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Resoconto dell'Assemblea

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XVIII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 20 novembre 2020

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,

   premesso che:

    il nostro Paese si trova a dover gestire l'attuale seconda ondata di contagi da COVID-19 con troppe armi spuntate nonostante questi ultimi mesi di sostanziale tregua pandemica, avrebbero dovuto imporre una migliore organizzazione per attrezzarsi al meglio al temuto ritorno e alla recrudescenza dei contagi;

    così come a primavere scorsa, anche ora ci si ritrova purtroppo di fronte alle tende dell'Esercito dinanzi ai pronto soccorso. Gli ospedali sono prossimi al collasso per carenza di personale e mancanza di posti letto a fronte dell'imponente afflusso di malati conseguente alla rapida e vertiginosa diffusione dell'infezione da COVID-19;

    alla responsabilità degli enti territoriali si aggiunge, ad avviso dei firmatari del presente atto, la colpevole superficialità del Governo che ha fatto trascorrere invano questi mesi di apparente tregua dopo la prima ondata pandemica. Un rilassamento ancora più intollerabile alla luce del fatto che la comunità scientifica aveva messo in guardia fin da subito su un certo ritorno del picco dei contagi e dei morti da COVID-19;

    da tempo in Italia sono stati prodotti diversi studi che indicavano ciò che stava effettivamente accadendo, e la strada da intraprendere per evitare di ritornare in una situazione tragica quale quella sperimentata nella scorsa primavera;

    ferme restando le responsabilità delle regioni per la qualità dell'assistenza prestata e per l'organizzazione complessiva dei servizi sanitari durante la prima ondata pandemica, è del tutto evidente che al Governo spetti l'attività di coordinamento, di programmazione degli interventi, di controllo e, se necessario, di sostituzione;

    la Carta Costituzionale, e in particolare l'articolo 117, attribuisce allo Stato la competenza concorrente in materia di tutela della salute. Ciò significa che allo Stato spetta la definizione delle norme generali e, quindi, il coordinamento dell'azione delle regioni a tutela della salute;

    a ciò si aggiunga l'articolo 120 secondo comma, della Costituzione che riserva al Governo il compito di sostituirsi agli organi regionali e comunali laddove lo esiga la tutela della incolumità e della sicurezza pubblica;

    la realtà è che da tempo andava avviato un serio piano di potenziamento per prepararsi alla prevedibile seconda ondata. Questo potenziamento non è avvenuto. Come per il piano di potenziamento delle terapie intensive che poi ha accumulato più di un ritardo e per il quale sono stati stanziati 1,2 miliardi di euro;

    le risorse dovevano servire, come previsto dal «decreto rilancio», anche a consolidare la separazione dei percorsi rendendola strutturale, ristrutturando i locali «con l'individuazione di distinte aree di permanenza per i pazienti sospetti COVID-19 o potenzialmente contagiosi, in attesa di diagnosi». La realtà, come dichiarato anche dal presidente della Simeu, la Società Italiana della medicina di emergenza-urgenza, è che «quei soldi sono stati usati troppo poco o meglio quasi per nulla». Oggi invece la gran parte dei pronto soccorso ha riorganizzato le strutture che già aveva, ma gli spazi si stanno dimostrando del tutto insufficienti;

    c'era l'impegno di creare 3.500 nuovi posti di terapia intensiva. Ad oggi si è a meno della metà dei posti aggiuntivi e operativi di terapia intensiva, previsti dal Governo a maggio 2020. Solo il 12 ottobre 2020 si è chiuso il bando di gara per le nuove postazioni; come ha ricordato il professor Crisanti in un documento consegnato in occasione di una sua recente audizione alla Camera, «durante la terza settimana di agosto è stato presentato a esponenti del Governo un documento che prefigurava come la ripresa delle attività lavorative, l'inizio delle scuole e alcuni appuntamenti elettorali inevitabilmente avrebbero creato le condizioni ottimali per innescare una esplosione della trasmissione. Lo stesso documento proponeva quindi di arrivare a questo appuntamento preparati per bloccare l'inevitabile aumento della trasmissione virale attraverso la creazione di un sistema di sorveglianza nazionale basato su una rete di laboratori in grado di processare centinaia di migliaia di tamponi molecolari al giorno in sinergia con gli strumenti di tracciamento informatico tipo app immuni e capacità logistica di rendere il test disponibile in tutte le zone del paese (...). Questo segnale di allarme è stato trascurato e invece di investire risorse, strumenti informatici e logistica in un sistema sorveglianza attiva in grado di interrompere le catene di trasmissione e consolidare i risultati ottenuti con sacrifici umani ed economici senza precedenti nella storia della Repubblica abbiamo affrontato con spensierata leggerezza la riapertura delle scuole, a ripresa delle attività produttive senza un piano di prevenzione»;

    le carenze organizzative e il troppo tempo trascorso in questi ultimi mesi senza la necessaria programmazione stanno mostrando tutti i loro effetti, a cominciare dalle misure messe in campo per consentire il tracciamento e ricostruire la catena dei contagi;

    è necessario incrementare il numero di tamponi, dando soluzione ai troppi cittadini che per farli, sono costretti spesso a file interminabili e i risultati arrivano dopo diversi giorni;

    a ciò si aggiunga che inspiegabilmente, i centri diagnostici privati sono stati coinvolti tardi, in modo parziale e ancora non in tutte le regioni;

    nonostante le promesse di rafforzare la medicina territoriale, i medici di base non sono in condizione di visitare a domicilio i loro pazienti sintomatici; attualmente ogni giorno si ricoverano quasi mille persone in più, ed è ormai quasi impossibile proteggere tutti i medici di famiglia con gli stessi dispositivi di protezione che hanno i medici delle terapie intensive;

    queste carenze organizzative fanno sì che sempre più persone si presentino in ospedale e ai pronto soccorso dove poi i medici spesso sono obbligati a ricoverare i pazienti in osservazione;

    per dare una risposta a queste esigenze che vengono dal territorio, e sempre nell'ambito del potenziamento dell'assistenza territoriale, sarebbe necessario estendere e implementare le unità speciali di continuità assistenziale (Usca), previste dall'articolo 4-bis del decreto-legge n. 18 del 2020 indispensabili per la gestione domiciliare dei pazienti affetti da COVID-19 che non necessitano di ricovero ospedaliero, anche al fine di alleggerire i medici di famiglia e i pediatri di libera scelta consentendogli di svolgere al meglio e in maggiore sicurezza l'attività assistenziale ordinaria;

    sempre con riguardo ai medici di famiglia, il 28 ottobre 2020 è stato siglato un Accordo collettivo nazionale, che prevede l'effettuazione di tamponi rapidi antigenici anche da parte dei medici di base e dei pediatri di libera scelta. I tempi attuativi di questo accordo sono ancora incerti;

    il citato accordo per l'esecuzione dei test rapidi, ha visto divisi gli stessi medici coinvolti e tra i sindacati dei medici di base soltanto la Federazione dei medici di medicina generale (Fimmg), ha dato piena disponibilità, mentre il Sindacato medici italiani, Smi, e il Sindacato nazionale autonomo medici italiani, Snami, hanno ribadito la loro contrarietà;

    in conseguenza del fatto che i tamponi potranno essere effettuati negli studi dei suddetti medici, nei giorni scorsi, il presidente dell'Ordine dei medici di Milano, prevedeva una possibile «rivolta dei condomini» per quei medici di famiglia che comincino a fare tamponi rapidi nei loro studi;

    le notizie di questi giorni fanno ben sperare nella possibilità di cominciare a somministrare uno o più vaccini anti Covid già dai primi mesi del 2021;

    vanno assolutamente scongiurati la totale approssimazione, disorganizzazione e i troppi ritardi con i quali si sta procedendo in queste settimane alla campagna di vaccinazione antinfluenzale, peraltro particolarmente necessaria in questa fase di pandemia per agevolare la diagnosi differenziata e ridurre la pressione sul servizio sanitario nazionale;

    le quantità disponibili di vaccini sono insufficienti anche per una parte della popolazione anziana. Non si trovano nelle farmacie. Molti cittadini, dopo mille raccomandazioni a vaccinarsi, non faticano a farlo. Per fronteggiare l'emergenza si dovevano centralizzare le procedure di acquisto a livello nazionale;

    in attesa dei prossimi vaccini anti Covid, è decisivo che i piani vengano formulati subito. Per arrivare a distribuire il vaccino fin dai primi mesi del prossimo anno, è necessario che l'Italia, così come gli altri Paesi, cominci a programmare fin da subito per prepararsi per tempo;

    il piano del Governo, ancora tutto da costruire, servirà ad elaborare una strategia necessaria ad affrontare al meglio la distribuzione e somministrazione del vaccino senza impatti negativi sulla catena di distribuzione, che peraltro ha bisogno di temperature particolarmente basse;

    sarà decisivo individuare già da adesso le categorie di persone a cui somministrare per primi il futuro vaccino anti Covid;

    si è perso del tempo prezioso per prepararsi al meglio alla prevista seconda ondata pandemica. Non solo riguardo al potenziamento e alla dotazione delle strutture sanitarie, ma anche riguardo al fondamentale lavoro di raccolta ed elaborazione dei dati, indispensabile per monitorare e conoscere in dettaglio capire dove avviene il contagio. Per fare questo ci sarebbe bisogno dei dati individuali, ossia i cosiddetti «microdati»;

    in Italia la comunità scientifica li invoca da inizio pandemia, ma senza risultati. Per ora si dispone di informazioni «aggregate» sulla distribuzione di età e comorbidità negli infetti. Ma alla comunità scientifica non è dato accedere alle caratteristiche demografiche, economiche, sociali e sanitarie di ognuno, che sarebbero fondamentali per dedurre quali categorie sono più vulnerabili, in modo più raffinato di quanto si può fare ora. I dati probabilmente esistono, ma non sono raccolti in un dataset centralizzato condiviso con la comunità scientifica. Quando si somministrano i tamponi, e ancora di più nel tracciare i contatti dei pazienti positivi, si ha una grande occasione per raccogliere informazioni, che, se condivise con la comunità scientifica, consentirebbe di elaborare strategie mirate per contrastare la diffusione del virus e preservare quanto più possibile l'economia e la vita produttiva e sociale del Paese;

    nella strategia di contrasto alla pandemia in atto, un ruolo centrale avrebbe dovuto essere quello di mettere in atto un efficace sistema di tracciamento dei contatti. Sotto questo aspetto dal 15 giugno 2020 è stata resa operativa, su base volontaria, l'App Immuni, che consente di avvertire gli utenti che hanno avuto un'esposizione a rischio o un contatto con un utente risultato positivo al Sars-Cov2. La realtà è che questo strumento di tracciamento si è rivelato sostanzialmente fallimentare. Un insuccesso che non può essere solamente addebitato ai cittadini e ad un loro rilassamento in termini di percezione del pericolo, ma è evidente una responsabilità di chi ancora una volta non ha saputo organizzare al meglio queste iniziative di tracciamento e di individuazione dei soggetti positivi;

    riguardo all'App Immuni, ad avviso dei firmatari del presente atto tutto è stato fatto tardi e male. La tecnologia può servire a rendere più efficiente un sistema, oppure paradossalmente può avere l'effetto di evidenziare l'inefficienza del medesimo sistema. L'esperienza della App ha mostrato l'inefficienza di questo sistema;

    la lotta contro l'epidemia si vince partendo dalla conoscenza dei dati epidemiologici indispensabili per capire per esempio i canali di trasmissione del virus oppure per organizzare una rete efficiente di tracciamento dei contatti. Da giugno 2020 l'Accademia dei Lincei, fra i tanti, aveva chiesto al Governo che fossero raccolti e messi a disposizione della comunità scientifica i dati epidemiologici. Ciò non è avvenuto e molti dati essenziali per la lotta al virus sono sconosciuti;

    la giusta attenzione alla pandemia in atto fa troppo spesso dimenticare che il COVID-19 provoca anche numerose vittime indirette, in quanto aumenta la mortalità per altre patologie a causa dei rinvii delle procedure di screening, delle diagnosi e degli interventi. Molti malati si trovano, infatti, in una condizione drammatica, in quanto i ritardi accumulati provocano in molti casi la cronicizzazione della patologia o un incremento dei decessi;

    secondo i dati diffusi da Nomisma, durante il periodo di lockdown, in Italia sono stati 410 mila gli interventi chirurgici rimandati e quindi da riprogrammare. Nomisma ha stimato come, nel periodo di sospensione dei ricoveri differibili e non urgenti, siano stati rimandati il 75 per cento dei ricoveri per interventi chirurgici in regime ordinario, con esclusione di quelli oncologici;

    nel dettaglio, sarebbero stati rimandati il 56 per cento dei ricoveri per interventi legati a malattie e disturbi dell'apparato cardiocircolatorio, mentre un terzo degli interventi da riprogrammare, stimati in 135 mila, riguarderebbero l'area ortopedica;

    secondo l'Associazione italiana di oncologia medica, invece, nei primi 5 mesi del 2020 in Italia sono stati eseguiti circa un milione e quattrocentomila esami di screening per i tumori in meno rispetto allo stesso periodo del 2019;

    quello che in questi mesi è mancato, come ha sottolineato anche la Fondazione Gimbe, è stata una strategia a medio-lungo termine condivisa tra Governo e regioni, in grado di potenziare adeguatamente i servizi sanitari;

    la realtà è che la terribile pandemia in atto ha messo a nudo l'estrema fragilità della nostra sanità pubblica;

    l'emergenza Coronavirus sta rappresentando una sorta di tragico «stress test» per il nostro servizio sanitario e la sua capacità di far fronte a scenari avversi;

    la pandemia in alto sta dimostrando ancora una volta che l'offerta sanitaria del nostro Paese deve essere ripensata e rafforzata;

    sempre maggiori sono infatti le difficoltà per il Servizio sanitario nazionale a garantire il fondamentale diritto alla salute che ha sempre caratterizzato il nostro servizio sanitario fin dalla sua istituzione (legge n. 833 del 1978);

    la fotografia attuale è che le risorse assegnate al fondo sanitario nazionale sono del tutto insufficienti, e a questo sottofinanziamento si aggiunge il grave e costante invecchiamento della popolazione, l'aumento delle malattie croniche, e l'aumento dei costi;

    l'Italia è il Paese più anziano d'Europa, con circa 24 milioni di malati cronici, e con differenze fortissime tra il Nord e il Sud del Paese. Si ha inoltre il più basso numero di posti letto in Europa;

    ma quello che da molto tempo è emerso e che si è acuito inevitabilmente con questa pandemia, è la scarsità del personale medico e di quello sanitario. Questa sta diventando sempre di più una delle principali emergenze;

    a far funzionare il servizio sanitario nazionale, non sono infatti solamente le nostre infrastrutture sanitarie e la dotazione di attrezzature mediche, ma sono i professionisti della sanità. Nei reparti degli ospedali mancano i medici specialisti, e i colleghi sono sottoposti a orari e privazioni che li riportano indietro alla prima ondata di marzo 2020;

    secondo le stime sul fabbisogno nelle corsie di rianimazione servono almeno 9 mila operatori per poter attivare i 3 mila letti in terapia intensiva che si punta ad aggiungere; il blocco del turnover (per fortuna recentemente in parte ridimensionato), per troppi anni ha impedito la sostituzione degli specialisti in uscita da parte di medici giovani, causando un progressivo invecchiamento del personale;

    la Commissione europea indica una necessità di 230 mila medici entro il 2023; a ciò si aggiunge una decennale, cronica e patologica carenza di infermieri;

    ad oggi, dopo ben 6-7 anni di studi, solo 1 medico su 3 ha la possibilità di continuare la carriera post-laurea in conseguenza della fallimentare programmazione del numero di specialisti per regione e disciplina. Il numero di contratti di formazione post lauream, è insufficiente a coprire la richiesta di specialisti e di percorsi formativi rispetto al numero di laureati. Questo ha prodotto un «imbuto formativo» che nel tempo ha ingabbiato in un limbo migliaia di giovani medici;

    l'imbuto formativo obbliga annualmente giovani medici neolaureati a congelare il loro percorso formativo, non avendo a disposizione contratti di formazione specialistica;

    in Italia la sola carenza calcolata della Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche (Fnopi) è di almeno 53 mila infermieri di cui la maggior parte (almeno 30 mila) sono quelli mancanti sul territorio;

    nel nostro Paese ci sono molto meno infermieri della media Ocse (5,4 per mille abitanti contro la media di 9), in particolare se rapportato al numero dei medici. Ogni infermiere dovrebbe assistere al massimo 6 pazienti per ridurre del 20 per cento la mortalità, mentre attualmente ne assiste in media 11;

    nei mesi scorsi è stata lanciata una petizione dal «Lettera 150» e dalla Fondazione David Hume, con un decalogo per «salvare l'Italia». La petizione prende avvio da «l'operazione verità» sugli errori commessi nei mesi scorsi per combattere l'epidemia. Una operazione lanciata da dieci studiosi, tra i quali Luca Ricolfi, Giuseppe Valditara, Andrea Crisanti e Giovanni Orsina;

    nella petizione si legge: «Noi pensiamo che quello che non è stato fatto fra maggio e ottobre debba assolutamente essere fatto ora che l'epidemia è riesplosa e stiamo per vivere un nuovo lockdown. Per evitare che anche questa volta i sacrifici degli italiani siano dispersi al vento vengono quindi proposte dieci cose non fatte finora, e che vanno fatte subito». I firmatari del presente atto di indirizzo le fanno convintamente proprie e anche su queste, chiedono un impegno serio al Governo ad attuarle,

impegna il Governo:

1) ad avviare un grande programma di investimenti nel settore sanitario anche sfruttando l'opportunità collegata all'utilizzo dei fondi provenienti da Next Generation Europe e della linea di credito del Meccanismo europeo di stabilità (Mes) per il finanziamento diretto e indiretto dei costi sanitari e dei necessari investimenti per rafforzare il sistema sanitario nazionale;

2) ad adottare iniziative per prevedere che specifiche risorse vengano destinate al potenziamento del Servizio sanitario nazionale, finanziando i programmi sanitari regionali redatti secondo il fabbisogno specifico al fine di garantire i livelli essenziali di assistenza, nonché all'ammodernamento e al potenziamento della rete ospedaliera e dei servizi di assistenza territoriale;

3) ad adottare iniziative per incrementare gli investimenti nella ricerca pubblica e privata;

4) ad adottare iniziative per avviare un piano di assunzioni di medici, infermieri, farmacisti e operatori sanitari procedendo, tra l'altro, alla stabilizzazione a tempo indeterminato del gran numero di specialisti medici, infermieri e farmacisti attualmente ancora precari;

5) ad adottare iniziative per riorganizzare, di concerto con le regioni, il servizio territoriale, potenziando il ruolo dei medici, farmacisti e infermieri anche attraverso l'utilizzo diffuso della telemedicina;

6) ad adottare le opportune iniziative normative al fine di superare il vincolo di esclusività per gli infermieri pubblici, consentendo loro un'intramoenia infermieristica che permetta agli stessi di prestare attività professionale a favore di strutture sociosanitarie (Rsa, case di riposo, strutture residenziali, riabilitative), anche per far fronte alla gravissima carenza di personale infermieristico di queste strutture;

7) ad adottare tutte le iniziative volte a rendere, di concerto con gli ordini professionali, la formazione di tutti i professionisti sanitari maggiormente legata al fabbisogno e alla programmazione del servizio sanitario nazionale, dove comunque l'università svolga un ruolo di coordinamento delle attività didattiche e di ricerca e di collaborazione con le strutture ospedaliere diffuse sul territorio;

8) ad adottare iniziative per finanziare ulteriori borse di specializzazione di medici, farmacisti e biologi, minimizzando il più possibile il rapporto neolaureati/borse e dando soluzione all'imbuto formativo;

9) ad avviare le opportune iniziative normative volte a prevedere il coinvolgimento professionale di medici e farmacisti specializzandi dal terzo o quarto anno affinché, a seconda della branca sanitaria, possano continuare la formazione specialistica svolgendo la loro professione sul campo, prevedendo altresì anche il coinvolgimento degli infermieri già dal terzo anno di studio;

10) a mettere in atto tutte le iniziative volte a recuperare gli interventi e gli screening anti-tumorali e di altre patologie sospesi durante i mesi più duri della pandemia e a ridurre le liste di attesa per patologie diverse dal COVID-19;

11) ad avviare tutte le iniziative di competenza volte a potenziare sensibilmente le misure di contrasto alla diffusione della pandemia, per fronteggiare la seconda ondata in atto e le possibili nuove recrudescenze del virus, al fine di:

   a) un rafforzamento della «sorveglianza attiva» attraverso test sierologici e l'uso di massa dei tamponi con il supporto in tutte le regioni dei laboratori, delle strutture diagnostiche private e delle farmacie in possesso di tutti i requisiti necessari, al fine di consentire che i tamponi siano effettuati nel maggior numero e minor tempo possibile, a garanzia di una effettiva tempestività nel monitoraggio e controllo della diffusione della Sars-Cov2;

   b) attivare in tutte le regioni il fascicolo sanitario elettronico e il dossier farmaceutico al fine di creare un database con tutti i dati necessari per gestire al meglio la diffusione pandemica;

   c) realizzare 20 mila posti di terapia intensiva prevedendo 1 posto letto ogni 3 mila abitanti;

   d) garantire realmente il distanziamento su tutti i mezzi pubblici, in quanto importante luogo di diffusione del contagio, prevedendo finanziamenti per incrementare il trasporto pubblica locale, il coinvolgimento di soggetti privati a supporto della mobilità locale ed efficaci modalità di controllo – finora inesistenti – del rispetto del distanziamento e della capienza massima a bordo, nonché prevedendo la misurazione della temperatura all'ingresso del mezzo;

   e) a sanare, nell'immediato, le gravi carenze e le inefficienze riscontrate finora nell'organizzazione della campagna vaccinale antinfluenzale, implementando a tal fine il ruolo centrale e troppo sottovalutato che può e deve essere svolto dalle farmacie assicurando un'adeguata e tempestiva disponibilità di vaccini anti-influenzali, e prevedendo la somministrazione dei vaccini all'interno delle medesime farmacie, anche attraverso infermieri specializzati o medici specializzandi;

   f) predisporre un piano volto ad affrontare al meglio la distribuzione della somministrazione del vaccino anti Covid che tenga conto della logistica della distribuzione e che coinvolga tutte le professioni sanitarie, individuando già da adesso le categorie di persone a cui somministrare il vaccino e che venga sottoposto alla valutazione preventiva del Parlamento;

   g) garantire che le vaccinazioni possano essere effettuate nel più breve tempo possibile, ampliando a tal fine la platea dei soggetti abilitati alla vaccinazione ed individuando anche le farmacie, dotate di spazi idonei, quale punto di inoculazione dei vaccini;

   h) prevedere specifiche risorse per l'acquisto di nuovi monoclonali attivi contro il COVID-19;

   i) rafforzare l'assistenza territoriale e, in particolare, quella domiciliare soprattutto per i soggetti in isolamento, anche attraverso un potenziamento sul territorio delle Usca, le unità speciali di continuità assistenziale, per la gestione domiciliare dei pazienti affetti da COVID-19 che non necessitano di ricovero ospedaliero, anche al fine di alleggerire i medici di famiglia e i pediatri di libera scelta consentendo agli stessi di svolgere al meglio e in maggiore sicurezza l'attività assistenziale ordinaria;

   l) implementare le cure domiciliari anche attraverso la creazione di una rete di telesorveglianza che metta in contatto il paziente con medici, farmacisti e infermieri;

   m) valutare la possibilità di utilizzare i medici specializzandi in anestesia sin dal terzo anno nelle terapie intensive per colmare le carenze e i vuoti attuali;

   n) istituire presìdi territoriali sanitari nelle scuole o reti di scuola (medici scolastici e/o infermieri) al fine di monitorare la prevenzione del contagio attraverso la somministrazione di tamponi al personale insegnante e scolastico;

   o) riattivare, anche attraverso l'utilizzo delle risorse del Mes sanitario, alcuni degli ospedali e dei presìdi sanitari chiusi a causa della riorganizzazione territoriale imposta dalla normativa vigente, per trasformarli in strutture Covid;

   p) potenziare e diffondere l'utilizzo dei Covid-hotel e altre strutture dove poter trascorrere la quarantena senza rischio di contagiare famigliari conviventi;

   q) dotare gli uffici, le strutture pubbliche, e i mezzi di trasporto pubblico locale di strumenti idonei di protezione dal contagio, quali misuratori di temperatura, Dpi, gel disinfettante e altro;

   r) avviare una costante interlocuzione tra il Comitato tecnico-scientifico, il Ministero della salute, la Società italiana Sistema 118 e rappresentanti di medici e personale sanitario, al fine di individuare le misure più efficaci per implementare le attività di contrasto alla diffusione del coronavirus;

   s) rafforzare la rete delle Rsa potenziandone l'offerta.
(1-00404) «Gelmini, Mandelli, Bagnasco, Novelli, Bond, Mugnai, Versace, Paolo Russo, Pella, Brambilla».

Risoluzione in Commissione:


   La IV Commissione,

   premesso che:

    l'attività condotta dalla Commissione attraverso un'indagine conoscitiva sul reclutamento e varie audizioni ha fatto emergere la necessità, a distanza di venti anni dalla introduzione di un reclutamento esclusivamente basato sul volontariato, di superare i limiti organici stabiliti dalla legge n. 244 del 2012, definire nuove modalità di reclutamento dei ruoli della truppa e individuare nuove e più efficaci misure per garantire ai volontari congedati senza demerito la continuità del rapporto di lavoro;

    preoccupazioni motivate sulla inadeguatezza degli organici stabiliti con la legge n. 244 del 2012 e sulla necessità di rivederne i limiti sono state rappresentate in Commissione dal Capo di Stato Maggiore della difesa, dai vertici militari tutti e sono state autorevolmente riproposte anche dal Consiglio Supremo della Difesa il 27 ottobre 2020. La questione di un aggiornamento degli organici non è quindi più rinviabile e la necessità di incrementi di personale coinvolge tutte le nostre Forze armate;

   la stessa esigenza seppur contenuta e limitata, coinvolge anche il Corpo delle Capitanerie di porto-Guardia costiera, benché escluse dalle riduzioni della legge n. 244 del 2012, in relazione al carattere strutturale ormai assunto dal fenomeno migratorio nel Mediterraneo centrale che impegna ingenti risorse strumentali e umane;

   il Corpo delle Capitanerie di porto-Guardia costiera dispone di una consistenza organica oggettivamente limitata (10.500 unità) con la quale corrispondere alle esigenze di trecento uffici periferici, all'obbligo di assicurare un dispositivo di Guardia costiera efficiente su tutto il territorio nazionale ed alle continue nuove dirette responsabilità derivanti dal recepimento della normativa comunitaria, in ragione della quale, solo negli ultimi dieci mesi, sono stati emanati quattro decreti legislativi in materia di sicurezza della navigazione;

   l'esperienza fin qui condotta conferma la validità di un modello di Difesa basato sul volontariato, ma rende evidente la necessità di interventi per migliorare le condizioni di lavoro e di vita dei nostri militari, fattore essenziale per l'efficienza stessa di qualunque strumento militare;

   un adeguato ampliamento degli organici dei ruoli dei graduati può risolvere il problema dell'aumento dell'età media, mettendo a disposizione delle attività operative definibili «combatt», una platea sufficiente di personale in età compresa tra i 20 e i 35 anni, da riconvertire nella restante parte del periodo di servizio e, cioè, fra i 36 e i 60 anni ad attività di manutenzione di mezzi e infrastrutture. Le spese per questo personale diventerebbero il miglior investimento per sostenere le attività «di esercizio» del nostro strumento militare, migliorandone decisamente la capacità di svolgere lavori in economia e affrancandolo dall'obbligo di ricorrere ad appalti esterni per qualunque necessità;

   tra le esigenze sopra citate, rientra anche la necessità di colmare un ritardo nel realizzare una diversa e più diffusa presenza di enti e reparti militari in alcune regioni del Sud, di cui si è iniziato a parlare da circa venti anni fa. Nel 2003 è stato avviato un primo progetto per la costruzione di due caserme a Cutro, in Calabria, ma, dopo aver realizzato la prima, con annessi alloggi di servizio, e avviata la seconda, il progetto, che doveva realizzare un complesso in grado di ricevere quasi mille militari dell'Esercito, si è fermato, nonostante le autorità locali abbiano già espropriato quasi 20 ettari a favore delle esigenze operative di quei reparti;

   la maggior parte delle infrastrutture militari presenti sul territorio nazionale è concentrata nelle regioni del Centro, del Nord e del Nord-est del nostro Paese. Tale dislocazione ha trovato la sua ragion d'essere nella necessità, avvertita dopo il secondo conflitto mondiale e nel quadro politico-strategico della «guerra fredda», di dare vita ad un sistema di difesa basato sulla dislocazione di forze consistenti sulla cosiddetta «soglia di Gorizia»;

   l'ingresso nell'Unione europea di nazioni appartenenti all'Europa dell'Est, nonché l'allargamento della Nato a Paesi facenti parte dell'ex Patto di Varsavia, rendono possibile rivedere la dislocazione delle nostre infrastrutture militari, al fine di aggiornare l'attuale modello di difesa nazionale alle nuove esigenze derivanti dal mutato scenario politico-militare internazionale;

   dal Nord l'instabilità geopolitica si è spostata su quello che viene individuato come il fianco Sud dell'Alleanza atlantica. La situazione politico-militare del Nord Africa è caratterizzata da un intreccio complesso e pericoloso di migrazioni, terrorismo, traffico d'armi, contrasto di interessi sulle risorse energetiche presenti nella regione sfociati in situazioni di conflitto armato che ormai coinvolgono direttamente o indirettamente anche alcuni Paesi europei ed extraeuropei;

   tutto questo accade nelle immediate vicinanze dell'Italia, praticamente davanti alla «porta Sud» del nostro Paese, e richiede in primo luogo un impegno politico-diplomatico per rispondere adeguatamente a questa nuova situazione, ma anche un nuovo assetto organizzativo e infrastrutturale delle nostre Forze armate;

   altro motivo, non secondario, per prevedere una diversa dislocazione delle infrastrutture militari risiede nel fatto che in seguito al passaggio da un esercito di leva ad un esercito professionale (disciplinato dal decreto legislativo 8 maggio 2001, n. 215, recante «Disposizioni per disciplinare la trasformazione progressiva dello strumento militare in professionale») sono soprattutto i giovani del Sud e delle isole ad arruolarsi e, quindi, la maggior parte dei nostri soldati reclutati come volontari presta il proprio servizio lontano dalle regioni di appartenenza con tutti i disagi che ne derivano. Si è di fronte ad una questione che incide sensibilmente sulla qualità della vita dei nostri militari e che, a distanza di venti anni dalla sospensione di servizio di leva, deve assolutamente essere affrontata;

   l'esiguità della presenza di enti e reparti nel Sud e nelle isole rende difficile anche la realizzazione di un altro significativo impegno assunto verso i nostri militari: quello dei ricongiungimenti familiari. Si tratta quindi di affrontare e risolvere queste criticità, superando contestualmente tutta una serie di ritardi e contraddizioni altrettanto evidenti;

   le strutture esistenti nel Nord-est del Paese, concepite per un esercito di leva, non sono adeguate ad accogliere e a soddisfare le esigenze dei nuovi «professionisti» costretti ad un fenomeno diffuso di «pendolarismo» verso i luoghi di residenze delle loro famiglie che, tra l'altro, comporta sacrifici non solo economici che, se potevano essere tollerati per un periodo di servizio di un anno, non possono divenire la condizione ordinaria di lavoro e di vita destinata a prolungarsi per decenni;

   i vertici militari hanno colto la difficoltà di questa situazione prevedendo una serie di interventi intesi a favorire il ricongiungimento familiare, ma è del tutto evidente che senza una significativa presenza di infrastrutture militari nel Sud del Paese le misure restano insufficienti e il problema irrisolto;

   da tempo, l'Esercito italiano dedica una particolare attenzione a questa problematica nell'ambito di quello che è il suo «Rapporto annuale». Nell'ultimo «Rapporto», quello del 2019, la questione viene affrontata con maggior determinazione, segnalando la necessità di una adeguata risposta da parte della politica, ribadendo per l'ennesima volta che: «La provenienza del personale riflette una situazione consolidata nel tempo, che vede una percentuale preponderante originaria delle Regioni meridionali del Paese.» e come «... il personale originario del Sud Italia e delle isole sia pari a circa 2,5 volte le posizioni organiche insistenti nella stessa area. Da questo deriva una spiccata e insita difficoltà nel realizzare una “regionalizzazione” dell'impiego»;

   infatti, il 49 per cento del personale è proveniente dal Sud Italia dove si attesta solo il 23 per cento delle posizioni organiche. Stessa cosa vale anche per le isole, mentre per quanto riguarda il Centro e il Nord il 10 per cento del personale originario non è sufficiente a ricoprire il 38 per cento del totale delle posizioni delle unità ivi dislocate;

   sempre dal «Rapporto-Esercito 2019» risulta che il 21 per cento circa del personale aspira a essere trasferito. In particolare, Lazio, Friuli Venezia Giulia e Piemonte sono le regioni dalle quali il personale desidera maggiormente spostarsi, mentre Campania, Puglia e Sicilia sono le aree di auspicata maggiore destinazione. Per i graduati, su 7.441 istanze di trasferimento verso i luoghi di provenienza presentate nel 2019, ne sono state accolte 1.106;

   la capacità dual use riconosciuta ad alcune piattaforme in dotazione alle nostre Forze armate può per molti aspetti essere intesa in modo più ampio. Le tante criticità che da sempre affliggono il nostro Paese in ragione di ricorrenti calamità naturali e recentemente di quelle legate al diffondersi della pandemia da COVID-19 spingono a considerare il nostro strumento militare nella sua interezza e, cioè, gli uomini, i mezzi e le strutture di comando come una importante risorsa «dual use», per le sue molteplici capacità di intervento a favore delle popolazioni ma anche per tutto ciò che essa rappresenta come impatto economico sul territorio dove è presente;

   anche in mancanza di studi approfonditi è del tutto evidente quello che rappresenta nell'economia di una regione la presenza di una entità militare delle dimensioni, ad esempio, di una brigata. Senza nessuna esagerazione può ritenersi l'equivalente di realtà produttive industriali medio-grandi;

   sono inoltre da prendere in considerazione le difficoltà che incontrano molte realtà produttive per poter essere definite ad impatto ambientale zero, mentre la «caserma a impatto zero» è un obiettivo raggiungibile, sostenibile e già esiste nel programma «Caserme Verdi per l'Esercito-Studio per la realizzazione di grandi infrastrutture»;

   si tratta del programma presentato il 3 luglio del 2019 per promuovere l'efficienza energetica nelle infrastrutture militari, riducendo l'impatto ambientale degli edifici e migliorandone la sicurezza. È lo strumento più appropriato da utilizzare per dare concretezza ad un piano di rafforzamento della presenza militare nel Sud del Paese;

   una presenza di specifiche e qualificate realtà militari nel Sud del Paese, organizzata con criteri moderni sul principio del «dual use», può garantire una maggiore attenzione all'ambiente, collaborando con le istituzioni locali per ridurre le tante criticità esistenti, produrre più sicurezza attraverso un miglior controllo del territorio e quindi contribuire anche alla valorizzazione turistica di quei territori,

impegna il Governo:

   a presentare in Parlamento un piano concreto, accompagnato da un cronoprogramma, che ridefinisca l'entità degli organici dei vari ruoli ritenuti necessari a fronte delle nuove esigenze, non previste all'atto della approvazione della legge n. 244 del 2012 che si sono manifestate successivamente nel tempo;

   a presentare una proposta articolata intesa a ridurre l'età media del ruolo dei graduati contestualmente al superamento di forme di precariato, che generiche norme per il collocamento nel mondo del lavoro non appaiono in grado di risolvere, valutando la possibilità di impiegare tale personale nelle Forze armate di appartenenza con funzioni diverse lungo l'intero arco della carriera secondo i criteri indicati in premessa;

   ad adottare iniziative per prevedere le risorse necessarie a dare immediata continuità al progetto avviato a Cutro;

   ad adottare iniziative per garantire comunque per il 2020 il soddisfacimento dell'esigenza di incremento di personale in misura non inferiore alle 200 unità per il corpo delle Capitanerie di porto-Guardia costiera per le ragioni citate in premessa.
(7-00586) «Pagani, Carè, Frailis».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


   La sottoscritta chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:

   l'articolo 59 del decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104, cosiddetto «decreto agosto» recante «Misure urgenti per il sostegno e il rilancio dell'economia» ha previsto l'erogazione di un contributo a fondo perduto ai soggetti esercenti attività di vendita di beni o servizi al pubblico, svolte nei centri storici (zone A o equivalenti) dei comuni capoluogo di provincia o di città metropolitana ad alta presenza di turisti stranieri;

   come indicato dal decreto n. 104 del 2020 si tratta di 29 comuni che hanno registrato, prima dell'emergenza sanitaria, presenze turistiche di cittadini residenti in Paesi esteri in numero almeno tre volte superiore a quello dei residenti negli stessi comuni per i capoluoghi di provincia e in numero pari o superiore a quello dei residenti negli stessi comuni per i capoluoghi di città metropolitane;

   in Sicilia il bonus per i centri storici che hanno subito il calo di turismo sarà riconosciuto agli imprenditori delle città di Ragusa, Siracusa, Catania, Agrigento e Palermo ma non a quelli della città di Messina i cui esercenti rimangono, pertanto, esclusi;

   nonostante il lungo «stop» al crocierismo e le attuali limitazioni alle escursioni, la città di Messina non figura nella lista dei centri storici che, a causa della pandemia, hanno subito un calo del turismo. Si tratta di un controsenso per la città peloritana che è stata tagliata fuori dagli aiuti stanziati dal Governo per risollevare il settore;

   Messina è la tredicesima città d'Italia, con un porto turistico primo in Italia per traffico di passeggeri (quasi 430.000 i croceristi secondo i dati del 2019) ed è, pertanto, inaccettabile la sua esclusione dal novero delle città meritevoli del contributo a fondo perduto a favore degli esercenti che hanno subito un drastico calo di fatturato, a causa della mancanza di visitatori –:

   se il Governo non intenda adottare iniziative per provvedere alla modifica immediata dei criteri di assegnazione degli aiuti richiamati in premessa che creano ingiuste disparità tra aziende e aree del Paese;

   se siano previsti ulteriori stanziamenti a fondo perduto per tutelare l'economia dei territori, con particolare riferimento alla città di Messina.
(2-01016) «Siracusano».

Interrogazioni a risposta orale:


   MONTARULI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro per gli affari europei, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   in data 10 novembre 2020 si è svolto in videoconferenza un euro vertice su sicurezza e immigrazione cui hanno partecipato il Presidente francese Emmanuel Macron, il Cancelliere austriaco Sebastian Kurz, la Cancelliera tedesca Angela Merkel, la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e il Presidente del Consiglio europeo Charles Michael;

   il summit ha avuto ad oggetto il fenomeno dell'immigrazione irregolare e senza controllo e la lotta al terrorismo islamico, alla luce dei recentissimi episodi che hanno visto Francia e Austria vittime di attentati ad opera del terrorismo islamico;

   dalle principali testate nazionali e internazionali si apprende che i leader europei, dopo la nuova ondata di attacchi terroristici, ritengono opportuno implementare gli strumenti di contrasto al terrorismo già esistenti, quali il rafforzamento della collaborazione tra le forze di polizia e i servizi di intelligence, nonché adottare nuovi atti in grado di controllare i confini esterni dell'Unione europea, sviluppare banche dati comuni, scambiare informazioni e rafforzare le politiche penali;

   dal vertice è altresì emersa la necessità di procedere ad una revisione del Trattato di Schengen, raggiungendo una più stringente distinzione tra profughi e migranti, pianificare nuove modalità di reazione e di prevenzione, intensificando il traffico di informazioni che circola attraverso i social network, con particolare attenzione alle applicazioni di messaggistica come Whatsapp e Telegram, al fine di fornire una risposta rapida e coordinata alle violenze subite;

   nel Digital Service Act, provvedimento che la Commissione europea dovrebbe varare già a dicembre 2020, si ritiene indispensabile inserire la disposizione secondo cui qualsiasi contenuto che inneggi all'odio e alla violenza debba essere cancellato dalle piattaforme entro un'ora dalla pubblicazione, così da togliere visibilità a chi cerca di propagandare violenza, con la possibilità di comminare sanzioni alle piattaforme;

   è stata oggetto di dibattito anche l'ideologia che alimenta il terrorismo islamico: da qui l'idea di procedere alla formazione degli imam sul territorio europeo;

   è di fondamentale importanza, a parere dei rinterrogante, condividere l'insieme delle azioni decise per prevenire i fenomeni di radicalizzazione, tuttavia nessuno dei leader europei ha ritenuto opportuno invitare l'Italia, che è la porta d'Europa sul Mediterraneo, e probabilmente, secondo l'interrogante, ciò potrebbe essere dovuto al fatto che il Governo italiano ha permesso a Brahim Aoussaoui, l'attentatore di Nizza, di circolare liberamente nel territorio nazionale per raggiungere la Francia, dopo essere sbarcato a Lampedusa –:

   se il Governo si sia attivato per chiarire le dinamiche che hanno portato l'Italia ad essere esclusa del vertice con gli altri leader europei, stante l'attualità e l'estrema importanza della tematica affrontata, e se abbia chiarito altresì – in sede europea – l'importanza di condividere strategie e azioni comuni in materia di immigrazione e sicurezza, anche al fine di evitare che il nostro Paese diventi sempre più irrilevante sullo scenario europeo ed internazionale.
(3-01929)


   MONTARULI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:

   sensi dell'articolo 122 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 18 marzo 2020, il dottor Domenico Arcuri è stato nominato commissario straordinario per l'attuazione e il coordinamento delle misure occorrenti per il contenimento e contrasto dell'emergenza epidemiologica COVID-19;

   in forza dei poteri conferitigli, il commissario straordinario per l'emergenza ha proceduto, nelle scorse settimane, ad effettuare una richiesta pubblica di offerta in procedura semplificata e di massima urgenza per la fornitura di cinque milioni di test rapidi per la rilevazione qualitativa di antigeni specifici di Sars-Cov2 presenti su tampone nasofaringeo o campione salivare, attraverso regolare bando pubblicato sul sito istituzionale della Presidenza del Consiglio dei ministri;

   nelle date del 22 e 23 ottobre 2020 sono stati pubblicati, sul sito istituzionale della Presidenza del Consiglio dei ministri, due decreti di aggiudicazione a firma del dottor Domenico Arcuri, con i quali veniva commissionato l'acquisto di due partite di test rapidi per riscontrare la positività al virus Sars-Cov2, per complessivi dieci milioni di test, per un totale di euro 32.750.000,00. Nello specifico i primi cinque milioni di test sono stati acquistati al prezzo ribassato di euro 3,05 l'uno e i successivi cinque milioni ad euro 3,50 euro l'uno;

   nella parte conclusiva del provvedimento di aggiudicazione, il commissario straordinario specifica che «in ragione dell'estrema ed indifferibile urgenza, si dia immediatamente avvio all'esecuzione della fornitura [omissis] dei test rapidi per la rilevazione qualitativa di antigeni specifici di SARS-CoV-2 presenti su tampone nasofaringeo o campione salivare al precipuo scopo di scongiurare il grave danno alla salute pubblica ed individuale ex articolo 32 Cost., che deriverebbe dal mancato o ritardato approvvigionamento dei citati dispositivi»;

   secondo quanto riportato da uno studio pubblicato dalla rivista scientifica «Journal of Clinical Virology», i test Biocredit Covid 19 Ag, di fabbricazione coreana, acquistati dal commissario per l'emergenza avrebbero un indice di affidabilità molto basso, con il rischio di falsi negativi fino a sei volte su dieci;

   il materiale acquistato dall'Italia, come evidenziato da più testate giornalistiche, ha performance piuttosto basse se paragonate ad altri dispositivi presenti sul mercato –:

   se intenda fornire dati certi sull'affidabilità dei test in questione, sulla base di quali criteri sia stata effettuata la scelta e quali iniziative intenda adottare per impedire che l'utilizzo degli stessi crei ulteriori problematiche ai danni della popolazione.
(3-01931)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MARIN, BAGNASCO e BOND. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:

   come riportato da organi di stampa, nei giorni scorsi l'autorevole rivista scientifica Journal of Clinical Virology sembrerebbe aver messo in dubbio l'affidabilità dei dieci milioni di tamponi acquistati dal commissario per l'emergenza COVID Domenico Arcuri con un regolare bando del valore di 32 milioni di euro;

   il test si chiama Biocredit Covid 19 Ag, ed è di fabbricazione coreana. Lo studio pubblicato sulla rivista scientifica dimostra che la sensibilità del test Biocredit Covid 19 Ag si attesta tra l'11,1 per cento e il 45,7 per cento; i tamponi rapidi coreani darebbero quindi sei falsi negativi su dieci: ovvero ogni dieci persone certamente positive al Coronavirus, il test ne individuerebbe al massimo quattro. Il rischio è che le persone affette da virus possano essere liberamente in circolazione, non sapendo di essere in realtà positive;

   per i tamponi rapidi non esistono al momento molti dati scientifici che ne permettano la valutazione, ma quello acquistato dal Governo sembrerebbe avere delle performance piuttosto basse rispetto ad altri presenti sul mercato;

   dal bando pubblicato sul sito della Presidenza del Consiglio si apprende che tra i requisiti minimi dei test fosse prevista un'approvazione da parte di «agenzie regolatorie nazionali o internazionali che diano sufficienti garanzie di affidabilità» oppure che fosse stato «già validato da un laboratorio accreditato del nostro Paese». Al momento, però, Invitalia non avrebbe fornito la documentazione che accerterebbe la «validazione» richiesta dal bando; l'unica documentazione disponibile è quella fornita dall'azienda che li produce, che ne attesta una sensibilità superiore al 90 per cento –:

   se il Governo sia conoscenza dello studio riportato in premessa e se ritenga di dover approfondire la questione, adottando ogni iniziativa utile volta a dimostrare l'effettiva attendibilità dei tamponi acquistati;

   se il Governo intenda rendere nota la documentazione relativa al bando che ha portato all'acquisto di dieci milioni di test di fabbricazione coreana, con particolare riferimento all'approvazione da parte di «agenzie regolatorie nazionali o internazionali che diano sufficienti garanzie di affidabilità» oppure alla validazione da parte di «un laboratorio accreditato del nostro Paese», così come richiesto specificatamente dal bando.
(5-05053)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BRAGA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   si evince da numerosi articoli stampa usciti nelle scorse settimane che hanno suscitato grandi polemiche, di operazioni di taglio a raso di centinaia di alberi nell'area demaniale nel comune di Cimadolmo, in provincia di Treviso, lungo il fiume Piave;

   liberi cittadini e associazioni ambientaliste locali e nazionali hanno fortemente criticato i citati lavori;

   si apprende dalla regione Veneto che gli interventi di ripristino funzionale e di rimozione delle alberature schiantate, nelle aree golenali del fiume Piave nel territorio dei comuni rivieraschi della provincia di Treviso, sono realizzati a seguito della «Tempesta Vaia» ovvero degli eventi calamitosi straordinari avvenuti tra fine ottobre e novembre 2018. I lavori rientrano, inoltre, nei primi interventi urgenti di protezione civile in conseguenza degli eccezionali eventi citati, ai sensi della delibera del Consiglio dei ministri dell'8 novembre 2018 e dell'ordinanza del capo del dipartimento della protezione civile n. 558 del 15 novembre 2018 e n. 559 del 29 novembre 2018 (O.C. n. 9 del 22 maggio 2019 – Cod. GCTV_024). Gli stessi sono iniziati a novembre 2019 ed è previsto che terminino a febbraio 2021. Le opere autorizzate sarebbero infine indispensabili per contribuire ad aumentare la portata del fiume a 4.800 metri cubi al secondo, cioè quasi il doppio dei 2.600 che sono transitati durante la tempesta Vaia;

   occorre precisare che l'alveo del fiume Piave e le sue rive fanno parte della Rete Natura 2000 come zone di protezione speciale per ben due direttive europee – la direttiva uccelli e la direttiva habitat – e che il fiume Sacro alla Patria, assieme ai suoi affluenti, è tra i più sfruttati e «artificializzati» d'Europa e da anni oggetto di concessioni di estrazione di ghiaia; parte delle aree golenali lungo il corso d'acqua sono adibite a coltivazione vitivinicola;

   è in corso l'aggiornamento del piano di gestione delle acque e del piano di gestione del rischio di alluvioni del distretto delle Alpi orientali (2021-2027) e, in ossequio alla direttiva quadro acque (direttiva 2000/60/CE o DQA) per i prelievi idrici, sarà introdotto il criterio del deflusso ecologico (De) che entro il 2021 sostituirà il precedente deflusso minimo vitale (Dmv), imponendo che il valore di quest'ultimo sia rideterminato –:

   se il Governo intenda fornire elementi sullo stato di salute idraulico-ambientale del fiume Piave e se, per quanto di competenza e per tramite dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale-Ispra, intenda verificare se i citati lavori di taglio a raso di specie arbustive siano stati fatti a regola d'arte e siano effettivamente utili alla sicurezza idraulica del corso d'acqua citato; quale sia lo stato di avanzamento lavori di messa in sicurezza idraulica del piano approvato con decreti del Presidente del Consiglio dei ministri 2 ottobre 2009 e 21 novembre 2013, successivamente aggiornato e approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 27 ottobre 2016.
(4-07582)


   CIABURRO, FRASSINETTI, ALBANO e GALANTINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   come noto, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 3 novembre 2020 ha disposto misure di contenimento differenziato in tutto il territorio nazionale sulla base di una sussistenza di uno scenario di elevata o massima gravità, dividendo il territorio nelle cosiddette Zone gialle, arancioni e rosse;

   nel caso degli scenari di massima gravità ed a elevato livello di rischio, cosiddette «zone rosse», le misure di contenimento sono mutuate dalle misure disposte nel corso della prima ondata di COVID-19 da marzo a maggio 2020, ovvero misure di confinamento atte a impedire lo spostamento dei cittadini tra regioni, comuni ed all'interno degli stessi comuni salvo per comprovate necessità sanitarie, lavorative, o di studio;

   come nel caso della prima ondata di COVID-19, le norme applicate ai fini del contenimento pandemico sono state elaborate ed applicate a tutto il territorio nazionale senza tenere di conto delle peculiarità delle aree montane, interne e rurali e dei piccoli comuni in generale;

   la limitazione degli spostamenti all'interno di un singolo comune, infatti, può non essere penalizzante nei casi dei grandi centri abitati, ma – al contrario – comporta il sorgere di non poche difficoltà nei piccoli comuni e nelle aree montane;

   nel caso di comuni e comunità montane, si tratta di aree profondamente interconnesse ed interdipendenti tra di loro, dove le predette misure, progettate a misura dei grandi conglomerati urbani, sono destinate a produrre disagi di non facile risoluzione per i cittadini dei piccoli comuni italiani;

   nelle predette aree il quadro della diffusione del COVID-19 è profondamente differente da quello dei grandi centri abitati, al punto da costituire una realtà distinta da questi;

   l'articolo 3, comma 2, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 3 novembre 2020 consente, mediante interlocuzione tra il Ministro della salute e il presidente della regione interessata, di disporre l'esenzione, in relazione a specifiche parti del territorio regionale, delle estreme misure di contenimento per le «zone rosse» –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti e se non intenda aprire le opportune interlocuzioni coi presidenti di regione in modo da disporre la differenziazione applicativa delle misure di contenimento del COVID-19 nelle aree interne, rurali e montane, anche alla luce dei rilievi di cui in premessa.
(4-07584)


   CARETTA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:

   Agea, con delibera n. 25 del 6 novembre 2020 ha approvato il testo di convenzione per gli anni 2020-2021, tra l'organismo pagatore ed i Centri autorizzati di assistenza agricola (Caa); la convenzione è stata approvata seguendo una formulazione analoga a quella presentata nel corso di un'audizione dell'Agea presso le commissioni agricoltura di Camera e Senato;

   in sede di audizione, anche numerose categorie hanno sollevato la questione della necessità di modificare il testo della convenzione, così come esponenti politici di maggioranza e di opposizione;

   in tal senso, il testo adottato da Agea non pare risollevare le difficoltà gestionali dell'ente, né le lacune gestionali dei Caa;

   come noto, infatti, ogni organismo pagatore in agricoltura ha autonomia gestionale, anche se, per alcuni servizi, si avvale effettivamente del Sistema informativo agricolo nazionale (SianN), ed ogni agenzia, organismo pagatore, nazionale, regionale o provinciale che sia, stipula in piena autonomia convenzioni con i Caa, i quali devono quindi operare e relazionarsi con più soggetti e più sistemi informatizzati;

   il predetto contesto determina modalità gestionali differenti da regione a regione o provincia autonoma, dando luogo ad un modello frammentato, con modalità e contenuti di assegnazione differenti, tale per cui i Caa abbiano acquisito una crescente importanza alla quale non corrisponde necessariamente una adeguata copertura economica;

   Agea è stimata gestire più di 500.000 fascicoli aziendali, che corrispondono al 50-60 per cento delle imprese agricole italiane che lo hanno presentato; in tal senso dei 18 milioni di euro stanziati per la gestione dei predetti fascicoli aziendali, ad Agea ne sono destinati circa la metà, i restanti 9 milioni sono ripartiti tra gli organismi pagatori di regioni e province autonome;

   i Caa convenzionati con Agea che operano in 14 regioni sono circa 17, che gestiscono circa 4.000 aventi diritto all'accesso, per un numero di sportelli stimato ad almeno 2.000;

   in tal senso si ravvisa difficoltoso per i Caa operare in condizione di autonomia e terzietà, in quanto le risorse stanziate per ogni addetto non sono sufficienti, dato il numero di diramazioni sul territorio nazionale, al punto che i Caa che operano in regime di convenzione con agenzie regionali o delle province autonome ricevono le risorse mancanti dalla rispettiva regione o provincia autonoma, che effettuano la perequazione con mezzi propri, con evidenti difficoltà per quanto attiene le regioni che versano in maggiori difficoltà economiche;

   la convenzione in questione, che non ha recepito i rilievi sollevati dal Collegio nazionale dei periti agrari e dei periti agrari laureati, auditi in sede parlamentare, è stata adottata nel pieno della seconda ondata da COVID-19, con il rischio di mettere in ulteriore difficoltà tutti quei professionisti coinvolti nelle attività dei Caa –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti e quali iniziative, se del caso, intenda intraprendere per:

    a) aprire un tavolo di lavoro permanente, anche con le organizzazioni di categoria ed i professionisti collaboranti con i Caa, nonché il Collegio nazionale dei periti agrari, per riformare la governance di Agea e del sistema dei pagamenti entro l'entrata in vigore della nuova Politica agricola comune nel 2022, nelle more della quale mantenere in vigore la convenzione previgente;

    b) incrementare le risorse a disposizione dei Caa per l'espletazione delle proprie funzioni e la gestione dei fascicoli.
(4-07585)


   LOCATELLI, GUIDESI, BOLDI, DE MARTINI, FOSCOLO, LAZZARINI, PANIZZUT, PAOLIN, SUTTO e TIRAMANI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   negli ultimi giorni, mentre si rincorrono i comunicati sul vaccino anti-Covid, sul relativo piano di distribuzione e sulla sua disponibilità nel nostro Paese, le principali testate giornalistiche hanno riportato una notizia sconcertante – l'ennesima notizia sconcertante – che, a parere degli interroganti, conferma una volta di più l'obiettiva impreparazione e incapacità degli organi preposti alla gestione dell'emergenza a livello nazionale, anche nell'attuazione dei provvedimenti basilari ed essenziali;

   secondo fonti stampa, in effetti, l'Italia sarebbe in forte e colpevole ritardo sul fronte dell'approvvigionamento delle siringhe di precisione, indispensabili per la somministrazione del vaccino anti-Covid;

   i principali Paesi europei e del mondo, rilevato il carattere essenziale dei dispositivi in questione, avrebbero già inviato grossi ordinativi di siringhe di precisione, come confermano le dichiarazioni rese alla stampa dall'amministratore delegato della multinazionale BD Italia;

   gli Usa ne avrebbero ordinate «289 milioni, l'Olanda 10 milioni, la Spagna 30 milioni, la Francia 35 milioni, il Regno Unito 60 milioni». Nella corsa mondiale all'approvvigionamento, invece, l'Italia sarebbe all'ultimo posto, con zero ordinativi alla data odierna, nonostante i solleciti inviati, da più parti, al Commissario straordinario per l'attuazione e il coordinamento delle misure occorrenti per il contenimento e contrasto dell'emergenza epidemiologica COVID-19, Domenico Arcuri, nominato responsabile del piano operativo per la distribuzione dei vaccini;

   l'inerzia del Commissario potrebbe rivelarsi fatale in quanto – come ha rilevato il direttore generale di Confindustria – i dispositivi medici, le siringhe di cui vi è necessità per la somministrazione dei vaccini anti-Covid, non sono siringhe di uso comune, bensì siringhe di precisione, la cui reperibilità potrebbe risultare difficoltosa, nei prossimi mesi, proprio a causa della corsa mondiale agli approvvigionamenti;

   i vaccini anti-Covid, in effetti, verranno distribuiti in fiale multidose (da 5 a 10 dosi) e, per questa ragione, saranno necessari dispositivi capaci di prelevarne la dose esatta (meno di 1 ml), al fine di evitare possibili sprechi che, moltiplicati per milioni di dosi, produrrebbero un costo sanitario ed economico insostenibile;

   ai ritardi accumulati con le mascherine, con i guanti, con i dispositivi di protezione individuale, con i banchi a rotelle, con le terapie intensive, con i tamponi, con i piani Covid e con le forniture agli ospedali e alle Rsa (ma l'elenco potrebbe continuare), si aggiunge quindi l'ennesimo ritardo inaccettabile sul fronte dell'approvvigionamento delle siringhe di precisione, dal quale potrebbero derivare gravi ripercussioni in termini di costi e tempi di uscita dell'Italia dalla crisi pandemica, oltre che naturalmente in termini sanitari;

   le notizie in questione – ove confermate – denoterebbero evidenti responsabilità non solo in capo al Commissario straordinario, ma anche al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro della salute che gli hanno affidato il delicato incarico, nonostante i ritardi e gli inadempimenti sopra menzionati –:

   se trovino conferma le notizie citate in premessa e, in caso affermativo, per quale ragione il Commissario straordinario Arcuri si sia astenuto dall'inviare ordinativi di fornitura o dall'indire procedure di gara per l'approvvigionamento delle siringhe di precisione, indispensabili per la somministrazione dei vaccini anti-Covid;

   in caso di infondatezza delle notizie sopra riportate, quanti ordinativi siano stati inviati e in quale data; quali siano le tempistiche attese per la consegna delle siringhe di precisione e se le stesse siano idonee a consentire la tempestiva distribuzione — senza rallentamenti — dei vaccini anti-Covid alla popolazione.
(4-07588)


   SCOMA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro della difesa, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   al 1° settembre 2020, 9 pescherecci della Marineria di Mazara del Vallo risultano da qualche giorno nella zona del gambero rosso, all'interno dell'area di 74 miglia decisa unilateralmente da Tripoli come Zona di pesca esclusiva;

   sin dal pomeriggio, una piccola motovedetta del generale Haftar, comandante dell'autoproclamato Esercito nazionale libico in guerra con il Governo riconosciuto di Al Serraj osserva da lontano la flottiglia;

   sempre in quelle ore il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Luigi Di Maio, in visita in Libia incontra il premier di Tripoli e incontra Aguila Saleh, presidente del Parlamento di Tobruk, che offusca il potere del generale Haftar;

   alle ore 21, vengono captate alcune comunicazioni radio della piccola motovedetta libica con le parole «Italia, Italia»;

   in quei minuti, la vedetta libica mette in mare un gommone di 12 metri, con due miliziani armati, che raggiungono i pescherecci e, sparando in aria, si fanno consegnare i comandanti di 4 imbarcazioni;

   i libici non salgono a bordo dei pescherecci, ma intimano agli equipaggi di seguirli verso Bengasi;

   gli equipaggi prendono contatto con la capitaneria di Palermo;

   alle ore 21.26 il Centro Nazionale di Coordinamento del soccorso marittimo della guardia costiera a Roma riceve l'allarme e lo rilancia alla Marina militare;

   alle ore 21.35 arriva il primo messaggio a bordo del cacciatorpediniere italiano Durand de La Penne;

   la «Durand» della missione «Mare Sicuro» si trova 115 miglia ad ovest rispetto ai pescherecci;

   sulla Nave è imbarcato solo un AB-212 Asw, che ha un'autonomia di 3 ore e 30 minuti con una velocità massima di 240 chilometri orari;

   l'elicottero ha bisogno di 60 minuti per l'approntamento e avrebbe impiegato altri 60 per arrivare sul luogo;

   secondo la testimonianza del Comandante Giacalone, la Marina ha sempre garantito che l'intervento con l'elicottero fosse in corso, tanto che ha chiesto anche la posizione e i numeri di satellitare;

   anche l'armatore Marrone afferma di aver rassicurato gli equipaggi e di aver chiesto di rallentare ed attendere l'intervento dei militari;

   gli operativi impiegati fin dall'inizio confermano che la Marina ha subito valutato l'utilizzo dell'elicottero;

   dopo le ore 23 Giacalone viene informato da Roma che l'elicottero, già in volo, avrebbe raggiunto le imbarcazioni in circa 20 minuti;

   oggi la Marina Militare smentisce questa testimonianza di Giacalone e spiega di non essere intervenuta per non mettere in pericolo l'incolumità dei pescatori;

   verso mezzanotte del 1° settembre 2020 cala un inspiegabile silenzio, anche se le rare comunicazioni continuano a rassicurare gli armatori;

   a bordo dei due pescherecci costretti a dirigersi verso Bengasi nessun miliziano tiene sotto tiro gli equipaggi;

   dopo l'una di notte il Centro di coordinamento della Guardia costiera, su input della Marina, informa gli armatori che la crisi «è passata a livello diplomatico» e che si sta attivando l'ambasciata italiana a Tripoli;

   alle ore 2.35 Marrone riceve l'ultima chiamata che conferma la via diplomatica;

   questa scelta segna, secondo l'interrogante, il destino di prigionia in Libia dei pescatori, non ancora arrivati in porto a Bengasi;

   la Marina militare conferma che la decisione di non intervenire è stata presa dal comandante di nave Durand e condivisa dai vertici della forza armata;

   in situazioni ben meno delicate e drammatiche, il Governo, al contrario, è stato informato prima al fine di dare l'avallo politico;

   si sarebbe potuto intervenire, a giudizio dell'interrogante, con incursori del Comsubin o del San Marco per far desistere i pochi miliziani libici della motovedetta –:

   chi abbia dato gli ordini di non intervenire militarmente e di passare alla via diplomatica;

   per quali motivi non siano stati coinvolti il Coi, Comando operativo di vertice interforze e il capo di stato maggiore della difesa nella vicenda;

   per quali motivi il Governo sia stato informato solo il giorno dopo il sequestro, con i pescatori già detenuti a Bengasi.
(4-07590)


   DELMASTRO DELLE VEDOVE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   il 3 novembre 2020 il think tank Lettera150 e la Fondazione David Hume hanno lanciato una petizione al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro della salute: «Il governo faccia ora quanto non si è fatto prima. Un decalogo per salvare l'Italia», che prende avvio da «L'Operazione verità» sugli errori commessi nella lotta all'epidemia, dossier pubblicato il 29 ottobre 2020 sempre da Lettera150 e da Fondazione Hume;

   la petizione, primi firmatari Luca Ricolfi per la Fondazione Hume, Giuseppe Valditara per l'Associazione Lettera150, ha superato le 35 mila firme, raccogliendo adesioni della società civile e del mondo politico, all'insegna di un'ampia trasversalità. Ad oggi, nessuna risposta ai cittadini che si sono mobilitati è giunta dal Presidente del Consiglio dei ministri e dal Ministro della salute;

   fra i firmatari compaiono anche personalità del mondo della scienza come Andrea Crisanti, Massimo Galli, Paolo Gasparini, Gianpietro Ravagnan, Stefano Ruffo, Nicola Casagli; Pierluigi Contucci;

   molte anche le personalità del mondo della cultura: Giovanni Orsina, Veronica De Romanis, Elena Loewenthal, Paola Mastrocola, Lidia Ravera, Elisabetta Sgarbi, Susanna Tamaro, Patrizia Zappa Mulas, Giuseppe Bedeschi, Luigi Brioschi, Dino Cofrancesco, Alessandro De Nicola, Ernesto Ferrero, Eugenio Lio, Renato Mannheimer, Michele Salvati;

   fra le tante adesioni giunte finora dal mondo politico: Guido Crosetto, Mariastella Gelmini, Claudia Porchietto, Eugenia Roccella, Marco Boato, Andrea Cangini, Carlo Calenda, Gianni Cuperlo, Vittorio Sgarbi;

   i firmatari pensano che quello che non è stato fatto fra maggio e ottobre 2020 debba assolutamente essere fatto ora, dato che l'epidemia è riesplosa e si sta vivendo un nuovo lockdown, per evitare che anche questa volta i sacrifici degli italiani vengano dispersi al vento;

   nella petizione si chiede un impegno preciso e solenne del Governo, che ne indichi costi, fasi di avanzamento e date di conclusione;

   fra le «dieci cose da fare» si trovano: tamponi di massa, scuola in sicurezza, un database pubblicamente accessibile con tutti i dati necessari per affrontare efficacemente l'epidemia, il tracciamento come strumento di controllo della trasmissione del virus, controlli massicci e sanzioni in caso di assembramenti, creazione di 3.500 nuovi posti di terapia intensiva, misure per un adeguato distanziamento su tutti i mezzi pubblici, un'adeguata e tempestiva disponibilità di vaccini anti-influenzali anche nelle farmacie, misure per mettere i medici di base in condizione di visitare i pazienti Covid mediante necessari dispositivi di protezione individuale, Covid-hotel per le quarantene;

   l'elaborazione dei contenuti e la raccolta firme ha richiesto un notevole dispendio di energie e il coinvolgimento di eminenti personalità della società civile, chiamate a raccolta per il bene supremo della Nazione;

   lo sforzo profuso dal think tank Lettera150 e dalla Fondazione David Hume merita senza dubbio una risposta rapida e un impegno chiaro da parte di chi ha accentrato su di sé ogni potere decisionale nella gestione dell'emergenza –:

   quali siano le ragioni della mancata risposta da parte del Governo alle proposte avanzate nella petizione;

   quali siano gli intendimenti del Governo in merito al «decalogo per salvare l'Italia» promosso dal think tank Lettera150 e dalla Fondazione David Hume.
(4-07598)


   CABRAS, GIULIODORI, MARTINCIGLIO, ZANICHELLI, DELMASTRO DELLE VEDOVE, PERANTONI, MANIERO, SODANO, SURIANO e DE CARLO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   nei giorni scorsi, la piattaforma YouTube (gruppo Google) ha deciso di non consentire la monetizzazione dei contatti per il canale di Vox TV Italia, organo del partito politico Vox, in seguito a una valutazione di inadeguatezza di determinati contenuti trasmessi in materia di COVID-19, stabilendo così che il canale non possa avere una fonte diretta di remunerazione dai propri contenuti sulla piattaforma;

   sebbene le posizioni con cui Vox interpreta la crisi COVID-19 possano essere discutibili e rigettate dalla maggioranza delle forze politiche, la decisione del gruppo Google risulta potenzialmente pericolosa, sommandosi a numerosi atti censori presi nel corso degli ultimi tempi da alcune piattaforme social;

   infatti, sono sempre più frequenti le notizie che riportano l'improvvisa chiusura di pagine Facebook afferenti a movimenti, gruppi e singoli individui impegnati in attività di informazione e controinformazione sulle principali aree di crisi o che riportano opinioni e contenuti che forniscono un punto di vista alternativo rispetto ai più diffusi media mainstream;

   va considerato che le aziende Faang (Facebook, Amazon, Apple, Netflix e Google) controllano infrastrutture del traffico di contenuti che gli attribuiscono una posizione dominante e che, in tali infrastrutture, si svolge gran parte del traffico internet di miliardi di persone; esse svolgono, di fatto, una funzione di servizio pubblico, la quale dovrebbe perciò improntarsi a una neutralità che consenta di rispettare al meglio le libertà fondamentali e i diritti costituzionalmente garantiti;

   pertanto, le cosiddette aziende, Faang non possono ergersi in nessun modo a giudici di cosa sia politicamente degno di essere manifestato;

   le censure operate sui contenuti social pongono una questione cruciale su come l'esercizio della libertà di espressione sia talvolta condizionato o addirittura impedito da tali piattaforme, attraverso un loro insindacabile giudizio e senza rispondere del loro operato ad alcun organo pubblico;

   il rischio incombente è che tali azioni arbitrarie vadano in collisione con l'articolo 21 della Costituzione: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure»;

   se quella che di fatto è diventata l'infrastruttura dominante della manifestazione pubblica del pensiero limita, con criteri privati, l'uguaglianza dell'accesso all'esercizio della libertà di espressione, il rischio della compressione della libertà di espressione è una minaccia concreta e diretta alle libertà di tutti i cittadini;

   la questione, oltre a investire libertà e diritti costituzionali, incide anche sulla sfera di sovranità della Repubblica, in quanto le grandi piattaforme social rispondono esclusivamente ai propri azionisti e allo Stato nel quale operano fisicamente, per la gran parte negli Stati Uniti d'America, dove, tra l'altro, sono collocati i server in cui risiede il traffico dati che transita sulle suddette piattaforme;

   inoltre, la collocazione dei server al di fuori dei confini del nostro Paese e la conseguente impossibilità per le autorità italiane di operare una qualsiasi forma di controllo e vigilanza pone ulteriori problemi in merito alla sicurezza della Repubblica;

   i suddetti atti di censura impongono dunque una riflessione, anche normativa, circa la necessità di regolare e garantire la libertà di informazione e la libertà di manifestazione del pensiero sulle piattaforme social, nonché di prevenire la formazione di posizioni dominanti o monopolistiche nel settore dell'informazione e delle comunicazioni tra cittadini –:

   se il Governo non ritenga di dover adottare iniziative di competenza con urgenza per garantire la libertà di opinione e di manifestazione del pensiero negli spazi virtuali;

   se il Governo non intenda attivarsi, nelle opportune sedi internazionali, per addivenire a una convenzione internazionale per la tutela e la promozione delle libertà di pensiero e di informazione nelle piattaforme dei social network.
(4-07600)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta scritta:


   MAGI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   dal 2 al 6 marzo 2020 ha avuto luogo a Vienna la 63ª sessione della Commissione Onu sulle droghe, della quale l'Italia è membro per il periodo 2019-2023;

   il voto della Commissione sulla revisione della classificazione della cannabis è fissato per la sessione del 3-4 dicembre 2020; la Commissione sarà anche chiamata a valutare ed eventualmente accogliere le raccomandazioni dell'Oms in merito alla riclassificazione della cannabis e dei cannabinoidi nelle tabelle internazionali, riconoscendone le applicazioni mediche;

   il comitato di esperti sulle dipendenze da droghe (Ecdd) ha infatti raccomandato di rivedere la permanenza della cannabis all'interno della tabella IV della convenzione unica sugli stupefacenti del 1961 (ratificata con la legge n. 412 del 1974), concernente le «sostanze particolarmente dannose e di valore medico estremamente ridotto», riconoscendone quindi il valore terapeutico e mantenendo la cannabis nella sola tabella I della convenzione del 1961, inserendo inoltre alcuni suoi preparati nella tabella III, nelle quali trovano posto quelle con valore terapeutico e basso rischio di abuso;

   pubblicando ad aprile 2020 il Commento generale sulla scienza, il comitato Onu su diritti economici, sociali e culturali (Cescr) rafforza la strada tracciata dall'Oms, e sottolinea come la ricerca su alcune sostanze risulti al momento compromessa dalla classificazione all'interno delle convenzioni internazionali sul controllo della droga che ha avuto luogo in tempi in cui la ricerca sulle stesse era insufficiente per darne una valutazione oggettiva, che oggi, al contrario, è possibile ottenere grazie a numerose monografie pubblicate negli anni. Ricordando gli obblighi degli Stati parte del Patto internazionale per i diritti economici sociali e culturali relativi alla protezione e promozione della ricerca scientifica, il Commento sottolinea il «diritto di tutti di godere dei benefìci del progresso scientifico e delle sue applicazioni» in ottemperanza all'articolo 15.1.b del succitato Patto (ratificato con legge n. 881 del 1977);

   sottolineando come al momento esista ampia letteratura scientifica riguardante l'uso medico di tali sostanze, quali la cannabis per il trattamento di alcuni tipi di epilessia, il Commento generale sulla scienza invita gli Stati a creare le condizioni per conciliare il rispetto per gli impegni riguardanti il controllo delle droghe e il diritto di godere dei progressi della ricerca scientifica. Il divieto di ricerca su queste sostanze visti i possibili benefici per la salute violerebbe inoltre l'articolo 12 dello stesso patto relativo al diritto alla salute;

   il 29 ottobre 2020, lo Hdg, il Gruppo orizzontale droghe del Consiglio europeo, si è riunito per trovare una posizione comune tra gli Stati membri sulle raccomandazioni con cui l'Organizzazione mondiale della sanità propone di modificare l'attuale classificazione della cannabis;

   la società civile, tramite il Civil Society Forum on Drugs (Csfd), che include anche delegati italiani, ha fatto pervenire la propria posizione all'Hdg, chiedendo di appoggiare le Raccomandazioni dell'Oms e di avviare un percorso di collaborazione –:

   quale sia stata la posizione espressa dal Governo italiano in sede di Hdg;

   in quale sede sia stata elaborata la posizione governativa, chi abbia rappresentato il Governo e con quale mandato;

   quale sia il soggetto istituzionale deputato ad informare i cittadini, le associazioni e gli operatori in maniera chiara, accessibile e trasparente al riguardo e come si pensi di organizzare il dialogo sul tema con la società civile italiana;

   quale sia la posizione che il Governo intende assumere in seno alla prossima riunione della Commissione Onu sulle droghe e quali iniziative diplomatiche siano in atto affinché la stessa aderisca alle raccomandazioni dell'Oms e del Comitato Onu su diritti economici, sociali e culturali.
(4-07589)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SANI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   il Consorzio Castalia, che da ormai oltre venti anni si occupa della salvaguardia ambientale delle coste italiane, svolge attualmente un servizio per conto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare mediante oltre 40 navi dislocate lungo tutte le coste del territorio nazionale;

   Labromare, socio del Consorzio Castalia, attraverso navi idonee allo svolgimento del servizio antinquinamento, presidia attualmente 4 postazioni: due in Sardegna, ad Arbatax e Porto Torres, e due nell'arcipelago toscano, a Porto Santo Stefano e Piombino – Isola d'Elba;

   per quanto attiene al presidio presente nella provincia di Grosseto, il servizio viene svolto dall'unità navale «Jerzy», costruita nel 1988, attualmente dislocata nel porto di Porto Santo Stefano (Grosseto);

   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha recentemente emanato il bando di gara per l'affidamento del «Servizio di intervento rapido per la riduzione, contenimento e recupero di idrocarburi» con scadenza per la presentazione delle offerte fissata il 15 luglio 2020;

   come descritto nel capitolato tecnico, la dislocazione sul territorio delle postazioni prevede 22 unità costiere che – su richiesta dello stesso Ministero – potranno anche essere variate nel corso dell'esecuzione del contratto per esigenze di carattere strategico/operativo connesse a situazioni di emergenza;

   per quanto riguarda la Toscana, tra i futuri presidi rimarrebbe in essere soltanto quello di Piombino, con la conseguenza di veder superato l'attuale presidio presente nella provincia di Grosseto, attualmente dislocato a Porto Santo Stefano;

   il bando in questione che prevede anche attività di pattugliamento a tutela delle aree marine e delle foci dei principali fiumi, oltreché attività di intervento per sinistri, appare fortemente penalizzante per un'area marina di particolare pregio quale quella insistente sulle coste della provincia di Grosseto, in cui si inserisce sia parte dell'arcipelago toscano, che il Parco regionale della Maremma e che verrebbe pertanto privata di un presidio diretto;

   si rileva il recente decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di aggiudicazione definitiva della gara per l'affidamento del predetto servizio a Castalia Consorzio Stabile S.C.p.a. –:

   se ritenga urgente e necessario, per quanto di competenza, attivarsi nei confronti di Castalia al fine di conoscere le intenzioni circa il mantenimento del presidio di Porto Santo Stefano, particolarmente rilevante per la tutela di un'area marina di estremo pregio che coinvolge sia parte dell'arcipelago toscano che lo specchio acqueo antistante il Parco regionale della Maremma.
(5-05060)

Interrogazione a risposta scritta:


   FERRAIOLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:

   la «presenza di cinghiali» in molte zone d'Italia e il più recente «vagabondare in strade di città» sono notizie più che note e documentate da giornali e da filmati televisivi;

   intensa è, nel territorio del Parco nazionale del Cilento e del Vallo di Diano, la presenza di una specie di ungulati non autoctona, ma di importazione, che danneggia le biodiversità del Parco nazionale del Cilento e del Vallo di Diano, ma anche le colture della vasta area dei comuni che delimitano i Monti Alburni e gli allevamenti di animali da pascolo;

    si tratta di una vera e propria «occupazione» del territorio non più tollerabile, che ingenera non solo l'abbandono delle aree infestate, ma anche l'abbandono delle imprese agricole circostanti e l'abbandono di giovani che lasciano la terra natia e il lavoro agricolo, sull'onda di insicurezze e di incertezze che recepiscono come noncuranza dello Stato: gli ultimi dati sullo spopolamento nell'area del Parco registrano la fuga di ben già 57.000 persone;

   un fenomeno che non risparmia l'incolumità di chi vive nei centri abitati e che minaccia anche la sicurezza delle strade, interpoderali ed esterne che siano, perché anche le strade sono, non poche volte, teatro di incidenti stradali, anche gravi, a causa di improvvise presenze di cinghiali vaganti;

   gli interventi, ad oggi realizzati dall'Ente Parco, certamente apprezzabili, non sono ancora risolutivi;

   è urgente, dunque, una nuova ed adeguata politica di contenimento, che non può prescindere da «piani di prelievo, selettivi e/o di sterilizzazione» di animali selvatici che sconfinano dappertutto e che non vagano affatto solo tra boschi e monti o solo nelle aree protette –:

   quali iniziative di competenza i Ministri interrogati intendano adottare, a tutela degli abitanti delle aree sotto indicate; con quali adeguate e tempestive iniziative sarà gestito un problema gravissimo che da anni si denuncia; ossia quello della sicurezza degli abitanti dei comuni dell'area del Parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano (incluso il comprensorio degli Alburni) e della salvaguardia delle attività economiche del settore agricolo e zootecnico che non possono più essere asservite ad una popolazione di cinghiali massimamente invadente e massimamente pericolosa.
(4-07583)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FREGOLENT. — Al Ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo. — Per sapere – premesso che:

   lo spettacolo dal vivo è una componente essenziale e imprescindibile del patrimonio storico e artistico, della cultura e dell'identità nazionale ed europea ai sensi dell'articolo 9 della Costituzione;

   il settore dello spettacolo dal vivo è stato tra i più colpiti dai provvedimenti restrittivi varati per contenere la pandemia. Le stime delle perdite di ricavo per il settore dello spettacolo dal vivo, effettuate all'inizio della diffusione dell'epidemia da COVID-19 sul nostro territorio nazionale vanno quotidianamente aggiornate e crescono col passare dei giorni;

   l'articolo 89 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27 al fine di sostenere i settori dello spettacolo, del cinema e dell'audiovisivo, a seguito delle misure di contenimento del COVID-19, ha previsto l'istituzione, nello stato di previsione del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo, di due Fondi, uno di parte corrente e l'altro in conto capitale, per le emergenze nei settori dello spettacolo e del cinema e audiovisivo e ha stabilito che tali fondi, con dotazione complessiva di 335 milioni di euro per l'anno 2020, di cui 185 milioni di euro per la parte corrente e 150 milioni di euro per gli interventi in conto capitale, siano ripartiti e assegnati agli operatori dei settori, ivi inclusi artisti, autori, interpreti ed esecutori, tenendo conto altresì dell'impatto economico negativo conseguente all'adozione delle misure di contenimento del COVID-19, secondo le modalità stabilite con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo;

   con i decreti ministeriali 10 luglio 2020, n. 313, 17 agosto 2020, n. 407 e 16 ottobre 2020, n. 467 sono state quindi definite le modalità di accesso e di ripartizione del sopracitato Fondo di parte corrente. In particolare è stato indicato che il contributo venga riconosciuto fino ad un massimo del 100 per cento dei mancati incassi relativi alla sala o alle sale gestite (con tetti massimi di importo in base alla capienza degli stessi locali);

   successivamente, con il decreto del direttore generale 17 novembre 2020, rep. 1969, sono stati assegnati contributi per un totale di 14 milioni di euro;

   è stato evidenziato come il criterio prioritario utilizzato per l'assegnazione di tali fondi (incassi degli spettacoli) abbia ristorato solo le società che gestiscono i teatri e quindi penalizzato paradossalmente le compagnie teatrali a cui non sono stati destinati fondi, ma a cui viene solitamente corrisposta la percentuale maggiore derivata dalla vendita dei biglietti;

   fino ad oggi, alle produzioni teatrali private, è stato elargito un contributo extra Fus di 10 mila euro nel mese di luglio 2020, indipendentemente dalle dimensioni dell'azienda e dalle spese fisse sostenute dalle singole società;

   è evidente che è spesso la qualità e la professionalità delle produzioni teatrali a contribuire in maniera determinante al successo culturale e commerciale degli spettacoli stessi;

   è, inoltre emerso dalla lista dei contributi come alcuni teatri che erano in forte difficoltà economiche già prima dell'emergenza sanitaria siano stati premiati in maniera eccessivamente elevata rispetto a quelli con una situazione gestionale migliore –:

   se ritenga, in relazione a quanto esposto in premessa, che l'attuale normativa relativa al sostegno del settore teatrale penalizzi eccessivamente le compagnie rispetto ai teatri e conseguentemente quali iniziative urgenti intenda assumere al fine di risolvere questa evidente criticità.
(5-05054)


   PERCONTI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo. — Per sapere – premesso che:

   per contenere l'impatto della pandemia da COVID-19 sull'economia nazionale il Governo – a fronte della dichiarazione dello «stato di emergenza» – ha messo in atto sin dai subito misure di sostegno alle famiglie, ai lavoratori e alle imprese in difficoltà;

   tra i settori più colpiti, a causa delle restrizioni ai viaggi imposte della pandemia e dalle misure atte a contenerla, vi è quello turistico, strategico per l'economia nazionale;

   sin dai primi provvedimenti adottati, il Governo ha manifestato la decisa volontà di sostenere la ripresa del comparto turistico;

   nonostante la maggior parte degli operatori del turismo stia beneficiando di misure di stimolo economico e fiscale, alcuni di essi, invece, risultano in un momento così complesso privi di salvaguardie. I professionisti a cui si fa riferimento sono i cosiddetti «commerciali del turismo», che forniscono alla filiera uno snodo fondamentale di dialogo tra la rete distributiva e i fornitori di servizi nei vari segmenti del mercato turistico, quali tour operator, compagnie aeree, catene alberghiere, e altro;

   l'attività dei soggetti citati è caratterizzata dalla diversificazione dell'assetto contrattuale (lavoratori dipendenti, monomandatari, consulenti, ovvero plurimandatari a partita iva) e dalla mancanza di un codice Ateco univoco per la categoria;

   come denunciato dalle associazioni di categoria, i lavoratori autonomi che operano nel settore del turismo ricoprendo il ruolo di «commerciale» con l'inquadramento giuridico di «agente di commercio» – benché la categoria ad oggi registri un calo di fatturato che oscilla tra il 75 per cento ed il 90 per cento – sin ora sono rimasti – essendo privi di un codice Ateco dedicato – senza alcuna forma di sostegno destinato al settore del turismo;

   risultano nella medesima situazione di criticità anche gli operatori del networking tourism, che, come liberi professionisti, consentono l'interazione tra la domanda e offerta turistica;

   la crisi del settore, parzialmente attenuata dalle riaperture estive, si è recentemente riacutizzata a causa degli effetti prodotti dalle nuove misure di contenimento sanitario introdotte con i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri del 24 ottobre 2020 e del 3 novembre 2020, nonché dalle ordinanze del Ministro della salute adottata ai sensi dei citati decreti del Presidente del Consiglio dei ministri;

   è necessario dare una risposta immediata alla crisi del comparto turistico nel suo complesso, posto anche che esso risulta fortemente interconnesso con molta parte dell'economia nazionale –:

   quali tempestive iniziative di competenza intenda intraprendere per tutelare i citati profili professionali, attesa la loro esclusione dai recenti aiuti al comparto.
(5-05057)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BITONCI, CAVANDOLI, CANTALAMESSA, CENTEMERO, COVOLO, GERARDI, GUSMEROLI, ALESSANDRO PAGANO e TARANTINO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   la vicenda giudiziaria del ristoratore per la contestazione di pochi spiccioli stante la discordanza tra ricevuta e incasso, con ampio risalto anche a mezzo stampa e radio, ha risvolti surreali, ai limiti del grottesco;

   nello specifico, al ristoratore veniva contestata l'emissione di tre ricevute per un importo superiore di 0,50 euro (totale 1,50 euro) rispetto al relativo incasso del Pos (non era stato indicato nella ricevuta lo sconto di 0,50 euro) e, di conseguenza, veniva predisposta anche la chiusura dell'attività per tre giorni;

   la contestazione, il ricorso e l'impugnazione di parte hanno comportato 3 ricorsi/appelli, 3 controdeduzioni/controricorsi, 3 udienze tenutesi, oltre a notifiche, comunicazioni e costituzioni;

   sono stati, altresì, impegnati ben 11 giudici (3 in Ctp, 3 in Ctr, 5 in Cassazione) ed il coinvolgimento, nei due giudizi in Cassazione, dell'Avvocatura dello Stato e della procura generale;

   una vicenda similare è accaduta anche ad un contribuente, residente nei territori colpiti dal Sisma 2002; nella prima rata aveva versato 4 euro in meno rispetto al dovuto; anche in questo caso stesso numero di ricorsi e gradi di giudizio e stesso dispiegamento di giudici;

   entrambe le vicende evidenziano l'importanza di un intervento normativo che renda strutturale la chiusura delle cosiddette «liti tributarie pendenti» sul modello di cui al decreto-legge n. 119 del 2018 e che riformi la giustizia tributaria nel senso di prevedere il non luogo a procedere con ulteriori gradi di giudizio allorquando il costo del contenzioso sia per l'amministrazione finanziaria superiore al mancato incasso dell'imposta impagata –:

   se e quali tempestive iniziative di competenza, anche di carattere normativo, intenda adottare con riguardo a quanto esposto in premessa e, nello specifico, se non convenga sull'opportunità di prevedere:

    a) una definizione agevolata strutturale delle liti tributarie pendenti, che consenta di evitare lo spreco di risorse, materiali ed umane, reindirizzandole a questioni più rilevanti per l'erario e, al contempo, disintasare l'ingorgo della giustizia tributaria;

    b) un passaggio obbligatorio per l'amministrazione finanziaria volto alla transazione fiscale ovvero all'abbandono del contenzioso qualora l'importo oggetto del contenzioso sia talmente irrisorio che il recupero rappresenti per la macchina fiscale un maggior costo, in termini economici e di personale impiegato.
(5-05056)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta orale:


   ZANETTIN. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   notizie di stampa informano che il Ministro interrogato ha provveduto a sostituire il dottor Giulio Romano alla direzione generale dei detenuti e del trattamento del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria;

   la posizione è rimasta a lungo vacante ed è stata ora affidata al dottor Gianfranco De Gesu, stimato dirigente dell'amministrazione penitenziaria;

   l'incarico, che negli ultimi trentacinque anni è stato sempre ricoperto da magistrati, è stato ora affidato ad un dipendente dell'esecutivo;

   l'interrogante ha sempre sostenuto la necessità di limitare al massimo gli incarichi fuori ruolo dei magistrati, ma le peculiari e delicatissime funzioni di questo specifico ruolo giustificano appieno che venga esso ricoperto da un magistrato;

   il direttore generale dei detenuti gestisce in particolare l'applicazione del 41-bis nei nostri penitenziari;

   in questa veste interloquisce quotidianamente con le procure su indagini delicatissime per le quali sono spesso necessarie azioni congiunte con la direzione generale nell'ambito della più assoluta segretezza;

   vengono confidate al direttore generale le più delicate azioni investigative, che necessitano spesso di un intervento consapevole da parte di un soggetto, che non può non avere la sensibilità e la prontezza di un magistrato;

   per altro verso, un dirigente penitenziario, a differenza del magistrato, non gode dello status che ne fa un soggetto autonomo ed indipendente dal potere esecutivo;

   il dirigente penitenziario è soggetto al gradimento del Ministro in quanto dal Ministro dipendono la sua stessa riconferma nell'incarico, la possibilità di essere trasferito, prebende di carattere economico e di carriera;

   ai dirigenti penitenziari in passato era giustamente affidato il ruolo di vice capo del dipartimento, destinato in concreto ad occuparsi di materie diverse da quelle trattate dalla direzione generale detenuti;

   peraltro, con la nomina di un vice capo dipartimento magistrato, il Ministro, ad avviso dell'interrogante, ha deliberatamente sottratto alla dirigenza penitenziaria un ruolo che le è storicamente appartenuto;

   il Ministro ha dunque, secondo l'interrogante, errato due volte: allora nominando un magistrato vice capo; oggi nominando un dirigente penitenziario a capo della direzione generale detenuti;

   due errori che si sommano e che non si compensano;

   alla luce di quanto sopra esposto, la decisione del ministro interrogato appare sorprendente –:

   per quali motivi il Ministro, nella sua scelta, pur legittima, abbia inteso discostarsi dalla prassi consolidata di affidare ad un magistrato la direzione generale dei detenuti.
(3-01930)

Interrogazioni a risposta scritta:


   VARCHI, PRISCO e MASCHIO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   l'11 febbraio 2019 veniva indetta la procedura concorsuale relativa a «754 posti di allievo agente del Corpo di polizia penitenziaria maschile e femminile»;

   il 18 ottobre 2019 venivano pubblicati i risultati delle prove di esame e la relativa graduatoria, con 1500 posti a concorso;

   a distanza di oltre un anno, tale procedura concorsuale è ancora aperta e l'emergenza sanitaria in corso con i conseguenti provvedimenti assunti per il contenimento dei contagi hanno aggravato, se possibile, la situazione di quanti speravano di poter entrare a far parte del corpo di polizia penitenziaria;

   il decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27 (cosiddetto «Cura Italia») ha previsto, infatti, la sospensione delle procedure concorsuali per l'accesso al pubblico impiego, compresa la loro indizione, per 60 giorni;

   nel frattempo, la situazione all'interno degli istituti penitenziari, che da tempo versano in condizioni emergenziali dal punto di vista del sovraffollamento e della carenza di organico, rischia di degenerare sotto il peso dell'emergenza sanitaria, tra sommosse, tentate evasioni e aggressioni ai danni della popolazione carceraria;

   lo stesso Ministro Bonafede, in risposta a un recente atto di sindacato ispettivo, ha riconosciuto un divario tra organico del Corpo di polizia penitenziaria previsto (41.667 unità) e organico effettivamente presente (37.654) pari al 9,63 per cento;

   nonostante ciò, il cosiddetto «decreto Rilancio» ha autorizzato l'assunzione di sole 650 nuove unità, mentre i partecipanti al concorso indetto nel 2019 sono ancora in attesa dell'avvio delle procedure inerenti lo scorrimento della loro graduatoria –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, considerata la gravità degli stessi, quali urgenti iniziative di competenza intenda assumere per consentire l'immediato scorrimento delle graduatorie dei concorsi ancora in atto;

   se non ritenga improcrastinabile adottare iniziative per procedere ad assunzioni straordinarie nel corpo di polizia penitenziaria, mediante l'ampliamento dei posti messi a concorso, in considerazione dell'attuale situazione di estrema difficoltà che non consente, peraltro, l'espletamento di nuove procedure concorsuali.
(4-07581)


   MELONI e BELLUCCI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   è destinata a far discutere la toccante vicenda di un uomo di 87 anni, che da oltre 20 giorni sarebbe stato portato, contro la sua volontà, in una residenza sanitaria per anziani e da allora non si avrebbero più sue notizie;

   come denunciato in un servizio de Le Iene, il professor Gilardi, un signore estremamente colto e benestante, qualche mese fa aveva accusato l'amministratore di sostegno di volerlo fare «dichiarare incapace di intendere e di volere» per gestire i suoi beni;

   il professor Gilardi, la cui unica colpa, come testimoniato da chi lo conosce bene, sarebbe quella di essere stato estremamente generoso con tutti e di avere sempre aiutato le persone in difficoltà, non si è mai sposato, non ha parenti in vita, a eccezione di una sorella più anziana, da tempo ricoverata in una casa di riposo;

   nel 2017, Carlo Gilardi ha ricevuto in eredità del denaro, con il quale ha continuato ad aiutare tutti quelli che avevano bisogno, ma una serie di movimenti sospetti con prelievi di cifre ingenti e spese importanti dal conto corrente del professore avrebbero fatto scattare da parte delle banche una segnalazione, spingendo l'anziana sorella a chiedere la nomina di un amministratore di sostegno per la tutela degli interessi del fratello;

   in questi anni, il professor Gilardi si è sempre opposto a tale scelta e ai vari amministratori di sostegno che si sono succeduti, rivolgendosi anche al giudice competente per riottenere la «libertà», la cui privazione l'ha costretto a una «depressione morale», come da lui stesso denunciato e decidendo nel giugno 2020 di farsi fare perfino una perizia psichiatrica che avrebbe confermato come «non emergono anomalie o segni di patologia. [...] Il pensiero è privo di alterazioni, [...] nessun segno di deterioramento mentale o cognitivo»;

   a luglio 2020, il giudice ha richiesto una Consulenza tecnica d'ufficio per capire se il professor Gilardi avesse bisogno di ulteriori misure di tutela e, nel frattempo, l'amministratrice di sostegno, adducendo varie scuse, gli avrebbe spesso negato l'accesso al suo patrimonio, nonostante i suoi accorati e continui appelli;

   durante l'estate il professor Gilardi si è rivolto anche a un legale di fiducia per la revoca dell'amministratore, ma, secondo quanto riportato nell'esposto, «ai miei avvocati è stata negata la possibilità di costituirsi in giudizio» perché il giudice in quel momento non ha ritenuto ci fosse la necessità di una difesa;

   il 10 settembre 2020 il professore ha presentato un esposto per chiedere la revoca dell'amministratrice di sostegno, denunciando comportamenti non congrui con il suo incarico, tra i quali, ad esempio, un episodio risalente al 2018 in cui l'amministratrice avrebbe «effettuato un bonifico dell'importo di euro 40.000,00 ad un nominativo a Lei conosciuto, bonificando tale cifra dal mio conto corrente» e lanciando un grido di allarme: «ritengo che, da tempo, stiano cercando di farmi dichiarare “incapace di intendere e volere” al solo fine di poter gestire liberamente i miei soldi e le mie proprietà»;

   pochi giorni fa, il 27 ottobre 2020, la nuova amministratrice di sostegno, nominata a inizio ottobre dal tribunale, senza preavviso, e disponendo un vero e proprio prelievo forzoso, contro la sua volontà, avrebbe trasferito il professor Gilardi in una Rsa;

   appare peraltro agli interroganti del tutto inspiegabile la scelta di trasferirlo, contro la sua volontà, in una Rsa, nonostante non avesse bisogno di cure e avesse una casa e persone che avrebbero potuto prendersi amorevolmente cura di lui –:

   considerata la gravità dei fatti esposti in premessa, quali immediate iniziative di competenza, anche di carattere ispettivo, intenda assumere il Governo per fare chiarezza sulla vicenda del professor Carlo Gilardi.
(4-07601)

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:


   MONTARULI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   in data 18 novembre 2020, presso la sede regionale della Unione generale del lavoro (Ugl) Piemonte, in via Sacchi n. 43 a Torino, si sono verificati atti intimidatori nei confronti della sede del sindacato. A poche ore dal tavolo di confronto per discutere delle condizioni di lavoro dei rider al Ministero del lavoro e delle politiche sociali con le parti sociali – al fine di riconoscere tutele e diritti ai lavoratori del settore – i funzionari del sindacato hanno rinvenuto, all'interno della cassetta delle lettere della sede del sindacato, tre artifici pirotecnici inesplosi: una serie di piccoli ordigni potenzialmente pericolosi ed in grado di cagionare danni ai passanti;

   già il 25 settembre 2020, sempre presso la sede regionale Ugl Piemonte, si sono verificati spiacevolissimi e gravissimi episodi di vandalismo e atti di violenza, consistenti nel tentativo di irrompere all'interno della sede del sindacato, nonché nell'esposizione di striscioni con parole denigratorie e nell'imbrattare le mura esterne della sede, costringendo i dirigenti sindacali presenti a barricarsi all'interno degli uffici per evitare di subire violenze fisiche;

   danneggiare la sede di un sindacato significa attentare alla democrazia, alla libertà dei lavoratori ed al confronto leale e, a parere dell'interrogante, si tratta di un atto di violenza politica inaccettabile, decisamente più grave rispetto ai precedenti, stante anche la maggiore pericolosità dell'attacco, che deve essere stigmatizzato dalle istituzioni e dalle altre parti sociali;

   è necessario procedere immediatamente all'individuazione dei responsabili e soprattutto impedire che chi si impegna in difesa dei diritti dei lavoratori venga intimidito attraverso la strategia del terrore –:

   quali iniziative di competenza intenda assumere per scongiurare che simili episodi si verifichino nuovamente a danno di sindacati.
(3-01928)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MAGI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   l'emanazione del provvedimento di concessione della cittadinanza, come noto, è soggetta ad una valutazione che presenta profili di discrezionalità da parte della pubblica amministrazione;

   tra i requisiti valutati vi è quello reddituale, e viene a tal fine assunto come parametro, come chiarito nella circolare Ministero dell'interno, Prot. K.60.1 del 5 gennaio 2007, quello previsto dall'articolo 3 del decreto-legge n. 382 del 25 novembre 1989 per l'esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria, pari a circa 8.300 euro per il richiedente senza coniuge, né figli a carico, trattandosi di reddito che va mantenuto fino al decreto di concessione;

   l'attuale fase di crisi economica derivante dalla pandemia da COVID-19 ha drasticamente ridotto la possibilità di conseguire redditi di tal genere da parte degli aspiranti alla cittadinanza, che si vedono così privati di una legittima aspettativa per la quale negli anni hanno compiuto importanti sacrifici - :

   se non ritenga necessario e urgente adottare iniziative anche di carattere normativo, al fine di chiarire che per le domande di cittadinanza presentate dal 1° gennaio 2021 al 1° gennaio 2024 non si terrà conto del parametro reddituale.
(5-05062)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   è stata pubblicata dal sito de «il Giornale» una foto sconcertante che ritrae agenti della polizia di Stato ammassati sullo stesso aereo insieme ad una decina di immigrati in assenza del minimo distanziamento sociale previsto dalle disposizioni anti-Covid;

   il velivolo sovraccarico di persone, per ogni fila sei posti, tutti occupati, senza alcun distanziamento tra poliziotti e clandestini, sarebbe partito da Roma Fiumicino alle ore 10.00 del mattino del 12 novembre 2020 in direzione Catania, al fine di trasferire un totale di 82 stranieri dalle navi quarantena ad alcuni centri per i rimpatri del Nord Italia;

   sul primo volo sarebbero stati caricati 40 immigrati, scortati fino a Milano, l'aereo atterrato in Lombardia alle ore 17.30, sarebbe ripartito subito dopo, alle ore 18.00, per ritornare a Catania ed imbarcare altri 42 stranieri da accompagnare, questa volta, a Torino;

   nella città piemontese, sarebbero atterrati alle 2 di notte e, dopo aver fatto sbarcare i migranti, gli agenti sarebbero ripartiti per far finalmente rientro a casa;

   l'arrivo a Roma è avvenuto alle 4.30 del mattino, dopo ben 20 ore consecutive di lavoro dal primo decollo;

   una vicenda assolutamente inaccettabile che dovrebbe imbarazzare il Governo, il quale, per l'ennesima volta, si è dimostrato incapace di gestire efficacemente ed in sicurezza il fenomeno migratorio, ponendo a repentaglio la salute e l'incolumità delle forze dell'ordine che, unitamente agli operatori sanitari, durate l'emergenza pandemica ancora in atto, continuano instancabilmente a svolgere il proprio lavoro a servizio della comunità;

   l'esposizione degli operatori della polizia ad inaccettabili ed inutili rischi non viene scongiurata in termini di certezza dalla certificazione medica attestante la negatività degli stranieri al Sars-Cov-2 risultante da tampone, in quanto, come noto, l'affidabilità del test è condizionata anche dal momento temporale in cui viene eseguito tenuto conto del periodo di incubazione della patologia;

   pertanto, anche alla luce di quanto appena sopra dedotto, pur in presenza dell'esito negativo dei tamponi, è necessario in ogni caso garantire, soprattutto quando, come nei casi di specie, il contatto è notevolmente duraturo, le misure di sicurezza e di distanziamento sociale;

   dai fatti sopra descritti emergerebbero, tra l'altro, anche gli inaccettabili ritmi e le condizioni lavorative cui gli appartenenti alle forze dell'ordine sarebbero costretti a prestare servizio senza soluzione di continuità addirittura per 20 ore;

   appare, dunque, doveroso un intervento del Governo volto a garantire alle forze dell'ordine di svolgere il loro servizio in totale sicurezza con ritmi lavorativi dignitosi e decorosi nel trasferimento degli immigrati –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e considerata la gravità degli stessi quali urgenti iniziative, per quanto di competenza, intenda adottare al fine di garantire una gestione efficiente del fenomeno migratorio; quali iniziative intenda assumere al fine di tutelare la salute delle forze dell'ordine durante lo svolgimento del servizio di scorta nazionale dei migranti verso i centri per i rimpatri nazionali; se non si intendano dotare le forze dell'ordine di dispositivi di protezione individuale congrui rispetto ai lunghi periodi di convivenza in luoghi chiusi con gli immigrati trasportati.
(4-07586)


   FRATOIANNI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   la rete nazionale «RiVolti ai Balcani» è nata per denunciare le condizioni dei migranti in fuga lungo la rotta balcanica e provenienti da aree segnate da gravi conflitti e persecuzioni e che tentano di presentare domanda di protezione internazionale;

   secondo quanto denunciato dalla rete, sarebbero molteplici e gravi le violazioni sul diritto d'asilo compiute dall'Italia al confine italo-sloveno che si concretizzerebbero nelle cosiddette «riammissioni infernali», giustificate dall'Accordo bilaterale tra il Governo italiano e quello Sloveno del 3 settembre 1996;

   le riammissioni dei migranti avvengono quindi «senza formalità», cioè in assenza dell'adozione di qualunque provvedimento amministrativo motivato e notificato all'interessato ed impugnabile dinnanzi all'autorità giudiziaria;

   l'accordo sulle riammissioni sarebbe di dubbia legittimità, in quanto intergovernativo e mai ratificato ai sensi dell'articolo 80 della Costituzione italiana;

   in ogni caso, il suddetto accordo non potrebbe mai derogare alle norme di fonte primaria dell'ordinamento giuridico italiano e pertanto risulterebbe inapplicabile nei confronti di persone rifugiate e richiedenti asilo nei cui confronti trovano applicazione solo le normative internazionali, il diritto dell'Unione europea e le norme interne;

   recentemente il Governo ha risposto ad analoghi atti di sindacato ispettivo ammettendo che le riammissioni informali si applicano «anche qualora sia manifestata l'intenzione di chiedere protezione internazionale»;

   tale circostanza risulterebbe in conflitto con specifici articoli della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, dei regolamenti (Ue) n. 2016/399 e n. 604/2013 (Dublino III) e del decreto legislativo n. 286 del 1998 «principio di non refoulement», in quanto le persone sono esposte al rischio di essere respinte verso un altro Stato in cui potrebbero subire gravi violazioni dei loro diritti;

   dal 1° gennaio al 7 settembre 2020 l'Italia ha effettuato ben 874 riammissioni verso la Slovenia e tra i riammessi risultano molti cittadini afgani o iracheni;

   al confine italo-sloveno si è determinata una situazione di estrema gravità, dal momento che le persone riammesse in Slovenia sono poi soggette ad una successiva riammissione dalla Slovenia alla Croazia e da qui, troppo spesso, dopo inaudite violenze perpetrate dalle autorità di polizia croate come denunciate e documentate, sono ulteriormente riammesse in Serbia o in Bosnia e lasciate in condizioni di abbandono sia morale che materiale. Tale «catena di riammissioni» sovente non si arresta al confine bosniaco e il percorso riporta le persone in Grecia;

   secondo l'Unhcr, tra gennaio e settembre 2019, circa 4.868 persone sono state respinte dalla Croazia in Bosnia o in Serbia, ma i numeri potrebbero essere molto più alti;

   l'affermazione del Governo italiano secondo cui Slovenia e Croazia sono Paesi intrinsecamente sicuri contrasta con quanto evidenziato da tempo da organizzazioni internazionali quali Amnesty International che nel loro rapporti testimoniano le brutalità commesse e le violenze sistematiche compiute tra questi confini a danno delle persone richiedenti asilo –:

   se il Governo non intenda riconsiderare i termini dell'accordo sulle «riammissioni informali» al fine di prevedere che ogni riammissione in Slovenia avvenga solo previo esame delle situazioni individuali, tenuto conto dei trattamenti inumani e degradanti che subiscono i migranti a seguito dei «respingimenti a catena» tra Slovenia, Croazia e Bosnia-Erzegovina, e attraverso l'adozione di un provvedimento notificato all'interessato in osservanza delle norme in materia;

   quali iniziative di natura organizzativa siano state adottate al fine di assicurare agli stranieri intercettati lungo il confine italo-sloveno la massima informazione sulla possibilità di chiedere protezione internazionale e quali disposizioni siano state fornite affinché le procedure previste dal citato accordo bilaterale non si applichino a chiunque abbia manifestato, in qualsiasi modo, la volontà di chiedere protezione internazionale in Italia.
(4-07591)


   VIZZINI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   Filippo Barreca è un ex esponente ai vertici della ‘ndrangheta di Reggio Calabria che inizia la collaborazione con la giustizia nel 1992. A fronte di questa, riceve una somma ragguardevole per sé e i suoi familiari che vengono anch'essi inclusi nel programma di protezione testimoni scaduto poi nel 2015 e non più rinnovato. Con tale somma, d'accordo anche con lo Stato, ha avviato una fruttuosa attività che lo ha reso rispettabile nel comune di 5.000 anime dove risiede sotto altra identità, reinserendosi così pienamente nella società civile;

   nel 2009 il Servizio centrale di protezione ha comunicato al signor Barreca di aver proceduto ad inserire al Centro Elaborazione Dati (Ced) le situazioni soggettive relative alla sua precedente identità di mafioso, riferendoli alle nuove generalità, nonché a comunicare le risultanze del casellario giudiziale all'ufficio del casellario presso il tribunale di Roma, riferendole ugualmente alle nuove generalità;

   tale scelta ha determinato il decadimento della situazione sociale ed economica di Barreca. Lo stesso servizio ha poi comunicato a Barreca che non poteva più essere titolare di situazioni giuridiche soggettive come imprese, società, esercizi commerciali, attività lavorative eventualmente assunte con le nuove generalità, invitandolo a cessare le situazioni di incompatibilità eventualmente sussistenti al momento di detta comunicazione. Banche ed istituti di credito hanno cominciato a ritirare tutte le sue posizioni di credito come imprenditore;

   dopo il parere favorevole della prefettura di Rieti, da cui dipende il collaboratore a livello territoriale, e della procura di Reggio Calabria, riguardo al fatto che la protezione per Filippo Barreca dovesse continuare e anzi essere rafforzata, improvvisamente, mentre cominciava a collaborare con il magistrato Salvini, nell'ambito delle indagini della Commissione parlamentare d'inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro, gli è negato il programma di protezione. Questo risulta essere stato fatto con la motivazione che Barreca si era allontanato dall'Italia violando le regole del programma per recarsi in Svizzera a depositare un brevetto e iniziare così da solo una sua attività economica. Barreca aveva avvisato il Nop del suo temporaneo allontanamento all'estero, ma la procura di Reggio ritirò il suo benestare alla protezione adducendo proprio questo suo allontanamento;

   Filippo Barreca ha rilasciato importanti testimonianze riguardanti molte questioni ancora irrisolte: in particolare la sua collaborazione con il magistrato Guido Salvini, nell'ambito delle indagini della Commissione parlamentare d'inchiesta sul Caso Moro, ha portato a importanti rivelazioni sui rapporti Brigate rosse-'ndrangheta. Il tutto è stato riportato anche in un articolo pubblicato dal «Fatto Quotidiano» del 6 agosto 2020. Inoltre, secondo quanto si apprende sempre da fonti stampa, Filippo Barreca avrebbe prestato testimonianze importanti riguardo il disastro del Moby Prince;

   sulla tragedia del Moby Prince, nella quale sono morte 140 persone, è stata avviata una nuova indagine a seguito della conclusione dei lavori della commissione d'inchiesta del Senato della Repubblica nella XVII legislatura. Il procuratore capo Ettore Squillace Greco e la dottoressa Sabrina Carmazzi, sostituta procuratore di Livorno, sono i titolari dell'indagine sulla presunta strage del Moby Prince. Essendoci la possibilità della presenza di associazioni di stampo mafioso nel quadro dell'indagine, sembra che questa sia transitata alla direzione distrettuale antimafia di Firenze –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti sopra citati;

   se intenda ripristinare la protezione al pentito Filippo Barreca, testimone chiave sull'attività della 'ndrangheta in Calabria che potrebbe fornire informazioni fondamentali per far luce sul caso Moro e sulla strage del Moby Prince;

   se il Governo intenda assegnare la protezione ai magistrati che stanno indagando sul caso Moby Prince.
(4-07595)


   LOLLOBRIGIDA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   Abdul Rahman Nauroz, cittadino di nazionalità irachena, ed Eldin Hodza, cittadino kosovaro, entrambi residenti a Merano in Alto Adige, sono stati condannati con sentenza definitiva rispettivamente a sei anni e quattro anni di reclusione per avere pianificato nella città altoatesina attività di reclutamento volte a compiere azioni terroristiche internazionali di matrice islamista e jihadista tra il 2010 e il 2015;

   in particolare, di Hodza è nota anche la sua militanza tra le fila dell'Isis in Siria;

   i due facevano parte di un'organizzazione terroristica internazionale con cellule in Germania, Norvegia, Inghilterra e Francia denominata «Rawti Shax» che faceva capo a Faraj Krekar, mullah di origini irachene già vicino a Osama Bin Laden;

   Krekar, arrivato in Norvegia come rifugiato e già detenuto ad Oslo per il suo attivismo jihadista, risulta ora estradato in Italia e rinchiuso a Rebibbia, in seguito a una condanna a dodici anni inflittagli dalla Corte d'assise di Bolzano proprio per la costituzione della organizzazione «Rawti Shax»;

   mentre Abdul Nauroz si trova ancora detenuto nel carcere di massima sicurezza di Rossano Calabro, ma solo per un residuo di pena relativo ad altro reato compiuto sempre in Alto Adige, Eldin Hodza risulta essere già in stato di libertà e attualmente residente nella sua terra d'origine;

   il decreto di espulsione a pena espiata emesso dal tribunale di Bolzano, in virtù del quale non sarebbe stato più possibile per i due soggiornare sul territorio italiano una volta usciti dal carcere, da fonti di stampa risulterebbe esser stato nel frattempo trasformato in permesso di soggiorno condizionato dall'obbligo di vigilanza;

   in seguito a tale provvedimento Hodza e Nauroz potrebbero girare liberamente nel nostro Paese e anche fare ritorno a Merano, città che in passato ha garantito al terrorista iracheno un assegno sociale e una abitazione pagata dal comune –:

   se non ritenga, alla luce dei fatto esposti in premessa di verificare se sussistano i presupposti per attivare le iniziative di competenza volte a pervenire all'espulsione dei due soggetti citati.
(4-07597)

ISTRUZIONE

Interrogazioni a risposta scritta:


   DALL'OSSO. — Al Ministro dell'istruzione. — Per sapere – premesso che:

   per il conferimento degli incarichi a tempo determinato del personale amministrativo, tecnico e ausiliario degli istituti e scuole di istruzione primaria e secondaria, delle istituzioni educative e degli istituti e scuole speciali statali ogni scuola dispone di graduatorie di istituto, diverse in tre fasce;

   nella terza fascia sono inseriti i candidati in possesso dei titoli di accesso ai profili professionali previsti dal bando che viene emanato dal Ministero dell'istruzione con cadenza triennale;

   al fine della valutazione del punteggio per l'inserimento nelle graduatorie di III fascia, il Ministero dell'istruzione ritiene che il servizio prestato presso le Asl non sia da considerare quale servizio prestato alle dirette dipendenze di amministrazione statale o di ente locale;

   alla luce di queste indicazioni del Ministero, a quanto consta all'interrogante alcuni uffici scolastici provinciali avrebbero disposto un'analoga interpretazione delle norme in vigore, sostenendo che il servizio prestato presso le ASL o ASO (Aziende sanitarie Ospedaliere), essendo Enti di diritto pubblico, non si configura come servizio prestato alle dirette dipendenze delle Amministrazioni Statali o EE.LL. con dirette conseguenze su candidati in possesso del requisito del servizio svolto presso Asl i quali, in seguito alla verifica della sussistenza dei requisiti e del necessario punteggio, assistevano alla risoluzione del contratto da parte della scuola;

   l'interpretazione sopra prospettata di voler escludere dal predetto elenco di titoli valutabili il servizio presso le Asl, circoscrivendo l'ambito operativo delle presupposte previsioni alle sole amministrazioni centrali o alle sole amministrazioni locali, ovvero interpretando sia le prime che queste ultime in senso stretto, con conseguente non valutabilità dei titoli maturati/conseguiti da parte del personale interessato alle posizioni Ata, secondo l'interrogante contravverrebbe chiaramente ai principi dell'articolo 97 della Costituzione, ovvero ai principi di buon andamento e imparzialità, introducendo una non giustificata «disparità di trattamento» violativa e/o comunque elusiva dei principi costituzionali, nonché delle norme di cui agli articoli 1, 2 e 30 del decreto legislativo n. 165 del 2001;

   questo avviene, peraltro, in un momento di emergenza sanitaria per cui avere tra i propri ranghi personale con esperienza negli ospedali dovrebbe considerarsi senza ombra di dubbio un supporto qualificato a garantire maggior sicurezza nell'applicazione rispetto delle norme per contrastare il COVID-19;

   a ciò si aggiunge che la scelta restrittiva prospettata è già stata cassata, sulla base di evidenti profili discriminatori, da numerosi tribunali (giudice del lavoro del tribunale civile di Torino, n. 5924 d/2017 del 16 ottobre 2017 e tribunale di Monza – sentenza n. 1145/2015), chiamati a pronunziarsi proprio a tale specifico riguardo, che hanno dichiarato la piena valutabilità del servizio pregresso prestato presso le Asl, in quanto, ai fini della disciplina del rapporto di lavoro con le amministrazioni pubbliche, le amministrazioni dello Stato coincidono integralmente con le amministrazioni pubbliche nell'ambito delle quali, ai sensi del decreto legislativo n. 165 del 2001 (Testi unico del pubblico impiego), all'articolo 1, sono comprese le aziende e gli enti del servizio sanitario nazionale –:

   quali iniziative di competenza intenda assumere per porre urgente rimedio a tale restrittiva interpretazione della norma riguardante i candidati alle posizioni di personale Ata, circa la valutazione del servizio svolto presso le Asl ricomprese nell'elenco Istat delle amministrazioni pubbliche, che attribuirebbe punteggio solo a particolari categorie della pubblica amministrazione stessa.
(4-07592)


   TIRAMANI. — Al Ministro dell'istruzione. — Per sapere – premesso che:

   il nuovo decreto del Presidente del Consiglio prevede la didattica a distanza al 100 per cento per le scuole superiori, mentre nella scuola dell'infanzia e alle elementari le lezioni possono svolgersi in presenza;

   nel comune di Borgosesia, in provincia di Vercelli, in una classe di quinta elementare una bambina è in quarantena da fine ottobre 2020, perché la madre è risultata positiva sintomatica;

   nonostante le varie e ripetute richieste da parte della famiglia di attivare la didattica a distanza, dalla scuola, a quanto consta all'interrogante, avrebbero fatto sapere che, nonostante vi siano molti casi di bambini delle elementari in quarantena, nessuna classe ha iniziato le lezioni da remoto;

   nella stessa scuola, tuttavia, nelle classi superiori di primo grado la didattica a distanza è stata attivata;

   questa disparità mette in evidenza il problema della gestione dell'insegnamento a distanza: ci sono difficoltà di connessione web, mancanza di strumenti di comunicazione idonei, carenze e lacune nella formazione dei docenti circa l'uso delle tecnologie;

   la continuità didattica è un diritto di ogni studente, specie nel passaggio dalla scuola primaria a quella secondaria di primo grado –:

   se il Ministro interrogato, alla luce dei fatti riportati in premessa, non intenda adottare iniziative per stanziare ulteriori risorse per la gestione dell'insegnamento a distanza, al fine di garantire la continuità didattica e il diritto allo studio.
(4-07596)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta scritta:


   NOJA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   con la circolare n. 117 del 9 agosto 2019, l'Inps ha fornito alcuni chiarimenti relativi al decreto-legge 28 gennaio 2019 n. 4, convertito con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, la cosiddetta «Quota 100»;

   in particolare, il paragrafo 2 della circolare in parola specifica come, con riferimento alla valorizzazione dei periodi di lavoro svolto all'estero, ai fini del conseguimento della «pensione quota 100», anche con il cumulo dei periodi assicurativi presso due o più gestioni previdenziali, trovino applicazione i chiarimenti nel tempo forniti dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali per l'accesso alla pensione di anzianità/anticipata (cfr. i messaggi n. 30610/2006, n. 5188/2007, n. 4670/2010 e n. 1094/2016);

   il requisito contributivo previsto per la «pensione quota 100», dunque, può essere perfezionato anche con la contribuzione estera non coincidente maturata in Paesi a cui si applicano i regolamenti dell'Unione europea di sicurezza sociale ovvero in Paesi extracomunitari legati all'Italia da convenzioni bilaterali di sicurezza sociale, che prevedono la totalizzazione internazionale;

   è invece attualmente negata la cosiddetta «Ape sociale» anche ai cittadini titolari di un esiguo pro-rata estero a seguito di un lavoro svolto in gioventù;

   tale incompatibilità deriverebbe, secondo Inps, dal comma 167 dell'articolo 1 della legge 11 dicembre 2016, n. 232, che dispone come non possano ottenere l'«Ape sociale» coloro che sono già titolari di un trattamento pensionistico diretto;

   tale diversa disciplina applicata a «Quota 100» e all'«Ape sociale» sembra prefigurare una discriminazione tra diverse categorie di cittadini e penalizzare chi si trova in condizioni di maggiore disagio sociale, come disoccupati, invalidi e caregivers;

   al riguardo, non sembra essere sufficiente la ratio che sottende a tale chiarimento per cui, mentre «Quota 100» è una pensione anticipata, l'Ape sociale è una prestazione di assistenza sociale e come tale è sottratta all'applicazione dei regolamenti dell'Unione europea;

   infatti, la sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea, Cgue C-449/16 del 21 giugno 2017, nelle questioni pregiudiziali ai paragrafi 20, 21 e 22, statuisce che non spetta all'Inps stabilire quale prestazione sia da considerarsi «assistenza sociale» e quale non lo sia;

   in entrambi i casi la Corte di giustizia dell'Unione europea ha già sancito che valgono gli stessi regolamenti dell'Unione europea;

   peraltro, la suddetta sentenza C-449/16 ha già generato un richiamo formale al Governo italiano da parte della Commissione europea, con il caso EU-Pilot 9211/17/HOME, il quale però è rimasto disatteso, e quindi si è trasformato nella procedura di infrazione 2019/2100 del 25 luglio 2019, ai sensi dell'articolo 258 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea –:

   se non intenda adottare le iniziative di competenza per chiarire tale vulnus che sta penalizzando alcuni cittadini.
(4-07594)

POLITICHE GIOVANILI E SPORT

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   LOTTI. — Al Ministro per le politiche giovanili e lo sport. — Per sapere – premesso che:

   al fine di assicurare la prosecuzione degli interventi a sostegno all'attività sportiva di base, il Dipartimento per lo sport della Presidenza del Consiglio dei ministri ha messo a disposizione delle associazioni e delle società sportive dilettantistiche dei contributi a fondo perduto per i canoni di locazione del mese di novembre 2020, da attribuire secondo specifici criteri indicati;

   la presentazione delle istanze avveniva entro il 17 novembre 2020, esclusivamente attraverso l'utilizzo della piattaforma web realizzata dal Dipartimento per lo sport;

   tra i requisiti da rispettare veniva indicato quello di «Essere titolare di uno o più contratti di locazione, intestati esclusivamente all'Associazione/Società, aventi ad oggetto unità immobiliari site nel territorio italiano e correttamente identificate al NCEU, regolarmente registrati presso l'Agenzia delle Entrate. Non potranno beneficiare dei contributi, i contratti di concessione degli impianti pubblici»;

   come segnalato dal settore, gran parte delle associazioni sportive usufruiscono di una concessione degli impianti pubblici in virtù non di un contratto di locazione, ma bensì di un contratto di concessione in cui risultano concessionari della gestione e per essa ricevono un «corrispettivo di gestione» e pagano allo stesso tempo un «canone di locazione»;

   inserire tra i requisiti il possesso di uno o più contratti di locazione ha, per le suddette motivazioni, escluso gran parte delle associazioni;

   l'associazionismo sportivo, rappresentato per lo più da piccole società, oltre a svolgere una funzione sociale, permettendo ai giovani di dedicarsi ad un'attività sportiva e di maturare quelle attitudini, non solo fisiche ma anche umane, educative e di aggregazione, svolge un importante ruolo imprenditoriale con alto tasso occupazionale;

   l'interrogante ritiene urgente avviare una serie di interventi specifici a sostegno del mondo dell'associazionismo sportivo –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti suesposti e quali siano state le ragioni che abbiano indotto il Dipartimento per lo sport ad indicare tale requisito e – in ogni caso – se non intenda, nell'ambito della prima iniziativa utile, modificare i suddetti criteri e reperire altresì ulteriori finanziamenti destinati al sostegno dell'associazionismo sportivo, uno dei settori imprenditoriali del Paese con riconosciuta funzione sociale e occupazionale.
(5-05059)


   SANI. — Al Ministro per le politiche giovanili e lo sport, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   in questi mesi sono state varate da Governo e Parlamento norme per sostenere le associazioni sportive dilettantistiche la cui attività è stata ed è attualmente fortemente limitata dai provvedimenti attuati per contenere la diffusione del Coronavirus;

   in primo luogo, le misure adottate con il decreto-legge n. 34 del 19 maggio 2020 sono state promosse con la finalità di aiutare in modo più ampio possibile il mondo dello sport, comprese le piccole associazioni, con misure di sostegno e di ripresa dalla gravissima crisi causata dal COVID-19;

   in particolare, con l'articolo 217, è stato istituito il «Fondo per il rilancio del sistema sportivo nazionale» per sostenere l'attività (come riportato da organi stampa sulla platea di potenziali beneficiari) di circa 20 mila società sportive e 80 mila associazioni e quindi la maggioranza dei soggetti operanti nel settore;

   successivamente, le norme introdotte dal decreto-legge n. 104 del 14 agosto 2020 rischiano però di restringere notevolmente la platea di beneficiari. L'articolo 81 del provvedimento prevede infatti misure per il credito d'imposta di aziende per gli investimenti pubblicitari in favore di leghe e società sportive professionistiche e di società e associazioni sportive dilettantistiche. Tale provvedimento, escludendo però dalla fruizione del credito d'imposta le sponsorizzazioni nei confronti di soggetti che aderiscono al regime previsto dalla legge n. 398 del 1991, penalizza completamente la maggioranza delle piccole associazioni sportive che aderiscono a tale regime forfettario: si tratta di associazioni riconosciute dal Coni o enti di promozione sportiva;

   appare quindi palese che solo gli investimenti pubblicitari verso le società sportive più importanti beneficeranno del credito d'imposta e le piccole associazioni sportive, già colpite duramente dalla crisi sanitaria ed economica, vedranno ridursi ulteriormente i loro ricavi a beneficio delle società più strutturate;

   quelle che rimangono escluse saranno moltissime associazioni che svolgono un ruolo educativo e ricreativo fondamentale per tanti giovani nei centri minori e nelle comunità marginali del Paese; si tratta di enti che spesso svolgono rilevanti funzioni sociali di aggregazione, coinvolgendo e promuovendo l'integrazione di persone svantaggiate –:

   se ritenga urgente e indispensabile, in relazione a quanto espresso in premessa, adottare iniziative normative per inserire, tra i beneficiari di cui all'articolo 81 del decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104, anche i soggetti che aderiscono al regime previsto dalla legge n. 398 del 1991.
(5-05061)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DE TOMA, RACHELE SILVESTRI e ZENNARO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   le persone con disabilità o i pazienti affetti da patologie invalidanti ed ingravescenti, quali ad esempio la Sla, le patologie oncologiche, quelle reumatologiche o caratterizzate da cronicità anche gravi, necessitano di una presa in carico da parte del sistema sanitario, capace di garantire la continuità assistenziale, anche domiciliare e terapeutica, per evitare esiti irreversibili di malattia o l'aggravamento delle condizioni di disabilità;

   per le patologie cronicizzate, per la diagnosi e il follow-up sono richiesti normalmente diversi accessi specialistici, ambienti dedicati sia per gli esami di secondo livello sia per i trattamenti che hanno necessità di stretto monitoraggio, da parte di medici specialisti, durante la loro somministrazione;

   l'attuale emergenza sanitaria per il contrasto della pandemia Sars-CoV-2, ha richiesto un sacrificio per tutti i pazienti, sla, oncologici, reumatologici e non, che, tuttavia, diventa oggi molto gravoso sia per la natura stessa delle eventuali condizioni di disabilità che delle patologie, molte delle quali rare e ultraspecialistiche, sia per la derivazione internistica della specialità che vede i professionisti spesso inseriti in strutture non autonome, ma afferenti a dipartimenti internistici oggi impegnati in prima linea nel contrasto alla pandemia;

   in particolare, la progressiva chiusura degli ambulatori, dei day hospital e day service, se non di interi reparti anche di reumatologia e di medicina, con conseguente e diretto impatto sul numero delle visite disponibili, nonché l'annullamento degli appuntamenti per le terapie e i controlli delle stesse, ha già comportato, e comporterà ancora più spesso, non solo una lesione del diritto alla salute del paziente ma anche l'implementarsi del rischio di errori nella diagnosi della patologia e, di conseguenza, nella cura dei malati con grave pregiudizio per la loro salute;

   il sistema sanitario è indubbiamente stressato dalla gestione dell'emergenza da Coronavirus, ma non può condurre alla negazione dei bisogni di continuità assistenziale e di interventi specialistici in regime di urgenza di milioni di altri malati, tra cui proprio i pazienti affetti da patologie oncologiche, reumatologiche o da malattie rare, nonché le persone con disabilità grave che devono poter contare, invece, su accessi preferenziali e protetti, tali da garantire loro cure sicure nonché la disponibilità continuativa di medici specialisti competenti all'interno delle unità territoriali;

   l'attuale situazione di emergenza sanitaria richiederebbe che siano rafforzati i servizi sanitari di prossimità, l'accesso e la consegna a domicilio di farmaci necessari ai vari piani terapeutici ma anche il ripristino dei presidi ambulatoriali e dei reparti specialistici reumatologici per la gestione delle urgenze per garantire la continuità assistenziale attraverso la somministrazione delle terapie ospedaliere non differibili allo scopo di assicurare la stabilizzazione e la remissione di malattia;

   nel contempo, alle persone con disabilità grave, nonché a quelle affette anche da patologie oncologiche, reumatologiche e croniche deve essere garantito un servizio di trasporto pubblico accessibile e dedicato tale che sia garantita loro la massima sicurezza per evitare i rischi di contagio da Sars-CoV-2 –:

   se e quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato – ed in caso contrario per quali motivi – al fine di garantire la continuità assistenziale, anche domiciliare e terapeutica, per evitare esiti irreversibili delle patologie oncologiche, reumatologiche o caratterizzate da cronicità anche gravi o l'aggravamento delle condizioni di disabilità e per assicurare, nella gestione dell'emergenza sanitaria da Sars-CoV-2, il diritto alla salute di milioni di altri malati cronici nonché il rispetto dell'articolo 25 della Convenzione delle Nazioni Unite per i diritti delle persone con disabilità, ratificata dall'Italia con la legge 3 marzo 2009, n. 18.
(5-05052)


   NOJA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   nel corso degli ultimi anni, pazienti, associazioni, medici e farmacisti hanno in più occasioni denunciato importanti difficoltà nell'accedere alle terapie a base di cannabis e nel reperire prodotti regolarmente prescritti;

   la scarsità di prodotti e la difficoltà di accesso privano i pazienti affetti da patologie gravi e croniche di una soluzione terapeutica volta a migliorarne la qualità della vita;

   in concreto, nel 2019, a fronte di un fabbisogno stimato di cannabis terapeutica di 1.650 chilogrammi, solo 860 chilogrammi circa sono stati effettivamente distribuiti;

   oltre alle difficoltà nell'approvvigionamento, la limitata gamma di prodotti in commercio non ha sempre permesso di soddisfare tutte le esigenze terapeutiche;

   l'emergenza legata alla pandemia da COVID-19 ha aggravato le criticità nell'approvvigionamento e la conseguente discontinuità terapeutica peggiorando ulteriormente la situazione di disagio per i malati;

   associazioni di pazienti hanno denunciato l'impossibilità di ricorrere all'uso delle ricette dematerializzate per questo tipo di terapia e la difficile reperibilità dei prodotti nelle farmacie;

   alla voce dei pazienti si aggiunge quella degli operatori della filiera del farmaco che hanno sottolineato un forte rallentamento della distribuzione, che avviene oggi quasi esclusivamente tramite l'importazione dall'Olanda, e un aumento della disomogeneità territoriale nella disponibilità dei prodotti;

   secondo i dati del Ministero della salute, la quasi totalità dei prodotti fitocannabinoidi viene importata sulla base di un accordo esclusivo tra i Ministeri della salute italiano e olandese, il cui testo non risulta all'interrogante pubblico;

   in numerose occasioni il Ministero della salute ha espresso la volontà di potenziare la produzione nazionale di cannabis terapeutica, incrementando la coltivazione dello Stabilimento chimico farmaceutico militare – unico centro autorizzato alla coltivazione e trasformazione della cannabis terapeutica in Italia, la cui produzione è però limitata – e di voler concedere licenze a soggetti privati sulla base di partnership pubblico-privato;

   tale proposta tuttavia, pur rappresentando un concreto passo avanti verso l'aumento dell'offerta di prodotti fitocannabinoidi, richiede tempi lunghi e non sarebbe in grado di rispondere alle criticità sottolineate, prima tra tutti il difficile e discontinuo accesso da parte dei pazienti ai prodotti;

   si stima infatti che l'avvio di un nuovo sito produttivo o un ampliamento di dimensioni sufficienti richiederebbe dai due ai tre anni per la messa in produzione effettiva;

   sulla base di quanto osservato in importanti realtà europee, una risposta rapida alle esigenze dei pazienti potrebbe essere rappresentata dall'introduzione di un sistema di accreditamento per la concessione di licenze all'importazione e distribuzione dei prodotti fitocannabinoidi, già consentita dalla normativa nazionale vigente;

   difatti, ai sensi del Testo unico in materia di sostanze stupefacenti di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, il Ministero della salute può autorizzare la coltivazione, trasformazione, importazione, esportazione di sostanze stupefacenti e psicotrope tra cui la cannabis;

   questa soluzione permetterebbe di differenziare i canali di approvvigionamento, di accrescere la sicurezza del sistema e di aumentare la gamma di prodotti presente sul mercato, rispondendo alle esigenze dei pazienti;

   la concessione di licenze per l'importazione potrebbe, inoltre, accompagnare il rafforzamento della produzione nazionale, affiancandolo –:

   se il Ministro interrogato intenda adottare iniziative per rivedere le procedure di approvvigionamento della cannabis a uso medico, introducendo un sistema di accreditamento per la concessione di autorizzazioni all'importazione e distribuzione dei prodotti terapeutici a base di cannabis, al fine di superare in tempi rapidi le criticità presenti nel sistema di approvvigionamento e distribuzione e rispondere alle esigenze dei pazienti.
(5-05058)


   PAOLO RUSSO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   i tamponi e il tracciamento servono a poter identificare in modo precoce e rapido i contagiati e monitorare e contenere la diffusione di COVID-19;

   al momento sono a disposizione dei laboratori due tipi di tampone: quello che ricerca il genoma virale e quello rapido, che ricerca invece l'antigene. I tamponi rapidi sono sempre più diffusi, e poco costosi, ma sono sensibilmente meno affidabili dei molecolari. Secondo alcuni test, il tampone rapido non rivela circa tre positivi su dieci;

   i test e i tamponi sono indispensabili per tutti gli operatori sanitari, ma, anche a causa del maggiore costo, si è diffuso l'utilizzo dei tamponi rapidi in luogo dei tamponi molecolari, anche se certamente più affidabili;

   la regione Veneto, come anche la regione Lombardia, l'Emilia Romagna ed il Piemonte hanno fatto, ha recentemente avviato la procedura per un appalto da 148 milioni di euro per la fornitura dei tamponi rapidi;

   la medesima regione, ha approvato un piano di salute pubblica che lascia libere le aziende Ulss e ospedaliere di organizzare i test ai sanitari, fin qui molecolari. I tamponi rapidi, con risposta in 15 minuti, sono ora stati adottati a Padova, da effettuare ogni 7 giorni: non passano dal laboratorio, e alle Ulss costano metà dei molecolari, 15 euro l'uno contro 30, anche se questi tamponi possono dare falsi negativi fino al 30 per cento;

   Anaao-Assomed ha chiesto al Veneto il tampone molecolare, se non per tutti i sanitari dell'ospedale, almeno per quelli in prima linea;

   il virologo Andrea Crisanti consiglia i test rapidi per scuole e comunità, ma non per l'idoneità degli operatori sanitari:

   i sindacati dei medici e del personale sanitario chiedono di praticare il tampone molecolare almeno al personale di terapie intensive, pronto soccorso, 118, reparti di malattie infettive e pneumologici, anestesisti. In caso di falsi negativi, il rischio di focolai in un reparto è elevato. I medici di laboratorio di Aipac hanno ribadito che quello che serve in tutta Italia è il tampone molecolare per tutti gli operatori che frequentano le corsie, non solo sanitari;

   in un recente articolo di Annarita Martini e Alessandra Di Tullio, della Federazione Fassid che comprende, in Aipac, i medici di laboratorio, in Simet, quelli dei servizi di igiene Asl, nel Snr, i radiologi, in Aupi, gli psicologi e, in Sinafo, i farmacisti ospedalieri, si osserva come i test molecolari sono il solo metodo efficace per lo screening: la loro esecuzione passa per laboratori con specifiche certificazioni –:

   se non ritenga di avviare, per quanto di competenza, le opportune iniziative volte a garantire i test molecolari, in luogo dei tamponi rapidi a tutti gli operatori sanitari dando priorità agli operatori maggiormente esposti al rischio di contagio.
(5-05063)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DELMASTRO DELLE VEDOVE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   nei giorni scorsi, le oltre 18 mila farmacie aderenti a Federfarma hanno lanciato un appello alla popolazione affinché chiunque abbia una bombola d'ossigeno inutilizzata in casa la riporti quanto prima in farmacia;

   le bombole riconsegnate in farmacia, come previsto dall'Aifa, potranno essere sanificate e riempite di ossigeno terapeutico per un nuovo utilizzo;

   l'appello, in linea con quanto emerso nel corso del Tavolo di confronto avviato dall'Aifa con Federfarma e Assogastecnici (Associazione delle aziende che operano nel campo della produzione e distribuzione dei gas tecnici, speciali e medicinali), si è reso necessario nell'ambito per assicurare le terapie necessarie a tutti i malati in assistenza domiciliare;

   la restituzione delle bombole di ossigeno in farmacia è necessaria per garantire la disponibilità di ossigeno terapeutico a tutti i malati affetti da patologie respiratorie o colpiti da COVID-19;

   a seguito di un monitoraggio effettuato da Federfarma, sono state rilevate alcune difficoltà di reperimento di bombole di ossigeno per le cure domiciliari di pazienti affetti da patologie respiratorie o connesse al COVID-19, in particolare in Abruzzo, Basilicata, Campania, Liguria, Valle d'Aosta e alcune zone del Piemonte e della Sicilia;

   la situazione ha assunto una deriva particolarmente preoccupante soprattutto nell'area metropolitana di Napoli, dove si sono resi necessari alcuni incontri tra il prefetto di Napoli Marco Valentini e i vertici della categoria dei farmacisti –:

   quali iniziative intenda porre in essere il Governo al fine di superare le difficoltà dell'approvvigionamento di dispositivi per l'ossigenoterapia domiciliare che si sono recentemente registrate nelle farmacie di numerose zone d'Italia e, in particolare, dell'area metropolitana di Napoli.
(4-07579)


   VALLASCAS. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   con 110.410 pazienti, in Sardegna si registrerebbero le percentuali più alte in Italia (6,9 per cento contro il 5,3 per cento nazionale) di diffusione del diabete, con circa 24 mila pazienti in terapia insulinica multiniettiva che prevederebbe 4 insuline al giorno;

   l'isola risulterebbe una delle regioni al mondo con la più alta incidenza di diabete autoimmune, chiamato di tipo 1 (Dmt1), e al secondo posto dopo la Finlandia per numero annuale di nuovi casi (con un tasso di incidenza 4 volte più alto della media nazionale);

   secondo Salute e Benessere dell'Ansa del 19 giugno 2020 «Ogni anno in Sardegna vengono diagnosticati circa 120 nuovi casi di diabete tipo 1 nella fascia di età 0-14 anni e un bambino ogni 150 è affetto da questa patologia»;

   per la diffusione rispetto al numero della popolazione, per i disagi provocati e per i costi diretti e indiretti, il diabete rappresenta una causa di forte compromissione della qualità della vita dei pazienti con gravi implicazioni sociali;

   il Piano sulla malattia diabetica (Ministero della salute – direzione generale della programmazione sanitaria – Commissione nazionale diabete 13) riferisce che «Poiché il numero di persone affette da diabete è in costante crescita in tutto il mondo, i costi per la cura di questa malattia rappresentano una quota costantemente in aumento nei budget di tutti i Paesi. Inoltre, il diabete è destinato a diventare la causa maggiore di disabilità e di mortalità nei prossimi venti anni: l'OMS lo ha, quindi, inserito tra le patologie su cui maggiormente investire, dato il crescente peso assunto anche nei Paesi in via di sviluppo»;

   nonostante l'alta incidenza della patologia nella regione, proprio i pazienti sardi, secondo numerosi organi di stampa locale, sarebbero i più penalizzati nell'accesso a quelle nuove tecnologie che potrebbero mitigare le criticità della patologia e migliorare la qualità della vita del paziente;

   sempre Salute e Benessere dell'Ansa, tra le altre cose, avrebbe riportato le dichiarazioni del presidente dell'Associazione medici diabetologi sardi, secondo il quale «Nell'Isola purtroppo, ancora oggi le persone con diabete non possono usufruire di tutte le tecnologie che oggi il mercato offre»;

   il riferimento sarebbe al mancato impiego dei microinfusori di ultima generazione che attraverso le applicazioni di intelligenza artificiale fornirebbero supporto nel cercare di mimare la fisiologia della secrezione insulinica endogena, personalizzare e gestire i boli, monitorare costantemente le glicemie, riducendone le escursioni e quindi il tempo passo in ipo/iperglicemia e aumentando il cosiddetto «time in range»;

   questo mancato impiego delle nuove tecnologie deriverebbe dall'adesione della regione Sardegna a una procedura avviata dalla regione Piemonte, per la stipula di un accordo quadro con più operatori economici per la fornitura di microinfusori di insulina, di sistemi di monitoraggio in continuo e del relativo materiale di consumo per pazienti diabetici;

   secondo le associazioni dei pazienti della Sardegna, i dispositivi oggetto del bando sarebbero ormai superati e, in particolare, tra questi non sarebbero presenti microinfusori e sistemi di monitoraggio glicemico in continuo che, viceversa, sarebbero frequentemente prescritti, in modo vincolante, dai centri di diabetologia e che le Assl dovrebbero fornire in base alle normative regionali vigenti, in quanto indispensabili e insostituibili per i pazienti diabetici;

   in attesa di espletare una nuova gara, sarebbe stata prospettata la definizione di un contratto «ponte» con le aziende fornitrici per la fornitura di dispositivi di ultima generazione, considerato che, tra le altre cose, la fornitura dei vecchi dispositivi verrebbe sospesa il 31 dicembre 2020 –:

   quali iniziative intenda adottare, per quanto di competenza, per garantire ai pazienti sardi sottoposti a terapia insulinica la fornitura di dispositivi di ultima generazione come microinfusori e sistemi di monitoraggio glicemico in continuo.
(4-07580)


   BAGNASCO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   l'influenza rappresenta un serio problema di sanità pubblica e una rilevante fonte di costi diretti e indiretti per il Servizio sanitario nazionale contro cui la vaccinazione costituisce la forma più efficace di prevenzione;

   in relazione all'attuale situazione, caratterizzata dalla co-circolazione di Sars-CoV-2 e dell'influenza stagionale, il Ministero della salute, ha sottolineato l'importanza della vaccinazione antinfluenzale per semplificare la diagnosi e la gestione dei casi sospetti di COVID-19, dati i sintomi simili e sovrapponibili a quelli dell'influenza stagionale;

   appare evidente, dunque, che una più corposa campagna vaccinale contro l'influenza comporterebbe, oltre alla diminuzione del carico gravante sulle strutture sanitarie pubbliche, anche una maggiore facilità di distinguere i pazienti contagiati dal coronavirus da quelli che contraggono un virus influenzale;

   la domanda di vaccinazione nella stagione in corso risulta superiore agli anni passati, a seguito dell'aumento delle richieste provenienti anche dai soggetti non considerati a rischio;

   a ciò si aggiunge la preoccupazione che, una volta disponibile un vaccino per il COVID-19, il dispiegamento di forze necessario per la sua distribuzione e somministrazione possa acuire le criticità già riscontrate per la campagna vaccinale in corso, mostrando come il Ssn sia impreparato ad offrire una copertura capillare e tempestiva;

   la disposizione di cui all'articolo 102 del regio decreto 1265 del 1934 recante Testo unico delle leggi sanitarie, spesso invocata per escludere la possibilità di effettuare vaccini in farmacia, appare anacronistica soprattutto a fronte dell'evoluzione normativa in materia di farmacie dei servizi, di cui alla legge n. 69 del 2009, che si configurano come strutture dotate di numerosi compiti e funzioni – tra i quali la partecipazione alle campagne di prevenzione per le principali patologie a forte impatto sociale – e, inoltre, consentono la presenza di altri professionisti sanitari quali gli infermieri;

   il Consiglio di Stato, con la sentenza 3357/2017, ha precisato che il divieto dell'esercizio dell'attività medica nei locali della farmacia non deve intendersi in senso assoluto e al punto da impedire qualsivoglia attività all'interno della farmacia, ritenendo l'articolo 102 del Testo unico delle leggi sanitarie superato proprio dalla legge n. 69 del 2009;

   autorizzare i farmacisti a inoculare i vaccini all'interno delle farmacie, dotate di strutture idonee sotto il profilo igienico-sanitario, sia nel corso delle campagne antinfluenzali, sia nella futura campagna vaccinale contro il COVID-19, consentirebbe di alleggerire la pressione sui medici e sulle strutture sanitarie pubbliche, aumentando i punti di somministrazione, raggiungendo più facilmente la popolazione e riducendo i tempi di attesa per i pazienti;

   in 36 Paesi del mondo, di cui 14 europei ci si vaccina in farmacia, con un conseguente aumento del tasso di adesione alle campagne vaccinali e un elevato grado di soddisfazione dei pazienti coinvolti e i farmacisti esercitano già un ruolo attivo nella somministrazione dei vaccini in Paesi come la Francia, Germania, Portogallo, Inghilterra, Austria, ma anche gli Usa e il Canada;

   nel corso dell'attuale emergenza sanitaria, sarebbe determinante un'innovazione normativa che consentisse anche in Italia ai farmacisti, opportunamente formati, di poter inoculare il vaccino ai pazienti direttamente presso i propri locali –:

   se intenda porre in essere le iniziative urgenti di competenza volte ad adottare un'apposita norma che abiliti espressamente i farmacisti a inoculare i vaccini antinfluenzali direttamente nelle farmacie, intervenendo sull'ormai anacronistico regio decreto n. 1265 del 1934 e demandando ad un successivo decreto ministeriale la definizione di aspetti quali la certificazione necessaria affinché il farmacista possa essere abilitato alla somministrazione dei vaccini, le procedure operative per la somministrazione in farmacia, nonché i requisiti strutturali, tecnologici e igienici dei locali destinati alla somministrazione.
(4-07593)


   AMITRANO e DEL SESTO. — Al Ministro della salute, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie — Per sapere – premesso che:

   a seguito del dilagare della «seconda ondata» dell'epidemia Sars-Cov-2, sono emerse problematiche riguardanti il ruolo dei medici di assistenza primaria, responsabili clinici del paziente in ambiente extraospedaliero, che sono chiamati, particolarmente nelle zone del Paese ad altissima circolazione del virus, a rappresentare il presidio di sentinella per la gestione dei casi dei sintomatici e lo smistamento degli stessi presso le strutture ospedaliere;

   a quanto risulta da notizie stampa, la gestione dell'epidemia è stata caratterizzata dal rapido sovraccarico dei servizi ospedalieri, pertanto è necessario rafforzare i servizi territoriali in modo da poter svolgere funzioni di accertamento diagnostico, isolamento, contact tracing, quarantena anche mediante l'ausilio dei medici di medicina generale; a fronte di questo rafforzamento del ruolo degli stessi non sempre coincidono adeguate protezioni, basti ricordare, purtroppo, l'altissimo numero di decessi tra i medici di medicina generale durante l'inizio dell'epidemia a causa delle mancate o inadeguate forniture di dispositivi di protezione individuale (Dpi);

   il medico di medicina generale è il primo mattone di qualsiasi sistema di sorveglianza della salute e in costante rapporto con la rete dei servizi ospedalieri, e di sanità pubblica delle aziende sanitarie locali (Asl); in Italia ci sono circa 44 mila medici di base, nel corso degli ultimi anni questo numero ha subito un calo significativo di unità, al quale si affianca anche un significativo aumento dell'età dei medici con percentuali decisamente più elevate di medici anziani nelle regioni del Sud;

   rilevato che al fine di contenere la seconda ondata attraverso una identificazione veloce dei focolai e l'isolamento dei casi, il 28 ottobre 2020 l'Accordo collettivo nazionale sottoscritto dai sindacati dei medici di famiglia e dalla Conferenza Stato-regioni in vigore è stato integrato su proposta dei Ministri interrogati, per coinvolgere i medici di base nell'esecuzione dei test antigenici rapidi ai loro pazienti sospetti e ai relativi contatti stretti asintomatici; tuttavia, a livello nazionale, si denuncia scarsa adesione da parte dei medici stessi, nonostante il rischio di procedimento disciplinare;

   il meccanismo della presa in carico dei malati nel momento iniziale del contagio da parte del medico di base andrebbe regolato da protocolli uniformi su tutto il territorio inerenti sia le procedure iniziali, sia le cure da somministrare nei casi di isolamento domiciliare;

   a quanto risulta all'interrogante, non esiste un protocollo unico e nazionale per la gestione, da parte dei medici di base, dei malati positivi al domicilio, cosicché i medici si sono spesso arrangiati sulla base di linee guida spontaneamente prodotte dalle federazioni di categoria;

   la situazione dei medici di base in Campania è particolarmente difficile in quanto il sistema di tracciamento e cura fondato su un'assistenza sanitaria di primo livello ha dimostrato di essere in gravissima difficoltà;

   la Federazione dei medici di medicina generale Fimmg, firmataria dell'integrazione dell'accordo del 28 ottobre 2020, ha denunciato che l'impennata dei contagi ha reso complessa la gestione dei pazienti a domicilio, poiché sia in Campania, sia nelle cosiddette «zone rosse», i medici di famiglia si trovano a seguire una media di 10 pazienti in sorveglianza domiciliare, oltre ad avere più di 200 contatti al giorno, spesso in ambulatori privi di percorsi di protezione, ai quali si accede ancora senza previo obbligo di tampone e con gravi carenze anche nelle forniture dei dispositivi di protezione individuale –:

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della problematica in questione e quali iniziative di competenza intendano adottare per potenziare la rete territoriale dei medici di medicina generale avendo in particolare cura di fornire indicazioni univoche per la tutela della salute dei malati e dell'incolumità degli stessi medici coinvolti.
(4-07599)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VISCOMI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   Mongiana è un piccolo comune montano di circa 700 abitanti in provincia di Vibo Valentia interessato dai provvedimenti di razionalizzazione messi in atto da Poste italiane, a seguito dei quali l'ufficio postale ha dimezzato gli orari di apertura al pubblico da sei giorni a settimana a tre;

   secondo quanto affermato reiteratamente dal sindaco del comune, Francesco Angiletta, «questa scelta ha creato disagi pesanti sui servizi erogati alla cittadinanza locale» e sollecitato «proteste quotidiane» oltre ad «aumentare ulteriormente la disparità di servizi per le aree interne... ai danni delle fasce sociali più deboli»;

   gli uffici postali di Mongiana risultano baricentrici nel comprensorio di riferimento in quanto utilizzati non solo dai cittadini del paese ma anche dalle comunità limitrofe, in guisa tale che assumere come parametro di razionalizzare la popolazione residente non appare adeguato, dovendo tenersi conto semmai almeno dell'avanzata età media degli utenti, dello stato delle infrastrutture viarie, dello stato dei servizi postali nei comuni vicini, del rischio di assembramento esterno causato dal necessario contingentamento di ingressi all'interno;

   inoltre, a conferma del carattere baricentrico di Mongiana, deve dirsi che, pur in presenza di pochi residenti, hanno ivi sede: il Comando provinciale carabinieri forestale di Vibo Valentia, il reparto carabinieri biodiversità di Mongiana, che gestisce due Riserve naturali biogenetiche europee e un Centro pilota faunistico, selvicolturale, il nucleo tutela biodiversità carabinieri reparto a cavallo; è poi presente una sede operativa di Calabria Verde, settore Forestazione, ente della regione Calabria, e ancora: il Mufar – Museo delle reali fonderie borboniche;

   lo stesso sindaco ha pubblicamente evidenziato che Poste Italiane ha sempre respinto ogni richiesta di modifica adducendo il «carattere temporaneo» della scelta da superare entro l'estate, eppure le lamentate condizioni permangono ancora;

   eguali condizioni di disagio sono segnalate dai cittadini di molti comuni calabresi e sembrano tutte riconducibili a medesimi fattori di criticità quali anzianità degli utenti, difficile mobilità sul territorio, deficit digitale delle aree interne, carenza dei servizi in comuni viciniori –:

   se ritenga doveroso adottare iniziative di competenza per assicurare che i criteri di razionalizzazione emergenziale dei servizi postali tengano conto di elementi di valutazione differenziati quali anzianità degli utenti, difficile mobilità sul territorio, deficit digitale delle aree interne, carenza dei servizi in comuni viciniori e soprattutto degli effetti di incremento del rischio epidemico per via degli assembramenti all'esterno e del contingentamento delle presenze all'interno, nei pochi punti aperti in un ridotto numero di giorni;

   se ritenga di adottare iniziative di competenza affinché Poste Italiane riveda il piano di riorganizzazione dei servizi territoriali in Calabria sulla base di criteri idonei a ridurre le lamentate condizioni di disagio.
(5-05055)

Interrogazione a risposta scritta:


   GUIDESI, BINELLI, ANDREUZZA, COLLA, DARA, FIORINI, GALLI, PETTAZZI, PIASTRA e SALTAMARTINI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   il comparto moda rappresenta in Italia la seconda economia del Paese e ha un sistema di redditività completamente diverso dagli altri settori produttivi in quanto opera stagionalmente, legando la propria attività alle collezioni Primavera/Estate ed Autunno/Inverno;

   gli showrooms multibrand sono parte integrante della filiera del tessile-abbigliamento e rappresentano un importante tassello tra produzione e vendita al dettaglio degli «articoli moda», con un fatturato rivolto al 70 per cento verso i mercati esteri;

   dal raffronto sulla redditività degli showrooms negli anni 2020 e 2021, si stima per il prossimo anno un fortissimo calo di fatturato relativo alle mancate vendite del 2020, ascrivibili soprattutto all'assenza di turisti stranieri in Italia ed in particolare a Milano. Il giro economico degli showroom multibrand è molto lungo ed i pagamenti delle relative spettanze avvengono dai 12 ai 15 mesi, dal momento in cui si perfeziona la vendita: questo lungo «giro economico» richiede, pertanto, disposizioni specifiche e mirate nell'individuazione dei parametri per eventuali ristori delle perdite subite da questo importante settore commerciale;

   per almeno tre o quattro stagioni si prevede un afflusso molto basso di clienti dall'estero e per poter raggiungere, concludere e consegnare gli ordini ai clienti a distanza, servono strumenti tecnologici e importanti investimenti per l'ammodernamento digitale degli showrooms;

   occorre pertanto estendere le misure di sostegno economico, messe in campo dal Governo per indennizzare le imprese per le perdite subite a causa dell'emergenza epidemiologica, anche al comparto degli showrooms multibrand, prevedendo eventualmente anche un apposito fondo per la digitalizzazione del settore e, al contempo, si dovrebbero introdurre incentivi fiscali che possano supportare queste realtà commerciali, quali ad esempio un credito di imposta del 60 per cento sulle somme corrisposte a titolo di canoni di affitto dei locali adibiti alla vendita che, per chi svolge questa attività, sono particolarmente onerosi –:

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza delle criticità illustrate in premessa e se non intendano adottare iniziative specifiche di supporto al comparto degli showrooms multibrand, oggi fortemente penalizzato dall'emergenza epidemiologica da COVID-19 e dal fortissimo calo di presenze di clienti stranieri nel nostro Paese.
(4-07587)

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Ficara e altri n. 7-00488, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 maggio 2020, deve intendersi sottoscritta anche dalla deputata Papiro.

Cambio di presentatore di una interrogazione a risposta scritta.

  Interrogazione a risposta scritta n. 4-07558, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 18 novembre 2020, è da intendersi presentata dall'On. Zoffili, già cofirmatario della stessa.

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta in Commissione Siani n. 5-04918 del 2 novembre 2020.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta De Toma e altri n. 4-07434 del 10 novembre 2020 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-05052.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta scritta Paolin n. 4-07566 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 429 del 18 novembre 2020. Alla pagina 16186, prima colonna, dalla riga trentottesima alla riga quarantesima deve leggersi: «quale su una spesa riconosciuta di 60.000 euro, il credito d'imposta ammonta a circa 5.000 euro.» e non come stampato.