesi di sbocco per l’export italiano, Turchia e Argentina, al rallentamento di alcuni nostri partner europei, all'aumento del rendimento sovrano dei titoli pubblici, al peggioramento del clima di fiducia delle imprese.
  Secondo le previsioni di ottobre del nostro Centro studi, nel 2019 l'aumento del PIL tendenziale, includendo la cancellazione degli aumenti delle imposte indirette, sarà dello 0,9 per cento, in rallentamento rispetto all'1,1 per cento di quest'anno. La Commissione europea stima un valore superiore all'1,2 per cento nel 2019, che comunque è il più basso d'Europa.
  Raggiungere il livello di crescita reale indicato dal Governo richiederebbe un tasso di espansione del PIL per ciascuno dei quattro trimestri pari a quello raggiunto dall'Italia soltanto due volte negli ultimi ventotto trimestri, ossia nel quarto trimestre del 2016 e nel primo del 2017, quando, però, il contesto era molto diverso da quello attuale, con esportazioni più vivaci e una domanda interna più dinamica.
  Inoltre, le misure contenute nella manovra avranno un'efficacia limitata. I motivi sono diversi, e su questo punto tornerò a breve, ma il principale è che tali misure sono orientate prevalentemente ai consumi e poco, invece, al sostegno degli investimenti, che sono gli unici in grado di determinare effetti duraturi sulla dinamica del prodotto interno lordo. Per il 2019, sul totale degli interventi della manovra, pari a 41 miliardi di euro, oltre 28 sono destinati ai consumi, con un effetto sul prodotto interno lordo contenuto, specie alla luce della crescente propensione al risparmio che stiamo registrando.
  Da parte nostra, abbiamo formulato negli ultimi mesi, anche in prossimità della manovra, una serie di proposte in grado di assicurare all'Italia un tasso di sviluppo almeno pari a quello auspicato ora dal Governo. Abbiamo spesso sottolineato l'importanza, a tal fine, di una visione organica di politica economica che abbia come prospettiva di portarci a diventare il primo Paese industriale europeo. Raffrontando quelle proposte con i contenuti che oggi esaminiamo non possiamo che considerare la manovra insufficiente a realizzare gli obiettivi di crescita indicati dal Governo, per ragioni che provo subito a riassumere e ad articolare meglio in seguito.
  La prima ragione è che manca una visione di politica economica, cui accennavamo, proprio perché le misure sono troppo orientate alla spesa corrente a discapito di quella per investimenti e perché gli strumenti Pag. 64 a sostegno di questi sono disorganici e frammentari. Del tutto marginali o assenti, poi, sono gli interventi per ridurre il cuneo fiscale e contributivo e favorire la dinamica virtuosa salari-produttività.
  La seconda ragione è che non si intravede una strategia di sostegno finanziario alle imprese, nonostante il concreto rischio di una restrizione del credito e di un aumento del suo costo, come pure mancano interventi sui pagamenti della pubblica amministrazione.
  La terza ragione attiene alla contraddittorietà degli interventi sulla tassazione di impresa, poiché l'abrogazione dell'ACE e dell'IRI e la contestuale introduzione del nuovo regime agevolato IRES comporterà, secondo le stime del Governo, circa 2,2 miliardi di euro di nuove entrate per il 2019. Se a ciò si aggiunge il depotenziamento degli incentivi per Industria 4.0 e del credito di imposta per ricerca e sviluppo, il combinato degli interventi produrrà una ulteriore penalizzazione per le imprese, pari a 1,6 miliardi di euro per il 2020. Peraltro, l'agevolazione IRES è complessa sul piano applicativo e carente in termine di reale stimolo agli investimenti, tanto in capitale umano quanto in beni strumentali.
  Preoccupa anche la non riproposizione per il 2019 del blocco delle imposte locali, con il rischio di aggravare quel paradosso italiano delle patrimoniali applicate sui fattori produttivi, come l'IMU sugli immobili di impresa.
  La quarta ragione è che non si dà avvio a un processo di vera analisi e revisione della spesa, necessario per aumentare l'efficienza del settore pubblico e che necessiterebbe di interventi anzitutto sul fronte organizzativo. Troppe volte i Governi hanno spacciato per spending review quelli che, poi, si sono tramutati in tagli, peraltro parziali, senza incidere né sulla efficienza della pubblica amministrazione né sui meccanismi di formazione della spesa pubblica.
  In altre parole, fatichiamo a leggere tra le pieghe della manovra quelle misure in grado di traguardare l'obiettivo di incremento del PIL fissato dal Governo. Proprio per questo vorremmo soffermarci su alcune proposte che, a nostro giudizio, ne rafforzerebbero la componente dedicata alla crescita.
  Prima ribadiamo la nostra condivisione verso gli interventi orientati alla solidarietà e alla coesione sociale, utili a ridurre i divari e a rinsaldare i capisaldi del nostro vivere insieme. Tuttavia, siamo contrari a derive assistenzialistiche, che negano la dignità del lavoro, e a interventi estemporanei, che rischiano di minare la sostenibilità del bilancio pubblico, scaricando sulle generazioni future il peso delle scelte di oggi. Riteniamo, quindi, che il rinvio a successivi provvedimenti della disciplina di due rilevanti misure, ossia il reddito di cittadinanza e «quota 100», sia un segnale dell'esigenza di costruire interventi meditati e frutto del confronto con tutti gli attori interessati.
  In proposito, sul reddito di cittadinanza, ci limitiamo a segnalare l'auspicio che si traduca in uno strumento in grado di coniugarsi con la centralità del lavoro. Così non sarebbe ove fosse declinato in modo da disincentivarlo, ad esempio fissando troppo in alto il livello di reddito garantito o rendendo possibili plurime rinunce alle eventuali offerte provenienti dai centri per l'impiego. Sono aspetti da ponderare con attenzione per evitare che, soprattutto in alcune aree del Paese, da potenziale ponte verso il lavoro, il reddito di cittadinanza si trasformi in mera assistenza.
  Vi invito, a tal proposito, a riflettere su alcuni dati. In Italia lo stipendio mediano dei giovani under 30 al primo impiego si attesta su 830 euro netti al mese, 910 al Nord, 820 per i non laureati e 740 al Sud. È evidente l'effetto «spiazzamento» di un reddito garantito a 780 euro.
  Venendo ai singoli temi, la prima grande sfida del Paese riguarda, per noi, proprio il lavoro, soprattutto per i giovani, per ridare centralità alle persone, riattivare l'ascensore sociale e frenare una emorragia che vede ancora, specie al Sud, tassi di disoccupazione intollerabilmente alti, con picchi di oltre il 20 per cento in alcune province e oltre il 60 per cento, tra l'altro, per i 15-24enni. Pag. 65
  In quest'ottica, abbiamo proposto e ribadiamo l'esigenza di una drastica riduzione del cuneo fiscale a vantaggio, anzitutto, dei lavoratori più giovani, il potenziamento degli incentivi ai premi aziendali, il rafforzamento della formazione e delle leve utili a coniugare domanda e offerta di lavoro. Immaginate, ad esempio, cosa significherebbe spostare 5 miliardi di euro l'anno verso questi strumenti, quale effetto potente vi sarebbe sulla crescita e sull'occupazione strutturale.
  Peraltro, vorremmo evidenziare come i benefici sull'occupazione derivanti dalla revisione delle regole pensionistiche siano tutt'altro che automatici per ragioni legate alla specializzazione, quindi alla non agevole sostituibilità delle figure in uscita, e, di nuovo, al peggioramento del clima di fiducia. Non siamo riusciti a trovare un'analisi che sostanzi l'ipotesi di una sostituzione «uno a uno» tra giovani e persone più avanti in età. Ciò rende ancora più urgente un vero e proprio piano di inclusione dei giovani nel mondo del lavoro, partendo dalla piena detassazione e decontribuzione per almeno i primi due anni di assunzione a tempo indeterminato.
  Dare centralità al lavoro, però, significa anche incidere in modo energico sui salari netti. Per noi la strada è di rafforzare in modo significativo, fino a ipotizzarne la totale detassazione e decontribuzione, l'agevolazione sui premi aziendali legati alla contrattazione di secondo livello, valorizzando così lo scambio virtuoso tra incrementi di efficienza in azienda e maggiore remunerazione del lavoro, con benefici per i lavoratori e per le imprese.
  Secondo una recente indagine del nostro Centro studi, nelle imprese del sistema Confindustria, già oltre tre su cinque dei lavoratori dell'industria – uno su due nel settore dei servizi – sono coperti da contratti che prevedono l'erogazione di premi, che rappresentano mediamente il 3,5 per cento della retribuzione annuale. Dovremmo puntare ad aumentare tali quote in tutte le aziende del Paese.
  La manovra, però, non contiene misure in grado di concretizzare un'efficace politica per il lavoro. Si limita a strumenti apprezzabili, ma di portata limitata, come il «bonus Sud» o quello per l'occupazione delle giovani eccellenze, e a un aumento delle risorse per l'apprendistato duale, mentre non incide in modo strutturale sul costo del lavoro e sullo scambio salari-produttività.
  Peraltro, la flat tax per le partite IVA, che è l'estensione di un regime ideato in origine per soggetti con volumi d'affari minimi, non appare certo risolutiva per la riduzione del cuneo. Piuttosto, questa misura potrebbe aumentare la disparità di trattamento tra contribuenti e disincentivare in futuro il lavoro stabile.
  Allo stesso modo, è assente nella manovra il capitolo dedicato alla formazione e al rafforzamento delle competenze, temi cruciali anche per superare il gap che esiste tra la domanda di tecnici specializzati e l'offerta mancante. L'Italia vive, infatti, un singolare paradosso. A dispetto di una disoccupazione giovanile stabilmente sopra il 30 per cento negli ultimi trimestri, la previsione per i prossimi cinque anni è che alle imprese mancherà all'incirca il 40 per cento delle figure professionali di cui hanno bisogno. Si tratta soprattutto di diplomati di istituti tecnici e professionali, super periti ITS e laureati STEM (Scienze, Tecnologia, Ingegneria e Matematica).
  Per questo continuiamo a evidenziare l'assoluta necessità di potenziare la formazione tecnica a partire dagli ITS e l'alternanza scuola-lavoro. Al contrario, il disegno di legge non dedica attenzione al primo tema, nonostante l'evidenza dei numeri: vi sono circa 10.000 tecnici l'anno che escono dai nostri ITS, il 90 per cento dei quali è inserito nel mondo del lavoro, contro gli 800.000 che escono dagli omologhi istituti tedeschi. Inoltre, il disegno di legge di bilancio riduce ore e risorse destinate all'alternanza scuola-lavoro, smantellando, di fatto, uno strumento di formazione on the job molto utile per avvicinare i giovani al mondo del lavoro.
  Apprezziamo, invece, la proroga del bonus per le assunzioni nel Mezzogiorno, misura che, sebbene è di portata limitata rispetto a quel Piano di inclusione giovani nel mondo del lavoro sopra richiamato, si Pag. 66è dimostrata efficace in quanto al 30 settembre 2018 risultano accolte quasi 90.000 domande, per due terzi sotto forma di assunzioni a tempo indeterminato ex novo e per un terzo come trasformazioni di precedenti contratti a tempo determinato.
  Sempre in chiave di rilancio della crescita e, quindi, di sostegno al lavoro, altri due ambiti determinanti sono quelli che riguardano il rilancio degli investimenti privati e delle infrastrutture. Sul primo versante vorrei partire da una considerazione preliminare. L'Italia è la seconda potenza industriale europea con un valore delle esportazioni vicino a 550 miliardi di euro annui, di cui 450 miliardi generati dal settore manifatturiero.
  Per consolidare e rafforzare questi risultati, abbiamo più volte ribadito che occorre puntare su un'industria ad alto valore aggiunto, ad alta intensità di investimenti, ad alta intensità di produttività e ciò con l'obiettivo di diventare leader industriali in Europa e quindi generare occupazione aggiuntiva e di qualità.
  Seguendo questa linea di pensiero, visti i positivi risultati raggiunti negli ultimi anni, dal 2013 al 2017, con un più 11 per cento di investimenti privati in macchinari e attrezzature e un più 56 per cento di quelli in ricerca e sviluppo, abbiamo richiesto di dare continuità alle politiche e agli strumenti del Piano Industria 4.0, chiarendone l'applicabilità anche ai servizi in cloud e a quelli della cyber security. Come pure è essenziale garantire stabilità nel tempo al credito di imposta per gli investimenti al Sud, che ha contribuito alla ripresa degli acquisti di impianti e attrezzature con istanze accolte per oltre 2 miliardi di euro e investimenti attivati per 6,5 miliardi di euro.
  Al contempo, riteniamo che il perimetro di Industria 4.0 vada ampliato con interventi di rafforzamento della struttura del capitale umano e di sostegno all'innovazione organizzativa delle imprese, per far sì che si dotino delle competenze necessarie a eccellere nelle diverse funzioni aziendali.
  Si tratta di variabili determinanti in un contesto di competitività nel quale ai due tradizionali fattori di produzione (capitale e lavoro) se ne sono aggiunti, oltre all'innovazione, almeno altri due: conoscenza e informazione.
  Quanto alle infrastrutture, la priorità è snellire le procedure partendo da quelle relative alla programmazione delle opere, come, ad esempio, l'approvazione del CIPE, il ruolo del Consiglio superiore dei lavori pubblici, le Conferenze di servizi e così via. Occorre, altresì, semplificare il codice degli appalti dando seguito alle ripetute dichiarazioni d'intento fatte dal Governo negli ultimi mesi.
  L'obiettivo deve essere ridurre drasticamente i tempi decisionali e tecnico-amministrativi e assicurare la spesa effettiva degli stanziamenti disponibili, perché le infrastrutture, oltre a essere un fondamentale volàno di crescita e occupazione, rappresentano la precondizione di una società inclusiva – esse collegano periferia e centro – e anche l'idea di una visione di Paese centrale tra Europa e Mediterraneo, aperto ad est e ad ovest.
  Su entrambi i versanti (investimenti pubblici e privati e infrastrutture) il disegno di legge appare carente di una visione chiara. Sul tema degli investimenti privati sembra venire meno il riferimento rappresentato dal Piano Industria 4.0 che, di fatto, viene depotenziato nonostante sia stato negli ultimi anni una chiave di ammodernamento del nostro sistema produttivo, agendo su fattori trasversali di competitività e non su singoli settori e premiando le imprese che investono secondo criteri automatici senza intermediazioni politico-burocratiche.
  La stessa impostazione a ben vedere è fatta proprio dal credito di imposta per il Sud, che ha rappresentato finora, per le aree più svantaggiate del Paese, una leva di accelerazione delle misure a sostegno degli investimenti privati.
  La manovra conferma alcuni interventi di sostegno che in parte ricalcano misure precedenti, ma il quadro d'insieme diventa disomogeneo e soprattutto si indebolisce. Questa lettura è motivata dal fatto che alla conferma dell'iper ammortamento, seppur con il limite di tre aliquote di maggiorazione e di un tetto massimo di investimento agevolato, si affianca il venir meno del Pag. 67super ammortamento, sostituito dalla controversa agevolazione IRES per gli utili reinvestiti.
  Evidenziamo, in proposito, che la cosiddetta mini IRES potrebbe avere un impatto tra lo 0,6 e l'1 per cento del costo dei beni, contro il 7,2 per cento del super ammortamento al 30 per cento. Peraltro, le risorse destinate a queste misure sono esigue. Basti osservare che per l'iperammortamento vengono stanziati circa 1,1 miliardi di euro per il biennio 2020-2021, mentre la manovra dell'anno scorso aveva previsto per il biennio 2019-2020 circa 2,6 miliardi di euro per la proroga dell'iper e del super ammortamento.
  Inoltre, si modifica in senso peggiorativo il credito d'imposta per ricerca e sviluppo e non si provvede a rifinanziare e a stabilizzare quello per gli investimenti al sud. Quanto a quest'ultimo, si tratta di una scelta preoccupante se solo si considera l'ampio utilizzo della misura che rende plausibile l'esaurimento del plafond in corso d'anno. Come pure, se da un lato si stanziano risorse per lo sviluppo delle tecnologie di intelligenza artificiale, blockchain e IoT, oltre che per la partecipazione a progetti europei sulla microelettronica, nessun cenno è dedicato ai competence center, che del Piano Industria 4.0 rappresentano un tassello essenziale, e al ruolo di quella cabina di regia che, attraverso il confronto tra attori pubblici e privati, ha svolto e può ancora svolgere un ruolo fondamentale nel processo di rinnovamento del sistema produttivo.
  Ancora, è positiva l'introduzione di un contributo in forma di voucher per consentire alle imprese, specie più piccole, anche se unite da un contratto di rete, di avvalersi di temporary manager che le supportino nei processi di digitalizzazione e di organizzazione.
  Peraltro, per rendere davvero efficace la misura, ampliando la platea delle imprese beneficiarie, lo stanziamento di 25 milioni di euro andrebbe almeno raddoppiato. Al contempo, si nega continuità al credito d'imposta Formazione 4.0, quando è evidente che la diffusione delle competenze digitali in azienda è la variabile chiave per ampliare i benefici del Piano Industria 4.0, anche quando la stagione degli incentivi agli acquisti dovrà considerarsi chiusa.
  Per questo segnaliamo che, se la priorità è ampliare il numero di imprese che innovano, specie le piccole e medie imprese, dotandole di competenze necessarie alla definizione dei progetti 4.0 e facendo delle risorse umane la leva strategica per vincere la sfida digitale, occorre estendere la durata di questo incentivo per almeno due anni.
  Sulle infrastrutture, il disegno di legge contiene misure volte a rafforzare la dotazione umana della pubblica amministrazione nell'ambito tecnico-economico per facilitare l'attuazione degli investimenti, ma per un'efficace politica infrastrutturale occorre, innanzitutto, sgombrare il campo da incertezze e opacità su progetti definiti e opere avviate e, come anticipato, agire con decisione sugli aspetti regolatori, per semplificare e razionalizzare alcuni snodi procedurali avviando così a soluzione quella che definiamo spesso «questione temporale», vale a dire il tempo che si impiega per realizzare idee e progetti di investimento in Italia.
  Dalla manovra emerge, poi, un rafforzamento del peso delle regioni in termini finanziari e di promozione agli investimenti. Si tratta di una linea di tendenza che potrebbe responsabilizzare i diversi livelli verso obiettivi convergenti, ma che non deve tradursi in duplicazioni di passaggi concertativi e in frammentazione delle scelte di allocazione delle risorse, che finirebbero per indebolire l'effetto moltiplicatore degli investimenti infrastrutturali.
  A proposito di risorse, fermo restando che la priorità è spendere bene quelle disponibili, segnaliamo che occorre chiarire se i 15,5 miliardi di euro di nuovi stanziamenti annunciati sul triennio 2019-2021 siano effettivamente aggiuntivi, per evitare che tra nuove risorse, tagli e rimodulazioni l'operazione sugli investimenti pubblici sia complessivamente a somma zero.
  È, invece, apprezzabile l'avvio di un programma di reclutamento di personale specializzato nella pubblica amministrazione, poiché il deficit di capacità amministrativa Pag. 68 acuito dalle politiche restrittive portate avanti negli ultimi anni sul personale pubblico rappresenta uno dei principali nodi da sciogliere per rendere l'Italia più semplice ed efficiente.
  Un'altra leva determinante per la crescita economica è il rafforzamento della struttura finanziaria delle impresse per garantire l'afflusso delle risorse necessarie agli investimenti e promuoverne la crescita dimensionale, la progressiva emancipazione dal capitale di credito, peraltro in una fase congiunturale che vede il rischio di una nuova stretta creditizia, anche in conseguenza delle turbolenze in atto sui mercati.
  Riteniamo che questi interventi vadano inseriti in un vero e proprio piano organico a sostegno della finanza di impresa, considerato che una parte significativa del tessuto industriale italiano, circa il 60 per cento, vive una fase di transizione post crisi ed è legata ancora in larga parte al supporto finanziario delle banche.
  Per questo abbiamo segnalato la necessità che la raccolta di risparmio privato che si sta realizzando attraverso i Piani individuali di risparmio (PIR) venga meglio canalizzata verso le medie e piccole imprese italiane, anche non quotate, ampliando le fonti di finanziamento a disposizione delle stesse.
  In parallelo, occorre allargare il perimetro del fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, innalzando l'importo massimo garantito a 5 milioni di euro ed estendendolo anche alle cosiddette «Mid Cap», tenendo conto del fatto che il fondo è in grado di attivare un effetto moltiplicatore fino a 14,5.
  Allo stesso modo bisogna intervenire sui pagamenti della pubblica amministrazione per rendere possibile lo smaltimento integrale dello scaduto e regolarizzare definitivamente i tempi di pagamento dei crediti delle imprese, anche attraverso meccanismi che consentano, con il coinvolgimento di Cassa depositi e prestiti e del sistema bancario, di scontarli a condizioni di vantaggio.
  Anche rispetto a questi temi la manovra interviene in modo frammentario. Infatti, essa contiene alcune misure volte a favorire l'accesso delle imprese al credito bancario e ai mercati finanziari e dei capitali, ma manca una chiara strategia di supporto finanziario alla crescita da cui dipende anche lo sviluppo dell'economia e dei territori.
  Da un lato, infatti, in linea con le nostre sollecitazioni, si rafforza l'incentivo fiscale introdotto dalla legge di bilancio 2017, volto a promuovere l'investimento delle casse di previdenza nell’equity delle imprese (si stanziano risorse per il sostegno dei fondi di venture capital) e, dall'altro, mancano misure incisive sui capitoli PIR e fondo di garanzia come quelle indicate in precedenza.
  La stessa abrogazione dell'ACE fa poi venir meno un importante strumento di sostegno alla patrimonializzazione delle imprese. Peraltro, anche l'intervento sulle casse di previdenza va considerato parziale. Andrebbe, infatti, esteso ai fondi pensione, la cui propensione a investire in imprese domestiche oggi è più bassa di quella delle casse, e affiancato da ulteriori misure volte a canalizzare il risparmio gestito da questi soggetti verso il sistema produttivo, tra cui l'estensione di quello stesso incentivo su cui interviene la manovra agli investimenti in debito delle imprese, e dalla creazione di un organismo promosso dal settore pubblico, che favorisca la forma di aggregazione delle risorse finanziarie di fondi e casse, per consentire loro efficaci investimenti in asset alternativi.
  Infine, qualche notazione sul debito pubblico, che è il tallone d'Achille dell'economia italiana e che negli ultimi quattro anni non siamo riusciti a far calare, a differenza della stragrande maggioranza dei Paesi dell'eurozona. Anche questa eredità del passato pesa sulla nostra credibilità per il futuro, ma per noi il rientro dal debito è la precondizione per riacquisire la fiducia dei mercati e quella di imprese e cittadini.
  Siamo convinti che per mettere il rapporto debito/PIL lungo un sentiero di costante discesa non occorrano drastici tagli di bilancio, né ricette miracolose. La strada è creare le condizioni per un tasso di crescita stabilmente pari almeno al livello Pag. 69stimato dal Governo per il 2019. A ciò dovrebbe affiancarsi un mix di avanzi primari, efficienza della spesa pubblica, relazione costruttiva con l'Europa, compliance fiscale.
  Al contrario, l'aumento dei tassi sovrani osservato negli ultimi mesi erode i potenziali effetti espansivi del deficit aggiuntivo programmato nel 2019, che nelle intenzioni del Governo dovrebbe servire a rilanciare la crescita. A ciò si aggiunge il fatto che l'elevato rapporto debito/PIL (il secondo più alto dell'eurozona) previsto al 130 per cento nel 2019, il non rispetto delle regole europee e l'imminente fine del quantitative easing già inducono gli investitori a richiedere rendimenti più elevati per rifinanziare il nostro debito pubblico, finendo per aggravare la situazione dei conti pubblici e rendendo più oneroso e selettivo il credito alle imprese.
  Quanto alla manovra, con tutte le incongruenze e debolezze sopra evidenziate, ribadiamo che la scelta di impegnare quasi due terzi delle risorse a sostegno della spesa corrente, non ultima l'assenza di un piano di revisione della spesa, rischia di minare la sostenibilità della manovra stessa e, quindi, il nostro debito pubblico.
  Evidenziamo in proposito che per il 2019 sono previsti tagli per meno di 2 miliardi di euro, peraltro concentrati per lo più sulla spesa per investimenti e che il rinvio al 2022 della dismissione delle partecipate pubbliche non è certo un segnale positivo.
  In conclusione, confidiamo molto nell'impegno di queste Commissioni, che sappiamo essere chiamate nella sessione di bilancio a un compito tutt'altro che agevole. Vi assicuriamo, al contempo, tutto il nostro supporto per individuare quelle soluzioni in grado di rafforzare la componente della manovra dedicata alla crescita, operazione che consideriamo imprescindibile in questo delicato momento storico e rispetto alla quale auspichiamo di aver dato anche oggi un ulteriore contributo al vostro lavoro.

  PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Boccia, specialmente per quest'ultimo inciso.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  MARIA ANNA MADIA. Ringrazio il presidente Boccia per questa audizione.
  Io avrei una domanda, nello specifico, sull'articolo 51 del disegno di legge di bilancio. La domanda su quest'articolo nasce proprio da alcuni passaggi dell'audizione del presidente Boccia in cui si sottolinea come in questo disegno di legge di bilancio non ci siano un'analisi e una revisione qualitativa della spesa pubblica.
  Come il presidente Boccia sa molto bene, le buone spending review sono quelle che non partono da tagli lineari, ma quelle che determinano processi virtuosi nell'amministrazione pubblica. L'articolo 51 in questione, di fatto, blocca la riduzione delle società partecipate pubbliche in base alla riforma della pubblica amministrazione approvata nella scorsa legislatura. Secondo la legislazione oggi vigente, al 31 dicembre dovrebbe essere alienato, in base ai piani arrivati dalle amministrazioni al Ministero dell'economia e delle finanze, circa un terzo delle società partecipate, quelle inutili.
  Questo articolo fa due cose. La prima, evidentemente, è quella di bloccare queste alienazioni, perché cambia, di fatto, in concomitanza con la scadenza per le alienazioni, la legislazione. La legge di bilancio si deve approvare entro fine anno. La seconda è che cambia la ratio della riduzione delle società pubbliche, perché si introduce il solo criterio dell'utile di bilancio, andando a cancellare, invece, tutto ciò che ci era stato consegnato nel «rapporto Cottarelli» rispetto a una virtuosa ripartizione di competenze di produzione tra pubblico e privato. Cancella completamente quella che deve essere la natura della produzione pubblica e si sofferma soltanto, invece, su un criterio di utile di bilancio, dando così, di nuovo, la possibilità alle amministrazioni pubbliche, di fatto, di produrre tutto e non solo ciò che ha un interesse generale.
  Vorrei, nello specifico di quest'articolo, un giudizio da parte del presidente Boccia.

  ANDREA MANDELLI. Svolgo solo qualche considerazione. Credo che il presidente Pag. 70Boccia abbia indicato una manovra con più ombre che luci, quindi con qualche perplessità, anche descritta con toni molto chiari e in maniera non velata.
  Su un fatto siamo sostanzialmente d'accordo. Questa manovra non riesce a produrre crescita, cosa di cui il Paese avrebbe in questo momento grande bisogno. Nel prevedere uno sforamento così ampio della spesa, non mette in atto le procedure che sarebbero necessarie per rimettere in moto un circolo virtuoso, quindi creare quella crescita del PIL che viene indicata come un auspicio, ma che oggettivamente sembra davvero un po’ fuori dai parametri e dalle possibilità che la manovra stessa, con i suoi provvedimenti, mette in campo.
  Avete analizzato tutto con grande precisione. Non avete toccato molto il tema delle infrastrutture, in un momento in cui nel Paese si sta animando un dibattito così importante su un tema che, secondo me, è centrale per lo sviluppo del nostro sistema. Troppe zone sono ancora arretrate perché tagliate fuori in maniera seria dal processo di ammodernamento, anche alla luce delle disgrazie purtroppo accadute in quest'anno. Non mi riferisco solo a Genova, ma a tante situazioni che hanno coinvolto il Paese. Anche se potrebbe essere scontata, vorrei conoscere la vostra posizione.
  Concludo con un commento. Chiaramente, lei confida molto sull'impegno del Parlamento nel cambiare questa norma. Noi, come Forza Italia, ce la metteremo tutta. Non sarà un'impresa facile.

  ANTONIO MISIANI. Ringrazio il presidente Boccia per la presenza, che ha una valenza politica significativa, e per gli elementi informativi molto netti che ci ha fornito nel corso della sua audizione.
  Vorrei un chiarimento riguardo al tema della fiscalità sulle imprese. L'ISTAT, in una delle audizioni precedenti, ci ha detto che il combinato disposto dell'introduzione della mini IRES, dell'abolizione dell'aiuto alla crescita economica e della mancata proroga del super-ammortamento genererebbe una riduzione del debito IRES, ossia del carico d'imposta IRES per una piccola minoranza delle imprese (il 7 per cento), mentre per più di un terzo, in realtà, la pressione IRES aumenterebbe e che, in virtù della maggiore selettività della mini IRES rispetto a ciò che c'era prima, ci sarebbe un aggravio fiscale rispetto alla normativa vigente sulle imprese fino a dieci dipendenti.
  Il combinato disposto di queste misure ridurrebbe le tasse per una piccola minoranza delle imprese, le aumenterebbe per una grossa fetta e penalizzerebbe di più le piccole e medie imprese, che teoricamente dovrebbero essere oggetto dell'attenzione positiva da parte di questa legge di bilancio.
  Vorrei capire se risulta anche a voi un effetto di questo genere.

  STEFANIA PRESTIGIACOMO. Ringrazio anch'io il presidente Boccia, la cui analisi sulla manovra coincide praticamente quasi in tutto con l'analisi che il mio gruppo parlamentare ha elaborato. Ha parlato per Forza Italia, ponendo una domanda, il capogruppo Mandelli sul tema delle infrastrutture. Io aggiungerei il tema del Sud. Nella sua relazione lei ha illustrato la possibilità di dare maggiore stabilità al credito di imposta. Noi riteniamo che anche solo dare stabilità al credito d'imposta sia oggi insufficiente per recuperare il gap storico nel quale si trova il Mezzogiorno.
  Lei ha citato anche i dati sull'occupazione giovanile, soprattutto al Mezzogiorno. È indispensabile portare avanti un'azione più incisiva, dal nostro punto di vista, sia in termini di recupero del gap infrastrutturale che in termini di vero e proprio shock fiscale, per attirare le imprese. Noi non crediamo – anche se in questo momento storico gli elettori ci hanno dato torto – che ciò che vuole il Sud sia il reddito di cittadinanza, sostanzialmente per non fare nulla.
  Crediamo, invece, che ci sia bisogno di mettere in moto le risorse umane sane, che ci sono e che sono la stragrande maggioranza. Però occorre il capitale. Questo non può che arrivare dalle imprese che scelgono di investire nel Mezzogiorno.
  Vorrei conoscere il suo punto di vista su questo tema, anche come uomo del Sud.

  COSIMO ADELIZZI. Ringrazio il presidente Boccia per essere qui oggi. Pag. 71
  Sarò breve. Vorrei cominciare con una domanda secca per il presidente Boccia: quanto costa in media per gli associati di Confindustria la formazione e la specializzazione del personale? Sia in termini percentuali che in valore assoluto.
  Glielo chiedo perché nella sua relazione mi ha colpito un passaggio che lei ha fatto a valle di altri due passaggi: uno riguardava il reddito di cittadinanza e l'altro riguardava la misura «quota 100». Lei ha dichiarato: «Noi non siamo riusciti a trovare un'analisi che sostanzi l'ipotesi di una sostituzione uno a uno tra giovani e persone più avanti in età». Lei avrà sentito sicuramente che grandi partecipate dello Stato hanno dichiarato pubblicamente di prevedere in alcuni casi addirittura un rapporto di uno a tre, quindi, per ogni risorsa in uscita vi sarebbero tre risorse in entrata.
  Sicuramente uno dei fattori è quello legato al costo del lavoro, perché sappiamo tutti, lei meglio di noi, che una risorsa giovane in entrata costa molto meno di una risorsa in uscita, con un'elevata anzianità contributiva. Ci sono anche altri aspetti.
  Vorrei passare a un altro aspetto importante, che è quello della formazione. Il reddito di cittadinanza, e quindi il combinato disposto tra il reddito di cittadinanza e «quota 100», prevede un ingente investimento nei centri per l'impiego che dovranno, appunto, occuparsi di formazione e specializzazione per intercettare le esigenze del mondo produttivo.
  Lei non crede che queste risorse, da un lato, potranno portare dei benefici alla pubblica amministrazione con otto ore di lavoro socialmente utili per la collettività, dall'altro, potranno portare degli ingenti vantaggi per tutte le aziende che fanno parte di Confindustria, perché in questo modo andranno ad abbattere enormemente i costi della formazione?
  Glielo chiedo perché lei conclude, e concludo anch'io, la sua relazione con un «vi assicuriamo tutto il nostro supporto». Magari il vostro supporto me lo sarei aspettato nella misura in cui ci fosse stata, da parte vostra, una disponibilità magari anche a collaborare con i centri per l'impiego, per far sì che insieme si possano formare al meglio le risorse che poi saranno la forza lavoro che ridarà – e ci auguriamo potrà ridare – splendore al nostro Paese.

  LUIGI MARATTIN. Buonasera, presidente Boccia. Ricordo ai colleghi che nel nostro ordinamento i centri per l'impiego non sono titolari della funzione di formazione professionale e se il MoVimento 5 Stelle intende cambiare questa funzione avrebbe dovuto inserire nel disegno di legge di bilancio il funzionamento del reddito di cittadinanza, cosa che non c'è. Sto sentendo tante cose, come le otto ore di lavoro socialmente utile, e non so dove siano scritte.
  Qui stiamo discutendo il decreto collegato o il disegno di legge di bilancio? Qui stiamo discutendo un provvedimento che contiene soltanto uno stanziamento. Non stiamo discutendo il funzionamento di uno strumento che non esiste. Se il collega Adelizzi dettaglia il funzionamento di questo reddito di cittadinanza, io lo invito a formalizzare un emendamento che possa fare in modo che questa Commissione possa esprimersi anche sul funzionamento di tale misura, perché, altrimenti, davvero non capisco di cosa stiamo parlando.
  Io, in realtà, ho una domanda molto secca, presidente. Se lei dovesse scegliere fra un'azione di decontribuzione sul lavoro a tempo indeterminato, come ha illustrato nella relazione, con gli scopi che ha già efficacemente descritto, e un'azione di forte riduzione o addirittura eliminazione dell'IRAP per le imprese, essendo la base imponibile dell'IRAP costituita dai fattori produttivi, quindi lavoro – ancorché, dopo la fuoriuscita dalla base imponibile del lavoro a tempo indeterminato, comunque di lavoro si tratta – e capitale, ed essendo, per sua natura, un'imposta fortemente distorsiva, quale sceglierebbe? Se lei fosse costretto a scegliere fra queste due azioni di politica economica volte a ridurre il carico fiscale e contributivo sulle imprese, quale delle due sceglierebbe?

  RENATA POLVERINI. Vorrei chiedere al presidente Boccia, proprio rispetto alla questione trattata negli ultimi due interventi, cioè i centri per l'impiego, se ritiene Pag. 72che le risorse presenti nel disegno di legge di bilancio possano veramente rendere i centri per l'impiego funzionali rispetto alla grande attività, perlomeno a parole, che verrà loro attribuita in funzione al reddito di cittadinanza.
  È vero quello che dice la relazione del presidente Boccia, in cui si ritiene che il rinvio a successivi provvedimenti della disciplina di due rilevanti misure, ossia il reddito di cittadinanza e «quota 100», sia un segnale dell'esigenza di costruire interventi meditati e frutto di confronto con tutti gli attori interessati. Questo è un auspicio chiaramente del presidente Boccia.
  In considerazione di come il Governo si sta confrontando con i corpi intermedi, non la penso esattamente così. Penso che, da un lato, c'è il tentativo di rinviare ad altra data due misure così importanti, che hanno creato una grande attesa da parte dei cittadini, e, dall'altro, c'è l'impossibilità di rendere operativa l'erogazione del reddito di cittadinanza, perlomeno per come ci viene raccontato.
  Lei dà per scontato, presidente, che arriveranno ai beneficiari 780 euro. Io non penso che sarà così, sia perché le risorse non sarebbero sufficienti, sia perché i meccanismi che comunque ci vengono illustrati, una volta via Twitter, una volta via Facebook, una volta en passant, ci dicono che ci sarà comunque un'elaborazione diversa, sia dal punto di vista dei requisiti che dal punto di vista dell'entità.
  Può accadere questo miracolo rispetto alle risorse assegnate nella manovra, ovvero che i centri per l'impiego funzionino, soprattutto da Roma in giù? Una piccola esperienza da questo punto di vista l'ho maturata e so perfettamente che se domani dovesse entrare in funzione il meccanismo che viene auspicato, forse qualche difficoltà ci sarebbe.
  Non entro nel merito, che lei giustamente fa rilevare, dando per scontato che ci sono 780 euro, di quanto questo inciderebbe in termini negativi rispetto alle persone che lavorano e anche rispetto alle persone che sono in pensione, avendo maturato una pensione con tanti anni di contributi a volte inferiore a questa cifra.
  Per quanto riguarda la flat tax per le partite IVA lei fa notare che si creerebbe e si aumenterebbe la disparità di trattamento tra i contribuenti, si disincentiverebbe in futuro il lavoro stabile. Non crede che, invece, andrebbe anche a disincentivare la «crescita» economica dei soggetti che opereranno in partita IVA?
  Da un lato, sicuramente c'è l'appetito, che è anche giustificabile dalla situazione imposta di lavorare in partita IVA, e dall'altro, secondo me, arrivati alla quota limite della tassazione prevista, probabilmente si arriva alla moltiplicazione delle partite IVA e non all'incremento del reddito proveniente.
  Mi fermo qui, anche se ci sarebbero tante altre cose da dire.

  ANTONIO ZENNARO. Grazie, presidente Boccia, per l'intervento, per la dettagliata relazione e anche per l'attività che viene svolta dalle imprese italiane, soprattutto dall'industria, e per l'apporto che danno al sistema Paese.
  Per quanto riguarda un aspetto della sua relazione, è stato segnalato il ruolo che potrebbero avere, ad esempio, i patrimoni delle casse di previdenza e dei fondi pensione su tutto quello che rientra negli investimenti nell'economia reale.
  Con la manovra finanziaria c'è un ampliamento per quanto riguarda gli investimenti qualificati. C'è, di fatto, una detassazione per tutti quegli investimenti che vengono effettuati dalle casse di previdenza – di fatto si tratta di un mercato da 80 miliardi di euro – nella cosiddetta «economica reale». Si passa dal 5 all'8 per cento.
  Tuttavia, è da rilevare che il meccanismo di quantificazione delle coperture, questa mancanza di gettito, di fatto, costa allo Stato circa 25 milioni di euro l'anno. Però, non viene valutato l'aspetto positivo che questo comporta, nel momento in cui il 5 per cento di 80 miliardi di euro sono circa 4 miliardi di euro. Se andiamo ad ampliare un 3 per cento in più, siamo, a spanne, ad altri 2 miliardi di euro di investimenti che possono effettuare le casse di previdenza, con un impatto veramente importante per tutto quello che è economia reale. Parlo Pag. 73dello sviluppo di tutti quei mercati che si trovano in forte ritardo, soprattutto in Italia, rispetto ai competitors europei: mercato dei venture capital, private equity, private debt.
  Questo è sicuramente un tema importante, che pongo all'attenzione. Nel momento in cui si svolgono le valutazioni, occorre anche considerare che se si ampliano gli incentivi in questo settore ad oggi occorre coprire questo mancato gettito. Tuttavia – questo è il meccanismo «bizzarro» – non si riesce a valutare l'impatto positivo che hanno questi investimenti sull'economia reale. Parliamo di investimenti che non sono finanza speculativa, ma accesso al credito per le imprese, investimenti anche in Industria 4.0. Segnalo questo aspetto anche ai fini della discussione.
  Rilevo che, comunque, all'interno della legge di bilancio c'è un aspetto molto importante, che è nuovo: gli incentivi al settore venture capital. L'Italia si trova in forte ritardo rispetto ai competitors sia europei sia al di là dell'Atlantico. È vero che è un primo passo, però sicuramente prima o poi questo passo andava fatto. Certamente avremo modo, anche in fase di discussione, di approfondire questa tematica, però la volevo rilevare perché è un aspetto veramente importante e innovativo.

  PRESIDENTE. Mi inserisco con una domanda telegrafica. Qualora si pensasse, anche dietro vostra sollecitazione, di sostituire la parte relativa all'IRES, la mini IRES incrementale, con una detassazione delle aziende che reinvestono gli utili, universale, in buona sostanza, cosa potrebbe essere utile per accertarsi che questa somma risparmiata sia reinvestita in fattori produttivi e non semplicemente capitalizzata?

  MARIO TURCO. Presidente Boccia, vorrei brevemente soffermarmi sul tema della struttura finanziaria delle imprese. Nella sua relazione lei invoca questa leva determinante per la crescita economica, ossia il rafforzamento della struttura finanziaria delle imprese. Su questo sono d'accordo. Nella relazione che ci ha consegnato lei auspica, nell'ambito di questo rafforzamento, due iniziative: auspica che ci sia un incentivo affinché si promuova l'investimento delle casse di previdenza nell’equity delle imprese e poi invoca che in tale direzione siano indirizzati i fondi pensione.
  La mia domanda è la seguente: in virtù dell'abolizione dell'ACE, che quindi crea un nuovo ordine di preferenza delle fonti di finanziamento tra interne ed esterne alle imprese, come giudica i nuovi incentivi tributari introdotti dall'attuale Governo, dato che questi incentivi chiaramente cercano di favorire l'autofinanziamento delle imprese, che ritengo sia determinante per lo sviluppo e la crescita di una qualsivoglia attività economica?

  NUNZIO ANGIOLA. Grazie, presidente Boccia. Lei afferma che manca nel disegno di legge di bilancio e probabilmente anche nella Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza, quella visione di politica economica che si sarebbe aspettato. Gli interventi appaiono disorganici e frammentari.
  Per quel che mi riguarda, questa relazione mi sembra poco articolata rispetto all'analisi della situazione di fatto, si sofferma poco sulle criticità esistenti nel sistema Italia, che pure voi dovreste – come certamente accade – conoscere. Si accenna alla chiave della risoluzione dei problemi, che è quella della crescita, ma non si accenna minimamente a quelle che sono le problematiche che hanno impedito di fatto la crescita negli ultimi dieci anni e così via.
  Sappiamo tutti che l'Italia è il fanalino di coda di tutti i Paesi europei da questo punto di vista. Sappiamo tutti che abbiamo assistito ad un sistematico deterioramento del quadro della finanza pubblica, negli ultimi dieci anni, fino a una crescita del debito pubblico di oltre 30 punti percentuali. Poi ci si sofferma su misure convenzionali di politica economica, al di fuori di un quadro di analisi sistematico dal punto di vista delle imprese.
  Da parte sua mi sarei aspettato un'analisi secondo un metodo logico di tipo deduttivo, cercando di partire dalle difficoltà che incontrano le imprese, i percorsi che possono essere seguiti per il superamento, come il legislatore può intervenire per agevolare Pag. 74 la vita delle imprese. Di tutto questo non trovo traccia in questo documento, o perlomeno trovo, a mia volta, una serie di osservazioni che sono disorganiche e frammentarie.
  Sarebbe stato molto utile cercare di capire come la legge di bilancio potesse intervenire rispetto ai temi della produttività delle imprese. Sappiamo tutti che le imprese presentano una modesta produttività, che risente della struttura produttiva del nostro sistema Paese. Le nostre numerosissime piccole imprese sono meno produttive delle grandi imprese e delle imprese di analoga dimensione degli altri Paesi europei. Benissimo, nel fare delle proposte avrei cercato di analizzare i vari provvedimenti previsti dalla legge di bilancio, in rapporto a queste criticità del sistema imprenditoriale italiano, e quindi avanzare delle proposte per andare incontro a tutte le esigenze del sistema imprenditoriale italiano.

  PRESIDENTE. Do la parola al presidente Boccia per la replica. Ovviamente le risposte non credo che potranno essere dettagliate più di tanto, ma confido nella sua capacità di sintesi.

  VINCENZO BOCCIA, presidente di Confindustria. Si sarà impressionato, presidente, per le tante pagine che ho scritto, ma ho solo riportato le domande. Comunque, sarà poi nostra cura farvi avere un'appendice più articolata in merito alle risposte.
  Sulla questione relativa all'articolo 51, anche noi siamo critici e su questo esprimeremo, con un'appendice, la nostra posizione.
  Sulla questione economica più complessiva che poneva l'onorevole Mandelli, noi abbiamo detto con molta chiarezza, in questa nota, che il metodo è anche condivisibile. Si può anche sforare, purché chiaramente vi sia coerenza in merito a quello che diciamo. Far comprendere che la regola è stupida e che quindi grazie alla crescita si riesce a non incrementare deficit e debito pubblico è la grande sfida, addirittura riformista, del Paese in una chiave europea. Quindi, la crescita diventa l'elemento di sostanza e di criticità del Paese.
  La crescita verte su due grandi questioni. Innanzitutto, vi è la questione delle infrastrutture, quindi le opere pubbliche e l'apertura dei cantieri. Lo abbiamo detto, ma chiaramente non abbiamo elencato tutte le opere pubbliche; ne potremmo elencare tante, ma sicuramente ne perderemmo qualcuna. La seconda questione è accelerare gli investimenti privati. Tra l'altro, le infrastrutture per noi hanno una doppia valenza: sono la precondizione per un'idea di società inclusiva, cioè collegano periferie e centri, e sono esse stesse una idea di visione del Paese perché fanno sì che l'Italia, grazie alle infrastrutture, possa diventare centrale tra Europa e Mediterraneo, aperta ad est e ad ovest, e non periferia d'Europa.
  Sulla questione relativa all'ISTAT, ci ritroviamo con i dati dell'Istituto, perché i saldi orizzontali ci dicono che rispetto a quello che si dà come IRES poi molto di più si toglie come Piano Industria 4.0. Non stiamo facendo, tuttavia, una questione di risorse; stiamo ponendo un'altra questione. Industria 4.0 è un provvedimento che riguardava, in primo luogo, un concetto di rapporto con il Governo, che non riguardava scambi con la politica, perché riguardava criteri automatici; in secondo luogo, dava una linea di politica fiscale che non era un incentivo, ma andava verso un'industria ad alto valore aggiunto, ad alta intensità di produttività, ad alta intensità di investimento.
  Questi elementi erano e sono, secondo me, elementi essenziali per fare in modo che in Italia l'industria sia sempre in questa direzione di marcia e non verso un'industria labour intensive che è patrimonio del Far East, se noi vogliamo accettare la sfida con i Paesi dell'Occidente, con gli Stati Uniti, la Cina e all'interno dell'Europa.
  Sul tema del Sud, l'onorevole Prestigiacomo ha totalmente ragione, ma per noi il Sud è una questione italiana, rientra in quello che abbiamo detto dello specchio del Paese: più infrastrutture e inclusione dei giovani. Questo riguarda tutto. Non c'è una questione Sud, c'è una questione italiana, Pag. 75che è la questione complessiva. Per noi la questione industriale è determinante.
  Sulla formazione, si chiede quanto spendono le imprese italiane. Il punto non è questo; io non sono qui a fare un'introspezione di quella che è l'industria italiana. Mi sembra che mi avete convocato per svolgere una riflessione sulla manovra economica.
  Quando vorrete, faremo anche un'introspezione sull'industria italiana.
  Se la politica economica deve essere un acceleratore della crescita del Paese, occorre evidentemente potenziare l'alternanza scuola-lavoro, potenziare gli ITS, non chiedere quanto l'industria italiana spende in formazione. È evidente che l'industria italiana spende in formazione: siccome deve fare concorrenza a player di altri Paesi, se non spende in formazione – ahinoi – fallisce.
  Quindi, sul percorso del reddito di cittadinanza quali criticità vediamo e abbiamo elencato? Al di là del fatto che ci saranno i 780 euro o meno, da quello che leggiamo – poi, se ci saranno o meno è un altro discorso –, noi vediamo una non proporzionalità tra i 780 euro e quanto uno stipendio di primo impiego netto realizza. Dunque, c'è un problema. Non c'è proporzionalità tra 780 euro di reddito di cittadinanza e 800-900 euro per chi deve lavorare 40 ore a settimana, e questo potrebbe diventare un disincentivo.
  C'è un secondo elemento. A partire dal Mezzogiorno del Paese, con un 34 per cento di disoccupazione giovanile, non si può dire che si può rinunciare a tre proposte di lavoro prima di perdere il reddito di cittadinanza: onestamente, chi vive il Mezzogiorno sa che non ti arriva nemmeno una proposta di lavoro, figurarsi tre.
  Su questo noi dobbiamo ricentralizzare la questione lavoro. Non contestiamo la misura reddito di cittadinanza, ma il processo, perché evidentemente quegli strumenti potrebbero portarci a fare degli errori.
  Cosa sceglieremmo tra l'abolizione dell'IRAP e altre misure? Se ne dovessi fare una questione categoriale, dovrei scegliere l'abolizione dell'IRAP, ma non la facciamo. Non la poniamo perché, se scegliessimo l'abolizione dell'IRAP e considerassimo che essa quota 13,5 miliardi di euro, onestamente non mi sembra opportuno venire qui e dire di porre 13,5 miliardi di euro su una manovra di 40. Addirittura, volendo costruire un'idea di società, come corpo intermedio dello Stato, noi sceglieremmo il cuneo fiscale per i giovani. Lo dico non da cittadino del Paese, ma da presidente di Confindustria. Nella logica dei nostri documenti, siamo per un'attenzione che parta dal lavoro per la competitività delle imprese e poi arrivi anche a ridurre la tassazione per le imprese.
  Occorre – e qui concordiamo con l'onorevole Polverini – una pedagogia formativa, perché sicuramente non saranno i centri per l'impiego la soluzione, e forse quanto è previsto è anche poco, ma lì c'è un problema culturale e di impatto. La formazione si fa nelle aziende, non si fa fuori dalle aziende, lo sappiamo bene. Su questo aggiungo, rispondendo all'onorevole Zennaro, che abbiamo un paradosso in questo Paese: i famosi flussi dei TFR escono dalle imprese, arrivano ai fondi e non ritornano all'economia reale del Paese. Allora, il punto non è solo di convenienza fiscale, ma anche quello di individuare soggetti e istituzioni che abbiano una governance e che riescano ad attrarre parte di questi flussi per farli ritornare all'economia reale del Paese.
  Il nuovo regime agevolato IRES, presidente, per noi deve avere un carattere complementare, non sostitutivo; non può essere sostitutiva del piano Industria 4.0. Questo è il nostro messaggio. Va bene chiaramente agevolare il mantenimento degli utili nelle imprese, ma questo deve essere complementare ad altri strumenti, altrimenti diventa una dimensione generalistica e depotenzia l'altro aspetto.
  Sui saldi orizzontali ho già risposto. Vorrei fare una riflessione. Siamo la seconda manifattura d'Europa, nonostante l'impresa italiana paghi il 20 per cento di tasse in più rispetto alla tedesca, nonostante l'impresa italiana paghi il 30 per cento in più di energia rispetto all'impresa tedesca, nonostante uno spread più alto e una dotazione infrastrutturale sicuramente inferiore. Pag. 76
  Ci siamo chiesti perché siamo la seconda manifattura d'Europa o ci chiediamo ancora perché e cosa fanno con la formazione nelle imprese italiane? Perché l'industria italiana è la più potente al mondo. Se ci aiutaste – questa è la logica positiva con cui mi presento in questa sede – nel rimuovere alcuni deficit di competitività, vi assicureremmo che potremmo diventare la prima potenza industriale al mondo.
  Non mi sembra – lo dico all'onorevole Angiola – che il piano sia disarticolato, sebbene chiaramente ognuno esprime le sue opinioni. Il potenziamento del fondo di garanzia, il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione alle imprese, il piano di inclusione giovani, una detassazione totale dei premi di produzione che invitano allo scambio salario-produttività e il recupero in efficienza delle imprese, il non toccare e depotenziare il piano Industria 4.0, il non depotenziare ricerca e sviluppo, usare i PIR come elemento di flusso per l'economia reale, il credito di imposta Sud in questa linea, mi sembra che siano proposte che rappresentano una visione più organica di quella che è la chiave di lettura che lei ha dato. Chiaramente qui siamo a confrontarci con grande serenità perché tifiamo Italia e tifiamo per la crescita dell'Italia.
  Sulle domande in merito a quanto si investe nelle imprese di Confindustria, potrete invitarmi un'altra volta e, se sarò chiamato a svolgere un'audizione su Confindustria, sarò a disposizione delle Commissioni. Oggi sono qui per la manovra economica.

  PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Boccia e gli altri rappresentanti di Confindustria.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE
DELLA V COMMISSIONE
DELLA CAMERA DEI DEPUTATI
STEFANIA PRESTIGIACOMO

Audizione di rappresentanti di R.ETE. Imprese Italia.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio per il 2019-2021, l'audizione, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del Regolamento della Camera, di rappresentanti di R.ETE. Imprese Italia.
  Diamo il benvenuto al presidente Daniele Vaccarino, a cui do la parola.

  DANIELE VACCARINO, presidente di R.ETE. Imprese Italia. Grazie, presidenti, grazie a tutti dell'invito. Rappresentando R.ETE. Imprese Italia, unifichiamo, quindi, in una sola audizione la Confederazione nazionale dell'artigianato e della piccola e media impresa (CNA), Confartigianato, Confcommercio, Confesercenti e Casartigiani. Sono con me i massimi responsabili dei dipartimenti economici di tutte queste associazioni, che, quindi, sono anche a vostra disposizione per eventuali domande, qualora siano strettamente tecniche.
  Aggiungo che abbiamo prodotto e depositato una nota, di cui farò oggi una sintesi, anche perché ho capito che stiamo sforando i tempi, quindi, se riesco ad anticipare, forse mi guadagno anche un applauso e un sorriso.
  Salterò, quindi, tutta la parte riguardante gli scenari, dandone una sintesi proprio per entrare nell'argomento. Pertanto, procederò inizialmente per sommi capi e mi permetterò, invece, di entrare più nel merito sui singoli provvedimenti e portarvi, quindi, l'opinione di R.ETE. Imprese Italia, dando fin da ora la massima disponibilità alla collaborazione con tutti gli onorevoli e i senatori di tutte le Commissioni per un approfondimento e anche delle vere e proprie proposte da analizzare insieme, per arrivare ad una sintesi che sia favorevole per quanto riguarda le imprese che noi rappresentiamo, ma al tempo stesso, che tenga in considerazione la situazione economica italiana e non solo italiana.
  A questo proposito, illustrando uno scenario a flash su quanto sta avvenendo, l'economia italiana sta rallentando, non è solo la dinamica congiunturale stimata dall'ISTAT che ce lo dice, ma R.ETE. Imprese Italia ha questa grande capacità di capillare diffusione sul territorio, grazie a tutte le sedi territoriali, pertanto noi tocchiamo con mano questa situazione relativa a imprenditori, Pag. 77 artigiani, commercianti e professionisti che si rivolgono ai nostri uffici.
  Questo, quindi, è un dato che segnaliamo al di là dei dati ufficiali, perché lo stiamo riscontrando. Ciò avviene per una mancanza di contributi sia della domanda interna che di quella estera, quindi dell’export.
  Devo dire, con altrettanta franchezza, sempre grazie ai dati che abbiamo mensilmente, visto che le nostre associazioni forniscono anche servizi alle imprese e, quindi, quotidianamente o almeno mensilmente hanno rapporti sull'occupazione, che nel terzo trimestre dell'anno la crescita dell'occupazione sembra essersi quasi arrestata, anche se la base occupazionale e il tasso di occupazione si collocano sui livelli più alti dell'ultimo decennio.
  Salto i dati sulla manovra, che conoscete ovviamente tutti, e aggiungo alcune riflessioni di carattere generale, che riguardano il profilo espansivo della manovra. Questo è determinato soprattutto da misure finalizzate alla riduzione della pressione fiscale, alla sterilizzazione delle clausole di salvaguardia per impedire l'incremento delle aliquote IVA e delle accise per 12,5 miliardi di euro, e ad aumenti di spese che si concentrano su misure per il lavoro (reddito di cittadinanza, accesso alla pensione e altre misure per il contrasto alla povertà).
  Altri 6 miliardi di euro di maggiori uscite riguardano misure per lo sviluppo degli investimenti, il cui impatto sull'indebitamento è, però, limitato a poco più di 3 miliardi di euro in base alle indicazioni che abbiamo. Altre misure significative riguardano le modifiche al regime forfettario, le nuove assunzioni nel pubblico impiego e le politiche cosiddette «invariate».
  Secondo il Governo, la manovra imprimerà un'accelerazione del PIL determinata attorno all'1,5 per cento nel 2019 e aumenterà l'indebitamento per il prossimo anno al 2,4 per cento. Attualmente la sterilizzazione totale delle clausole di salvaguardia dell'IVA e delle accise è prevista solo per il 2019 e l'eventuale azzeramento delle stesse per il biennio successivo richiederebbe una spesa aggiuntiva, che è valutata in circa 19 miliardi di euro ogni anno e porterebbe il rapporto deficit/PIL a livelli maggiori (probabilmente 3,1 o attorno al 3 per cento).
  Correttamente, dobbiamo ricordarci che il rapporto deficit/PIL potrebbe, però, aumentare ulteriormente in ragione dell'aumento della spesa per interessi, dovuta al rialzo dei tassi e al rallentamento in atto dell'economia italiana cui precedentemente ho fatto cenno.
  Il Governo, ovviamente, confida nell'effetto espansivo della manovra per conseguire una crescita dell'economia in grado di ridurre il rapporto, ma le misure annunciate potrebbero non essere sufficientemente incisive per raggiungere tali obiettivi. La maggior parte delle risorse è diretta, infatti, a soddisfare la richiesta di maggior tutela e protezione sociale (riforma della cosiddetta «Fornero», reddito di cittadinanza, risarcimento dei risparmiatori coinvolti nelle crisi bancarie e condono fiscale). Sono ancora troppo contenute, invece, le risorse destinate agli investimenti materiali ed immateriali, necessarie per accrescere la produttività, l'innovazione, le competenze e l'occupazione.
  A nostro avviso, la manovra dovrebbe reperire adeguate risorse per gli interventi di valorizzazione delle produzioni italiane, di tutela e messa in sicurezza del territorio, del patrimonio architettonico, artistico, culturale ed ambientale. Ci attendiamo, quindi, maggiore attenzione agli strumenti capaci di aumentare efficienza e produttività del sistema e ridurre il carico burocratico e fiscale che grava sulle imprese, soprattutto le piccole, per accresce la propensione all'investimento.
  Cerco di entrare più specificamente nel merito. Per quanto riguarda il fisco, R.ETE. Imprese Italia esprime soddisfazione per l'eliminazione dell'aumento IVA previsto nel 2019. È, però, necessario, come già richiamato precedentemente, continuare in questa strada e scongiurare totalmente gli aumenti delle aliquote IVA nel 2020 e nel 2021.
  In merito all'estensione del regime forfettario per le imprese individuali e i professionisti con volumi di ricavi fino a 65.000 euro, riteniamo corretta la scelta di ridurre Pag. 78la pressione fiscale partendo dalle piccole imprese personali. Si tratta di un provvedimento che consentirà di beneficiare della tassazione agevolata del 15 per cento. Riteniamo che questa misura riguarderà circa 1,5 milioni di piccole imprese individuali e autonome, che si aggiungono a quel milione di soggetti che già utilizzavano precedentemente questo regime di vantaggio.
  Per rendere effettivamente profittevole e coerente questa misura, suggeriamo di studiare – magari anche insieme – un modo per superare la forfettizzazione dei costi, consentendo la determinazione analitica del reddito, confrontando ricavi e costi individuati secondo criteri di cassa.
  Ricordiamo, però, che l'estensione del regime forfettario non risolve il problema delle iniquità della diversa pressione fiscale, cui sono sottoposti i redditi conseguiti in base alla natura del percettore. Va, infine, evidenziato che l'applicazione del regime forfettario comporterà, in assenza di altri redditi, la perdita della possibilità di utilizzare deduzioni e detrazioni fiscali. Pertanto, è molto probabile che le imprese facciano i loro conti prima di aderire.
  R.ETE. Imprese Italia valuta positivamente anche la previsione dal 2020 di assoggettare alla tassazione sostitutiva del 20 per cento gli imprenditori individuali e i professionisti con ricavi compresi fra i 65.000 e i 100.000 euro. Apprezziamo, inoltre, l'equiparazione dei criteri del riporto delle perdite per le imprese personali a quello adottato da tutte le imprese, a prescindere dalla natura giuridica. Questa è una delle tante richieste che R.ETE. Imprese Italia aveva da tempo sollecitato.
  L'introduzione della cedolare secca anche per la locazione degli immobili ad uso commerciale può essere un primo tassello per risolvere il problema della desertificazione dei centri urbani, in particolar modo dei centri storici, ma a condizione che tale misura agevolata sia finalizzata non solo alla riduzione del prelievo fiscale a carico del locatore dell'immobile, ma anche alla riduzione dei canoni di locazione corrisposti dal conduttore.
  A questo proposito, avanziamo una proposta tecnica. Si ritiene opportuno segnalare la necessità di includere anche gli immobili di cui alla categoria catastale C3, i laboratori di arti, professioni e mestieri, che interessano imprese aventi caratteristiche pressoché analoghe a quelle che operano in immobili cosiddetti C1.
  R.ETE. Imprese Italia esprime, invece, forte disappunto rispetto alla scelta di abrogare l'entrata in vigore dell'IRI, un regime fiscale opzionale che avrebbe consentito dal 2019 ad imprese individuali o società di persone di pagare le tasse separando il reddito dell'impresa da quello personale, come avviene per i soci delle società di capitale tramite l'IRES.
  L'introduzione dell'IRI avrebbe reso neutrale ed equa la tassazione del reddito di impresa a prescindere dalla forma societaria adottata, mitigando le differenze di imposizione esistenti fra le società di capitali e le società di persone. Si tratta, inoltre, di un regime fiscale in grado di incentivare la patrimonializzazione delle imprese, posto che la parte del reddito non prelevata e lasciata alle aziende avrebbe scontato una tassazione più agevolata, più leggera. In questo senso, auspichiamo un intervento parlamentare che porti al ripristino dell'entrata in vigore dell'IRI.
  Riteniamo positiva, invece, la decisione di prorogare per un ulteriore anno la detrazione per le ristrutturazioni edilizie e per la riqualificazione energetica degli edifici. Tali misure favoriscono le imprese del settore edile, che – ricordo a tutti quanti noi – continua ad essere uno dei settori che meno ha potuto godere di miglioramenti della crescita economica in questi anni. Chiediamo la stabilizzazione di questa misura, perché consentirebbe, inoltre, agli operatori un quadro di regole certe e coerenti, utili alla programmazione degli investimenti.
  A parere di R.ETE. Imprese Italia è fondamentale, ora, intervenire sugli attuali meccanismi di trasformazione delle detrazioni fiscali per lavori edili in crediti d'imposta cedibili allo sconto. Ci risulta incomprensibile – sono già due volte che sono audito nelle Commissioni bilancio di Camera e Senato e cerco di trovare una spiegazione – perché non si trovi soluzione Pag. 79alla necessità di consentire la cessione del beneficio maturato per le spese di riqualificazione energetica e anche di miglioramento del rischio sismico degli edifici, oltre che all'impresa che ha curato il lavoro, anche agli istituti di credito o agli intermediari finanziari, la classica cessione d'imposta che potrebbe essere estremamente utile.
  Ci preoccupa la mancanza della proroga dei blocchi dei tributi locali, che consentirà di aumentare il prelievo locale, già elevato e fortemente differenziato. Temiamo, quindi, immediati aumenti delle addizionali e, quindi, dei cosiddetti «prelievi locali».
  In materia di politica fiscale aggiungo soltanto un elemento che per noi è diventato da tempo una bandiera e che non troviamo: la necessità di prevedere la totale deducibilità dell'IMU corrisposta sugli immobili strumentali delle imprese.
  Avanziamo anche alcune altre osservazioni come l'aumento della franchigia IRAP per le piccole imprese, che attualmente è a 13.000 euro, e la compensazione generalizzata e universale dei debiti tributari e contributi con crediti vantati nei confronti delle pubbliche amministrazioni.
  Se vogliamo fare un appunto più forte degli altri, lo riportiamo alla questione del superammortamento di cui ho parlato all'inizio. Infine, una segnalazione: visto che entrerà in vigore la fatturazione elettronica, chiediamo che vengano eliminati elementi quali lo split payment e il reverse charge, e che sia ridotta la ritenuta dell'8 per cento, attualmente prevista sui bonifici relativi a spese che conferiscono le detrazioni fiscali.
  Quanto alle misure per la crescita, il disegno di legge dispone una serie di misure volte a sostenere la crescita e lo sviluppo delle imprese. In particolare, prevede una tassazione agevolata degli utili reinvestiti per l'acquisizione di beni strumentali e per l'incremento di occupazione. Per le società di capitali significa arrivare ad una tassazione del 15 per cento sul reddito, per i soggetti IRPEF è prevista una riduzione di 9 punti sulle aliquote IRPEF.
  Le disposizioni sono molto selettive e nella norma è presente, inoltre, un oggettivo discrimine per le imprese personali, in particolare per le imprese in contabilità semplificata, per le quali l'assenza di bilancio fa sì che praticamente sia inapplicabile la tassazione agevolata.
  Abbiamo già detto prima che esprimiamo un giudizio positivo sulla riproposizione e sulla riformulazione della disciplina sull'iperammortamento, ma manca la seconda parte, come ho già avuto modo di dire.
  Non possiamo, tuttavia, non esprimere una grande sorpresa e un forte rammarico per la mancata proroga del superammortamento. Abbiamo fatto un rapido conteggio all'interno delle nostre aziende e il superammortamento rispetto alla cosiddetta «IRES ridotta» probabilmente significa un beneficio a metà per le nostre imprese che ne farebbero utilizzo.
  Per quanto riguarda il credito d'imposta per ricerca e sviluppo, la riduzione al 25 per cento e la rimodulazione dell'intensità del beneficio vede la conferma del 50 per cento solo per le spese di personale titolare di un rapporto di lavoro subordinato, direttamente impiegato in tali attività, penalizzando le imprese di minori dimensioni, le quali non possono generalmente affrontare direttamente ed internamente questi processi.
  Accogliamo, invece, con interesse l'istituzione di due nuovi fondi finalizzati a sostenere nuovi investimenti sia da parte dell'amministrazione centrale, sia da parte degli enti territoriali. Accogliamo positivamente anche la disposizione che prevede che i comuni non capoluoghi di provincia ricorrano alla stazione unica appaltante, costituita presso le province e le città metropolitane per gli appalti di lavori pubblici, e che l'ambito territoriale di riferimento delle centrali di committenza coincida con il territorio provinciale o metropolitano.
  Tale previsione ci pare poter essere una soluzione atta a contemperare l'esigenza di un maggior potenziamento delle stazioni appaltanti, senza che questo si traduca in eccessivo allontanamento dal territorio.
  Sempre in tema di appalti, però in merito alla costituzione di una centrale per la Pag. 80progettazione delle opere pubbliche, riteniamo che la disposizione possa avere un effetto positivo, ma non possiamo, tuttavia, non segnalare come in questo ambito le iniziative di centralizzazione solitamente generino fenomeni di concentrazione del mercato, con effetti di spiazzamento per le micro e le piccole imprese.
  Apprezziamo, infine, il rifinanziamento della cosiddetta «nuova Sabatini», misura che attrae sempre più micro e piccole imprese in ragione della certezza e dell'affidabilità. Occorre rilevare, peraltro, che la misura ad oggi con poco più di 1 miliardo di euro di risorse pubbliche ha attivato 14 miliardi di euro di investimenti privati, quindi con un effetto leva estremamente alto.
  Permane, a nostro avviso, la necessità di semplificare alcune norme attuative, prevedendo l'erogazione del contributo riconosciuto in un'unica soluzione anticipata o, in alternativa, la previsione di un unico provvedimento di concessione, in cui sia contenuto il piano di erogazione del contributo. Va, inoltre, considerata la possibilità di includere tra i soggetti abilitati all'erogazione dei finanziamenti agevolati per l'intermediazione finanziaria gli iscritti all'Albo, previsti dall'articolo 106 del testo unico bancario, compresi i Confidi vigilati da Banca d'Italia che possono erogare finanziamenti alle piccole e medie imprese.
  Positiva per R.ETE. Imprese Italia è l'introduzione di un contributo sotto forma di voucher per l'acquisizione di competenze di supporto alle imprese in materia di innovazione e tecnologie digitali, i cosiddetti «manager dell'innovazione». Considerato il forte interesse dimostrato dalle imprese per i voucher per la realizzazione di interventi di digitalizzazione dei processi e di ammodernamento tecnologico, auspichiamo un rifinanziamento della misura nel 2019.
  Positiva la modifica attuata per l'articolo 45, la misura «Resto al Sud», che prevede l'innalzamento a 46 anni di età del requisito per l'accesso alla misura stessa. Resta, però, critica l'esclusione di una parte importante del sistema economico meridionale, cioè le attività commerciali, posto che il provvedimento si applica in territori particolarmente rilevanti dal punto di vista turistico-commerciale.
  Sempre in tema di incentivi alle imprese, si sollecita l'adozione di misure aggiuntive per agevolare l'accesso al credito, ridurre i costi energetici e per accelerare il processo di ammodernamento del settore del trasporto. In particolare, utilizziamo anche questa occasione per segnalare la necessità di verificare l'effettiva copertura delle esigenze del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese.
  Molte delle risorse allocate sono a valere sul Fondo per lo sviluppo e la coesione ed hanno un vincolo territoriale puntuale: l'80 per cento è destinato a imprese del Mezzogiorno e il 20 per cento a quelle del Centro-nord, mentre l'assorbimento del fondo vede percentuali pressoché invertite dal punto di vista geografico. I predetti vincoli di destinazione, pur in presenza di risorse aggiuntive, non ne garantiscono la capienza rispetto all'utilizzo effettivo.
  Riteniamo, quindi, che occorra allargare il perimetro dell'offerta di credito e finanza per micro e piccole imprese, operando per ammodernare la normativa dei Confidi, agevolare il processo di eliminazione dei non-performing loan (NPL) da parte delle banche e dei Confidi, che hanno garantito mediante l'utilizzo dei fondi di apporto, e intervenire per favorire il consolidamento dei debiti finanziari delle piccole e medie imprese.
  Riguardo al tema dell'energia, segnaliamo solo il fatto che paghiamo molto di più l'energia rispetto ad altri Paesi. Aggiungo una sollecitazione sul settore dell'autotrasporto di merci, nel quale sono penalizzate le offerte degli operatori nazionali rispetto ai competitors esterni sul fronte di alcuni costi operativi. L'urgenza di rispettare i più stringenti vincoli ambientali rende necessarie adeguate misure per ridurre il peso delle accise sul gasolio, accelerare il rinnovo del parco veicolare e ridurre i pedaggi autostradali.
  Quanto alle misure per il lavoro, l'inclusione sociale e la previdenza, R.ETE. Imprese Italia valuta positivamente la particolare attenzione che viene riservata nei Pag. 81confronti delle regioni del Mezzogiorno con la proroga dell'incentivo per il Mezzogiorno, che, cumulato con l'incentivo dell'occupazione giovanile di cui al «decreto dignità», consente il cento per cento dell'esonero contributivo.
  Segnaliamo, però, che, in analogia a quanto attualmente previsto con riferimento all'incentivo «occupazione Mezzogiorno», l'esonero deve trovare applicazione anche in caso di assunzione per contratto di apprendistato professionalizzante. Noi affermiamo che la riduzione strutturale del costo del lavoro con particolare riguardo al cuneo fiscale contributivo deve potersi applicare su tutto il territorio nazionale.
  Positivo l'intento del bonus occupazionale dei giovani d'eccellenza, riservato ai giovani neolaureati con il massimo dei voti o dottori di ricerca, ma di limitato impatto per incrementare l'occupazione giovanile.
  Continuiamo a ribadire la necessità di incentivare la diffusione del contratto di apprendistato. Per questo è necessario ripristinare lo sgravio contributivo totale delle imprese con meno di 9 dipendenti, che era in vigore fino al 2016 ed è stato uno strumento largamente utilizzato dalle imprese artigiane, del commercio e del turismo.
  Per quanto concerne l'istituzione del Fondo per il reddito di cittadinanza, in attesa di conoscere il campo di applicazione e le modalità dell'intervento, R.ETE. Imprese Italia evidenzia la necessità di introdurre un rigoroso sistema di controlli e di sanzioni, al fine di evitare che tale intervento possa alimentare il lavoro nero, che colpirebbe, in primo luogo, molte attività dell'artigianato, del commercio, del turismo e del terziario.
  Riflessione analoga va fatta nei confronti della pensione di cittadinanza, volta ad integrare le pensioni esistenti al valore della soglia fissata di 780 euro. Anche noi diciamo che ne andrebbe limitato rigorosamente il campo di applicazione a cause di assoluta indigenza. Si tratterebbe di pensioni di importo pressoché analogo a molte pensioni di lavoratori autonomi, che, però, sono frutto di anni di contribuzione, con il rischio di disincentivare il versamento dei contributi previdenziali, diventando, quindi, un rischio altissimo.
  R.ETE. Imprese Italia condivide la necessità di un rafforzamento dei centri per l'impiego anche in termini di riqualificazione del personale, e non può non sottolineare la necessità di valorizzare la cooperazione delle strutture pubbliche con quelle private, le agenzie per il lavoro, per organizzare e svolgere adeguatamente quelle attività di incrocio fra domanda e offerta di lavoro, orientamento, analisi del fabbisogno, formazione, che sono necessarie per consentire ai percettori del reddito di cittadinanza di trovare un lavoro.
  R.ETE. Imprese Italia chiede che nelle misure di politiche attive vada valorizzato il ruolo dei fondi interprofessionali, che rappresentano dei tasselli fondamentali nel processo di occupabilità del lavoratore.
  La riduzione del numero di ore dedicate ai percorsi di alternanza scuola/lavoro, specie per quanto riguarda i tecnici e i professionisti, appare andare nella direzione contraria all'esigenza di migliorare il rapporto tra scuola e sistema produttivo, così come preoccupano la limitazione dei fondi destinati ai percorsi. Non vorremmo che il cambio di denominazione, da cui scompare il riferimento al lavoro, indebolisca l'idea che possa essere forma di apprendimento.
  Riteniamo, infine, molto negativo che sia esclusa dal disegno di legge di bilancio una questione di grande rilievo per noi, che è relativa alla revisione e all'aggiornamento dei premi INAIL. Crediamo doveroso che la legge di bilancio assicuri la copertura finanziaria alla determina presidenziale INAIL del 2 ottobre 2018, concernente la revisione delle tariffe e dei premi dell'INAIL prevista dal 2014, per tener conto dell'andamento economico, finanziario e attuariale delle singole gestioni assicurative e della diminuzione, fortunatamente, del fenomeno infortunistico registrata dagli anni 2000.
  Bisogna, quindi, consentire la rapida emanazione del decreto necessario a dare avvio, già a partire dal 2019, a questa riforma, che le imprese attendono ormai da tanti anni, eliminando costi impropri che appesantiscono i bilanci delle imprese e sottraggono queste risorse agli investimenti Pag. 82 e allo sviluppo. Ringrazio tutti per l'attenzione, ovviamente siamo a disposizione, sia io come presidente, sia i colleghi tecnici qui presenti.

  PRESIDENTE. Grazie, presidente Vaccarino, per la sua relazione.
  Do la parola ai colleghi che desiderano intervenire.

  DANIELE PESCO. Ringrazio per la relazione perché è ricca di spunti, molti anche con costi limitati, quindi direi che la relazione è così completa che non lascia adito a dubbi, quindi vi ringraziamo per la presentazione.

  DANIELE VACCARINO, presidente di R.ETE. Imprese Italia. Grazie. R.ETE. Imprese Italia rimane a disposizione.

  PRESIDENTE. Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti dell'ABI.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio per il 2019-2021, l'audizione, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del Regolamento della Camera, di rappresentanti dell'ABI.
  Do la parola a Giovanni Sabatini, direttore generale dell'ABI.

  GIOVANNI SABATINI, direttore generale dell'ABI. Deputati e senatori, grazie anche a nome del presidente dell'ABI Antonio Patuelli e dell'associazione per l'invito a partecipare a questa audizione.
  Abbiamo depositato una memoria, pertanto mi limiterò, anche per motivi di tempo e per lasciare eventualmente spazio alle domande, a sottolineare soltanto i temi più rilevanti.
  L'Italia da vari decenni vede aumentare l'ammontare del proprio debito pubblico. Ciò impone emissioni crescenti di nuovi titoli sui mercati internazionali e nazionali, con costi altalenanti nel decennio scorso, ma che negli ultimi mesi sono risultati nuovamente in aumento. Ogni incremento del debito pubblico si è assommato e si assomma all'ingente quantità in essere, con riflessi sul presente e sull'avvenire, e con un aumento della percezione del rischio degli investitori e il progressivo peggioramento delle valutazioni delle agenzie di rating, come è anche avvenuto recentemente.
  Gli equilibri di bilancio dello Stato sono un valore di solidità attuale e prospettica, di credibilità internazionale della Repubblica, ben prima degli obblighi assunti con l'Europa. Nei decenni passati gli incrementi della spesa pubblica non hanno messo in moto proporzionati incrementi dello sviluppo e dell'occupazione che, invece, necessitano di investimenti dello Stato in infrastrutture e servizi pubblici e in incoraggiamento ai fattori produttivi dell'economia privata.
  La crescita potenziale della nostra economia è ancora molto contenuta, sensibilmente inferiore a quella degli altri Paesi europei. Dunque, promuovere la ripresa dell'economia italiana puntando sull'incremento della produttività e del suo potenziale di crescita, come indicato nella relazione del disegno di legge di bilancio, è determinante.
  Per quanto riguarda le misure previste per il mondo bancario, tendenzialmente esse rappresentano delle dilazioni in più anni dei crediti d'imposta maturati dalle banche in applicazione di normative nazionali e internazionali e tali provvedimenti drenano liquidità in maniera consistente e rappresentano un ulteriore sacrificio per le banche con impatti sul loro ruolo di sostegno all'economia, alle famiglie e alle imprese. Ciò in un contesto in cui, nonostante le evidenti difficoltà del quadro esterno, i prestiti bancari al settore privato, e non solo, non solo continuano a crescere – più 2,6 per cento è il tasso di crescita su base annua a settembre 2018 –, ma lo fanno anche con i tassi di interesse più bassi della storia d'Italia e fra i più bassi d'Europa.
  Ricordo che in base all'ultima rilevazione di settembre 2018, il tasso medio totale dei prestiti erogati era pari al 2,58 Pag. 83per cento quando il tasso a fine 2007, prima della crisi, era pari al 6,18 per cento.
  Il percorso positivo che sta caratterizzando la recente dinamica del settore bancario in Italia va accompagnato e non frenato. La forte riduzione dei crediti deteriorati e, in particolare, delle sofferenze nette ne è una prova evidente, con un più che dimezzamento negli ultimi tre anni. Indebolire le banche significherebbe anche indebolire i principali acquirenti di titoli di Stato italiani. Va, infatti, sottolineato che le banche continuano a detenere e sottoscrivere i titoli di Stato della Repubblica, nonostante il differenziale dei tassi, lo spread, che ne riduce il valore e, conseguentemente, il patrimonio delle banche stesse.
  Da questo punto di vista occorre essere pienamente consapevoli delle implicazioni derivanti dagli andamenti dello spread sui rendimenti dei titoli pubblici per i mercati, per i conti pubblici, per le banche, per le imprese e le famiglie.
  L'effetto delle variazioni dello spread, infatti, non si limita solo a eludere il valore del patrimonio di vigilanza delle banche, ma ne aumenta il costo della raccolta con il duplice effetto negativo di una minore disponibilità di erogare credito, quindi un effetto quantità, e di un maggior costo, un effetto prezzo.
  È dunque oggettivamente legittimo l'auspicio che nel dibattito parlamentare e nel confronto con le istituzioni europee prevalgano equilibrio e realismo per rafforzare una stabile ripresa economica, incentivando i fattori produttivi e l'occupazione, senza penalizzazioni per le banche, per rimuovere le incertezze e ridare fiducia, con l'effetto positivo di riportare il livello dello spread a valori più coerenti con i fondamentali dell'Italia.
  Occorre anche ricordare che le banche operano all'interno di un quadro internazionale e di regole definito dal Comitato di Basilea e in Europa nell'ambito dell'unione bancaria. In relazione a ciò, occorre che tutto il contesto normativo, anche fiscale, sia omogeneo nei diversi Paesi per evitare svantaggi e penalizzazioni.
  In questo contesto, la pressione fiscale sulle banche non può in alcun modo essere considerata, più di quanto non accada per altri comparti, una variabile indipendente, ma rappresenta un fattore che incide su tutta la catena produttiva delle imprese di ogni genere e delle famiglie.
  Da questo punto di vista, quindi, assumono una connotazione settoriale le previsioni degli articoli 83, 85 e 87, aventi ad oggetto, rispettivamente, il differimento della deduzione delle svalutazioni e perdite su crediti, quindi la rimodulazione delle deduzioni derivanti dalle imposte differite attive, la deducibilità delle perdite su crediti in sede di prima applicazione nel principio contabile IFRS 9 e la deducibilità delle quote di ammortamento del valore dell'avviamento e di altri beni immateriali.
  Le tre norme sono accomunate, quindi, dalla previsione di un meccanismo di rinvio nel tempo del recupero fiscale di poste negative che hanno già maturato i requisiti per la deducibilità secondo i criteri di competenza e, quindi, in sostanza, si impone alle banche di finanziare, attraverso la fiscalità, le esigenze erariali, dove poi l'onere per le banche si sostanzia, in questi casi, in un onere di natura finanziaria pari al costo della raccolta di fondi, a fronte di impieghi infruttiferi.
  Non entro nel dettaglio delle tre citate norme, ma ovviamente sono disponibile, poi, a rispondere alle eventuali domande. Vorrei, invece, soffermarmi un momento sulla nuova misura relativa agli utili reinvestiti di cui all'articolo 8 e alla contemporanea abrogazione dell'ACE, l'aiuto alla crescita economica, prevista dall'articolo 88.
  Da un lato, l'obiettivo della nuova agevolazione per gli utili reinvestiti è condivisibile, in quanto è mirato a stimolare gli investimenti in beni materiali e strumentali e in occupazione e, quindi, la riduzione della tassazione di nove punti percentuali, rispetto all'aliquota ordinaria del 24 per cento, quando gli utili siano accantonati nel rispetto di precisi criteri e condizioni.
  Tuttavia, a fronte di questa misura, si contrappone la rimozione della disciplina relativa all'aiuto alla crescita economica che, invece, premia la capitalizzazione delle imprese attraverso la deduzione dal reddito Pag. 84 imponibile netto di un importo pari al rendimento figurativo degli incrementi di capitale calcolato secondo coefficienti prestabiliti.
  Se, da un lato, le piccole e medie imprese hanno dato prova di grande capacità adattativa al mercato e flessibilità organizzativa, ciò che, invece, a loro manca è un'adeguata patrimonializzazione, che determina la loro solidità e, quindi, la capacità a resistere alle fasi avverse del ciclo.
  Da un lato, l'imprenditore dovrebbe essere giustamente lasciato libero di operare secondo le dimensioni di impresa che lui riconosce come ottimali, ma rimane pressante l'esigenza di sostenere, anche fiscalmente, le scelte che conducano a una equilibrata struttura finanziaria dell'impresa. È in questa logica che opera – e ha ben operato – l'ACE, in quanto rimuove il vantaggio fiscale, o comunque mitiga il vantaggio fiscale, del debito ammettendo in deduzione, da un punto di vista fiscale, il costo figurativo del finanziamento effettuato con capitale proprio.
  Anche la natura di agevolazione che opera su base incrementale rende l'ACE una misura particolarmente efficace nel lungo periodo e, perciò, consente di operare su orizzonti più ampi che possono portare poi ad avere un tessuto industriale più solido. Inoltre, è stata una misura anche di facile applicazione e, quindi, anche il cambiamento di impostazione può non essere ottimale. Da questo punto di vista, quindi, chiederemmo al Parlamento e al Governo di svolgere un'ulteriore approfondita valutazione sull'opportunità di ripristino dell'ACE.
  Per quanto riguarda le misure di stimolo agli investimenti, l'articolo 10 provvede alla proroga e alla rimodulazione della disciplina di maggiorazione dell'ammortamento, l'iperammortamento, una normativa che ha dimostrato elevate potenzialità, sfruttate positivamente da molte imprese, ma che potrebbe essere più utilmente utilizzata dall'impresa se stabilizzata temporalmente e anche nelle sue caratteristiche.
  Rispetto a questa misura, poi, rimane irrisolto il tema già rilevato a suo tempo della settorialità che caratterizza l'agevolazione, la cui spettanza è condizionata all'individuazione di beni ad alto contenuto tecnologico, come elencati in un'apposita tabella, e ciò, di fatto, porta a escludere dall'accesso all'iperammortamento alcuni settori, tra cui quello bancario, che, invece, è caratterizzato da un costante, necessitato e inarrestabile processo di innovazione tecnologica.
  Analogo auspicio va formulato anche con riferimento alla previsione dell'articolo 13, che reca le modifiche alla disciplina del credito di imposta per attività di ricerca e sviluppo. Anche in questo caso, la necessità di un'adeguata programmazione nel tempo non si concilia con la necessità di confrontarsi con un'agevolazione a scadenza, a tempo, e che, quindi, non consente di effettuare quegli investimenti in ricerca e sviluppo che, di nuovo, guardano a orizzonti temporali nel medio e lungo periodo.
  Vado velocemente avanti per ricordare che nel luglio 2017 era venuta a cessare l'efficacia della speciale disciplina fiscale per i trasferimenti immobiliari nell'ambito delle vendite giudiziarie, introdotta dal decreto-legge n. 18 del 2016 e poi modificata dalla legge di bilancio 2017. Questa disciplina aveva dato prova di potenzialità positive rimaste solo in parte sfruttate, contribuendo, comunque, a una accelerazione delle misure per ridurre i tempi della giustizia civile, in particolare per quello che riguarda le esecuzioni immobiliari.
  Vado a concludere. Un tema che di nuovo è rimasto molto importante per le banche, in merito al processo di riduzione dei crediti deteriorati e, in particolare, delle sofferenze, è quello legato alle garanzie offerte dallo Stato, a titolo oneroso per le banche, sulle operazioni di cartolarizzazione delle sofferenze.
  Proprio in questi giorni il Governo, d'intesa con la Commissione europea, ha prorogato la disponibilità di questo strumento fino al 6 marzo 2019, che era il termine inizialmente previsto dalla legge che aveva istituito queste garanzie. Sarebbe fortemente auspicabile, per non interrompere questo processo virtuoso, estendere, attraverso un nuovo provvedimento legislativo, per almeno altri due anni la garanzia dello Pag. 85Stato sulle operazioni di cartolarizzazione dei crediti deteriorati, ampliandone anche il raggio d'azione per comprendere anche le operazioni relative ai crediti rientranti nella categoria delle insolvenze probabili.
  Tale misura, sempre e comunque onerosa per le banche, da un lato, consentirebbe di mantenere un importante strumento per facilitare lo smaltimento e dello stock residuo di crediti deteriorati, e allo stesso tempo fornirebbe ulteriore gettito per l'erario, essendo la garanzia, come dicevo, concessa a fronte del pagamento di una commissione a prezzi di mercato a carico di quelle banche che decidessero di farvi ricorso.
  Concludo qui, restando ovviamente disponibile a rispondere alle vostre domande.

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  SILVANA ANDREINA COMAROLI. Vorrei porre una domanda. In una delle precedenti audizioni è stata evidenziata la possibilità di far sì che una quota parte dei Piani individuali di risparmio (PIR) possa essere investita in società non quotate, in modo particolare in riferimento alle piccole e medie imprese. Questo fattore potrebbe dare un impulso alle nostre imprese. Volevo sapere cosa ne pensate di questo aspetto.
  Se mi è consentito, vorrei porre un'altra domanda. Sono stati condotti recentemente, lo sappiamo tutti, gli stress test sulle banche. Anche in riferimento a questo, vorrei una sua considerazione.

  DANIELE PESCO. Pongo una domanda anch'io, riferita all'ultimo punto che ha esaminato, quello relativo alle garanzie sulla cartolarizzazione delle sofferenze (GACS).
  Le banche, con le GACS che ci sono state fino a oggi, hanno pagato tanto sia il canone dovuto per questa garanzia pubblica sia per il fatto che i crediti cartolarizzati vengono venduti a percentuali alquanto basse.
  Non potrebbe essere utile valutare un'ipotesi di una garanzia simile alle GACS, però non più a vantaggio dei fondi che cartolarizzano, ma a vantaggio di coloro che sono indebitati e hanno ancora una capacità di reddito utile per pagare il debito che hanno prodotto?
  Mi chiedevo se può essere auspicabile valutare un'ipotesi di una GACS alternativa, magari coinvolgendo anche altri attori del nostro panorama commerciale finanziario, non solamente quello pubblico.

  PRESIDENTE. Do la parola al dottor Sabatini per la replica.

  GIOVANNI SABATINI, direttore generale dell'ABI. Con riferimento alle due domande dell'onorevole Comaroli, per quello che riguarda i PIR, sicuramente questo è un tema che rientra nella necessità di rafforzare il capitale delle piccole e medie imprese.
  Ci sono anche altre disposizioni che non ho commentato, che comunque vanno in questa direzione, perché prevedono anche la possibilità di intervento di operatori specializzati e, quindi, operazioni di venture capital, proprio per cercare di aiutare a far crescere dimensionalmente, attraverso una maggiore patrimonializzazione, le piccole e medie imprese.
  In merito al tema dei PIR, è prioritario individuare uno strumento che lasci adeguata flessibilità, ma occorre tenere anche conto che, comunque, questo è uno strumento che può essere offerto anche agli investitori al dettaglio, e quindi, ovviamente, anche l'investimento in titoli non quotati comporta un livello di rischio sicuramente maggiore.
  Quindi, nella definizione di eventuali misure che riguardano i PIR l'attenzione andrebbe posta su dove collocare queste due esigenze, sicuramente entrambe meritevoli di tutela, cioè, da un lato, strumenti per ricapitalizzare le imprese e, dall'altro, garantire anche l'investitore retail, l'investitore al dettaglio, il risparmiatore dal non fare investimenti che siano eccessivamente rischiosi rispetto al suo profilo.
  Forse questa misura va valutata in un contesto più ampio di tutti gli strumenti volti a ricapitalizzare le imprese e, quindi, Pag. 86anche a favorire in Italia un maggior sviluppo di soggetti investitori specializzati, che partono dal business angel al venture capital, al private equity e quant'altro.
  Per quello che riguarda gli stress test, premesso che, ovviamente, l'associazione non è un'autorità di vigilanza, guardando i dati, quindi sia i risultati che sono stati resi pubblici rispetto alle quattro banche che hanno partecipato all'esercizio della European Banking Authority (EBA), ma anche guardando, al livello complessivo, il processo di rafforzamento del patrimonio, ci sembra di poter dire che le banche italiane hanno fatto un grandissimo progresso in termini di rafforzamento da un punto di vista patrimoniale. Vado a memoria. Prima della crisi, in media, l'indicatore di patrimonializzazione – devo usare l'acronimo CET 1 – era tra il 7 e l'8 per cento in media. Oggi siamo oltre il 13 per cento e, quindi, è quasi raddoppiato, con un imponente sforzo anche di aumenti di capitale sottoscritti da privati e nonostante gli accantonamenti derivanti dal fardello dei crediti deteriorati, che ogni anno hanno pesato e inciso sulla redditività del settore.
  Per quello che riguarda l'ipotesi formulata dal presidente Pesco, credo che ogni ipotesi che possa aiutare il processo di dismissione dei crediti deteriorati e anche garantire delle condizioni migliori sia per il creditore sia per il debitore possano essere valutate.
  In questo contesto, non conoscendo adesso i dettagli di una proposta, c'è la massima disponibilità a svolgere un esame e a fornire le nostre valutazioni, se richieste.

  PRESIDENTE. Ringrazio il direttore Sabatini e la delegazione presente.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti dell'ANCE e di Confedilizia.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio per il 2019-2021, l'audizione, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del Regolamento della Camera, di rappresentanti dell'ANCE e di Confedilizia.
  Do la parola al presidente dell'ANCE, Gabriele Buia.

  GABRIELE BUIA, presidente dell'ANCE. Grazie, presidente. Ringrazio le Commissioni bilancio di Camera e Senato per aver dato all'ANCE la possibilità di esprimere il proprio parere sul disegno di legge di bilancio.
  La manovra di finanza pubblica per il 2019 si basa su un consistente effetto di crescita economica, in grado di spingere il prodotto interno lordo, già nel corso del 2019, all'1,5 per cento, con un effetto aggiuntivo di 0,5 punti percentuali rispetto all'andamento tendenziale. In questo scenario un ruolo decisivo viene attribuito al rilancio degli investimenti pubblici e, tra questi, agli investimenti infrastrutturali, che diventano una condizione necessaria per il rispetto delle previsioni di Governo.
  In valori assoluti si tratta di circa 15 miliardi di euro di investimenti pubblici aggiuntivi previsti nei prossimi tre anni, dei quali 3,5 miliardi già nel 2019. Le maggiori risorse destinate agli investimenti stimati per il 2019 si sommerebbero ai quasi 2 miliardi di euro di investimenti già previsti a legislazione vigente, per un totale di oltre 5 miliardi di euro per investimenti aggiuntivi nel 2019 rispetto al 2018.
  Se questa attesa venisse confermata, il 2019 registrerebbe una vera e propria inversione di tendenza: più 15 per cento di investimenti pubblici, dopo un meno 5 per cento nel 2017 e un meno 2 per cento nel 2018. Si tratta di una vera e propria svolta su cui si regge l'intero equilibrio del bilancio dello Stato nel 2019.
  Allo stato attuale, stanti così le procedure, questi obiettivi sono irrealizzabili. Le risorse stanziate, indispensabili per il nostro Paese, sono destinate a rimanere mere postazioni contabili e non produrranno alcun effetto in termini di spesa effettiva, perché si scontreranno con procedure che bloccano la realizzazione di qualsiasi iniziativa, seppur finanziata e lodevole. È la conseguenza di anni di stratificazioni, incrostazioni normative e procedurali, che Pag. 87occorre superare con un'incisiva azione di semplificazione e di accelerazione.
  Per raggiungere l'obiettivo è assolutamente necessario inserire nella legge di bilancio misure di forte impatto, che consentono fin dai primi mesi del 2019 di trasformare le risorse in cantieri sul territorio. Al riguardo, l'ANCE ha già individuato alcune proposte che dovrebbero essere inserite nella legge di bilancio o in un provvedimento urgente ad essa collegato.
  Innanzitutto, occorre seguire la logica adottata in Spagna a novembre del 2008, nell'ambito del «Plan E» per il rilancio dell'economia, che ha permesso la spesa effettiva di 8 miliardi di euro aggiuntivi nel 2009 e di altri 5 miliardi nel 2010 come fase urgente di attuazione di un più vasto piano di rilancio infrastrutturale. Per spesa effettiva intendiamo i SAL, ossia l'effettiva certificazione di spesa avvenuta (questa è la grande dirimente su cui dobbiamo concentrarci).
  Il piano ha consentito l'appalto di lavori in tre mesi e mezzo per 30.800 cantieri. Dopo un anno in Spagna sono riusciti a spendere, con SAL, 5 miliardi e 700 milioni di euro. Quindi in un anno sono riusciti ad ottimizzare questo obiettivo. In attesa della prima efficacia di InvestItalia e della centrale per la progettazione, bisogna intervenire subito con snellimenti procedurali per l'avvio dei cantieri.
  La piena efficacia delle nuove strutture istituite, infatti, richiederà tempi medio-lunghi e un quadro di governance che escluda sovrapposizioni e conflitti di competenze in grado di bloccarne l'efficacia.
  Per velocizzare le fasi di affidamento delle gare per lavori pubblici dobbiamo subito utilizzare strumenti trasparenti e rapidi, come l'esclusione automatica delle offerte anomale fino alla soglia comunitaria laddove non vi sia complessità tecnologica. Inoltre, le stazioni appaltanti dovrebbero poter ricorrere ad appalti integrati sulla base di progetto definitivo dell'amministrazione aggiudicatrice. Queste ultime proposte, peraltro, sono state condivise anche con l'Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI).
  Occorre intervenire sui vari passaggi in sede di CIPE, quelli successivi all'approvazione del documento pluriennale di pianificazione, riconducendo il Comitato all'originale funzione solo programmatoria. Occorre innalzare da 50 a 200 milioni di euro la soglia per il parere obbligatorio da parte del Consiglio superiore dei lavori pubblici. Occorre eliminare le inutili duplicazioni di passaggi decisionali fra i vari Ministeri. Occorre razionalizzare tutte le attività di controllo della Corte dei conti, al fine di concentrarne l'azione sull'attività di programmazione iniziale e, successivamente, sull'operato delle amministrazioni, come avviene in altri Paesi europei.
  Senza queste semplificazioni la pur importante iniezione di risorse prevista dal disegno di legge di bilancio lascia poco spazio a valutazioni ottimistiche. Allo stesso modo, le fondamentali misure di finanza pubblica per gli enti territoriali che offrono una maggiore capacità di spesa rischiano di non produrre effetti, se non verranno indirizzate e concretamente utilizzate per le opere pubbliche necessarie ai territori.
  Sono tre anni che l'ANCE accoglie con favore le manovre di finanza pubblica, che immancabilmente intendevano sostenere la crescita economica attraverso il rilancio degli investimenti pubblici, e sono però tre anni che l'associazione, a consuntivo, denuncia i livelli assolutamente deludenti dei dati di fine anno. Negli ultimi tre anni il gap fra mito, cioè la previsione, e la realtà, il risultato finale, ammonta a circa 10 miliardi di euro in meno. Se non si terrà conto dei fallimenti del passato, la manovra per il 2019 e le sue previsioni sul PIL sono destinate a fallire.
  Oltre al rilancio degli investimenti pubblici, nella manovra deve trovare spazio l'eliminazione dello split payment, un meccanismo perverso che colpisce le imprese di costruzione. L'aumento esponenziale del credito IVA che ne deriva impone alle imprese del settore una pesante perdita di liquidità, stimata in 2,4 miliardi di euro l'anno, che con l'obbligo della fatturazione elettronica perde la sua ragion d'essere ai fini di un adeguato contrasto all'evasione IVA. Pag. 88
  Allo stesso tempo riteniamo ormai improrogabile l'introduzione di strumenti volti alla riduzione del cuneo fiscale e contributivo del settore edilizio, per contrastare l'ormai dilagante fenomeno del dumping contrattuale. Molte imprese infatti, applicando contratti collettivi diversi, che nulla hanno a che vedere con l'attività del settore edile, attuano una concorrenza sleale nei confronti delle imprese regolari. Un primo passo nella direzione auspicata sarebbe la riduzione del contributo per la cassa integrazione ordinaria dal 4,70 al 4 per cento, tenendo conto che la gestione dell'istituto nel nostro settore ha generato un avanzo complessivo di circa 4 miliardi di euro nell'ultimo decennio.
  L'ANCE ritiene, infine, fondamentale per il rilancio del settore favorire i processi di rigenerazione delle città. A tal fine, nella legge di bilancio dovrebbero trovare accoglimento misure da tempo auspicate dall'associazione, dirette a favorire la sostituzione edilizia e la permuta tra vecchi edifici e fabbricati con caratteristiche energetiche e strutturali completamente rinnovate.
  Ciò riconoscendo contemporaneamente un regime fiscale agevolato a favore dell'impresa che acquisti il vecchio fabbricato per demolirlo, ricostruirlo e reimmetterlo sul mercato con caratteristiche completamente rinnovate, un meccanismo di premialità a favore dell'acquirente delle singole abitazioni, facendo parte di edifici interamente riqualificati, in tema di incentivi eco e sisma bonus la rimodulazione dei limiti di spesa per edifici non residenziali di grandi dimensioni, per i quali non può essere sufficiente il tetto riservato alla singola unità immobiliare.
  Il collasso del sistema infrastrutturale italiano, reso evidente dalle continue emergenze che colpiscono il territorio e le reti, va di pari passo con il collasso del settore delle costruzioni, che ha dimezzato i livelli produttivi nell'ultimo decennio, con la fuoriuscita di 600.000 occupati e oltre 120.000 imprese. La fuoriuscita di 600.000 occupati rappresenta molto più di qualsiasi altra crisi occupazionale denunciata negli ultimi anni, e nessuno ha detto niente, nessuno ha preso posizioni in maniera concreta su queste tematiche. Si tratta di una crisi che ha determinato enormi tensioni finanziarie per molte imprese sopravvissute, molte delle quali manifestano difficoltà nel rimborso dei finanziamenti alle banche creditrici, che nello stesso tempo sono spinte dalla nuova regolamentazione europea lontano dal settore.
  Sarebbe, pertanto, opportuno un fondo che garantisca le banche nell'operazione di rinegoziazione delle imprese in difficoltà e consenta il rilancio degli asset immobiliari coinvolti anziché la loro svendita. La ripresa dell'economia sarà solida e concreta solo con la ripresa del settore delle costruzioni. Con l'apporto dell'edilizia collegata con il 90 per cento dei settori economici l'economia potrebbe crescere dello 0,5 per cento in più ogni anno, come ho detto in premessa.
  Nel documento che deposito agli atti delle Commissioni sono riportate le valutazioni puntuali sulle principali misure contenute nel disegno di legge di bilancio d'interesse per il settore delle costruzioni. Si tratta, nella maggior parte dei casi, di giudizi positivi con riferimento alle singole disposizioni, che tuttavia potranno produrre gli effetti stimati solo se, a monte, verrà chiaramente attuata una strategia di accelerazione delle decisioni di spesa.
  Lo stesso documento ANCE contiene numerose proposte da tempo avanzate, che avrebbero un impatto espansivo sull'attività delle imprese di costruzioni e sulla stessa economia italiana, proposte che al momento non hanno trovato ancora accoglimento nella manovra.

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ANDREA MANDELLI. Grazie, presidente. Ho ascoltato con molta attenzione la sua relazione, che è stata molto chiara, quindi credo che più chiaro di così non ci si possa esprimere. Vorrei un vostro parere sulla centrale unica di progettazione per le opere pubbliche, che sta indubbiamente agitando il dibattito di queste ore tra gli addetti ai lavori di questo comparto. Quindi, vorrei conoscere la vostra opinione.

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  GABRIELE BUIA, presidente dell'ANCE. Attualmente le previsioni vedono la creazione di tre strutture: una centrale di progettazione, una cabina di regia e una task force. La sedimentazione dei tre istituti ci preoccupa, come ho detto nella relazione, perché la nostra paura è che senza definizione di competenze si rischi di creare una frammentazione, portando all'interruzione delle fasi decisionali senza sapere chi fa cosa.
  La centrale di progettazione può essere utile, specialmente per quelle autonomie locali e quei territori che non sono in grado di esprimere una progettazione concreta e sviluppare i lavori. Infatti, alla fine si arriva sempre in ritardo, anche nell'impiego di risorse, perché i progetti non sono mai pronti. Se, con misure precise, finalizzate giustamente ad ottemperare alle emergenze e a predisporre i lavori per investimenti futuri, ci fosse una certa programmazione – non c'è ancora chiarezza su questa centrale, quindi per formulare un giudizio definitivo dobbiamo attendere di capire esattamente come sarà strutturata –, la centrale di progettazione potrebbe dare un aiuto, purché strutturata come deve e ben codificata.
  Ci sono dei territori scoperti fortemente in difficoltà, pertanto credo che un aiuto lo possa dare, però – ripeto – deve essere ben programmata, altrimenti rischia di essere un ulteriore carrozzone.

  PRESIDENTE. Se non ci sono altre richieste di intervento, ringraziamo il presidente Buia per la sua relazione e tutti gli spunti e procediamo con l'audizione del presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa.

  GIORGIO SPAZIANI TESTA, presidente di Confedilizia. Grazie, presidente. Ringrazio le Commissioni bilancio di Camera e Senato per questa audizione. Abbiamo depositato presso le due Commissioni un documento che si suddivide in tre parti e che proverò a riassumere brevemente.
  La prima parte è costituita da considerazioni generali, soprattutto sulla situazione del settore immobiliare, la seconda parte contiene qualche nostra osservazione sulle misure di nostro interesse (poche) presenti nel disegno di legge di bilancio, la terza contiene alcune selezionatissime proposte integrative che Confedilizia pone all'attenzione delle Commissioni e del Parlamento tutto. Infine, vi sono delle tabelle che illustrano, da un lato, la situazione del mercato immobiliare in termini di costante riduzione dei prezzi, attraverso dei dati di Eurostat, e, dall'altro, il livello attuale e la composizione della tassazione sugli immobili.
  Faccio un breve cenno alla prima parte, che rappresenta la nostra considerazione generale sullo stato del settore immobiliare. Si tratta di uno stato di difficoltà che prosegue, che è testimoniato dalle tabelle alle quali accennavo poco fa, le quali ci dicono che in campo europeo, nell'ambito dei Paesi considerati da Eurostat, l'Italia è, di fatto, l'unico grande e importante Paese per il quale (lo si vede dalla sequenza dal 2012 ad oggi) il calo dei prezzi degli immobili, la deflazione immobiliare continua a manifestarsi senza alcuna interruzione.
  Ciò si aggiunge naturalmente ad altri effetti negativi della situazione del comparto. Il numero delle compravendite è in costante recupero, ma questo recupero non fa assolutamente ben sperare e non deve assolutamente essere visto come un fattore positivo, perché si tratta, combinato con il continuo calo dei prezzi, di un recupero dato naturalmente da compravendite al ribasso di immobili soprattutto abitativi.
  La situazione generale è quella di una crisi che continua ed ha effetti di vario tipo. Un effetto è quello sui consumi, perché nel tempo si è creato quell'effetto ricchezza al contrario, che da tante parti viene considerato giustamente quando si parla degli effetti dello spread o di altre movimentazioni finanziarie sul mercato, quindi gli effetti sui consumatori della perdita di ricchezza o della consapevolezza della perdita di ricchezza, ma mai o raramente viene considerato con riferimento all'immobiliare. Esiste anche con riferimento all'immobiliare ed è molto forte, cioè la consapevolezza della perdita di valore del proprio investimento in immobili, persino della Pag. 90prima casa, come riconoscono anche studi di economisti soprattutto degli Stati Uniti, crea un effetto ricchezza al contrario, cioè una diminuzione dei consumi.
  In Italia l'hanno riconosciuto (lo dico a titolo quasi di curiosità, visti poi i contenuti del disegno di legge di bilancio) due Ministri importanti di questo Governo. Infatti, in passato il Ministro Tria e il Ministro Savona, unici o quasi nel panorama degli economisti italiani, hanno rilevato le conseguenze negative soprattutto da questo punto di vista dell'eccesso di tassazione sugli immobili, in particolare di tipo patrimoniale (riportiamo nel documento alcune loro frasi).
  Gli effetti però sono negativi anche sull'edilizia e sull'economia ad essa collegata, in termini di chiusura di imprese e di posti di lavoro, sulle future dismissioni immobiliari, possibili o realizzate. Se si immette sul mercato un quantitativo di immobili pubblici, come è sperabile anche che accada in linea generale, è chiaro che tutto questo non va a cadere in un mondo vuoto, ma va a cadere in un mondo, quello del mercato immobiliare, che risente di un eccesso di offerta e, quindi, di prezzi in caduta.
  Ci sono effetti sulle garanzie in capo alle banche, sappiamo quanto sia importante il problema delle garanzie bancarie costituite in massima parte da immobili, se questo valore continua a mancare gli effetti sono evidenti a tutti.
  Ho riassunto brevemente tutto ciò per arrivare alle considerazioni di merito riguardanti la manovra. Quella generale, alla luce anche di quello che ho detto finora, è una considerazione che ci porta a dire che in presenza di un intervento di così enorme portata dal punto di vista dell'entità della manovra, per effetto del noto intervento di scelta del Governo sul deficit, da parte nostra si auspicava che questo investimento nell'eccesso di deficit potesse essere utilizzato molto, da un lato, in generale nel campo della riduzione delle imposte e, quindi, dello stimolo alla crescita, dall'altro, in particolare, nel tentativo di risolvere il problema dell'eccesso di tassazione di tipo soprattutto patrimoniale nell'immobiliare.
  Questo non è stato fatto. Questa manovra, della quale non ci scandalizza il dato relativo alla scelta sul deficit, ma ci preoccupa invece l'eccesso di concentrazione sull'aumento di un tipo di spesa difficilmente foriero di crescita, interviene sul settore immobiliare da due punti di vista: prevede un avvio della cedolare secca sulle locazioni immobiliari commerciali e una misura sugli incentivi fiscali agli interventi sugli immobili.
  Sulla cedolare secca è inutile che sottolinei (l'abbiamo detto in questa sede tante volte) che la cedolare secca sugli affitti commerciali, sulle locazioni di immobili in generale diverse dall'abitativo, è una battaglia storica di Confedilizia, quindi non possiamo, anche con riferimento alle altre forze parlamentari presenti, non valutare positivamente e apprezzare, intanto, la presa di coscienza da parte del Governo di un problema enorme che esiste, che è quello della diffusione sempre più estesa dei locali commerciali sfitti, quindi di immobili in situazioni di abbandono che in tutta Italia chiunque di noi può vedere moltiplicarsi.
  La presa di coscienza è importante ed è importante anche la scelta di intervenire attraverso la cedolare secca, insoddisfacente, però, è il modo con il quale si è fatto. La scelta che si è presa è stata, da un lato, quella di non intervenire su tutto il settore delle locazioni ad uso diverso dall'abitativo e questo è il primo limite. Da un altro lato, nel campo delle locazioni specifiche di negozi e botteghe, come si esprime il Catasto, quindi di immobili C1, oltre a questa limitazione che può essere comunque giustificata dalla concentrazione sul tema dei locali commerciali più noti a tutti perché su strada, si è scelto, però, di limitare la nuova misura ai nuovi contratti.
  Anche in questo caso da parte nostra certamente la scelta non viene condivisa, ma se si ipotizza un impegno così blando dal punto di vista della riduzione della fiscalità e, in particolare, dal punto di vista della riduzione della fiscalità sul tema degli immobili commerciali locati, si può accettare l'idea che si parli di nuovi contratti di Pag. 91locazione. Quello che non si può ritenere assolutamente condivisibile è che, con una ulteriore limitazione, il Governo ha stabilito che la nuova misura si applichi non già ai contratti di locazione stipulati a partire dall'anno 2019, ma solo per i contratti stipulati nell'anno 2019. Così si esprime il disegno di legge e purtroppo riteniamo non per un refuso, ma per una scelta precisa.
  Limitare quindi alla stipula dei contratti nel solo anno 2019 questa misura agevolativa rischia – anzi, è certamente così – di reprimere nel nascere tutti gli intenti che si avevano, cioè quelli di reimmettere sul mercato immobili abbandonati, lasciati andare non per colpa di qualcuno, ma per situazioni di mercato date anche dalla forte fiscalità.
  Qui bisogna fare una riflessione, brevissima ma occorre farla. Un intervento fiscale sul trattamento del reddito da locazione in questo caso di immobili commerciali non è come un intervento su un'aliquota IVA di un bene di consumo che si va a comperare – perdonate la semplificazione – al mercato o al supermercato. Infatti, se dal 2 gennaio si diminuisce l'aliquota IVA sulle melanzane, si acquistano le melanzane ad un prezzo presumibilmente inferiore. Se, però, dal 2 gennaio si riduce opzionalmente la tassazione sugli immobili locati a canone commerciale, non è pensabile che dal 2 gennaio si verifichi qualcosa, non si verificherà nulla perché questi contratti potranno essere stipulati molto in là nel tempo, ad anno ampiamente avanzato.
  Sarà, infatti, necessario rinvenire un conduttore, un inquilino, quindi un operatore commerciale potenziale, bisognerà iniziare con lui una trattativa, passeranno quindi mesi, bisognerà poi fare degli interventi sugli immobili perché si tratta di immobili molto spesso rimasti in stato di abbandono, per i quali è necessario intervenire con ristrutturazione. Bisognerà adattarli anche alla tipologia di attività commerciale che sarà svolta. Quindi, questa misura, se la definitiva formulazione sarà questa, si applicherebbe forse alla fine dell'anno a qualche contratto che sarà stipulato. È, quindi, assolutamente necessario che l'espressione «nel 2019» venga sostituita dall'espressione «dal 2019» al minimo, se naturalmente non ci sarà uno scatto di orgoglio o di coraggio da parte del Parlamento e del Governo per estendere più ampiamente questa misura ai contratti in essere o estenderla anche dal punto di vista delle tipologie di immobili.
  Teniamo presente che la relazione tecnica stima in circa 150 milioni di euro l'anno l'onere finanziario di questa misura, sulla base di un calcolo che è necessariamente quello che ci aspettiamo, ma che non considera minimamente ciò che accadrà se si prevede la misura solo nel 2019, anziché dal 2019.
  Se nasceranno nuove attività commerciali in nuovi immobili in locazione, evidentemente crescerà sia il reddito da locazione dato dalla nuova cedolare, sia il reddito generato da queste attività commerciali, l'IVA conseguente, l'IRAP e il PIL, che si modificherà al rialzo, quindi quel calcolo meramente matematico di entrate e uscite, effettuato sulla base dei nuovi contratti relativi al 2016, andrebbe ad essere assorbito e probabilmente porterebbe in positivo il bilancio per lo Stato.
  Confidiamo, quindi, assolutamente che venga rimosso questo piccolo o grande vulnus. Così come potrebbero essere riviste anche altre limitazioni, come ad esempio quella dei 600 metri quadri di grandezza dell'immobile, non tanto per la misura, 600 o 500 (spesso gli immobili sono piccoli), quanto per il fatto che queste misure di semplificazione hanno bisogno di semplicità e di immediatezza. Quando fu introdotta la cedolare sugli affitti abitativi, il primo anno l'applicarono in pochissimi perché non fu compresa completamente mentre c'è bisogno di spiegazioni e di tempo.
  Inoltre, noi proponiamo una formulazione alternativa al fine di evitare problemi che si potrebbero creare in via interpretativa qualora, per esempio, venisse considerata applicabile la norma valevole per la cedolare per gli affitti abitativi, che prevede il divieto di aggiornamento del canone. Questo per gli affitti non abitativi sarebbe improponibile, perché si tratta di contratti obbligatoriamente di 12 anni, con l'intervento Pag. 92 anche delle indennità di avviamento commerciale al termine del contratto, e l'effetto sarebbe di contratti con il medesimo canone a vita.
  Lancio un allarme su ciò che non c'è nel disegno di legge di bilancio: non c'è il blocco dei tributi locali di cui si è parlato in altre audizioni oggi. Noi siamo molto preoccupati da questo, non perché non ci debba essere autonomia per gli enti locali dal punto di vista tributario, ma perché nella situazione data, nella quale gran parte delle entrate degli enti locali, in particolare dei comuni, è data dalle imposte sugli immobili, in assenza di interventi strutturali sulla tassazione immobiliare, non si può consentire agli enti locali di intervenire nuovamente, cosa che accadrebbe facilmente al rialzo sugli immobili.
  Apprezziamo, invece, l'assenza – speriamo non faccia capolino nella legge di bilancio in corso d'opera – della possibilità di aumento delle aliquote, che per alcuni grandi comuni è stata dello 0,8 per mille e che negli ultimi tre anni era stata, a nostro avviso, illegittimamente inserita.
  In questo quadro – passo a un punto che arriverebbe dopo –, sia in questa audizione sia in altre, abbiamo ascoltato l'ANCI e siamo anche noi favorevoli alla semplificazione; non siamo affatto favorevoli ad una unificazione di IMU e TASI pura e semplice, soprattutto nei termini nei quali la propone l'ANCI, che nasconde tra le pieghe (lo dico con il sorriso) anche un aumento delle aliquote.
  Se si deve intervenire sulla tassazione immobiliare locale, si deve provvedere, a nostro avviso, attraverso un intervento serio, corposo, strutturale, che porti – questa è la nostra proposta – ad una vera e propria tassa sui servizi, cioè un tributo legato ai benefici che gli immobili possono trarre dagli enti locali, e non una mera doppia patrimoniale, come succede attualmente.
  Torno un momento indietro, ma vado ancora più veloce, e ricordo che negli interventi programmatici del Vicepresidente del Consiglio Salvini, a proposito di immobili commerciali, c'era anche l'eliminazione dell'IMU sui negozi sfitti. Il problema è quello di cui parlavo prima, quindi non lo denuncio di nuovo, ricordo e metto agli atti questo impegno preso, perché se ne tenga conto in sede parlamentare.
  Sugli incentivi fiscali per gli interventi sugli immobili, effettuiamo alcune valutazioni tecniche che non sto qui a dettagliare, ma che, apprezzando l'intervento di proroga di un anno, ma auspicando che la proroga sia fatta per almeno un triennio, al fine di programmare gli interventi, consentirebbero di migliorare alcuni aspetti, per esempio, con riguardo alla cessione del credito.
  Torno al tema della cedolare secca per parlare di quella abitativa. Serve stabilizzare quella sugli immobili affittati a canoni calmierati; c'è un enorme problema sociale che si creerebbe se ciò non venisse fatto. L'aliquota del 10 per cento su questi contratti scade alla fine del 2019 e questa misura è richiesta anche dai sindacati degli inquilini. Non c'è motivo di prorogarla di anno in anno e poi di non stabilizzarla o comunque farla per un limite più ampio, perché i contratti durano cinque anni.
  Questa misura, se viene prorogata di anno in anno, non ha l'effetto che vorrebbe avere, perché il proprietario conclude il contratto per cinque anni, quindi, se non si fida del legislatore, lo conclude con canone libero, a tutto svantaggio degli inquilini.
  Mi fermo qui e sono a disposizione per eventuali domande.

  PRESIDENTE. Grazie, presidente, per la chiarezza del suo intervento. Abbiamo capito tutto sulla cedolare secca.
  Do la parola ai colleghi che desiderano intervenire.

  ANDREA MANDELLI. Grazie, presidente. Direi che a lei questa questione della cedolare secca sembra un po’ timida, se non ho capito male: ovviamente sto scherzando. Sicuramente abbiamo capito perché è un tema che anche Forza Italia ha portato avanti con molta efficacia, quindi concordo con la lamentela sulla timidezza. Le pongo tre domande secche e molto rapide.
  Vorrei conoscere il vostro parere sulla centrale di progettazione delle opere pubbliche, Pag. 93 come ho già chiesto prima ad ANCE, perché, al netto di quello che dice il presidente Buia, mi pare che la congiuntura astrale che si dovrebbe verificare perché tutto funzioni mi pare veramente molto ottimistica.
  La seconda domanda è sulla rigenerazione urbana. Lei pensa che gli incentivi fiscali sugli interventi possano essere ricompresi in questo intervento di rigenerazione urbana che ANCE propone?
  La terza domanda, secondo me, è la più difficile. Considerando tutto quello che abbiamo sentito oggi, c'è un po’ di odore di patrimoniale in giro, voi come la vedreste una patrimoniale sugli immobili? Ovviamente la domanda è provocatoria.

  MARCO PELLEGRINI. Innanzitutto mi sento rinfrancato dopo le audizioni di ANCE e di Confedilizia. In qualità di iscritto all'ANCE, ho sentito parlare finalmente di aspetti tecnici, siete entrati molto nello specifico e, quindi, vi ringrazio degli spunti che ci avete dato.
  La mia domanda è brevissima. Visto che lei ha incentrato il suo intervento sulla cedolare secca e ha parlato degli immobili ad uso commerciale, i C1, secondo lei, se questa misura si applicasse anche agli immobili ad uso ufficio, gli A10, potrebbe avere una ricaduta positiva?

  GIORGIO SPAZIANI TESTA, presidente di Confedilizia. Con riferimento alle domande dell'onorevole Mandelli, parto dall'ultima. La patrimoniale sugli immobili c'è già, vale 21 miliardi di euro l'anno, quindi purtroppo la si può solo ampliare. L'ampliamento sarebbe dato dalla permanenza dell'assenza – perdonate il bisticcio di parole – del blocco delle aliquote dei tributi locali, in particolare IMU e TASI.
  La patrimoniale – ripeto – c'è già, sarebbe solo ampliata, cosa di cui non c'è assolutamente bisogno, anzi si dovrebbe fare il contrario: si dovrebbe intervenire per ridurre il carico patrimoniale sugli immobili.
  Con riferimento alla rigenerazione urbana, solo in parte gli incentivi attualmente presenti riguardano anche questo settore. Noi siamo però favorevolissimi – l'abbiamo detto anche prima delle elezioni, in un manifesto con tante altre organizzazioni del settore immobiliare – a lavorare ed eventualmente collaborare con il Parlamento affinché vengano adottate misure specifiche per favorire interventi sugli immobili e sulle città. Segnalo solo che nel nostro documento si parla anche della necessità di favorire gli investimenti nel settore residenziale da parte delle società, in particolare delle grandi società immobiliari e dei grandi investitori istituzionali, che favorirebbero anche queste misure e favorirebbero la riqualificazione delle nostre città e dei nostri beni.
  Esistono, infatti, tanti immobili che non riescono ad essere utilizzati e, quindi, se fosse migliorato il sistema di tassazione delle società immobiliari anche grandi, l'intervento dei grandi soggetti contribuirebbe a migliorare la situazione delle città.
  Lasciamo l'altra questione più all'attenzione dell'ANCE, con la quale siamo comunque in contatto anche su questo aspetto, ma è una cosa che riguarda più il settore delle costruzioni. Con riferimento agli uffici, sarebbe auspicabile che la misura della cedolare secca fosse estesa a tutto il settore dell'uso diverso non abitativo, innanzitutto perché sarebbe una misura di semplicità e di chiarezza e non costringerebbe i contribuenti a cercare gli esatti limiti, e poi perché anche nel settore uffici, sia pure in misura diversa da quello relativo a locali commerciali e botteghe vere e proprie, c'è una situazione di difficoltà e, comunque, di eccesso di tassazione in capo ai proprietari.
  In questo caso, infatti – ricordiamolo –, si sommano le imposte sul reddito, IRPEF e addizionali con le misure date dalla progressività, alle imposte patrimoniali che non possono non essere considerate nell'investimento del soggetto, soprattutto persona fisica, in un settore di investimento diverso dagli altri, come quello immobiliare.

  ERICA RIVOLTA. Presidente, volevo chiederle una cosa della quale avrà sicuramente contezza. Premesso che in molte delle nostre città effettivamente c'è un numero di negozi e di botteghe che sono sfitti Pag. 94per l'incertezza del mercato. Spesso si tratta di immobili di costruzione non recente, quindi con livelli bassi di risparmio energetico. C'è, quindi, incertezza dal punto di vista commerciale, in quanto un piccolo commerciante che apre, pur avendo magari milioni di idee, lo fa sempre con molta incertezza. Inoltre – lo dico in riferimento, per esempio, a una certa parte di Lombardia, dove abito – i prezzi degli affitti non sono minimamente diminuiti, poiché i proprietari cercano di mantenere la remunerazione del loro bene immobiliare.
  Difficilmente, quindi, si riuscirà ad uscire da questa impasse. Certamente una minore tassazione agevolerebbe sia i commercianti che volessero aprire una nuova attività, sia i proprietari che potrebbero stare più tranquilli rispetto alla remunerazione del loro bene. Presumo che questo fenomeno possa considerarsi a livello nazionale e non solo di una parte di Lombardia. Al di là della diminuzione dell'imposizione, quale potrebbe essere un nuovo punto di equilibrio? Un piccolo artigiano, come ad esempio un ciabattino, ne deve fare di tacchi per riuscire a pagare un affitto di un immobile in una posizione centrale di una qualsiasi delle nostre città. Quindi, quale pensa potrà essere un punto di equilibrio in base ai dati che lei conosce meglio di tutti noi?

  GIORGIO SPAZIANI TESTA, presidente di Confedilizia. In effetti il problema esiste in tutta Italia in maniera generalizzata. Il problema dello sfitto e delle difficoltà non è dato solo dalla fiscalità sui proprietari, anche se l'esistenza di questo problema è provata dal fatto che non lo dice solo l'associazione dalla proprietà immobiliare, ma lo dicono le associazioni dei commercianti e credo che l'abbiano detto anche poco fa. Quindi, ci sono i centri commerciali mal disposti in qualche luogo, c'è il commercio elettronico che tutti conosciamo, però quel problema in effetti esiste, quindi l'investitore nell'immobiliare fa quello che fa qualsiasi investitore nei BOT, nelle azioni o nelle obbligazioni: cerca la remunerazione del proprio investimento.
  Quando questa è impedita da una situazione di fiscalità eccessiva, si pone un problema. Ma non è neanche questo il problema, perché parliamo di tanti luoghi in cui non c'è più incontro di domanda e offerta, quindi in molti posti non è neanche un problema di ridurre i canoni, cosa che comunque si verificherà nel tempo se, piano piano, la fiscalità sui proprietari diminuirà, ma è addirittura un problema di incontro fra domanda e offerta. I proprietari tendono a tentare di liberarsi di questi immobili.
  Lei mi chiedeva quali possano essere le altre strade, forse un'altra strada può essere quella di intervenire sulla normativa contrattualistica, che impone contratti di durata di 12 o di 18 anni, a seconda della tipologia di immobile, quindi impone al proprietario di porsi nella prospettiva di un canone identico, salvo l'aggiornamento ISTAT, per 12 anni.
  È chiaro che, con tutta la buona volontà di venire incontro al giovane che voglia giustamente aprire un'attività e non ha un soldo per investire nell'immobile in cui portarla avanti, scegliere un canone per 12 anni è impossibile, se non innalzandolo eccessivamente. Il proprietario tende ad alzare il canone, l'inquilino tende a diminuirlo, non si incontrano e l'immobile rimane vuoto. Questa è una delle ragioni, non l'unica. Quindi, c'è la fiscalità, da un lato; dall'altro, forse, a quarant'anni dall'approvazione della legge n. 392 del 1978, una legge preistorica, si potrebbe intervenire e lasciare un po’ di libertà in più ad inquilini e proprietari di mettersi d'accordo per concludere contratti di uno o due anni, eliminando anche altri problemi rispetto a quelli a legislazione, in modo da equiparare tali contratti ai contratti con valore superiore a 250.000 euro annui, per cui è già prevista la libertà assoluta di regolamentare ogni aspetto contrattuale.

  PRESIDENTE. Grazie, presidente Spaziani Testa. Saluto le delegazioni di Confedilizia e di ANCE e dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti di Confapi, Confimi e Confprofessioni.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare Pag. 95 all'esame dei documenti di bilancio per il 2019-2021, l'audizione, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del Regolamento della Camera, di rappresentanti di Confapi, Confimi e Confprofessioni, a cui diamo il benvenuto.
  Do la parola agli auditi, seguendo l'ordine prestabilito dalla convocazione.

  CRISTIAN CAMISA, componente della Giunta di presidenza di Confapi. Innanzitutto, vi ringrazio, a nome di Confapi, per l'audizione. Ringrazio il presidente della Commissione bilancio del Senato Daniele Pesco per l'invito ad intervenire sulla legge di bilancio.
  Prima di passare ai desiderata dell'associazione, vorrei fare alcune considerazioni preliminari, concentrandoci innanzitutto sulla scelta della legge di bilancio di arrivare a un deficit del 2,4 per cento.
  Siamo assolutamente consapevoli che una parte di questo deficit – mi riferisco allo 0,8 per cento – è stato ereditato e che un altro 0,4 si va ad aggiungere per il fatto che non si è arrivati ai livelli di crescita previsti. A questo devo dire che, in maniera sacrosanta, è stato aggiunto uno 0,7 per cento per la sterilizzazione dell'IVA, e quindi stiamo parlando, di fatto, di una scelta sullo 0,5 per cento del PIL.
  Se avessimo dovuto decidere su cosa indirizzare questo 0,5 per cento, sicuramente avremmo pensato a interventi che andassero ad avere effetti moltiplicativi, quindi interventi sulle infrastrutture; si tratta di interventi che per noi, che rappresentiamo una parte importante delle piccole e medie industrie, sono assolutamente improcrastinabili, perché sono uno degli elementi alla base della competitività delle nostre aziende.
  Sono allo stesso modo alla base della competitività delle nostre aziende, tra gli elementi che non ci permettono di competere ad armi pari, almeno fin dall'inizio, i livelli di costo energetico, che – lo ricordo – nel nostro Paese sono molto più alti rispetto a quasi tutti i Paesi europei. Se li confrontiamo poi con la Francia, parliamo di cifre superiori al 20 per cento. Per quanto riguarda il costo della benzina, derivante anche dalle numerose accise su tale prodotto, mediamente è del 10 per cento più caro di quello, ad esempio, spagnolo.
  Se una parte di queste risorse è stata investita sul cosiddetto reddito di cittadinanza, noi auspichiamo che, come proviene anche da alcuni settori della maggioranza, si valuti di indirizzare queste risorse non direttamente ai lavoratori, ma anche alle imprese per ottiche formative. Questo permetterebbe alle imprese di avere una funzione importante e determinante e soprattutto non si tratterebbe, come i più pensano, di una misura assistenziale, bensì a una misura che darebbe la possibilità alle imprese di formare nuovo personale.
  Dovete pensare che uno dei problemi che abbiamo in questo momento è un grande mismatching tra il nord e il sud del Paese. Mentre a sud del Paese è difficile trovare lavoro, nel nord del Paese non riusciamo a trovare personale qualificato.
  Un altro elemento su cui è necessario assolutamente intervenire è indubbiamente il livello complessivo di tassazione, la riduzione del cuneo fiscale – lo diciamo spesso – così come occorre intervenire sul costo della burocrazia, che sulle PMI pesa per oltre 30 miliardi di euro.
  Venendo un po’ ad alcuni temi relativi alle norme di rilancio, siamo sicuramente favorevoli all'idea del reinvestimento sugli utili e a una diminuzione della tassazione per quanto riguarda i beni strumentali, così come abbiamo apprezzato che ci sia in maniera decrescente, all'aumentare dell'investimento, una percentuale sull'iperammortamento. È un segnale di attenzione anche per le piccole industrie. Sarebbe ancora di più un segnale di attenzione se questa prima fascia, questa prima soglia fosse superiore addirittura al 250 per cento.
  Un altro tema fondamentale per il nostro presente, ma anche per il nostro futuro, è sicuramente quello inerente alla formazione.
  È sicuramente necessario reintrodurre il credito d'imposta per le spese legate alla «Formazione 4.0». Sottolineo che solo nel mese di maggio di quest'anno è stato pubblicato il decreto interministeriale che dava attuazione alla misura, stabilendo le modalità Pag. 96 e i criteri per poter usufruire dell'agevolazione.
  Questo significa che, nonostante abbiamo concluso accordi territoriali in tempi più veloci possibili, molto spesso molte imprese, visti i tempi lunghi di gestazione del decreto, non potranno nemmeno usufruirne.
  Sempre nell'ottica della formazione, plaudiamo all'idea di uno stanziamento di risorse finalizzate all'utilizzo di temporary export manager. Allo stesso modo, è condivisibile la misura, sempre contenuta all'interno dell'articolo 19, che prevede un contributo a fondo perduto per gli innovation manager. I contributi in esame sono concessi a condizione che venga sottoscritto un apposito contratto di servizio di consulenza tra i soggetti beneficiari e la società o i manager in possesso di adeguati requisiti di qualificazione e che siano iscritti in un apposito elenco.
  A questo proposito, chiederemmo che nel decreto ministeriale che dovrà istituire tale elenco venga riconosciuto un ruolo attivo ai digital innovation hub inseriti nel network nazionale di «Impresa 4.0», in quanto tra le loro specifiche funzioni di attività vi è proprio il trasferimento alle piccole e medie industrie di competenze tecnologiche avanzate e specifiche.
  Apprezziamo la proroga per il 2019 della detrazione fiscale per interventi di ristrutturazione edilizia ed efficienza energetica. Auspichiamo che tali misure siano l'apripista per interventi più strutturali che riguardino il settore dell'edilizia.
  A tal proposito, è indiscutibile una rivisitazione complessiva del codice degli appalti, e siamo pronti a presentare le nostre proposte, finalizzate proprio a questa rivisitazione.
  Per quanto riguarda il made in Italy e il patent box, con riferimento alle misure contenute nell'articolo 19, in particolare quelle a tutela del made in Italy, le piccole e medie industrie italiane da sempre si contraddistinguono per i prodotti di eccellenza, riconosciuti nel mondo, che necessitano di una tutela specifica.
  Bene, quindi, il rafforzamento della presenza sui mercati internazionali della nostra impresa, accrescendone il grado di internazionalizzazione. Va, però, evidenziato che tutt'oggi i marchi sono esclusi dalla detassazione connessa al patent box, anche per effetto del parere interpretativo dell'OCSE.
  Ribadiamo che è necessario trovare una misura alternativa all'esclusione dei marchi dalle tutele riconducibili al patent box, fattore indispensabile per la salvaguardia del made in Italy.
  Un altro tema di vitale importanza per le nostre imprese è quello relativo all'alternanza scuola-lavoro. Noi di Confapi abbiamo una proposta. Non solo l'alternanza scuola-lavoro va incrementata, ma bisognerebbe arrivare al dual system tedesco. Io vi fornisco alcuni dati che penso possano essere indicativi.
  Il tasso di disoccupazione giovanile in Italia nella fascia 15-24 anni è pari al 31,5 per cento; in Germania parliamo del 6,7 per cento. Penso che molti di voi sappiano come funziona il dual system tedesco. Comunque, si tratta di questo: dopo la scuola dell'obbligo, circa il 50 per cento degli studenti sceglie un percorso di tre anni nelle aziende. Sono stage pagati dagli 800 ai 1.000 euro al mese. I due terzi di questi studenti viene assunto direttamente nelle aziende in cui si svolge lo stage. Oltre il 90 per cento di questi studenti viene assunto alla fine del percorso.
  Noi abbiamo bisogno di tutto ciò, perché abbiamo bisogno di competenza, abbiamo bisogno di un avvicinamento sempre maggiore del mondo della scuola al mondo dell'impresa, cosa che in Italia, nonostante i passi avanti, non si è ancora fatta.
  Per finire, vi è un'altra proposta che reputo importante, che viene da Confapi, a costo zero, e ci augureremmo fosse portata avanti.
  Non parliamo nemmeno dei ritardi di pagamento della pubblica amministrazione verso i privati, perché sapete benissimo che molte imprese in questi anni sono fallite di credito ed è una cosa inconcepibile. La proposta che avanziamo, invece, è una rivisitazione per ciò che concerne il ritardo di pagamento tra privati.
  Sappiamo che la direttiva n. 7 del 2011, che prevedeva tempi di pagamento tra i Pag. 97trenta e i sessanta giorni, non è mai stata applicata. Molto spesso, le imprese, soprattutto le piccole e medie industrie, che lavorano con aziende di grandi dimensioni, hanno tempi di pagamento fino a 180 giorni, che non sono in grado di ribaltare sulle aziende clienti. Questo crea necessariamente delle problematiche dal punto di vista della liquidità, che fanno sì che occorra rivolgersi a istituti bancari.
  Oltretutto, questa situazione aumenta la rischiosità di impresa: dovendo lavorare su tempistiche così lunghe, il rischio che ci sia un'insolvenza ha un impatto ancora superiore. Questo cosa comporta? Comporta spesso la necessità per le aziende, per tutelarsi, di arrivare a un'assicurazione completa del credito, con altri costi a carico delle aziende. Cerchiamo di lavorare anche su questo, perché sarebbe una misura minima dal punto di vista dell'impatto di costi, ma una grande misura per noi, piccole e medie industrie.
  Per quanto riguarda l'IMU, pensiamo che occorra una rivisitazione dell'IMU sugli immobili. Pensiamo che non sia corretto calcolare l'IMU in base alle dimensioni in termini delle aree utilizzate dalle imprese. Sarebbe molto più corretto calcolare tale imposta in base al fatturato e in base alla tipologia di attività. Molto spesso, vi sono imprese che utilizzano grandi spazi pur non avendo altissimi fatturati.
  Un altro intervento che proponiamo riguarda l'esenzione parziale dell'imposta per quei capannoni che, a seguito di un ridimensionamento dell'attività di impresa – ne abbiamo vissuti diversi in questi anni, purtroppo, dovuti alla crisi – non vengono più utilizzati nell'esercizio corrente.
  Per concludere, solo con interventi relativi alle infrastrutture, al cuneo fiscale, alla burocrazia, ai tempi di pagamento tra privati possiamo combattere per la crescita e favorire il mercato interno e anche quello della nostra competitività a livello internazionale, e affrontare, con quella forza che ci contraddistingue, il confronto e la discussione con gli altri Paesi.
  Il messaggio che vi voglio lanciare, alla fine, è il seguente: dateci la possibilità di competere ad armi pari con gli altri e vi dimostreremo che le piccole e medie industrie del nostro Paese sanno ancora farsi valere a livello internazionale e mondiale.

  PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Camisa.
  Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  MARIA ELENA BOSCHI. Ho una domanda molto semplice.
  Giustamente, il dottor Camisa ha fatto riferimento, nel suo intervento, all'importanza dell'alternanza scuola-lavoro, anzi alla possibilità di ampliare uno strumento che già era stato previsto con la riforma della «Buona scuola» e che oggi, invece, si tende a limitare con gli interventi previsti nel disegno di legge di bilancio.
  Oltre al tema del sistema duale e dell'alternanza scuola-lavoro, sicuramente oggi si pone un tema di formazione professionale continua. Come valuta la scelta del Governo di tornare indietro in questo disegno di legge di bilancio rispetto al credito d'imposta per la formazione in azienda, rispetto al credito d'imposta in ricerca e sviluppo, che viene ridotto della metà? Come giudica gli interventi nel disegno di legge di bilancio che rimodulano, e quindi in sostanza riducono drasticamente le agevolazioni previste dal piano «Industria 4.0», che sembra invece aver dato in qualche modo sostegno alle attività delle imprese?

  CRISTIAN CAMISA, componente della Giunta di presidenza di Confapi. Sia per ciò che riguarda «Industria 4.0» sia per quanto riguarda alcuni tagli sulla formazione, non possiamo che accoglierli in maniera non positiva.
  Devo dire che il percorso dell'alternanza scuola-lavoro, per chi l'ha vissuto anche sul campo, è stato un primo passo importante e fondamentale per cercare di avvicinare il mondo dell'industria, il mondo dell'impresa al mondo della scuola. Molto spesso, ancora oggi ci sono tanti percorsi formativi non finalizzati alle esigenze dalle aziende. Non solo, quindi, l'alternanza scuola-lavoro non deve essere ridimensionata, ma, Pag. 98come dicevo prima, dobbiamo andare in direzione di un'ottica di interazione ancora più forte. Potrebbe essere più semplice copiare da altri Paesi che sono riusciti a ottenere dei risultati straordinari, piuttosto che inventarsi qualcosa con dei dubbi risultati.

  PRESIDENTE. Se non ci sono altri interventi, ringraziamo il dottor Camisa.
  Do la parola al direttore generale di Confimi Industria, Fabio Ramaioli.

  FABIO RAMAIOLI, direttore generale Confimi Industria. Porto i saluti del presidente della nostra confederazione, Paolo Agnelli, e un ringraziamento ai presidenti Pesco e Borghi e ai membri delle Commissioni bilancio di Camera e Senato per quest'invito.
  Depositiamo agli atti delle Commissioni un documento molto più articolato e tecnico, nel quale sono riportate le osservazioni principali sul disegno di legge di bilancio.
  Prima di entrare nel merito con una sintesi di queste osservazioni, vado a un aspetto legato allo scenario attuale e alle considerazioni di politica economica, che hanno portato poi a determinare alcune scelte. Da un'indagine congiunturale che il nostro sistema confederale ha svolto, con previsioni anche sul secondo semestre di quest'anno, abbiamo notato che fino alla fine di settembre vi era una generale flebile ripresa, soprattutto per quanto riguardava il fatturato. Il 20 per cento delle nostre aziende aveva incrementato i propri investimenti rispetto al 10 per cento del semestre precedente, e un 20 per cento del campione aveva fatto registrare un aumento delle assunzioni. I tempi di pagamento, sia verso i fornitori sia da parte dei clienti, vanno dai 60 ai 90 giorni per il 74 per cento delle aziende. Un'azienda su sei lamentava pagamenti a 120 giorni da parte dei propri clienti.
  Dico questo perché poi Confimi Industria, all'interno delle proposte sul disegno di legge di bilancio, ne avanza una per quanto concerne l'IVA da recuperare nei fallimenti delle aziende stesse.
  Sostanzialmente, da parte delle aziende, oltre alla riduzione del costo del lavoro ed energia, che sono fattori produttivi estremamente importanti, viene richiesta una semplificazione burocratica amministrativa, una riduzione degli oneri tributari per le imprese, una lotta alla corruzione e il rafforzamento del sistema infrastrutturale.
  Abbiamo anche analizzato il tema del welfare. Il 68 per cento del nostro campione di aziende dichiara di attuare delle misure di welfare aziendale. Il 19 per cento di esse favorisce una previdenza completare chiusa, il 15 per cento aperta.
  Infine, abbiamo segnalato un ricorso pressoché nullo agli ammortizzatori sociali.
  Questi sono i dati di premessa della nostra indagine congiunturale, ma ci preme anche indicare che negli ultimi dieci anni hanno chiuso circa 750.000 imprese, che la produttività è scesa del 25 per cento e che la povertà è raddoppiata, arrivando a toccare 5 milioni di persone. Sappiamo bene anche che un centinaio di grandi aziende storiche del made in Italy è stato ceduto ad aziende o a fondi esteri.
  Abbiamo riscontrato, però, che questi fenomeni sono meno frequenti per le realtà medio-piccole, che per diversi motivi, soprattutto dal punto di vista del carattere familiare, sono radicate sul territorio. Pertanto, ci piace osservare che, tra le misure prese in considerazione dal disegno di legge di bilancio in esame, qualche segnale di rinnovata attenzione verso il mondo delle PMI, ovvero verso il modo dell'imprenditoria indigena dell'economia reale c'è. Abbiamo notato forse meno attenzione sulle grandi imprese e sul mondo della finanza.
  Il costo del lavoro in Italia rappresenta l'11 per cento in più del costo medio europeo, ma ci sono Paesi, come Polonia e Romania, che hanno un costo addirittura di quattro volte inferiore. Abbiamo un costo per unità di prodotto, a causa di carenze infrastrutturali, del 7 per cento in più rispetto ai nostri competitor europei, mentre il costo dell'energia elettrica è dell'87 per cento superiore alla media europea. Ci riferiamo a fonti Eurostat del 2014 per Pag. 99quanto riguarda i consumi delle PMI, che vanno dai 2.000 ai 20.000 megawatt.
  La burocrazia, tra l'altro, impegna le nostre aziende, secondo la Banca mondiale, per 33 giorni all'anno.
  Abbiamo verificato che sono circa 1.800.000 gli addetti presso le imprese italiane che lavorano presso nostre aziende che hanno delocalizzato. Ciò significa che non lavorano più in Italia 1.800.000 persone.
  Da questo punto di vista, in questi anni abbiamo sempre cercato di porre l'attenzione sul fatto che andrebbe rovesciato il paradigma sulla riduzione della pressione fiscale. Attualmente, le imprese subiscono una forte pressione fiscale a monte del sistema produttivo. Andrebbe, invece, fatto esattamente il contrario al fine di rendere competitivi i nostri prodotti per l'esportazione.
  Con questi dati di premessa, siamo consapevoli che serve uno sforzo dell'intero sistema per agganciare questa flebile ripresa, ancorché le previsioni, come ammesso anche dagli stessi esponenti del Governo, siano orientate a prefigurare un nuovo rallentamento, da cui, peraltro, nasce la strategia di una manovra espansiva in deficit come contromisura a quest'effetto.
  Per questa premessa, l'impianto complessivo della manovra, al netto di considerazioni sul reddito di cittadinanza, che evidentemente è la principale causa degli attriti comunitari, e ferma restando la difficoltà a valutare l'impatto in mancanza di disposizioni applicative, trova una generale condivisione in attesa di alcuni margini di miglioramento.
  Tra l'altro, in questo particolare contesto storico ci rendiamo conto che sono tanti e diversi i settori in cui vi è la necessità di una redistribuzione delle risorse e c'è fiducia che la manovra possa avere effetti sul PIL.
  Seppure le misure sulle PMI non sembrino essere, probabilmente, ancora oggi del tutto sufficienti, quest'impianto sembra l'inizio di un nuovo percorso su cui proseguire, ci auguriamo con un deciso abbattimento del cuneo fiscale, a partire dall'abrogazione totale dell'IRAP per le imprese manifatturiere che rimangono nel territorio e che favoriscono un positivo incentivo alle problematiche occupazionali.
  Per quanto concerne, in sintesi, le osservazioni su alcune misure, segnaliamo positivamente la sterilizzazione delle clausole di salvaguardia delle aliquote IVA, che, oltre a sterilizzare gli aumenti del 2019, sono in parte ridotte anche per gli anni successivi.
  Per quanto concerne la mini-IRES, troviamo che sia una misura apprezzabile nel principio, che però deve essere semplificata dal punto di vista applicativo, per quanto riguarda sia l'individuazione della componente investimenti in beni strumentali nuovi sia il costo del personale dipendente.
  Apprezziamo la proroga di un anno per l'iperammortamento, ancorché con misure graduate e decrescenti, che vengono condivise, non potendo prorogare in eterno quelle attuali, così come il fatto che siano agevolabili solo gli investimenti effettuati per strutture e stabilimenti in Italia.
  Le misure per la ricerca e lo sviluppo sono ridimensionate nel massimale, che rimane coerente per le PMI. Per quanto riguarda la Formazione 4.0, ovviamente si è notata l'assenza di questa voce. Prima di dare giudizi definitivi, ci piacerebbe avere un monitoraggio di questa misura in essere con decreto da pochi mesi.
  Positiva è la proroga dell'incentivo per l'occupazione nel Mezzogiorno con la decontribuzione del cento per cento per l'assunzione di giovani under 35 o con più di 35 anni. Si tratta di una decontribuzione che sarebbe opportuno estendere anche alle regioni del Nord.
  Positivo è anche il bonus occupazionale per le giovani eccellenze.
  È stato giudicato positivo anche il forte incremento di risorse per il sistema duale, anche se sarà opportuno migliorare e favorire la creazione di un rapporto continuativo e coerente tra formazione e lavoro.
  Dubbi e perplessità, invece, avanziamo sulla significativa riduzione delle risorse legate all'apprendistato e alla grande dotazione riservata alla strutturazione dei centri per l'impiego, finora scarsamente utilizzati Pag. 100 nel mondo delle PMI, che tra l'altro hanno una risposta anche molto bassa per quanto riguarda la fruizione da parte dei cittadini.
  All'interno di questo documento riteniamo opportuno anche giudicare positivamente la proroga delle detrazioni fiscali per interventi di efficienza energetica, ristrutturazioni edilizie e per l'acquisto di mobili, con la richiesta di introdurre, però, la percentuale di detrazione del 65 per cento, attualmente prevista al 50 per cento.
  Collegata alla legge di bilancio ci auguriamo che ci sia la possibilità di intervenire fortemente anche sul rilancio del «Sisma bonus», che non ha ancora fornito l'impulso auspicato per avviare la messa in sicurezza del patrimonio immobiliare italiano e la contestuale ripresa del settore delle costruzioni attraverso, tra i vari punti, la proroga della scadenza prevista per il 2021 a data successiva e ripristinando la portabilità illimitata del credito d'imposta.
  Avanziamo anche la proposta, per le imprese culturali, di una defiscalizzazione degli utili per cinque anni. Chiediamo di intervenire sul «Bonus pubblicità» per prevedere l'estensione del credito d'imposta anche alla pubblicità esterna – parliamo, quindi, di ciò che è diverso da TV, radio, stampa periodica e cartacea –, che risulta essere tra le forme di advertising di più agevole portata per le piccole e medie imprese per evitare che queste ultime siano le uniche a non beneficiare di un'agevolazione per gli investimenti pubblicitari.
  Chiudo quest'intervento – chiaramente con i colleghi siamo a disposizione per gli approfondimenti del caso – sulla proposta che abbiamo citato all'inizio, ovvero quella legata al recupero dell'IVA sui crediti insoluti.
  Visto che la direttiva n. 7 del 2011 non è stata ancora attuata, su questo tema Confimi Industria avrebbe in serbo una proposta di autogestione abbinata alla fatturazione elettronica. È descritta nel dettaglio nel nostro documento. Si tratta, in estrema sintesi, di una misura a costo zero per l'Erario, in grado di rovesciare l'attuale paradigma di un sistema che agevola il cattivo pagatore e si finanza su chi riceve l'insoluto. Si tratta di consentire in via facoltativa, a chi riceve l'insoluto, di attivare l'autorecupero dell'IVA, obbligando il cessionario insolvente a riversare subito all'Erario l'IVA detratta sulla fattura ricevuta.
  Stiamo parlando, chiaramente, di B2B, quindi di rapporto tra privati, e non servono coperture erariali. Grazie alla fattura elettronica, gli organi competenti potranno effettuare verifiche immediate, e questo potrebbe essere un aspetto di deterrenza per chi non rispetta i termini di pagamento, e ridurrà, tra l'altro, in maniera molto importante lo stock di perdite erariali di IVA di fallimenti.
  Vi sono due ultimi aspetti. Non possiamo non citare ancora il problema legato al credit crunch da parte delle piccole e medie aziende, un problema che probabilmente per anni avevamo creduto essere dettato da una cattiva interpretazione delle regole di Basilea 3. In realtà, il Comitato di Basilea aveva concepito lo strumento in maniera adeguata, ovvero quello di privilegiare per le piccole e medie aziende l'aspetto qualitativo, quindi il capitale intangibile delle nostre aziende.
  Molto probabilmente, il settore del credito non ha strumenti per valutare le aziende da questo punto di vista e si è preferita un'analisi quantitativa. Capite bene che soltanto ora, che si vede la luce, i bilanci delle nostre aziende da questo punto di vista rischiano di essere fuorvianti per chi deve erogare credito. Puntiamo sempre di più agli aspetti progettuali della storia degli imprenditori. Su questi dati ci auguriamo che le banche vadano incontro alle nostre aziende.
  L'ultimo aspetto riguarda un cambio di cultura di impresa, che chiediamo anche al mondo universitario e accademico. Tale cultura di impresa secondo noi deve rinascere da una rivisitazione non più rimandabile delle scuole tecniche di primo livello, che siano in grado realmente di incrociare i fabbisogni delle imprese. Dai dati delle nostre indagini, i profili che mancano maggiormente sono quelli propriamente tecnici. Parliamo, ad esempio, di fresatori e saldatori. Sono figure che, sembrerebbe Pag. 101paradossale, ma nel 2018 ancora non riescono a trovare una seria occupazione.

  PRESIDENTE. Do la parola al dottor Marco Natali, componente della Giunta esecutiva di Confprofessioni.

  MARCO NATALI, componente della Giunta esecutiva di Confprofessioni. Buonasera, signor presidente, onorevoli deputati e senatori. Abbiamo depositato la memoria del documento che andrò a riassumervi. C'è la necessità di essere il più possibile sintetici.
  I liberi professionisti italiani condividono l'opzione di fondo di privilegiare gli investimenti e il sostegno alle famiglie, alle imprese e ai professionisti rispetto alle esigenze di contenimento del deficit pubblico.
  L'austerità non ha consentito la crescita dell'economia italiana. Il nostro PIL è ai livelli più bassi dell'Unione europea e, conseguentemente, è peggiorato il rapporto deficit/PIL senza invertire l'andamento dei conti pubblici.
  Il contenimento della spesa pubblica e la riduzione del debito pubblico restano, comunque, una priorità per il Paese, ma tali impegni devono essere perseguiti senza deprimere le chance di ripresa economica. Occorre ripensare il metodo delle clausole di salvaguardia nel suo complesso, con un rinnovato dialogo con le istituzioni europee. È necessario impostare una politica economica coraggiosa, che punti su un consistente taglio della pressione fiscale, sul rientro della produzione industriale delocalizzata, sull'attrazione degli investimenti esteri, sull'investimento in settori selezionati dell'alta tecnologia, sulla modernizzazione della rete infrastrutturale dei servizi amministrativi.
  Il nostro Paese può sostenere la spesa della macchina amministrativa, della nostra macchina burocratica, così elevata, solo se questa viene messa al servizio dello sviluppo e della società civile con un aumento di efficienza e trasparenza della pubblica amministrazione.
  In questo senso, desta perplessità la proposta di istituzione di una centrale unica di progettazione delle opere pubbliche, vista come una proliferazione ulteriore di enti pubblici di grandi dimensioni – sono previste oltre 300 unità di personale solo per cominciare –, mentre l'esigenza è quella di ridurre e razionalizzare gli enti pubblici. Con questa norma, il ruolo delle professioni tecniche nella salvaguardia del nostro territorio e del nostro patrimonio di opere pubbliche viene profondamente svilito. Nella nostra prospettiva, la proposta va, dunque, accantonata.
  Troviamo, invece, di particolare rilievo gli articoli 4 e 6 del disegno di legge, che introducono le attese misure di sgravio fiscale a vantaggio dei lavoratori autonomi e dei liberi professionisti, la cosiddetta flat tax, utili soprattutto contro la crisi e il ridimensionamento avvenuto negli ultimi anni del reddito medio, che ha colpito soprattutto le donne, i giovani e i professionisti che operano nelle regioni meridionali, al quale ha contribuito anche il malcostume delle pubbliche amministrazioni di assottigliare i compensi professionali a livelli quasi irrisori.
  L'aliquota superagevolata del 5 per cento per le start up merita un plauso speciale. Si tratta di sgravi fiscali destinati nel medio periodo a promuovere crescita economica e sviluppo delle competenze. La funzione di questa misura non è, infatti, solo sostenere il reddito del comparto: si tratta di mettere in circolo risorse a vantaggio di professionisti che esprimono, specie i più giovani, desidero di intraprendenza e progetti di sviluppo delle attività.
  L'articolo 6 interviene opportunamente sui lavoratori autonomi e i liberi professionisti, i cui ricavi e compensi rientrano nella fascia tra i 65.000 e i 100.000 euro dal 2020, con aliquota del 20 per cento.
  Non si tratta qui solo di una riduzione di imposta, ma soprattutto di una semplificazione degli adempimenti e della gestione della contabilità per un'ampia platea di professionisti. La nostra valutazione è positiva per quest'aspetto. Il prossimo anno si potrebbe valutare di unificare le due fasce in un'unica fascia. Sarebbe un intervento con costi limitati e grandi vantaggi di semplificazione. Pag. 102
  Andrebbe, secondo noi, previsto un regime fiscale agevolato e semplificato per le società tra professionisti per accompagnare e promuovere la crescita dimensionale degli studi professionali verso realtà organizzative complesse, interdisciplinari, dotate di strumenti informatici e tecnologici avanzati e di competenze imprenditoriali, in un mercato europeo dei servizi professionali nel quale si muovono ormai soggetti di dimensioni imponenti, che rischiano di fagocitare i piccoli studi che caratterizzano il nostro panorama nazionale.
  Occorre intervenire con misure di agevolazione fiscale quantomeno per le società start up partecipate da professionisti under-35 in misura equivalente al trattamento introdotto per le start up individuali, per evitare che i regimi forfettari sostitutivi introdotti agli articoli 4 e 6 del disegno di legge motivino scelte di isolamento e disincentivino, invece, la transizione a modelli organizzativi complessi.
  Occorre includere le società tra professionisti nel regime fiscale agevolato e ripensare in coerenza le clausole di esclusione soggettiva previste nell'attuale normativa per i titolari di quote societarie.
  Riteniamo, inoltre, di segnalare la modifica della disciplina degli incentivi per la spesa in ricerca e sviluppo, che è poco lungimirante rispetto alle esigenze di sviluppo tecnologico del nostro sistema imprenditoriale, e l'abrogazione dell'IRI, che, senza indicare un meccanismo diverso di tassazione degli utili, ha l'unico risultato di incrementare il peso tributario sui dividendi, senza prospettare alternative finalizzate a promuovere il reinvestimento degli utili. È una scelta miope in termini di strategia economica e trasparenza nel rapporto tra fisco e imprese.
  Oltre agli interventi sulle società tra professionisti, sono necessarie ulteriori misure di spinta alla crescita organizzativa delle professioni. È ottimo il programma «Resto al Sud», ora esteso ai liberi professionisti. Il Mezzogiorno ha bisogno di favorire l'avvio di studi professionali attraendo giovani neolaureati anche attraverso processi aggregativi.
  Apprezzabile è anche il nuovo strumento di cui al comma 21 dell'articolo 19, che mette a disposizione, però, delle PMI un fondo per voucher per le spese sostenute per le consulenze volte a processi di trasformazione tecnologica e digitale inclusi nel piano «Impresa 4.0». Si tratta di una misura di importanza cruciale anche per gli studi professionali, chiamati a integrare tecnologie digitali nelle loro attività, dovendo sostenere costi elevati, anzitutto per la progettazione degli interventi di trasformazione tecnologica dei loro processi operativi.
  La sfida della trasformazione tecnologica per il nostro Paese non può avere successo se assieme ai processi produttivi industriali non si modernizzano anche i processi nel settore delle professioni, alleati e partner dell'industria e delle imprese dei servizi.
  Per questo, riteniamo fondamentale che la definizione della platea dei beneficiari di quest'incentivo sia individuata attraverso il richiamo alla raccomandazione 2003/361/CE della Commissione europea, dunque includendo i professionisti. Occorre che questa definizione legislativa sia implementata correttamente a livello attuativo e che siano rimosse le ragioni che hanno portato in passato a escludere i professionisti dall'accesso a incentivi previsti dalla cosiddetta «nuova Sabatini», con particolare riferimento all'acquisizione di beni strumentali nuovi, tecnologici e digitali.
  Segnaliamo, altresì, una parziale incoerenza in questa disposizione che potrebbe essere risolta in sede parlamentare.
  La norma estende la medesima agevolazione anche ai soggetti aderenti a reti di imprese, ma i professionisti, sebbene inclusi tra i beneficiari della misura, non sono a oggi autorizzati a partecipare a reti di impresa. Si pone ora l'esigenza di una definitiva correzione sulla disciplina generale dei contratti di rete nel senso dell'inclusione dei liberi professionisti.
  Segnaliamo, inoltre, l'incongruenza rappresentata dall'esclusione dei professionisti dal cosiddetto iperammortamento previsto dalla legislazione vigente e che vi accingete qui a rifinanziare per il prossimo anno. Pag. 103
  Come già segnalato in occasione della nostra audizione sul DEF a giugno, la norma prevede che l'agevolazione sia destinata a soggetti titolari di reddito d'impresa e agli esercenti arti e professioni.
  A dispetto di questo dato normativo incontrovertibile, c'è un orientamento dall'Agenzia delle entrate e del Ministero dello sviluppo economico, che hanno inteso riservare questo beneficio ai soli titolari di reddito d'impresa.
  Dicevamo prima dell'importanza dello sviluppo tecnologico digitale negli studi professionali, che passa forzatamente attraverso il sostegno e l'agevolazione per l'acquisto di beni immateriali e strumentali, come quelli interessati da quest'azione.
  Il Paese e le istituzioni impongono nuove sfide di modernizzazione alle professioni. Basti pensare alla fatturazione elettronica e gli adempimenti in tema di privacy. Noi siamo anche pronti ad affrontare questa sfida, però con un equo sostegno da parte delle istituzioni. Chiediamo che ora, nel momento del rifinanziamento di questa misura, il Parlamento espliciti il significato delle norme che approva affinché d'ora in avanti l'illegittima interpretazione opposta dalle amministrazioni sia rimossa.
  Per quanto riguarda il reddito di cittadinanza, ci preme segnalare l'esigenza che qualsiasi intervento sia orientato all'obiettivo dell'inserimento lavorativo. Il potenziamento delle politiche attive e il coinvolgimento delle parti sociali e dei professionisti assumono in questo senso un rilievo strategico. Noi siamo strutturati in strutture di medie e piccole dimensioni, che però danno lavoro complessivamente a oltre un milione di addetti.
  Vi cito il caso del sistema dei fondi di solidarietà, che stiamo faticosamente cercando di attivare anche nel settore delle attività professionali, che dovrebbe consentire alle parti sociali di monitorare le situazioni di difficoltà e intervenire attraverso programmi formativi di riconversione e riqualificazione nonché mediante adeguate misure di welfare.
  Concludendo, nella società dei servizi che prende sempre più forma e che è destinata a crescere nei prossimi decenni in sintonia con le trasformazioni economiche globali, l'Italia è chiamata a mettere a frutto le straordinarie competenze di cui dispone. Parlamento e Governo sostengono uno sforzo di progettazione delle politiche economiche dei prossimi anni. Non può mancare l'attenzione per il comparto delle libere professioni, sempre più protagoniste del nostro panorama sociale ed economico. Il sostegno verso l'aggregazione e lo sviluppo tecnologico e infrastrutturale delle realtà professionali rappresenta una priorità ineludibile, tanto quanto i necessari interventi correttivi delle incongruenze determinate dalle recenti riforme di liberalizzazione, su cui auspichiamo di poterci confrontare con le istituzioni nei prossimi mesi.

  PRESIDENTE. Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ANDREA MANDELLI. Ho solo una domanda.
  È indubbio che molto spesso c'è una differenza tra realtà produttiva e professionisti, che è sempre più ingiustificata, perché oggettivamente in questi anni il mondo professionale ha dato una risposta importante al Paese sotto tutti i punti di vista, sia per quanto riguarda la tenuta dei posti di lavoro, che relativamente a un incentivo reale. Quindi si tratta di un comparto vitale e forte che ha permesso, nella realtà di un'industria sempre un po’ più tiepida e più incerta, di dare una risposta complessiva come Paese.
  Lei ha citato qualcuna di queste disuguaglianze, ha parlato, ad esempio, di estendere la disciplina dei contratti di rete e dell'ammortamento: in ordine di priorità quali sono, secondo lei, gli strumenti riservati alle imprese che possono essere utili anche ai liberi professionisti? Quali sono le cose su cui immediatamente poter lavorare per cercare di dare una risposta a un comparto così importante?

  MARCO PELLEGRINI. Nelle ultime cinque audizioni, quelle di ANCE, di Confedilizia, Pag. 104 Confapi, Confimi e Confprofessioni, sono tornato sulla terra, perché prima mi sembrava di stare su Marte: ascoltavo cose lontane dal mio vivere quotidiano. Come ho detto prima, sono un piccolo imprenditore e svolgo la libera professione da 22 anni, quindi mi ritrovo esattamente nelle cose che sono state dette negli ultimi cinque interventi.
  Ciò detto, vorrei porre una domanda brevissima. Il dottor Natali ci ha appena illustrato la perplessità che riguarda la centrale unica di progettazione per le opere pubbliche, che ha lo scopo di utilizzare al meglio i fondi che molto spesso negli ultimi anni e decenni sono stati stanziati e purtroppo non utilizzati. Inoltre, prospettava anche la necessità che i professionisti si riunissero in società tra professionisti proprio per meglio contrastare la concorrenza che viene dai soggetti europei molto più grandi. Vorrei che lei ci spiegasse meglio questa che forse può sembrare una contraddizione.

  CRISTIANO ZULIANI. In merito alle sue segnalazioni secondo cui i professionisti e i loro collaboratori operano in strutture di medie e soprattutto piccole dimensioni, vorrei porre la seguente domanda: in riferimento al reddito di cittadinanza, vista la capillare presenza sul territorio da parte dei dottori commercialisti, dei consulenti del lavoro e di altri professionisti, sarete disponibili, in collaborazione con i centri per l'impiego, a svolgere uno studio per capire in quale settore inserire le persone nel mondo del lavoro, soprattutto nelle attività artigianali, che stanno scomparendo nel nostro territorio (anche nel mio, Verona)? I titolari delle stesse non hanno la possibilità, visti i costi, di assumere e formare personale.

  PRESIDENTE. Do la parola al dottor Natali per la replica.

  MARCO NATALI, componente della Giunta esecutiva di Confprofessioni. Onorevole Mandelli, sono tante le cose di cui avremmo bisogno, come credo che sia abbastanza chiaro a tutti.
  Direi che, anzitutto, la prima cosa da sistemare sono le differenze di interpretazione.
  Ogni volta che c'è un'agevolazione, si parla di PMI, e poi tutte le interpretazioni successive non fanno rientrare i professionisti tra le PMI, tant'è vero che siamo costretti addirittura a ricorrere a forme societarie di tipo diverso, come le società a responsabilità limitata, per riuscire a gestire alcuni tipi di attività o per motivi fiscali. Se io, da commercialista, con i miei soci di studio non avessimo costituito una società a responsabilità limitata per acquistare l'immobile in cui svolgiamo la professione, non potremmo dedurre il costo del leasing o non potremmo dedurlo totalmente.
  Non ho capito perché siamo imprese quando dobbiamo pagare l'IRAP e, invece, quando si tratta di altri aspetti normativi e per le agevolazioni, non siamo considerati imprese. Dobbiamo, quindi, costituire strutture in più a latere, con costi aggiuntivi, con burocrazia ulteriore, per avere questo tipo di agevolazioni. Forse, un'interpretazione autentica del Parlamento secondo cui quando si parla di PMI ci si riferisce alla normativa europea, che fa riferimento ai soggetti economici, semplificherebbe tutto, perché così evitiamo i problemi di interpretazione del Ministero dello sviluppo economico e dell'Agenzia delle entrate sull'iperammortamento o sulla «Sabatini».
  Colgo l'occasione, vista la platea, per segnalare che abbiamo presentato – sapete che non c'è più la cassa integrazione – una richiesta ai Ministeri competenti per la costituzione del fondo integrazione salariale (FIS) in base alla quale noi datori di lavoro verseremmo una cifra ulteriore rispetto a quella prevista dalla norma. Abbiamo abbassato il limite previsto dalla legge per la costituzione, che è di 6, e l'abbiamo portato a 3. Abbiamo incrementato volontariamente, come datori di lavoro, la contribuzione dei datori di lavoro al FIS, in accordo con la parte sindacale, che fa versare un piccolo contributo, per creare solidarietà tra di noi.
  È un anno e mezzo che stiamo inseguendo questa vicenda, ma per problemi Pag. 105burocratici, che a me sembrano più cavilli che altro, siamo ancora fermi. Forse, manca la volontà politica di risolvere questo problema, che darebbe sicurezza a quei dipendenti degli studi professionali che si troverebbero in esubero. Consentirebbero a chi è in difficoltà di mettere in cassa integrazione i dipendenti, per poterli poi riassumere dopo un certo periodo di tempo, o comunque di gestire delle politiche di mantenimento del posto di lavoro.
  Nello stesso tempo, con il FIS potremmo fare quelle politiche attive di lavoro, di formazione, di preparazione dei soggetti, che possono poi dopo essere ricollocati nel mondo del lavoro. Io sono commercialista, e voi sapete che, se un collaboratore sta fuori un anno, non è facile rientrare, perché chiaramente non è più adeguato al mondo del lavoro.
  Per quanto riguarda la centrale unica di progettazione, è chiaro che siamo contrari, anzitutto per i costi; in secondo luogo, ci sembra l'ulteriore costituzione di un ente che per ora, come dicevamo, parte con una determinata struttura e avrà sicuramente un costo elevato. Che cosa farà? Centralizzerà tutte le risposte su tutti gli aspetti riguardanti le esigenze di territori completamente diversi? Credo che la costituzione di tale centrale unica sia un aspetto negativo.
  Per quanto riguarda il discorso dell'aggregazione, è fondamentale che gli studi professionali vengano messi in condizione di aggregarsi, di mettersi insieme, magari anche con professionalità diverse. Se restiamo piccoli, verremo eliminati.
  Lo vediamo tutti i giorni nell'area tecnica: le grandi società di servizi di ingegneria straniere fanno concorrenza ai nostri professionisti, assunti magari per fare i dipendenti, perché sono più bravi degli altri. Abbiamo una scuola che prepara bene i giovani. Io sono soddisfatto di quelli che svolgono gli stage presso il mio studio. Trovo ragazzi in gamba, che hanno voglia di fare, contrariamente a quanto si dice come luogo comune. Ci sono grandi possibilità per puntare su questi giovani che hanno voglia e hanno cervello e capacità. La nostra scuola li forma bene.
  A questo punto, sfruttiamo meglio questi aspetti, consentiamo a questi giovani di fare società in maniera semplice e con sistemi concreti affinché possano avere anche l'agevolazione fiscale, come si diceva a proposito delle società tra professionisti. Oggi, se si costituisce una società tra professionisti si hanno gli stessi vincoli previsti per una società a responsabilità limitata, anzi se ne ha qualcuno di più. A questo punto, forse vale la pena puntare sulla società a responsabilità limitata. Ecco perché, ovviamente, le società tra professionisti non sono nate. Tutto rientra nell'ambito di una visione complessiva del mondo delle professioni. Tutta la normativa sulle società tra professionisti va rivista, secondo me.
  Senatore Zuliani, le rispondo sul reddito di cittadinanza telegraficamente. In primo luogo, noi lavoriamo costantemente come professionisti sia nell'area tecnica sia nell'area amministrativa – io, per esempio, sono revisore dei conti o presidente del collegio dei revisori dei conti in alcuni enti – e, quindi, lavoriamo sempre a stretto contatto con gli enti pubblici, pertanto siamo sempre disponibili. Ribadiamo in questa sede che il nostro centro studi è sempre a disposizione per eventuale supporto a tutti gli enti che ne abbiano la necessità.
  Quanto all'iniziativa della gestione dei centri per l'impiego, abbiamo già concluso un accordo di massima con l'Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (ANPAL), perché vorremmo, comunque, mettere a disposizione i nostri centri sul territorio e i nostri professionisti affinché aiutino i lavoratori autonomi e i collaboratori in un percorso formativo che porti a un livello di formazione e di preparazione assolutamente adeguato alle esigenze di mercato attuali.
  Ripeto che chi non ha capito, tra i professionisti, che la formazione dei propri collaboratori è la parte più importante dell'attività professionale, non durerà molti anni sul mercato, perché è fondamentale avere dei collaboratori sempre più preparati, anche sotto l'aspetto tecnologico.
  Come detto, noi comunque auspichiamo che qualsiasi politica scelta dal punto di vista delle politiche passive sul lavoro abbia Pag. 106il contraltare di una politica attiva. Non basta dare un sussidio, dare un contributo. Come dicevo prima relativamente al FIS, vorremmo che ci fosse anche la possibilità di riconvertire, di dare dignità e lavoro, nel senso anche di formare chi lavora perché sia riassorbito nel mercato del lavoro. Essere ai margini del mondo del lavoro ha anche implicazioni sociali sicuramente deleterie per il Paese, ma anche per i soggetti coinvolti.

  PRESIDENTE. Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti dell'Alleanza delle cooperative.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio per il 2019-2021, l'audizione, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del Regolamento della Camera, di rappresentanti dell'Alleanza delle cooperative.
  Do la parola a Maurizio Gardini, presidente di Alleanza delle cooperative italiane e di Confcooperative, per lo svolgimento della sua relazione.

  MAURIZIO GARDINI, presidente di Alleanza delle cooperative italiane e di Confcooperative. Buonasera e grazie per questa opportunità che ci viene offerta, in particolare sul disegno di legge di bilancio, a nome dell'Alleanza delle cooperative, ma soprattutto dei nostri 12 milioni di soci e 1,15 milioni di occupati.
  Ho preannunciato che non leggerò il documento, che abbiamo depositato e che vi è stato consegnato. Abbiamo fatto uno sforzo, sono sedici pagine e, se mi mettessi a leggere il documento, porterei a casa tanti improperi e scarsissima attenzione, pertanto procedo con poche battute e poche riflessioni di sintesi, rimandando al documento.
  Se la legge di bilancio è l'insieme degli strumenti e delle misure con cui si traduce una visione di Paese, un'aspettativa, un progetto, noi, come Alleanza delle cooperative, abbiamo fatto uno sforzo producendo un manifesto, chiamato «Cambiare l'Italia cooperando», che abbiamo presentato a tutte le forze politiche prima delle ultime elezioni. Questo manifesto ha cinque cardini: il lavoro, l'innovazione, la legalità, il welfare e la sostenibilità. È in assoluta coerenza con questa nostra visione di Paese e con il nostro manifesto che esprimiamo le nostre riflessioni sul disegno di legge di bilancio che ha avviato l’iter parlamentare.
  Non posso cominciare senza una nota di preoccupazione legata a quello che sta succedendo nell'economia reale di tutti i giorni, non solamente relativamente allo spread, ma soprattutto relativamente a tutto ciò che in qualche misura riguarda la preoccupazione dei cittadini e delle imprese, come l'aumento del costo del denaro i cui effetti si stanno già sentendo. Chi oggi deve sottoscrivere un mutuo paga sicuramente di più di quello che avrebbe pagato due mesi fa, chi lo aveva cominciato a discutere due mesi fa oggi se lo ritrova in conclusione con dei tassi più alti, a volte anche maggiori di mezzo punto, che diventa un punto nelle regioni più fragili. È chiaro che questo ci causa una certa preoccupazione.
  Il fatto di aver posticipato il pareggio strutturale di bilancio è in sé un elemento di preoccupazione, ma non è un elemento di terrore, se le risorse vengono destinate agli investimenti e non alla spesa corrente.
  Il Ministro Tria ha sostenuto che, in coerenza con il contratto di Governo, l'Italia appartiene all'Europa e all'Eurozona. Abbiamo accolto questa dichiarazione con soddisfazione. Pensiamo che vadano profusi tutti gli sforzi possibili per evitare un muro contro muro con le istituzioni europee.
  Certamente questa Europa non ci soddisfa appieno, lo abbiamo detto da tempo, non solamente nelle ultime settimane. Ci sono tre elementi che, secondo noi, devono avere valore: il pilastro sociale dell'Europa, al fine di un suo rafforzamento a scapito di quello finanziario; il rispetto delle diversità territoriali e, quindi, delle differenze, non un'unica taglia di sviluppo; e una governance più snella.
  Vedendo alle proposte che il Governo ha presentato, è chiaro che esprimiamo una soddisfazione Pag. 107 sulla sterilizzazione delle clausole di salvaguardia. Non aumentare l'IVA è sicuramente positivo, anche per non avere un ulteriore effetto depressivo sui consumi.
  È vero che l'Italia sta cambiando: sta cambiando la natura dei consumi, sta cambiando la nostra popolazione, stanno cambiando le abitudini alimentari. In tre anni il consumo di pane è calato del 10 per cento, così come il consumo di latte alimentare, il consumo di pomodoro e il consumo di prodotti basici. C'è effettivamente una forte contrazione dei consumi che ci preoccupa, anche dei consumi basici, che non dipende solo dall'attenzione agli sprechi, ma anche dall'effettiva difficoltà in cui si trova il Paese. Dunque, bene la sterilizzazione dell'IVA.
  Sul reddito di cittadinanza, che è sicuramente uno dei punti, se non altro per le risorse che assorbe, su cui ci sono stati più dialettica e più impegno nell'ambito della discussione sul disegno di legge di bilancio, noi abbiamo condiviso anche nel passato misure che si ponevano come contrasto strutturale alla povertà. Bisogna avere, però, la forza di equilibrare e di gestire questo contrasto strutturale alla povertà con gli obiettivi di politica attiva del lavoro, altrimenti questa misura finisce per essere solo una spesa corrente e non un investimento per la crescita del Paese e per il sostegno alle aree e ai cittadini più deboli.
  Oggi un'indagine indica che oltre il 60 per cento dei cittadini che potrebbero usufruire del reddito di cittadinanza sono collocati al Sud e che la prima città del Nord per l'applicazione di questa misura è al quarantesimo posto, quindi c'è una localizzazione molto ben precisa. Noi abbiamo bisogno che queste politiche e anche queste risorse sui centri per l'impiego vadano a cogliere effettivamente l'obiettivo.
  Abbiamo visto anche come la non adeguatezza dei centri per l'impiego sia stata la causa del parziale fallimento del progetto «Garanzia giovani», su cui c'erano delle ambizioni e su cui erano stanziate risorse decisamente minori. I centri per l'impiego non possono essere lasciati solamente alla capacità del pubblico. Noi chiediamo oggi che ci sia la capacità di gestire insieme, pubblico e privato, e che venga coinvolto chi ha maggiore esperienza. Sicuramente gli esempi virtuosi sono più al Nord che al Sud, per la verità, però possiamo anche trasferire al Sud le esperienze positive del Nord, che coniugano sicuramente esperienze e collaborazione fra strutture private e centri per l'impiego.
  La cooperazione è disponibile a fare la propria parte e a mettere a disposizione il proprio know how. Vorremmo che queste risorse trovassero, però, anche nell'autoimprenditorialità uno strumento importante, perché i centri per l'impiego fanno matching tra domanda e offerta di lavoro, ma quando non c'è lavoro è difficile farli incontrare, quindi il lavoro va stimolato anche attraverso l'autoimprenditorialità. Si potrebbe anche pensare a delle misure volte a mettere a disposizione risorse finalizzate alla nascita di nuove imprese e per l'autoimprenditorialità, allo scopo di dare inizio alla fase di start-up.
  Sulla flat tax cogliamo un'indicazione che il Governo ha presentato, una prima misura. La misura sarebbe discutibile se non fosse arricchita da un ripensamento generale di tutte le aliquote su tutti i redditi e soprattutto se non fosse inserita in un disegno più complessivo di riordino e semplificazione dell'ordinamento tributario, che ormai è assolutamente caotico e incerto.
  Bene la proroga delle detrazioni fiscali per gli interventi di efficienza energetica, ristrutturazione edilizia e acquisto di mobili, misura che ha consentito sicuramente di mettere in maggiore sicurezza buona parte dell'edilizia privata e che ha permesso di sostenere, anche in mancanza di committenza pubblica, una parte importante dell'economia.
  Sulla pacificazione fiscale, senza entrare nel merito dell'iniziativa, riteniamo che una definizione eccezionale delle pendenze si riveli quanto più opportuna e coerente se si accompagna a una contestuale revisione di ampio respiro dell'ordinamento tributario, come ho già detto prima.
  Vediamo con favore tutte le risorse che saranno dedicate agli investimenti. C'è qualche perplessità relativa a quanto previsto dall'articolo 17 sulla centrale per la progettazione delle opere pubbliche. È necessario, Pag. 108secondo noi, ripristinare le risorse per Industria 4.0, con maggiore attenzione alle piccole e medie imprese.
  Per quanto concerne le risorse per il Mezzogiorno, la prossima settimana apriremo la nostra biennale della cooperazione a Bari. C'è un'attenzione della cooperazione a tutto il Mezzogiorno. Chiediamo solamente che al Mezzogiorno sia destinato un volume complessivo di stanziamenti ordinari proporzionali alla popolazione di riferimento. Dobbiamo colmare cinque o sei punti di differenza, quanto meno.
  Soprattutto su questo occorrerebbe aprire una nuova stagione di coprogettazione fra pubblico e privato. Non dobbiamo avvertire nella coprogettazione fra sistema pubblico e sistema imprenditoriale un elemento negativo. Riteniamo che possa sicuramente sprigionare delle risorse positive.
  Vanno bene le proroghe sulla decontribuzione delle assunzioni a tempo indeterminato nel Sud e i nuovi bonus occupazionali per i giovani laureati e dottorandi meritevoli, anche se i numeri rischiano di essere non eccessivamente significativi sul piano occupazionale.
  C'è sicuramente, però, un elemento, che è stato richiamato anche nelle altre audizioni: la necessità di intervenire sul costo del lavoro. Abbiamo undici-dodici punti di costo del lavoro in più rispetto alla media dei Paesi OCSE e a un costo del lavoro così alto non corrisponde una busta paga altrettanto adeguata.
  Un altro nodo importante è quello delle pensioni. Attendiamo di conoscere quale sarà il dettaglio effettivo e quale sarà la traduzione di una volontà del Governo, che ovviamente si dovrà confrontare con le possibilità di bilancio. Abbiamo dichiarato al Governo, in un'audizione che abbiamo svolto presso il Ministero del lavoro e della previdenza sociale, che saremmo stati disponibili anche a prevedere un contributo versato dal datore di lavoro per agevolare questi processi soprattutto di turnover, a condizione che ci fosse uno sgravio fiscale per l'impresa e, quindi, un beneficio netto per il lavoratore.
  Rafforzare e agevolare la previdenza integrativa è un altro cardine. Si migliora sicuramente la prospettiva di uscita dal mondo del lavoro con un'integrazione fra la pensione erogata dall'INPS e la pensione integrativa, che deve essere ulteriormente rafforzata.
  Apprezziamo lo stanziamento per il potenziamento del piano straordinario di promozione del made in Italy e di attrazione degli investimenti in Italia, in particolare il piano per l'internazionalizzazione. Va potenziato tutto quello che di buono è stato fatto e vanno sostenute le imprese nel processo di internazionalizzazione.
  Io cito, anche per mia formazione, essendo un cooperatore di questo settore, l'esperienza dell'agroalimentare, che è riuscito in pochi anni a passare da 32-33 miliardi di euro a oltre 42 miliardi di euro, fermo restando l'obiettivo di 50 miliardi di euro. Sicuramente questo è un obiettivo molto importante per il Paese.
  Sulle coperture esprimiamo qualche preoccupazione, perché le coperture che sono oggi proposte, che incidono sicuramente sul credito, finirebbero, a nostro avviso, per aumentare i costi e, quindi, per diventare costi per l'impresa e costi per i cittadini, che si aggiungerebbero a quelli determinati dagli effetti speculativi sullo spread, il che significa meno credito e a costi più alti. Non siamo a rischio credit crunch, ma c'è sicuramente una preoccupazione che vogliamo segnalare.
  Inoltre, fra i collegati alla manovra e le altre riforme noi portiamo avanti una battaglia. La sacra battaglia per l'Alleanza delle cooperative è la lotta alla falsa cooperazione. Questa è per noi una patologia grave. Abbiamo chiesto da alcuni anni alla politica di accompagnarci in questo percorso e abbiamo raccolto oltre 100.000 firme per un disegno di legge di iniziativa popolare. Nell'ultima legge di bilancio, dopo che era rimasto bloccato in Commissione al Senato, si è aperto il cantiere con alcune misure. Vi chiediamo, per favore, di essere aiutati in questo percorso, perché non possiamo assolutamente tollerare che in nome del modello cooperativo si attuino gli sfruttamenti più atroci e più bestiali, quindi questo è sicuramente un nostro impegno. Il Ministro dello sviluppo economico, in un incontro con la cooperazione nel mese di luglio, ci aveva già assicurato che ci sarebbe stato un impegno e, Pag. 109quindi, ci attendiamo che ci sia anche un inasprimento penale, perché devono essere profondamente colpiti quelli che delinquono attraverso le false cooperative.
  C'è poi il tema della vigilanza, su cui noi chiediamo al Governo di aprire un momento di riflessione e di dialogo. Non siamo a difesa di un sistema che ha visto dalla Costituzione in poi protagoniste le centrali cooperative di una funzione riconosciuta e delegata; siamo a proporre insieme una collaborazione per estendere maggiormente la revisione a quelle cooperative che oggi non sono revisionate. Le centrali cooperative revisionano oltre il 99 per cento delle cooperative aderenti. Purtroppo, questa percentuale non corrisponde alle centrali minori e alle cooperative non aderenti.
  La revisione è uno strumento importante: è il primo strumento di prevenzione, che aiuta anche nel caso di crisi d'impresa. Noi vogliamo aiutare le cooperative a nascere, il nostro compito prioritario è aiutarle, promuoverle e tutelarle, ma vogliamo anche accompagnarle quando muoiono. Le imprese nascono e muoiono e quando muoiono è necessario che anche questo processo sofferto sia un processo che consenta di salvare il lavoro e di salvare i creditori, non solamente le banche. Il modello della liquidazione coatta, che nasce proprio da una collaborazione fra la responsabilità di vigilanza, il Ministero dello sviluppo economico, e il revisore, produce sicuramente un effetto totalmente diverso rispetto alla gestione fallimentare dei tribunali. Vi potremmo elencare decine di casi negli ultimi anni di risvolti decisamente diversi.
  Consentiteci poi di avanzare una richiesta. Vorremmo che il Parlamento si intestasse alcune proposte di innovazione, in ossequio e in coerenza con l'articolo 45 della Costituzione. Occorre promuovere la cooperazione vera con la funzione sociale. Le cooperative di comunità sono già una realtà. Le paragono al ruolo che ha avuto la cooperazione sociale dagli anni 1980 in poi, che il Parlamento con la legge n. 381 del 1991 ha raccolto. Le cooperative di comunità, che esprimono l'alto protagonismo dei cittadini, sicuramente costituirebbero un'opportunità per quelle parti di Paese più disagiate e più marginali per un progetto di recupero e anche di rilancio dell'occupazione, soprattutto dei giovani. Pertanto, per noi questo costituisce un punto qualificante, ci stiamo lavorando e ci stiamo sforzando di promuoverlo.
  Ci sono state negli ultimi due anni alcune risorse di incentivazione delle workers buyout, che non sono altro che imprese che muoiono o che non hanno successione e che vengono prese in mano da cooperative. I lavoratori di un'azienda in difficoltà trasferiscono lì i loro ammortizzatori per dar vita a nuovi modelli di impresa. Ce ne sono tante e sono sicuramente un modello a cui ispirarsi.
  Sottolineo, altresì, il tema della tassazione del ristorno per favorire la capitalizzazione. Infine, l'ultimo tema – ce ne sono altri, ma vi rimando alla lettura del documento depositato, se avrete la pazienza e la bontà – è quello delle aree montane, delle aree disagiate e della manutenzione del territorio. Abbiamo assolutamente bisogno di un percorso di lungo periodo che ci metta in condizione di investire sul territorio e sull'assetto idrogeologico.
  Ieri ero a Parma. Anche nella provincia di Parma, che pure non ha subìto i danni del Friuli, del bellunese, della Sicilia, della Calabria e del Piemonte negli ultimi tempi, in collina e in montagna, vi sono vaste aree di dissesto idrogeologico. È un problema che riguarda tutto il Paese. Non possiamo sempre solo piangere i morti o le disgrazie quando ci sono e quindi occorre investire tre o quattro volte di più in manutenzione straordinaria e in soccorso alle calamità.
  Avviare un processo corposo di manutenzione straordinaria del territorio sarebbe sicuramente anche il modo di mettere in sicurezza il territorio, di renderlo più bello e più fruibile e anche di sviluppare occupazione al suo interno.

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  RAPHAEL RADUZZI. Io sono rimasto basito di fronte alla dichiarazione sui mutui e sull'aumento del costo del denaro per le imprese, Pag. 110 perché ritengo che chiunque abbia diritto alle opinioni, però poi dovrebbe anche portarci i dati. I dati della Banca d'Italia, di tre giorni fa, ci dicono che a settembre i tassi sui mutui sono scesi al 2,16 per cento e per le società non finanziarie sono risultati pari all'1,45 per cento, in discesa rispetto all'1,55 per cento di agosto. La stessa Banca d'Italia due settimane fa ha fornito un'indagine sul credito, in cui metteva in luce che per l'ultimo trimestre i dati rimanevano sostanzialmente invariati.
  Pertanto, io le chiederei un po’ più di precisione, per non creare allarmismo in un momento in cui certi tipi di informazioni sono anche delicati.

  MAURIZIO GARDINI, presidente di Alleanza delle cooperative italiane e di Confcooperative. Lungi da noi produrre allarmismi o creare preoccupazioni, però basta andare in banca oggi a chiedere un mutuo a vent'anni per l'acquisto di una casa. Chi le parla è presidente di una cooperativa, che aveva cominciato un'operazione finanziaria tre mesi fa a determinati tassi, con un term sheet di determinati tassi, e oggi vi è una delibera che afferma che sono cambiate le condizioni. Se non c'è un intervento sul brevissimo termine, ma c'è un intervento sul lungo termine, oltre i cinque anni, tanto più se oltre i dieci anni, il mondo bancario sconta già un aumento dei tassi.
  Non ho intenzione di sollevare allarmismi. Abbiamo presentato un'indagine assieme al CENSIS che testimonia come rispetto agli altri Paesi europei sull'accesso al credito siamo già in ritardo. Chi le parla è presidente di una cooperativa che ha anche una controllata in Spagna. In Spagna e in Francia paghiamo tassi diversi e paghiamo tassi stabili. Oggi in Italia abbiamo tassi in aumento. Non lo dico per fare allarmismo, ma perché evidentemente alcune misure hanno determinato queste condizioni. Purtroppo, questi sono dati di fatto.

  GIORGIO LOVECCHIO. Nel suo intervento lei ha parlato di reddito di cittadinanza. La voglio solo correggere, perché si prevede che per il 47 per cento il reddito di cittadinanza andrà nelle regioni del Nord. Da studi effettuati emerge che non aiuterà solo le regioni del Sud, ma andrà maggiormente al Nord.
  Inoltre, lei parlava di incentivi alla creazione di nuove imprese, però contestualmente ci ha detto che negli ultimi tre anni c'è stata una contrazione dei consumi di prima necessità. Con il reddito di cittadinanza noi, non solo daremo dignità a coloro che non hanno reddito, ma creeremo nuovi consumatori, che è una cosa importante per le imprese. Infatti, oggi il problema è che non ci sono consumatori: chi produce non sa a chi vendere.
  La mia domanda è: perché non pensate che il reddito di cittadinanza possa essere di aiuto a creare nuovi posti di lavoro e contestualmente possa essere d'aiuto alle imprese in difficoltà in questo momento?

  MAURIZIO GARDINI, presidente di Alleanza delle cooperative italiane e di Confcooperative. Forse non mi sono spiegato bene. Non ho detto che il reddito di cittadinanza non possa sostenere il reddito e non possa sostenere i consumi. Ho citato una fonte de Il Sole 24 Ore di oggi pomeriggio – che è sicuramente una fonte di parte, non è una mia fonte autonoma – che dà questa indicazione.
  Il problema non è se le risorse vanno di più al Sud o di più al Nord. Magari andassero di più al Sud e fossero un vero elemento di sviluppo e di crescita del Sud, perché non esiste crescita del Paese se non c'è la crescita del Sud; non può essere solamente il Nord ad agganciare i percorsi europei rispetto ad altre regioni, il Sud non può rimanere indietro. Ho parlato di interventi sulle zone interne, quindi da questo punto di vista non c'è dubbio.
  Ho espresso la necessità che queste non siano solamente risorse di sostegno, ma che siano anche risorse nei confronti delle parti meno abbienti della società, quelle più povere, che si tratti di un intervento nei confronti delle povertà. Ricordo che noi siamo stati tra quelli che hanno rivendicato negli anni passati interventi a favore dei poveri, mettendo in campo anche tutte le strutture di sostegno per la povertà, non per fare solamente della carità, ma allo scopo di un soccorso e una politica attiva che mettesse in Pag. 111condizioni di entrare nel mondo del lavoro e di creare lavoro.
  Ho parlato della creazione di autoimprenditorialità. Abbiamo visto come, soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno ma anche del Nord, piccole cooperative di territorio, che coinvolgono prevalentemente giovani – le potremmo parlare dell'Abruzzo, delle zone terremotate del Lazio, della Puglia o della Calabria – riescono a intercettare e a essere protagoniste di uno sviluppo che interagisce con i beni enogastronomici, con i beni culturali, con i beni turistici e con tutta la ricchezza vera del territorio. Infatti, difficilmente si può trasferire un'industria, ad esempio, in Calabria che può assumere e dare lavoro a centinaia di persone; si può pensare di portarne una, ma non si tratterebbe certamente di un evento diffuso.

  ELENA CARNEVALI. Ringrazio il presidente Gardini per questa audizione. Mi sembra di aver colto da questa audizione che preferireste una sorta di ridistribuzione delle risorse che attualmente sono previste come investimento sul reddito di cittadinanza.
  Le domande sono due. La prima è se ritiene opportuno, invece, rifinanziare e rafforzare il reddito di inclusione attualmente previsto. In secondo luogo, vorrei sapere cosa pensa del fatto che, da una parte, conveniamo sull'esigenza di un rafforzamento dei centri dell'impiego, ma attualmente è previsto che questo finanziamento dei centri per l'impiego avvenga peraltro per un anno, con uno stanziamento di un miliardo di euro. Il rischio è che vedremo altri precari anche all'interno dei centri per l'impiego. Qual è la sua opinione?

  MAURIZIO GARDINI, presidente di Alleanza delle cooperative italiane e di Confcooperative. La mia opinione è che anche nel passato, nelle ultime leggi di bilancio, noi abbiamo chiesto che ci fossero attenzioni e risorse per le fasce più deboli della cittadinanza. Per quanto concerne il reddito di inclusione, ci siamo accontentati. Volevamo che fossero stanziate anche più risorse.
  Non vedo elementi di contrapposizione se raggiungono le medesime finalità di assistere e accompagnare le fasce più deboli, ma soprattutto se si pongono l'obiettivo di equilibrare la funzione sociale di sostegno con la funzione di creazione di posti di lavoro.
  Sui centri per l'impiego io non posso che esprimere qualche perplessità, nel senso che ci sono centri per l'impiego che oggi assolvono bene il loro ruolo. La settimana scorsa ero in Veneto, dove un centro di formazione professionale del movimento cooperativo, assieme al centro per l'impiego, sta svolgendo un'azione molto impegnativa e con risultati anche molto positivi di matching tra domanda e offerta di lavoro. Purtroppo – ahimè – non è così in tutto il Paese. Ho qualche perplessità che in un anno si riesca a mettere in piedi un sistema di centri per l'impiego pubblici.
  È anche per questo che abbiamo offerto la nostra disponibilità a collaborare a un progetto comune, che non può essere solo un progetto pubblico, ma deve diventare un progetto più ampio, che veda anche la responsabilità e la presenza dei privati che accettano di condividere un percorso e un progetto.

  PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Gardini e saluto i rappresentanti di Alleanza delle cooperative.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 20.05.