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Documento

Doc. XVI-bis, n. 6

COMMISSIONE PARLAMENTARE
PER L'ATTUAZIONE
DEL FEDERALISMO FISCALE

RELAZIONE SEMESTRALE SULL'ATTUAZIONE DELLA LEGGE
DELEGA 5 MAGGIO 2009, N. 42, SUL FEDERALISMO FISCALE

(articolo 3, comma 5, della legge 5 maggio 2009, n. 42)

Approvata nella seduta del 15 dicembre 2021

Trasmessa alle Presidenze il 15 dicembre 2021
(ai sensi dell'articolo 3, comma 5, della legge 5 maggio 2009, n. 42)

Pag. 3

INDICE

1. INTRODUZIONE ... Pag. 5

2. L'ATTUAZIONE DELLA LEGGE N. 42 DEL 2009: UNO SGUARDO DI SINTESI ... » 7

3. L'ATTIVITÀ DELLA COMMISSIONE PARLAMENTARE PER L'ATTUAZIONE DEL FEDERALISMO FISCALE ... » 9

4. I FABBISOGNI STANDARD, LE CAPACITÀ FISCALI E I LIVELLI ESSENZIALI DELLE PRESTAZIONI ... » 12

  4.1 I fabbisogni standard ... » 12
  4.2 Le capacità fiscali ... » 18
  4.3 I livelli essenziali delle prestazioni ... » 22

5. LO STATO DELLA FINANZA DEGLI ENTI TERRITORIALI ... » 28

  5.1 Rapporti finanziari tra Stato e regioni ... » 28

   5.1.1 Le regioni a statuto ordinario ... » 28

    5.1.1.1 Le entrate delle regioni ... » 28
    5.1.1.2 Il concorso alla finanza pubblica e il pareggio di bilancio ... » 32

   5.1.2 Il finanziamento del settore sanitario ... » 34
   5.1.3 Il finanziamento del trasporto pubblico locale ... » 39
   5.1.4 Le regioni a statuto speciale ... » 40

  5.2 Il quadro finanziario delle province e delle città metropolitane ... » 42

  5.3 La finanza dei comuni ... » 47

   5.3.1 La fiscalità comunale ... » 49

    5.3.1.1 L'Imu e il canone unico: novità legislative ... » 50
    5.3.1.2 La Tari ... » 51
    5.3.1.3 La riscossione ... » 53

   5.3.2 Il Fondo di solidarietà comunale e la perequazione ... » 54
   5.3.3 La gestione in forma associata delle funzioni fondamentali dei piccoli comuni ... » 66

    5.3.3.1 Gli incentivi in tema di unioni e fusioni di comuni ... » 67

   5.3.4 Roma Capitale ... » 68

  5.4 La finanza degli enti territoriali nel quadro del disegno di legge delega per la revisione del sistema fiscale ... » 72

  5.5 La perequazione infrastrutturale ... » 77

  5.6 Il federalismo demaniale ... » 85

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6. IL SOSTEGNO AGLI ENTI TERRITORIALI IN RELAZIONE ALL'EMERGENZA PANDEMICA ... Pag. 87

  6.1 Il sostegno alla finanza regionale ... » 87

   6.1.1 La compensazione della perdita di entrate tributarie ... » 88
   6.1.2 Interventi relativi al pagamento delle quote capitale ... » 89
   6.1.3 Ampliamento della capacità di spesa e semplificazioni contabili ... » 90
   6.1.4 I contributi alle regioni a statuto ordinario per il ristoro delle categorie colpite dalle restrizioni ... » 90

  6.2 Il sostegno alla finanza locale ... » 91

   6.2.1 La compensazione della perdita di entrate locali ... » 91
   6.2.2 Ulteriori ristori per le perdite di gettito, agevolazioni e sostegni ... » 94

    6.2.2.1 Imposta municipale propria ... » 94
    6.2.2.2 Imposta di soggiorno e contributo di sbarco ... » 96
    6.2.2.3 Ex Tosap e Cosap e canoni patrimoniali ... » 96
    6.2.2.4 Tassa sui rifiuti ... » 97
    6.2.2.5 Sostegno al trasporto pubblico locale ... » 97
    6.2.2.6 Sostegno al debito ... » 98
    6.2.2.7 Fondo di liquidità per il pagamento dei debiti commerciali ... » 98
    6.2.2.8 Agevolazioni contabili ... » 99
    6.2.2.9 Sostegno agli enti in difficoltà finanziaria ... » 99
    6.2.2.10 Altri finanziamenti a favore di comuni e province ... » 101

7. IL REGIONALISMO DIFFERENZIATO ... » 103

8. CONCLUSIONI ... » 108

  8.1 L'evoluzione del processo di riforma tracciato dalla legge n. 42 del 2009 ... » 108

  8.2 I livelli essenziali delle prestazioni ... » 109

  8.3 Lo stato di attuazione del federalismo fiscale nei diversi comparti territoriali ... » 111

   8.3.1 Le regioni ... » 111
   8.3.2 Le province e le città metropolitane ... » 116
   8.3.3 I comuni ... » 119

  8.4 Il percorso della perequazione infrastrutturale ... » 124

  8.5 Le opportunità offerte dal Piano nazionale di ripresa e resilienza ... » 125

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1. INTRODUZIONE

  La legge 5 maggio 2009, n. 42, recante «Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione», ha istituito la Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale, disciplinandone ruolo e funzioni.
  Nel quadro delle competenze ad essa assegnate, la Commissione è chiamata a verificare – ai sensi dell'articolo 3, comma 5, della legge n. 42 del 2009, nonché dell'articolo 5, comma 7, del proprio Regolamento interno – lo stato di attuazione della legge delega e a riferirne ogni sei mesi alle Camere.
  La presente Relazione descrive, quindi, lo stato di attuazione di quanto previsto dalla suddetta legge delega in rapporto all'obiettivo di un'effettiva traduzione nell'ordinamento dei principi sanciti dall'articolo 119 della Costituzione.
  Nel corso della XVIII legislatura la Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale ha approvato la sua prima Relazione nella seduta del 24 ottobre 2019.
  Nelle pagine seguenti si fornisce un quadro riepilogativo dello stato di attuazione del federalismo fiscale alla data dell'11 novembre 2021(1), evidenziando i traguardi raggiunti, le criticità riscontrate e le prospettive di ulteriore avanzamento verso la compiuta realizzazione dell'impianto delineato dalla legge n. 42 del 2009.
  L'analisi tiene conto, oltre che dell'attività consultiva svolta dalla Commissione, anche delle diverse posizioni emerse e dei numerosi contributi acquisiti nell'ambito dell'esteso ciclo di audizioni condotto sull'argomento, al quale hanno partecipato rappresentanti del Governo, associazioni rappresentative degli enti territoriali, organismi tecnici e soggetti istituzionali con specifiche competenze nel settore, nonché studiosi, esperti ed esponenti del mondo accademico.
  La Relazione affronta i numerosi e delicati aspetti della materia, a partire da quelli che attengono al progressivo superamento della finanza derivata e del criterio della spesa storica nel finanziamento di regioni ed enti locali, alla determinazione di fabbisogni standard e capacità fiscali, alla predisposizione di idonei meccanismi di perequazione, alla definizione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, a un efficace coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, al recupero del divario infrastrutturale, fino alle dinamiche connesse al «regionalismo differenziato» di cui all'articolo 116, terzo comma, della Costituzione.
  Nell'approfondire le questioni ancora aperte e i fattori di discontinuità e di incertezza, si focalizza l'attenzione anche sulle possibili linee evolutive del percorso volto a coniugare l'autonomia finanziaria di cui all'articolo 119 della Costituzione con la massima responsabilizzazione degli amministratori nelle decisioni di entrata e di spesa e con il rispetto dei principi di solidarietà e coesione sociale.
  Il punto di approdo del documento è un'articolata ricognizione dell'assetto delle relazioni finanziarie tra i livelli di governo nel contesto Pag. 6segnato dalla crisi pandemica, che, contemporaneamente, si propone di mettere in luce le opportunità di rilancio del processo di riforma avviato con la legge n. 42 del 2009 nella cornice delle iniziative e degli investimenti previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr).

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2. L'ATTUAZIONE DELLA LEGGE N. 42 DEL 2009: UNO SGUARDO DI SINTESI

  La legge 5 maggio 2009, n. 42, come già esposto, reca i criteri e principi direttivi per l'attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, conferendo apposita delega legislativa al Governo.
  In attuazione della delega sono stati emanati i seguenti decreti legislativi:

   ■ decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85, Attribuzione a comuni, province, città metropolitane e regioni di un proprio patrimonio, in attuazione dell'articolo 19 della legge 5 maggio 2009, n. 42;

   ■ decreto legislativo 17 settembre 2010, n. 156, Disposizioni recanti attuazione dell'articolo 24 della legge 5 maggio 2009, n. 42, e successive modificazioni, in materia di ordinamento transitorio di Roma capitale;

   ■ decreto legislativo 26 novembre 2010, n. 216, Disposizioni in materia di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard di Comuni, Città metropolitane e Province;

   ■ decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, Disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale;

   ■ decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68, Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard del settore sanitario;

   ■ decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 88, Disposizioni in materia di risorse aggiuntive ed interventi speciali per la rimozione di squilibri economici e sociali, a norma dell'articolo 16 della legge 5 maggio 2009, n. 42;

   ■ decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro enti ed organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge n. 42 del 2009;

   ■ decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149, Meccanismi sanzionatori e premiali relativi a regioni, province e comuni, a norma degli articoli 2, 17 e 26 della legge 5 maggio 2009, n. 42;

   ■ decreto legislativo 18 aprile 2012, n. 61, Ulteriori disposizioni recanti attuazione dell'articolo 24 della legge 5 maggio 2009, n. 42, in materia di ordinamento di Roma Capitale;

   ■ decreto legislativo 26 aprile 2013, n. 51, Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 18 aprile 2012, n. 61, concernente ulteriori disposizioni di attuazione dell'articolo 24 della legge 5 maggio 2009, n. 42, in materia di ordinamento di Roma Capitale;

   ■ decreto legislativo 10 agosto 2014, n. 126, Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, concernente disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42.

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  La Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale si è espressa con parere sui diversi schemi di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri con i quali sono stati adottati la nota metodologica relativa alla procedura di calcolo dei fabbisogni standard e il fabbisogno standard per ciascun comune e provincia, in attuazione dell'articolo 6 del decreto legislativo n. 216 del 2010, nonché sugli schemi di decreto ministeriale con i quali sono stati adottati la nota metodologica relativa alle procedure di calcolo e la stima delle capacità fiscali per singolo comune delle regioni a statuto ordinario, ai sensi dell'articolo 43, comma 5-quater, del decreto-legge n. 133 del 2014.
  Tracciando un preliminare quadro di sintesi, si può asserire – sia pure con molte semplificazioni – che l'attuazione della legge delega è avvenuta solo in parte e che il processo volto alla compiuta affermazione dei principi del federalismo fiscale è stato sinora caratterizzato da ritardi, incertezze, soluzioni parziali e reiterati differimenti: in particolare, la fiscalizzazione dei trasferimenti, diretta a superare il meccanismo della finanza derivata, è stata concretamente realizzata solo per il comparto comunale; la perequazione delle risorse basata sui fabbisogni e sulle capacità fiscali è stata avviata esclusivamente per i comuni delle regioni a statuto ordinario; la perequazione infrastrutturale e il percorso di convergenza ai livelli essenziali delle prestazioni (LEP) fanno registrare perduranti inadempienze(2). Più completa attuazione ha avuto, invece, la legge n. 42 del 2009 con riferimento alla riforma della contabilità nell'ambito del processo di armonizzazione dei bilanci pubblici (decreto legislativo n. 118 del 2011, integrato e corretto dal decreto legislativo n. 126 del 2014).

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3. L'ATTIVITÀ DELLA COMMISSIONE PARLAMENTARE PER L'ATTUAZIONE DEL FEDERALISMO FISCALE

  Nel periodo compreso tra il 24 ottobre 2019 (data in cui è stata approvata la precedente Relazione) e l'11 novembre 2021 (data alla quale fa riferimento il quadro ricognitivo della presente Relazione) la Commissione ha esaminato due schemi di atti del Governo indicati nella seguente tabella:

NUMERO ATTO

TITOLO

DATA SEDUTE

Atto n. 199

  Schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri recante l'adozione della nota metodologica relativa alla revisione della metodologia dei fabbisogni standard dei comuni delle regioni a statuto ordinario per il servizio smaltimento rifiuti. Il provvedimento è stato emanato con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dell'11 dicembre 2020.

11/11/2020

(Parere favorevole)

Atto n. 250

  Schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri recante l'adozione della nota metodologica relativa all'aggiornamento e alla revisione della metodologia dei fabbisogni dei comuni per il 2021 e il fabbisogno standard per ciascun comune delle regioni a statuto ordinario. Il provvedimento è stato emanato con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 27 luglio 2021.

21/04/2021

(Parere favorevole)

  La Commissione ha poi condotto una significativa attività conoscitiva e di approfondimento sui temi di competenza. Nella tabella che segue sono elencate, in ordine cronologico, le audizioni svolte nell'intervallo temporale sopra richiamato:

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AUDIZIONI

DATA

  Audizione del Ministro per gli affari regionali e le autonomie, Francesco Boccia, su attuazione e prospettive del federalismo fiscale e sulle procedure in atto per la definizione delle intese ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione

13/11/2019

  Audizione del Ministro per il Sud e la coesione territoriale, Giuseppe Luciano Calogero Provenzano, su attuazione e prospettive del federalismo fiscale e sulle procedure in atto per la definizione delle intese ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione

11/12/2019

  Audizione del Ministro per i rapporti con il Parlamento, Federico D'Incà, su attuazione e prospettive del federalismo fiscale e sulle procedure in atto per la definizione delle intese ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione

26/02/2020

  Audizione del Ministro per gli affari regionali e le autonomie, Francesco Boccia

20/05/2020

28/05/2020

  Audizione del professor Giampaolo Arachi, Presidente della Commissione tecnica per i fabbisogni standard (CTFS)

25/06/2020

  Audizione di rappresentanti della Sose (Soluzioni per il Sistema Economico S.p.a.)

22/07/2020

  Audizione della Ministra per gli affari regionali e le autonomie, Mariastella Gelmini, sullo stato di attuazione e sulle prospettive del federalismo fiscale, anche con riferimento ai relativi contenuti del Piano nazionale di ripresa e resilienza

26/05/2021

  Audizione della Viceministra dell'economia e delle finanze, Laura Castelli, sullo stato di attuazione e sulle prospettive del federalismo fiscale, anche con riferimento ai relativi contenuti del Piano nazionale di ripresa e resilienza

9/06/2021

15/07/2021

  Audizione, in videoconferenza, della Ministra per il Sud e la coesione territoriale, Maria Rosaria Carfagna, sullo stato di attuazione e sulle prospettive del federalismo fiscale, anche con riferimento ai relativi contenuti del Piano nazionale di ripresa e resilienza

16/06/2021

  Audizione del Ministro della salute, Roberto Speranza, sullo stato di attuazione e sulle prospettive del federalismo fiscale, anche con riferimento ai relativi contenuti del Piano nazionale di ripresa e resilienza

7/07/2021

  Audizione della Ministra dell'interno, Luciana Lamorgese, sullo stato di attuazione e sulle prospettive del federalismo fiscale, anche con riferimento ai relativi contenuti del Piano nazionale di ripresa e resilienza

21/07/2021

  Audizione, in videoconferenza, del Presidente dell'Unione delle Province d'Italia (Upi), Michele de Pascale, sullo stato di attuazione e sulle prospettive del federalismo fiscale, anche con riferimento ai relativi contenuti del Piano nazionale di ripresa e resilienza

15/09/2021

  Audizione, in videoconferenza, del Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, Massimiliano Fedriga, sullo stato di attuazione e sulle prospettive del federalismo fiscale, anche con riferimento ai relativi contenuti del Piano nazionale di ripresa e resilienza

22/09/2021

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  Audizione, in videoconferenza, di rappresentanti dell'Associazione Nazionale dei Comuni Italiani (Anci) sullo stato di attuazione e sulle prospettive del federalismo fiscale, anche con riferimento ai relativi contenuti del Piano nazionale di ripresa e resilienza

23/09/2021

  Audizione del Presidente della Commissione tecnica per i fabbisogni standard (CTFS), professor Giampaolo Arachi, sullo stato di attuazione e sulle prospettive del federalismo fiscale, anche con riferimento ai relativi contenuti del Piano nazionale di ripresa e resilienza

06/10/2021

  Audizione, in videoconferenza, del Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, Enrico Giovannini, sullo stato di attuazione e sulle prospettive del federalismo fiscale, anche con riferimento ai relativi contenuti del Piano nazionale di ripresa e resilienza

13/10/2021

  Audizione di rappresentanti dell'Ufficio parlamentare di bilancio sullo stato di attuazione e sulle prospettive del federalismo fiscale, anche con riferimento ai relativi contenuti del Piano nazionale di ripresa e resilienza

20/10/2021

  Audizione di rappresentanti della società Sose – Soluzioni per il Sistema Economico S.p.A. sullo stato di attuazione e sulle prospettive del federalismo fiscale, anche con riferimento ai relativi contenuti del Piano nazionale di ripresa e resilienza

21/10/2021

  Audizione, in videoconferenza, di rappresentanti della Corte dei conti sullo stato di attuazione e sulle prospettive del federalismo fiscale, anche con riferimento ai relativi contenuti del Piano nazionale di ripresa e resilienza

27/10/2021

  Audizione, in videoconferenza, di rappresentanti dell'Associazione Nazionale dei Piccoli Comuni d'Italia sullo stato di attuazione e sulle prospettive del federalismo fiscale, anche con riferimento ai relativi contenuti del Piano nazionale di ripresa e resilienza

28/10/2021

  Audizione del professor Andrea Giovanardi, ordinario di diritto tributario presso l'Università degli Studi di Trento, e del professor Francesco Porcelli, associato di economia politica presso l'Università degli Studi di Bari «Aldo Moro», sullo stato di attuazione e sulle prospettive del federalismo fiscale, anche con riferimento ai relativi contenuti del Piano nazionale di ripresa e resilienza

03/11/2021

  Audizione della professoressa Floriana Margherita Cerniglia, ordinaria di economia politica presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, e del professor Paolo Liberati, ordinario di scienza delle finanze presso l'Università degli Studi Roma Tre, sullo stato di attuazione e sulle prospettive del federalismo fiscale, anche con riferimento ai relativi contenuti del Piano nazionale di ripresa e resilienza

10/11/2021

  Audizione, in videoconferenza, del professor Michele Belletti, ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università di Bologna «Alma Mater Studiorum», e del professor Dario Stevanato, ordinario di diritto tributario presso l'Università degli Studi di Trieste, sullo stato di attuazione e sulle prospettive del federalismo fiscale, anche con riferimento ai relativi contenuti del Piano nazionale di ripresa e resilienza

11/11/2021

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4. I FABBISOGNI STANDARD, LE CAPACITÀ FISCALI E I LIVELLI ESSENZIALI DELLE PRESTAZIONI

  4.1 I fabbisogni standard

  I fabbisogni standard, introdotti con il decreto legislativo 26 novembre 2010, n. 216, costituiscono i parametri cui ancorare il finanziamento delle spese fondamentali di comuni, città metropolitane e province, al fine di assicurare un graduale e definitivo superamento del criterio della spesa storica. Essi, inoltre, congiuntamente alle capacità fiscali, costituiscono i parametri sulla base dei quali è ripartita una crescente quota perequativa del Fondo di solidarietà comunale (inizialmente (nel 2015) il 20 per cento, poi un ammontare via via maggiore fino al 100 per cento dal 2030).

  Nell'ambito del Fondo di solidarietà comunale la componente «tradizionale» destinata al riequilibrio delle risorse storiche è stata ripartita tra i comuni delle regioni a statuto ordinario per il 40 per cento nell'anno 2017 e per il 45 per cento negli anni 2018 e 2019, sulla base della differenza tra le capacità fiscali e i fabbisogni standard approvati dalla Commissione tecnica per i fabbisogni standard (di cui all'articolo 1, comma 29, della legge n. 208 del 2015) entro il 30 settembre dell'anno precedente a quello di riferimento. La predetta quota è incrementata del 5 per cento annuo dall'anno 2020, sino a raggiungere il valore del 100 per cento a decorrere dall'anno 2030 (articolo 1, comma 449, lettera c), della legge n. 232 del 2016, come modificata, da ultimo, dall'articolo 57, comma 1, del decreto-legge n. 124 del 2019).
  In particolare, il menzionato articolo 57 del decreto-legge n. 124 del 2019 ha ridotto dal 60 al 45 per cento la percentuale delle risorse del Fondo di solidarietà comunale da redistribuire nell'anno 2019 tra i comuni delle regioni a statuto ordinario secondo logiche di tipo perequativo, sulla base della differenza tra le capacità fiscali e i fabbisogni standard, e ha allungato fino al 2030 il periodo di transizione per il raggiungimento del 100 per cento della perequazione.

  La metodologia per la determinazione dei fabbisogni costituisce un'operazione tecnicamente complessa. La normativa definisce una serie di parametri da utilizzare, affidando l'onere delle relative elaborazioni alla società Sose – Soluzioni per il Sistema Economico S.p.A.
  Dal 2016 le metodologie predisposte ai fini dell'individuazione dei fabbisogni possono essere sottoposte alla Commissione tecnica per i fabbisogni standard anche separatamente dalle elaborazioni relative ai fabbisogni medesimi. Il parere parlamentare è necessario nel caso in cui siano apportate modifiche alla nota metodologica, mentre non è più richiesto nel caso di mero aggiornamento dei fabbisogni standard.
  Negli ultimi due anni, come si illustrerà anche più avanti, importanti novità hanno caratterizzato la disciplina dei fabbisogni standard, in particolare nel comparto dei comuni: in primo luogo, si prevede il completo superamento della spesa storica come criterio di riparto delle risorse comunali; inoltre, è stato avviato un processo di revisione dei fabbisogni con l'obiettivo di commisurarli a livelli di servizio standardizzati da garantire sul tutto il territorio nazionale. Più nel dettaglio:

   ■ il decreto-legge 26 ottobre 2019, n. 124, ha previsto un percorso di transizione alla fine del quale, nel 2030, la componente del Fondo di solidarietà comunale perequabile sarà integralmente ripartita Pag. 13sulla base della differenza tra fabbisogni standard e capacità fiscali; in tal modo, sarà eliminato il vincolo alla perequazione basato sulle risorse storiche;

   ■ per la funzione Servizi sociali e gli Asili nido la revisione della metodologia di determinazione dei fabbisogni standard si è posta l'obiettivo di passare dal riferimento ai livelli quantitativi storicamente forniti dai singoli enti (in alcuni casi gravemente insufficienti) a quello di un livello di servizio standardizzato;

   ■ per gli stessi Servizi sociali e per gli Asili nido la legge di bilancio per il 2021 ha stanziato risorse aggiuntive vincolate al raggiungimento di «obiettivi di servizio», prevedendo un monitoraggio volto a garantire che le risorse siano effettivamente destinate al rafforzamento dei servizi.

  Per i comuni delle regioni a statuto ordinario, il decreto legislativo n. 216 del 2010 prevede che i fabbisogni standard sono calcolati relativamente alle seguenti funzioni fondamentali: funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo; funzioni di polizia locale; funzioni di istruzione pubblica; funzioni nel campo della viabilità e dei trasporti; funzioni riguardanti la gestione del territorio e dell'ambiente; funzioni nel settore sociale.
  Nel corso dell'ultimo biennio, in materia di fabbisogni standard sono stati adottati tre provvedimenti.
  In primo luogo, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 marzo 2020 ha aggiornato i fabbisogni standard utilizzati per calcolare i coefficienti di riparto del Fondo di solidarietà comunale per il 2020, senza modificare la metodologia di calcolo, che era stata rivista nel 2016. A fronte delle otto funzioni che compongono il fabbisogno standard complessivo di ogni ente, l'aggiornamento ha riguardato soltanto il servizio degli Asili nido e la funzione del Trasporto pubblico locale.
  Per il servizio degli Asili nido, a partire dal modello di funzione di costo vigente, sono state introdotte due innovazioni concernenti, da un lato, la definizione di un «costo standard minimo del servizio» e, dall'altro, la normalizzazione della percentuale di copertura del servizio misurata dal numero di «bambini serviti» rispetto alla popolazione residente in età 0-2 anni, prevedendo un livello minimo di servizio e rivedendo, parallelamente, la percentuale di copertura massima del 33 per cento introdotta nel 2018.
  Per la funzione Trasporto pubblico locale il fabbisogno standard è stato riconosciuto a tutti i comuni capoluoghi di provincia e a tutte le città metropolitane, indipendentemente dalla valorizzazione della spesa storica, mantenendo inalterate tutte le altre regole di calcolo del fabbisogno.
  Per le rimanenti funzioni fondamentali non è stata apportata nessuna variazione né alle regole di calcolo del fabbisogno standard né alla base dati riferita all'annualità 2016.
  Con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 11 dicembre 2020 è stata aggiornata, poi, la metodologia di calcolo dei fabbisogni standard relativi al servizio di smaltimento rifiuti dei comuni delle regioni a statuto ordinario. Essendo stata modificata la metodologia, lo schema di decreto è stato sottoposto al parere della Commissione Pag. 14parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale e delle Commissioni V (Bilancio) della Camera dei deputati e 5ª (Bilancio) del Senato della Repubblica (atto del Governo n. 199).
  Il servizio di smaltimento dei rifiuti è considerato attività autonoma del comune ed è escluso da interventi perequativi, dato che il suo finanziamento è interamente coperto da tariffe. In particolare, ai sensi dell'articolo 1, comma 449, lettera c), della legge n. 232 del 2016, modificato dall'articolo 57, comma 1, del decreto-legge n. 124 del 2019, i fabbisogni standard del Servizio rifiuti, di fatto, non producono effetti perequativi ai fini del riparto delle risorse del Fondo di solidarietà comunale, in quanto – fermo restando il criterio perequativo di ripartizione del Fondo individuato nella differenza tra le capacità fiscali e i fabbisogni standard – la capacità fiscale Tari di ogni comune è posta pari al valore del fabbisogno, in virtù del principio di copertura integrale del costo del servizio da parte dei cittadini residenti.
  Pur essendo neutrali ai fini perequativi, i fabbisogni standard per il servizio di raccolta e smaltimento di rifiuti assumono importanza per l'individuazione della «tariffazione Tari» nell'ambito della predisposizione dei piani economico-finanziari comunali. La legge n. 147 del 2013, all'articolo 1, comma 653, dispone, infatti, che nella determinazione dei costi di tale servizio «il comune deve avvalersi anche delle risultanze dei fabbisogni standard».
  L'utilizzo dei nuovi fabbisogni standard per il servizio di raccolta e smaltimento di rifiuti è previsto anche dal nuovo metodo tariffario dell'Autorità di regolazione per energia reti e ambiente (Arera)(3), che stabilisce l'utilizzo dei fabbisogni standard come benchmark di riferimento per il costo unitario effettivo del servizio di gestione dei rifiuti urbani, allo scopo dell'individuazione dei coefficienti di gradualità per l'applicazione di alcune componenti tariffarie, ai sensi dell'articolo 1, comma 653, della legge n. 147 del 2013.
  La revisione della metodologia dei fabbisogni standard per il servizio di smaltimento rifiuti è stata realizzata dalla Sose S.p.A. nel novembre 2019 in continuità con la metodologia precedente, che prevedeva la definizione dei rispettivi fabbisogni attraverso la stima statistica della funzione di costo. Il modello di funzione di costo ha come principale indicatore di output le tonnellate di rifiuti urbani totali prodotti e come determinanti del costo standard per tonnellata un insieme di variabili relative alle seguenti caratteristiche del servizio offerto: la percentuale di raccolta differenziata; la tipologia e la distanza dagli impianti; le modalità di gestione (associata o diretta); il contesto comunale (demografia, morfologia e reddito), le modalità di raccolta; l'appartenenza del comune a uno specifico cluster. Gli elementi innovativi rispetto alla metodologia approvata nel 2016 riguardano essenzialmente la struttura delle determinanti del costo.
  Il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 27 luglio 2021, infine, ha aggiornato i fabbisogni standard utilizzati per calcolare i coefficienti di riparto del Fondo di solidarietà comunale per il 2021, provvedendo alla revisione della metodologia di calcolo relativamente alle due funzioni Viabilità e territorio e Settore sociale, al netto dei Pag. 15servizi per asili nido. Lo schema di decreto è stato sottoposto al parere della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale e delle Commissioni V (Bilancio) della Camera dei deputati e 5ª (Bilancio) del Senato della Repubblica (atto del Governo n. 250).
  In primo luogo, il provvedimento ha aggiornato i coefficienti di riparto dei fabbisogni standard delle funzioni di Istruzione pubblica, Gestione del territorio e dell'ambiente (servizio smaltimento rifiuti), Settore sociale (asili nido), Generali di amministrazione, di gestione e di controllo, Polizia locale e Trasporto pubblico locale. In secondo luogo, il decreto ha disposto la revisione dell'impianto metodologico per la valorizzazione della spesa e dei fabbisogni standard relativi alle due funzioni Viabilità e Territorio e Settore sociale, al netto dei servizi per asili nido. A seguito dell'aggiornamento metodologico il peso della funzione Viabilità e territorio nella composizione del fabbisogno standard complessivo è passato dal 13,54 per cento all'11,93 per cento, con una diminuzione di circa il 12 per cento. Si evidenzia, invece, un aumento del peso della funzione Servizi sociali ( 3,7 per cento) nella composizione del fabbisogno standard complessivo, salito al 14,22 per cento, e del servizio di asili nido (circa 3 per cento) rispetto al precedente aggiornamento dei fabbisogni standard per il 2019.
  Per la funzione Viabilità e territorio sono intervenute le seguenti modifiche: anzitutto, si registra il cambio del client di riferimento (l'entità più rappresentativa della spesa per la funzione); il nuovo riferimento è costituito dalle unità immobiliari complessive (somma delle abitazioni, delle pertinenze e degli immobili non residenziali) e non più dalla popolazione, la quale si affianca, comunque, al nuovo client per identificare le situazioni di maggiore densità abitativa; inoltre, la funzione di riferimento è passata da una funzione di spesa a una funzione di spesa aumentata, permettendo di misurare i servizi erogati attraverso un'informazione sintetica dei servizi effettivamente svolti sia per il territorio che per la viabilità.
  Gli elementi di novità della metodologia di calcolo della funzione relativa ai servizi del Settore sociale al netto del servizio di asili nido riguardano: l'utilizzo di un modello di tipo panel a due stadi prendendo in considerazione tre annualità (2015, 2016 e 2017); l'applicazione del modello della funzione di spesa aumentata, che si arricchisce di una misura più precisa circa il numero dei servizi erogati, identificata dal numero di ore di assistenza agli utenti nella macro area «Strutture» e dal numero degli utenti della macro area «Interventi e servizi» e della macro area «Contributi economici»; la sostituzione delle dummy regionali con quelle provinciali, in quanto si è ritenuto che queste ultime fossero più idonee a cogliere la differenziazione di spesa specifica della funzione. Nella revisione della metodologia di calcolo dei fabbisogni del sociale è stata così applicata una completa standardizzazione del livello dei servizi che ha preso come riferimento le realtà più virtuose: i nuovi fabbisogni della funzione sociale utilizzano, infatti, come parametro i livelli delle prestazioni dei comuni che erogano la maggiore quantità di servizi, avendo contestualmente una spesa inferiore alla media dei comuni simili. Le scelte operate nella nuova metodologia portano a livelli dei fabbisogni standard più uniformi e non più condizionati dalla spesa storica. Con la nuova metodologia, ai Pag. 16comuni simili per numero di abitanti è stato riconosciuto un fabbisogno più omogeneo rispetto al passato(4).
  Per quanto riguarda i fabbisogni dei comuni delle regioni a statuto speciale, la Commissione tecnica per i fabbisogni standard ha approvato i fabbisogni dei comuni della Regione siciliana nella seduta del 18 ottobre 2021(5). La stessa Commissione ha preso l'impegno ad affinare questo strumento negli aggiornamenti successivi sia per renderlo meglio utilizzabile in tale Regione sia per consentire di dare attuazione al comma 807 dell'articolo 1 della legge di bilancio per il 2021 che prevede che i fabbisogni standard siano rilevati anche per la generalità delle regioni a statuto speciale(6).

  Nel corso dell'audizione di rappresentanti della società Sose S.p.A. del 21 ottobre 2021, il Presidente Vincenzo Carbone ha riferito che nel mese di settembre 2021 sono stati approvati i fabbisogni standard, relativi alle funzioni fondamentali, che verranno utilizzati per ripartire il Fondo di solidarietà comunale nel 2022. Per il servizio di Asili nido è stata revisionata la metodologia, mentre, per le rimanenti funzioni è stata applicata la metodologia precedente alla banca dati aggiornata.
  La metodologia di stima dei fabbisogni standard del servizio di asili nido presenta le seguenti innovazioni:

   ■ un modello di stima che considera più annualità (2013, 2015, 2016, 2017 e 2018);

   ■ la variabile di riferimento è l'utente servito, inteso come bambino frequentante (tempo pieno e/o tempo parziale) o come utente che usufruisce di un contributo economico (utente voucher). Nel modello aggiornato è stata meglio caratterizzata la figura dell'utente a tempo parziale, utente che svolge un orario ridotto e non usufruisce del servizio di refezione;

   ■ sono stati utilizzati sia i metri quadrati delle superfici interne sia quelli degli spazi esterni diversamente dalla precedente versione metodologica che considerava solamente le superfici interne.

  Il costo standard del servizio varia in base a: tipologia di servizio offerto (lattante, parziale e refezione); modalità di gestione (diretto o esternalizzato); caratteristiche del contesto; dimensione demografica del comune.
  Si ricorda che, a partire dai fabbisogni approvati nel 2019, per ciò che riguarda il livello minimo del servizio di asili nido non si è più considerato il livello storico ma il livello normalizzato. A tutti i comuni, con popolazione residente 0-2 anni, è stato assegnato un fabbisogno standard almeno sufficiente a erogare il servizio attraverso voucher. Il livello del servizio minimo è stato calcolato come media della percentuale di copertura storica per ogni fascia di abitanti.

  Per quanto riguarda le regioni, il decreto-legge n. 50 del 2017 (articolo 24) ha previsto la predisposizione, da parte della Commissione Pag. 17tecnica per i fabbisogni standard, delle metodologie per la determinazione dei fabbisogni e delle capacità fiscali standard delle regioni a statuto ordinario, nelle materie diverse dalla sanità, anche al fine della ripartizione del concorso alla finanza pubblica stabilito dalle disposizioni vigenti a carico delle regioni medesime.
  Tuttavia, come riferito dal Presidente della Commissione tecnica per i fabbisogni standard, Giampaolo Arachi, per le regioni a statuto ordinario e le province e città metropolitane non si è ancora completata la raccolta dei dati necessari per sviluppare una metodologia di calcolo dei fabbisogni standard. Nel corso dei lavori della predetta Commissione tecnica per i fabbisogni standard è emersa, infatti, la difficoltà di individuare l'esatto perimetro delle materie oggetto della stima dei fabbisogni standard sulla base delle norme contenute nel decreto-legge n. 50 del 2017 e nel decreto legislativo n. 68 del 2011. Il decreto-legge n. 50 del 2017 richiede la definizione dei fabbisogni standard genericamente per tutte le materie trattate dalle regioni a statuto ordinario, esclusa la sanità. Lo stesso decreto, tuttavia, richiama i criteri dell'articolo 13 del decreto legislativo n. 68 del 2011, relativo alla ricognizione dei livelli essenziali delle prestazioni effettivamente erogate nelle regioni a statuto ordinario nelle sole materie dell'istruzione, del sociale (con riferimento alla spesa corrente) e del trasporto pubblico locale (limitatamente alla spesa in conto capitale)(7).
  Per quanto riguarda le province e le città metropolitane con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 21 luglio 2017 sono state adottate la nota metodologica per la determinazione dei fabbisogni standard e i coefficienti di riparto dei fabbisogni per ciascuna provincia e città metropolitana per le funzioni fondamentali, anche sulla base anche di quanto stabilito dalla legge n. 56 del 2014 (cosiddetta legge Delrio), che ha modificato il ruolo e l'organizzazione delle province.
  Il citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri considera le seguenti funzioni: istruzione (programmazione provinciale della rete scolastica nel rispetto della programmazione regionale e gestione dell'edilizia scolastica); territorio (costruzione e gestione delle strade provinciali e regolazione della circolazione stradale ad esse inerente); ambiente (pianificazione territoriale provinciale di coordinamento, nonché tutela e la valorizzazione dell'ambiente); trasporti (pianificazione dei servizi di trasporto in ambito provinciale, autorizzazione e controllo in materia di trasporto privato, in coerenza con la programmazione regionale); funzioni generali parte fondamentale (raccolta ed elaborazione di dati, assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali).
  I fabbisogni standard delle province e delle città metropolitane delle regioni a statuto ordinario sono stati successivamente aggiornati, a metodologia invariata, con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 22 febbraio 2018.
  In una logica evolutiva, la Commissione tecnica per i fabbisogni standard ha avviato il procedimento per l'aggiornamento dei fabbisogni standard per le province e le città metropolitane (unitamente, al lavoro per la definizione delle capacità fiscali standard). Tale attività è Pag. 18funzionale anche al riparto dei Fondi istituiti dalla legge di bilancio per il 2021 (articolo 1, commi 783-785), nei quali dovranno confluire tutti i contributi e i fondi di parte corrente delle province e delle città metropolitane. La stima dei fabbisogni standard sarà utilizzata non solo per determinare i coefficienti di riparto ma anche per individuare l'ammontare monetario di risorse necessarie per il finanziamento delle funzioni fondamentali. Per le città metropolitane e le province montane, è stato necessario individuare dei metodi innovativi per la stima del fabbisogno delle ulteriori funzioni fondamentali che questi enti sono chiamati a svolgere in aggiunta alle funzioni delle province ordinarie(8).
  Va poi segnalato che, nel corso dell'audizione del 26 maggio 2021, la Ministra per gli affari regionali e le autonomie, Mariastella Gelmini, ha annunciato di avere istituito presso il Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie un gruppo di lavoro sul tema dei costi e dei fabbisogni standard e dei livelli essenziali di prestazione, in un'ottica di collaborazione con gli organismi già esistenti.
  Per quanto concerne le tappe future, si ricorda che il Piano nazionale di ripresa e resilienza prevede il completamento del federalismo fiscale entro il primo semestre del 2026 con riferimento alle regioni, alle province e alle città metropolitane, in modo che la distribuzione delle risorse avvenga sulla base dei fabbisogni standard e della capacità fiscale (Missione 1, Componente 1, Riforma 1.14 – Riforma del quadro fiscale subnazionale).

  4.2 Le capacità fiscali

  Nel definire i principi fondamentali del sistema di finanziamento delle autonomie territoriali, la legge delega n. 42 del 2009 prevede che per le funzioni degli enti locali diverse da quelle fondamentali le necessità di spesa devono essere finanziate secondo un modello di perequazione delle capacità fiscali, che dovrebbe concretizzarsi in un tendenziale avvicinamento delle risorse a disposizione dei diversi territori, senza tuttavia alterare l'ordine delle rispettive capacità fiscali.
  La legge delega evidenzia altresì che deve essere garantita la «trasparenza delle diverse capacità fiscali e delle risorse complessive per abitante prima e dopo la perequazione, in modo da salvaguardare il principio dell'ordine della graduatoria delle capacità fiscali e la sua eventuale modifica a seguito dell'evoluzione del quadro economico territoriale» (articolo 17, comma 1, lettera a)). La capacità fiscale, in sintesi, rappresenta il gettito potenziale da entrate proprie di un territorio, una volta determinate la base imponibile e l'aliquota legale.
  L'individuazione delle capacità fiscali dei comuni, delle province e delle città metropolitane è demandata a un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, previa intesa in sede di Conferenza Stato-città ed autonomie locali, da trasmettere alle Camere per il parere sia della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale che delle Commissioni competenti per materia. Le metodologie e le elaborazioni relative alla determinazione delle capacità fiscali, definite dal Dipartimento delle finanze del Ministero Pag. 19dell'economia e delle finanze, devono essere sottoposte alla Commissione tecnica per i fabbisogni standard, per la loro approvazione (articolo 57-quinquies del decreto-legge n. 124 del 2019).
  La ricongiunzione in capo alla Commissione tecnica per i fabbisogni standard dei compiti di determinazione e approvazione delle capacità fiscali standard dei comuni con quelli concernenti i fabbisogni standard consente un più adeguato coordinamento tra i due elementi costitutivi del sistema perequativo a livello municipale(9).
  Per quanto riguarda i comuni, le componenti della capacità fiscale si riferiscono a due principali tipologie di entrata. Nella prima categoria (imposte e tasse) rientrano l'imposta municipale propria (Imu) – nella quale è recentemente confluito il tributo per i servizi indivisibili (Tasi) – l'addizionale comunale all'Irpef nonché imposte e tasse minori. Nella seconda categoria rientrano le tariffe diverse da quella del servizio di raccolta e smaltimento rifiuti. La capacità fiscale standard comprende anche la componente relativa alle entrate per il servizio di raccolta e smaltimento rifiuti; tuttavia, si ricorda che, ai fini del riparto del Fondo di solidarietà comunale, la componente rifiuti è neutralizzata, con l'inclusione della relativa voce sia nei fabbisogni standard sia nella capacità fiscale con il medesimo peso.
  L'ammontare complessivo della capacità fiscale perequabile nell'ambito del Fondo di solidarietà comunale (cosiddetto target perequativo) dei comuni delle regioni a statuto ordinario è fissato al 50 per cento dell'ammontare complessivo della capacità fiscale da perequare fino al 2019. Con il decreto-legge n. 124 del 2019 (articolo 57, comma 1) è stato stabilito che la quota della capacità fiscale perequabile è incrementata del 5 per cento annuo, sino a raggiungere il valore del 100 per cento a decorrere dall'anno 2029. Al termine del periodo di transizione, pertanto, il Fondo di solidarietà comunale sarà basato integralmente sulla differenza tra fabbisogni standard e capacità fiscali standard, eliminando così il tetto della capacità fiscale perequabile (il cosiddetto target perequativo) e abbandonando ogni riferimento al criterio storico.
  A partire dal 2015 con decreti del Ministro dell'economia e delle finanze sono state adottate la nota metodologica relativa alla procedura di calcolo e la stima delle capacità fiscali per singolo comune delle regioni a statuto ordinario. L'attuale metodologia di calcolo della capacità fiscale risale al 2017 (decreto ministeriale 16 novembre 2017).
  Con il decreto del Ministro dell'economia e delle finanze 31 dicembre 2020 è stata adottata la stima della capacità fiscale 2021 per singolo comune delle regioni a statuto ordinario. La capacità fiscale per i comuni considerati risulta pari a circa 25,6 miliardi di euro (Imu: circa 12 miliardi di euro; tax gap dell'Imu: circa 317 milioni di euro; addizionale comunale all'Irpef: circa 2,6 miliardi di euro; tassazione rifiuti: circa 6,6 miliardi di euro; capacità fiscale residuale: circa 4 miliardi di euro). L'aggiornamento, a metodologia invariata, è stato effettuato per tener conto dell'adeguamento della base dati all'anno 2017 e per neutralizzare la componente del servizio di smaltimento Pag. 20rifiuti. Al netto della componente rifiuti, la capacità fiscale utilizzata (parzialmente) in perequazione risulta pari a 19 miliardi di euro.
  La capacità fiscale pro capite per il totale dei comuni delle regioni a statuto ordinario risulta pari a 500 euro. Nel documento depositato dalla Viceministra dell'economia e delle finanze, Laura Castelli, in occasione dell'audizione del 9 giugno 2021 è riportata la seguente tabella recante la distribuzione pro capite della capacità fiscale dei comuni delle regioni a statuto ordinario:

  Capacità fiscale comuni delle regioni a statuto ordinario – valori pro capite in euro

Regione

CF Totale (senza rifiuti)

CF Totale

  ABRUZZO

322,06

452,36

  BASILICATA

212,28

297,93

  CALABRIA

196,05

310,87

  CAMPANIA

223,49

352,65

  EMILIA-ROMAGNA

438,00

590,65

  LAZIO

440,56

600,66

  LIGURIA

538,36

729,41

  LOMBARDIA

409,51

513,59

  MARCHE

327,69

466,25

  MOLISE

276,86

377,61

  PIEMONTE

406,13

526,40

  PUGLIA

263,49

389,24

  TOSCANA

427,75

589,73

  UMBRIA

335,90

476,39

  VENETO

384,07

503,70

  Totale RSO

370,09

500,18

  Ai fini di una corretta misurazione della capacità fiscale, nel corso delle audizioni è emersa l'opportunità di affiancare agli affinamenti metodologici una rivalutazione in ordine ad alcuni elementi strutturali del Fondo di solidarietà comunale. In particolare, è stata rappresentata l'opportunità di ricondurre nel perimetro della capacità fiscale standard, per essere assoggettate a perequazione, alcune risorse assegnate ai comuni, quali i ristori per le riduzioni di gettito determinate da interventi statali sulla tassazione immobiliare, in primis l'esenzione della Tasi per le abitazioni principali di cui alla legge di stabilità per il 2016, per circa 3,5 miliardi di euro, o altre riduzioni, rettifiche e accantonamenti, per circa 1,7 miliardi di euro, che sono oggi attribuite su base storica(10). Secondo il Presidente della Commissione tecnica per i fabbisogni standard, professor Giampaolo Arachi, ove «i ristori fossero considerati risorse proprie comunali, al pari della perdita di gettito che hanno sostituito, dovrebbero essere inseriti nella capacità fiscale, per la parte di gettito riferita alla quota standard, e partecipare Pag. 21alla componente perequativa del FSC», mentre, ove «fossero considerati come alimentazione verticale del FSC, dovrebbero essere ripartiti anche (e a regime integralmente) secondo la componente perequativa»(11).
  Per quanto concerne le province e le città metropolitane, la Commissione tecnica per i fabbisogni standard, secondo quanto riferito in audizione, ha intrapreso, con l'ausilio del Dipartimento delle finanze del Ministero dell'economia e delle finanze, l'analisi del sistema delle entrate per giungere alla definizione delle capacità fiscali standard, anche nella prospettiva di permettere l'avvio dei nuovi Fondi previsti dal legislatore a partire dal 2022(12). La necessità della definizione – unitamente ai fabbisogni standard – della capacità fiscale delle province è stata segnalata, nell'audizione del 15 settembre 2021, anche dal Presidente dell'Unione delle Province d'Italia, Michele de Pascale, il quale ha sottolineato come, sul fronte delle entrate tributarie provinciali, per questo livello di governo non si sia mai elaborato alcun percorso normativo finalizzato all'individuazione del gettito standardizzato né della capacità fiscale.
  Per le regioni a statuto ordinario, l'articolo 24 del decreto-legge n. 50 del 2017 ha previsto la predisposizione, da parte della Commissione tecnica per i fabbisogni standard, delle metodologie per la determinazione delle capacità fiscali standard – oltre che dei fabbisogni – delle regioni a statuto ordinario nelle materie diverse dalla sanità. È stato altresì stabilito che i fabbisogni e le capacità fiscali standard (elaborate dal Dipartimento delle finanze) possono essere utilizzati per la ripartizione del concorso alla finanza pubblica a carico delle regioni medesime(13).

Pag. 22

  4.3 I livelli essenziali delle prestazioni

  La Costituzione assegna alla legislazione esclusiva statale il compito di definire la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (articolo 117, secondo comma, lettera m)). Parimenti, lo Stato ha legislazione esclusiva nella definizione delle funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane (articolo 117, secondo comma, lettera p)).
  Nel definire i principi che informano il sistema di finanziamento delle autonomie territoriali, la legge n. 42 del 2009 distingue, da un lato, le spese che investono i diritti basilari di cittadinanza (quali sanità, assistenza, istruzione) e quelle inerenti alle funzioni fondamentali degli enti locali, per le quali va assicurata l'integrale copertura dei fabbisogni finanziari, e, dall'altro, le spese che vengono affidate in misura maggiore al finanziamento con gli strumenti propri della autonomia tributaria, per le quali si prevede una perequazione delle capacità fiscali, ossia un finanziamento delle funzioni che tiene conto dei livelli di ricchezza differenziati dei territori.
  Per le funzioni concernenti i diritti civili e sociali, spetta dunque allo Stato definire i livelli essenziali delle prestazioni, che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale in condizione di efficienza e di appropriatezza; ad essi sono associati i fabbisogni standard necessari ad assicurare tali prestazioni. Le altre funzioni o tipologie di spese sono invece finanziate secondo un modello di perequazione delle capacità fiscali, che dovrebbe concretizzarsi in un tendenziale avvicinamento delle risorse a disposizione dei diversi territori, senza tuttavia alterare l'ordine delle rispettive capacità fiscali.
  Uno dei principali fattori di criticità riscontrabili nel percorso attuativo della legge n. 42 del 2009 è costituito dall'assenza di una precisa individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni nelle funzioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Sul punto, il Presidente della Commissione tecnica per i fabbisogni standard, Giampaolo Arachi, ha sottolineato che «la determinazione dei LEP richiede un'assunzione di responsabilità politica, che non compete alla Commissione tecnica per i fabbisogni standard, per gli effetti che i LEP producono sugli equilibri di bilancio e sulla composizione dell'intervento pubblico»(14), aggiungendo altresì che – come indica la giurisprudenza costituzionale – la determinazione dei livelli essenziali offrirebbe allo Stato e alle regioni un significativo criterio di orientamento nell'individuazione degli obiettivi e degli ambiti di riduzione delle risorse impiegate.
  In sintonia con quanto è stato appena evidenziato, la Ministra per il Sud e la coesione territoriale, Maria Rosaria Carfagna, nell'audizione del 16 giugno 2021, ha ribadito l'importanza di dare piena attuazione al dettato costituzionale, che «impone di garantire e riconoscere a tutti i cittadini le principali prerogative connesse al diritto di cittadinanza, come il diritto a ricevere un'istruzione e un'educazione sin dalla prima infanzia, il diritto a ricevere cure, assistenze sociali per le persone fragili o il diritto alla mobilità». Il mancato intervento del legislatore Pag. 23in tema di livelli essenziali delle prestazioni, infatti, «ha indebolito il principio di uguaglianza e ha anche vanificato le potenzialità virtuose di un processo di federalismo fiscale». In questo scenario, la Ministra ha sottolineato come i fabbisogni standard non possano essere ricavati dalla mera ricognizione dei livelli delle prestazioni già garantiti dagli enti territoriali, in quanto l'effetto sarebbe quello di cristallizzare le differenze territoriali esistenti, considerato che «chi ha di più continuerà ad avere di più, chi non ha speso apparirà incredibilmente privo di fabbisogno».
  Dalle audizioni effettuate dalla Commissione è emerso, quindi, che i fabbisogni standard sono stati utilizzati come indicatori per il riparto di risorse date e non anche come strumento per valutare la coerenza fra le risorse assegnate e la spesa necessaria per assicurare le funzioni fondamentali e i livelli essenziali delle prestazioni in condizioni di efficienza. In particolare, secondo quanto riportato dalla Viceministra dell'economia e delle finanze, Laura Castelli, la mancata o incompleta definizione dei livelli essenziali delle prestazioni «ha privato il sistema di un riferimento cruciale per la definizione dei fabbisogni standard, soprattutto nell'ambito di quelle funzioni comunali come l'Istruzione pubblica, gli Asili nido e il servizio di Raccolta e smaltimento di rifiuti, per cui è stato possibile stimare il costo unitario standardizzato dei servizi», posto che, in questi casi, «il calcolo del fabbisogno richiede di moltiplicare il costo unitario per la quantità di servizi di riferimento»(15).
  A questo proposito, appare utile segnalare che, secondo quanto suggerito dal Presidente della Commissione tecnica per i fabbisogni standard, Giampaolo Arachi, non per tutte le funzioni si profila la necessità di definire i livelli essenziali delle prestazioni(16). Una gran parte delle funzioni fondamentali dei comuni riguardano, infatti, la fornitura di servizi indivisibili prestati a beneficio della collettività nel suo insieme, come le attività amministrative e contabili, la viabilità, la polizia locale, l'anagrafe, il protocollo, l'urbanistica. Per queste funzioni sono previsti obblighi e vincoli in capo alle amministrazioni che implicitamente già definirebbero un livello essenziale delle prestazioni da garantire ai cittadini. Relativamente alle suddette funzioni, l'analisi dei dati storici potrebbe risultare sufficiente a individuare il fabbisogno standard (facendo riferimento ai livelli medi storici di erogazione dei servizi). Si rivela necessaria, viceversa, la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni per quelle funzioni fondamentali, solitamente a domanda individuale, per le quali il quadro normativo vigente attribuisce ampi margini di discrezionalità sul piano dell'attivazione e della determinazione del livello di fornitura. Si tratta di prestazioni che afferiscono per la quasi totalità alle materie dell'assistenza, dell'istruzione, del trasporto pubblico locale, cioè a funzioni strettamente correlate ai diritti civili e sociali. In questi ambiti, in assenza dei livelli essenziali delle prestazioni, i fabbisogni standard possono essere definiti solo in via provvisoria, tenuto conto che il livello storico di servizio Pag. 24potrebbe non essere coerente con la tutela dei diritti civili e sociali sia a livello di singolo ente sia a livello aggregato. Sul piano della standardizzazione dei fabbisogni, la fissazione dei livelli essenziali delle prestazioni, ad avviso del Presidente della Commissione tecnica per i fabbisogni standard, si presenta più urgente riguardo all'offerta di posti negli asili nido, ai servizi non obbligatori complementari all'istruzione che possono incidere sui diritti civili e sociali – come il trasporto scolastico, incluso quello delle persone con diversa abilità, la mensa scolastica (che si accompagna all'offerta del tempo prolungato) – e infine ai servizi che rientrano nella funzione del sociale. Nel campo del trasporto pubblico locale si tratta, poi, di stabilire se il livello essenziale delle prestazioni debba fare riferimento alla presenza di una rete di trasporto pubblico urbano, il che significherebbe limitare il medesimo livello essenziale (e quindi il fabbisogno) ai centri urbani di maggiori dimensioni o, più in generale, se occorra garantire un sostegno pubblico alla mobilità urbana in tutti i territori.
  Con più specifico riferimento all'assistenza sociale, il quadro normativo vigente contempla un complesso di interventi nazionali, regionali e comunali, che rivestono le forme della prestazione economica e/o del servizio alla persona. A differenza di quanto avviene in campo sanitario – ove i livelli essenziali di assistenza (LEA), definiti da ultimo dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 gennaio 2017, indicano nel dettaglio le prestazioni erogate attraverso il Servizio sanitario nazionale – le politiche sociali sono interpretate diversamente a seconda della regione o, perfino, del comune di riferimento, anche perché le risorse di questo settore provengono dal finanziamento plurimo dei vari livelli di governo (Stato, regioni e comuni), secondo dotazioni finanziarie presenti nei rispettivi bilanci.
  In proposito, la legge quadro sull'assistenza (legge n. 328 del 2000) ha stabilito che i livelli essenziali delle prestazioni sociali (LEPS) corrispondono all'insieme degli interventi garantiti, sotto forma di beni o servizi secondo le caratteristiche e i requisiti fissati dalla pianificazione nazionale, regionale e zonale, nei limiti delle risorse del Fondo nazionale per le politiche sociali. Più precisamente, l'articolo 22 della suddetta legge individua le aree del bisogno (per esempio, povertà, disagio minorile, responsabilità familiare, dipendenze, disabilità) e quindi le prestazioni e gli interventi idonei a soddisfare le diverse esigenze della funzione sociale, senza giungere tuttavia a una definizione puntuale dei servizi. Sotto questo aspetto, la legge n. 328 del 2000 non è stata pienamente attuata, in quanto non si è provveduto né a disegnare una programmazione nazionale dei servizi e degli interventi né a fissare risorse certe e strutturali per i Fondi rivolti alle politiche sociali, tali da rendere possibile il finanziamento dei diritti soggettivi.
  Solo con l'introduzione di una misura nazionale di contrasto alla povertà – avviata dalla legge n. 33 del 2016 e successivamente identificata con il reddito di inclusione, come delineato dal decreto legislativo n. 147 del 2017, poi sostituito dal reddito di cittadinanza di cui al decreto-legge n. 4 del 2019 – sono stati definiti i primi livelli essenziali delle prestazioni, non solo per quanto riguarda il beneficio economico associato alle prestazioni sociali di contrasto alla povertà, ma anche per quanto attiene alle componenti relative all'inclusione sociale e alle politiche attive del lavoro.Pag. 25
  Occorre, infine, tener conto che la legge n. 42 del 2009 traccia un percorso graduale di avvicinamento ai livelli essenziali delle prestazioni, con la fissazione di obiettivi intermedi, qualificati «obiettivi di servizio». Quest'approccio ha il vantaggio di attenuare le tensioni sugli equilibri di bilancio inevitabilmente prodotte dalla definizione dei livelli essenziali delle prestazioni, garantendo un assorbimento graduale delle maggiori esigenze di spesa. In questa prospettiva, la legge delega prevede che il processo di convergenza ai livelli essenziali delle prestazioni sia accompagnato da meccanismi di monitoraggio e misure sanzionatorie (articolo 2, comma 2, lettera z))(17).
  Con specifico riguardo al comparto comunale, appare particolarmente significativa l'individuazione di obiettivi di servizio, come tappa intermedia verso i livelli essenziali delle prestazioni, in relazione alle funzioni e ai servizi considerati ai fini del riparto del Fondo di solidarietà comunale. È bene ricordare, in proposito, che i trasferimenti erogati ai comuni attraverso il Fondo di solidarietà comunale non hanno vincoli di destinazione.
  In tal senso, un importante passo avanti è stato compiuto con la legge di bilancio per il 2021 (legge n. 178 del 2020) che, nell'incrementare la dotazione del Fondo di solidarietà comunale per finanziare lo sviluppo dei servizi sociali comunali e il numero di posti disponibili negli asili nido, con peculiare attenzione ai comuni nei quali i predetti servizi denotano maggiori carenze, ha integrato i criteri e le modalità di riparto delle quote incrementali del Fondo per servizi sociali e asili nido. Al fine di garantire che le risorse aggiuntive si traducano in un incremento effettivo dei servizi, la legge ha previsto l'attivazione di un meccanismo di monitoraggio basato sull'identificazione di obiettivi di servizio. In tal modo, per la prima volta dall'introduzione dei fabbisogni standard, è stato superato il vincolo della spesa storica complessiva della funzione sociale, stanziando risorse aggiuntive vincolate al raggiungimento degli obiettivi di servizio e compiendo un passo in avanti nel percorso di avvicinamento ai livelli essenziali delle prestazioni(18).
  Per quanto concerne gli aspetti evolutivi della materia, la Viceministra dell'economia e delle finanze, Laura Castelli, nell'audizione del 9 giugno 2021, ha precisato che il completamento del quadro normativo – con specifico riferimento all'individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni e degli standard da garantire per le funzioni fondamentali – è un passaggio fondamentale che occorrerà portare a compimento per giungere a una piena realizzazione dei due principi dell'uniformità dei servizi essenziali sul territorio nazionale e della garanzia del pieno finanziamento del fabbisogno standard relativo alle funzioni fondamentali e ai livelli essenziali delle prestazioni.
  La rilevanza di questi temi è scaturita anche dall'audizione dei rappresentanti della Corte dei conti tenutasi il 27 ottobre 2021, nell'ambitoPag. 26 della quale – in linea con quanto sinora esposto – è stato rimarcato che resta ancora da completare il processo di individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni, con l'attivazione di adeguate risorse statali per rendere possibile la perequazione, e che tali azioni sono propedeutiche a una distribuzione delle risorse basata sui fabbisogni standard(19).
  Nell'ottica di una maggiore efficacia dell'intero processo, il Presidente della Commissione tecnica per i fabbisogni standard, Giampaolo Arachi, ha richiamato l'attenzione sull'esigenza di potenziare ed estendere il monitoraggio ex post dei risultati ottenuti circa le funzioni fondamentali e i livelli essenziali delle prestazioni. Secondo quanto prospettato dallo stesso, per le funzioni in cui le norme individuano dei livelli essenziali delle prestazioni si potrebbe prevedere, in coerenza con l'articolo 120 della Costituzione e in analogia a quanto già sperimentato in campo sanitario, un meccanismo che, oltre ad aiutare gli enti a individuare le criticità e a predisporre una strategia di miglioramento dei servizi, consenta, nei casi di grave e persistente inadempienza, un intervento sostitutivo dello Stato(20).

  Il processo di monitoraggio prefigurato dal Presidente Arachi potrebbe articolarsi in quattro fasi: a) l'individuazione di un insieme minimo di indicatori e parametri di riferimento, che definiscano gli obiettivi di servizio, che rappresentano gli obiettivi intermedi da raggiungere nella graduale convergenza ai livelli essenziali delle prestazioni; b) la pubblicizzazione periodica dei risultati dell'attività di monitoraggio con l'individuazione degli enti che non rispettano e non convergono verso gli obiettivi di servizio, anche prevedendo limiti di accettabilità entro intervalli di oscillazione dei valori di riferimento; c) l'attivazione di procedure per accertare le cause degli scostamenti e per concordare con gli enti le azioni correttive da intraprendere, anche fornendo la necessaria assistenza tecnica e utilizzando, ove possibile, il metodo della diffusione delle migliori pratiche; d) l'attuazione di misure correttive, anche attraverso un intervento sostitutivo dello Stato, nei casi di grave e perdurante inadempienza.

  Quanto alle funzioni fondamentali per le quali non siano previsti dei livelli essenziali delle prestazioni, la soluzione proposta dal Presidente della Commissione tecnica per i fabbisogni standard contempla differenti modalità di monitoraggio. In particolare, la convergenza nei livelli quali-quantitativi dei servizi offerti potrebbe essere favorita attraverso l'individuazione di indicatori sintetici che consentano di valutare il livello effettivo, in termini quantitativi e qualitativi, dei Pag. 27servizi erogati da ogni singolo ente, prevedendo forme di pubblicizzazione, affinché diventino veicolo di diffusione delle migliori pratiche e strumento di valutazione dell'azione amministrativa da parte dei cittadini.

Pag. 28

5. LO STATO DELLA FINANZA DEGLI ENTI TERRITORIALI

  5.1 Rapporti finanziari tra stato e regioni

  5.1.1 Le regioni a statuto ordinario

  L'ordinamento finanziario delle regioni a statuto ordinario è caratterizzato, da un lato, da un sistema delle entrate ancora non completamente riformato e fermo sostanzialmente al 2011 e, dall'altro, da un controllo della spesa che deve assicurare l'osservanza delle regole del pareggio di bilancio e soprattutto il contributo alla finanza pubblica stabilito dalle manovre di finanziarie che si sono succedute.
  Negli ultimi due anni non ci sono state modifiche dell'ordinamento finanziario dirette all'attuazione del federalismo fiscale. Si segnalano, tuttavia, due iniziative che hanno interessato ambiti strettamente connessi:

   ■ in primo luogo, è stato istituito, presso il Ministero dell'economia e delle finanze, un Tavolo tecnico a composizione mista Stato-regioni con il compito di definire le modalità operative per arrivare alla completa attuazione dei principi in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario contenuti nel decreto legislativo n. 68 del 2011 (articolo 1, comma 958, della legge n. 145 del 2018);

   ■ in secondo luogo, è stata anticipata al 2020 la facoltà di utilizzare il risultato di amministrazione e il fondo pluriennale vincolato di entrata e di spesa per il raggiungimento dell'equilibro di bilancio (articolo 1, commi 541 e 542, della legge n. 160 del 2019); la norma si inserisce nella disciplina del pareggio di bilancio e dell'armonizzazione dei sistemi contabili.

  5.1.1.1 Le entrate delle regioni

  Il sistema di finanziamento delle regioni a statuto ordinario è, di fatto, quello precedente al decreto legislativo n. 68 del 2011 di attuazione della legge n. 42 del 2009. Il nuovo regime delineato per la fiscalità regionale ha avuto seguito solo in parte: la sua attuazione è stata rinviata più volte e, da ultimo, il decreto-legge n. 137 del 2020 (articolo 31-sexies) ha fissato la scadenza del 2023.
  A decorrere da tale anno le fonti di finanziamento delle regioni per l'erogazione dei livelli essenziali delle prestazioni nelle materie della sanità, dell'assistenza, dell'istruzione e del trasporto pubblico locale (per la spesa di parte capitale) dovranno essere costituite da entrate di tipo tributario (opportunamente rimodulate ed eventualmente perequate) ed entrate proprie. Ciò significa che dovrà essere completamente superato il sistema dei trasferimenti erariali e della perequazione basata sulla spesa storica.
  Nell'attuale regime le fonti di finanziamento delle regioni a statuto ordinario sono costituite dai tributi propri, dalla compartecipazione al gettito dell'Iva, dalle entrate proprie (quelle derivanti da beni, attività economiche della regione e rendite patrimoniali), dai trasferimenti perequativi per i territori con minore capacità fiscale per abitante e, infine, dalle entrate da indebitamento, che sono però riservate a spese di investimento (articolo 119 della Costituzione).

Pag. 29

  Le entrate tributarie delle regioni a statuto ordinario sono assicurate principalmente dall'imposta regionale sulle attività produttive (Irap), dall'addizionale all'imposta sul reddito delle persone fisiche (Irpef) e dalla cosiddetta tassa automobilistica. Gli altri tributi minori, compresa l'addizionale regionale all'accisa sul gas naturale e il tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi, costituiscono una piccola parte dell'intero gettito tributario. Le possibilità di manovra sulla leva fiscale da parte regionale sono limitate. Ciascuna regione può determinare l'aliquota entro una forbice fissata dalla legge dello Stato e – in alcuni casi – differenziare i soggetti passivi (per scaglioni di reddito per l'addizionale Irpef, per categorie economiche per l'Irap). Ogni regione, inoltre, provvede alla disciplina e alla gestione degli aspetti amministrativi, quali riscossione, rimborsi, recupero della tassa e applicazione delle sanzioni, sempre entro limiti e principi fissati dalla legge dello Stato.
  Altra entrata importante è costituita dalla compartecipazione regionale al gettito dell'Iva, istituita dal decreto legislativo n. 56 del 2000 e determinata annualmente con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, che entra nel meccanismo di perequazione previsto dallo stesso decreto legislativo, ai fini del finanziamento del Servizio sanitario nazionale. Ciascuna regione riceve la quota di compartecipazione all'Iva a seguito delle operazioni di perequazione e, quindi, in aumento o in diminuzione rispetto al conteggio iniziale (effettuato peraltro sulla media triennale dei consumi stimati dall'Istat del rispettivo territorio). Visto che alimenta il Fondo perequativo per il finanziamento del Servizio sanitario nazionale, la compartecipazione all'Iva non può essere considerata propriamente un'entrata tributaria, bensì un trasferimento dello Stato.
  La parte più cospicua dei trasferimenti dello Stato alle regioni a statuto ordinario è costituita dalle risorse per il finanziamento della sanità (il Fondo perequativo di cui sopra) e del trasporto pubblico locale. Quest'ultimo è finanziato attraverso il Fondo nazionale per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale, anche ferroviario, nelle regioni a statuto ordinario (dal 2013 al 2017 alimentato, tra l'altro, dal gettito della compartecipazione all'accisa sulla benzina e sul gasolio per autotrazione attribuita alle regioni, destinata anch'essa al finanziamento della sanità fino al 2012). Gli altri trasferimenti sono stati via via soppressi nell'ambito del contributo alla finanza pubblica richiesto alle regioni.

  Nell'ambito dell'audizione della Viceministra dell'economia e delle finanze, Laura Castelli, del 9 giugno 2021, sono stati evidenziati alcuni aspetti problematici del processo di attuazione del federalismo fiscale per le regioni a statuto ordinario, in particolare riguardo alla trasformazione dei trasferimenti in entrate tributarie e, conseguentemente, alla determinazione delle due principali entrate fiscali (addizione regionale all'Irpef e compartecipazione all'Iva), all'applicazione del principio di territorialità, alla definizione delle modalità di perequazione(21).
  Sull'analisi di questi temi è incentrato il lavoro del Tavolo tecnico istituito presso il Ministero dell'economia e delle finanze, per arrivare alla definizione delle procedure necessarie alla realizzazione degli obiettivi del federalismo fiscale, incluse le modifiche normative che si rendano necessarie per superare i profili più critici.
  In relazione all'addizione regionale all'Irpef – la quale, secondo quanto previsto dall'articolo 2 del decreto legislativo n. 68 del 2011, dovrebbe garantire entrate corrispondenti ai trasferimenti statali soppressi e, al tempo stesso, portare a una riduzione delle aliquote Irpef di competenza statale, al fine di non aggravare il prelievo fiscale richiesto ai cittadiniPag. 30 – uno dei principali ostacoli è costituito proprio dall'impossibilità di operare tale riduzione nelle sole regioni a statuto ordinario (le sole destinatarie delle norme del decreto n. 68 del 2011) senza creare disparità di trattamento tra cittadini.
  Quanto alla compartecipazione regionale all'Iva, secondo l'articolo 4 del decreto legislativo n. 68 del 2011, essa dovrebbe essere calcolata in modo da assicurare il pieno finanziamento del fabbisogno corrispondente ai livelli essenziali delle prestazioni, superando quindi il meccanismo vigente di determinazione dell'aliquota a posteriori sulla base dei costi sostenuti. Anche l'assegnazione alle regioni dovrebbe essere basata non più sulla distribuzione regionale dei consumi rilevati dall'Istat, bensì sulla base del principio di territorialità. In questo ambito, le maggiori difficoltà derivano dalla mancata definizione dei livelli essenziali delle prestazioni nei settori extra sanitari.
  Una quantificazione di massima delle entrate tributarie dei diversi territori è fornita nel documento messo a disposizione della Commissione dalla Viceministra dell'economia e delle finanze, Laura Castelli, in occasione della sopra richiamata audizione del 9 giugno 2021. In tale documento sono riportati i dati di gettito delle principali entrate su base annua (riferiti alle annualità precedenti al 2020), che per le regioni a statuto ordinario sono le seguenti:

in miliardi di euro

  Irap

24,10

  Addizionale regionale all'Irpef

12,30

  Tasse automobilistiche

6,10

Totale regioni statuto ordinario

42,50

  Un altro punto affrontato nel suddetto documento è l'attuazione di quanto disposto dall'articolo 9 del decreto legislativo n. 68 del 2011, secondo il quale deve essere attribuita alle regioni una quota del gettito riferito all'attività di recupero fiscale in materia di Iva svolta da ciascuna regione. Le maggiori difficoltà incontrate dal Tavolo tecnico, nella predisposizione del relativo decreto ministeriale, riguardano l'esatta individuazione delle modalità di concorso della regione all'attività di recupero fiscale, in quanto non risultano stabilite dalla legge.
  In relazione alla fiscalizzazione dei trasferimenti statali, inoltre, il documento ministeriale fornisce il quadro delle entrate previste a legislazione vigente per le regioni a statuto ordinario (anno 2021) che andrebbero «fiscalizzate». Si riporta di seguito un estratto dalla Tabella A dell'appendice del citato documento:

Pag. 31

milioni di euro

  Quota non sanitaria della compartecipazione Iva

423,6

  Interventi nel campo del miglioramento genetico del bestiame e nei settori dell'agricoltura, dell'agroindustria e delle foreste nonché di altre attività trasferite ai sensi del decreto legislativo n. 143 del 1997

19,6

Totale non Lep

443,2

  Fondo integrativo per la concessione di borse di studio

206,9

  Erogazione gratuita di libri di testo

82,3

  Assistenza per l'autonomia e la comunicazione personale degli alunni con disabilità fisiche o sensoriali

100,0

  Fondo per le politiche sociali

333,4

  Fondo per le non autosufficienze

491,2

  Fondo per l'assistenza alle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare

48,5

  Politiche per la famiglia

12,6

Totale Lep

1.274,9

  Mancato gettito dell'Irap per la riduzione del costo del lavoro

384,7

  Fondo nazionale per il trasporto pubblico locale

4.873,3

Totale

6.976,1

  Viene evidenziato altresì come le risorse per il trasporto pubblico locale – che costituiscono la maggior parte dei trasferimenti statali – siano riconducibili ai livelli essenziali delle prestazioni per la sola parte in conto capitale e dunque, secondo la normativa vigente, non possano essere interamente «fiscalizzate». Le prime simulazioni dell'applicazione del meccanismo perequativo, svolte nell'ambito del Tavolo tecnico, non hanno condotto a buoni risultati, dato che le regioni a minore capacità fiscale non riuscirebbero a recuperare le risorse trasferite neanche il primo anno.
  Nel menzionato documento, infine, sono enunciati gli obiettivi del Governo in relazione al federalismo fiscale per le regioni a statuto ordinario, formulati in coerenza con il traguardo generale di attuazione del federalismo fiscale entro il primo quadrimestre del 2026, indicato nel Piano nazionale di ripresa e resilienza:

   ■ entro dicembre 2022, si prevede di procedere all'aggiornamento della normativa vigente (legge n. 42 del 2009 e decreto legislativo n. 68 del 2011), al fine di superarne i limiti tecnico-giuridici, e all'individuazione dei trasferimenti dallo Stato alle regioni a statuto ordinario che saranno fiscalizzati mediante incremento di aliquote di tributi;

   ■ entro dicembre 2024, si prevede di conseguire il risultato della definizione dei livelli essenziali delle prestazioni e dei fabbisogni standard.

  Cionondimeno, viene espressa la preoccupazione di conciliare il raggiungimento delle seguenti tappe con la necessità di addivenire a una intesa tra i diversi livelli istituzionali e di assicurare il rispetto degli obiettivi di finanza pubblica.

Pag. 32

  5.1.1.2 Il concorso alla finanza pubblica e il pareggio di bilancio

  Come gli altri enti del sistema pubblico, le regioni a statuto ordinario sono tenute a contribuire al risanamento dei conti pubblici.
  Le manovre di finanza pubblica hanno stabilito, per ciascun anno, la quota di risparmio richiesto alle regioni a statuto ordinario sia in termini di indebitamento netto (vale a dire per contribuire alla riduzione del debito complessivo della pubblica amministrazione) sia in termini di saldo netto da finanziare (riduzione di risorse erogate dallo Stato). La realizzazione del risparmio è stata attuata principalmente attraverso il taglio di trasferimenti statali, la revisione della spesa regionale e la rinuncia ad altri tipi di contributi erogati dallo Stato. Dal 2014 le misure specifiche per la realizzazione del risparmio, l'entità di ciascuna nonché il riparto delle stesse tra le regioni sono concordate in sede di Conferenza Stato-regioni.
  La legge di bilancio per il 2019 (legge n. 145 del 2018), come modificata e integrata dalla legge di bilancio per il 2020 (legge n. 160 del 2019), è intervenuta nella determinazione del concorso alla finanza pubblica da parte delle regioni a statuto ordinario e nella disciplina dell'equilibrio di bilancio.
  Le relative disposizioni recepiscono quanto deciso in sede di Conferenza Stato-regioni con l'accordo del 15 ottobre 2018, al fine di stabilire le modalità di realizzazione del concorso alla finanza pubblica delle regioni a statuto ordinario per gli anni 2019 e 2020 e garantire, nello stesso tempo, il rilancio degli investimenti. Le disposizioni, infatti, assegnano alle regioni un contributo finalizzato alla effettuazione di nuovi investimenti, prevedendo altresì le modalità del concorso alla finanza pubblica.
  Più nello specifico, al comparto delle regioni a statuto ordinario viene attribuito un contributo finalizzato a nuovi investimenti diretti e indiretti. La legge n. 145 del 2018, all'articolo 1, commi 833-840, stabilisce la scansione temporale del finanziamento nell'arco del quadriennio 2019-2022, individua gli ambiti in cui devono essere realizzati gli investimenti e disciplina, nel dettaglio, i termini entro cui gli impegni devono essere assunti, nonché la certificazione e il monitoraggio degli interventi.
  Il concorso alla finanza pubblica del comparto delle regioni a statuto ordinario viene ridotto di 750 milioni di euro per l'anno 2020 in attuazione della sentenza della Corte costituzionale n. 103 del 2018 (articolo 1, comma 832, della legge n. 145 del 2018). La Corte ha dichiarato illegittima – per inosservanza del canone di transitorietà dei «tagli» di risorse imposti alle regioni – la norma (articolo 1, comma 527, della legge n. 232 del 2016) che ha prorogato per la terza volta il richiesto contributo di 750 milioni di euro, stabilito, inizialmente per il triennio 2015-2017, dall'articolo 46, comma 6, del decreto-legge n. 66 del 2014.
  Il comma 841 dell'articolo 1 della legge n. 145 del 2018 stabilisce le modalità del concorso alla finanza pubblica delle regioni a statuto ordinario per gli anni 2019 e 2020. In sostanza, le regioni dovranno comunque finanziare gli investimenti per gli importi stabiliti nella legge, ma non riceveranno il trasferimento delle somme dallo Stato.Pag. 33
  Per gli esercizi 2019 e 2020 il concorso alla finanza pubblica è quindi realizzato attraverso il mancato trasferimento da parte dello Stato del contributo per la realizzazione dei nuovi investimenti, pari a:

   ■ 2.496,2 milioni di euro per il 2019, come stabilito al comma 833 dell'articolo 1 della legge n. 145 del 2018;

   ■ 1.746,2 milioni di euro per il 2020, come stabilito al comma 835 dell'articolo 1 della legge n. 145 del 2018.

  La seguente tabella, tratta dal citato accordo del 15 ottobre 2018 concluso in sede di Conferenza Stato-regioni, riassume gli effetti finanziari della normativa richiamata:

in milioni di euro

SALDO NETTO DA FINANZIARE

INDEBITAMENTO NETTO

2019

2020

2021

2019

2020

2021

2022

2023

  Contributo Regioni investimenti 2019 (a)

2.496,20

-

-

800,00

565,40

565,40

565,40

-

  Contributo Regioni investimenti 2020 (b)

-

1.746,20

-

343,00

467,80

467,70

467,70

  Compensazione effetto sentenza 103 (c)

-

750,00

-

-

750,00

-

-

  Totale effetti (d) = (a) (b) (c)

2.496,20

2.496,20

-

800,00

1.658,40

1.033,20

1.033,10

467,70

  Saldo positivo pareggio (e)

-

-

-

1.696,20

837,80

  TOTALE (f) = (a) (b) (e)

2.496,20

1.746,20

-

2.496,20

1.746,20

1.033,20

1.033,10

467,70

  La legge di bilancio per il 2021 (articolo 1, comma 851, della legge n. 178 del 2020), infine, stabilisce l'ammontare del concorso alla finanza pubblica, dovuto da tutto il comparto delle regioni e delle province autonome per gli anni 2023-2025, in 200 milioni di euro annui. La quota di competenza di ciascuna regione dovrà essere stabilita, come di consueto, in sede di Conferenza Stato-regioni (entro il 31 maggio 2022) e formalizzata con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.
  In relazione al pareggio di bilancio, infine, si rammenta che dall'esercizio 2017 le regioni a statuto ordinario sono tenute al conseguimento del pareggio di bilancio, ovvero al conseguimento del saldo non negativo, in termini di competenza, tra le entrate finali e le spese finali (articolo 1, commi 465-466, della legge n. 232 del 2016).
  La legge di bilancio per il 2020 (articolo 1, commi 541 e 542, della legge n. 160 del 2019) anticipa all'anno 2020, per le regioni a statuto ordinario, la facoltà di utilizzare il risultato di amministrazione e il fondo pluriennale vincolato di entrata e di spesa per il raggiungimento dell'equilibro di bilancio. Per gli enti locali e le regioni a statuto speciale, tale possibilità è stata prevista, già a decorrere dal 2019, dalla legge n. 145 del 2018, in attuazione di specifiche pronunce della Corte costituzionale (sentenze n. 247/2017 e n. 101/2018).
  In questa sede è utile ricordare che l'11 novembre 2020 la VI Commissione della Camera e la 6ª Commissione del Senato hanno deliberato una vasta indagine conoscitiva preordinata alla riforma Pag. 34fiscale, per raccogliere le istanze dei diversi portatori di interessi e approfondire le principali questioni aperte. L'indagine conoscitiva si è articolata nell'arco di sei mesi, tra gennaio e giugno 2021. Il 30 giugno 2021 le Commissioni hanno approvato, ciascuna in un identico testo, il documento conclusivo dell'indagine, che indirizza la riforma fiscale verso obiettivi di crescita dell'economia e semplificazione del sistema tributario. Con riferimento all'Irap, nell'ottica di una razionalizzazione del sistema tributario e all'interno di un complessivo quadro di riforma in cui valutare gli aspetti di redistribuzione del carico fiscale, le Commissioni concordano sulla necessità di una riforma che porti al superamento dell'imposta con un riassorbimento del relativo gettito nei tributi attualmente esistenti, preservando la manovrabilità da parte degli enti territoriali e il livello di finanziamento del servizio sanitario nazionale, senza caricare di ulteriori oneri i redditi da lavoro dipendente e assimilati.

  5.1.2 Il finanziamento del settore sanitario

  Il settore sanitario impegna gran parte dei bilanci regionali e il suo costo, in base alle disposizioni del decreto legislativo n. 68 del 2011, deve essere determinato secondo i fabbisogni standard delle regioni. Questi ultimi definiscono i criteri di ripartizione del Fondo sanitario nazionale, in base al livello di finanziamento della spesa sanitaria fissata periodicamente in specifici accordi tra Stato ed enti territoriali, detti Patti per la salute. L'ammontare di risorse necessarie per assicurare i livelli essenziali di assistenza (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 gennaio 2017) in condizione di efficienza e appropriatezza, viene definito come «livello di fabbisogno sanitario standard».
  I fabbisogni standard nel settore sanitario sono finalizzati a incentivare comportamenti «virtuosi» per il recupero dell'efficienza e dell'efficacia nell'erogazione dei livelli essenziali di assistenza (LEA), per garantire un miglioramento strutturale degli equilibri di bilancio e per massimizzare il soddisfacimento dei bisogni sanitari.
  Nel procedimento di determinazione dei fabbisogni standard, pertanto, risulta prioritaria la determinazione della quota di risorse da destinare al finanziamento dei livelli essenziali di assistenza, ovvero il fabbisogno sanitario nazionale standard, da definire in coerenza con il quadro macroeconomico complessivo e nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica e degli obblighi assunti dall'Italia in sede di Unione europea (in rapporto a ciò sono poi fissati i fabbisogni regionali standard)(22).Pag. 35
  In particolare, il Servizio sanitario viene finanziato secondo i criteri stabiliti dal decreto legislativo n. 56 del 2000, mediante entrate proprie (ticket), i gettiti derivanti dall'Irap e dall'addizionale regionale all'Irpef valutate ad aliquota base e, fino a concorrenza del fabbisogno medesimo, mediante l'attribuzione alle regioni di risorse a titolo di compartecipazione all'Iva.
  Le componenti del finanziamento del Servizio sanitario nazionale vincolate per legge a obiettivi specifici (quali gli obiettivi del Piano sanitario nazionale, ai sensi dell'articolo 1, commi 34 e 34-bis, della legge n. 662 del 1996) sono finanziate a valere sul capitolo del bilancio statale denominato Fondo sanitario nazionale. Se i valori del gettito dell'Irap e dell'addizionale regionale dell'Irpef risultano inferiori ai gettiti stimati, il differenziale è assicurato dal fondo di garanzia di cui all'articolo 13 del decreto legislativo n. 56 del 2000.
  La quantificazione dei singoli fabbisogni standard regionali (cumulativamente pari al livello del fabbisogno sanitario nazionale standard) si basa sul calcolo del costo standard sanitario pro capite rilevato nelle regioni individuate come «benchmark»(23), che esprimono il costo di erogazione dei livelli essenziali di assistenza in condizioni di efficienza, efficacia e appropriatezza. Il meccanismo assicura che non cambi il livello di finanziamento complessivo della spesa sanitaria nazionale, ma solo il criterio di riparto, secondo un approccio di tipo top-down, con garanzia di invarianza dei saldi di finanza pubblica programmati.
  La metodologia dei costi standard, utilizzata per definire il benchmark e quindi il riparto del finanziamento cui concorre lo Stato, si fonda su indicatori (di qualità, appropriatezza ed efficienza) riferiti ad aggregati di prestazioni (macro-livelli); si tratta, in particolare, di: scostamento dallo standard previsto per l'incidenza della spesa per assistenza collettiva (area della prevenzione) sul totale della spesa (5 per cento); scostamento dallo standard previsto per l'incidenza della spesa per assistenza distrettuale (tra cui, area dei medici di base e dei pediatri di libera scelta e degli enti accreditati con il Servizio sanitario nazionale) sul totale della spesa (51 per cento); scostamento dallo standard previsto per l'incidenza della spesa per assistenza ospedaliera (area delle aziende sanitarie locali e di altri enti del Servizio sanitario nazionale) sul totale della spesa (44 per cento). A questi si aggiungono altri indicatori, tra cui la spesa pro capite per assistenza sanitaria di base, la spesa farmaceutica pro capite, il costo medio dei ricoveri e la spesa per assistenza specialistica.Pag. 36
  Il principale parametro utilizzato per il riparto fra le regioni rimane la popolazione, pesata per classi di età, senza ulteriori indicatori capaci di rappresentare il diverso bisogno di salute(24).
  Già nell'audizione del Ministro della salute pro tempore, Giulia Grillo(25), era emerso che, mentre le regioni più virtuose sono riuscite a organizzare i propri servizi sanitari in maniera efficiente, rendendo così sostenibile la spesa sanitaria in relazione al livello di finanziamento loro assegnato, quelle meno virtuose hanno assicurato la sostenibilità della spesa sanitaria di fatto pregiudicando in molti casi l'adeguatezza della riorganizzazione delle prestazioni assistenziali e solo in parte attraverso azioni di efficientamento del sistema.
  Con riferimento agli ultimi livelli di finanziamento del fabbisogno sanitario standard, si è rilevato fino al 2020, anno in cui si è verificata l'emergenza epidemiologica da Sars-CoV-2, un tendenziale decremento del finanziamento stabilito nelle leggi di bilancio, definito su base triennale.
  Il comma 392 dell'articolo 1 della legge n. 232 del 2016 (legge di bilancio per il 2017) aveva fissato tale livello a 113.000 milioni di euro per il 2017, a 114.000 milioni di euro per il 2018 (poi ridotto a 113.936) e a 115.000 milioni di euro per il 2019 (poi ridotto a 114.396), poi rideterminato per l'anno 2019 in 113.404 milioni di euro.
  La legge di bilancio per il 2019 (articolo 1, comma 514-516, della legge n. 145 del 2018) ha nuovamente determinato il livello per il 2019 in 114.439 milioni di euro, incrementandolo di 2.000 milioni per il 2020 e di ulteriori 1.500 milioni per il 2021. L'accesso delle regioni a tale Pag. 37incremento, dal 2020, è stato subordinato al raggiungimento di una intesa in sede di Conferenza Stato-regioni relativa al Patto per la salute per il triennio 2019-2021(26), che avrebbe dovuto essere stipulata entro il 31 marzo 2019 e che è stata poi siglata il 18 dicembre 2019. L'effettivo riparto per il 2019 è stato successivamente rideterminato in diminuzione con diverse delibere del Cipe a un livello di 113.810 milioni di euro.
  L'emergenza epidemiologica da Covid-19 ha causato una rimodulazione del livello di finanziamento complessivo della spesa sanitaria per l'anno 2020 e i successivi.

  A tale riguardo, la Ministra per gli affari regionali e le autonomie, Mariastella Gelmini(27), ha evidenziato che, nell'arco di poche settimane, lo Stato è intervenuto, in risposta all'imprevista crisi sanitaria, per il potenziamento del sistema sanitario, assumendosi la responsabilità di acquistare i beni e i servizi – per il tramite del Commissario straordinario per l'emergenza – che le autonomie territoriali non sarebbero state in grado di finanziare, in ragione dei dati del monitoraggio quotidiano del Ministero della salute sull'andamento della situazione epidemiologica su base territoriale. Inoltre, lo Stato ha rimosso i vincoli connessi alle assunzioni di personale in campo sanitario e all'utilizzo di medici, anche a riposo, e di infermieri. L'obiettivo immediato è stato il rafforzamento delle terapie intensive e sub-intensive, la somministrazione di test di rilevazione del Coronavirus e il potenziamento della capacità del sistema sanitario territoriale di assistere, con la prevenzione, i positivi asintomatici. Tuttavia, come riferito testualmente nella memoria trasmessa dalla Corte dei conti alla Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale in data 27 ottobre 2021: «il sistema sanitario non è in grado di garantire su tutto il territorio nazionale un'assistenza uniforme, per quantità e qualità». In particolare, secondo la Corte, la spesa sanitaria corrente pro capite riconosciuta al Sud, per l'anno 2020, ammontava ad euro 2.046, a fronte dei 2.165 e i 2.139 euro attributi rispettivamente al Centro e al Nord Italia(28).

  A seguito dell'emergenza pandemica, il riparto delle risorse statali per la sanità nel 2020 è stato effettuato già nel mese di maggio per un ammontare complessivo di 117.407,2 milioni di euro.
  Per il medesimo anno 2020, sono stati definiti ulteriori incrementi, in particolare con il decreto-legge n. 104 del 2020 («decreto Agosto»), mentre con riferimento all'anno 2021 il livello è stato ridefinito a 119.447,2 milioni di euro.
  Per l'anno 2021 il livello di finanziamento del Servizio sanitario nazionale è stato ulteriormente accresciuto a seguito delle misure approvate con la legge di bilancio 2021 (legge n. 178 del 2020) a 121.370,1 milioni di euro.
  Il 4 agosto 2021 la Conferenza Stato-regioni ha sancito il riparto del Fondo sanitario nazionale per il 2021. Il livello del fabbisogno Pag. 38sanitario standard per il 2021 è stato determinato dalla legge di bilancio 2021 (articolo 1, comma 403, della legge n. 178 del 2020) in 121.370 milioni di euro, prevedendo peraltro lo stanziamento di quote aggiuntive per specifiche spese sanitarie.
  L'incremento del livello di finanziamento è stato programmato pari a 822,87 milioni di euro per l'anno 2022 e a 527,07 milioni di euro per ciascuno degli anni 2023, 2024 e 2025.
  A decorrere dal 2026, l'incremento programmato è stato fissato, a legislazione vigente, a 417,87 milioni di euro annui, anche tenendo conto della razionalizzazione della spesa prevista a decorrere dall'anno 2023.

  Riguardo all'emergenza sanitaria, con particolare riferimento alle risorse stanziate per le campagne di vaccinazione, il Ministro della salute, Roberto Speranza, nell'audizione del 7 luglio 2021, ha sottolineato che è stata l'occasione per «chiudere definitivamente una lunga stagione di tagli e di sotto-finanziamento del Servizio sanitario nazionale e aprire una nuova grande stagione di investimento». Ciò anche grazie alle risorse, aggiuntive rispetto all'ordinario Fondo sanitario nazionale, pari a circa 20,23 miliardi di euro, alla base delle azioni previste dal Piano nazionale di ripresa e resilienza. Tali risorse, infatti, possono consentire un salto di qualità nel rilancio del Servizio sanitario nazionale e nell'attuazione di alcune importanti riforme nei due macroambiti dell'assistenza di prossimità e della telemedicina, da una parte, e della formazione, della ricerca e della innovazione e digitalizzazione dell'assistenza sanitaria, dall'altra.
  Secondo quanto riferito dal Ministro Speranza, le risorse aggiuntive provenienti dal Piano saranno perciò destinate, in parte, al rafforzamento dell'assistenza domiciliare – 4 miliardi di euro – per incrementare la copertura di assistenza delle persone sopra ai 65 anni fino al 10 per cento del totale, al finanziamento di 1.350 case di comunità per l'assistenza socio-sanitaria – con risorse complessivamente pari a 2 miliardi di euro – e a una rete di circa 400 ospedali di comunità, al fine di garantire standard equi e uniformi di assistenza su tutto il territorio nazionale. Ulteriori risorse, pari a 1 miliardo di euro, saranno destinate a incrementare la relazione tra il sistema della prevenzione sulla salute, con l'apposita rete di monitoraggio e prevenzione dell'Istituto superiore di sanità (Iss) e il sistema di monitoraggio ambientale dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra).
  Si prevede anche un investimento di 4 miliardi di euro volti ad ammodernare le attrezzature dei presìdi sanitari ad alta complessità con più di 5 anni e ulteriori investimenti, pari a 3 miliardi di euro, in edilizia sanitaria, in particolare per l'adeguamento antisismico degli ospedali.
  Come illustrato dal Ministro, è inoltre in programma il potenziamento del fascicolo sanitario elettronico nell'ambito della sanità digitale per la raccolta, l'elaborazione e l'analisi di dati sanitari, sul quale saranno investiti 1,67 miliardi di euro, oltre a circa mezzo di miliardo di euro investito sugli ecosistemi innovativi della salute riguardanti i cosiddetti hub life science, anche in funzione di contrasto della pandemia. Ad esso si affianca una riforma della rete nazionale degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (Irccs), per il rilancio della ricerca sanitaria. Sulla formazione verranno peraltro investiti 2 miliardi di euro per finanziare, in parte, borse di studio per medici di medicina generale e, in parte, contratti relativi a 4.200 borse di specializzazione medica, oltre che la formazione continua (Ecm) – in particolare sulle competenze manageriali e digitali – e lo studio dell'antimicrobico-resistenza e delle infezioni, per le quali l'Italia ha gli indici peggiori in Europa.

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  5.1.3 Il finanziamento del trasporto pubblico locale

  Il finanziamento per la parte corrente del trasporto pubblico locale, pur rientrando nelle competenze residuali delle regioni, è attualmente assicurato, nelle regioni a statuto ordinario, attraverso il Fondo per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale, anche ferroviario, nelle regioni a statuto ordinario, istituito dalla legge n. 228 del 2012 (articolo 1, comma 301, che ha sostituito l'articolo 16-bis del decreto-legge n. 95 del 2012).

  L'articolo 27, comma 1, del decreto-legge n. 50 del 2017 ha rideterminato la consistenza del Fondo fissandola in 4.789,5 milioni di euro per l'anno 2017 e in 4.932,6 milioni di euro a decorrere dall'anno 2018. La legge di bilancio per il 2018 ha ridotto permanentemente di 58 milioni di euro l'importo del Fondo. Lo stanziamento del Fondo nel bilancio triennale 2021-2023, che non è stato modificato dalla legge di bilancio per il 2021, ammonta quindi a 4.874,554 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2021 al 2023.

  La Corte costituzionale ha riconosciuto che la conformità di questo Fondo (a destinazione vincolata) all'attuale assetto costituzionale si basa anche sulla perdurante inattuazione dell'articolo 119 della Costituzione, a causa della mancata individuazione di fabbisogni e costi standard, e ha rilevato pertanto come, in questa situazione, «l'intervento dello Stato sia ammissibile nei casi in cui, come quello di specie, esso risponda all'esigenza di assicurare un livello uniforme di godimento dei diritti tutelati dalla Costituzione stessa (sentenza n. 232 del 2011)»(29).

  Nel corso dell'audizione tenutasi il 9 giugno 2021, la Viceministra dell'economia e delle finanze, Laura Castelli, ha fornito alcuni elementi in merito alla fiscalizzazione delle risorse del Fondo sopra descritto. In tale sede, come si è già accennato, è stato rappresentato che «dalle prime simulazioni dell'applicazione del meccanismo perequativo tra le Regioni a statuto ordinario a seguito della fiscalizzazione dei trasferimenti non riconducibili ai LEP, incluso il Fondo per il trasporto pubblico locale, attraverso un incremento dell'aliquota dell'addizionale regionale IRPEF, è emerso che lo stesso meccanismo, sebbene debba convergere gradualmente nell'arco di quattro anni verso le capacità fiscali, non consenta neanche il primo anno alle Regioni con minore capacità fiscale di recuperare tutte le risorse derivanti dai trasferimenti»(30). Ciò ha portato ad aprire una riflessione sull'inclusione del trasporto pubblico locale di parte corrente tra le spese riconducibili ai livelli essenziali delle prestazioni, mentre, allo stato attuale, ai sensi dell'articolo 8 della legge n. 42 del 2009 e dell'articolo 14 del decreto legislativo n. 68 del 2011, i livelli essenziali delle prestazioni includerebbero solo il finanziamento del trasporto pubblico locale di parte capitale.
  Nel corso dell'audizione del Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, Massimiliano Fedriga, è stata invece segnalata l'opportunità di coordinare la definizione dei costi standard per il trasporto pubblico locale con i lavori del Ministero delle infrastrutture e trasporti che ha già definito gli elementi necessari per procedere al riparto – nelle more del riordino del sistema della fiscalità regionale, secondo i principi di cui all'articolo 119 della Costituzione – del Fondo nazionale per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale secondo i Pag. 40criteri di cui all'articolo 27 del decreto-legge n. 50 del 2017 (costi standard e ricavi da traffico) che, a causa della pandemia, non sono stati applicati per il 2020 e 2021. Secondo quanto riportato nella simulazione predisposta dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, le risorse potenzialmente destinate a finanziare il trasporto pubblico locale (spesa corrente) sulla base dell'andamento delle imposte (quindi, attraverso compartecipazioni al gettito di tributi erariali, entrate e tributi propri) sarebbero maggiori rispetto a quelle disponibili sulla base dei trasferimenti statali derivanti dalla ripartizione del Fondo per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale, anche ferroviario, nelle regioni a statuto ordinario(31).

  5.1.4 Le regioni a statuto speciale

  Le regioni a statuto speciale e le due province autonome di Trento e di Bolzano sono coinvolte nel processo di federalismo fiscale secondo quanto stabilito dall'articolo 27 della legge n. 42 del 2009.
  Nel rispetto delle procedure pattizie che caratterizzano l'ordinamento delle autonomie speciali, esse concorrono al conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarietà e all'esercizio dei diritti e doveri da essi derivanti, nonché alle misure di contenimento della spesa pubblica e all'assolvimento degli obblighi posti dall'ordinamento comunitario.
  Altri snodi cruciali delle norme di attuazione degli statuti speciali in relazione ai principi del federalismo fiscale, attengono al coordinamento delle leggi statali e regionali concernenti la finanza pubblica, nonché al coordinamento del sistema tributario in riferimento alla potestà legislativa attribuita dai rispettivi statuti in materia di tributi.
  In questi anni, dunque, l'attuazione del federalismo fiscale per le autonomie speciali si è concretizzato, principalmente, nel concorso alla finanza pubblica concordato con ciascun ente attraverso accordi bilaterali e nel portare avanti il processo di armonizzazione dei sistemi contabili, in attuazione di quanto disposto dal decreto legislativo n. 118 del 2011.
  L'ordinamento finanziario delle autonomie speciali, com'è noto, è disciplinato dai rispettivi statuti e dalle norme di attuazione degli stessi. Questi enti non ricevono trasferimenti dal bilancio dello Stato e le entrate principali sono costituite da compartecipazioni ai tributi erariali; funzioni e competenze attribuite dallo statuto devono essere esercitate da ciascun ente con risorse del proprio bilancio. Il concorso agli obiettivi di finanza pubblica, oltre che basarsi sulle misure di contenimento della spesa pubblica imposte a tutti gli enti territoriali, si concretizza perciò in versamenti al bilancio dello Stato.
  Gli statuti, nel disciplinare l'ordinamento finanziario e le competenze di ciascuna regione, stabiliscono la procedura per la modifica delle stesse norme statutarie concernenti la finanza regionale. Ad eccezione di quello della Regione siciliana, gli statuti contengono disposizioni specifiche, secondo le quali le modifiche possono essere apportate con legge ordinaria (con procedure che prevedono comunque il coinvolgimento della regione interessata). È l'accordo bilaterale tra lo Pag. 41Stato e ciascuna autonomia lo strumento principale con il quale sono definite le misure e le modalità del concorso di ciascuna regione agli obiettivi di finanza pubblica, l'attribuzione di nuove funzioni, la variazione delle aliquote di compartecipazioni ai tributi erariali, nonché le eventuali misure a sostegno di specifiche criticità.
  Il contributo richiesto alle autonomie speciali per il risanamento dei conti pubblici è attuato principalmente attraverso tre azioni:

   ■ accantonamenti effettuati dallo Stato a valere sulle risorse spettanti alla regione come quote di compartecipazioni ai tributi erariali;

   ■ assunzioni da parte regionale di oneri in relazione a funzioni trasferite dallo Stato alla regione;

   ■ applicazione del pareggio di bilancio, previsto a decorrere dal 2018 per tutte le autonomie.

  La misura e le modalità di realizzazione del contributo alla finanza pubblica delle regioni a statuto speciale sono fissate, come detto, dalla legge in attuazione di accordi bilaterali. Il contributo è determinato dalla legge di bilancio 2019 (legge n. 145 del 2018, come modificata e integrata dagli articoli 33-ter e 38-quater del decreto-legge n. 34 del 2019) per la Regione Valle d'Aosta (articolo 1, commi 876-879 e 886-bis), la Regione siciliana (articolo 1, commi 880-886-bis) e la Regione Friuli Venezia Giulia (articolo 1, commi da 875-bis a 875-septies). Per questa regione, inoltre, la misura del concorso alla finanza pubblica è stata successivamente inclusa nella norma di attuazione adottata con decreto legislativo n. 154 del 2019.
  Per la Regione Trentino-Alto Adige e le province autonome di Trento e di Bolzano, invece, il contributo e la disciplina dello stesso sono stabiliti dallo Statuto (decreto del Presidente della Repubblica n. 670 del 1972) all'articolo 79, modificato da ultimo dalla legge di stabilità 2015 (articolo 1, comma 407, della legge n. 190 del 2014).
  Per la Regione Sardegna, infine, la legge di bilancio per il 2020, in attuazione dell'accordo sottoscritto il 7 novembre 2019, determina il contributo alla finanza pubblica dovuto dalla regione per gli anni 2018 e 2019 e a regime dal 2020 (articolo 1, commi 868-869, della legge n. 160 del 2019).
  Gli ultimi accordi bilaterali sottoscritti e le norme che ne recepiscono i contenuti disciplinano nel dettaglio anche la possibilità per lo Stato di modificare unilateralmente il contributo richiesto alla regione. In sostanza, l'ammontare del contributo alla finanza pubblica dovuto dalla regione può essere modificato dallo Stato unilateralmente, vale a dire senza accordo con la regione, solo se la variazione è limitata nel tempo, è adottata in presenza di «eccezionali esigenze di finanza pubblica» e l'ammontare dell'aumento non supera del 10 per cento l'importo del contributo. Allorché, per assicurare il rispetto delle norme europee in materia di riequilibrio del bilancio pubblico, sia necessario un ulteriore incremento, senza l'accordo con la regione, l'aumento complessivo non può comunque superare il 20 per cento del contributo.
  A partire dall'esercizio 2020, tuttavia, sono state disposte riduzioni del concorso alla finanza pubblica dovuto dalle regioni a statuto Pag. 42speciale e dalle province autonome, al fine di compensare la perdita di entrate tributarie che le stesse hanno subito a causa dell'emergenza sanitaria da Covid-19.
  Da ultimo, come già esposto, la legge di bilancio per il 2021 stabilisce (articolo 1, commi 849-852) l'ammontare del concorso alla finanza pubblica dovuto da tutto il comparto delle regioni e delle province autonome per il periodo 2023-2025, in 200 milioni di euro per ciascun anno. La quota del concorso delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e Bolzano è determinata nel rispetto degli statuti speciali e delle relative norme di attuazione.

  5.2 Il quadro finanziario delle province e delle città metropolitane

  La normativa attuativa della delega recata dalla legge n. 42 del 2009 è intervenuta sulla fiscalità provinciale con gli articoli da 16 a 21 del decreto legislativo n. 68 del 2011, determinando la soppressione dei trasferimenti erariali e regionali – attuata con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 aprile 2012 per un importo di 1.039,9 milioni di euro (secondo le risultanze contenute nel documento approvato in sede di Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale nella seduta del 22 febbraio 2012) – e la loro sostituzione, ai fini del finanziamento delle funzioni fondamentali, con entrate proprie e con risorse di carattere perequativo.

  Il sistema delle entrate provinciali ricomprende attualmente i seguenti cespiti:

   ■ tributi propri relativi al trasporto su gomma, costituiti in particolare dall'imposta provinciale di trascrizione (Ipt) e dall'imposta sulle assicurazioni contro la responsabilità civile auto (Rc auto);

   ■ compartecipazione provinciale all'Irpef, che sostituisce i soppressi trasferimenti statali e l'addizionale provinciale all'accisa sull'energia elettrica, anch'essa abolita;

   ■ compartecipazione alla tassa automobilistica che sostituisce i trasferimenti regionali soppressi, ai sensi dell'articolo 19 del decreto legislativo n. 68 del 2011, a partire dall'anno 2013. Al momento, tuttavia (benché il citato articolo 19 prevedesse il termine del 20 novembre 2012 per la fissazione di tale compartecipazione) la stessa non risulta ancora stabilita;

   ■ altri tributi propri derivati, riconosciuti alle province dalla legislazione vigente. Tra questi si ricordano:

    – il tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi (articolo 3 della legge 28 dicembre 1995, n. 549);

    – il tributo cosiddetto ambientale (articolo 19 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504);

    – il canone patrimoniale di concessione, autorizzazione o esposizione pubblicitaria (articolo 1, comma 816, della legge n. 160 del 2019, che sostituisce il canone per l'occupazione di spazi e aree pubbliche di cui all'articolo 63 del decreto legislativo n. 446 del 1997);

    – la tassa per l'ammissione ai concorsi (articolo 1 del regio decreto 21 ottobre 1923, n. 2361);

Pag. 43

    – i diritti di segreteria, disciplinati dall'articolo 40 della legge 8 giugno 1962, n. 604.

  È prevista inoltre la possibilità di istituire con decreto del Presidente della Repubblica un'imposta di scopo provinciale (articolo 20, comma 2, del decreto legislativo n. 68 del 2011).
  Le entrate da trasferimento derivano dal Fondo sperimentale di riequilibrio, istituito con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 aprile 2012 di soppressione dei trasferimenti, nell'importo di 1.039,9 milioni di euro, e alimentato dal gettito della compartecipazione provinciale all'Irpef, la cui aliquota è stata determinata in misura tale da compensare la soppressione dei trasferimenti erariali e il venir meno delle entrate legate all'addizionale provinciale all'accisa sull'energia elettrica, anch'essa soppressa dal 2012. Tale compartecipazione è stata fissata in misura pari allo 0,60 per cento dell'Irpef (cfr. il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 10 luglio 2012).
  Tale Fondo, che avrebbe dovuto essere funzionale a realizzare in forma progressiva ed equilibrata l'attuazione dell'autonomia di entrata delle province, in realtà non ha consentito di disancorare i trasferimenti dalle risorse storiche. Esso è annualmente ripartito secondo i criteri recati dal decreto ministeriale 4 maggio 2012:

   ■ il 50 per cento, in proporzione al valore della spettanza figurativa dei trasferimenti fiscalizzati di ciascuna provincia;

   ■ il 38 per cento, in proporzione al gettito della soppressa addizionale provinciale all'accisa sull'energia elettrica, negli importi quantificati per ciascuna provincia nel documento della Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale del 22 febbraio 2012;

   ■ il 5 per cento in relazione alla popolazione residente;

   ■ il 7 per cento in relazione all'estensione del territorio provinciale.

  L'attuazione del federalismo fiscale per le province, come delineato dal decreto legislativo n. 68 del 2011, è stato fortemente condizionato dalle manovre di finanza pubblica poste in essere a partire dal 2010 in seguito all'aggravarsi della crisi economica e finanziaria, nonché dalle riforme istituzionali approvate nella scorsa legislatura, che ne prevedevano la soppressione e che hanno portato a circoscrivere ulteriormente le risorse finanziarie garantite a tali enti, in vista del ridimensionamento delle funzioni fondamentali ad esse riconducibili.
  Il processo di attuazione si è infatti intrecciato con il nuovo assetto ordinamentale previsto dalla legge n. 56 del 2014, che ha dato luogo a un'ampia riforma in materia di enti locali, prevedendo l'istituzione delle città metropolitane e la ridefinizione del sistema e delle funzioni delle province, quali «enti di area vasta». La nuova disciplina avrebbe dovuto avere carattere transitorio, nelle more della riforma costituzionale del Titolo V che prevedeva l'abrogazione delle province. L'esito referendario negativo in ordine alla revisione costituzionale, che ha determinato l'interruzione del processo di riforma avviato con la legge n. 56 del 2014 e il mantenimento dell'ente provincia, ha di fatto cristallizzato una condizione di incertezza sia in merito agli assetti istituzionali che in ordine agli aspetti finanziari.

  Nell'audizione del 15 settembre 2021, il Presidente dell'Unione delle Province d'Italia (Upi), Michele de Pascale, ha sollevato alcune questioni che andrebbero affrontate per mettere le province in condizioni di assolvere più efficacemente al proprio ruolo di governo.Pag. 44 In particolare, secondo il Presidente de Pascale occorrerebbe: consolidare e ampliare le funzioni fondamentali delle province, «includendovi tutte quelle tipiche di area vasta, a partire dalle funzioni ambientali e da quelle di pianificazione strategica dello sviluppo locale e di governo del territorio»; comprendere, tra le funzioni fondamentali delle province medesime, quelle relative all'assistenza e al supporto ai comuni, «anche con la valorizzazione e qualificazione delle Stazioni Uniche appaltanti provinciali», in particolare «coadiuvando l'azione dei piccoli e medi Comuni nelle politiche di investimento locale e nella gestione degli spazi finanziari e dei contributi pubblici, sia regionali, statali ed europei, destinati a tale comparto di spesa»; rivedere la legislazione regionale «in coerenza con i principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, in particolare rispetto alle funzioni di area vasta accentrate a livello regionale (o a livello di agenzie/enti strumentali)»; consolidare il rapporto tra province e città metropolitane e tra i due enti di area vasta e la regione, «per ripristinare l'equilibrio territoriale tra aree fortemente urbanizzate e aree interne e per superare la frammentazione amministrativa e la sovrapposizione di competenze»; avviare una revisione della disciplina degli organi di governo e del loro sistema di elezione «per restituire alle province il ruolo di enti esponenziali delle comunità territoriali» e rafforzarne l'autorevolezza e la rappresentatività(32).

  Sotto il profilo finanziario, in particolare, va segnalato che le risorse a disposizione delle amministrazioni provinciali sono state significativamente erose nel corso degli ultimi anni per effetto delle manovre di finanza pubblica poste in essere in relazione all'aggravarsi della crisi economica e finanziaria. Il contributo alla finanza pubblica da parte delle province è stato assicurato sia attraverso misure di riduzione delle risorse ad esse attribuite (riduzione del Fondo sperimentale di riequilibrio provinciale), sia con strumenti tesi a inasprire gli obiettivi di bilancio (patto di stabilità interno), sia successivamente alla riforma avviata con la legge n. 56 del 2014, mediante la statuizione di risparmi di spesa corrente (attualmente, dell'importo di 3 miliardi di euro annui, ai sensi dell'articolo 1, comma 418, della legge n. 190 del 2014(33)).
  Le consistenti riduzioni del Fondo di riequilibrio provinciale, disposte da diversi provvedimenti normativi di spending review, ne hanno, di fatto, inficiato la finalità programmatoria e perequativa, fino ad azzerarne la dotazione. La Corte dei conti ha più volte sottolineato, in questi anni, come le risorse da Fondo sperimentale di riequilibrio abbiano rappresentato un'entrata solo nominale. Le decurtazioni hanno determinato, addirittura, il fenomeno dei «trasferimenti negativi», che si concretizzano in un obbligo forzoso di rimborso a carico degli enti locali. L'applicazione delle norme di contenimento della finanza pubblica ha, cioè, progressivamente invertito il flusso dei trasferimenti dallo Stato verso le province: per la quasi totalità delle province e delle città metropolitane il saldo algebrico si conclude con una posizione debitoria nei confronti Pag. 45Stato che gli enti devono liquidare attraverso versamenti diretti o attraverso prelievi a cura dell'Agenzia delle entrate (si veda, da ultimo, il decreto del Ministro dell'interno 8 marzo 2021 di ripartizione del Fondo sperimentale di riequilibrio per l'anno 2021).
  Anche a seguito della mancata conferma in sede di consultazione referendaria del testo di riforma costituzionale, è risultata evidente l'insostenibilità finanziaria delle riduzioni di risorse correnti richieste al comparto a titolo di concorso alla finanza pubblica, ai fini del perseguimento degli equilibri finanziari.
  Pertanto, negli ultimi anni, sono state attivate misure straordinarie volte, sostanzialmente, a ristorare le forti decurtazioni operate in attuazione del comma 418 dell'articolo 1 della legge n. 190 del 2014 e a garantire il sostegno finanziario alle province e alle città metropolitane per l'esercizio delle funzioni ad esse attribuite (in primo luogo, edilizia scolastica e rete viaria).
  Da ultimo, durante l'emergenza pandemica, l'espletamento delle funzioni fondamentali delle province e delle città metropolitane è stato sostenuto, sia nel 2020 che nel 2021, mediante la costituzione di un apposito Fondo per l'esercizio delle funzioni fondamentali (articolo 106 del decreto-legge n. 34 del 2020 e successive integrazioni), che ha assicurato agli enti territoriali le risorse necessarie, attraverso il ristoro delle minori entrate locali connesse all'emergenza da Covid-19 rispetto ai fabbisogni di spesa, per un complesso di risorse pari a 950 milioni di euro per il 2020 e 150 milioni di euro per il 2021.
  Tuttavia, il carattere straordinario e non continuativo, che ha caratterizzato le misure finanziarie adottate per far fronte alla crescente difficoltà delle province di adempiere alle proprie funzioni, ha inciso sulla capacità di programmazione degli enti, tanto da indurre lo stesso legislatore a prevedere la facoltà per tali enti di ridurre l'orizzonte di bilancio dal triennio alla singola annualità.

  Come sottolineato dalla Corte dei conti nell'ultima Relazione sulla gestione finanziaria degli enti locali del mese di giugno 2021, per effetto di tali interventi sono stati registrati consistenti incrementi delle entrate di parte capitale nell'esercizio 2019, con particolare riferimento ai contributi agli investimenti, cui ha corrisposto un analogo incremento della spesa in conto capitale. Tuttavia – ribadisce la Corte dei conti – «sull'ampliamento delle risorse pesano, ancora in misura significativa, i contributi alla finanza pubblica che gli enti provinciali devono versare allo Stato, attraverso risparmi sulla spesa corrente», posto che permane «l'impianto precedente, che consente di determinare l'entità delle risorse effettivamente a disposizione delle province e delle Città metropolitane solo a seguito delle compensazioni fra i fondi da attribuire agli enti ed il contributo che gli stessi devono apportare al perseguimento dell'obiettivo di finanza pubblica».

  Nell'audizione del 9 giugno 2021 della Viceministra dell'economia e delle finanze, Laura Castelli, è stato messo in evidenza che, per il comparto delle province e delle città metropolitane, l'assegnazione delle risorse proprie (Ipt e Rca) si è accompagnata a una contrazione dei trasferimenti e delle disponibilità di tali enti superiore all'autonomia finanziaria ad essi assegnata, con conseguenti squilibri, cui solo da ultimo si è rimediato con contributi a ristoro delle riduzioni. Una quantificazione delle entrate tributarie del comparto è fornita nel documento del Ministero dell'economia e delle finanze allegato al resoconto stenografico Pag. 46della citata audizione della Viceministra Castelli, in cui sono riportati i dati di gettito delle principali entrate su base annua (riferiti alle annualità precedenti al 2020):

in miliardi di euro

  Ipt

1,85

  Rca

2,14

  Totale province e città metropolitane

3,99

  Per questi motivi – si afferma nel suddetto documento – «questo appare il livello di governo che più di altri richiede, con immediatezza, una corretta applicazione della legge n. 42/2009, a causa della incerta applicazione dei criteri di riparto, sia delle riduzioni di risorse quali concorso alla finanza pubblica, che dei conseguenti contributi a ristoro». A questo scopo, è indispensabile avviare una redistribuzione delle risorse, sulla base di livelli essenziali delle prestazioni, fabbisogni e capacità fiscali standard nonché fondi perequativi, rivedendo le attuali forme di finanziamento.
  Al fine di garantire un assetto finanziario definitivo per il comparto, la legge di bilancio per il 2021 (articolo 1, commi 783-785, della legge n. 178 del 2020) ha introdotto disposizioni volte a definire nuove modalità di finanziamento delle province e delle città metropolitane delle regioni a statuto ordinario a decorrere dal 2022. In particolare, si prevede l'istituzione di due fondi unici (uno per le province e uno per le città metropolitane), nei quali fare confluire i contributi e i fondi di parte corrente attualmente attribuiti a tali enti. Si tratta di una operazione finanziariamente neutrale, in quanto attuata fermo restando l'importo complessivo dei fondi attuali.
  Relativamente alle modalità di riparto, si introduce un meccanismo di perequazione, che, sulla base dell'istruttoria condotta dalla Commissione tecnica per i fabbisogni standard, tenga progressivamente conto della differenza tra i fabbisogni standard e le capacità fiscali, secondo un modello analogo a quello dei comuni, con il progressivo abbandono dei criteri storici di attribuzione delle risorse.
  Secondo le indicazioni emerse nell'audizione del 9 giugno 2021 della Viceministra dell'economia e delle finanze, Laura Castelli, i prossimi impegni del Governo prevedono la definizione delle capacità fiscali e dei fabbisogni standard entro dicembre 2021 nonché la definizione dei criteri perequativi di assegnazione dei due nuovi fondi entro il primo trimestre 2022(34).
  Riguardo all'attuazione della riforma del sistema finanziario di province e città metropolitane, nella più recente audizione del Presidente della Commissione tecnica per i fabbisogni standard, Giampaolo Arachi (6 ottobre 2021), è stato evidenziato che, negli ultimi mesi, con l'ausilio della Ragioneria generale dello Stato e del Ministero dell'interno, la Commissione tecnica per i fabbisogni standard ha raccolto i dati di tutti contribuiti e i fondi di parte corrente esistenti e ha guidato l'elaborazione della metodologia per la stima dei fabbisogni standard Pag. 47da parte di Sose S.p.A., con la collaborazione dell'Istituto per la finanza e l'economia locale (Ifel) e dell'Unione delle Province d'Italia (Upi). Contemporaneamente, come già ricordato, sono stati avviati i lavori per la definizione della capacità fiscale standard. L'obiettivo, è quello di procedere a una stima dei fabbisogni standard che possa essere utilizzata per determinare i coefficienti di riparto del fondo perequativo e che consenta di individuare l'ammontare monetario di risorse necessarie per il finanziamento delle funzioni fondamentali. A tale riguardo, è stata sottolineata la necessità – visti i margini estremamente ridotti di autonomia finanziaria del comparto – che la perequazione «basata su fabbisogni e capacità fiscali standard sia accompagnata da un percorso di graduale restituzione di adeguati spazi di autonomia finanziaria»(35).
  Nell'audizione di rappresentanti della Sose S.p.A. del 21 ottobre 2021, è stato precisato che il 31 dicembre 2020 si è conclusa la nuova rilevazione dei dati delle province e delle città metropolitane appartenenti alle regioni a statuto ordinario realizzata tramite il questionario di Sose S.p.A., Unione delle Province d'Italia e Istituto per la finanza e l'economia locale. La rilevazione ha complessivamente interessato 86 enti: 73 province, 3 province montane e 10 città metropolitane. A partire da gennaio 2021, è iniziata l'attività di analisi dei dati, oltre al confronto con gli enti e i referenti istituzionali del comparto rappresentati dall'Unione delle Province d'Italia e dall'Istituto per la finanza e l'economia locale. Nel corso degli ultimi mesi i risultati dell'analisi sono stati portati all'attenzione della Commissione tecnica per i fabbisogni standard. Secondo quanto reso noto dalla Sose S.p.A., il lavoro è in corso di ultimazione.
  Sulle rilevanti criticità della fiscalità provinciale, si è espresso infine il Presidente dell'Unione delle Province d'Italia, Michele de Pascale, il quale ha rilevato che, tenuto conto della specificità dei tributi spettanti alle province, l'autonomia tributaria delle stesse è rimasta, nei fatti, soltanto nominale. Per i principali tributi ad esse attribuiti (Ipt e imposta Rca, che insieme rappresentano l'80 per cento circa delle entrate proprie) non esisterebbe alcun reale strumento di leva fiscale: da anni le aliquote e le tariffe sono poste al massimo consentito dalla legge, per compensare i gravi tagli finanziari degli anni scorsi, né vi è alcun margine di intervento sulla base imponibile di riferimento. In particolare, l'acquisto di autovetture o altri veicoli a motore circolanti su strada sconta «dinamiche non prevedibili, fortemente connesse al ciclo economico e alle politiche di incentivazione poste in essere dal legislatore»(36).

  5.3 La finanza dei comuni

  Il comparto comunale è l'unico comparto in cui è stato intrapreso in modo più netto il percorso di attuazione del federalismo fiscale, con il superamento del sistema di finanza derivata e l'attribuzione di una maggiore autonomia di entrata e di spesa agli enti decentrati, ai sensi del decreto legislativo n. 23 del 2011.Pag. 48
  A partire dal 2015, è stato inoltre avviato il sistema di perequazione nella distribuzione delle risorse del Fondo di solidarietà comunale – sia pure per i soli comuni delle regioni a statuto ordinario – sulla base dei fabbisogni standard e delle capacità fiscali, nell'ottica del progressivo abbandono della spesa storica. Per i comuni della Regione siciliana e della Regione Sardegna – nelle quali la finanza degli enti locali è ancora a carico dello Stato – il riparto avviene sulla base del solo criterio della compensazione delle risorse storiche.
  Va peraltro ricordato che tale percorso è stato sin da subito condizionato dalle crisi finanziarie degli anni 2009 e 2011. I vincoli dettati dall'esigenza di consolidamento dei conti pubblici, che nel corso degli anni ha richiesto un rafforzamento delle misure di coordinamento della finanza pubblica e di controllo delle decisioni di entrata e di spesa degli enti locali, hanno infatti reso precario e incerto il quadro normativo della finanza municipale rispetto a quanto prefigurato dal decreto legislativo n. 23 del 2011, attuativo della legge delega n. 42 del 2009, determinando, a causa di continui interventi sui tributi locali volti a reperire risorse finanziarie, una instabilità del sistema di finanziamento delle funzioni nonché della perequazione fiscale delle risorse.
  In particolare, i «tagli» determinati dalle misure di finanza pubblica poste a carico dei comuni hanno inciso profondamente sul funzionamento del Fondo di solidarietà comunale, soprattutto sotto il profilo distributivo delle risorse effettivamente disponibili, annullando, di fatto, l'originaria componente «verticale» del Fondo, quella cioè finanziata dallo Stato e destinata alla perequazione. La dotazione del Fondo – tolta la quota ristorativa destinata alla compensazione delle minori entrate Imu e Tasi, coperta con risorse statali – è via via divenuta del tutto «orizzontale», in quanto alimentata esclusivamente dai comuni attraverso il gettito dell'imposta municipale propria (per una quota del 22,43 per cento, circa 2,8 miliardi di euro) e non anche dalla fiscalità generale, come invece richiesto dalla legge n. 42 del 2009, in riferimento al fondo perequativo per le funzioni fondamentali.
  L'incremento di risorse disposto con le ultime due leggi di bilancio, tuttavia, ha reintrodotto nella componente tradizionale del Fondo di solidarietà comunale una quota di risorse di carattere «verticale».
  Negli ultimi anni, inoltre, il percorso di attuazione del federalismo fiscale è stato riattivato con numerosi interventi volti a correggere le criticità nella distribuzione del Fondo di solidarietà comunale e a delineare una più graduale applicazione del meccanismo perequativo, con la previsione del raggiungimento del 100 per cento della perequazione nel 2030 (in luogo del 2021) e il sostanziale superamento della spesa storica come criterio di riparto delle risorse comunali.
  È stato inoltre avviato un processo di revisione dei fabbisogni standard – per il momento limitato ad alcune funzioni (in particolare, asili nido e settore sociale) – con l'obiettivo di commisurarli a livelli di servizio standard da garantire su tutto il territorio nazionale, mediante la definizione di obiettivi di servizio per ciascun comune, intesi quali tappa intermedia verso i livelli essenziali delle prestazioni, e attività di monitoraggio dell'impiego delle risorse destinate, che consentano di superare il limite finora dimostrato dall'utilizzo del criterio dei fabbisogni standard nella perequazione, in assenza della definizione dei livelli essenziali delle prestazioni.Pag. 49
  Nell'ambito del processo di evoluzione del federalismo fiscale si colloca anche la revisione dell'imposizione locale immobiliare di cui alla legge di bilancio per il 2020 (legge n. 160 del 2019), che ha disciplinato l'unificazione di Imu e Tasi e l'istituzione del canone unico patrimoniale. Nella documentazione consegnata alla Commissione in occasione dell'audizione della Viceministra Laura Castelli del 9 giugno 2021, si rileva quindi che «il processo riguardante la tassazione immobiliare può considerarsi ormai definito grazie alla riforma dell'Imu attuata con la legge di bilancio 2020».
  Infine, nel contesto dell'incompiuta riforma federalista, i maggiori progressi vanno segnalati sul fronte dell'autonomia di spesa degli enti locali, per via della riduzione significativa di molti vincoli, prima con il superamento del patto di stabilità e poi con la soppressione di alcuni limiti specifici alla spesa per consumi intermedi, disposta dalla legge n. 145 del 2018 (legge di stabilità per il 2019), unitamente agli effetti prodotti dalla giurisprudenza costituzionale (sentenze della Corte costituzionale n. 247/2017, n. 252/2017 e n. 101/2018) in materia di libera disponibilità degli avanzi e delle risorse vincolate.
  Tutti questi fattori hanno concretamente determinato un maggiore respiro della discrezionalità programmatoria degli enti territoriali che trova conferma nei dati sulla spesa corrente e su quella degli investimenti (cfr., al riguardo, la Relazione della Corte dei conti sulla gestione finanziaria degli enti locali – esercizi 2019-2020, i cui risultati sono altresì esposti nel documento allegato al resoconto stenografico dell'audizione del 27 ottobre 2021).

  5.3.1 La fiscalità comunale

  Il sistema della fiscalità comunale poggia sulle seguenti principali imposte:

   ■ l'imposta municipale propria-Imu (nella quale è confluita la Tasi);

   ■ la tassa sui rifiuti-Tari;

   ■ l'addizionale comunale all'Irpef.

  A queste si aggiungono, oltre ai trasferimenti non fiscalizzati e alle entrate a titolo di Fondo di solidarietà comunale, le seguenti ulteriori entrate locali, vale a dire:

   ■ l'imposta di soggiorno (o il contributo di sbarco);

   ■ l'addizionale comunale sui diritti di imbarco;

   ■ l'imposta di scopo – Iscop;

   ■ il canone patrimoniale di concessione, autorizzazione o esposizione pubblicitaria (che ha sostituito la tassa per l'occupazione di spazi e aree pubbliche-Tosap, il canone per l'occupazione di spazi e aree pubbliche-Cosap, l'imposta comunale sulla pubblicità e il diritto sulle pubbliche affissioni-IcpDpa, il canone per l'installazione di mezzi pubblicitari-Cimp e il canone di cui all'articolo 27 del codice della strada);

   ■ il canone di concessione per l'occupazione delle aree e degli spazi appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile, destinati a mercati realizzati anche in strutture attrezzate.

Pag. 50

  Numerose ragioni hanno indotto a ritenere le imposte immobiliari come le fonti più adatte al finanziamento degli enti locali. Anzitutto, tale considerazione discende dal principio del beneficio (chi paga l'imposta può mettere in relazione l'entità del prelievo con i servizi forniti dal governo locale), nonché dal rischio contenuto di concorrenza fiscale e dalla certezza di gettito. Inoltre, la prossimità della base imponibile al livello di governo municipale comporta specifici vantaggi in termini di accertamento delle imposte e, dunque, di tax compliance.
  Il sistema delle entrate comunali è stato oggetto di numerosi interventi normativi che hanno modificato la disciplina introdotta dal decreto legislativo n. 23 del 2011 sul federalismo fiscale municipale nonché quella dei tributi locali immobiliari. L'assetto delle entrate è stato dunque contrassegnato da elementi di transitorietà, ulteriormente confermati dalle disposizioni intervenute nel 2020. La tassazione immobiliare locale ha infatti registrato un complessivo riordino. In occasione della manovra 2020 (decreto fiscale 2019 e legge di bilancio 2020) sono state modificate la disciplina di tale forma di prelievo, nonché quella di altri tributi e canoni comunali; inoltre, è stata incentivata la partecipazione dei comuni all'attività di accertamento e riscossione dei tributi ed è stato riformato il sistema della riscossione delle entrate degli enti locali.

  5.3.1.1 L'Imu e il canone unico: novità legislative

  La legge di bilancio per il 2020 (articolo 1, commi da 738 a 783, della legge n. 160 del 2019) ha riformato l'assetto dell'imposizione reale immobiliare, unificando le due previgenti forme di prelievo (Imu e Tasi), e ha fatto confluire la normativa in un unico testo, relativo all'imposta municipale propria-Imu, recependo alcune proposte già avanzate in sede parlamentare e giunte all'esame delle competenti Commissioni permanenti. Con riferimento alla disciplina dell'imposta, l'aliquota di base è pari allo 0,86 per cento, sostanzialmente la somma delle precedenti Imu e Tasi, e può essere manovrata dai comuni a determinate condizioni. Sono state introdotte modalità di pagamento telematiche.
  Il già richiamato documento del Ministero dell'economia e delle finanze, depositato in occasione dell'audizione della Viceministra Laura Castelli del 9 giugno 2021, ha evidenziato che le ragioni che hanno indotto il legislatore a realizzare la riforma si fondano sulla volontà di perseguire obiettivi quali la sistemazione organica della disciplina dei tributi locali e la semplificazione, non solo per i contribuenti, ma anche per i comuni e per tutti gli operatori del settore. Sin dalla sua introduzione, la Tasi è stata caratterizzata da una sostanziale identità con l'Imu, soprattutto per il fatto che, a decorrere dal 1° gennaio 2016, è stata eliminata la tassazione gravante sulle abitazioni principali anche per il detentore, ad eccezione, come per l'Imu, delle abitazioni di lusso. Di conseguenza, la Tasi è diventata una duplicazione dell'Imu, non più sorretta da una valida giustificazione. Non sussistevano più, infatti, quei punti di diversificazione che permettevano alla Tasi di conservare il suo carattere di tributo diretto al finanziamento dei servizi indivisibili. La riforma è stata inoltre strutturata a invarianza di gettito e quindi in modo tale da non determinare un aumento della pressione fiscale.Pag. 51
  La medesima legge di bilancio per il 2020 ha istituito, a decorrere dal 2021, il cosiddetto canone unico patrimoniale di concessione, autorizzazione o esposizione pubblicitaria, per riunire in una sola forma di prelievo le entrate relative all'occupazione di aree pubbliche e alla diffusione di messaggi pubblicitari, nonché il canone unico patrimoniale di concessione per l'occupazione nei mercati, che sostituisce Tosap, Cosap e, limitatamente ai casi di occupazioni temporanee, anche Tari.
  Nel sopracitato documento consegnato alla Commissione in occasione dell'audizione della Viceministra dell'economia e delle finanze, Laura Castelli, si rileva – con riferimento all'unificazione in un solo canone di varie entrate, quali la Tosap, il Cosap, l'imposta comunale sulla pubblicità e il diritto sulle pubbliche affissioni (IcpDpa), il canone per l'installazione dei mezzi pubblicitari (Cimp) e il canone previsto dal codice della strada – che le forme di prelievo previgenti si concentravano sulla stessa situazione di fatto, ovvero la concessione di spazi pubblici, seppure con finalità diverse. La semplificazione ha avuto l'intento di razionalizzare e rendere più efficiente la riscossione e di semplificare gli adempimenti per i soggetti passivi. La riforma non ha determinato un aumento dell'imposizione sui soggetti obbligati, poiché le tariffe standard previste costituiscono semplicemente una rivalutazione agli indici Istat di quelle minime contenute nei precedenti provvedimenti legislativi. In linea con l'esercizio della rispettiva potestà regolamentare, gli enti possono comunque intervenire sulle tariffe in modo tale da realizzare in concreto lo stesso gettito percepito attraverso le precedenti entrate che il canone sostituisce.
  Il canone patrimoniale introduce anche un particolare regime per l'occupazione nei mercati, stabilendo una tariffa fissa sia nel caso di occupazioni permanenti che temporanee. In quest'ultimo caso, il canone ingloba, non solo, la Tosap o il Cosap, ma anche il relativo prelievo sui rifiuti. In tal modo, la disciplina dell'entrata risponde alla finalità di non aumentare la pressione contribuiva a carico dei soggetti passivi, tant'è vero che il canone è suscettibile di essere azzerato e l'ente può introdurre esenzioni per particolari fattispecie, mentre gli eventuali aumenti sono contenuti in un limite espressamente individuato dal legislatore.
  Con riferimento all'Imu, la legge di bilancio per il 2021 ha introdotto una modifica operante a regime che prevede la riduzione a metà dell'imposta dovuta sull'unica unità immobiliare, purché non locata o data in comodato d'uso, posseduta in Italia a titolo di proprietà o usufrutto da soggetti non residenti nel territorio dello Stato, che siano titolari di pensione maturata in regime di convenzione internazionale con l'Italia. Per tali immobili la Tari (o l'equivalente tariffa) è applicata nella misura di due terzi (articolo 1, commi 48-49).

  5.3.1.2 La Tari

  La tassa sui rifiuti (Tari) è il tributo destinato a finanziare – mediante copertura integrale dei costi – il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti ed è dovuta da chiunque possieda o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte suscettibili di produrre i rifiuti medesimi. In via transitoria, la superficie delle unità immobiliari assoggettabile alla Tari è costituita da quella calpestabile dei locali e delle aree suscettibili di produrre Pag. 52rifiuti urbani e assimilati. I comuni che hanno realizzato sistemi di misurazione puntuale della quantità di rifiuti conferiti al servizio pubblico hanno la facoltà di applicare, in luogo della Tari, che ha natura tributaria, una tariffa avente natura di corrispettivo.

  La Tari è stata introdotta dalla legge 27 dicembre 2013, n. 147, per sostituire il precedente tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (Tares), che è stato vigente per il solo anno 2013 e che, a sua volta, aveva preso il posto di tutti i precedenti prelievi relativi alla gestione dei rifiuti, sia di natura patrimoniale sia di natura tributaria (Tarsu, Tia1, Tia2). La legge di bilancio per il 2020, nel rivisitare l'imposizione immobiliare locale, ha fatto salva la Tari (con la relativa disciplina).

  Per la determinazione della tariffa sono stati applicati i criteri determinati con decreto del Presidente della Repubblica n. 158 del 1999 (cosiddetto metodo normalizzato) ovvero, in via transitoria, è stato consentito ai comuni di commisurare la tariffa alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie, in relazione agli usi e alla tipologia delle attività svolte nonché al costo del servizio sui rifiuti.
  Entro il termine per l'approvazione del bilancio di previsione, il consiglio comunale deve approvare le tariffe in conformità al piano finanziario del servizio di gestione dei rifiuti urbani, redatto dal soggetto che svolge il servizio.
  La legge di bilancio per il 2018 (articolo 1, comma 527, della legge n. 205 del 2017) ha affidato all'Autorità di regolazione per energia reti e ambiente (Arera) specifiche funzioni relativamente al settore dei rifiuti, e, in particolare, riguardo al miglioramento del servizio agli utenti, a una maggiore omogeneità tra le aree del Paese, alla valutazione del rapporto costo-qualità e all'adeguamento infrastrutturale.
  Con delibera del 31 ottobre 2019 n. 443/2019/R/rif è stato quindi definito il nuovo metodo tariffario del servizio integrato di gestione dei rifiuti. In particolare, l'articolo 2 definisce le seguenti componenti tariffarie del servizio integrato di gestione dei rifiuti urbani:

   a) costi operativi, intesi come somma dei costi operativi di gestione delle attività di spazzamento e di lavaggio, di raccolta e di trasporto di rifiuti urbani indifferenziati, di trattamento e di smaltimento, di raccolta e di trasporto delle frazioni differenziate, di trattamento e di recupero, nonché degli oneri incentivanti il miglioramento delle prestazioni;

   b) costi d'uso del capitale, intesi come somma degli ammortamenti delle immobilizzazioni, degli accantonamenti ammessi al riconoscimento tariffario, della remunerazione del capitale investito netto riconosciuto e della remunerazione delle immobilizzazioni in corso;

   c) componente a conguaglio relativa ai costi delle annualità 2018 e 2019.

  La determinazione delle componenti tariffarie è effettuata in conformità al predetto metodo tariffario, di cui all'Allegato A della suddetta delibera.

  Si prevede un primo periodo di regolazione dal 1° aprile 2020 al 31 dicembre 2023 (in modo sperimentale per tutto il 2020). Per i comuni sotto i 5 mila abitanti il muovo metodo si applica dal mese di gennaio 2021.Pag. 53
  Si ricorda, infine, che la Banca d'Italia ha recentemente analizzato(37) le caratteristiche della Tari sia in termini di efficienza che in termini di equità, avvalendosi di una simulazione sui dati dell'indagine sui bilanci delle famiglie della Banca d'Italia. L'Istituto ha rilevato che la Tari non discrimina adeguatamente fra famiglie in base alla produzione di rifiuti e presenta effetti redistributivi peculiari a sfavore dei nuclei con redditi più bassi; una riconfigurazione del prelievo in chiave tariffaria porterebbe quindi benefici non solo in termini di efficienza – per gli incentivi a un utilizzo più responsabile delle risorse pubbliche e di quelle ambientali – ma anche in termini di equità, poiché rimuoverebbe i profili di regressività dell'attuale tariffa.

  5.3.1.3 La riscossione

  Sostanziali innovazioni hanno riguardato (commi 784 e seguenti dell'articolo 1 della legge di bilancio per il 2020) la riscossione degli enti locali, con particolare riferimento agli strumenti per l'esercizio della potestà impositiva.
  In dettaglio, tali norme hanno previsto, anche per gli enti locali, l'istituto dell'accertamento esecutivo, sulla falsariga di quanto già previsto per le entrate erariali, che consente di emettere un unico atto di accertamento avente i requisiti del titolo esecutivo. Esso opera, a partire dal 1° gennaio 2020, con riferimento ai rapporti pendenti a tale data.
  Il decreto-legge «Proroga termini 2021» (decreto-legge n. 182 del 2020) ha differito al 30 giugno 2021 il termine per l'adeguamento, alla riforma della riscossione delle entrate locali operata dalla legge di bilancio per il 2020, dei contratti in corso alla data del 1° gennaio 2020 tra gli enti locali e i soggetti concessionari della riscossione delle entrate locali.
  Sotto un diverso profilo, in applicazione del principio di sussidiarietà e al fine di rafforzare gli strumenti della lotta all'evasione fiscale, il legislatore ha nel tempo previsto un maggior coinvolgimento degli enti territoriali nell'attività di accertamento e riscossione. Il decreto-legge n. 124 del 2019 ha prorogato al 2021 l'attribuzione ai comuni dell'incentivo previsto per la partecipazione all'attività di accertamento tributario, che è pari al 100 per cento del riscosso a titolo di accertamento nell'anno precedente, a seguito delle segnalazioni qualificate trasmesse da tali enti.
  Una quantificazione delle entrate tributarie del comparto dei comuni è fornita nel sopra richiamato documento allegato al resoconto stenografico dell'audizione della Viceministra Castelli del 9 giugno 2021, in cui sono riportati i dati di gettito delle principali entrate su base annua (riferiti alle annualità precedenti al 2020):

Pag. 54

in miliardi di euro

  Imu/Tasi 1

16,00

  Addizionale comunale all'Irpef

5,00

  Tari/Taric

10.00

  Imposta di soggiorno 2

0,55

  Tosap/Cosap 3

0,85

  Imposta pubblicità 3

0,42

  Totale comuni

32,82

  1 Dal 2020 il gettito Tasi è incluso nell'Imu.
  2 Include anche il gettito del contributo di soggiorno (Roma) e del contributo di sbarco (isole minori).
  3 Dal 2021 Tosap/Cosap, imposta di pubblicità e canone di pubblicità sono sostituiti dal canone unico patrimoniale.

  5.3.2 Il Fondo di solidarietà comunale e la perequazione

  Il Fondo di solidarietà comunale costituisce il fondo per il finanziamento dei comuni, anche con finalità di perequazione, alimentato con una quota del gettito Imu di spettanza dei comuni stessi.
  Il Fondo è stato istituito – in sostituzione del Fondo sperimentale di riequilibrio comunale previsto dal decreto legislativo n. 23 del 2011 di attuazione del federalismo municipale – dall'articolo 1, comma 380, della legge n. 228 del 2012 (stabilità 2013) in ragione della nuova disciplina dell'Imu introdotta dalla suddetta legge, che ha attribuito ai comuni l'intero gettito Imu, ad esclusione di quello derivante dagli immobili ad uso produttivo destinato allo Stato, nell'ambito di un intervento volto al consolidamento dei conti pubblici nel contesto dell'emergenza finanziaria determinatasi negli ultimi due mesi dell'anno 2011.

  Per i comuni, la fiscalizzazione dei trasferimenti erariali è avvenuta nel 2011, nell'importo complessivo di 11,3 miliardi di euro, in applicazione dell'articolo 2, comma 8, del decreto legislativo n. 23 del 2011. L'operazione è stata finanziariamente neutrale per i comuni nel loro insieme, in quanto, a fronte della riduzione dei trasferimenti, sono state attribuite ai comuni risorse da federalismo fiscale municipale di pari importo: nello specifico, 2.889 milioni di euro per compartecipazione Iva e 8.376 milioni di euro con riferimento al Fondo sperimentale di riequilibrio, alimentato con il gettito dei tributi allora attribuiti ai comuni relativi a immobili ubicati nel loro territorio. L'intensificarsi dell'emergenza finanziaria e le numerose modifiche apportate alla disciplina della tassazione immobiliare, allo scopo di reperire risorse finanziarie, hanno portato, nel 2013 a una profonda ridefinizione dell'assetto dei rapporti finanziari tra Stato e comuni rispetto a quanto disegnato dal decreto legislativo n. 23 del 2011, con la soppressione del Fondo sperimentale di riequilibrio e l'istituzione di un Fondo di solidarietà comunale, alimentato da una quota dell'Imu.
  Il sistema di esenzione Imu e Tasi, introdotto con la legge n. 208 del 2015, ha comportato una revisione della disciplina di alimentazione e di ripartizione del Fondo di solidarietà comunale, con un incremento della sua dotazione annuale di una quota cosiddetta «ristorativa» (quantificata in circa 3,8 miliardi di euro), al fine di garantire, nel suo ambito, le risorse necessarie a compensare i comuni delle relative perdite di gettito. Al tempo stesso, è stata ridefinita la quota parte dell'imposta municipale propria Pag. 55di spettanza dei comuni che lo alimenta, ridotta all'attuale importo 2.768,8 milioni di euro (in luogo dei 4.717,9 milioni prima previsti), da versare all'entrata del bilancio dello Stato nei singoli esercizi.
  Gli interventi di abolizione della Tasi sull'abitazione principale, nonché di esclusione dalla tassazione locale dei terreni agricoli e altre misure agevolative fiscali, e il contestuale incremento del Fondo di solidarietà comunale a compensazione delle relative perdite di gettito, hanno in sostanza ridefinito un impianto centralistico del sistema di finanziamento dei comuni, che è sembrato via via allontanarsi dal progetto di federalismo fiscale municipale avviato con il decreto legislativo n. 23 del 2011.
  Con la legge di bilancio per il 2017 (articolo 1, commi 446-452 della legge n. 232 del 2016), si è arrivati a una disciplina a regime del Fondo di solidarietà comunale, che fissa la sua dotazione annuale e i criteri di ripartizione delle risorse, distinguendo tra la componente ristorativa e la componente tradizionale del Fondo, da distribuire sulla base di criteri di tipo compensativo, rispetto all'allocazione storica delle risorse, ovvero di tipo perequativo, a partire dal 2015, sulla base della differenza tra le capacità fiscali e i fabbisogni standard.

  La dotazione annuale del Fondo è definita per legge ed è in parte assicurata, come detto, attraverso una quota dell'Imu, di spettanza dei comuni, che in esso confluisce annualmente. La quota di alimentazione a carico dei comuni è pari al 22 per cento del gettito Imu ad aliquota di base (per un ammontare complessivo di 2,8 miliardi di euro).
  Considerata anche la sopraindicata componente ristorativa – pari a 3,8 miliardi di euro, funzionale a ristorare i comuni del minor gettito derivante dall'introduzione delle agevolazioni Imu e Tasi, previste dalla legge n. 208 del 2015, tra cui, in particolare, l'esenzione delle abitazioni principali (non di lusso) dalla Tasi (circa 3,5 miliardi di euro) – attualmente la dotazione del Fondo, al netto delle riduzioni operate dal legislatore, ammonta a 6,6 miliardi di euro, includendo i comuni delle regioni a statuto ordinario, della Sicilia e della Sardegna.
  La componente compensativa viene ripartita tra i comuni in misura puntuale (sulla base del gettito effettivo Imu e Tasi relativo all'anno 2015) e non partecipa pertanto al meccanismo perequativo.
  Il processo di attuazione del federalismo fiscale nel comparto comunale, come delineato dal decreto legislativo n. 23 del 2011, ha trovato, da subito, un ostacolo attuativo nella crisi finanziaria dello scorso decennio. Gli interventi sulla finanza locale, attuati a seguito della crisi finanziaria del 2009-2011, hanno infatti portato a un assetto caratterizzato da minore autonomia, minore responsabilità e ridotti margini di manovra sui gettiti fiscali.
  Sul funzionamento del Fondo di solidarietà comunale, in particolare sotto il profilo distributivo, hanno inciso in maniera determinante le decurtazioni di risorse poste a carico dei comuni, per effetto degli interventi di coordinamento della finanza pubblica. Come si è già osservato, l'ingente concorso alla finanza pubblica richiesto ai comuni a valere sulle risorse del Fondo di solidarietà comunale – con il venir meno della componente «verticale» finanziata dallo Stato e destinata alla perequazione – ha modificato in maniera sostanziale la struttura del Fondo(38). Di conseguenza, l'applicazione dei criteri perequativi Pag. 56nella distribuzione delle risorse, basati sulla differenza tra le capacità fiscali e i fabbisogni standard, ha fatto sì che il Fondo funzionasse come un meccanismo di redistribuzione «orizzontale», che sottrae risorse ai comuni che hanno elevate basi imponibili e bassi fabbisogni a favore dei comuni con basi imponibili limitate e fabbisogni elevati.
  Con l'articolo 1, comma 848, della legge di bilancio per il 2020 (legge n. 160 del 2019), è stato disposto un incremento delle risorse del Fondo di 100 milioni di euro per il 2020, di 200 milioni di euro per il 2021, di 300 milioni di euro per il 2022, di 330 milioni di euro nel 2023 e di 560 milioni di euro a decorrere dal 2024, per garantire ai comuni il progressivo reintegro delle risorse decurtate a titolo di concorso alla finanza pubblica negli anni 2014-2018, ai sensi dell'articolo 47 del decreto-legge n. 66 del 2014 (tale concorso è venuto meno nel 2019).
  Nella legge di bilancio per il 2021, il Fondo (cap. 1365/Interno) presenta nel triennio una dotazione pari a 6.868,7 milioni di euro per il 2021, 7.107,7 milioni di euro per il 2022 e 7.231,0 milioni di euro per il 2023.
  Tali risorse aggiuntive hanno ricostituito, nell'ambito della componente tradizionale del Fondo di solidarietà comunale, una quota di risorse di carattere «verticale», che sono state destinate a specifiche esigenze di correzione della perequazione ai fini del riparto del Fondo di solidarietà comunale.

  La quota dell'anno 2020, pari a 100 milioni di euro, è stata ripartita con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 26 maggio 2020, e destinata: per il 60 per cento a compensare i comuni del taglio subito a suo tempo per effetto del decreto-legge n. 66 del 2014; per il restante 40 per cento a compensare le riduzioni di risorse subite da circa 4.100 enti con la ripresa del percorso perequativo nel 2020, dopo la pausa del 2019. Nell'ambito di questo criterio è stata definita una riserva a vantaggio dei piccoli comuni, con popolazione inferiore a 5 mila abitanti, così da attenuare maggiormente la riduzione di risorse subita da tali enti tra il 2019 e il 2020.

  Risorse aggiuntive, specificamente destinate alla perequazione, sono state introdotte anche dal decreto-legge n. 124 del 2019 (articolo 57, comma 1-bis), nel limite massimo di 5,5 milioni di euro a decorrere dall'anno 2020, in favore dei piccoli comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti, che presentano, successivamente all'applicazione dei criteri di riparto, un valore negativo del Fondo di solidarietà comunale.
  Riguardo alla perequazione, avviata nel 2015 per la ripartizione di quote annualmente crescenti delle risorse del Fondo di solidarietà comunale, vanno segnalate le difficoltà incontrate nell'applicazione del meccanismo che avrebbe dovuto garantire il graduale superamento della spesa storica in favore di una redistribuzione delle risorse ai comuni sulla base dei fabbisogni standard e delle capacità fiscali.
  Dal 2015, infatti, tolta la citata componente «ristorativa», una quota via via crescente delle risorse del Fondo viene ripartita tra i Pag. 57comuni delle regioni a statuto ordinario mediante criteri di tipo perequativo, sulla base della differenza tra le capacità fiscali e i fabbisogni standard, non venendo dunque più assicurata l'invarianza delle risorse. Per i comuni con fabbisogni standard superiori alle capacità fiscali si è determinato, dunque, un incremento della quota spettante del Fondo di solidarietà comunale, mentre per i comuni con fabbisogni standard inferiori alle capacità fiscali si è applicata una riduzione della quota del Fondo medesimo.
  La percentuale di risorse da distribuire sulla base dei criteri perequativi – applicata nella misura del 20 per cento nel 2015, 30 per cento nel 2016, 40 per cento nel 2017 e del 45 per cento per l'anno 2018 – era prevista crescere progressivamente negli anni fino al raggiungimento del 100 per cento della perequazione del Fondo a decorrere dall'anno 2021 (articolo 1, comma 884, della legge di bilancio per il 2018). Tuttavia, il progressivo rafforzamento della componente perequativa ha comportato alcune distorsioni nella redistribuzione delle risorse del Fondo, che hanno di fatto richiesto, a più riprese, l'intervento del legislatore, con la previsione di meccanismi correttivi in grado di contenere il differenziale di risorse, rispetto a quelle storiche di riferimento.
  In particolare, il passaggio a una ripartizione del Fondo sulla base del meccanismo perequativo, anziché sulla spesa storica, si ripercuote soprattutto sui comuni di piccolissime dimensioni, mediamente più colpiti da alte percentuali di perequazione negativa.
  Per consentire un'applicazione più sostenibile del processo di redistribuzione delle risorse secondo i criteri perequativi, la legge di bilancio per il 2019 (articolo 1, comma 921, della legge n. 145 del 2018) ha disposto una sospensione dell'incremento della quota percentuale di risorse oggetto di perequazione – che nel 2019 era prevista crescere al 60 per cento rispetto al 45 per cento del 2018 – in accoglimento di uno dei punti dell'Accordo concluso in sede di Conferenza Stato-città ed autonomie locali del 29 novembre 2018, nel quale si sottolineava la necessità di procedere a una valutazione degli effetti del percorso perequativo avviato nel 2015.
  Con il successivo decreto-legge n. 124 del 2019 (articolo 57, comma 1), è stato definito un percorso molto più graduale di applicazione del meccanismo perequativo, con il raggiungimento del 100 per cento della perequazione posticipato all'anno 2030 (in luogo dell'anno 2021 prima previsto). Si prevede un incremento del 5 per cento annuo della quota percentuale del Fondo da distribuire tra i comuni su base perequativa, a partire dalla quota del 45 per cento fissata per il 2019 (e quindi, 50 per cento nel 2020, 55 per cento nel 2021, e così via), sino a raggiungere il valore del 100 per cento nel 2030. Al termine della transizione, la componente tradizionale del Fondo di solidarietà comunale sarà integralmente commisurata alla differenza fra fabbisogni standard e capacità fiscale standard.
  Contestualmente, è stata introdotta una progressione anche del cosiddetto target perequativo, che rappresenta la capacità fiscale perequabile, fino a quel momento limitato al 50 per cento dell'ammontare complessivo della capacità fiscale da perequare, anche al termine della fase di transizione. Il «target perequativo», applicato per l'anno 2019 nella misura del 50 per cento dell'ammontare complessivo della capacitàPag. 58 fiscale da perequare, è previsto incrementare progressivamente del 5 per cento annuo a decorrere dall'anno 2020, sino a raggiungere il valore del 100 per cento a decorrere dal 2029.
  Al momento, dunque, ancora non tutta la capacità fiscale può essere devoluta con finalità perequative. Nel riparto del Fondo di solidarietà comunale per l'anno 2021 è stata utilizzata a tali fini il 60 per cento della capacità fiscale complessiva; l'incremento progressivo del target porterà nel 2029 a utilizzare in perequazione l'intera capacità fiscale.
  La percentuale del fondo perequato e del target perequativo raggiungeranno il 100 per cento solo nel 2030.
  Tuttavia, come si è già rilevato in precedenza, anche dopo quella data, una quota significativa del fondo, quella cosiddetta ristorativa, continuerà a essere distribuita secondo un criterio storico. Dall'audizione del 9 giugno 2021 della Viceministra dell'economia e delle finanze, Laura Castelli, è emerso che «la scelta di escludere questi flussi dalla perequazione è maturata in un contesto in cui l'applicazione dei principi perequativi appariva ancora incerta» e che le relative motivazioni dovranno essere attentamente rivalutate «ora che gli interventi realizzati negli ultimi anni e quelli previsti dal PNRR hanno aperto una prospettiva di completamento del federalismo comunale»(39). Nell'audizione del 6 ottobre 2021, il Presidente della Commissione tecnica per i fabbisogni standard, Giampaolo Arachi, ha evidenziato altresì che il mancato inserimento di queste componenti «nei meccanismi ordinari di perequazione del fondo provoca, anche a regime, il permanere di squilibri nella copertura dei fabbisogni che tendono a perpetuare delle sperequazioni a livello territoriale (in generale a favore dei comuni del nord-est) e dimensionale con una penalizzazione dei comuni di piccole dimensioni a favore dei grandi centri urbani»(40).
  Ai fini dell'applicazione dei criteri perequativi, l'articolo 57, comma 1, del decreto-legge n. 124 del 2019 ha inoltre richiesto alla Commissione tecnica per i fabbisogni standard di introdurre una metodologia per la neutralizzazione della componente rifiuti nel calcolo della differenza tra le capacità fiscali e il fabbisogno standard; ciò è correlato al fatto che il gettito della Tari per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti risulta a totale copertura del costo e dovrebbe pertanto essere escluso da interventi perequativi.
  La metodologia che consente l'esclusione della componente rifiuti dalla perequazione è stata recepita nei decreti di riparto del Fondo di solidarietà comunale 2020 e 2021 (cfr., per il 2021, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 25 marzo 2021), sulla base delle decisioni del 15 ottobre 2019 della Commissione tecnica per i fabbisogni standard.
  Tra le novità che hanno caratterizzato l'attività di determinazione di costi e fabbisogni standard dei comuni tra il 2020 e il 2021, si segnala la determinazione e l'approvazione dei fabbisogni standard dei comuni della Regione siciliana, la prima regione a statuto speciale che ha Pag. 59aderito alla rilevazione dei dati per la determinazione dei fabbisogni standard dei comuni del proprio territorio. La Commissione tecnica per i fabbisogni standard ha approvato i fabbisogni della Regione siciliana il 18 ottobre 2021(41).
  Relativamente ai criteri posti a base della perequazione delle risorse del Fondo di solidarietà comunale, si ricorda che nel corso del 2020 è stato avviato un processo di revisione dei fabbisogni standard, con l'obiettivo di sganciarli dal riferimento ai livelli quantitativi storicamente forniti dai singoli enti e commisurarli a livelli di servizio standard da garantire sul tutto il territorio nazionale, al fine di sopperire al limite costituito dalla mancanza della definizione dei livelli essenziali delle prestazioni.
  Molte delle frizioni che costellano il processo verso la piena realizzazione dell'impianto disegnato dalla legge n. 42 del 2009 derivano, infatti, come già rilevato in precedenza e come sottolineato in più occasioni nel corso delle audizioni svolte dalla Commissione, dalla perdurante assenza di una chiara individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni nelle funzioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale.
  Nel documento depositato in occasione dell'audizione della Viceministra dell'economia e delle finanze, Laura Castelli, del 9 giugno 2021, sono analizzati i fattori che ostacolano l'applicazione dei criteri perequativi ai fini del riparto del Fondo di solidarietà comunale, in vista del superamento del criterio della spesa storica. In primo luogo, le difficoltà sono da ascrivere al contesto di forte riduzione delle risorse del Fondo, a seguito del rilevante contributo degli enti territoriali alle manovre di consolidamento della finanza pubblica, che ha fatto prevalere un modello in cui le risorse destinate alla perequazione sono predeterminate e sostanzialmente coincidenti con la capacità fiscale standard. In questo quadro, i fabbisogni standard hanno funzionato come indicatori per il riparto di risorse date e non anche come strumento per valutare la coerenza fra le risorse assegnate e la spesa necessaria per assicurare le funzioni fondamentali e i livelli essenziali delle prestazioni in condizioni di efficienza. Questa impostazione – si legge nel documento – «ha reso più difficile individuare soluzioni condivise sia in sede tecnica (la Commissione fabbisogni standard) che politica (la Conferenza Stato-città ed autonomie locali e le Commissioni parlamentari competenti) portando a complesse soluzioni di compromesso che hanno rallentato il progressivo superamento della spesa storica». In secondo luogo, la mancata definizione dei livelli essenziali delle prestazioni ha privato il sistema di un riferimento cruciale per la definizione dei fabbisogni standard, soprattutto nell'ambito delle funzioni comunali di maggiore impatto sociale, nell'ottica di rendere quanto più possibile omogenea tra i territori l'offerta dei servizi e di ridurre i divari nel livello delle prestazioni tra i diversi territori. Quindi, la mancata definizione dei livelli essenziali delle prestazioni – si conclude nel documento – ha favorito la scelta «di calcolare il fabbisogno sulla base dei servizi storicamente offerti, cristallizzando le differenze territoriali che la legge 42/2009 si proponeva di eliminare Pag. 60anche attraverso meccanismi di monitoraggio dei livelli e della qualità dei servizi offerti».
  Sul punto, si è soffermato anche il Presidente della Commissione tecnica per i fabbisogni standard, Giampaolo Arachi, già nell'audizione del 25 giugno 2020, sottolineando come, in assenza di livelli essenziali delle prestazioni, la definizione dei fabbisogni standard si sia basata sostanzialmente sui livelli storici di copertura dei servizi, sebbene, per alcune funzioni, il livello storico possa non essere coerente con la tutela dei diritti civili e sociali. Ad esempio, per le funzioni relative ai servizi asili nido e istruzione, che sono più strettamente legate ai diritti civili e sociali, i fabbisogni standard sono stati commisurati al livello di servizi storicamente offerto, ma riconoscendo nel calcolo del fabbisogno i differenziali di spesa storici osservati a livello regionale (con l'utilizzo delle cosiddette dummy regionali).
  Nel definire i principi fondamentali del sistema di finanziamento degli enti locali, la legge n. 42 del 2009 – si rammenta – ha assegnato un ruolo centrale ai livelli essenziali delle prestazioni e alle funzioni fondamentali dei comuni, stabilendo un legame diretto fra questi e il fabbisogno standard. La legge ha prescritto, infatti, che i meccanismi perequativi assicurino per tutti gli enti locali il finanziamento integrale del fabbisogno standard, inteso come il costo necessario per erogare i livelli essenziali delle prestazioni e le funzioni fondamentali dei comuni in condizioni di efficienza.
  Il legislatore, oltretutto, prevede, come già esposto in precedenza, un graduale avvicinamento ai livelli essenziali delle prestazioni, con un costante monitoraggio lungo il percorso di convergenza degli obiettivi di servizio ai livelli essenziali delle prestazioni e alle funzioni fondamentali.
  Il principio della standardizzazione dei livelli di servizio, ai fini della determinazione dei fabbisogni standard, è stato introdotto inizialmente nel 2019 con la revisione dei fabbisogni standard relativi al servizio di asili nido (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 marzo 2020) ed è stato poi esteso alla funzione Servizi sociali nel 2020 (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 luglio 2021).
  Il percorso di convergenza nei livelli dei servizi è stato peraltro finanziato con risorse aggiuntive, stanziate nell'ambito del Fondo di solidarietà comunale, e accompagnato da meccanismi di monitoraggio.
  La legge di bilancio per il 2021 (articolo 1, comma 791 e seguenti, della legge n. 178 del 2020) ha previsto, infatti, un incremento della dotazione annuale del Fondo di solidarietà comunale destinato a finanziare specifiche funzioni fondamentali comunali e, in particolare:

   ■ lo sviluppo dei servizi sociali comunali svolti in forma singola o associata dai comuni delle regioni a statuto ordinario. Lo stanziamento è pari a circa 216 milioni di euro per l'anno 2021, incrementato annualmente fino a raggiungere l'importo di 651 milioni a regime, a decorrere dal 2030. Tali contributi sono ripartiti in proporzione al rispettivo coefficiente di riparto del fabbisogno standard calcolato sulla base di una metodologia innovata per la funzione Servizi sociali, approvata dalla Commissione tecnica per i fabbisogni standard;

   ■ l'incremento di posti disponibili negli asili nido dei comuni delle regioni a statuto ordinario e di Sicilia e Sardegna, con particolare attenzione ai comuni che denotano le maggiori carenze. Il finanziamentoPag. 61 è pari a 100 milioni di euro per l'anno 2022, 150 milioni di euro per l'anno 2023, 200 milioni di euro per l'anno 2024, 250 milioni di euro per l'anno 2025 e 300 milioni di euro annui a regime a decorrere dal 2026. Tali contributi sono ripartiti, su proposta della Commissione tecnica per i fabbisogni standard, tenendo conto, ove disponibili, dei fabbisogni standard per la funzione Asili nido, con apposito decreto del Ministro dell'interno, entro il 30 novembre dell'anno precedente a quello di riferimento, secondo quanto previsto, da ultimo, dall'articolo 30, comma 6, del decreto-legge n. 41 del 2021 («decreto Sostegni»). I suddetti contributi sono espressamente finalizzati a incrementare l'ammontare dei posti disponibili negli asili nido, equivalenti in termini di costo standard al servizio a tempo pieno, in proporzione alla popolazione con età compresa tra 0 e 2 anni nei comuni nei quali il predetto rapporto è inferiore ai livelli essenziali delle prestazioni. Fino alla definizione dei livelli essenziali delle prestazioni, o in assenza di questi, il livello di riferimento del rapporto è dato dalla media relativa alla fascia demografica del comune individuata dalla Commissione tecnica per i fabbisogni standard. Va sottolineato che, nel caso degli asili nido, l'incremento di risorse coinvolge espressamente anche i comuni della Sicilia e della Sardegna(42).

  Per assicurare che le risorse aggiuntive siano effettivamente destinate al potenziamento dei servizi, le norme prevedono l'attivazione di un monitoraggio in ordine all'utilizzo delle risorse medesime e al raggiungimento di determinati livelli di servizi offerti.
  Per i servizi sociali, gli obiettivi di servizio da raggiungere sono stabiliti con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sulla base di un'istruttoria tecnica condotta dalla Commissione tecnica per i fabbisogni standard, con il supporto di esperti del settore, previa intesa in sede di Conferenza Stato-città ed autonomie locali. Gli obiettivi di servizio di ciascun comune per l'anno 2021 nonché le modalità di monitoraggio per definire il livello dei servizi offerti e l'utilizzo delle risorse ad essi destinate sono stati indicati con il decreto del Presidente Pag. 62del Consiglio dei ministri 1° luglio 2021. Nella nota metodologica allegata al decreto si esplicita che il raggiungimento degli obiettivi di servizio, al fine di usufruire delle citate risorse aggiuntive, contribuirà a potenziare i servizi sociali soprattutto nei comuni che denotano maggiori carenze, coerentemente con il percorso di superamento dei gap esistenti, costituendo ciò un passo necessario per determinare i livelli essenziali delle prestazioni nel settore sociale da garantire su tutto il territorio nazionale. Gli obiettivi di servizio per l'anno 2021 sono stati concepiti per incentivare i comuni delle regioni a statuto ordinario che presentano una spesa storica inferiore al fabbisogno standard monetario(43) a incrementare la spesa per il settore sociale nello stesso anno, rendicontando le risorse effettive aggiuntive del Fondo di solidarietà comunale. L'impegno delle risorse supplementari può avvenire con riferimento alle seguenti opzioni: assunzione di assistenti sociali a tempo indeterminato, qualora l'incidenza del numero di assistenti per comune o ambito territoriale sociale di appartenenza sia inferiore a 1:6.500 abitanti; assunzione di altre figure professionali specialistiche necessarie per lo svolgimento del servizio; incremento del numero di utenti serviti; significativo miglioramento dei servizi sociali comunali in relazione a un paniere definito di possibili interventi; risorse aggiuntive trasferite all'ambito territoriale sociale di riferimento.

  Il monitoraggio si basa su due passaggi. Nel primo, tutti i comuni saranno chiamati a confrontare la propria spesa storica nel sociale con il fabbisogno riconosciuto e a dichiarare la variazione di utenti serviti fra il 2019 e il 2021. Nel secondo, i comuni che dichiareranno una spesa storica inferiore al fabbisogno standard monetario dovranno rendicontare l'utilizzo dei fondi aggiuntivi, evidenziando l'incremento dei servizi offerti. Nella scheda di monitoraggio gli enti «sotto» obiettivo possono indicare l'incremento dei servizi erogati scegliendo tra le diverse opzioni. Fra queste, come detto, è prevista la possibilità di assunzione di assistenti sociali a tempo indeterminato qualora l'incidenza del numero di assistenti per il comune e/o l'ambito territoriale sociale di appartenenza sia inferiore a 1:6.500 abitanti. In questo modo, risultano garantiti il raggiungimento del livello essenziale delle prestazioni fissato dal comma 797 dell'articolo 1 della legge di bilancio per il 2021 e la possibilità di accedere ai contributi previsti dallo stesso comma per potenziare ulteriormente il numero di assistenti sociali.

  Gli obiettivi di potenziamento dei posti di asili nido da conseguire con le risorse assegnate e le modalità di monitoraggio sull'utilizzo delle Pag. 63risorse stesse sono invece definiti nel medesimo decreto del Ministero dell'interno di ripartizione dei contributi stanziati nel Fondo di solidarietà comunale. Le somme che, a seguito del monitoraggio, risultassero non destinate ad assicurare il livello dei servizi definiti sulla base degli obiettivi di servizio o degli obiettivi di potenziamento dei posti di asili nido sono recuperate a valere sul Fondo di solidarietà comunale.

  Nel settore sociale, la legge di bilancio per il 2021, con un intervento di tipo strutturale, ha stanziato altresì risorse puntuali volte all'erogazione di contributi, al fine di potenziare il sistema dei servizi sociali comunali e rafforzare contestualmente gli interventi e i servizi di contrasto alla povertà, nella prospettiva del raggiungimento di un livello essenziale delle prestazioni e dei servizi sociali definito da un rapporto tra assistenti sociali impiegati nei servizi sociali territoriali e popolazione residente pari a 1 a 5.000 in ogni ambito territoriale, nonché dell'ulteriore obiettivo di servizio di un rapporto tra assistenti sociali impiegati nei servizi sociali territoriali e popolazione residente pari a 1 a 4.000 (articolo 1, commi 797 e seguenti, della legge n. 178 del 2020). Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali del 25 giugno 2021 sono state definite le modalità di prenotazione delle somme da attribuire agli ambiti territoriali sociali per un totale di 66.905.066 euro nel 2021, in base ai prospetti relativi alla previsione degli assistenti sociali in servizio nel medesimo anno, definiti per ciascun ambito in base alla nota direttoriale del 12 febbraio 2021 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

  La Nota di aggiornamento al documento di economia e finanza 2021 (Nadef), per quanto riguarda i servizi sociali erogati a livello locale dai comuni, afferma che nel disegno di legge di bilancio per il 2022 l'utilizzo del Fondo di solidarietà comunale, già incrementato dalla legge di bilancio per il 2021 e genericamente dedicato al potenziamento dei servizi sociali, sarà orientato verso l'obiettivo di servizio di un assistente sociale ogni 6.500 abitanti. Con riferimento ai servizi relativi agli asili nido, sarà perseguito l'obiettivo di assicurare che almeno il 33 per cento della popolazione di bambini residenti ricompresi nella fascia di età da 3 a 36 mesi possa usufruire nel 2026 del servizio su base locale.
  Nel mese di settembre 2021 sono stati approvati dalla Commissione tecnica per i fabbisogni standard i fabbisogni relativi alle funzioni fondamentali utili per ripartire il Fondo di solidarietà comunale nel 2022. Per il servizio di asili nido è stata revisionata la metodologia, mentre, per le rimanenti funzioni è stata applicata la metodologia precedente alla banca dati aggiornata(44).
  Il processo di standardizzazione dei livelli di servizio, ai fini della ripartizione delle risorse aggiuntive del Fondo di solidarietà comunale, costituisce una tappa intermedia verso la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni. La definizione degli obiettivi di servizio può essere determinante per il superamento della spesa storica – ai fini del riparto delle risorse del Fondo di solidarietà comunale – e per la previsione di fabbisogni standard che rendano quanto più possibile omogenea tra i territori l'offerta dei servizi in campo sociale, in modo da ridurre i divari nel livello delle prestazioni, Pag. 64indipendentemente dal meccanismo perequativo previsto. Nella memoria depositata in occasione dell'audizione di rappresentanti della società Sose S.p.A. del 21 ottobre 2021, sono dettagliatamente illustrate le scelte operate per la determinazione della nuova metodologia, che ha portato a livelli dei fabbisogni standard più omogenei, non più condizionati dalla spesa storica.
  Sul punto, il Presidente della Commissione tecnica per i fabbisogni standard, Giampaolo Arachi, già nell'audizione del 25 giugno 2020, ha precisato che sinora la standardizzazione dei livelli di servizio, operata in relazione al riparto del Fondo di solidarietà comunale, si è basata, in sostanza, sulla definizione di livelli minimi e massimi delle prestazioni e sull'individuazione di un livello minimo di fabbisogno e di copertura del servizio. Tuttavia, «si è ancora ben lontani dal riconoscimento di un fabbisogno standard compatibile con il livello essenziale delle prestazioni, in quanto quest'ultimo valore non è ancora stato definito dal Parlamento in attuazione dei principi costituzionali di equità riportati nell'articolo 117 della Carta costituzionale» e quindi l'operazione di «normalizzazione dei livelli di servizio all'interno di una soglia massima e minima ha una valenza prevalentemente tecnica rivolta ad una più corretta applicazione dei modelli vigenti di calcolo del fabbisogno che, come principio fondamentale, richiedono che il riconoscimento del fabbisogno per finalità perequativa debba prescindere dalla presenza di un servizio storicamente erogato»(45). Come riferito nella stessa audizione, questi livelli minimi di copertura hanno comunque avuto l'effetto di ridurre da 3.635 a 50 il numero di comuni per i quali non viene riconosciuto il fabbisogno relativo agli asili nido.
  In prospettiva futura, secondo quanto esposto dalla Viceministra dell'economia e delle finanze, Laura Castelli, nell'audizione del 9 giugno 2021, con più chiari riferimenti per la standardizzazione, sarà possibile estendere il percorso intrapreso con il potenziamento del sociale al resto delle funzioni comunali. La spesa storica non standardizzata può, infatti, produrre sia inefficienza nella gestione dei servizi locali, sia livelli insufficienti di qualità e quantità. Per giungere a definire il fabbisogno standard, è necessario che siano definiti degli indicatori dei livelli di servizio in riferimento ai quali operare la standardizzazione. Solo in questo modo – secondo la ricostruzione fornita dalla Viceministra – i fabbisogni standard potranno essere utilizzati per quantificare correttamente le eventuali risorse aggiuntive necessarie per consentire a tutti i comuni di fornire i servizi essenziali in condizioni di efficienza, in particolare nel campo degli asili nido e dell'istruzione, facendo sì che l'incremento delle risorse sia incluso in un percorso graduale di recupero dei ritardi basato sul monitoraggio del raggiungimento di tappe intermedie. In tale contesto – alla luce degli elementi offerti dalla rappresentante del Governo – potranno anche essere sviluppate soluzioni più confacenti ai piccoli comuni, per i quali vanno individuati con attenzione i bacini ottimali di fornitura dei servizi, favorendo, ove possibile, la gestione associata. Il definitivo allineamentoPag. 65 dei fabbisogni con gli standard richiesti dai livelli essenziali delle prestazioni e dalle funzioni fondamentali, contestualmente al riordino dei tributi già avviato, «consentirà di operare le scelte definitive sulla struttura del fondo perequativo, che potrebbe vedere rafforzata la componente verticale al fine di rendere più evidente la tutela statale dei diritti sociali e di cittadinanza e di ridurre le resistenze verso la perequazione di quei comuni che, a causa della sperequazione delle basi imponibili, sono chiamati a cedere parte della propria capacità fiscale per il finanziamento dei comuni meno dotati»(46).
  In relazione a questi aspetti, il consigliere dell'Ufficio parlamentare di bilancio, Alberto Zanardi, nell'audizione del 20 ottobre 2021, ha ribadito che le innovazioni recenti hanno contribuito a indirizzare la finanza comunale su un sentiero coerente con uno dei principi fondamentali della riforma del federalismo fiscale, quello di una perequazione che consenta il finanziamento delle funzioni più rilevanti secondo livelli di riferimento standardizzati, cioè tenendo conto delle differenze nei bisogni delle popolazioni servite, nelle condizioni di costo di produzione e nelle capacità fiscali dei singoli enti. Alcuni punti critici – secondo il consigliere Zanardi – restano tuttavia ancora da affrontare: in primo luogo, la necessità di consolidare l'ancoraggio dei fabbisogni standard a una chiara definizione dei livelli essenziali delle prestazioni; in secondo luogo, la necessità di rafforzare la componente «verticale» del fondo perequativo comunale finanziata mediante trasferimenti dal bilancio dello Stato. Il potenziamento della componente «verticale» renderebbe «più riconoscibile il ruolo di garanzia dei diritti sociali e di cittadinanza esercitato dal livello centrale, superando le attuali riluttanze dei Comuni maggiormente dotati in termini finanziari a sostenere, attraverso la perequazione orizzontale, quelli meno dotati»(47).
  In merito a ciò, la Corte dei conti ha auspicato il parziale superamento del meccanismo della perequazione «orizzontale» utilizzato all'interno del comparto comunale per la redistribuzione di quote significative del tributo immobiliare, nella convinzione che «un meccanismo di perequazione verticale con interventi statali potrebbe fornire un ulteriore sostegno, in particolare, per le funzioni fondamentali, di cui la riforma prevede l'integrale compensazione, lasciando inalterato il meccanismo di perequazione orizzontale per le funzioni facoltative, dove è prevista la riduzione parziale della differenza della capacità fiscale standard»(48).Pag. 66
  La necessità di rafforzare la ripresa dell'intervento statale, avviata con l'introduzione nel Fondo di solidarietà comunale di risorse aggiuntive orientate ai servizi sociali e alla gestione degli asili nido, è stata sottolineata anche dall'Associazione Nazionale dei Comuni Italiani (Anci). Il sostegno ai territori più deboli va collocato, infatti, «nel solco della ripresa di contribuzione verticale alla perequazione che l'ANCI considera imprescindibile anche sotto il profilo della coerenza costituzionale del sistema di finanziamento»(49). Grazie anche al consolidamento del nuovo orientamento che punta alla diretta quantificazione dei fabbisogni monetari insoddisfatti con riferimento a livelli di spesa e di servizio considerati come obiettivo, sarà possibile – secondo l'Associazione Nazionale dei Comuni Italiani – verificare la realizzazione dei progressi nella perequazione, che devono consistere, da un lato, in un significativo ampliamento della capacità di spesa degli enti attualmente sottodotati di risorse e, dall'altro, in un corrispondente incremento dei servizi locali offerti alle popolazioni.

  5.3.3 La gestione in forma associata delle funzioni fondamentali dei piccoli comuni

  La gestione associata delle funzioni e dei servizi comunali è finalizzata a superare le difficoltà legate alla frammentazione dei piccoli comuni per la razionalizzazione della spesa e per il conseguimento di una maggiore efficienza dei servizi. Le regioni hanno il compito di individuare i livelli territoriali ottimali di esercizio associato di funzioni comunali, di promuovere e favorire l'associazionismo.
  L'ordinamento prevede la possibilità di esercitare in forma associata le funzioni locali attraverso due strumenti:

   ■ la convenzione;

   ■ l'unione di comuni.

  Gli enti locali possono stipulare tra loro apposite convenzioni per svolgere in modo coordinato determinati funzioni e servizi. In alternativa, due o più comuni possono costituire un'unione, vero e proprio ente locale dotato di statuto e di organi rappresentativi propri, per l'esercizio stabile di funzioni e servizi.
  L'ordinamento prevede due tipologie di esercizio in forma associata tramite l'unione di comuni o la convenzione: quella facoltativa, per l'esercizio associato di determinate funzioni, e quella obbligatoria, per i comuni fino a 5.000 abitanti per l'esercizio delle funzioni fondamentali.
  Disposizioni incentivanti sono previste da parte dello Stato nella forma di contributi e agevolazioni, destinati sia ai comuni che stipulano convenzioni o che formano unioni di comuni, sia a quelli che danno vita a fusioni di comuni. La fusione di uno o più comuni, con Pag. 67l'istituzione di un nuovo comune, costituisce la forma più compiuta di semplificazione e razionalizzazione della realtà dei piccoli comuni.
  La legge n. 56 del 2014 ha introdotto misure agevolative per la fusione di comuni volte, da un lato, a tutelare la specificità dei comuni che si sono fusi e, dall'altro, a mantenere anche nel nuovo comune le eventuali norme di maggior favore e gli incentivi di cui beneficiano i comuni oggetto della fusione. Sono state poi definite alcune disposizioni organizzative di tipo procedurale per regolamentare il passaggio dalla vecchia alla nuova gestione, principalmente per quanto riguarda l'approvazione dei bilanci. È stato infine introdotto un nuovo procedimento di fusione di comuni per incorporazione: si prevede che il comune incorporante mantiene la propria personalità e i propri organi, mentre decadono gli organi del comune incorporato.
  Per quel che concerne le unioni di comuni, l'entrata in vigore dell'esercizio obbligatorio in forma associata di tutte le funzioni comunali dei piccoli comuni è stato prorogato più volte, da ultimo al 31 dicembre 2021, da parte del decreto-legge n. 183 del 2020.
  Si rammenta, al riguardo, che il decreto-legge n. 91 del 2018 ha disposto l'istituzione di un Tavolo tecnico-politico, presso la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, per l'avvio di un percorso di revisione della disciplina di province e città metropolitane, anche al fine del superamento dell'esercizio obbligatorio e della semplificazione degli oneri amministrativi e contabili a carico dei comuni, soprattutto di piccole dimensioni.
  Parallelamente, nel corso del 2019 è intervenuta sul punto una pronuncia della Corte costituzionale (sentenza n. 33/2019), con la quale è stata sancita l'illegittimità costituzionale della previsione che impone ai comuni con meno di 5.000 abitanti di gestire in forma associata le funzioni fondamentali, laddove non consente ai comuni di dimostrare che, in quella forma, non sono realizzabili economie di scala o miglioramenti nell'erogazione dei beni pubblici alle popolazioni di riferimento. Ad avviso della Corte, l'obbligo imposto ai comuni sconta un'eccessiva rigidità, perché dovrebbe essere applicato anche in tutti quei casi in cui: a) non esistono comuni confinanti parimenti obbligati; b) esiste solo un comune confinante obbligato, ma il raggiungimento del limite demografico minimo comporta il coinvolgimento di altri comuni non in situazione di prossimità; c) la collocazione geografica dei confini dei comuni (per esempio in quanto montani e caratterizzati da particolari fattori antropici, dispersione territoriale e isolamento) non consente di raggiungere gli obiettivi normativi.

  5.3.3.1 Gli incentivi in tema di unioni e fusioni di comuni

  Numerose disposizioni, soprattutto di carattere finanziario, sono state emanate per incentivare dal punto di vista finanziario, i processi di aggregazione e di gestione associata delle funzioni, con particolare riguardo alla fusione di comuni.
  In particolare, per favorire la fusione dei comuni, l'articolo 15, comma 3, del Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali (Tuel) di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000 prevede che lo Stato eroghi appositi contributi straordinari per i dieci anni decorrenti dalla fusione stessa, commisurati a una quota dei trasferimenti spettanti ai singoli comuni che si fondono. Con il decreto-legge n. 90 del 2014, il Pag. 68contributo straordinario in questione è stato esteso alle fusioni per incorporazione. Dal 2018 il contributo spettante ai comuni risultanti da fusione o da fusione per incorporazione è commisurato al 60 per cento dei trasferimenti erariali attribuiti per l'anno 2010 – ultimo anno di assegnazione dei contributi erariali ordinari, poi soppressi dalla normativa sul federalismo fiscale – nel limite massimo di 2 milioni di euro di contributo per ciascun beneficiario (articolo 1, comma 17, lettera b), della legge n. 208 del 2015).
  Le risorse finanziarie per la concessione di contributi alle unioni e fusioni di comuni, stanziate da numerose provvedimenti legislativi, sono iscritte al capitolo 1316/Interno (Fondo ordinario).
  Tra i numerosi contributi, si ricordano qui quelli autorizzati negli ultimi anni dalle disposizioni di cui:

   ■ all'articolo 42, comma 1, del decreto-legge n. 124 del 2019: 30 milioni di euro per il 2019 per la fusione di comuni;

   ■ alla Sezione II della legge di bilancio per il 2020 (legge n. 160 del 2019): incremento di risorse per la concessione del contributo alle fusioni di comuni, nell'importo di 15 milioni di euro per ciascuno degli anni 2020, 2021 e 2022;

   ■ all'articolo 52, comma 3, del decreto-legge n. 73 del 2021: incremento, di un importo pari a 6,5 milioni di euro a decorrere dal 2021, delle risorse destinate all'erogazione del contributo decennale a favore delle fusioni dei comuni.

  5.3.4 Roma Capitale

  Va ricordato che l'articolo 114, terzo comma, della Costituzione, come riformato nel 2001, riconosce Roma quale capitale della Repubblica e rimette alla legge statale la disciplina del suo ordinamento.
  In prima attuazione del dettato costituzionale, la legge n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale (articolo 24) ha configurato, in luogo del comune di Roma, il nuovo ente territoriale «Roma capitale», dotato di una speciale autonomia statutaria, amministrativa e finanziaria, nei limiti stabiliti dalla Costituzione e «fino all'attuazione della disciplina delle città metropolitane».

  In attuazione della delega contenuta nella legge n. 42 del 2009, sono stati emanati due decreti legislativi: il decreto legislativo n. 156 del 2010 per la parte relativa agli organi di governo, cioè l'Assemblea capitolina, la Giunta capitolina e il Sindaco; il decreto legislativo n. 61 del 2012 (successivamente modificato dal decreto legislativo 26 aprile 2013, n. 51) per la disciplina del conferimento di funzioni amministrative a Roma capitale.
  Successivamente, la legge n. 56 del 2014 ha recato un'ampia riforma in materia di enti locali, prevedendo l'istituzione delle città metropolitane e la ridefinizione del sistema delle province. Nelle regioni a statuto ordinario, le città metropolitane hanno sostituito le province in dieci aree urbane: Roma Capitale, Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria.

  Nel corso dell'attuale legislatura, la I Commissione della Camera ha avviato l'esame di alcune proposte di legge sull'ordinamento della città di Roma. Alcune proposte sono finalizzate a modificare l'articolo 114 Pag. 69della Costituzione, in materia di ordinamento e poteri della città di Roma, capitale della Repubblica. Parallelamente, altre proposte di natura ordinaria incidono sull'assetto ordinamentale della città metropolitana di Roma e del comune di Roma, a Costituzione invariata, al fine di rafforzarne ruolo e poteri.

  Una prima proposta di natura costituzionale (A.C. 1854) reca una nuova disciplina della Città di Roma, capitale della Repubblica. A tal fine, la proposta di legge – modificando l'articolo 114 della Costituzione – prevede che:

   ■ la Città di Roma abbia i poteri dei comuni, delle città metropolitane e delle regioni ordinarie;

   ■ la Città di Roma possa conferire con legge le proprie funzioni amministrative a municipi;

   ■ la legge dello Stato, sentiti gli enti interessati, stabilisca forme di coordinamento tra la Regione Lazio e la Città di Roma.

  La proposta di legge costituzionale A.C. 2938 è finalizzata a istituire la regione denominata «Roma capitale della Repubblica». A tal fine, viene integrato l'elenco delle regioni recato dall'articolo 131 della Costituzione con una XXI regione, Roma Capitale appunto. Viene al contempo mantenuta la regione Lazio; la nuova regione di Roma, dunque, verrebbe a essere compresa all'interno del territorio della regione Lazio. Si modifica, inoltre, l'articolo 132, primo comma, della Costituzione, elevando da 1 milione a 2 milioni il numero minimo di abitanti necessario per l'istituzione di nuove regioni.
  La proposta di legge costituzionale A.C. 2961, invece, integra il terzo comma dell'articolo 114 della Costituzione, prevedendo la possibilità di attribuire all'ente Roma Capitale ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, anche legislativa, con una procedura analoga a quella prevista per le regioni a statuto ordinario dall'articolo 116, terzo comma, della Costituzione (che disciplina l'autonomia differenziata). In base a tale proposta di legge costituzionale il perimetro dell'attribuzione delle ulteriori forme di autonomia riguarda:

   ■ le materie di legislazione concorrente tra lo Stato e le regioni, di cui all'articolo 117, terzo comma, della Costituzione, per le quali le regioni hanno potestà legislativa che esercitano nell'ambito dei princìpi fondamentali la cui determinazione è riservata alla legislazione statale;

   ■ la materia della tutela dei beni culturali, riservata ordinariamente in via esclusiva alla legislazione statale (articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione).

  Con la proposta di legge costituzionale A.C. 3118, si novella il citato articolo 114 attribuendo uno status costituzionale a Roma capitale, che diviene un nuovo ente autonomo costitutivo della Repubblica con un proprio statuto e con propri poteri e funzioni. Si modifica, conseguentemente, l'articolo 117 della Costituzione, da un lato conferendo a Roma capitale la potestà legislativa e regolamentare nelle materie attribuite alla competenza delle regioni, ad eccezione della tutela della salute, e dall'altro attribuendo allo stesso ente esclusiva potestà legislativa e regolamentare in alcune specifiche materie, quali rapporti internazionali e con l'Unione europea di Roma capitale, protezione civile, governo del territorio, valorizzazione e gestione dei beni culturali e ambientali, promozione e organizzazione di attività culturali, agricoltura. Ulteriori modifiche sono apportate, infine, agli articoli 118, 119 e 120 della Costituzione, al fine di consentire – con riferimento a Roma Capitale – il conferimento di funzioni Pag. 70amministrative, il riconoscimento di autonomia finanziaria e l'esercizio di poteri sostitutivi da parte del Governo.
  Parallelamente, la I Commissione della Camera ha avviato l'esame di alcune proposte di legge di natura ordinaria, che modificano l'ordinamento vigente della città di Roma sotto diversi aspetti.
  In particolare, con la proposta di legge A.C. 2893 vengono introdotte disposizioni in materia di governo della città metropolitana di Roma, modificando a tal fine la legge n. 56 del 2014. Più in dettaglio, le modifiche mirano a disegnare una nuova forma di governo dell'ente città metropolitana di Roma, rivedendo il sistema elettorale degli organi.
  La proposta di legge A.C. 2923 ridefinisce lo status dell'ente territoriale Roma Capitale, stabilendo espressamente che a tale ente sono attribuite tutte le competenze proprie delle città metropolitane e ogni altra competenza prevista dalla legislazione vigente per l'ente Roma capitale. A tale fine, è prevista la soppressione degli esistenti organi della città metropolitana di Roma Capitale, con il contestuale trasferimento delle funzioni da essi esercitate agli organi di governo di Roma Capitale. La proposta di legge reca, inoltre, la ricostituzione della provincia di Roma, comprendente i comuni del territorio dell'attuale città metropolitana, e assegna al comune di Roma il compito di adottare specifiche misure per rafforzare il decentramento municipale.
  La proposta di legge A.C. 2931, infine, conferisce nuovi poteri al comune di Roma capitale, prevedendo la possibilità di intervento diretto in diversi ambiti (trasporto pubblico locale, gestione dei rifiuti, accesso ai fondi dell'Unione europea). Viene contemporaneamente ridefinito il Tavolo di raccordo interistituzionale per Roma capitale, quale sede permanente di confronto tra Stato, Regione Lazio e Roma Capitale, istituendo altresì – presso la Presidenza del Consiglio dei ministri – l'Ufficio per Roma capitale, al fine di coordinare le azioni del Governo nel territorio di Roma.

  Riguardo all'ordinamento di Roma Capitale, la Ministra per gli affari regionali e le autonomie, Mariastella Gelmini, nell'audizione del 26 maggio 2021, ha affermato di aver costituito un apposito gruppo di lavoro presso il Ministero, coordinato dal professor Francesco Saverio Marini, dedicato alla definizione dell'ordinamento di Roma Capitale e, dunque, all'attuazione dell'articolo 114 della Costituzione. L'obiettivo è quello di dotare la città di Roma di poteri, funzioni e risorse necessarie a esercitare il suo ruolo di capitale.
  Per quel che concerne il finanziamento del comune di Roma, in quanto sede della Capitale, va ricordato che ancora oggi esso è basato su trasferimenti speciali e sulle risorse del Fondo di solidarietà comunale.
  Si ricorda, al riguardo, che la questione degli oneri che gravano sul comune di Roma quale sede della capitale dello Stato è oggetto di una specifica norma recata dalla legge n. 42 del 2009, che, all'articolo 24, comma 5, lettera b), rimette alla disciplina delegata la «assegnazione di ulteriori risorse a Roma capitale, tenendo conto delle specifiche esigenze di finanziamento derivanti dal ruolo di capitale della Repubblica».
  In attuazione di tale disposizione, il decreto legislativo n. 61 del 2012, costituente il secondo decreto su Roma capitale, dettava le regole per la determinazione dei costi connessi al ruolo di Roma Capitale della Repubblica (articolo 2), rinviando a tal fine a un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo medesimo. La norma prevedeva che, con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, venisse Pag. 71determinato il maggior onere derivante per il Comune di Roma dall'esercizio delle funzioni connesse al ruolo di capitale della Repubblica, tenuto conto anche dei benefici economici che derivano da tale ruolo e degli effetti che si determinano sul gettito delle entrate tributarie statali e locali. La determinazione dei suddetti maggiori oneri contenuta nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri doveva essere effettuata sulla base di una proposta elaborata dalla Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale, adottata dalla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica. Il decreto attuativo del Presidente del Consiglio dei ministri, tuttavia, non è stato mai adottato e l'articolo 2 del decreto legislativo n. 61 del 2012 è stato abrogato dal decreto legislativo n. 10 del 2016.
  Allo stato attuale, al Comune di Roma, in quanto Capitale della Repubblica, viene assegnato un contributo annuo ai sensi della legge n. 1280 del 1964, come rifinanziata dall'articolo 1, comma 963, della legge finanziaria per il 2007 (legge n. 296 del 2006), a titolo di concorso dello Stato agli oneri finanziari che il comune sostiene, in dipendenza delle esigenze cui deve provvedere quale sede della Capitale, che è stato di volta in volta rideterminato nel corso degli anni da successivi provvedimenti legislativi. Esso risulta attualmente pari a 296,4 milioni di euro annui. Per le medesime finalità, successivi contributi sono stati autorizzati in favore del comune di Roma a decorrere dal 2002 (articolo 27, comma 3, della legge n. 448 del 2001), per un importo di 123,29 milioni di euro, per adeguare il concorso dello Stato agli oneri finanziari che il comune di Roma sostiene quale sede della Capitale. Più di recente, l'articolo 1, comma 531, della legge n. 190 del 2014 (legge di bilancio per il 2015) attribuisce a Roma Capitale, a decorrere dal 2015, un ulteriore contributo di 110 milioni di euro annui quale concorso dello Stato agli oneri che lo stesso Comune sostiene in qualità di capitale della Repubblica.
  Attualmente, dunque, il Comune di Roma, per far fronte agli oneri che Roma sostiene come Capitale della Repubblica, riceve una contribuzione speciale, al di fuori del meccanismo perequativo, di circa 530 milioni di euro annui. Per il resto, al pari di tutti i comuni delle regioni a statuto ordinario, il Comune di Roma partecipa alla ripartizione delle risorse del Fondo di solidarietà comunale.
  Come osservato dal Presidente della Commissione tecnica dei fabbisogni standard, Giampaolo Arachi, l'attuale struttura del finanziamento di Roma Capitale, articolato su diversi fondi, crea una serie di criticità per la città e un'asimmetria nei confronti degli altri comuni. In particolare, la partecipazione del Comune di Roma al riparto del Fondo di solidarietà comunale «tende ad offuscare gli effetti perequativi del FSC e a creare delle asimmetrie per il fatto che non è possibile dividere in modo netto l'impatto delle attività svolte dal comune di Roma come capitale d'Italia dalle normali funzioni fondamentali svolte da tutti i comuni»(50). A causa della sua dimensione, Roma assorbirebbe a regime il 15 per cento di tutte le risorse perequative del Fondo di solidarietà comunale con evidenti effetti distorsivi. Il Presidente della Commissione tecnica per i fabbisogni standard ha sottolineato, pertantoPag. 72 la necessità di una riorganizzazione dei trasferimenti per il Comune di Roma, con l'uscita della Capitale dal Fondo di solidarietà comunale e la previsione di un fondo incrementale. Ciò avrebbe il duplice vantaggio di poter trattare le esigenze di finanziamento aggiuntive della Capitale in modo più adeguato e di garantire una prospettiva di maggiore prevedibilità e certezza delle risorse.
  La necessità di un corretto riconoscimento delle specificità del comune di Roma è stata espressa anche dalla Viceministra dell'economia e delle finanze, Laura Castelli(51), la quale, in linea con quanto qui esposto, ha rimarcato l'opportunità di definire un regime speciale che collochi il comune al di fuori del Fondo di solidarietà comunale, riordinando complessivamente i trasferimenti esistenti.

  5.4 La finanza degli enti territoriali nel quadro del disegno di legge delega per la revisione del sistema fiscale

  Alcune novità in tema di finanza degli enti territoriali potrebbero intervenire a seguito dell'approvazione del disegno di legge di delega sulla riforma fiscale (A.C. 3343).
  In particolare, all'articolo 7, il disegno di legge, indica i principi e i criteri direttivi che devono guidare il Governo nella riforma della fiscalità comunale e regionale sia nella sua componente personale sia nella componente immobiliare.

  Nel corso dell'indagine conoscitiva condotta dalle Commissioni finanze di Camera e Senato sul tema della riforma, i soggetti auditi hanno evidenziato anzitutto che il processo di riforma dell'Irpef non dovrebbe prescindere, tra l'altro, dalla revisione delle addizionali regionali e locali. Sono stati auspicati interventi di semplificazione della loro struttura, mantenendo ferma la possibilità per gli enti territoriali di fissare un'aliquota di addizionale costante per tutti i livelli di reddito all'interno di un range prefissato a livello centrale. Si è, inoltre, da più parti proposto di eliminare tali addizionali, da sostituire con altrettante sovraimposte – ritenute meno distorsive – vale a dire prelievi aggiuntivi commisurati in percentuale all'importo dovuto dal contribuente a titolo di Irpef. Le Commissioni parlamentari, nel documento conclusivo dell'indagine, concordano sulla trasformazione delle addizionali degli enti territoriali in sovraimposte, ossia prelievi aventi come base imponibile il debito di imposta erariale, e non la stessa base imponibile Irpef; la manovrabilità delle sovraimposte dovrebbe rimanere in capo all'ente territoriale all'interno di un range predefinito.

  Il disegno di legge reca anzitutto una delega al Governo per la revisione delle addizionali comunali e regionali all'Irpef, prevedendo la sostituzione delle vigenti addizionali con altrettante sovraimposte(52) (dunque applicabili al debito d'imposta e non, come nell'attuale sistema, alla base imponibile del tributo erariale). La riforma deve concedere agli enti territoriali specifici margini di manovrabilità, con l'obiettivo di garantire un gettito corrispondente all'attuale (calcolato Pag. 73sulla media delle aliquote comunali, ovvero sulla misura dell'aliquota di base per l'addizionale regionale). Inoltre, sono previste specifiche regole per le regioni sottoposte a piani di rientro per disavanzi sanitari.
  In proposito, il consigliere dell'Ufficio parlamentare di bilancio, Alberto Zanardi, nell'ambito dell'audizione del 20 ottobre 2021, ha specificamente affrontato la tematica dell'imposizione locale in rapporto alla delega fiscale. In materia di addizionali degli enti territoriali, in particolare, ha rilevato che il passaggio da prelievi aggiuntivi, commisurati non più alla base imponibile dell'imposta erariale ma direttamente al debito di imposta erariale, evita il sovrapporsi di differenti strutture di progressività, lasciando al livello centrale l'esclusività nella determinazione del sistema di aliquote e scaglioni del prelievo personale sui redditi, da applicarsi sull'intero territorio nazionale, e quindi nello stabilire la progressività dell'imposta. L'introduzione di una sovraimposta, secondo il consigliere Zanardi, implicherebbe per gli enti decentrati una minore libertà decisionale: il prelievo locale è infatti in questo caso condizionato dalle scelte centrali in termini non solo di base imponibile – come avviene per l'addizionale – ma anche di struttura degli scaglioni, delle aliquote e del sistema di detrazioni. Dall'altro lato, la sovraimposta è comunque coerente con l'esigenza di lasciare agli enti decentrati un qualche spazio di manovra nella determinazione del tributo e, in questo senso, è preferibile rispetto alla compartecipazione al gettito.

  Nella sopracitata audizione, il consigliere Zanardi ha messo in evidenza che, per le regioni, la riforma prevede l'applicazione di un'aliquota base in grado di ricostituire per il complesso delle regioni lo stesso gettito ottenibile con quella base dell'addizionale all'Irpef e la possibilità di manovrare tale aliquota entro limiti prefissati; sul fronte municipale, si stabilisce l'introduzione di una sovraimposta i cui limiti di manovrabilità devono essere determinati in modo da garantire ai comuni nel loro complesso un gettito corrispondente a quello attualmente derivante dall'applicazione dell'aliquota media dell'addizionale all'Irpef.
  Lo stesso Zanardi ha quindi rilevato che, secondo questo sistema, per le regioni non dovrebbero emergere cambiamenti sulla capacità fiscale standard, ossia quella assicurata dal gettito derivante dall'applicazione dell'aliquota di base. Potrebbe invece cambiare lo sforzo fiscale potenzialmente esercitabile da questi enti a seconda di come verranno fissati i limiti di manovrabilità della sovraimposta. Appare diversa la situazione per i comuni. Ad avviso del consigliere Zanardi, infatti, stando al testo del disegno di legge, la sovraimposta dovrebbe consentire per l'intero comparto un gettito al massimo pari a quello oggi determinato dall'aliquota media dell'addizionale. Di conseguenza, nei comuni che oggi adottano aliquote di addizionale più elevate di quella media dell'intero comparto l'applicazione dell'aliquota massima della sovraimposta porterebbe a un gettito inferiore a quello garantito dall'attuale addizionale (cfr., in particolare, il documento allegato al resoconto stenografico dell'audizione del 20 ottobre 2021).

  Nell'ambito del ciclo di audizioni condotto dalla Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale è stato messo in risalto il rischio che si verifichi, per effetto della richiamata riforma delle addizionali, una riduzione dei margini di autonomia degli enti territoriali. In particolare, ad avviso del professor Dario Stevanato, «l'introduzione di una “sovraimposta” funzionante alla stregua di una addizionale in senso proprio all'Irpef, in luogo delle attuali addizionali Pag. 74regionali, determinerebbe altresì una riduzione degli attuali già esigui spazi di autonomia tributaria delle regioni, in nome di una omogeneità e uniformità nell'andamento del prelievo progressivo sui redditi su tutto il territorio nazionale»(53). Analoghe considerazioni sono state svolte dal professor Andrea Giovanardi(54). Secondo il professor Paolo Liberati, «il passaggio dall'addizionale alla sovraimposta implicherà comunque una variazione della struttura del prelievo; mentre è infatti immediato immaginare un'applicazione progressiva dell'addizionale – misurata sulla base imponibile – risulta di assai più complessa articolazione, e anche di difficoltà concettuale, la previsione di un'applicazione progressiva di una sovraimposta commisurata al gettito»(55). Inoltre, il professor Liberati ha sottolineato che la sostituzione delle addizionali all'Irpef con le sovraimposte va valutata anche in relazione alla revisione dell'imposizione personale sui redditi nella direzione del modello duale (che, sostanzialmente, prevede la tassazione dei redditi di lavoro con aliquote progressive e la tassazione degli altri con aliquota proporzionale), in quanto «la previsione di un sistema duale avrebbe l'effetto di restringere ulteriormente la base imponibile Irpef – e il gettito che da essa direttamente deriva – con la conseguenza che le sovraimposte agirebbero sulla componente redditi in misura più parziale rispetto al sistema precedente»(56). Sul punto della progressività, il professor Dario Stevanato, ha rilevato che, per effetto del «passaggio dell'Irpef a un sistema perfettamente duale, con i soli redditi di lavoro tassati ad aliquote progressive, e tutti gli altri tassati con aliquota proporzionale, il principio di progressività risulterà ulteriormente attenuato e ancor più recessivo rispetto ad altre esigenze di politica tributaria con esso contrastanti»(57). La professoressa Floriana Margherita Cerniglia, invece, ha messo in luce che «il passaggio del prelievo aggiuntivo delle regioni al gettito (o debito d'imposta) avrebbe il vantaggio di lasciare inalterato il grado di progressività deciso dal livello centrale a cui spetterebbe la determinazione del sistema delle Pag. 75aliquote sugli scaglioni. Di contro, le regioni avrebbero minori gradi di libertà»(58).
  Con riferimento alla fiscalità immobiliare, l'articolo 7 del disegno di legge prevede che, in attuazione dei principi del federalismo fiscale e per rafforzare la responsabilizzazione e la trasparenza nella gestione della finanza locale, venga rivisto l'attuale riparto tra Stato e comuni del gettito dei tributi sugli immobili destinati a uso produttivo appartenenti al gruppo catastale D ed eventualmente degli altri tributi incidenti sulle transazioni immobiliari. Tale revisione deve avvenire senza oneri per lo Stato, compensando eventuali variazioni di gettito per i diversi livelli di governo attraverso la corrispondente modifica del sistema dei trasferimenti erariali, degli altri tributi comunali e dei fondi di riequilibrio.

  Nel corso della richiamata indagine conoscitiva condotta dalle Commissioni riunite di Camera e Senato sono state formulate diverse proposte sulla fiscalità immobiliare. Il Dipartimento delle finanze del Ministero dell'economia e delle finanze ha effettuato, in particolare, alcune simulazioni sulla rimodulazione di tale prelievo, in ottemperanza al principio di separazione delle fonti di finanziamento dei diversi livelli di governo. Nella documentazione depositata ha rilevato che – in base agli ultimi dati – il gettito Imu derivante dagli immobili di gruppo D (come si è detto, riservato allo Stato) ammonta a circa 3,7 miliardi di euro.

  Si segnala, poi, che l'articolo 5 del disegno di legge delega il Governo ad emanare uno o più decreti legislativi volti al graduale superamento dell'imposta regionale sulle attività produttive (Irap), salvaguardando il finanziamento del fabbisogno sanitario(59). Tra le varie ipotesi che sono state prospettate sul progressivo abbandono dell'Irap è emersa quella relativa alla sostituzione di tale imposta con un'addizionale all'imposta sul reddito delle società (Ires), i cui effetti sul versante redistributivo andrebbero accuratamente valutati in considerazione della diversa base imponibile delle due imposte, data l'esigenza di assicurare il finanziamento del fabbisogno sanitario.

  In merito all'ipotesi prefigurata di un'addizionale all'Ires, il consigliere dell'Ufficio parlamentare di bilancio, Alberto Zanardi, ha richiamato l'attenzione proprio sulla necessità di un'attenta considerazione degli effetti redistributivi che deriverebbero dalle differenze tra le due imposte(60). Sul tema, il professor Paolo Liberati ha rilevato che, in ogni caso, «sarebbe opportuno dotare le Regioni di una forma di tributo che sia meno esposta alle politiche nazionali, rafforzando un regime di separazione delle fonti non solo formale, ma di natura sostanziale», rimarcando altresì che l'abolizione dell'Irap dovrà «tener conto della necessità di ulteriori o diverse coperture del fabbisogno Pag. 76sanitario regionale»(61). A giudizio del professor Dario Stevanato, poi, «il superamento dell'Irap a favore di una addizionale o maggiorazione di aliquota Ires darebbe luogo a una diversa ripartizione dei carichi tributari e a una riduzione della sfera di autonomia tributaria regionale, data la maggiore manovrabilità oggi riconoscibile all'Irap, rispetto a quella che connoterebbe una maggiorazione di aliquota o una addizionale Ires»(62). Considerazioni analoghe sono state svolte – nella memoria prodotta in audizione – dal professor Andrea Giovanardi, secondo il quale «il superamento dell'IRAP non potrà che influire negativamente sui margini di autonomia tributaria riconosciuti alle regioni»(63). Inoltre, sempre secondo il professor Giovanardi, «la base imponibile dell'IRES è diversa dalla base imponibile dell'IRAP». Il che prefigura effetti redistributivi dal punto di vista territoriale, in ragione del fatto che solo l'Irap (in forza dell'articolo 4, comma 2, del decreto legislativo n. 446 del 1997) riconduce la base imponibile a ciascuna regione in dipendenza dell'ammontare delle retribuzioni spettanti al personale dislocato nei vari territori. Infatti, come riferito dal professore nel corso dell'audizione del 3 novembre 2021, l'Irap colpisce le imprese per dove esse lavorano e per dove ci sono gli stabilimenti, quindi in relazione al costo del lavoro. Con un'addizionale Ires, invece, si fa riferimento alla sede legale. Con la conseguenza – come puntualizzato nella memoria consegnata alla Commissione sempre in data 3 novembre 2021 – che «se ne avvantaggeranno quindi le regioni che dispongono nel loro territorio del maggior numero di sedi legali delle società, segnatamente Lombardia e Lazio, con conseguente necessità di impostare meccanismi perequativi che, tuttavia, come ha segnalato l'UPB, funzionerebbero solo per la parte del prelievo considerata come standard». Pertanto, va attentamente analizzata l'agevole fattibilità d'impostazione dei correlati meccanismi perequativi.

  Da ultimo, l'articolo 6 prevede una delega legislativa per modificare la disciplina relativa al sistema di rilevazione catastale, al fine di modernizzare gli strumenti di individuazione e di controllo delle consistenze dei terreni e dei fabbricati, nonché per addivenire a un'integrazione delle informazioni presenti nel catasto dei fabbricati in tutto il territorio nazionale. Dalla disposizione non sono attesi effetti finanziari sul lato delle entrate, in quanto è prevista l'invarianza della base imponibile dei tributi, la cui determinazione continuerà a basarsi sulle risultanze catastali vigenti(64).
  In conclusione, è necessario affrontare l'esame del disegno di legge recante la delega fiscale e la relativa fase attuativa con grande attenzione,Pag. 77 al fine di garantire la tutela sostanziale e non formale del federalismo fiscale assicurando il rispetto dei principi di autonomia e responsabilità degli enti territoriali.

  5.5 La perequazione infrastrutturale

  La perequazione infrastrutturale costituisce uno dei pilastri dell'impianto del federalismo fiscale disegnato dalla legge n. 42 del 2009, benché sia rimasta – come i livelli essenziali delle prestazioni – in una permanente fase di transizione. Al riguardo, appare significativo quanto riferito dalla professoressa Floriana Margherita Cerniglia, la quale, nel rilevare che la perequazione infrastrutturale è stata negli anni totalmente accantonata, ha osservato che la crisi del 2009 ha portato a una caduta della spesa in conto capitale, con effetti particolarmente pesanti per i bilanci locali, in quanto gli enti decentrati «gestiscono circa il 60% di tutta la spesa in conto capitale»(65) delle amministrazioni pubbliche.
  In particolare, l'articolo 22 della legge n. 42 del 2009 prevede l'attuazione della perequazione infrastrutturale tra le diverse aree geografiche del territorio nazionale, ai fini del recupero del deficit infrastrutturale del Paese nella fase transitoria di attuazione del processo federalista. Tale attuazione deve avvenire, in coerenza con l'azione strutturale a sostegno della rimozione degli squilibri economici e sociali, tramite la realizzazione di interventi speciali finanziati con le risorse aggiuntive (e non sostitutive rispetto a quelle del bilancio ordinario) previste dall'articolo 119, quinto comma, della Costituzione.
  L'azione si concentra in due fasi:

   ■ censimento delle mancanze infrastrutturali e dei divari a livello territoriale;

   ■ programmazione degli interventi utili a realizzare un benessere infrastrutturale omogeneo tra i territori del Paese.

  Si rammenta che l'articolo 22 della legge n. 42 del 2009, nel suo testo originario, prevedeva, in sede di prima applicazione, una ricognizione degli interventi infrastrutturali riguardanti:

   ■ la rete stradale, autostradale e ferroviaria;

   ■ la rete fognaria;

   ■ la rete idrica, elettrica e di trasporto e distribuzione del gas;

   ■ le strutture portuali e aeroportuali;

   ■ le strutture sanitarie, assistenziali e scolastiche.

Pag. 78

  Il compito di effettuare la ricognizione veniva attribuito al Ministro dell'economia e delle finanze, «d'intesa con il Ministro per le riforme per il federalismo, il Ministro per la semplificazione normativa, il Ministro per i rapporti con le regioni e gli altri Ministri competenti per materia». Ai fini della ricognizione, si indicavano i seguenti elementi di cui tener conto: estensione delle superfici territoriali; densità della popolazione e delle unità produttive; particolari requisiti delle zone montane; carenze della dotazione infrastrutturale di ciascun territorio; valutazione della specificità dei territori insulari; deficit infrastrutturale e di sviluppo; valutazione della rete viaria, soprattutto quella del Mezzogiorno.
  Nella formulazione precedente era disciplinata una fase transitoria (definita agli articoli 20 e 21 della medesima legge n. 42 del 2009), nella quale si prevedeva l'individuazione, sulla base della richiamata ricognizione, di interventi perequativi che tenessero conto anche della virtuosità degli enti nell'adeguamento al processo di convergenza ai costi o al fabbisogno standard. Siffatti interventi da effettuare nelle aree sottoutilizzate avrebbero dovuto essere individuati nell'allegato infrastrutture al Documento di programmazione economico-finanziaria.
  In sede di prima applicazione, è stato emanato il decreto interministeriale 26 novembre 2010 (Disposizioni in materia di perequazione infrastrutturale, ai sensi dell'articolo 22 della legge 5 maggio 2009, n. 42), volto a disciplinare la ricognizione degli interventi – propedeutica alla perequazione infrastrutturale – riguardanti le strutture sanitarie, assistenziali e scolastiche, la rete stradale, autostradale e ferroviaria, la rete fognaria, la rete idrica, elettrica e di trasporto e distribuzione del gas, le strutture portuali e aeroportuali, nonché i servizi afferenti al trasporto pubblico locale e al collegamento con le isole.

  La disciplina recata all'articolo 22 della legge n. 42 del 2009, rimasta per lungo tempo inattuata, è stata di recente modificata da una serie di interventi normativi, che hanno introdotto numerose innovazioni.
  In prima battuta, la materia è stata ridefinita dall'articolo 1, comma 815, della legge di bilancio per il 2021 (legge n. 178 del 2020), che ha novellato il citato articolo 22 (inserendo, nel testo originario, i commi da 1-bis a 1-sexies). Nel rivisitare la disciplina, è stato specificato che la finalità degli interventi perequativi, consistente nel recupero del deficit infrastrutturale tra le diverse aree geografiche del territorio nazionale, avrebbe dovuto riguardare anche le aree infra-regionali, al fine di colmare eventuali divari riferiti a territori situati in regioni che, nelle restanti parti, siano adeguatamente dotate di capitale fisico. Il compito di effettuare la ricognizione delle dotazioni infrastrutturali esistenti è stato così demandato a uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri (mentre nel testo originario veniva attribuito al Ministro dell'economia e delle finanze) da adottarsi entro il termine del 30 giugno 2021.
  La legge di bilancio per il 2021 ha inoltre previsto l'istituzione, nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, del «Fondo perequativo infrastrutturale» per il finanziamento delle infrastrutture necessarie ad assorbire il divario infrastrutturale, con una dotazione complessiva pari a 4,6 miliardi di euro per gli anni dal 2022 al 2033.
  Successivamente, è intervenuto l'articolo 59 del decreto-legge n. 77 del 2021 che, nel testo presentato alla Camera, riformulava l'articolo 22 della legge n. 42 del 2009 con la finalità di semplificare il procedimento di perequazione infrastrutturale. Nel corso dell'esame parlamentare, Pag. 79tale articolo è stato tuttavia radicalmente modificato, sicché, in luogo di una nuova disciplina, esso ha disposto un mero slittamento dal 30 giugno al 31 dicembre 2021 del termine entro cui, da un lato, avrebbe dovuto essere effettuata la ricognizione delle dotazioni infrastrutturali e, dall'altro, avrebbero dovuto essere definiti gli standard di riferimento per la perequazione infrastrutturale in termini di servizi minimi per le predette tipologie di infrastrutture.
  Da ultimo, l'articolo 15 del decreto-legge n. 121 del 2021 ha rivisitato nuovamente il testo del citato articolo 22 della legge n. 42 del 2009, riscrivendo il procedimento di perequazione infrastrutturale e riprendendo, in gran parte, l'impostazione dell'originario testo dell'articolo 59 del decreto-legge n. 77 del 2021.
  In base alla formulazione ora vigente, il comma 1 dell'articolo 22 della legge n. 42 del 2009 distingue due tipologie di ricognizione dirette ad assicurare il recupero del divario infrastrutturale tra le diverse aree geografiche del territorio nazionale, anche infra-regionali, nonché a garantire analoghi livelli essenziali di infrastrutturazione e dei servizi a essi connessi(66):

   a) una prima tipologia, riguardante le infrastrutture statali, è demandata al Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili ed è da effettuarsi entro il 30 novembre 2021 (in luogo del 31 dicembre stabilito dalla normativa previgente), sentite le amministrazioni competenti e le strutture tecniche del Ministro per il Sud e la coesione territoriale. La nuova disciplina mira alla ricognizione del numero e della classificazione funzionale delle strutture sanitarie, assistenziali e scolastiche, nonché alla ricognizione del numero e dell'estensione, con indicazione della relativa classificazione funzionale, delle infrastrutture stradali, autostradali, ferroviarie, portuali, aeroportuali e idriche. Rispetto al testo previgente non figurano più «le reti elettrica e digitale e di trasporto e distribuzione del gas»;

   b) una seconda tipologia di ricognizione riguarda le infrastrutture non di competenza statale. Alla ricognizione provvedono gli enti territoriali, nonché gli altri soggetti pubblici e privati, per quanto di rispettiva competenza, con la facoltà di avvalersi del supporto tecnico-amministrativo dell'Agenzia per la coesione territoriale. La ricognizione è comunicata alle regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano entro il 30 novembre 2021. Queste ultime trasmettono poi la predetta documentazione, unitamente agli esiti della ricognizione effettuata sulle infrastrutture di propria competenza, nei successivi cinque giorni, alla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, che, a sua volta, predispone il documento di ricognizione conclusivo da comunicare, entro il 31 dicembre 2021, al Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie della Presidenza del Consiglio dei ministri.

  Dalla documentazione prodotta dal Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, Enrico Giovannini, in occasione dell'audizione del 13 ottobre 2021, si evince che – ai fini dell'attività di Pag. 80ricognizione delle infrastrutture di competenza del Ministero – le analisi tecniche effettuate hanno individuato nella fonte Istat «Indicatori territoriali di dotazione infrastrutturale-Atlante Statistico Territoriale delle Infrastrutture» e negli indicatori di accessibilità, sul modello di quelli elaborati dalla Banca d'Italia(67), il principale riferimento statistico per lo svolgimento di tale attività ricognitiva. Secondo quanto riportato nella suddetta documentazione ministeriale, ai fini della ricognizione, gli indicatori di offerta devono essere rapportati alla domanda di mobilità che, a sua volta, può essere rappresentata con la superficie territoriale, la popolazione, il livello di attività economica: occorrono quindi una lettura integrata e un approccio olistico, perché i diversi fattori di scala possono produrre graduatorie molto diverse tra regioni in termini di adeguatezza della dotazione infrastrutturale(68).
  Agli esiti della fase ricognitiva, si demanda a un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare entro il 31 marzo 2022:

   ■ la definizione dei criteri di priorità e delle azioni da perseguire per il recupero del divario infrastrutturale e di sviluppo risultante dalla ricognizione. A tal fine, occorre avere riguardo alle carenze infrastrutturali, anche con riferimento agli aspetti prestazionali e qualitativi, sussistenti in ciascun territorio, con particolare attenzione alle aree che risentono di maggiori criticità nei collegamenti infrastrutturali con le reti su gomma e su ferro di carattere e valenza nazionale della dotazione infrastrutturale sussistenti in ciascun territorio, all'estensione delle superfici territoriali e alla specificità insulare e delle zone di montagna e delle aree interne, nonché dei territori del Mezzogiorno(69), alla densità della popolazione e delle unità produttive;

   ■ l'individuazione dei Ministeri competenti e della quota di finanziamento, con ripartizione annuale, a valere sulle risorse del Fondo perequativo infrastrutturale.

  Per il finanziamento delle infrastrutture necessarie ad assorbire il divario infrastrutturale, come detto, è stato istituito, nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, il Fondo perequativo infrastrutturale, con una dotazione complessiva di 4,6 miliardi di euro per gli anni dal 2022 al 2033 (100 milioni di euro per il 2022, Pag. 81300 milioni di euro per ciascun anno dal 2023 al 2027, 500 milioni di euro per ciascun anno dal 2028 al 2033).
  Ai fini della realizzazione dell'obiettivo della riduzione dei divari tra i diversi territori, si prevede un'azione di coordinamento tra la pluralità di strumenti e fondi disponibili per tale finalità, tenendo conto di quanto previsto dal Piano nazionale di ripresa e resilienza e dal Piano complementare.

  Si segnala che il Fondo perequativo infrastrutturale non rientra nell'ambito di applicazione dell'articolo 7-bis del decreto-legge n. 243 del 2016, che introduce, al fine di favorire il riequilibrio territoriale, il criterio di assegnazione preferenziale di risorse ordinarie a favore degli interventi nei territori delle regioni del Mezzogiorno (cosiddetta regola del 34 per cento). La disposizione, in particolare, stabilisce che le amministrazioni centrali dello Stato siano tenute ad assicurare l'obiettivo di destinare agli interventi nelle regioni del Mezzogiorno un volume complessivo annuale di stanziamenti ordinari in conto capitale proporzionale alla popolazione di riferimento (corrispondente, cioè, al 34 per cento degli stanziamenti complessivi).

  Entro il 30 aprile (30 giorni dal citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri), ciascun Ministero assegnatario delle risorse deve adottare un apposito piano di intervento, con decreto del Ministro competente, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa intesa in sede di Conferenza Stato-regioni, che individui:

   ■ gli interventi da realizzare, che non devono essere già oggetto di integrale finanziamento a valere su altri fondi nazionali o dell'Unione europea, corredati del codice unico di progetto (Cup);

   ■ l'importo del relativo finanziamento;

   ■ i soggetti attuatori, in relazione al tipo e alla localizzazione degli interventi da effettuare;

   ■ il cronoprogramma della spesa, con indicazione delle risorse annuali necessarie per la loro realizzazione;

   ■ le modalità di revoca e di eventuale riassegnazione delle risorse in caso di mancato avvio nei termini previsti dell'opera da finanziare.

  Il Piano è infine comunicato alla Conferenza unificata.
  È previsto un monitoraggio in relazione alla realizzazione degli interventi da effettuarsi attraverso il sistema di cui al decreto legislativo n. 229 del 2011, che contempla specifici obblighi per le amministrazioni pubbliche e per i soggetti, anche privati, che realizzano opere pubbliche.

  In base a tale sistema, tutti gli enti beneficiari degli incentivi sono obbligati a detenere e ad alimentare un sistema gestionale informatizzato contenente le informazioni anagrafiche, finanziarie, fisiche e procedurali relative alla pianificazione e alla programmazione delle opere e dei relativi interventi, nonché all'affidamento e allo stato di attuazione di tali opere e interventi, a partire dallo stanziamento iscritto in bilancio fino ai dati dei costi complessivi effettivamente sostenuti in relazione allo stato di avanzamento delle opere. I soggetti attuatori sono altresì obbligati ad alimentare il sistema informatico «Monitoraggio delle opere pubbliche» nell'ambito della Banca dati delle amministrazioni pubbliche (Bdap).

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  Nella tavola che segue è riportata, in sintesi, la tempistica degli adempimenti di cui alla nuova formulazione dell'articolo 22 della legge n. 42 del 2009:

Termine (entro)

Adempimenti

30 novembre 2021

  Il Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili effettua la ricognizione di alcune tipologie di infrastrutture statali.

30 novembre 2021

  Gli enti locali trasmettono alla propria regione e alla propria provincia autonoma la ricognizione delle infrastrutture non statali di loro competenza.

5 dicembre 2021

  Le regioni trasmettono la ricognizione delle infrastrutture non statali di loro competenza (unitamente a quelle pervenute dagli enti locali e dagli altri soggetti pubblici e privati) alla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome.

31 dicembre 2021

  La Conferenza delle Regioni e delle Province autonome trasmette il documento di ricognizione conclusivo (da essa predisposto), al Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie della Presidenza del Consiglio dei ministri.

31 marzo 2022

  È adottato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri recante i criteri di priorità e le azioni da perseguire per il recupero del divario infrastrutturale e di sviluppo risultante dalla ricognizione.

30 aprile 2022

(Entro 30 giorni dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri)

  È adottato, con decreto del Ministro competente, d'intesa con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa intesa in Conferenza Stato-regioni, un apposito Piano che individua gli interventi da realizzare. L'individuazione di tali interventi avviene anche sulla base di una proposta non vincolante da parte della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome. Il Piano è comunicato alla Conferenza unificata.

  La necessità del recupero del divario infrastrutturale tra le diverse aree del Paese è stata sottolineata, nell'audizione del 16 giugno 2021, dalla Ministra per il Sud e la coesione territoriale, Maria Rosaria Carfagna, la quale ha rilevato che le risorse attualmente messe in campo per la perequazione infrastrutturale sono davvero ingenti e potranno contribuire a colmare il gap delle regioni meridionali, se utilizzate in sinergia con i fondi strutturali e il Fondo per lo sviluppo e la coesione (che hanno lo scopo di ridurre i divari infrastrutturali, economici e sociali delle aree meno prospere del Paese) e secondo una logica di complementarietà rispetto agli interventi previsti nel Piano nazionale di ripresa e resilienza. Il nuovo percorso rende possibile – secondo la Ministra – la ricognizione delle infrastrutture in tempi certi nonché la programmazione in tempi brevi di interventi di riequilibrio infrastrutturale per strade, ferrovie locali, scuole e ospedali.Pag. 83
  Al riguardo, il consigliere dell'Ufficio parlamentare di bilancio, Alberto Zanardi, ha evidenziato la preoccupazione che il meccanismo e lo scadenziario molto stringenti stabiliti nel decreto-legge n. 121 del 2021 possano peraltro «condurre a rilevazioni poco omogenee in assenza di adeguate linee operative fissate in anticipo per i diversi livelli di governo»(70).
  Per quanto concerne le risorse a disposizione per il recupero del divario infrastrutturale tra le diverse aree geografiche del territorio nazionale, va ricordato che, oltre al neo costituito Fondo perequativo infrastrutturale, sono funzionali al raggiungimento dell'obiettivo diversi altri strumenti finanziari che si aggiungono alle risorse ordinariamente stanziate nel bilancio dello Stato: il Piano nazionale di ripresa e resilienza, il Piano nazionale complementare, il Fondo per lo sviluppo e la coesione, i Fondi strutturali europei (in particolare, il Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr).
  Come messo in luce dal consigliere dell'Ufficio parlamentare di bilancio, Alberto Zanardi(71), se si considerano tutte le fonti di finanziamento testé richiamate, le risorse con le quali potranno essere finanziati interventi aggiuntivi e speciali per ridurre i divari infrastrutturali ammontano in totale a circa 156 miliardi di euro: 50 miliardi di euro del nuovo Fondo di solidarietà comunale (sino al 2027); 51,2 miliardi di euro del nuovo Fesr (sino al 2027); 4,6 miliardi di euro del neo costituito Fondo perequativo infrastrutturale (sino al 2033); almeno 40 miliardi di euro provenienti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (assegnati al Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili); 10 miliardi di euro assegnati al Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili a valere sulle risorse del Piano complementare (sino al 2026). Da una diversa angolazione, il consigliere Zanardi ha osservato che «il rilievo che la perequazione infrastrutturale ha tra gli obiettivi del PNRR traspare dalla quota delle risorse assegnate al MIMS: circa 33,5 miliardi (oltre il 17,5 per cento del totale delle risorse del RFF), di cui circa 15 miliardi relativi a progetti già in corso e 18,5 a nuovi progetti». Se si tiene conto anche della «quota di spettanza del MIMS sulle risorse aggiuntive convogliate dal FSC nel PNRR (circa 6,2 miliardi), diventano circa 40 i miliardi disponibili nel PNRR per interventi di infrastrutturazione»(72).
  Circa le risorse assegnate al Ministero delle infrastrutture e delle mobilità sostenibili, quale amministrazione titolare, il Ministro Enrico Giovannini, nell'audizione del 13 ottobre 2021, ha sottolineato che, ai fini del superamento del divario infrastrutturale, «il 50% dei 40 miliardi di euro finanziati dal NGEU va alle regioni del Mezzogiorno; tale percentuale sale al 63% se si considerano unicamente le “nuove risorse”. Per il Piano Complementare (circa 10 miliardi di euro(73)) la Pag. 84percentuale di risorse destinate alle regioni del Mezzogiorno è pari al 91%»(74).
  Oltre alle risorse a diretta titolarità del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, il Piano nazionale di ripresa e resilienza e il Piano complementare assegnano risorse anche ad altri Ministeri che concorrono agli obiettivi di infrastrutturazione e perequazione, in particolare al Ministero della salute, al Ministero dell'istruzione, al Ministero della transizione ecologica e al Ministero dell'università e ricerca, i quali sovrintendono, in particolare, a funzioni interessate da processi di transizione ecologica e digitale. Confluisce, inoltre, nelle risorse a disposizione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, circa un terzo (15,6 miliardi di euro) delle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione per la programmazione 2121-2027, autorizzate nell'importo di complessivi 50 miliardi di euro dall'articolo 1, comma 177, della legge n. 178 del 2021.
  Come rilevato dal Presidente della società Sose S.p.A., Vincenzo Carbone, «il PNRR offre al nostro Paese una grande opportunità per poter colmare i gap infrastrutturali esistenti tra i diversi territori, che si traducono in diversi livelli di servizi pubblici offerti dalle Regioni, Province, Città metropolitane e Comuni»(75). Nel corso degli ultimi mesi, secondo quanto riferito in audizione, la Sose S.p.A. ha fornito supporto al Ministero dell'economia e delle finanze per analizzare i settori e le possibili azioni di intervento nell'ambito delle funzioni e dei servizi considerati dal Piano nazionale di ripresa e resilienza di competenza degli enti territoriali, grazie all'esperienza acquisita nell'ambito dei fabbisogni standard degli enti territoriali. Le analisi svolte da Sose S.p.A. – in particolare sugli asili nido e sugli altri servizi svolti dai comuni – non si sono limitate ad analizzare i gap infrastrutturali, ma hanno riguardato anche la quantità di risorse correnti necessarie per permettere che le infrastrutture realizzate possano funzionare. Infatti, «Per far in modo che gli investimenti realizzati nell'ambito del PNRR determinino un reale incremento di servizi locali sarà necessario garantire il finanziamento adeguato della gestione corrente e mettere in atto il monitoraggio dei servizi svolti»(76).
  Ad avviso del consigliere dell'Ufficio parlamentare di bilancio, Alberto Zanardi, vista l'ampia dotazione finanziaria, assume rilevanza strategica l'azione di coordinamento delle diverse fonti di finanziamento, durante tutte le fasi, dalle linee generali di azione, alla scelta dei progetti da finanziare, al monitoraggio degli avanzamenti, sino alla conclusione delle opere con la relativa messa in funzione. Lo stesso consigliere Zanardi ha pertanto sottolineato: «Anche se l'esigenza di coordinamento è un punto chiave che riguarda tutti gli interventi, sulle spese in conto capitale tocca la sua rilevanza massima perché errori e approssimazioni nella messa a terra delle opere sono difficilmente reversibili. Il tema del coordinamento si è già posto durante i cicli di programmazione passati nelle relazioni tra FSC e FESR e, all'interno del quadro europeo, in quelle tra il FESR, il Fondo sociale e i Pag. 85Programmi di cooperazione territoriale; tuttavia adesso merita ancora più attenzione perché deve realizzarsi tra un maggior numero di fondi chiamati a intermediare molte più risorse, ciascuno con aspetti specifici di governance e con diverse riserve di destinazione. La riflessione su come ottimizzare il coordinamento dovrebbe prendere in considerazione anche i tre fondi creati con le leggi di bilancio per il 2017, 2019 e 2020 che, pur non avendo espliciti obiettivi di perequazione tra territori, mirano anch'essi al rilancio degli investimenti infrastrutturali, sono attivi sui medesimi orizzonti lunghi di tempo e, soprattutto, hanno una dotazione finanziaria complessiva iniziale di quasi 111 miliardi solo in parte attributi e utilizzati»(77).

  5.6 Il federalismo demaniale

  Il decreto legislativo n. 85 del 2010 ha delineato un articolato percorso di individuazione e di attribuzione, a titolo gratuito, a diversi livelli di governo territoriale di beni immobili, demaniali o patrimoniali, di proprietà dello Stato, prevedendo modalità diverse di attribuzione, in funzione dei beni e delle amministrazioni che curano la gestione dei vari immobili. Lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri previsto dal decreto legislativo n. 85 (beni patrimoniali trasferibili), iscritto più volte all'ordine del giorno della Conferenza unificata, non ha registrato l'acquisizione dell'intesa prescritta. Analogamente, lo schema di decreto del direttore dell'Agenzia del demanio recante l'elenco dei beni esclusi dal trasferimento (articolo 5, comma 3) ha riportato il parere negativo della Conferenza.
  Di fronte a tale impasse, il legislatore ha in taluni casi emanato, nell'ambito di provvedimenti di urgenza, norme che hanno interessato singole tipologie di beni (quali, ad esempio, i beni culturali), al fine di accelerarne il trasferimento. Scaduto il termine di tre anni per l'emanazione di provvedimenti correttivi e integrativi del decreto legislativo n. 85 del 2010 previsto dalla legge n. 42 del 2009, il legislatore ha introdotto una procedura semplificata per il trasferimento agli enti territoriali di immobili, attraverso l'articolo 56-bis del decreto-legge n. 69 del 2013.
  La nuova procedura ha delineato un meccanismo diretto di interlocuzione tra enti territoriali e Agenzia del demanio, che valorizza la verifica delle effettive esigenze, ovvero delle opportunità di utilizzo degli immobili. Trascorsi tre anni dal trasferimento, qualora all'esito di apposito monitoraggio effettuato dall'Agenzia del demanio l'ente territoriale non risulti utilizzare i beni trasferiti, gli stessi rientrano nella proprietà dello Stato, che ne assicura la migliore utilizzazione.
  Parallelamente, ai sensi dell'articolo 5, comma 5, del decreto legislativo n. 85 del 2010, è stata data attuazione al cosiddetto federalismo demaniale culturale, per il trasferimento a titolo gratuito di beni dello Stato di grande pregio e valore storico-artistico agli enti territoriali. L'iter prevede il passaggio dei beni, a titolo gratuito, sulla base di un progetto di recupero che ne garantisce anche la tutela, la salvaguardia e la conservazione.Pag. 86
  Secondo i dati presentati in audizione dal Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri pro tempore, Giancarlo Giorgetti, il 29 maggio 2019, tra procedura ordinaria (4.997) e federalismo demaniale culturale (142) sono stati trasferiti 5.139 immobili per un valore di 1,83 miliardi di euro, con riferimento a 1.324 enti territoriali.
  Da ultimo, nella Relazione sulla performance del 2020 dell'Agenzia del demanio (febbraio 2021) si evidenzia che, nel corso del 2020, sono stati trasferiti 275 beni – per un valore di 55,1 milioni di euro – con le procedure di federalismo demaniale. Le procedure concluse per attuazione del federalismo culturale (con o senza trasferimento) sono state 122. Per quanto concerne l'attività di monitoraggio dell'utilizzo dei beni, al 31 dicembre 2020 risultano complessivamente completate 4.491 verifiche, di cui 657 nell'anno. Nella predetta Relazione si sottolinea che il ritardo delle attività rispetto a quanto pianificato (880 monitoraggi previsti) è stato dovuto al mancato riscontro, da parte di numerosi enti locali, alle richieste dell'Agenzia del demanio finalizzate a verificare l'effettivo utilizzo dei beni trasferiti. Al fine di superare tale problematica, pertanto, a partire dal prossimo esercizio si procederà a programmare delle visite congiunte con gli enti locali presso gli immobili trasferiti.

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6. IL SOSTEGNO AGLI ENTI TERRITORIALI IN RELAZIONE ALL'EMERGENZA PANDEMICA

  La situazione determinata dall'emergenza epidemiologica da Covid-19 ha comportato la necessità, nel corso degli anni 2020 e 2021, di una serie di interventi straordinari di sostegno alla finanza degli enti territoriali, al fine di garantire il finanziamento delle funzioni fondamentali e dei livelli essenziali delle prestazioni ed evitare che l'insorgere della pandemia potesse comportare un indiscriminato deterioramento degli equilibri di bilancio degli enti territoriali.
  Numerosi sono stati, pertanto, gli interventi a ristoro delle minori entrate o delle maggiori spese nonché i provvedimenti di carattere fiscale, ovvero finanziario-contabile, che sono stati varati in stretta correlazione con la pandemia (quali anticipazioni di liquidità per il pagamento dei debiti commerciali, agevolazioni per la rinegoziazione dei mutui, utilizzo dell'avanzo libero di amministrazione per spese emergenziali e altri), anche al fine di introdurre misure di flessibilità nella gestione del bilancio.
  Secondo quanto riportato nell'audizione della Viceministra Castelli del 9 giugno 2021:

   ■ le regioni hanno beneficiato di risorse, sia in ambito sanitario che in ambiti non sanitari, per circa 24 miliardi di euro nel 2020 e oltre 7 miliardi nel 2021;

   ■ gli enti locali hanno beneficiato di interventi complessivamente pari a 15,6 miliardi di euro nel 2020 e a 4,9 miliardi di euro nel 2021;

   ■ in particolare, a ristoro delle maggiori spese hanno ottenuto 1,6 miliardi di euro nel 2020 e 0,9 miliardi di euro nel 2021. A ristoro delle minori entrate sono state stanziate risorse per 6,1 miliardi di euro nel 2020 e per 3 miliardi di euro nel 2021. Infine, per altre tipologie (anticipazioni di liquidità e rinegoziazione mutui) sono stati previsti 7,9 miliardi di euro nel 2020 e 1 miliardo di euro nel 2021.

  6.1 Il sostegno alla finanza regionale

  Le misure di sostegno alla finanza regionale adottate a partire dall'esercizio 2020, sono indirizzate a tutte le regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano e sono dirette principalmente ai seguenti obiettivi:

   ■ compensare la perdita di entrate tributarie connessa all'emergenza sanitaria, attraverso il Fondo per l'esercizio delle funzioni delle regioni e delle province autonome;

   ■ intervenire nel pagamento delle quote capitale, in scadenza nel 2020, per i prestiti concessi dal Ministero dell'economia e finanze e dalla Cassa depositi e prestiti attraverso la sospensione del pagamento;

   ■ ampliare la capacità di spesa, grazie alla possibilità di utilizzare l'avanzo di amministrazione, e rendere più flessibili alcune regole di contabilità.

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  Altre misure sono state adottate per le sole regioni a statuto ordinario con il fine di sostenere il ristoro delle categorie soggette a restrizioni in relazione all'emergenza da Covid-19.

  6.1.1 La compensazione della perdita di entrate tributarie

  Il Fondo per l'esercizio delle funzioni delle regioni e delle province autonome è stato istituito con l'articolo 111 del decreto-legge n. 34 del 2020. La relativa disciplina è stata successivamente modificata e integrata dall'articolo 41, comma 1, del decreto-legge n. 104 del 2020 e dalla legge di bilancio per il 2021 (articolo 1, commi 823-826, della legge n. 178 del 2020).
  Il Fondo è destinato a compensare la perdita di entrate tributarie connessa all'emergenza epidemiologica da Covid-19, al netto delle minori spese e delle risorse assegnate a vario titolo dallo Stato, e ha una dotazione complessiva di 4.300 milioni di euro per il 2020, di cui di cui 1.700 milioni di euro a favore delle regioni a statuto ordinario e 2.600 milioni di euro a favore delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano.
  La ripartizione tra le regioni è stata effettuata con due accordi sanciti in sede di Conferenza Stato-regioni il 20 luglio 2020: uno con le regioni a statuto ordinario (repertorio atti n. 114 Csr) e l'altro con le regioni a statuto speciale e le province autonome (repertorio atti n. 115 Csr).
  Per le regioni a statuto ordinario, in attuazione dell'accordo del 20 luglio 2020, il citato articolo 111 del decreto-legge n. 34 del 2020, al comma 2-quinquies, determina, in un'apposita tabella, le quote del Fondo di spettanza di ciascuna regione, per un importo totale di 1.700 milioni di euro, suddiviso in una prima quota pari a complessivi 500 milioni di euro e in una seconda quota pari a complessivi 1.200 milioni. Il comma 2-sexies definisce le regole per la contabilizzazione dei trasferimenti alle regioni a statuto ordinario.
  Le risorse del Fondo – secondo quanto stabilisce l'articolo 1, comma 823, della legge di bilancio per il 2021 – sono vincolate alla esclusiva finalità di ristorare, nel biennio 2020-2021, la perdita di gettito connessa all'emergenza epidemiologica da Covid-19. Le risorse non utilizzate alla fine di ciascun esercizio confluiscono nella quota vincolata del risultato di amministrazione e non possono essere svincolate. Le eventuali risorse ricevute in eccesso sono versate all'entrata del bilancio dello Stato.
  Per quanto concerne la verifica delle effettive minori entrate tributarie incassate dalle regioni a statuto ordinario, entro il 30 settembre 2021 deve essere determinato l'importo dell'effettivo minore gettito, tenendo conto delle maggiori e minori spese e dei ristori, registrato nell'esercizio 2020 (il termine, inizialmente fissato al 30 giugno 2021 dall'articolo 111, comma 2-septies, del decreto-legge n. 34 del 2020, è stato così prorogato dall'articolo 11-quater, comma 4, del decreto-legge n. 52 del 2021).
  Analogamente, si dovrà procedere alla verifica delle minori entrate per l'esercizio 2021; attualmente il relativo termine è fissato al 30 giugno 2022 (articolo 1, comma 825, della legge n. 178 del 2020).
  Per le regioni a statuto speciale e le provincie autonome, in attuazione del menzionato accordo del 20 luglio 2020, il comma 2-bis Pag. 89dell'articolo 111 del decreto-legge n. 34 del 2020 stabilisce che il ristoro delle minori entrate viene attuato per 2.404 milioni di euro come riduzione del contributo alla finanza pubblica dovuto dalle autonomie speciali, mentre 196 milioni di euro costituiscono erogazioni dal Fondo. Il decreto-legge riporta altresì le quote spettanti a ciascuna autonomia.
  Per compensare la perdita di entrate tributarie a causa dell'emergenza sanitaria anche per l'anno 2021, è intervenuto un altro accordo tra il Governo e le autonomie speciali il 5 novembre 2020 (repertorio atti n. 188/Csr), in attuazione del quale la legge di bilancio per il 2021 (articolo 1, comma 805, della legge n. 178 del 2020), riduce di 100 milioni di euro il contributo alla finanza pubblica dovuto dalle regioni a statuto speciale e dalle province autonome di Trento e di Bolzano per l'anno 2021, a titolo di compensazione della perdita di gettito, e stabilisce gli importi per ciascun ente in un'apposita tabella.
  La stessa legge di bilancio per il 2021, inoltre, al comma 806 dell'articolo 1, stabilisce l'accantonamento di 300 milioni di euro annui, a decorrere dall'anno 2021, per l'attuazione dei punti 9 e 10 dell'Accordo quadro del 20 luglio 2020, vale a dire per la revisione degli accordi bilaterali tra lo Stato e le autonomie, in particolare con la Regione Friuli Venezia Giulia, la Regione Sardegna (soprattutto in riferimento alla costituzione del tavolo tecnico-politico per la condizione di insularità) e la Regione siciliana (per la revisione delle norme di attuazione in materia finanziaria). Per l'anno 2021 la somma di 300 milioni di euro è comprensiva dei 100 milioni di euro destinati alla riduzione del contributo alla finanza pubblica per lo stesso anno.
  Con il decreto-legge n. 41 del 2021, infine, è stato stabilito (articolo 23, comma 2, come modificato dall'articolo 57, comma 1, del decreto-legge n. 73 del 2021) un incremento di 260 milioni di euro per l'anno 2021 delle risorse del Fondo per l'esercizio delle funzioni delle regioni e delle province autonome destinato a compensare la perdita di entrate tributarie connessa all'emergenza epidemiologica da Covid-19. Tale importo aggiuntivo è destinato a favore delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano. A seguito delle modifiche apportate dal decreto-legge n. 73 del 2021, il ristoro delle minori entrate è attuato mediante riduzione del contributo alla finanza pubblica dovuto da ciascun ente, nella misura indicata nella tabella inserita nel testo normativo.

  6.1.2 Interventi relativi al pagamento delle quote capitale

  L'articolo 111 del decreto-legge n. 18 del 2020 stabilisce la sospensione del pagamento della quota capitale, la cui scadenza ricada nell'anno 2020, dei prestiti contratti dalle regioni con il Ministero dell'economia e delle finanze o con la Cassa depositi e prestiti prima della sua trasformazione in società per azioni.
  La norma – estesa alle regioni a statuto speciale dall'articolo 42, comma 1, del decreto-legge n. 104 del 2020 – prevede che le maggiori risorse a disposizione delle regioni, in virtù della sospensione del pagamento dei mutui, dovranno essere utilizzate per finanziare misure di rilancio dell'economia e per il sostegno ai settori economici colpiti dall'epidemia in corso. L'utilizzo dei risparmi di spesa è possibile previa variazione di bilancio da parte della giunta, da approvare in via amministrativa (in deroga alla disciplina contabile che prevede che le Pag. 90variazioni di bilancio siano effettuate con legge). La disciplina contempla, inoltre, la possibilità che, in sede di Conferenza Stato-regioni, siano ceduti spazi finanziari a beneficio delle regioni maggiormente colpite dall'emergenza in corso, da utilizzare per la realizzazione di investimenti, fermo restando, in ogni caso, la disciplina del pareggio di bilancio.
  La sospensione dei pagamenti disciplinata dall'articolo 111 non riguarda le quote capitale dei mutui attivati in relazione alle anticipazioni di liquidità cui la regione ha fatto ricorso per il pagamento dei debiti commerciali scaduti (ai sensi degli articoli 2 e 3, comma 1, lettere a) e b), del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35).

  6.1.3 Ampliamento della capacità di spesa e semplificazioni contabili

  Un'altra misura di sostegno è stata adottata con il decreto-legge n. 73 del 2021 in considerazione del protrarsi dell'emergenza sanitaria, riguardo all'utilizzo dell'avanzo di amministrazione da parte delle regioni e delle province autonome che si trovino in disavanzo di amministrazione.
  L'articolo 56, comma 2, del citato decreto, consente ai suddetti enti, per l'anno 2021, di utilizzare le quote accantonate e vincolate del risultato di amministrazione, secondo la disciplina prevista dall'articolo 1, commi 897 e 898, della legge n. 145 del 2018, ma senza l'obbligo di scorporare dal disavanzo la quota minima obbligatoria accantonata per il Fondo anticipazione di liquidità.
  Nella sostanza si amplia la capacità di spesa delle regioni e delle province autonome di un importo pari alle quote del Fondo anticipazione di liquidità accantonato nel risultato di amministrazione. Le regioni e le province autonome in disavanzo possono, quindi, utilizzare la maggiore disponibilità finanziaria, nel corso del 2021, sia per spese correnti sia per spese di investimento.
  Nel contesto delle misure di semplificazione e di allentamento delle regole contabili, un cenno va fatto anche alla disposizione che consente alle regioni e alle province autonome, per il 2020 e il 2021, di procedere alle variazioni del bilancio di previsione con atto dell'organo esecutivo in via di urgenza, salva successiva ratifica con legge, a pena di decadenza, da parte dell'organo consiliare (articolo 109, comma 2-bis, del decreto-legge n. 18 del 2020).

  6.1.4 I contributi alle regioni a statuto ordinario per il ristoro delle categorie colpite dalle restrizioni

  L'articolo 32-quater, comma 1, del decreto-legge n. 137 del 2020, assegna alle regioni a statuto ordinario un contributo per il finanziamento delle quote capitale dei debiti finanziari in scadenza nell'anno 2020, pari a 250 milioni di euro per l'anno 2020, ripartito tra le regioni secondo quanto stabilito dal medesimo testo normativo.
  Il contributo non incide sugli obiettivi di finanza pubblica a carico di ciascuna regione (che rimangono, quindi, quelli stabiliti dalla legge di bilancio 2019) né concorre alla determinazione del saldo di bilancio di ciascuna regione (la cui disciplina è dettata dal comma 466 dell'articolo 1 della legge n. 232 del 2016 nell'ottica di conseguire un saldo Pag. 91non negativo, in termini di competenza, tra le entrate finali e le spese finali).
  Il contributo è vincolato al ristoro delle categorie soggette a restrizioni in relazione all'emergenza dovuta al Covid-19, nel senso che le risorse che avrebbero dovuto essere destinate al rimborso dei prestiti e che, invece, vengono liberate a seguito dell'assegnazione del contributo debbono essere utilizzate per tale finalità. La regione, ove non abbia provveduto entro il 31 dicembre 2020 al suddetto ristoro, è tenuta a riversare le risorse non utilizzate al bilancio dello Stato. Le variazioni di bilancio, necessarie all'utilizzo delle suddette risorse, possono essere autorizzate tramite delibera della giunta regionale, in deroga alla disciplina ordinaria, che prevede la competenza dell'organo assembleare.
  Analogo contributo è attribuito per l'anno 2021 dall'articolo 32-quater, comma 2, del decreto-legge n. 137 del 2020 (come modificato dall'articolo 27 del decreto-legge n. 41 del 2021). Il contributo pari a 110 milioni di euro è ripartito tra le regioni a statuto ordinario dal medesimo decreto-legge ed è destinato direttamente al ristoro delle categorie soggette a misure restrittive adottate per far fronte all'emergenza epidemiologica da Covid-19.

  6.2 Il sostegno alla finanza locale

  La situazione originata dalla pandemia ha comportato la necessità di un sostegno finanziario agli enti locali indirizzato alla compensazione della perdita di gettito delle entrate proprie, connessa all'emergenza sanitaria, che è stato garantito mediante l'istituzione di un apposito Fondo per assicurare l'esercizio delle funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane. Le relative risorse sono state stanziate principalmente dal decreto-legge n. 34 del 2020 («decreto Rilancio») e dal decreto-legge n. 104 n. 2020 («decreto Agosto») e, per quanto riguarda l'anno 2021, dal decreto-legge n. 41 n. 2021 («decreto Sostegni»).
  Le norme volte a contenere gli effetti della crisi sanitaria hanno anche introdotto misure di flessibilità nella gestione del bilancio, destinando a spesa corrente emergenziale risorse non di parte corrente, da coprire, in parziale deroga alle disposizioni del Tuel, con l'utilizzo dell'avanzo libero, nonché con i proventi da concessioni edilizie o da sanzioni in materia edilizia. Importanti misure di carattere fiscale e agevolativo legate all'emergenza sono state introdotte anche dalla legge di bilancio per il 2021, così come altre disposizioni sono intervenute a sostegno del debito degli enti territoriali.
  Infine, la condizione di incertezza sulla dimensione delle perdite di gettito da entrate proprie degli enti territoriali nonché circa le risorse integrative disponibili – in un quadro caratterizzato dalla necessità di alleggerire i carichi amministrativi di enti e organismi pubblici nella straordinaria situazione di emergenza sanitaria – ha determinato numerose proroghe di termini relativi ad adempimenti contabili degli enti territoriali.

  6.2.1 La compensazione della perdita di entrate locali

  A seguito delle conseguenze finanziarie determinate dalla diffusione del Covid-19, le risorse necessarie per l'espletamento delle funzioniPag. 92 fondamentali degli enti locali sono state garantite, sia nel 2020 che nel 2021, mediante la costituzione di un apposito Fondo che ha assicurato agli enti locali il ristoro delle minori entrate locali connesse all'emergenza epidemiologica da Covid-19 rispetto ai fabbisogni di spesa, per un complesso di risorse pari a 5,2 miliardi di euro nel 2020 e a 1,5 miliardi di euro nel 2021.
  Il Fondo è stato istituito dal decreto-legge n. 34 del 2020, nello stato di previsione del Ministero dell'interno, con una dotazione di 3,5 miliardi di euro per l'anno 2020, destinati per 3 miliardi di euro in favore dei comuni e per 0,5 miliardi di euro in favore di province e città metropolitane.
  Al fine di monitorare la tenuta delle entrate locali è stato istituito con decreto ministeriale 29 maggio 2020 un tavolo tecnico, presso il Ministero dell'economia e delle finanze, con il compito di monitorare gli effetti dell'emergenza da Covid-19 sulla tenuta delle entrate locali e sull'espletamento delle funzioni fondamentali, con riferimento alla perdita di gettito rispetto ai fabbisogni di spesa di ciascun ente.

  I criteri e le modalità di riparto del Fondo per i due comparti dei comuni, da un lato, e delle province e città metropolitane, dall'altro, sono stati definiti con il decreto del Ministro dell'interno 16 luglio 2020 (cfr. Allegato A per il comparto comuni e Allegato B per il comparto province e città metropolitane) a seguito dell'intesa raggiunta in sede di Conferenza Stato-città ed autonomie locali nella seduta 15 luglio 2020.
  La ripartizione dei 3,5 miliardi di euro del Fondo tra i singoli enti beneficiari di ciascun comparto è stata effettuata con il successivo decreto 24 luglio 2020.

  La dotazione del Fondo è stata successivamente integrata di 1,67 miliardi di euro per l'anno 2020 – di cui 1,22 miliardi di euro in favore dei comuni e 450 milioni di euro in favore di province e città metropolitane – dall'articolo 39, comma 1, del decreto-legge n. 104 del 2020 («decreto Agosto»), per garantire agli enti locali un ulteriore ristoro della perdita di gettito connessa all'emergenza.

  L'assegnazione delle risorse previste dal decreto-legge n. 104 del 2020 è stata effettuata previa intesa in Conferenza Stato-città ed autonomie locali, tenendo conto delle risultanze dei lavori del tavolo tecnico, nonché del riparto delle risorse iniziali del Fondo già effettuato con il decreto 24 luglio 2020. Il decreto del Ministro dell'interno 11 novembre 2020 ha provveduto al riparto di un acconto di 500 milioni di euro, mentre con il successivo decreto ministeriale 14 dicembre 2020 è stato ripartito il saldo delle risorse (1.170 milioni di euro).

  Il Fondo è stato poi rifinanziato per l'anno 2021 dall'articolo 1, comma 822, della legge di bilancio per il 2021, che ne ha incrementato la dotazione di ulteriori 500 milioni di euro per l'anno 2021, di cui 450 milioni di euro in favore dei comuni e 50 milioni di euro in favore di province e città metropolitane. Da ultimo, la dotazione del Fondo per il 2021 è stata ulteriormente incrementata di 1 miliardo di euro dall'articolo 23 del decreto-legge n. 41 del 2021 («decreto Sostegni»). Le risorse sono assegnate per 1.350 milioni di euro in favore dei comuni e per 150 milioni di euro in favore di province e città metropolitane.

  Con il decreto ministeriale 14 aprile 2021 sono stati individuati i criteri e le modalità di riparto ed è stato ripartito, per l'anno 2021, l'acconto del fondo (pari a 220 Pag. 93milioni di euro); con il decreto ministeriale 30 luglio 2021 è stato ripartito il saldo di 1.280 milioni di euro delle risorse incrementali per l'anno 2021, sulla base di criteri e modalità che hanno tenuto conto, oltre che dei lavori del Tavolo tecnico, anche delle risultanze della certificazione per l'anno 2020 inviata dagli enti al Ministero dell'economia e delle finanze. Gli allegati al decreto contengono le note metodologiche di individuazione dei criteri e delle modalità di riparto del saldo e gli importi spettanti sia ai comuni sia alle province e alle città metropolitane.

  Ai fini della verifica della perdita di gettito delle entrate locali e dell'andamento delle spese dei singoli enti locali, è previsto l'obbligo di una certificazione, entro precisi termini, volta ad attestare che la citata perdita di gettito sia riconducibile esclusivamente all'emergenza da Covid-19, e non anche a fattori diversi o a scelte autonome di ciascun ente locale o della regione o provincia autonoma in cui insiste il suo territorio, con eccezione degli interventi di adeguamento alla normativa nazionale.
  Per la certificazione finalizzata ad attestare la effettiva perdita di gettito 2020, è stato fissato il termine perentorio del 31 maggio 2021. Il termine per la certificazione relativa alla perdita di gettito 2021 è fissato al 31 maggio 2022.
  Le certificazioni saranno tenute in considerazione ai fini della successiva verifica a consuntivo dell'effettiva perdita di gettito e dell'andamento delle spese, da effettuare entro il 30 giugno 2021, in modo da procedere all'eventuale conseguente regolazione dei rapporti finanziari tra comuni e tra province e città metropolitane, con conseguente rettifica delle somme originariamente attribuite. Tale termine è stato rinviato al 30 giugno 2022, dall'articolo 1, comma 831, della legge n. 178 del 2020.
  È inoltre prevista una sanzione di carattere finanziario per gli enti locali che non trasmettono la certificazione entro i suddetti termini. La sanzione consiste in una riduzione del Fondo sperimentale di riequilibrio per le province (ovvero dei trasferimenti compensativi spettanti alle province delle regioni a statuto speciale) o del Fondo di solidarietà comunale, commisurata al ritardo con cui gli enti producono la certificazione, da acquisire al bilancio dello Stato in tre annualità. Le suddette riduzioni di risorse non sono soggette a restituzione nel caso di invio tardivo della certificazione.

  La percentuale di riduzione dei fondi, come ridefinita dall'articolo 1, comma 830, lettera b), della legge di bilancio per il 2021, è: dell'80 per cento delle risorse attribuite, in caso di presentazione tardiva entro il mese di giugno; del 90 per cento, in caso di presentazione della certificazione entro il mese di luglio; del 100 per cento delle risorse attribuite, qualora gli enti locali non trasmettano la certificazione entro il suddetto mese di luglio.

  Le risorse assegnate a valere sul Fondo per l'esercizio delle funzioni fondamentali degli enti locali sono vincolate alla finalità esclusiva di ristorare, nel biennio 2020 e 2021, la perdita di gettito connessa all'emergenza epidemiologica da Covid-19.

  Le risorse non utilizzate alla fine di ciascun esercizio confluiscono nella quota vincolata del risultato di amministrazione e non possono essere svincolate ai sensi dell'articolo 109, comma 1-ter, del decreto-legge n. 18 del 2020 (che consente, in deroga Pag. 94alla normativa vigente, di impiegare le risorse svincolate per interventi volti ad attenuare la crisi del sistema economico regionale derivante dagli effetti, diretti e indiretti, dell'epidemia in corso) né sono soggette ai limiti previsti dall'articolo 1, commi 897-898, della legge n. 145 del 2018 (applicazione al bilancio di previsione della quota vincolata, accantonata e destinata del risultato di amministrazione). Le eventuali risorse ricevute in eccesso sono versate all'entrata del bilancio dello Stato.

  6.2.2 Ulteriori ristori per le perdite di gettito, agevolazioni e sostegni

  Appositi fondi sono stati istituiti per ristorare gli enti locali in relazione a perdite di gettito da entrate proprie, dovute a esenzioni e sospensioni disposte da provvedimenti emergenziali in ragione dell'emergenza sanitaria. A questi interventi si sono aggiunte diverse altre misure volte a introdurre specifiche forme di sostegno, nonché semplificazioni e agevolazioni di carattere finanziario e contabile.

  6.2.2.1 Imposta municipale propria

  La prima rata dell'Imu 2020 è stata abolita per alcune attività produttive particolarmente colpite dalla pandemia. Sono stati esentati, tra l'altro, gli stabilimenti balneari marittimi, lacuali e fluviali e gli stabilimenti termali, così come gli agriturismi, i villaggi turistici, gli ostelli della gioventù e i campeggi, a condizione che i proprietari siano anche gestori delle attività. L'agevolazione è stata disposta anche per gli immobili in uso da parte di imprese esercenti attività di allestimenti di strutture espositive nell'ambito di eventi fieristici o manifestazioni (articolo 177 del decreto-legge n. 34 del 2020).
  La seconda rata dell'Imu 2020 è stata abolita: per le categorie immobiliari interessate dall'abolizione della prima rata, ivi comprese le pertinenze delle strutture ricettive (categoria D/2); per gli immobili destinati a spettacoli cinematografici, teatri e sale per concerti e spettacoli, discoteche, sale da ballo, night-club e simili (articolo 78 del decreto-legge n. 104 del 2020); per gli immobili in cui si svolgono le attività imprenditoriali interessate dalla sospensione delle attività economiche disposta in ragione dell'aggravarsi dell'emergenza sanitaria, e cioè dei settori della ricettività alberghiera, della ristorazione e della somministrazione di cibi e bevande, del turismo, dello sport e dello spettacolo, della cultura e dell'organizzazione di fiere e altri eventi; tale abolizione è estesa alla vendita al dettaglio e servizi alla persona nei comuni delle aree con scenario di massima gravità e livello di rischio alto (articolo 9, 9-bis e 9-ter del decreto-legge n. 137 del 2020).
  Quanto alla prima rata dell'Imu 2021, essa è stata abolita: per le attività produttive particolarmente colpite dalla pandemia, in analogia a quanto disposto per la prima rata 2020 (articolo 1, commi 599-600, della legge n. 178 del 2020); per i soggetti destinatari del contributo a fondo perduto disposto dal decreto-legge n. 41 del 2021, ovvero i soggetti passivi titolari di partita Iva che svolgono attività d'impresa, arte o professione o producono reddito agrario, con alcune eccezioni e a specifiche condizioni, in termini di limiti di reddito, ricavi o compensi, valevoli per accedere al contributo (articolo 6-sexies del decreto-legge n. 41 del 2021).Pag. 95
  L'intera Imu 2021 non è dovuta per gli immobili a uso abitativo, posseduti da persone fisiche e concessi in locazione, per cui sia stata emessa una convalida di sfratto per morosità entro il 28 febbraio 2020, la cui esecuzione è sospesa fino al 30 giugno 2021. La medesima esenzione per il 2021 si applica nel caso in cui la convalida di sfratto sia stata emessa dopo il 28 febbraio 2020 e l'esecuzione sia sospesa fino al 30 settembre 2021 o fino al 31 dicembre 2021. I soggetti destinatari dell'agevolazione hanno diritto al rimborso della prima rata pagata per il 2021 (articolo 4-ter del decreto-legge n. 73 del 2021).
  L'Imu dovuta per gli anni 2021 e 2022 è stata abolita per gli immobili destinati a spettacoli cinematografici, teatri e sale per concerti e spettacoli (articolo 78 del decreto-legge n. 104 del 2020).
  In relazione alle suesposte esenzioni dell'Imu, è stato istituito un apposito Fondo di ristoro nello stato di previsione del Ministero dell'interno con una originaria dotazione di 76,55 milioni di euro per l'anno 2020, quale strumento di sostegno ai comuni a fronte delle minori entrate derivanti dall'abolizione della prima rata dell'Imu 2020 (articolo 177, comma 2, del decreto-legge n. 34 del 2020), ripartito con decreto ministeriale 22 luglio 2020.
  La dotazione è stata incrementata di 85,95 milioni di euro per il medesimo anno 2020 e di 9,2 milioni di euro per ciascuno degli anni 2021 e 2022, per effetto dell'articolo 78 del decreto-legge n. 104 del 2020, che ha abolito la seconda rata Imu 2020 per alcune categorie di immobili, essenzialmente inerenti alle attività del turismo e dello spettacolo (si veda supra), nonché l'Imu dovuta per gli anni 2021 e 2022, per gli immobili destinati a spettacoli cinematografici, teatri e sale per concerti e spettacoli (per il riparto, si vedano il decreto 10 dicembre 2020 e il successivo decreto 20 agosto 2021).
  Ulteriori 112,7 milioni di euro per l'anno 2020 sono stati stanziati nel Fondo di ristoro in relazione all'estensione dell'abolizione della seconda rata Imu 2020 a ulteriori categorie di immobili (articolo 9 del decreto-legge n. 137 del 2020). L'articolo 9-bis del medesimo decreto-legge n. 137 del 2020 ha previsto, inoltre, un'ulteriore integrazione delle risorse del Fondo per garantire ai comuni il ristoro della perdita di gettito conseguente all'abolizione della seconda rata dell'Imu, di 31,4 milioni di euro per l'anno 2020, da incrementare fino a un massimo di ulteriori 23,7 milioni di euro per l'anno 2020 mediante riparto del Fondo appositamente istituito, per l'adeguamento della copertura necessaria a garantire determinate misure agevolative introdotte dallo stesso decreto-legge, per un totale di risorse incrementali pari a 167,8 milioni di euro (cfr. per il riparto il decreto ministeriale 16 aprile 2021).
  Per l'anno 2021 la legge di bilancio (articolo 1, commi 599-601, della legge n. 178 del 2020,) ha rifinanziato il Fondo di ristoro per i comuni con un incremento di 79,1 milioni di euro per l'anno 2021, in relazione all'esenzione della prima rata dell'Imu 2021 per gli immobili ove si svolgono specifiche attività connesse ai settori del turismo, della ricettività alberghiera e degli spettacoli (ripartito parzialmente, per 63,1 milioni, con il decreto ministeriale 24 giugno 2021). Il Fondo per i ristori è stato ulteriormente rifinanziato con il «decreto Sostegni», che ha esentato dal pagamento della prima Pag. 96rata dell'Imu 2021 i soggetti destinatari del contributo a fondo perduto previsto dal decreto medesimo, cioè i soggetti passivi titolari di partita Iva che svolgono attività d'impresa, arte o professione o producono reddito agrario, con alcune eccezioni, per un importo di 142,5 milioni di euro per il 2021 (cfr. il decreto ministeriale 13 agosto 2021).
  Da ultimo, in relazione all'esenzione introdotta dal decreto-legge n. 73 del 2021 dell'intera Imu 2021 per gli immobili a uso abitativo, posseduti da persone fisiche e concessi in locazione, per cui sia stata emessa una convalida di sfratto per morosità, è stato istituito presso il Ministero dell'interno un Fondo destinato al ristoro ai comuni delle minori entrate derivanti dall'agevolazione in parola, la cui dotazione è pari a 115 milioni di euro per il 2021.

  6.2.2.2 Imposta di soggiorno e contributo di sbarco

  Per l'anno 2020 è stato istituito un Fondo per il ristoro parziale dei comuni a seguito della mancata riscossione dell'imposta di soggiorno o del contributo di sbarco (articolo 180 del decreto-legge 34 del 2020). Il Fondo, con una dotazione iniziale di 100 milioni di euro, è stato incrementato di 300 milioni di euro per il 2020 (articolo 40 del decreto-legge 104 del 2020). Il saldo del riparto del Fondo è stato effettuato con il decreto ministeriale del 14 dicembre 2020. Per l'anno 2021 il Fondo ha una dotazione di 350 milioni di euro (articolo 25 del decreto-legge n. 41 del 2021, come modificato dall'articolo 55 del decreto-legge n. 73 del 2021). Alla ripartizione delle risorse si è provveduto con decreto del Ministro dell'interno 8 luglio 2021.

  6.2.2.3 Ex Tosap e Cosap e canoni patrimoniali

  Il legislatore, nella situazione di emergenza, ha esonerato gli esercizi di ristorazione, ovvero di somministrazione di pasti e bevande, dal pagamento del canone patrimoniale di concessione, autorizzazione o esposizione pubblicitaria fino al 31 dicembre 2021 (articolo 30, comma 1, lettera a), del decreto-legge n. 41 del 2021). Analogamente, i titolari di concessioni o di autorizzazioni concernenti l'utilizzazione temporanea del suolo pubblico per l'esercizio del commercio su aree pubbliche (di cui al Titolo X del decreto legislativo n. 114 del 1998) sono stati esonerati fino al 31 dicembre 2021 dal pagamento del canone di concessione per l'occupazione delle aree e degli spazi appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile, destinati a mercati, realizzati anche in strutture attrezzate. Tali esoneri erano stati originariamente previsti dal 1° maggio al 31 ottobre 2020 (articolo 181, comma 1, del decreto-legge n. 34 del 2020), quindi prorogati a tutto il 2020 (articolo 109 del decreto-legge n. 104 del 2020) e, per il 2021, inizialmente stabiliti fino al 31 marzo 2021 (articolo 9-ter del decreto-legge n. 137 del 2020).
  Un primo riparto del Fondo per il ristoro dovuto all'esenzione dalle ex Tosap e Cosap per le occupazioni temporanee per il commercio su aree pubbliche (articolo 181 del decreto-legge n. 34 del 2020) di 127,5 milioni di euro per il 2020 è stato effettuato con il decreto ministeriale 22 luglio 2020. Il Fondo è stato incrementato di 89,4 milioni per il 2020 dall'articolo 109 del decreto-legge n. 104 del 2020. Il secondo riparto Pag. 97a saldo è stato effettuato con il decreto ministeriale 10 dicembre 2020. A seguito dell'esonero per gli esercizi di ristorazione, ovvero di somministrazione di pasti e bevande, dal pagamento del canone patrimoniale di concessione, autorizzazione o esposizione pubblicitaria (ex Tosap e Cosap) anche per il primo trimestre del 2021, è stato previsto un ulteriore Fondo per il ristoro per le minori entrate dei comuni a seguito degli esoneri da pagamento dei canoni, con una dotazione complessiva pari a 165 milioni per l'anno 2021 (articolo 9-ter, comma 6, del decreto-legge n. 137 del 2020 e articolo 30 del decreto-legge n. 41 del 2021). Con il decreto ministeriale 14 aprile 2021 è stato effettuato un primo riparto per l'importo di 82,5 milioni di euro per l'anno 2021.
  Infine, i soggetti che esercitano le attività di circo equestre e di spettacolo viaggiante sono stati esonerati per tutto il 2021 dal pagamento dei canoni dovuti per concessioni o autorizzazioni concernenti l'utilizzazione del suolo pubblico (articolo 65, comma 6, del decreto-legge n. 73 del 2021).

  6.2.2.4 Tassa sui rifiuti

  A differenza di quanto avvenuto per la disciplina dell'Imu – le cui agevolazioni in ragione dell'emergenza pandemica sono state disposte ex lege – nel corso del 2020 il legislatore non ha espressamente previsto esenzioni e agevolazioni per la Tari, lasciando ai comuni la possibilità di manovrare la tariffa nell'ambito dell'autonomia ordinariamente riconosciuta dalla legge di stabilità 2014 (articolo 1, comma 660, della legge n. 147 del 2013), che consente di disporre esenzioni e riduzioni in relazione alle fattispecie ritenute dall'ente locale meritevoli di tutela, a prescindere da una minore produttività di rifiuti delle utenze. In tali ipotesi, l'ente deve finanziare la misura facendo ricorso a risorse derivanti dalla fiscalità generale del comune e, quindi, diverse dai proventi del tributo.
  Per l'anno 2021, invece, è stato istituito nello stato di previsione del Ministero dell'interno un Fondo, con una dotazione di 600 milioni di euro, finalizzato alla concessione da parte dei comuni di una riduzione della Tari, o della Tariffa di natura corrispettiva, in favore delle categorie economiche interessate dalle chiusure obbligatorie o dalle restrizioni, nell'esercizio delle rispettive attività, in relazione all'emergenza epidemiologica (articolo 6 del decreto-legge n. 73 del 2021). Al riparto del Fondo tra gli enti interessati si è provveduto con il decreto ministeriale 24 giugno 2021.

  6.2.2.5 Sostegno al trasporto pubblico locale

  Per compensare le imprese di trasporto pubblico locale (nonché di trasporto ferroviario regionale) che hanno subito riduzione dei ricavi tariffari in conseguenza dell'emergenza dovuta al Covid-19 è stato istituito un Fondo con una dotazione iniziale di 500 milioni di euro per l'anno 2020 (comma 1 dell'articolo 200 del decreto-legge n. 34 del 2020). Il Fondo è stato incrementato di 400 milioni di euro per l'anno 2020 (articolo 44 del decreto-legge n. 104 del 2020). Il decreto-legge n. 41 del 2021 (articolo 29) ha rifinanziato il Fondo con ulteriori 800 milioni di euro per l'anno 2021.

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  6.2.2.6 Sostegno al debito

  Gli interventi concernenti la gestione del debito hanno accordato agli enti locali ampie facoltà di rinegoziazione o di sospensione del pagamento della quota capitale sia dei cosiddetti «mutui Mef» gestiti da Cassa depositi e prestiti (articolo 112 del decreto-legge n. 18 del 2020 «Cura Italia»), sia dei mutui bancari in scadenza nel 2020 (articolo 113 del decreto-legge n. 34 del 2020, «decreto Rilancio»), con conseguente rimodulazione del piano di ammortamento, in deroga alle disposizioni di cui all'articolo 204, comma 2, del Tuel. In caso di adesione ad accordi tra Abi e associazioni di enti locali che prevedono la sospensione delle quote capitale delle rate di ammortamento dei finanziamenti in scadenza nel 2020, la sospensione può avvenire anche in deroga alle norme previste dal Tuel per i mutui contratti con enti diversi da Cassa depositi e prestiti e dall'Istituto per il credito sportivo e in deroga alle norme in tema di rinegoziazione dei mutui con emissione di titoli obbligazionari o con strumenti derivati (articolo 113 del decreto-legge n. 34 del 2020).
  In proposito, va ricordata l'importante novità introdotta dall'articolo 1, comma 796, della legge di bilancio per il 2021 che restringe l'ambito degli atti che possono dare luogo a indebitamento ai sensi dell'articolo 119 della Costituzione, escludendo le operazioni di revisione, ristrutturazione e rinegoziazione del debito che determinano una riduzione del valore finanziario delle passività totali.

  6.2.2.7 Fondo di liquidità per il pagamento dei debiti commerciali

  Per assicurare un'anticipazione di liquidità destinata al pagamento di debiti certi, liquidi ed esigibili di regioni, province autonome, enti locali ed enti del Servizio sanitario nazionale, relativi a somministrazioni, forniture, appalti e obbligazioni per prestazioni professionali, l'articolo 115 del decreto-legge n. 34 del 2020 ha istituito un Fondo con una dotazione di 12 miliardi di euro per il 2020.
  Le modalità operative del Fondo sono demandate a una convenzione tra Ministero dell'economia e delle finanze e Cassa depositi e prestiti. L'articolo 21 del decreto-legge n. 73 del 2021 ha rifinanziato il Fondo di liquidità per il pagamento dei debiti commerciali degli enti territoriali con 1 miliardo di euro per il 2021, destinando l'incremento alla Sezione diretta ad assicurare liquidità agli enti locali, alle regioni e alle province autonome per debiti diversi da quelli finanziari e sanitari. Le anticipazioni in questione non comportano la disponibilità di risorse aggiuntive in favore degli enti richiedenti, poiché costituiscono un mero strumento di pagamento di debiti conseguenti a spese che hanno già una relativa copertura di bilancio (in coerenza con quanto stabilito, da ultimo, dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 80/2021).
  L'esigenza di accelerazione del pagamento dei debiti era stata già presa in considerazione dalla legge di bilancio per il 2020, che, all'articolo 1, comma 555, ha previsto per gli anni 2020-2022 l'incremento del limite massimo di anticipazioni di tesoreria a 5 dodicesimi delle entrate correnti.

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  6.2.2.8 Agevolazioni contabili

  Per il 2020 e 2021 sono state introdotte una serie di disposizioni in materia contabile per gli enti territoriali, volte ad ampliare la capacità di spesa in relazione all'emergenza sanitaria. Si tratta, in particolare:

   ■ della facoltà di utilizzare la quota libera di avanzo di amministrazione per il finanziamento di spese correnti connesse con l'emergenza epidemiologica, in deroga alle disposizioni vigenti (articolo 109 del decreto-legge n. 18 del 2020). L'articolo 30, comma 2-bis, del decreto-legge n. 41 del 2021 ha esteso all'anno 2021 la possibilità per gli enti locali (come anche per le regioni) di utilizzare la quota libera di avanzo di amministrazione per il finanziamento di spese correnti connesse con l'emergenza epidemiologica in corso in deroga alle disposizioni vigenti;

   ■ della facoltà di svincolare, in sede di approvazione del rendiconto dell'esercizio precedente da parte dell'organo esecutivo, determinate quote dell'avanzo vincolato di amministrazione. Tale facoltà è stata prevista, per il 2020, dal comma 1-ter dell'articolo 109 del decreto-legge n. 18 del 2020; successivamente, è stata estesa al 2021 dall'articolo 1, comma 786, della legge n. 178 del 2020;

   ■ dell'autorizzazione a utilizzare i proventi delle concessioni edilizie e delle sanzioni in materia edilizia per il finanziamento delle spese correnti connesse all'emergenza.

  6.2.2.9 Sostegno agli enti in difficoltà finanziaria

  Tra gli interventi diretti a contrastare gli effetti della pandemia vanno ricordati anche quelli specificamente rivolti ai comuni interessati da grave criticità finanziaria (riequilibrio e dissesto). La normativa emergenziale si è mossa secondo due direttrici: da un lato, quella del differimento di termini procedurali; dall'altro, quella del sostegno finanziario, sia attraverso anticipazioni sia mediante finanziamenti aggiuntivi.
  Il decreto-legge n. 18 del 2020 («Cura Italia») ha differito una serie di termini amministrativo-contabili relativi al dissesto e al riequilibrio (articolo 107). Sono state posticipate al 30 giugno 2020: la deliberazione dello stato di dissesto (articolo 246, comma 2, del Tuel); la deliberazione di attivazione delle entrate proprie (articolo 251, comma 1, del Tuel); la presentazione al Ministro dell'interno dell'ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato (articolo 259, comma 1, del Tuel), la presentazione di nuova ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato (articolo 261, comma 4, del Tuel); la deliberazione del bilancio stabilmente riequilibrato (articolo 264, comma 1, del Tuel); la delibera del piano di riequilibrio finanziario pluriennale (articolo 243-bis, comma 5, del Tuel); l'esame e la formulazione di rilievi o richieste istruttorie e l'impugnazione della delibera di approvazione o di diniego del piano di riequilibrio finanziario pluriennale (articolo 243-quater, commi 1, 2 e 5, del Tuel).
  Il decreto-legge n. 34 del 2020 («decreto Rilancio») è intervenuto (articolo 106-bis) a sostegno dei comuni in dissesto con l'istituzione di un Fondo alimentato con 20 milioni di euro per il 2020. La platea dei Pag. 100beneficiari viene individuata con riferimento alla data del 15 giugno 2020 per stabilire la condizione di dissesto.
  Inoltre, per i comuni interessati dalle disposizioni del Titolo VIII del Tuel (deficitari, in riequilibrio o in dissesto) sono state introdotte norme volte a superare alcune disposizioni che in passato, nell'intento di contenere squilibri di bilancio, hanno imposto un irrigidimento nelle politiche assunzionali, consentendo a tali enti, «prima di bandire concorsi per nuove assunzioni di personale a qualsiasi titolo», di «riattivare e portare a termine eventuali procedure concorsuali sospese, annullate o revocate per motivi di interesse pubblico connessi alla razionalizzazione della spesa, a seguito della acquisizione della condizione» di criticità finanziaria (articolo 118-bis del decreto-legge n. 34 del 2020). Nella stessa direzione va ricordata la disposizione del decreto-legge n. 183 del 2020, che consente (articolo 1, comma 9), agli enti locali strutturalmente deficitari, in predissesto o in dissesto di concludere le procedure di reclutamento di personale a tempo indeterminato, già programmate e autorizzate per l'anno 2020, entro il 30 giugno 2021.
  Con l'articolo 17 del decreto «Semplificazioni» (decreto-legge n. 76 del 2020) si è inoltre intervenuto in modo significativo anche sulla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale. La disposizione più rilevante è quella dettata dal comma 2 del predetto articolo, con la quale sono stati sospesi i termini per l'attuazione del dissesto guidato.
  Si rammenta che, in base alla normativa vigente, la mancata presentazione del piano entro il termine di 90 giorni, il diniego dell'approvazione del piano, l'accertamento da parte della competente sezione regionale della Corte dei conti di grave e reiterato mancato rispetto degli obiettivi intermedi fissati dal piano, ovvero il mancato raggiungimento del riequilibrio finanziario dell'ente al termine del periodo di durata del piano stesso, comportano l'assegnazione al consiglio dell'ente, da parte del prefetto, del termine non superiore a 20 giorni per la deliberazione del dissesto.
  Questi termini sono stati sospesi fino al 30 giugno 2021 qualora l'ente locale abbia presentato un piano di riequilibrio in data successiva al 31 dicembre 2017 e fino al 31 gennaio 2020 o abbia rimodulato o riformulato il piano nel medesimo periodo.
  Infine, il decreto-legge n. 104 del 2020 (articolo 53) è intervenuto a sostegno degli enti in deficit strutturale in attuazione della sentenza della Corte costituzionale n. 115/2020. La nuova disciplina prevede l'istituzione di un Fondo con una dotazione di 100 milioni di euro per l'anno 2020 e 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2021 e 2022, da ripartire tra i comuni che hanno deliberato la procedura di riequilibrio finanziario e che risultano avere il piano di riequilibrio approvato e in corso di attuazione, il cui deficit strutturale è imputabile a caratteristiche socio-economiche della collettività e del territorio e non a patologie organizzative. I parametri strutturali indicati dalla norma per misurare le difficoltà del comune sono: l'ultimo Indice di vulnerabilità sociale e materiale (Ivsm), calcolato dall'Istat, superiore a 100 e la relativa capacità fiscale pro capite, determinata con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze 30 ottobre 2018, inferiore a 395. Il Fondo per il sostegno ai comuni in deficit strutturale è stato Pag. 101incrementato di 100 milioni di euro per il 2021 e di 50 milioni per il 2022 dalla legge di bilancio 2021 (articolo 1, commi 775-777).
  Come messo in evidenza dalla Corte dei conti (Sezione delle autonomie) nella Relazione sulla gestione finanziaria degli enti locali 2019-2020 (delibera n. 11/2021), «la norma segna un'inversione di tendenza nell'approccio alle criticità finanziare degli enti locali e in particolare dei Comuni», recependo specifiche indicazioni del giudice delle leggi in ordine al risanamento del deficit strutturale imputabile alle caratteristiche socio-economiche della collettività e del territorio: in tal modo, si «cambia il paradigma che ha guidato gli interventi normativi che hanno prodotto una stratificazione nel tempo di norme maggiormente orientate dall'imposizione di vincoli, finalizzati alla compressione della spesa senza considerare il contesto territoriale». Secondo la Corte, questa impostazione «si inserisce in un contesto normativo che dovrebbe realizzare forme di federalismo fiscale nonostante gli enti situati nei territori con gettito fiscale carente non dispongano di capacità adeguate per l'accertamento e riscossione; non sia completa la fissazione di standard nei servizi pubblici locali, debbano essere realizzati investimenti per adeguare la rete (servizio idrico) e le necessarie infrastrutture (raccolta e smaltimento dei rifiuti); i servizi sociali siano diffusi in modo disomogeneo e l'impatto dei condizionamenti illegali nel tessuto sociale e produttivo di alcuni territori sia sottovalutato».
  Nonostante i consistenti apporti finanziari indirizzati verso il sistema degli enti locali, per compensare la perdita di gettito e le maggiori spese indotte dalla crisi pandemica, 55 comuni hanno proceduto nel 2020 all'attivazione di procedure di riequilibrio finanziario pluriennale, ovvero alla deliberazione del dissesto. Il segnale non è positivo – per la Corte dei conti – poiché con il ritorno alla normalità e l'avvio del Piano nazionale di ripresa e resilienza le criticità sommerse e anestetizzate dai sostegni potrebbero manifestarsi con maggiore intensità e ostacolare il piano di investimenti che, per una quota non irrilevante, dovrà essere attivato nei territori.
  L'importanza di rafforzare il sostegno agli enti in crisi finanziaria è stata, tra l'altro, evidenziata in occasione dell'audizione del 23 settembre 2021 dei rappresentanti dell'Associazione Nazionale dei Comuni Italiani (Anci). In proposito, è stato auspicato un perfezionamento degli attuali «criteri di accesso per effetto dei quali almeno 150 comuni sono rimasti esclusi dagli stanziamenti aggiuntivi, pur risultando in condizioni in tutto simili agli attuali beneficiari». Da un punto di vista più generale, inoltre, è stata segnalata l'urgenza di pervenire a «una riforma della disciplina delle crisi finanziarie (riforma del Tit. VIII Tuel), sulla base dei criteri già circolati con bozze informali prodotte negli ultimi due anni»(78).

  6.2.2.10 Altri finanziamenti a favore di comuni e province

  Nel quadro delle misure connesse all'emergenza sanitaria, sono stati assegnati ai comuni fondi aggiuntivi, utilizzabili con procedure semplificate, per misure urgenti di solidarietà alimentare e di sostegno Pag. 102alle famiglie in stato di bisogno per il pagamento dei canoni di locazione e delle utenze domestiche (800 milioni di euro nel 2020 e 500 milioni di euro nel 2021, ai sensi dell'articolo 19-decies del decreto-legge n. 137 del 2020 e dell'articolo 53 del decreto-legge n. 73 del 2021).
  Il Fondo per le politiche della famiglia è stato incrementato di 150 milioni di euro per l'anno 2020 allo scopo di destinare una quota di risorse ai comuni per il potenziamento, anche in collaborazione con istituti privati, dei centri estivi diurni, dei servizi socio-educativi territoriali e dei centri con funzione educativa e ricreativa, durante il periodo estivo, per i minori di età compresa tra 0 e 16 anni, nonché allo scopo di contrastare, con iniziative mirate, la povertà educativa (articolo 105 del decreto-legge n. 34 del 2020).
  È stato istituito inoltre un fondo, con una dotazione pari a 70 milioni di euro, per contribuire alle spese di sanificazione e disinfezione dei locali degli enti locali (articolo 114 del decreto-legge n. 18 del 2020).
  Alcune risorse sono state direttamente attribuite ai comuni maggiormente colpiti dall'emergenza sanitaria, come ad esempio quelli ricadenti nei territori delle province di Bergamo, Brescia, Cremona, Lodi e Piacenza (articolo 112 e 112-bis del decreto-legge n. 34 del 2020).
  Un contributo di 165 milioni di euro nell'anno 2020 è stato destinato alle istituzioni scolastiche dell'infanzia non statali e ai servizi educativi in relazione alla riduzione o al mancato versamento delle rette o delle compartecipazioni da parte dei fruitori a causa del Covid-19 (articolo 233, comma 3, del decreto-legge n. 34 del 2020).
  Il Fondo di sostegno alle attività economiche, artigianali e commerciali nelle aree interne è stato incrementato di 60 milioni di euro per il 2020 e di 30 milioni di euro per ciascuno degli anni 2021 e 2022, per consentire ai comuni delle predette aree di far fronte alle maggiori necessità di sostegno del settore conseguenti al manifestarsi dell'emergenza sanitaria. Un ulteriore incremento di 30 milioni di euro per ciascuno degli anni 2021, 2022 e 2023 è stato disposto al fine di realizzare interventi di sostegno per le popolazioni residenti nei comuni svantaggiati (articolo 243 del decreto-legge n. 34 del 2020).
  Diverse misure del decreto-legge n. 104 del 2020 sono state indirizzate a incentivare la spesa per investimenti degli enti locali, in particolare anticipando l'erogazione di risorse. In primo luogo, è stato anticipato l'arco temporale di riferimento per l'assegnazione delle risorse relative ad attività di progettazione degli enti locali. Altre misure hanno riguardato la concessione di contributi per la realizzazione di opere pubbliche per la messa in sicurezza degli edifici e del territorio, con l'obiettivo di operare una rimodulazione delle risorse. Sono stati quindi incrementati i fondi assegnati ai comuni per il 2021 per investimenti destinati a opere di efficientamento energetico e di sviluppo territoriale sostenibile; sono state altresì rimodulate le spese per finanziare interventi di manutenzione straordinaria e di incremento dell'efficienza energetica delle scuole di istruzione secondaria di secondo grado di province e città metropolitane. Infine, è stato istituito un fondo per la messa in sicurezza di ponti e viadotti e per la realizzazione di nuovi ponti in sostituzione di quelli esistenti con problemi strutturali di sicurezza, con una dotazione di 200 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2021 al 2023.

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7. IL REGIONALISMO DIFFERENZIATO

  Nel ciclo di audizioni svolto dopo il mese di ottobre 2019 la Commissione ha proseguito il lavoro di approfondimento sul tema del riconoscimento alle regioni a statuto ordinario, con legge dello Stato, di forme di «autonomia differenziata», ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione. Il tema – è bene ricordarlo – si era imposto al centro del dibattito istituzionale sul rapporto tra Stato e regioni a seguito delle iniziative intraprese dalle Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna nella parte conclusiva della XVII legislatura.
  Com'è noto, la procedura per l'attribuzione di forme di autonomia differenziata è delineata dalla Carta costituzionale nei suoi elementi principali. In assenza di una puntuale normativa di attuazione(79), le modalità con cui le tre regioni hanno attivato il percorso di cui all'articolo 116, terzo comma, della Costituzione sono state diverse.
  Le Regioni Lombardia e Veneto hanno svolto il 22 ottobre 2017, con esito positivo, due referendum consultivi sull'attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia. La Regione Emilia-Romagna si è invece attivata, su impulso del Presidente della Regione, con l'approvazione da parte dell'Assemblea regionale, il 3 ottobre 2017, di una risoluzione per l'avvio del procedimento finalizzato alla sottoscrizione della prescritta intesa con il Governo.
  Il 28 febbraio 2018, il Governo all'epoca in carica ha sottoscritto con le regioni interessate tre distinti accordi preliminari che hanno individuato i princìpi generali, la metodologia e un primo elenco di materie in vista della definizione dell'intesa.
  Con l'avvio della XVIII legislatura, nel mese di giugno 2018 il Ministro per gli affari regionali e le autonomie pro tempore, Erika Stefani, ha formalmente riaperto i negoziati relativi alle intese. Nel frattempo, tutte e tre le regioni con le quali sono state stipulate le cosiddette pre-intese hanno manifestato l'intenzione di «ampliare il novero delle materie da trasferire». Contestualmente, numerose altre regioni hanno espresso la volontà di intraprendere un percorso per l'ottenimento di ulteriori forme di autonomia.
  Nel corso del 2019, con riferimento alle richieste pervenute e al procedimento per la definizione delle intese, si è aperto un ampio dibattito, di cui si è dato in gran parte conto nella Relazione semestrale della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale approvata il 24 ottobre dello stesso anno.
  Tra le questioni sulle quali si è focalizzata la discussione rientrano quelle concernenti le modalità del coinvolgimento degli enti locali, il ruolo del Parlamento e l'emendabilità in sede parlamentare del disegno di legge rinforzato che contiene le intese, il rispetto del principio di sussidiarietà nonché l'ampiezza delle materie che possono essere oggetto di devoluzione, anche al fine di evitare che l'attuazione dell'articoloPag. 104 116, terzo comma, della Costituzione, si risolva in un'attribuzione fittizia di autonomia speciale alle regioni ordinarie. Su quest'ultimo aspetto, nella recente audizione del 10 novembre 2021, il professor Paolo Liberati ha rilevato che un'ipotesi di federalismo differenziato che coinvolga gran parte o addirittura tutte le materie indicate all'articolo 116, terzo comma, della Costituzione «avrebbe l'effetto di trasformarsi in un federalismo indifferenziato, con il rischio che le attuali problematiche siano solo riprodotte su più larga scala»(80).
  I temi cui si è accennato sono stati ulteriormente approfonditi in relazione all'esigenza di associare il conferimento delle ulteriori forme e condizioni di autonomia sia alla previa determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni nelle materie oggetto di devoluzione, sia alla definizione di strumenti di perequazione, ai sensi degli articoli 117, secondo comma, lettera m), e 119, quinto comma, della Costituzione.
  Le suesposte questioni sono state richiamate anche in occasione delle audizioni svolte dal Ministro per gli affari regionali e le autonomie pro tempore, Francesco Boccia, presso la Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale nonché presso la Commissione parlamentare per le questioni regionali(81), rispettivamente, il 13 novembre 2019 e il 30 settembre 2020. In tali audizioni, si annunciava, innanzi tutto, l'intenzione del Governo di presentare un disegno di legge in cui definire gli interventi di attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, tenendo conto delle previsioni costituzionali e del modello di perequazione delle regioni a statuto ordinario definito dalla legge n. 42 del 2009 e dal decreto legislativo n. 68 del 2011.
  Si è così avviato un percorso che ha visto il Dipartimento per gli affari regionali della Presidenza del Consiglio predisporre uno schema di disegno di legge quadro, sottoposto alla Conferenza Stato-regioni. All'esito del confronto, il disegno di legge in questione, oltre a fornire una cornice di garanzia sotto il profilo della trasparenza e dell'omogeneità delle procedure di stipula, avrebbe dovuto prevedere:

   ■ la determinazione – nelle materie oggetto di attribuzione ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione – dei livelli essenziali delle prestazioni o degli obiettivi di servizio uniformi su tutto il territorio nazionale e dei fabbisogni standard;

   ■ una puntuale ricognizione del patrimonio infrastrutturale riferito alle reti stradali, autostradali, ferroviarie e di comunicazione, nonché alle strutture portuali e aeroportuali, con l'obiettivo di assicurare l'uniformità, su tutto il territorio nazionale, della dotazione infrastrutturale (da conseguirsi attraverso la perequazione infrastrutturale), favorendo la crescita di quei territori che versano in condizione di ritardo;

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   ■ la previsione di tempi certi per l'avvio dell'autonomia differenziata, attraverso il conferimento delle funzioni e la definizione dell'assetto finanziario, infrastrutturale e amministrativo, per garantire in modo omogeneo i diritti civili e sociali a tutti i cittadini, a prescindere dal territorio di residenza.

  Il disegno di legge, recante «Disposizioni per l'attuazione dell'autonomia differenziata di cui all'articolo 116, terzo comma, della Costituzione», è stato inserito dal Governo pro tempore, nella Nota di aggiornamento al documento di economia e finanza 2020, tra quelli collegati alla manovra di bilancio. Il tema dell'autonomia differenziata è stato trattato, altresì, all'interno del Programma nazionale di riforma 2020, nel quale è stato confermato come prioritario, anche alla luce dell'emergenza sanitaria ed economica determinata dalla pandemia, l'obiettivo della «definizione preliminare dei livelli essenziali nelle materie oggetto di autonomia».
  Inoltre, si è dato conto dell'intenzione di proseguire nel processo di definizione di strumenti perequativi – con attenzione anche a quelli infrastrutturali – finalizzati alla riduzione del divario tra il Nord e il Sud del Paese, in modo da realizzare le condizioni per portare coerentemente a compimento il modello fondato sull'autonomia, nel rispetto dei principi di coesione e solidarietà.
  Parallelamente, al fine di esaminare i vari aspetti legati al percorso di attuazione del regionalismo differenziato, anche la Commissione parlamentare per le questioni regionali ha svolto, tra marzo 2019 e marzo 2021, un'indagine conoscitiva nell'ambito della quale sono stati ascoltati rappresentanti del Governo, rappresentanti degli enti territoriali nonché studiosi ed esperti della materia.
  In corrispondenza al rapido svilupparsi dell'emergenza sanitaria, il processo relativo all'autonomia differenziata ha subìto un inevitabile rallentamento. L'argomento è stato tuttavia affrontato nelle audizioni svolte dalla Ministra per gli affari regionali e le autonomie, Mariastella Gelmini, presso la Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale il 26 maggio 2021 e presso la Commissione parlamentare per le questioni regionali il 13 luglio 2021.
  La Ministra Gelmini ha informato, in particolare, dell'istituzione di un'apposita commissione di studio, coordinata dal professor Beniamino Caravita di Toritto, con il compito, tra gli altri, di esprimersi sul cosiddetto disegno di «legge quadro», che intende fornire garanzie di trasparenza e omogeneità delle procedure, anche al fine di sciogliere le questioni giuridiche e politiche irrisolte. La stessa Ministra ha quindi rinsaldato l'impegno del Governo a non disperdere il lavoro svolto sinora e a proseguire sulla strada del conferimento, ex articolo 116, terzo comma, della Costituzione, di maggiori competenze alle regioni, con apposita «clausola di salvaguardia» per quelle che ne hanno fatto già richiesta. Al contempo, ha evidenziato che se si vuole «dare gambe al progetto di regionalismo differenziato, la definizione dei fabbisogni standard rappresenta un passaggio cruciale, così come lo è la definizione dei meccanismi perequativi, che assicurino il conseguimento dei LEP (livelli essenziali di prestazione), affinché i diritti fondamentali di Pag. 106cittadinanza vengano garantiti a ogni cittadino, indipendentemente dal luogo di residenza»(82).
  In tale contesto, la Nota di aggiornamento al documento di economia e finanza 2021 ha inserito il disegno di legge recante «Disposizioni per l'attuazione dell'autonomia differenziata di cui all'articolo 116, terzo comma, della Costituzione» tra i collegati alla manovra di bilancio 2022-2024. Sul punto, anche la Corte dei conti – in occasione dell'audizione del 27 ottobre 2021 dinanzi alla Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale – ha segnalato che «sarebbe auspicabile l'adozione di una legge-quadro per fissare criteri omogeni per la devoluzione delle funzioni»(83).
  Quanto ai contenuti del predetto disegno di legge – in sede di audizione del Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, Massimiliano Fedriga – è stata evidenziata, in particolare, la necessità di prevedere una clausola di salvaguardia «in analogia a quella prevista per i tributi regionali dalla lettera t) del comma 1 dell'articolo 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42, e dall'articolo 11 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68, in base alla quale gli interventi statali sulle basi imponibili o altre modifiche di disciplina relative ai tributi erariali compartecipati od oggetto di aliquota riservata a favore della regione sono possibili a parità di funzioni conferite, solo se prevedono la contestuale adozione di misure per la completa compensazione tramite modifica di aliquota o attribuzione di altri tributi»(84).
  Nel corso delle recenti audizioni di esperti svolte dalla Commissione è stato affrontato anche il tema delle modalità di finanziamento delle funzioni oggetto di trasferimento (che devono assicurare il rispetto dei principi di cui all'articolo 119 della Costituzione), con particolare riguardo alla previsione di compartecipazioni o riserve di aliquota al gettito dell'Irpef o di altri tributi erariali che sia maturato sul territorio regionale. In ordine a questo profilo, il professor Liberati ha segnalato che questa modalità di finanziamento, «avrebbe l'effetto di favorire la frammentazione del sistema tributario nazionale rispetto a tributi che – oltre a quello di finanziare competenze regionali – assolvono anche ad obiettivi centrali»(85). Il professor Andrea Giovanardi ha espresso, invece, l'avviso che lo strumento da utilizzarsi per trasferire alle regioni ad autonomia differenziata le risorse a fronte delle competenze trasferite, in attuazione dell'articolo 14 della legge n. 42 del 2009 non può che essere individuato «nelle compartecipazioni al gettito dei tributi erariali riferibile al territorio (eventualmente declinate anche come riserve d'aliquota), che è uno dei mezzi di finanziamento specificamente individuati nell'art. 119, secondo comma, Cost. per garantire le risorse in grado di finanziare integralmente le Pag. 107funzioni attribuite alle autonomie (art. 119, quarto comma, Cost.)»(86). A giudizio del professor Dario Stevanato, le riserve di aliquota, rispetto alle compartecipazioni al gettito, «presentano dei maggiori margini di flessibilità e manovrabilità da parte delle regioni, e parrebbero pertanto da preferire quale strumento di maggiore autonomia tributaria degli enti decentrati e di minore interdipendenza rispetto alle scelte di politica fiscale effettuate dal legislatore statale»(87).
  Il professor Giovanardi e il professor Stevanato, nelle rispettive audizioni del 3 e dell'11 novembre 2021, hanno poi affrontato la questione controversa delle maggiori risorse di cui potrebbero beneficiare le regioni ad autonomia differenziata – per effetto di un eventuale incremento del gettito delle compartecipazioni – rispetto a quelle fissate inizialmente in base alla spesa storica, ai fabbisogni standard o ad altri parametri(88).
  Un cenno va riservato infine all'opportunità, evidenziata in particolare dal professor Liberati, di coordinare gli sforzi per il completamento dell'assetto ordinario del federalismo fiscale – che palesa importanti ritardi sul piano della definizione dei livelli essenziali, della fiscalizzazione dei trasferimenti e dei sistemi di perequazione – con i progetti di federalismo asimmetrico, in modo da evitare «il rischio che anche il processo di federalismo differenziato da un lato si areni su un lungo regime transitorio, dall'altro che si innesti su divari già esistenti favorendone l'amplificazione»(89).

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8. CONCLUSIONI

  8.1 L'evoluzione del processo di riforma tracciato dalla legge n. 42 del 2009

  La presente Relazione delinea uno scenario che manifesta marcate differenze rispetto a quello cui si riferiva la Relazione approvata dalla Commissione nel 2019.
  L'insorgere dell'emergenza epidemiologica da Covid-19 ha rapidamente e profondamente mutato il quadro delle priorità politiche con conseguenze significative anche sul processo di attuazione del federalismo fiscale. Inoltre, il repentino rallentamento delle attività economiche, a seguito delle restrizioni dirette a contenere l'ondata pandemica, ha fortemente inciso sulle finanze degli enti territoriali.
  L'improvvisa perdita di base imponibile e, conseguentemente, di gettito per le casse delle autonomie territoriali è stata compensata da un consistente sforzo del bilancio statale, che ha permesso di reintegrare le risorse perdute a livello locale e di assicurare il mantenimento, sul piano quantitativo e qualitativo, dei servizi e delle prestazioni, pur in un contesto di aumentato fabbisogno complessivo per gli effetti sanitari (prima) e sociali (poi) della crisi. In questa direzione hanno operato, ad esempio, il Fondo per l'esercizio delle funzioni fondamentali degli enti locali e il Fondo per l'esercizio delle funzioni delle regioni e delle province autonome istituiti con la finalità di controbilanciare le diminuzioni di gettito correlate all'emergenza sanitaria.
  Dal punto di vista del volume delle risorse, i dati del Ministero dell'economia e delle finanze, già richiamati nelle pagine precedenti, mostrano che – considerate tutte le tipologie di interventi messi in campo per fronteggiare gli effetti della pandemia a livello territoriale (ristoro di minori entrate o maggiori spese, anticipazioni di liquidità, rinegoziazione di mutui) – la finanza regionale e locale ha beneficiato di un consistente sostegno (circa 24 miliardi di euro nel 2020 e oltre 7 miliardi di euro nel 2021, quanto alle regioni; più di 15 miliardi di euro nel 2020 e quasi 5 miliardi di euro nel 2021, quanto agli enti locali).
  La descritta situazione finanziaria ha reso inevitabile il ripristino, in una certa misura, di interventi di finanza derivata, seppure a carattere emergenziale e transitorio, in controtendenza rispetto all'obiettivo di fiscalizzazione dei trasferimenti statali(90).
  La progressiva ripresa delle attività produttive e l'auspicabile ritorno a una situazione di normalità sul piano economico e finanziario, unitamente ai benefici attesi dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, dovrebbero consentire di superare definitivamente la fase emergenziale sul versante della finanza territoriale, in modo da rilanciare il cammino verso la piena attuazione del federalismo fiscale e la Pag. 109valorizzazione del principio di autonomia, in primis sul piano della flessibilità impositiva (anche sulla base di una revisione dei tributi che potrebbe avere luogo nell'ambito della prevista riforma fiscale)(91).
  In ogni caso, come sottolineato nella precedente Relazione (oltre che in quelle approvate dalla Commissione nel corso della XVII legislatura), è essenziale portare a conclusione la perdurante e complessa fase di transizione del processo di riforma, che rappresenta un sostanziale elemento di continuità con il passato.
  Nel perseguimento di tale risultato è opportuno ovviare al carattere di «provvisorietà» che sembra connotare più di un aspetto della disciplina vigente. Non si può trascurare, del resto, che – nel decennio successivo all'approvazione della legge n. 42 del 2009 (prima ancora che si manifestasse l'emergenza epidemiologica) – sono intervenute disposizioni di natura congiunturale, straordinaria, se non derogatoria legate soprattutto a lunghe fasi di crisi finanziaria, che hanno avuto l'effetto di produrre una non trascurabile frammentazione e instabilità del quadro normativo. Parallelamente, non sono mancate spinte alla centralizzazione delle decisioni politiche e amministrative in contrapposizione alle esigenze di autonomia e alle istanze degli enti territoriali sub-statali.

  8.2 I livelli essenziali delle prestazioni

  Come univocamente segnalato nelle audizioni svolte dalla Commissione, uno dei fattori che ha maggiormente ostacolato la piena realizzazione dell'architettura prefigurata dalla legge n. 42 del 2009 è costituito dall'assenza di una chiara individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, nonché degli standard da assicurare con riferimento alle funzioni fondamentali.
  La mancanza dei livelli essenziali delle prestazioni (o l'incompletezza degli stessi, laddove essi presentino un contenuto generico e privo di un'indispensabile specificazione quantitativa) incide sulla modulazione dei fabbisogni standard e sui meccanismi di redistribuzione delle risorse destinate alla perequazione, oltre che su un'adeguata valutazione della corrispondenza fra risorse disponibili e fabbisogni(92).Pag. 110
  Conseguentemente, l'introduzione dei citati livelli essenziali delle prestazioni, accompagnata da un'idonea immissione di fondi perequativi statali, è un passaggio cruciale, conformemente a quanto stabilito dalla legge n. 42 del 2009, per addivenire a una ripartizione di risorse che sia correttamente ancorata ai fabbisogni standard e alle capacità fiscali.
  Assolvere a tale adempimento significa dare attuazione all'articolo 117 della Costituzione, che – al secondo comma, lettera m) – affida alla legislazione esclusiva dello Stato la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, con il proposito di favorire la piena fruizione dei diritti di cittadinanza. La mancata o lacunosa definizione dei livelli essenziali, nel disattendere i precetti costituzionali, priva la finanza decentrata di quello che dovrebbe rappresentare uno dei capisaldi del federalismo fiscale, frenando il progetto volto a coniugare il superamento della spesa storica e delle sue inefficienze con meccanismi di responsabilizzazione, trasparenza, buona amministrazione ed equità sociale.
  La definizione dei livelli essenziali delle prestazioni – come emerso nell'ambito dell'attività conoscitiva della Commissione – risulta necessaria, in particolare, per quelle funzioni fondamentali, solitamente a domanda individuale, per le quali sussiste un'ampia discrezionalità in ordine all'attivazione e al livello di fornitura dei servizi(93). Si tratta di funzioni, strettamente correlate ai diritti civili e sociali, che afferiscono a materie come l'assistenza, l'istruzione o il trasporto pubblico locale. In questi ambiti, in assenza dei livelli essenziali delle prestazioni, i fabbisogni standard sono oggetto solo di stime provvisorie e prudenziali, posto che non ci si può basare in modo affidabile sul livello storico di servizio e che lo stesso potrebbe non risultare coerente con la tutela dei diritti civili e sociali.
  Sono comunque diversi gli aspetti che, in materia di livelli essenziali delle prestazioni, danno luogo a situazioni di incertezza e che necessitano di iniziative tese a fornire puntuali indicazioni. Tra i settori più interessati da questi nodi applicativi rientrano quelli dell'istruzione e del trasporto pubblico locale. Nel caso dei servizi afferenti all'istruzione, resta da chiarire, in primo luogo, se debba esservi la garanzia di livelli essenziali per tutti i servizi non obbligatori inclusi in questa funzione (quali la mensa, il trasporto scolastico, il pre-post scuola, i centri estivi). Inoltre, sempre in tema di istruzione, è stata rimarcata l'importanza di una definizione dei livelli essenziali con riferimento al complesso delle prestazioni erogate dai vari gradi di governo (tenuto Pag. 111conto che molti servizi resi dagli enti locali hanno carattere complementare rispetto all'istruzione statale). Questioni da dipanare emergono anche nel campo del trasporto pubblico locale, ove, ad esempio, è opportuno stabilire se prevedere livelli essenziali delle prestazioni per tutti i territori o solo per le realtà connotate da particolari caratteristiche strutturali e socio-economiche, valutando, in altri termini, se i livelli essenziali debbano far riferimento alla presenza di una rete di trasporto pubblico urbano (necessariamente limitata ai centri di maggiori dimensioni) o se la tutela dei diritti civili e sociali debba concretizzarsi in un più generale sostegno pubblico alla mobilità locale(94).
  La determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni – alla quale è verosimilmente collegato il raggiungimento di standard di servizi in media superiori a quelli attualmente garantiti ma anche a un tendenziale aumento dei fabbisogni – deve conciliarsi con il rispetto dei vincoli di finanza pubblica e con la necessità di evitare tensioni sugli equilibri di bilancio. A tal fine, sarebbe opportuno seguire percorsi di graduale applicazione dei livelli essenziali delle prestazioni, come, tra l'altro, prescritto dalla legge delega, fissando, come è avvenuto recentemente in alcuni settori, obiettivi intermedi e meccanismi di monitoraggio.
  Su queste e su analoghe problematiche va intensificata l'azione da parte di tutte le istituzioni a vario titolo coinvolte per approntare soluzioni soddisfacenti, sul piano tecnico e politico, e dare così definitiva attuazione a una parte fondamentale della legge n. 42 del 2009.

  8.3 Lo stato di attuazione del federalismo fiscale nei diversi comparti territoriali

  Ferma restando l'esigenza di assicurare un'appropriata definizione dei livelli essenziali delle prestazioni, quale presupposto imprescindibile per portare a compimento il processo di riforma, è bene precisare che l'attuazione del federalismo fiscale si caratterizza per differenti gradi di avanzamento – con fattori di criticità non sempre uniformi – nei vari ambiti territoriali (regioni, province e città metropolitane, comuni).

  8.3.1 Le regioni

  Per quanto concerne il comparto regionale, risulta necessario un deciso intervento che consenta di rendere operative le indicazioni della legge n. 42 del 2009 e di affrontare i numerosi punti ancora irrisolti.
  Le previsioni del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68 (recante «Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario»), che avrebbero dovuto indirizzare l'assetto del federalismo fiscale regionale – con il superamento della finanza derivata e l'attivazione degli strumenti perequativi Pag. 112– non hanno trovato attuazione e, al momento, l'applicazione delle stesse è rinviata al 2023.
  A tale proposito, le questioni nevralgiche attengono all'individuazione dei trasferimenti erariali da fiscalizzare (ossia da sopprimere e sostituire con entrate tributarie) in favore delle regioni a statuto ordinario, alle modalità attraverso le quali procedere alla fiscalizzazione, all'attribuzione alle regioni di una quota del gettito riferibile al concorso delle stesse all'attività di recupero fiscale dell'Iva e alla configurazione dei meccanismi di perequazione.
  Su tali temi – che è indispensabile approfondire con il contributo di tutti gli attori coinvolti e sui quali la Commissione si propone di continuare a svolgere un monitoraggio costante – può costituire un'utile sede di confronto il Tavolo tecnico, a composizione mista Stato-regioni, appositamente istituito presso il Ministero dell'economia e delle finanze in attuazione della legge di bilancio per il 2019.
  Sul fronte della ricognizione dei trasferimenti erariali da fiscalizzare, è argomento dibattuto quello relativo al perimetro delle risorse da considerare, alla luce della riduzione dei trasferimenti derivante dal contributo alla finanza pubblica richiesto al comparto, a partire dal 2010, a seguito della crisi economica(95).
  In ordine alle modalità attraverso le quali procedere alla fiscalizzazione, le difficoltà sono collegate anzitutto alla rideterminazione dell'addizionale regionale all'Irpef, che, in base al disposto dell'articolo 2 del decreto legislativo n. 68 del 2011, deve garantire invarianza di gettito per il complesso delle regioni, con conseguente riduzione delle aliquote dell'Irpef di competenza statale, mantenendo inalterato il prelievo fiscale complessivo. La norma ha fatto registrare non poche criticità applicative, soprattutto se si considera che la riduzione delle aliquote dell'Irpef finirebbe per riguardare le sole regioni a statuto ordinario, producendo due scale di aliquote diverse (cosiddetto doppio binario) e ingiustificate discriminazioni tra i contribuenti(96). È auspicabile che tali profili problematici siano affrontati e definiti dal legislatore, anche nell'ambito di una più complessiva rivisitazione del sistema fiscale, con soluzioni appropriate, eque e tali da lasciare adeguati spazi per l'esercizio dell'autonomia di entrata in conformità ai principi costituzionali. In questa prospettiva, vanno attentamente valutate anche le disposizioni del recente disegno di legge recante la delega fiscale, che prevede la sostituzione dell'attuale addizionale regionale con una sovraimposta all'Irpef(97).Pag. 113
  Analoghe difficoltà si riscontrano rispetto a quanto stabilito dall'articolo 4 del decreto legislativo n. 68 del 2011, che prevede il superamento dell'attuale meccanismo di compartecipazione regionale all'Iva, nell'ottica di garantire il principio di territorialità delle entrate(98), una migliore allocazione delle risorse, una razionalizzazione delle spese e una maggiore responsabilizzazione degli enti. Su questo terreno, la mancata definizione dei livelli essenziali delle prestazioni e dei relativi fabbisogni standard (nei settori extra-sanitari) – ai quali va saldato il sistema di compartecipazione – costituisce uno dei principali motivi che impediscono di dare coerente attuazione alla norma(99).
  Appare necessario, poi, superare gli ostacoli che si sono palesati sul versante dell'attribuzione alle regioni di una quota del gettito riferibile al concorso nell'attività di recupero fiscale in materia di Iva, prevista dall'articolo 9 del decreto legislativo n. 68 del 2011, con particolare attenzione all'individuazione di parametri oggettivi diretti a misurare lo sforzo di contrasto all'evasione di ciascuna regione.
  Venendo alle modalità attraverso le quali procedere alla perequazione delle risorse, è stata sollevata l'esigenza di ponderare adeguatamente le differenze delle capacità fiscali, in modo da ridurre i divari rispetto ai territori con minore capacità fiscale per abitante e garantire l'integrale copertura delle spese concernenti i livelli essenziali delle prestazioni(100).
  Sul piano della perequazione, come emerso in varie audizioni, grande interesse catalizza il trasporto pubblico locale, con specifico riguardo alla voce più significativa dei trasferimenti da fiscalizzare, costituita dal finanziamento di parte corrente, posto che attualmente il trasporto pubblico locale non è riconducibile ai livelli essenziali delle prestazioni se non per la parte in conto capitale. Considerata l'entità del finanziamento in questione (4,9 miliardi su 7 miliardi di euro complessivi), pare condivisibile l'avvio di una riflessione sull'eventuale inclusione delle spese relative al trasporto pubblico locale di parte corrente tra quelle inerenti ai livelli essenziali delle prestazioni, anche per evitare un possibile definanziamento del comparto che abbia ripercussioni sull'esecuzione dei contratti di servizio di trasporto, soprattutto per le regioni con minore capacità fiscale.
  È altresì necessario proseguire il lavoro di analisi dei dati per pervenire alla determinazione dei fabbisogni standard per il comparto regionale. In merito a ciò, come già segnalato nei paragrafi precedenti, sono affiorati profili problematici – alla luce dell'attuale configurazione del quadro normativo (di cui al decreto-legge n. 50 del 2017 e al decreto legislativo n. 68 del 2011) – nell'esatta individuazione delle materie da considerare per la stima dei fabbisogni.Pag. 114
  Rispetto al sistema delle entrate tributarie delle regioni, alcuni degli esperti auditi dalla Commissione hanno osservato che i vincoli stringenti all'istituzione di tributi propri, anche alla luce della giurisprudenza costituzionale, comportano una inevitabile riduzione dei margini di autonomia(101). In più, negli anni, gli spazi di manovra si sono ridimensionati anche a causa dell'attivazione di misure che hanno prodotto la riduzione della base imponibile dell'Irap, soprattutto in relazione alla deducibilità del costo del lavoro, con la conseguenza che tale tributo, da imposta sul valore aggiunto, è divenuto imposta che colpisce i soli profitti e interessi passivi delle imprese. Tra l'altro, il disegno di legge recante la delega per la riforma fiscale – come già evidenziato nel relativo paragrafo – prevede un percorso di graduale superamento dell'Irap che dovrebbe comunque realizzarsi con modalità tali da garantire un adeguato finanziamento del sistema sanitario(102).
  Quanto all'utilizzo del gettito tributario, resta il fatto che la gestione sanitaria assorbe una parte preponderante delle risorse, con un'incidenza della relativa spesa pari a circa l'80 per cento di quella complessiva per la quasi totalità delle regioni, cui però non corrisponde una uniforme assistenza sul territorio nazionale per quantità e qualità(103). Tra l'altro, nonostante la standardizzazione dei trasferimenti sanitari e l'individuazione dei livelli essenziali di assistenza (LEA), durante il ciclo di audizioni sono stati messi in evidenza elementi di incoerenza nell'attuale modello di determinazione e finanziamento del fabbisogno sanitario.
  Tenuto conto delle indicazioni contenute nel Piano nazionale di ripresa e resilienza, l'attuazione del federalismo fiscale regionale, Pag. 115secondo quanto prospettato dal Governo in sedi di audizioni(104), dovrebbe scandirsi in diverse fasi, che contemplano, dapprima, l'aggiornamento della normativa e la soluzione dei limiti tecnico-giuridici nonché l'individuazione dei trasferimenti da fiscalizzare con incremento di aliquote o misure alternative (entro dicembre 2022) e, successivamente, la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni e dei fabbisogni standard (entro dicembre 2024). Su questa tempistica, tuttavia, gravano le incertezze legate alla concertazione delle soluzioni fra i diversi livelli di governo, al rispetto dei vincoli di finanza pubblica e ai tempi dell'attività legislativa.
  Da ultimo, in un più ampio quadro di decentramento, si segnala l'esigenza di proseguire con decisione nel cammino finalizzato a dare attuazione al regionalismo differenziato di cui all'articolo 116, terzo comma, della Costituzione(105). La questione continua a essere tra quelle che più alimentano il dibattito in ordine alla valorizzazione dell'autonomia costituzionalmente riconosciuta, atteso che il cosiddetto regionalismo asimmetrico non ha ancora trovato una concreta ed effettiva declinazione. Su questo argomento, appare essenziale giungere a rapidi progressi in una cornice che assicuri il pieno rispetto dei principi costituzionali e che consenta di conciliare i profili di autonomia con la previa garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni per tutti i cittadini, dell'efficienza dell'azione amministrativa, della gestione responsabile e trasparente delle risorse e della coesione economica e sociale.
  A tal fine, è utile sviluppare il confronto nel solco della leale collaborazione tra i livelli di governo e della piena partecipazione di tutti i soggetti istituzionali interessati dai complessi procedimenti decisionali che riguardano la materia. Sulla base di questo metodo costruttivo, dovrebbero trovare una soluzione, condivisa e pienamente rispondente alle varie istanze, tutti i nodi di natura sostanziale e procedurale, connessi all'attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia. Sono, infatti, numerose le questioni che permeano il dibattito, a partire dai profili afferenti all'ampiezza delle funzioni da trasferire, al ruolo del Parlamento, alle modalità di coinvolgimento degli enti locali, al soddisfacimento dei livelli essenziali delle prestazioni sull'intero territorio nazionale, al rispetto del principio di sussidiarietà e alla tutela dell'unità economica della Repubblica (se del caso, tramite strumenti di monitoraggio e rendicontazione)(106). Pag. 116In particolare, nell'ambito del processo di sviluppo dell'autonomia differenziata e della conseguente devoluzione di ulteriori competenze al livello di governo regionale, emerge l'opportunità di approfondire il tema del ruolo spettante allo Stato in relazione alle esigenze di coordinamento e al soddisfacimento delle «istanze unitarie», secondo i principi sanciti dalla giurisprudenza costituzionale.
  In sintonia con l'approccio di cui si è detto si pone l'iniziativa della Ministra per gli affari regionali e le autonomie, Mariastella Gelmini, volta a istituire una commissione di studio con il compito di verificare la possibilità di affrontare i diversi aspetti del regionalismo differenziato nell'ambito di un disegno di legge quadro, partendo dal lavoro di concertazione tra Stato e autonomie già svolto nel corso della XVIII legislatura(107).
  Rimane comunque inderogabile – in relazione al procedimento di differenziazione di cui all'articolo 116, terzo comma, della Costituzione – la previsione di strumenti adeguati per il finanziamento delle funzioni oggetto di trasferimento, in linea con l'articolo 119 della stessa Costituzione, con i principi propri del federalismo fiscale e con le previsioni della legge n. 42 del 2009, che, all'articolo 14, sancisce la necessità di provvedere all'assegnazione delle risorse occorrenti a fronte dell'attribuzione alle regioni di forme e condizioni particolari di autonomia. A tale riguardo, tra le ipotesi avanzate è stata prospettata quella di ricorrere a compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al territorio (o anche a una riserva di aliquota sulla base imponibile degli stessi tributi, con analogo riferimento alla maturazione sul territorio regionale)(108).

  8.3.2 Le province e le città metropolitane

  Per ciò che attiene al comparto delle province e delle città metropolitane, si registrano significativi ritardi nell'attuazione del modello di federalismo fiscale prefigurato dal decreto legislativo n. 68 del 2011.Pag. 117
  Gli obiettivi fissati hanno fortemente risentito delle manovre di finanza pubblica poste in essere a partire dal 2010 per fronteggiare la crisi finanziaria e delle iniziative di riforma istituzionale intraprese nella scorsa legislatura, che prevedevano una forte riduzione delle risorse garantite alle province in vista del ridimensionamento delle funzioni fondamentali alle stesse attribuite.
  Il processo di attuazione del federalismo fiscale, riepilogando quanto già diffusamente esposto, si è intersecato con le novità introdotte dalla legge n. 56 del 2014, che ha previsto l'istituzione delle città metropolitane e la revisione del sistema e delle funzioni delle province quali «enti di area vasta». La nuova disciplina è stata configurata come transitoria, nelle more della riforma del Titolo V della Parte seconda della Costituzione, che avrebbe dovuto portare alla soppressione delle province. L'esito referendario del 2016 (da cui è scaturito il mantenimento dell'ente provinciale) ha prodotto, tuttavia, una situazione segnata da evidenti disarmonie negli assetti istituzionali e finanziari, acuite dalla sovrapposizione di normative regionali eterogenee che hanno spesso prodotto un accentramento di funzioni al livello di governo regionale(109). In ordine a tali criticità, sarebbe opportuno valutare un intervento di riorganizzazione, anche sul piano istituzionale, che punti al consolidamento delle funzioni fondamentali, in linea con i principi sanciti dall'articolo 119 della Costituzione.
  I fondi a disposizione delle province, come detto, sono stati consistentemente erosi nel corso degli anni per effetto delle misure di riduzione delle risorse, degli strumenti tesi a garantire una stretta osservanza degli obiettivi di bilancio (quali il patto di stabilità interno) e, dopo l'approvazione della menzionata legge n. 56 del 2014, dei provvedimenti volti a conseguire risparmi di spesa corrente.
  In particolare, le ragguardevoli riduzioni del Fondo sperimentale di riequilibrio provinciale, attuate in un'ottica di contenimento della finanza pubblica, hanno inciso negativamente sulle finalità programmatorie e perequative. Solo negli ultimi anni, e con più vigore a seguito dell'emergenza causata dal Covid-19, sono state varate – a fronte della forte diminuzione di risorse correnti a titolo di concorso alla finanza pubblica – misure straordinarie volte a ristorare, almeno in parte, gli enti per i «tagli» decisi dal legislatore statale.
  Sostanziali e persistenti incongruenze connotano la struttura e i criteri di funzionamento del citato Fondo sperimentale di riequilibrio provinciale (attivato dopo la soppressione dei trasferimenti erariali avvenuta con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 aprile 2012), che, nel disegno originario, avrebbe dovuto avere carattere Pag. 118transitorio fino all'istituzione del vero e proprio fondo perequativo previsto dal decreto legislativo n. 68 del 2011(110).
  Inoltre, il gettito tributario del comparto – che continua ad essere rappresentato in larga misura dall'imposta provinciale di trascrizione (Ipt) e dall'imposta sulle assicurazioni contro la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore (Rca)(111) – offre, come emerso nel corso delle audizioni, ridotti margini di autonomia agli enti beneficiari, in ragione della limitata manovrabilità delle aliquote (già portate da molti enti ai livelli massimi) e delle peculiari dinamiche della base imponibile, la quale riflette oscillazioni ascrivibili al ciclo economico e alle politiche poste in essere a livello statale(112).
  Una decisa accelerazione verso una maggiore coerenza del quadro di riferimento è stata impressa dalla legge di bilancio per il 2021, che ha introdotto disposizioni volte a stabilire nuove modalità di finanziamento delle province e delle città metropolitane a decorrere dal 2022, con l'istituzione di due fondi unici (uno per le province e uno per le città metropolitane), nei quali far confluire i contributi e i fondi di parte corrente attualmente attribuiti a tali enti. La richiamata normativa realizza un'operazione finanziariamente neutrale, lasciando inalterato l'importo complessivo delle risorse. Le modalità di riparto prevedono, sulla base di un'istruttoria svolta dalla Commissione tecnica per i fabbisogni standard, che si tenga progressivamente conto della differenza tra i fabbisogni standard e le capacità fiscali, in modo da superare i criteri storici di attribuzione delle risorse.
  Conclusivamente e in estrema sintesi, il comparto delle province e delle città metropolitane richiede, con sollecitudine, un'integrale e corretta applicazione di quanto disposto dalla legge n. 42 del 2009.
  Quest'obiettivo postula una revisione dell'attuale assetto finanziario che restituisca spazi di autonomia agli enti del settore, in linea con i principi che informano il federalismo fiscale. In tale contesto, è indispensabile superare le criticità descritte – anche attraverso una valorizzazione delle sedi di confronto (ad esempio, quella rappresentata dalla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica(113)) – e ancorare i meccanismi di finanziamento alla piena operatività di livelli essenziali delle prestazioni, fabbisogni e capacità fiscali standard, e fondi perequativi.Pag. 119
  In quest'ottica va valutata positivamente la tabella di marcia indicata dal Ministero dell'economia e delle finanze, che prevede di procedere con la revisione delle capacità fiscali e la definizione dei fabbisogni standard entro dicembre 2021 e con la fissazione dei criteri perequativi di assegnazione dei due nuovi fondi entro il primo trimestre del 2022(114).

  8.3.3 I comuni

  Nel comparto comunale il federalismo fiscale si presenta in fase più avanzata rispetto a quanto è dato registrare con riferimento agli altri ambiti territoriali(115).
  Com'è noto, i comuni delle regioni a statuto ordinario hanno beneficiato dei maggiori progressi compiuti nella fiscalizzazione dei trasferimenti erariali aventi carattere di continuità e generalità, nonché dell'avvio di un processo perequativo che si basa sul riparto del Fondo di solidarietà comunale.
  L'attribuzione con criteri perequativi di quote crescenti del predetto Fondo ha tuttavia incontrato notevoli difficoltà, connesse sia alla forte riduzione delle risorse disponibili – a causa del contributo degli enti locali alle manovre di consolidamento della finanza pubblica – sia alla mancata determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, che ha reso inevitabile la scelta di parametrare il fabbisogno al livello storico dei servizi, con ciò inficiando l'obiettivo di superare le differenze territoriali esistenti.
  Il Fondo ha quindi operato, negli anni, come un sistema di redistribuzione essenzialmente «orizzontale», nel quale i fabbisogni standard non sono stati concretamente utilizzati come parametro per verificare la coerenza fra l'ammontare delle risorse assegnate e la spesa richiesta per l'esercizio delle funzioni fondamentali e l'erogazione dei livelli essenziali delle prestazioni in condizioni di efficienza. In assenza di fondi aggiuntivi statali (la perequazione «verticale»), lo strumento perequativo ha sostanzialmente continuato a produrre il trasferimento di risorse dai comuni con elevate basi imponibili e bassi fabbisogni a comuni con ridotte basi imponibili e alti fabbisogni, ostacolando l'allontanamento dal criterio della spesa storica nonché l'individuazione di soluzioni concordate tra tutti gli attori in gioco(116).
  Il percorso di attuazione del federalismo comunale ha registrato, tuttavia, significative novità a partire dal 2019.Pag. 120
  In primo luogo, sono state delineate tappe più graduali nell'applicazione del meccanismo di perequazione basato su fabbisogni e capacità fiscali, posticipando il raggiungimento del 100 per cento della perequazione all'anno 2030 (in luogo del 2021) e prevedendo un incremento del 5 per cento annuo della quota percentuale del Fondo da distribuire tra i comuni su base perequativa. Al termine della fase transitoria, dunque, la componente tradizionale del Fondo di solidarietà comunale sarà integralmente commisurata alla differenza fra fabbisogni standard e capacità fiscale standard. Contestualmente, è stata introdotta una progressione anche del cosiddetto target perequativo, che non sarà limitato al 50 per cento dell'ammontare complessivo della capacità fiscale perequabile, ma crescerà progressivamente (anch'esso del 5 per cento annuo) sino a raggiungere il valore del 100 per cento a decorrere dal 2029.
  Inoltre, si sono registrati importanti sviluppi sul versante della revisione dei fabbisogni standard, con l'obiettivo di commisurare gli stessi a livelli di servizio standard da garantire sul tutto il territorio nazionale, così da sopperire al limite costituito dall'assenza dei livelli essenziali delle prestazioni. Tale processo ha interessato inizialmente il servizio «asili nido» per essere poi esteso alla funzione «servizi sociali», nell'ambito della quale sono state sterilizzate le differenze regionali (cosiddette dummy), prendendo come parametro di riferimento il livello di servizi e la spesa standard delle realtà più virtuose.
  È stato quindi avviato, con la legge di bilancio per il 2021, un percorso di convergenza nei livelli quali-quantitativi dei servizi – in particolare, per la funzione sociale e gli asili nido – che è finanziato con risorse aggiuntive statali nell'ambito del Fondo di solidarietà comunale e accompagnato da meccanismi di monitoraggio, nell'ottica di assicurare un potenziamento delle prestazioni nelle aree più deficitarie senza penalizzare gli enti che hanno già raggiunto livelli ottimali di servizio.
  L'approccio appare in linea con il dettato normativo della legge n. 42 del 2009, che, come evidenziato più volte nel corso della Relazione, prevede un graduale percorso di avvicinamento ai livelli essenziali delle prestazioni con l'indicazione di obiettivi intermedi (i cosiddetti obiettivi di servizio), secondo un modello che dovrebbe essere valorizzato ed esteso a tutte le materie riconducibili all'esercizio delle funzioni fondamentali di competenza comunale, in un quadro di crescente intervento statale diretto alla copertura dei costi degli enti finanziariamente più deboli.
  Il procedimento seguito dal legislatore in ordine all'assegnazione e all'utilizzo delle maggiori risorse statali per il potenziamento degli asili nido e dei servizi sociali, con l'enucleazione di obiettivi e tempistiche, è del resto funzionale all'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Quest'ultimo, ad esempio, come già si è avuto modo di ricordare, assegna per il finanziamento del piano asili nido e delle scuole per l'infanzia (Missione n. 4), rilevanti risorse (4,6 miliardi di euro), la cui erogazione da parte dell'Unione europea è condizionata al raggiungimento, in tempi circoscritti, di precisi standard di servizio, in una prospettiva di riequilibrio territoriale.
  A partire dalla fine del 2019, ulteriori novità hanno interessato le dinamiche di funzionamento del Fondo di solidarietà comunale e i fabbisogni standard. È stata elaborata, infatti, una nuova metodologia Pag. 121di calcolo dei fabbisogni standard del servizio di «Smaltimento rifiuti» ed è stata rivista la metodologia per la funzione «Viabilità e territorio» (che ha portato a considerare come variabile di riferimento per il calcolo del fabbisogno il numero complessivo delle unità immobiliari, in luogo della popolazione, con maggiore attenzione ai flussi turistici e ai comuni di piccole dimensioni). In più, è stata predisposta una metodologia che esclude ogni riflesso, sul piano perequativo, dei fabbisogni standard e della capacità fiscale relativamente alla componente «rifiuti», cosicché gli aggiornamenti dei fabbisogni standard riferiti a tale componente non abbiano effetti sul Fondo di solidarietà comunale, in applicazione del principio «chi inquina paga», pur continuando a indirizzare la tariffa sui rifiuti (Tari).
  In ogni caso, il corretto funzionamento degli strumenti perequativi, nell'ottica di assicurare l'integrale copertura delle funzioni fondamentali e dei livelli essenziali delle prestazioni in condizioni di efficienza e di efficacia, richiede il conseguimento di ulteriori traguardi.
  In primo luogo, occorre proseguire il lavoro finalizzato alla standardizzazione dei fabbisogni, con particolare riguardo all'offerta di posti negli asili nido, ai servizi non obbligatori complementari all'istruzione (come la mensa e il trasporto scolastico, incluso quello per gli studenti diversamente abili) e alla funzione del sociale. Quindi, va completato il percorso di convergenza nei livelli quali-quantitativi dei servizi offerti, anche attraverso l'applicazione di strumenti di monitoraggio e misure correttive e sanzionatorie per il caso di scostamento dagli indicatori di riferimento.
  Appare, poi, opportuno perfezionare la metodologia di calcolo della capacità fiscale standard, specificatamente in relazione ad alcune entrate minori tributarie ed extra-tributarie (cosiddetta capacità residuale)(117), come l'imposta di soggiorno e i proventi di servizi a domanda individuale, nonché al cosiddetto tax gap dell'Imu (differenza tra gettito potenziale e gettito effettivo ad aliquota base), che avvantaggia i comuni con bassa capacità di riscossione e contrasto all'evasione.
  Non si possono tralasciare neppure le contraddizioni connesse sia alla componente ristorativa (per le risorse perdute dai comuni a seguito di modifiche dell'imposizione immobiliare), sia alla componente riferita a riduzioni, rettifiche e accantonamenti, che continuano a essere agganciate a criteri storici e che sono fonte di sperequazioni sul piano territoriale e dimensionale (sotto quest'ultimo profilo, a danno dei comuni più piccoli).
  Va osservato, altresì, che il processo di superamento del criterio della compensazione delle risorse storiche in funzione di un modello fondato sui fabbisogni standard dovrebbe prevedere un coinvolgimento più ampio dei comuni delle regioni ad autonomia speciale. In questa prospettiva, si inseriscono le novità concernenti la determinazione dei Pag. 122fabbisogni standard dei comuni della Sicilia(118) (che insieme a quelli della Sardegna partecipano al Fondo di solidarietà comunale), nonché le recenti disposizioni volte a includere gli enti locali delle regioni a statuto speciale nelle rilevazioni in materia di determinazione di costi e fabbisogni standard.
  Infine, deve essere assicurato un impegno maggiore in tema di coordinamento tra gli interventi perequativi riconducibili al Fondo di solidarietà comunale e gli ulteriori interventi di finanziamento, sia di parte corrente sia in conto capitale, volti al potenziamento dei servizi(119).
  Sul terreno tributario, sono stati compiuti sforzi di razionalizzazione e semplificazione con la riforma dell'imposizione locale immobiliare di cui alla legge n. 160 del 2019 (legge di bilancio per il 2020), che ha unificato l'Imu e la Tasi, e con l'istituzione del canone unico patrimoniale. Complessivamente, i comuni restano comunque dotati di una piuttosto limitata autonomia tributaria, alla luce dell'esiguità dei margini residui di manovra sulle imposte devolute (anzitutto l'Imu e l'addizionale all'Irpef)(120). Potenziali novità sono collegate al disegno di legge di delega fiscale, con particolare riferimento all'Imu (per effetto della riforma del catasto) e alla trasformazione dell'addizionale comunale all'Irpef in sovraimposta.
  Una peculiare attenzione deve essere dedicata alla situazione dei piccoli comuni. Per questi ultimi è stata sottoposta all'attenzione della Commissione l'esigenza di intraprendere iniziative per differenziare gli adempimenti burocratici rispetto a quelli prescritti per i comuni di maggiori dimensioni, per garantire i servizi minimi attraverso le necessarie dotazioni di personale e per semplificare il meccanismo di finanziamento di opere e investimenti (promuovendo una razionalizzazione del sistema dei controlli)(121).
  Nel comparto municipale permane, infine, l'esigenza di affrontare il tema dello statuto finanziario della Città di Roma, considerate le specificità (riconosciute dall'articolo 114 della Costituzione) che caratterizzano il ruolo della Capitale. In particolare, appare utile valutare se, nell'alveo di una riorganizzazione dei relativi trasferimenti statali, sia Pag. 123opportuno collocare la Capitale al di fuori del campo di applicazione del Fondo di solidarietà comunale. L'attuale sistema di finanziamento del Comune di Roma, infatti, nel tentativo di tener conto degli oneri che esso sostiene come Capitale della Repubblica, prevede consistenti contributi speciali al di fuori del meccanismo perequativo, originando criticità sia sul piano della corretta valutazione dei fabbisogni (posto che quelli collegati al ruolo di Capitale non sono stati aggiornati) sia sul fronte della programmazione e della certezza delle risorse disponibili. A ciò si aggiunge il fatto che la presenza di Roma tra gli enti cui destinare le risorse del Fondo di solidarietà comunale si presta a produrre asimmetrie e squilibri rispetto agli altri comuni, anche in ragione delle caratteristiche dimensionali della Capitale.
  Complessivamente, alla luce di quanto sin qui rappresentato, l'ottimizzazione dell'assetto finanziario dei comuni passa dal raggiungimento di ulteriori tappe nella direzione del definitivo superamento del criterio della spesa storica, del finanziamento integrale delle funzioni fondamentali, del rafforzamento della perequazione «verticale», della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, del perfezionamento delle regole di contabilità(122), del sostegno ai territori svantaggiati, alle realtà più piccole e agli enti che risultano in crisi a causa delle fragilità strutturali del relativo tessuto socio-economico(123).
  Innegabili circuiti virtuosi possono essere innescati grazie al Piano nazionale di ripresa e resilienza, in un contesto che favorisca l'autonomia e la responsabilità degli enti locali, generando le condizioni necessarie a un utilizzo efficiente delle risorse anche attraverso processi di semplificazione, in particolare in tema di appalti, di strumenti di programmazione e di reclutamento di personale qualificato.
  Con riferimento all'implementazione e al perfezionamento dei risultati raggiunti, si conferma determinante l'apporto tecnico offerto da organismi ed enti che, con elevata competenza ed esperienza, si occupano della materia, a partire dalla Commissione tecnica per i fabbisogni standard istituita presso il Ministero dell'economia e delle Pag. 124finanze, dalla società Sose S.p.A. e dall'Istituto per la finanza e l'economia locale – Fondazione Anci.

  8.4 Il percorso della perequazione infrastrutturale

  Una delle sfide più impegnative riguarda la perequazione infrastrutturale di cui all'articolo 22 della legge n. 42 del 2009, nell'ottica di recuperare il divario attualmente esistente tra le diverse aree geografiche del Paese, anche infraregionali, e di assicurare analoghi livelli essenziali di infrastrutturazione e di servizi connessi.
  Il divario infrastrutturale, infatti, si traduce, con riferimento a tutti i comparti territoriali (comuni, province, città metropolitane e regioni), in sensibili squilibri sul piano economico e sociale e in un deficit di beni e servizi per cittadini e imprese.
  Le recenti previsioni di cui all'articolo 15 del decreto-legge n. 121 del 2021, che ha novellato il citato articolo 22 della legge n. 42 del 2009 (già oggetto di precedenti correttivi), sono preordinate a dare una spinta propulsiva verso il succitato obiettivo e a compiere ulteriori e tangibili passi in avanti.
  La rivisitazione di tale parte della legge delega è anzitutto funzionale ad accelerare e semplificare(124) l'indispensabile ricognizione delle infrastrutture presenti sul territorio nazionale, nella consapevolezza della complessità dell'operazione, che è destinata a coinvolgere tanto le amministrazioni centrali tanto quelle sub-statali e che necessita di uno stretto coordinamento tra i diversi livelli istituzionali coinvolti.
  La suddetta attività è prodromica all'individuazione dei criteri di priorità e delle azioni da perseguire per colmare il ritardo infrastrutturale e di sviluppo, nonché all'attribuzione delle quote di finanziamento. Quest'ultima delicata tappa dovrà tener conto di molteplici fattori, quali le criticità nei collegamenti con le reti di trasporto su gomma e ferro di carattere nazionale, l'estensione territoriale, le specificità insulari, delle aree montane e interne e del Mezzogiorno, nonché la densità di popolazione e di unità produttive.
  Il nuovo procedimento è costruito su una tempistica che dovrebbe portare, entro la metà del 2022, all'adozione, da parte di ciascun Ministero e sulla base di un'intesa in Conferenza Stato-regioni, del Piano degli interventi da realizzare, attingendo alle risorse (4,6 miliardi di euro per gli anni 2022-2033), che confluiscono nel Fondo perequativo infrastrutturale(125).
  Si tratta di un programma che è coerente con l'impostazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, che punta al recupero del gap infrastrutturale tra le varie aree geografiche del territorio nazionale, destinando considerevoli risorse, in particolare alle regioni del Mezzogiorno (nella misura di almeno il 40 per cento delle risorse «territorializzabili», ossia degli investimenti con una destinazione territorialePag. 125 specifica). Si pensi, solo a titolo esemplificativo, agli importanti interventi contemplati dal Piano per la mobilità locale sostenibile e per il potenziamento della rete ferroviaria.
  All'obiettivo della perequazione infrastrutturale è comunque opportuno che concorrano in maniera aggiuntiva, sinergica e coordinata, oltre alle risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza e del Piano complementare nazionale, anche quelle dei tradizionali programmi di coesione nazionali ed europei (a partire dal Fondo per lo sviluppo e la coesione e dal Fondo europeo di sviluppo regionale)(126).

  8.5 Le opportunità offerte dal piano nazionale di ripresa e resilienza

  Alla luce di quanto sopra riportato, la Commissione ritiene imprescindibile proseguire, con decisione, nel percorso volto a una piena affermazione dell'autonomia finanziaria degli enti territoriali di cui all'articolo 119 della Costituzione, nell'ottica di superare il modello fondato sulla spesa storica (fonte di inefficienze), di favorire una maggiore responsabilizzazione degli eletti nei confronti delle rispettive comunità(127), di assicurare una trasparente gestione delle risorse pubbliche e di implementare la quantità e qualità dei servizi resi al cittadino, nel rispetto dei principi di equità, solidarietà e coesione.
  Il perseguimento di questi ambiziosi traguardi, in relazione ai quali la Commissione intende profondere ogni sforzo e fornire il proprio contributo in termini di esperienza e proposte, può trovare un rinnovato slancio nei prossimi mesi. Un nuovo impulso alla compiuta e coerente attuazione del federalismo fiscale può senz'altro scaturire – oltre che da un proficuo confronto sulle questioni ancora insolute del disegno recato dalla legge n. 42 del 2009, nonché sui temi strettamente correlati, come il regionalismo differenziato – anche dal progressivo superamento dell'emergenza epidemiologica e dalla realizzazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza(128).
  In merito a quest'ultimo strumento, è utile ricordare che una parte significativa delle varie Missioni del Piano coinvolge le autonomie territoriali sia indirettamente come soggetti beneficiari, sia direttamente in qualità di soggetti attuatori. Lo spettro delle materie interessate è molto ampio e spazia – in via del tutto esemplificativa – dai trasporti alla tutela del territorio, dagli asili nido agli edifici scolastici, dalla sanità alle politiche del lavoro fino ai servizi sociali(129).Pag. 126
  Il conseguimento degli obiettivi stabiliti per le diverse linee di investimento sarà quindi legato, da un lato, alla capacità delle amministrazioni centrali di allocare coerentemente i fondi tramite la predisposizione di bandi e avvisi pubblici e, dall'altro, all'adeguatezza delle strutture sub-statali di governo nel dare corso con efficacia ai necessari adempimenti sul versante della programmazione e della gestione(130).
  In ogni caso, il Piano nazionale di ripresa e resilienza, ribadendo quanto già evidenziato, agisce su un duplice piano: da una parte, contempla rilevanti progetti e interventi sostenuti da una cospicua iniezione di risorse che concorrono ad alimentare la crescita, anche del sistema economico locale, e quindi l'ampliamento delle basi imponibili; dall'altra, prevede, tra le riforme «abilitanti» il completamento – entro il primo quadrimestre del 2026 – dell'assetto del federalismo fiscale, a partire dagli obiettivi già individuati dal decreto legislativo n. 68 del 2011 per le regioni a statuto ordinario, le province e le città metropolitane.
  In ordine all'orizzonte temporale indicato dal Piano, pur tenendo conto della complessità delle questioni da affrontare, non si può non sottolineare l'opportunità di pervenire, al più presto, al completamento del processo di riforma della finanza decentrata, che ha subìto molte battute di arresto e che appare essenziale per giungere a un più maturo assetto dei rapporti finanziari tra i livelli di governo, per promuovere l'innalzamento del livello dei servizi erogati sul territorio nazionale e per garantire la piena fruizione dei diritti di cittadinanza.
  A tale proposito, come già accennato, importanti e precisi riferimenti sono rinvenibili nel cronoprogramma prospettato dal Ministero dell'economia e delle finanze, ove si prevede, una volta definiti i livelli essenziali delle prestazioni entro i prossimi mesi, il completamento del federalismo provinciale entro il primo trimestre del 2022 e di quello regionale entro la fine del 2024.

  (1) In tale data si è tenuta l'ultima audizione programmata dalla Commissione. A questo riguardo, si precisa che la Relazione non prende in considerazione i contenuti del disegno di legge di bilancio 2022 presentato al Senato della Repubblica l'11 novembre 2021 (A.S. 2448).

  (2) Cfr., in particolare, quanto riportato nel documento depositato dalla Viceministra dell'economia e delle finanze, Laura Castelli, nel corso dell'audizione del 9 giugno 2021 (allegato al resoconto stenografico della relativa seduta). Un'analoga disamina è stata svolta dai rappresentanti della Corte dei conti, i quali hanno puntualizzato che la legge delega sul federalismo fiscale «è rimasta in parte inattuata, principalmente per la sua coincidenza temporale con la grande crisi finanziaria del 2008» (cfr. il documento allegato al resoconto stenografico dell'audizione del 27 ottobre 2021, in cui sono intervenuti il Presidente di Sezione della Corte dei conti preposto alla funzione di referto della Sezione delle autonomie, Francesco Petronio, e il consigliere della medesima Sezione, Rinieri Ferone). Le suesposte considerazioni trovano riscontro anche nell'analisi degli studiosi ed esperti che sono stati auditi dalla Commissione. Tra gli altri, il professor Paolo Liberati, ordinario di scienza delle finanze presso l'Università degli Studi Roma Tre, ha rilevato che «Il processo di attuazione del federalismo fiscale, avviato con la L. 42/2009, ha subìto un forte rallentamento e una serie di rinvii, con carattere asimmetrico tra diversi livelli di governo» (cfr. il documento allegato al resoconto stenografico dell'audizione del 10 novembre 2021). Analogamente, la professoressa Floriana Margherita Cerniglia, ordinaria di economia politica presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, ha rimarcato che, anche per effetto «dei vincoli esterni e degli interventi di consolidamento della finanza pubblica che si sono frapposti dopo la crisi del 2008-2009, la legge delega rimane ancora incompiuta» (cfr. il documento allegato al resoconto stenografico dell'audizione del 10 novembre 2021). Il professor Michele Belletti, ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università di Bologna Alma Mater Studiorum, ha fatto riferimento a una fase di stallo innescata dalla crisi dei debiti sovrani, che ha aperto la strada a un «pervasivo coordinamento finanziario» da parte del legislatore (cfr. l'audizione dell'11 novembre 2021).

  (3) Cfr. la delibera 31 ottobre 2019 443/2019/R/rif., recante «Definizione dei criteri di riconoscimento dei costi efficienti di esercizio e di investimento del servizio integrato dei rifiuti, per il periodo 2018-2021».

  (4) Cfr. le audizioni del Presidente della Commissione tecnica per i fabbisogni standard, Giampaolo Arachi, del 6 ottobre 2021 e dei rappresentanti della società Sose – Soluzioni per il Sistema Economico S.p.A. del 21 ottobre 2021 (a quest'ultima audizione hanno preso parte il Presidente della Sose, Vincenzo Carbone, e il Responsabile per i rapporti con i committenti pubblici della stessa società, Marco Stradiotto).

  (5) Cfr. la già citata audizione di rappresentanti della società Sose – Soluzioni per il Sistema Economico S.p.A. del 21 ottobre 2021.

  (6) Cfr. la già citata audizione del Presidente della Commissione tecnica per i fabbisogni standard, Giampaolo Arachi, del 6 ottobre 2021.

  (7) L'esigenza di un chiarimento del quadro normativo su questi aspetti è stata espressa dal Presidente della Commissione tecnica per i fabbisogni standard, Giampaolo Arachi, nelle audizioni del 25 giugno 2020 e del 6 ottobre 2021.

  (8) Cfr. la citata audizione del Presidente della Commissione tecnica per i fabbisogni standard, Giampaolo Arachi, del 6 ottobre 2021.

  (9) Cfr. le audizioni del consigliere dell'Ufficio parlamentare di bilancio, Alberto Zanardi, del 20 ottobre 2021, e del Presidente della Commissione tecnica per i fabbisogni standard, Giampaolo Arachi, del 6 ottobre 2021.

  (10) Cfr. le audizioni del Presidente della Commissione tecnica per i fabbisogni standard, Giampaolo Arachi, del 25 giugno 2020 e del 6 ottobre 2021, nonché del consigliere dell'Ufficio parlamentare di bilancio, Alberto Zanardi, del 21 ottobre 2021.

  (11) Cfr. il documento allegato al resoconto stenografico dell'audizione del 6 ottobre 2021.

  (12) Cfr. la summenzionata audizione del Presidente della Commissione tecnica per i fabbisogni standard, Giampaolo Arachi, del 6 ottobre 2021.

  (13) Il decreto-legge sopra menzionato ha introdotto i commi 534-bis e 534-ter all'articolo 1 della legge n. 232 del 2016. In particolare, il comma 534-bis sancisce quanto segue: «Previo aggiornamento da parte della Conferenza Unificata, segreteria tecnica della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, del rapporto sulla determinazione della effettiva entità e della ripartizione delle misure di consolidamento disposte dalle manovre di finanza pubblica fra i diversi livelli di governo fino all'annualità 2016 e con la proiezione dell'entità a legislazione vigente per il 2017-2019, a decorrere dall'anno 2017, la Commissione tecnica per i fabbisogni standard di cui all'articolo 1, comma 29, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, – sulla base delle elaborazioni e ricognizioni effettuate dalla Società Soluzioni per il sistema economico – Sose S.p.A., attraverso l'eventuale predisposizione di appositi questionari, in collaborazione con l'ISTAT e avvalendosi della Struttura tecnica di supporto alla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome presso il Centro interregionale di Studi e Documentazione (CINSEDO) delle regioni – provvede all'approvazione di metodologie per la determinazione di fabbisogni standard e capacità fiscali standard delle Regioni a statuto ordinario, sulla base dei criteri stabiliti dall'articolo 13 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68, nelle materie diverse dalla sanità». Il successivo comma 534-ter interviene sulle modalità di ripartizione del concorso alla finanza pubblica delle regioni e province autonome stabilito dall'articolo 46, comma 6, del decreto-legge n. 66 del 2014, nonché di quello stabilito dall'articolo 1, comma 680, della legge n. 208 del 2015. La nuova disciplina stabilisce, tra l'altro, che a decorrere dal 2018, in caso di mancata intesa, il concorso annuale previsto dalle suddette disposizioni è ripartito con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, tenendo anche conto dei fabbisogni standard come approvati ai sensi del precedente comma 534-bis nonché delle capacità fiscali standard elaborate dal Dipartimento delle finanze del Ministero dell'economia (in caso di mancata approvazione dei fabbisogni e delle capacità fiscali medesimi, il concorso alla finanza pubblica è ripartito tenendo anche conto della popolazione residente e del prodotto interno lordo).

  (14) Cfr. il documento allegato al resoconto stenografico dell'audizione del 25 giugno 2020.

  (15) Cfr. il documento allegato al resoconto stenografico dell'audizione del 9 giugno 2021.

  (16) Cfr. le audizioni del 25 giugno 2020 e del 6 ottobre 2021. Il tema è stato affrontato anche dal consigliere dell'Ufficio parlamentare di bilancio, Alberto Zanardi, nell'audizione del 20 ottobre 2021, il quale ha fornito indicazioni sostanzialmente analoghe.

  (17) Per gli enti con i maggiori scostamenti dagli obiettivi di servizio la legge delega prevede un procedimento, denominato «Piano per il conseguimento degli obiettivi di convergenza», volto ad accertare le cause degli scostamenti e a stabilire le azioni correttive da intraprendere, anche fornendo agli enti la necessaria assistenza tecnica e utilizzando, ove possibile, il metodo della diffusione delle migliori pratiche fra gli enti dello stesso livello (articolo 18).

  (18) Cfr., in tal senso, quanto indicato dai rappresentanti della società Sose – Soluzioni per il Sistema Economico S.p.A. nell'audizione del 21 ottobre 2021.

  (19) Cfr. il documento allegato al resoconto stenografico della seduta del 27 ottobre 2021. La Corte ha osservato, in particolare, che nel contesto sopra richiamato, il criterio pro capite utilizzato nella ripartizione delle risorse potrebbe necessitare di correttivi, con particolare riferimento alle aree interne (a causa del processo di spopolamento) e alla quantificazione dei fabbisogni monetari insoddisfatti, come è stato già realizzato per gli asili nido. Inoltre, ad avviso della Corte, è auspicabile il parziale superamento del meccanismo della perequazione orizzontale utilizzato all'interno del comparto comunale per la redistribuzione di quote significative del tributo immobiliare, posto che l'intervento di una perequazione verticale «potrebbe fornire un ulteriore sostegno, in particolare, per le funzioni fondamentali, di cui la riforma prevede l'integrale compensazione, lasciando inalterato il meccanismo di perequazione orizzontale per le funzioni facoltative, dove è prevista la riduzione parziale della differenza della capacità fiscale standard».

  (20) Cfr. il documento allegato al resoconto stenografico dell'audizione del Presidente della Commissione tecnica per i fabbisogni standard, Giampaolo Arachi, del 6 ottobre 2021.

  (21) Cfr., in particolare, il documento allegato al resoconto stenografico della seduta del 9 giugno 2021.

  (22) Con riferimento alle criticità del settore sanitario, il professor Paolo Liberati ha evidenziato che, per un verso, «la determinazione del fabbisogno sanitario segue una procedura che si discosta dal concetto di fabbisogno standard, nonostante per la sanità siano definiti dei Livelli Essenziali di Assistenza (Lea)», per l'altro «il finanziamento del fabbisogno sanitario avviene con modalità che presentano elementi di incoerenza». Più in particolare, il professor Liberati ha sottolineato: «L'attuale procedura, dunque, determina un distacco operativo tra livelli essenziali e fabbisogni standard regionali: i primi sono di fatto determinati sulla base delle risorse disponibili; il calcolo dei secondi, invece, costituisce solo criterio di riparto di quelle risorse. Non c'è dunque certezza, in una prospettiva dinamica, che i Lea in sanità rappresentino adeguatamente il livello essenziale effettivamente necessario (come accadrebbe se la logica di determinazione fosse di tipo bottom up) e per questa ragione essi non costituiscono un saldo elemento prospettico di ancoraggio per la definizione dei fabbisogni standard regionali, soprattutto in relazione al mutamento delle esigenze sanitarie che dovesse verificarsi in ragione di fattori esogeni. D'altro lato, la procedura top down risponde al condizionamento finanziario che sui Lea è esercitato dai vincoli di finanza pubblica e dalla necessaria compatibilità con il quadro macroeconomico» (cfr. il documento allegato al resoconto stenografico dell'audizione del 10 novembre 2021).

  (23) Per l'ultimo riparto del Fondo sanitario 2021, le 5 regioni benchmark dalle quali poi enucleare le 3 regioni di riferimento dei costi standard sanitari, selezionate sulla base della griglia LEA 2018 e dei risultati di esercizio valutati dal cosiddetto Tavolo di verifica degli adempimenti, ai sensi dell'articolo 27, comma 5, del decreto legislativo n. 68 del 2011, sono state Emilia-Romagna, Umbria, Marche, Lombardia e Veneto (cfr. il documento del Ministero della salute del 23 febbraio 2021 che elenca i criteri). Il decreto-legge n. 73 del 2021 (articolo 35) ha stabilito che, per l'anno 2021, ai fini della determinazione dei fabbisogni sanitari standard regionali, tutte le regioni sopraindicate siano considerate regioni di riferimento.

  (24) Il professor Francesco Porcelli, associato di economia politica presso l'Università degli Studi di Bari «Aldo Moro», ha sottolineato che «le regioni presentano delle serie criticità nel modello di calcolo del fabbisogno standard sanitario che, essendo basato esclusivamente sulla popolazione, non riesce a legare direttamente il fabbisogno ai LEA e non consente l'individuazione di costi standard efficienti». In particolare, secondo il professor Porcelli: «Il problema è che la determinazione dei fabbisogni sanitari non dipende dai LEA e rimane fortemente guidata dal peso esercitato della popolazione. Una revisione dei meccanismi di calcolo dei fabbisogni standard nella sanità che consenta di legarli direttamente ai LEA dovrebbe essere ai primi posti di una agenda di riforma» (cfr. il documento allegato al resoconto stenografico dell'audizione del 3 novembre 2021). La professoressa Floriana Margherita Cerniglia ha puntualizzato che «sul fronte regionale esistono soltanto i LEA (livelli essenziali di assistenza) che in pratica servono a verificare/misurare l'efficienza dei sistemi sanitari regionali in quanto la determinazione dei fabbisogni sanitari e il riparto delle risorse alle regioni non dipende dai LEA ma da una distribuzione/riparto del FSN che avviene di fatto sulla base della popolazione pesata per età» (cfr. il documento allegato al resoconto stenografico dell'audizione del 10 novembre 2021). Con riferimento agli aspetti messi a fuoco dagli auditi sul tema della ripartizione delle risorse, si segnala che nel 2020 il Ministero della salute ha avviato un iter istruttorio (con richiesta di parere al Consiglio di Stato) per il perfezionamento dei criteri di calcolo dei pesi del riparto in base alla popolazione regionale, in modo da tenere conto di ulteriori elementi informativi presenti nel Nuovo sistema informativo sanitario (Nsis). L'ipotesi delineata ha preso in considerazione una eventuale interconnessione di questi flussi informativi con quelli disponibili nelle banche dati di altre amministrazioni, quali l'anagrafe tributaria presso l'Agenzia delle entrate, il registro delle cause di morte presso l'Istat, le anagrafi dei codici di esenzione per patologia presso le regioni, con l'obiettivo di pervenire a un database di livello individuale (cfr., sul punto, il parere reso dal Garante per la protezione dei dati personali al Consiglio di Stato «sulle nuove modalità di ripartizione del fondo sanitario tra le regioni proposte dal Ministero della salute e basate sulla stratificazione della popolazione – 5 marzo 2020», alla luce dei risvolti in materia di privacy). Circa l'utilizzo dei dati raccolti nei sistemi informativi sanitari, si veda altresì quanto stabilito dall'articolo 7 del decreto-legge n. 34 del 2020.

  (25) Cfr. l'audizione della Ministra della salute pro tempore, Giulia Grillo, del 10 aprile 2019.

  (26) Il Patto per la salute, come stabilito dalla legge di bilancio per il 2019, ha inteso definire misure di programmazione e di miglioramento della qualità delle cure e dei servizi erogati, nonché di efficientamento dei costi. Tra queste si ricordano la revisione del sistema di compartecipazione alla spesa sanitaria a carico degli assistiti, la valutazione dei fabbisogni del personale del Servizio sanitario nazionale, l'implementazione di infrastrutture e modelli organizzativi per l'interconnessione dei sistemi informativi, la promozione della ricerca in ambito sanitario, la valutazione del fabbisogno di interventi di ammodernamento tecnologico.

  (27) Cfr. l'audizione del 20 maggio 2021.

  (28) Cfr. il documento allegato al resoconto stenografico dell'audizione del 27 ottobre 2021.

  (29) Cfr. la sentenza n. 273/2013.

  (30) Cfr. il documento allegato al resoconto stenografico della seduta del 9 giugno 2021.

  (31) Cfr., in particolare, il documento allegato al resoconto stenografico dell'audizione del 22 settembre 2021, alla quale ha partecipato anche il coordinatore della Commissione Affari finanziari della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, Davide Carlo Caparini.

  (32) Cfr., in particolare, il documento allegato al resoconto stenografico della relativa audizione.

  (33) Si tratta del contributo alla finanza pubblica più cospicuo tra quelli richiesti a province e città metropolitane, insieme a quello disposto dall'articolo 19 del decreto-legge n. 66 del 2014, pari a 69 milioni di euro a decorrere dal 2016, in considerazione dei minori costi della politica derivanti dalla legge n. 56 del 2014 (gratuità delle cariche politiche e venir meno del sistema elettorale provinciale). Si rammenta, in generale, che tali tagli si accompagnavano (articolo 1, comma 421, della legge n. 190 del 2014) alla consistente riduzione della spesa di personale degli enti di area vasta delle regioni a statuto ordinario (50 per cento, per le province, e 30 per cento, per le città metropolitane, della spesa 2014), attraverso il trasferimento ad altri enti (in prevalenza amministrazioni dello Stato e regioni) del personale in servizio presso le province e le città metropolitane.

  (34) Cfr. il documento allegato al resoconto stenografico della seduta del 9 giugno 2021.

  (35) Cfr. il documento allegato al resoconto stenografico della seduta del 6 ottobre 2021.

  (36) Cfr. il documento allegato al resoconto stenografico della seduta del 15 settembre 2021.

  (37) Cfr. G. Messina, M. Savegnago e A. Sechi, Il prelievo locale sui rifiuti in Italia: benefit tax o imposta patrimoniale (occulta)?, in «Questioni di Economia e Finanza», n. 474, dicembre 2018.

  (38) Questi tratti peculiari del sistema di perequazione sono stati messi in risalto dalla Ministra dell'interno, Luciana Lamorgese, secondo la quale «il meccanismo perequativo realizzato con il fondo di solidarietà comunale, tra il 2015 e il 2020, si discosta per diversi aspetti dal modello del fondo perequativo previsto per i Comuni dalla richiamata legge, cioè la 42 del 2009. In particolare, i fattori di allontanamento dal modello riguardano essenzialmente e innanzitutto le fonti di alimentazione, in quanto, mentre il fondo previsto dalla legge n. 42 del 2009 è a carico della fiscalità generale, essendo alimentato con tutte le risorse tributarie, quello effettivamente realizzato, cioè il fondo di solidarietà comunale, è alimentato unicamente dall'IMU comunale» (cfr. il resoconto stenografico dell'audizione del 21 luglio 2021).

  (39) Cfr. il documento allegato al resoconto stenografico della relativa seduta.

  (40) Cfr. il documento allegato al resoconto stenografico della relativa seduta. Analoghe indicazioni sono state fornite dallo stesso Presidente Arachi nella precedente audizione del 25 giugno 2020.

  (41) Cfr. quanto riferito nell'audizione di rappresentanti della società Sose – Soluzioni per il Sistema Economico S.p.A. del 21 ottobre 2021.

  (42) L'effetto di queste disposizioni, tra l'altro, è destinato a sommarsi a quanto previsto dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, che ha stanziato ulteriori risorse per finanziare il Piano per asili nido e scuole dell'infanzia e servizi di educazione e cura per la prima infanzia (Missione 4, Componente 1) per un totale di 4.600 milioni di euro fino al 2026. A questo riguardo, merita di essere richiamata la specifica analisi sulle iniziative per il potenziamento del settore dei servizi per l'infanzia sviluppata dal consigliere dell'Ufficio parlamentare di bilancio, Alberto Zanardi, nella memoria consegnata in occasione dell'audizione del 20 ottobre 2021, con particolare riferimento ai progetti finanziati dal Fondo asili nido e scuole dell'infanzia, a seguito dell'adozione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 30 dicembre 2020 che ha fissato i relativi criteri di ripartizione e assegnazione delle risorse. Dalla disamina del consigliere Zanardi emergono due indicazioni che possono risultare utili anche nella prospettiva della formulazione dei bandi previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza: la prima evidenzia che il vincolo territoriale (relativo al 40 per cento delle risorse da destinare al Mezzogiorno) «è stato rispettato anche mediante un meccanismo di suddivisione del territorio in zone svantaggiate e non», mentre la seconda «mostra, invece, come i criteri adottati siano risultati solo parzialmente efficaci nel garantire l'avvicinamento al raggiungimento dell'obiettivo nei territori che presentano ancora forti ritardi, favorendo di contro realtà in cui esso è stato già raggiunto». Inoltre, atteso che le aree svantaggiate sono state individuate facendo riferimento all'indice di vulnerabilità sociale e materiale (Ivsm) calcolato dall'Istat, come evidenziato dal consigliere Alberto Zanardi nel corso dell'audizione, «l'indicatore fa riferimento ai valori rilevati nel censimento della popolazione 2011 mostrando una fotografia del territorio non più attuale» (cfr. il documento allegato al resoconto stenografico della relativa seduta).

  (43) Con riferimento a questo parametro, il professor Francesco Porcelli – nella memoria consegnata alla Commissione in occasione dell'audizione del 3 novembre 2021 – ha evidenziato che, in assenza di livelli essenziali delle prestazioni, «grazie alla definizione del Fabbisogno Standard Monetario sviluppata con gli obiettivi di servizio nel settore sociale, è possibile quantificare dei LEP impliciti, ovvero la spesa standard che ogni comune è potenzialmente in grado di finanziare con la propria capacità fiscale e i trasferimenti perequativi del Fondo di Solidarietà Comunale a regime». Il riferimento ai «LEP impliciti», assieme al concetto di fabbisogno standard monetario, offre la possibilità di evidenziare le aree del Paese che presentano dei deficit nell'offerta di servizi (o output-gap positivo). Secondo le analisi messe a disposizione dal professor Porcelli, «nei settori del sociale e dell'istruzione, emerge come non sono soltanto i comuni delle regioni del centro-sud a presentare un livello di spesa inferiore al LEP implicito fissato dal Fabbisogno Standard Monetario, la necessità di un potenziamento dei servizi emerge anche in alcuni comuni del nord concentrati principalmente in Piemonte e in alcune aree della Lombardia e del Veneto» (cfr. il documento allegato al resoconto stenografico dell'audizione del 3 novembre 2021).

  (44) Cfr. al riguardo, quanto illustrato nella memoria depositata in occasione dell'audizione di rappresentanti della società Sose – Soluzioni per il Sistema Economico S.p.A. del 21 ottobre 2021.

  (45) Cfr. il documento allegato al resoconto stenografico dell'audizione del 25 giugno 2020.

  (46) Cfr. il documento allegato al resoconto stenografico dell'audizione del 9 giugno 2021.

  (47) Cfr. il documento allegato al resoconto stenografico dell'audizione del 20 ottobre 2021.

  (48) Cfr. il documento allegato al resoconto stenografico dell'audizione del 27 ottobre 2021. Circa il carattere parzialmente «orizzontale» del Fondo di solidarietà comunale, il professor Francesco Porcelli, ha sottolineato «come sia molto difficile, e forse indesiderabile, rendere la perequazione comunale perfettamente verticale», posto che quest'operazione richiederebbe una riforma radicale di tutto l'impianto delle entrate proprie dei comuni: per azzerare la componente orizzontale occorrerebbe, infatti, «ridurre l'autonomia impositiva del comparto comunale dell'82%, portando la capacità fiscale da 18,9 miliardi di euro a 3,3 miliardi di euro, con un costo politico probabilmente più alto di quello oggi generato dal carattere misto della perequazione» (cfr. il documento allegato al resoconto stenografico dell'audizione del 3 novembre 2021).

  (49) Cfr. il documento allegato al resoconto stenografico dell'audizione del 23 settembre 2021, in cui è intervenuto il sindaco di Novara e delegato alla finanza locale dell'Anci, Alessandro Canelli.

  (50) Cfr. l'audizione del 6 ottobre 2021 (in particolare, il documento allegato al resoconto stenografico della relativa seduta).

  (51) Cfr. l'audizione del 9 giugno 2021.

  (52) Dubbi sulla corretta qualificazione – nell'ambito del disegno di legge recante la delega fiscale – del nuovo prelievo in termini di sovraimposta sono stati espressi dal professor Andrea Giovanardi, ordinario di diritto tributario presso l'Università degli Studi di Trento, e dal professor Dario Stevanato, ordinario di diritto tributario presso l'Università degli Studi di Trieste, rispettivamente, nelle audizioni del 3 e dell'11 novembre 2021.

  (53) Cfr. il documento allegato al resoconto stenografico dell'audizione dell'11 novembre 2021. Secondo il professor Stevanato, in sostanza, «la possibilità che le regioni hanno attualmente di stabilire aliquote differenziate per ammontare di reddito, disporre detrazioni in favore della famiglia maggiorando quelle statali, nonché disporre detrazioni dall'addizionale in luogo di sussidi, voucher, buoni e altre misure di sostegno sociale (cioè in sostanza delle tax expenditures di livello regionale), come previsto dall'art. 6 del D.Lgs. n. 68/2011, verrebbe meno».

  (54) In particolare, ad avviso del professor Giovanardi «la ricordata trasformazione in sovraimposta-addizionale in senso stretto fa venire meno i poteri previsti nell'art. 6 del d.lgs. n. 68 del 2011, dalla possibilità di maggiorare l'aliquota di base (primo comma), a quella di disporre detrazioni a favore della famiglia e sussidi per coloro che vivono in famiglie che non possono usufruire delle detrazioni (quinto comma), a quella di disporre altre detrazioni e sussidi aventi funzione di sostegno sociale (sesto comma)» (cfr. il documento allegato al resoconto stenografico dell'audizione del 3 novembre 2021).

  (55) Cfr. il documento allegato al resoconto stenografico dell'audizione del 10 novembre 2021.

  (56) Si tratta di osservazioni riportate ancora nel sopracitato documento depositato in occasione dell'audizione del 10 novembre 2021, ove si rileva altresì che «l'insistenza sull'addizionale (o sovraimposta) Irpef otterrebbe comunque l'indesiderato effetto di chiamare a raccolta per il finanziamento delle spese regionali e comunali una platea limitata di contribuenti».

  (57) Cfr. il documento allegato al resoconto stenografico della seduta dell'11 novembre 2021.

  (58) Cfr. il documento allegato al resoconto stenografico della seduta del 10 novembre 2021.

  (59) Secondo i dati forniti dal consigliere dell'Ufficio parlamentare di bilancio, Alberto Zanardi, l'Irap nel 2019 ha prodotto un gettito di circa 24 miliardi di euro (di cui poco meno del 42 per cento deriva dalle amministrazioni pubbliche e circa 600 milioni dall'esercizio delle leve fiscali messe in atto dalle regioni). Conseguentemente, il gettito effettivo ad aliquota standard sulla base imponibile del settore privato da compensare sarebbe pari a circa 13,7 miliardi di euro (cfr. il documento allegato al resoconto stenografico dell'audizione del 20 ottobre 2021).

  (60) Cfr., in particolare, il documento allegato al resoconto stenografico dell'audizione del 20 ottobre 2021.

  (61) Cfr. il documento allegato al resoconto stenografico dell'audizione del 10 novembre 2021.

  (62) Cfr. il documento allegato al resoconto stenografico dell'audizione dell'11 novembre 2021.

  (63) Cfr. il documento allegato al resoconto stenografico dell'audizione del 3 novembre 2021.

  (64) Quanto alla portata redistributiva di un'eventuale riforma, il consigliere dell'Ufficio parlamentare di bilancio, Alberto Zanardi, nel richiamare l'incapacità dell'attuale sistema catastale di restituire un'adeguata valorizzazione degli immobili e quindi l'iniquità nella distribuzione del prelievo connessa agli scostamenti tra il valore catastale e l'effettivo valore dell'immobile, ha osservato che l'asimmetria della distribuzione di tali scostamenti, «che evidenziano una concentrazione delle maggiori sperequazioni su segmenti circoscritti di immobili, sembrerebbe suggerire che a parità di gettito si avrebbero più avvantaggiati che svantaggiati» (cfr. il documento allegato al resoconto stenografico dell'audizione del 20 ottobre 2021). Il professor Paolo Liberati ha precisato che, sul piano applicativo, «sarebbe però in generale opportuno che la revisione delle rendite catastali non tenda ad un avvicinamento eccessivo ai valori effettivi di mercato, in ragione del fatto che tali valori sono soggetti ad ampia variabilità che dovrebbe comunque essere trattata in qualche forma ai fini di una tassazione equa e della certezza del gettito per i Comuni» (cfr. il documento allegato al resoconto stenografico dell'audizione del 10 novembre 2021).

  (65) Cfr. il documento allegato al resoconto stenografico dell'audizione del 10 novembre 2021. Nella documentazione prodotta dai rappresentanti della Corte dei conti, in occasione dell'audizione del 27 ottobre 2021, si legge che «le previsioni di spesa per investimenti, riferite agli enti locali per il quadriennio appena trascorso, registrano un incremento da 39,8 mld del 2017 a 55,8 del 2020 pari al 40% sull'intero periodo di riferimento», anche se «risulta sempre ampio il divario tra le risorse stanziate e quelle effettivamente impegnate che, dopo un'inversione di tendenza, torna ad aumentare nel 2020». Inoltre, il Meridione fa registrare «le maggiori difficoltà ad impegnare le risorse stanziate», mentre «il Nord Est, pur presentando una migliore capacità di impegno, riporta un peggioramento dell'indice» (cfr. il documento allegato al resoconto stenografico della relativa audizione).

  (66) Nel testo previgente (articolo 22, comma 1, lettera b)), si prevedeva che, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sarebbero stati definiti gli standard di riferimento per la perequazione infrastrutturale in termini di servizi minimi per le predette tipologie di infrastrutture.

  (67) Cfr. M. Bucci, E. Gennari, G. Ivaldi, G. Messina e L. Moller, I divari infrastrutturali in Italia: una misurazione caso per caso, in «Questioni di Economia e Finanza», n. 635, luglio 2021. Secondo la documentazione fornita dal Ministro, gli indicatori di accessibilità «rapportano l'offerta infrastrutturale alla domanda di mobilità» e, in particolare, «permettono di: catturare l'essenza stessa delle infrastrutture di trasporto (il tempo di percorrenza); sintetizzare sia la dotazione fisica sia aspetti qualitativi e prestazionali dei sistemi di mobilità».

  (68) Cfr. il documento allegato al resoconto stenografico della seduta del 13 ottobre 2021.

  (69) Quanto alla situazione del Mezzogiorno – nella documentazione messa a disposizione della Commissione in occasione dell'audizione del Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, Enrico Giovannini, del 13 ottobre 2021 – si riporta che: il 40 per cento delle famiglie «indica difficoltà di collegamento con i mezzi pubblici e la qualità del servizio offerto è più bassa»; è più elevata «la quota di famiglie che dichiara di vivere in abitazioni in cattive condizioni, con strutture danneggiate o con problemi di umidità»; viene disperso il 48 per cento dell'acqua immessa in rete e risulta «più elevata la quota di famiglie che dichiara irregolarità nell'erogazione del servizio (18%) o che non si fida di bere l'acqua del rubinetto (40%)».

  (70) Cfr. il documento allegato al resoconto stenografico dell'audizione del 20 ottobre 2021.

  (71) Cfr. ancora il documento allegato al resoconto stenografico dell'audizione del 20 ottobre 2021.

  (72) Cfr. il più volte richiamato documento allegato al resoconto stenografico dell'audizione del 20 ottobre 2021.

  (73) Si tratta, come già ricordato, di fondi assegnati al Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili sui 30,6 miliardi di euro disponibili nel Piano complementare.

  (74) Cfr. il documento allegato al resoconto stenografico della relativa seduta.

  (75) Cfr., il documento allegato al resoconto stenografico dell'audizione del 21 ottobre 2021.

  (76) Cfr., in particolare, l'anzidetto documento allegato al resoconto stenografico dell'audizione del 21 ottobre 2021.

  (77) Cfr. il documento allegato al resoconto stenografico dell'audizione del 20 ottobre 2021.

  (78) Cfr. il documento allegato al resoconto stenografico della relativa seduta.

  (79) La legge di stabilità per il 2014 ha introdotto alcune disposizioni di attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, relative solo alla fase iniziale del procedimento per il riconoscimento di forme di maggiore autonomia alle regioni a statuto ordinario. In particolare, la legge ha previsto un termine di sessanta giorni entro il quale il Governo, anche ai fini di coordinamento della finanza pubblica, è tenuto ad attivarsi sulle iniziative delle regioni presentate al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro per gli affari regionali ai fini dell'intesa (articolo 1, comma 571, della legge n. 147 del 2013).

  (80) Cfr. il documento allegato al resoconto stenografico della relativa seduta. In particolare, secondo il professor Liberati «il ricorso alle forme di ulteriore autonomia dovrebbe essere inizialmente limitato a quelle competenze per le quali, da parte delle Regioni, sia in un certo senso verificabile la maggiore efficacia nella gestione, in modo che i risultati ottenuti con specifiche regole e procedure siano estendibili – in tempi variabili – anche ad altri enti territoriali».

  (81) L'audizione dinanzi alla Commissione parlamentare per le questioni regionali ha avuto luogo nell'ambito dell'Indagine conoscitiva sul processo di attuazione del «regionalismo differenziato» ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione avviata dalla Commissione, cui si accennerà più avanti.

  (82) Cfr. l'audizione del 26 maggio 2021.

  (83) Cfr. il documento allegato al resoconto stenografico della relativa seduta.

  (84) Cfr. il documento allegato al resoconto stenografico dell'audizione del 22 settembre 2021. «In caso contrario – si specifica nel citato documento – verrebbe lesa l'applicazione dell'art. 119 della Costituzione ovvero l'esercizio delle funzioni attribuite con particolare riferimento a quelle che implicano la definizione dei LEA. Tale clausola di salvaguardia è prevista a carattere generale. Ove dovesse essere inserita una clausola specifica per le Regioni ad autonomia differenziata, deve essere contestualmente garantita la neutralità finanziaria complessiva per il comparto regionale».

  (85) Cfr. il documento allegato al resoconto stenografico dell'audizione del 10 novembre 2021.

  (86) Cfr. il documento allegato al resoconto stenografico dell'audizione del 3 novembre 2021.

  (87) Cfr. il documento allegato al resoconto stenografico dell'audizione dell'11 novembre 2021.

  (88) Si tratta, in particolare, delle maggiori risorse che potrebbero essere trattenute dalle regioni ad autonomia differenziata in un contesto in cui il prodotto interno lordo regionale crescesse e, con esso, anche il gettito da riconoscersi alle regioni medesime sotto forma di compartecipazione. In questi casi, l'obiezione avanzata in ordine ai progetti di differenziazione riguarda il fatto che le regioni dotate di autonomia differenziata avrebbero più risorse rispetto a quelle necessarie allo stretto finanziamento della spesa storica o dei fabbisogni standard, sottraendole quindi agli obblighi di solidarietà e perequazione. Gli auditi, nell'argomentare in senso contrario a tale possibile rilievo, hanno ravvisato l'opportunità di favorire soluzioni in grado di valorizzare i principi di autonomia finanziaria e di territorialità dei tributi. In particolare, secondo il professor Stevanato, «un aumento del PIL su base regionale darebbe luogo ad un aumento di gettito e conseguentemente a maggiori risorse per la regione ad autonomia differenziata, ma, proprio per il modo in cui funzionano le compartecipazioni, una parte di tale maggior gettito, generato sul territorio, sarebbe incamerato dallo Stato e potrebbe essere utilizzato per la perequazione». Viceversa, ove si ponesse un limite alle risorse trattenibili sul territorio, vi sarebbe «un disincentivo a un loro uso efficiente, da parte delle regioni ad autonomia differenziata, onde promuovere lo sviluppo economico, posto che il maggior gettito prodotto da buone pratiche amministrative dell'ente decentrato verrebbe interamente incamerato dallo Stato» (cfr. il documento allegato al resoconto stenografico della seduta dell'11 novembre 2021).

  (89) Cfr. il documento allegato al resoconto stenografico dell'audizione del 10 novembre 2021.

  (90) Secondo quanto evidenziato, nel corso dell'audizione del 27 ottobre 2021, dai rappresentanti della Corte dei conti, nel 2020 l'esigenza di far fronte alla crisi pandemica ha comportato considerevoli aumenti dei trasferimenti dello Stato legati alla perdita di gettito di alcuni tributi locali, determinando una riduzione degli indicatori che caratterizzano il livello di autonomia finanziaria degli enti locali (che si erano mostrati pressoché costanti nel triennio precedente). Analogamente, anche per le regioni a statuto ordinario, l'indice di autonomia finanziaria ha subito, nel corso del 2020, una flessione dovuta alla pandemia da Covid-19, che ha prodotto la diminuzione dei tributi propri e l'aumento della spesa («effetto forbice») compensato dai trasferimenti erariali emergenziali.

  (91) Quanto all'impatto della crisi pandemica, il professor Francesco Porcelli ha rilevato quanto segue: «Di fronte a una possibile variazione strutturale della capacità fiscale e dei fabbisogni standard nei territori più colpiti dagli effetti socio-economici della pandemia, sarebbe opportuna una riflessione in merito alla adeguatezza delle attuali fonti di finanziamento dei comuni. In particolare, in vista del venir meno dei ristori bisognerà monitorare gli equilibri di bilancio negli enti più colpiti e, parallelamente, adeguare, se necessario, i trasferimenti perequativi alla nuova distribuzione degli squilibri fiscali lungo il territorio. In un'ottica di medio lungo periodo, inoltre, bisognerà considerare come incideranno sulla struttura delle entrate gli interventi infrastrutturali» di cui al Piano nazionale di ripresa e resilienza (cfr. il documento allegato al resoconto stenografico della seduta dell'audizione del 3 novembre 2021).

  (92) Come rilevato dalla Corte dei conti, le difficoltà collegate al completamento del federalismo fiscale risiedono in larga la parte «nelle condizioni propedeutiche e in particolare nella definizione dei livelli essenziali nelle prestazioni (LEP) legate ai diritti di cittadinanza per le funzioni comunali e regionali extra-sanitarie e la connessa determinazione dei fabbisogni standard che sono a fondamento del sistema di perequazione» (cfr. il documento allegato al resoconto stenografico dell'audizione del 27 ottobre 2021). Secondo il professor Paolo Liberati: «Il ritardo accumulato nell'attuazione della L. 42/2009 con riferimento ai Lep – dovuto in parte anche alle conseguenze della crisi finanziaria del 2008 – ha infatti avuto (e continua a produrre) importanti riflessi almeno su due fronti: il primo riguarda la capacità dei fabbisogni standard di rappresentare le effettive esigenze degli enti territoriali; il secondo è relativo alla struttura del finanziamento che manifesta alcune incoerenze sia nel livello sia nella tipologia di fonti destinate alla copertura delle diverse funzioni di spesa». Il medesimo ha osservato, altresì, che la carenza relativa ai livelli essenziali delle prestazioni «solleva incertezze sul complessivo assetto del federalismo fiscale, dato che la definizione dei livelli essenziali dovrebbe essere funzionale al calcolo dei fabbisogni standard, e questi ultimi necessari per determinare un coerente quadro di finanziamento» (cfr. il documento allegato al resoconto stenografico dell'audizione del 10 novembre 2021).

  (93) Viceversa – ripercorrendo quanto già si è avuto modo di evidenziare – per le funzioni fondamentali relative all'erogazione di servizi indivisibili prestati a beneficio della collettività nel suo insieme, la standardizzazione potrebbe realizzarsi prendendo come riferimento i livelli medi storicamente rilevati di indicatori quantitativi e qualitativi (visto che per tali funzioni esistono già obblighi normativi che implicitamente definiscono un livello standard di prestazioni da garantire).

  (94) Le sopra richiamate questioni concernenti i livelli essenziali delle prestazioni sono state diffusamente sottoposte all'attenzione della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale dal Presidente della Commissione tecnica per i fabbisogni standard, Giampaolo Arachi, nell'audizione del 25 giugno 2020.

  (95) Il tema, all'attenzione del sopraindicato Tavolo tecnico, è stato messo in luce, in particolare, nell'audizione del Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, Massimiliano Fedriga, del 22 settembre 2021.

  (96) Tale criticità è stata evidenziata dalla Viceministra dell'economia e delle finanze, Laura Castelli, nell'audizione del 9 giugno 2021.

  (97) Nel paragrafo della Relazione dedicato al disegno di legge recante la delega fiscale, sono state esposte le posizioni e le indicazioni fornite dagli esperti auditi dalla Commissione, con particolare riferimento al rischio che la prospettata sovraimposta regionale (così come quella comunale) produca una riduzione del margine di autonomia tributaria in nome di una maggiore uniformità del prelievo progressivo sui redditi (cfr., in particolare, le audizioni del professor Andrea Giovanardi e del professor Dario Stevanato, rispettivamente, del 3 e dell'11 novembre 2021, i quali hanno rimarcato altresì l'esigenza di coordinare la nuova disciplina con il dettato della legge n. 42 del 2009, che non prevede per le regioni sovraimposte né addizionali in senso proprio).

  (98) La mancata valorizzazione del principio di territorialità dei tributi è stata evidenziata nell'audizione dell'11 novembre 2021 dal professor Dario Stevanato, secondo il quale le compartecipazioni al gettito di tributi erariali, finora concepite secondo logiche di tipo perequativo, finiscono per funzionare alla stregua di trasferimenti (cfr., in particolare, il documento allegato al resoconto stenografico della relativa seduta).

  (99) Anche questa difficoltà è stata segnalata dalla Viceministra dell'economia e delle finanze, Laura Castelli, nell'audizione del 9 giugno 2021.

  (100) Si tratta di un aspetto che ha avuto risalto nell'ambito dell'audizione del Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, Massimiliano Fedriga, del 22 settembre 2021.

  (101) Tale criticità è stata sottolineata dal professor Dario Stevanato nell'audizione dell'11 novembre 2021 (cfr., in particolare, il documento allegato al resoconto stenografico della relativa seduta). Quanto alla giurisprudenza costituzionale, anche il professor Andrea Giovanardi, nell'audizione del 3 novembre 2021, ha osservato che prevale una lettura del dato costituzionale tesa a valorizzare la funzione statale di coordinamento finanziario rispetto alle ragioni dell'autonomia (cfr., in particolare, il documento allegato al resoconto stenografico della relativa seduta). Il professor Michele Belletti, nel rilevare che il federalismo fiscale presuppone una finanza non più derivata ma diretta (di entrata e di spesa) da parte degli enti territoriali, ha puntualizzato che occorre favorire, anche sulla scorta della giurisprudenza costituzionale, un coordinamento finanziario «virtuoso», che riconosca misure premiali per quanto attiene alla gestione dei servizi pubblici, ovvero un modello basato sul cosiddetto autocoordinamento, ossia un coordinamento non più di dettaglio ma per obiettivi, nell'ambito del quale siano le regioni a decidere come ripartire i «tagli» e i risparmi, eliminando le indicazioni puntuali di vincoli alla spesa (cfr. l'audizione dell'11 novembre 2021).

  (102) Come già evidenziato nelle pagine precedenti, con riferimento alla prospettata soppressione dell'Irap (e alla sua sostituzione con altre forme di prelievo), è stato paventato il rischio di una compressione dell'autonomia tributaria delle regioni (cfr. in particolare, le audizioni del professor Andrea Giovanardi e del professor Dario Stevanato, rispettivamente, del 3 e dell'11 novembre 2021).

  (103) Si tratta di dati ed elementi di valutazione – in parte già richiamati – forniti dai rappresentanti della Corte dei conti nella già menzionata audizione del 27 ottobre 2021 (cfr., in particolare, il documento allegato al resoconto stenografico della relativa seduta). Con riferimento alla destinazione dell'aliquota base di Irap e addizionale Irpef alla copertura della spesa sanitaria, il professor Paolo Liberati ha osservato quanto segue: «Come anche riportato dalla Corte dei conti nel Rapporto sul Coordinamento della Finanza Pubblica del 2020, il grado di condizionamento esercitato dal vincolo sanitario corrisponde a circa 2/3 del gettito complessivo di Irap e addizionale Irpef. Lo spazio di manovra tributaria delle Regioni appare dunque limitato alla quota non sanitaria di tali tributi, al gettito della tassa automobilistica regionale, e al gettito dei tributi minori» (documento allegato al resoconto stenografico dell'audizione del 10 novembre 2021).

  (104) Cfr., in tal senso, l'audizione della Viceministra dell'economia e delle finanze, Laura Castelli, del 9 giugno 2021.

  (105) Come già illustrato, il nesso tra assetto del federalismo differenziato e struttura ordinaria del federalismo è stato analizzato dal professor Paolo Liberati, secondo il quale il percorso di differenziazione dovrebbe «in via propedeutica portare a completamento l'assetto ordinario del federalismo fiscale, per evitare che le differenziazioni già interne a quest'ultimo si ripercuotano sull'evoluzione dell'intero quadro di decentramento». A tal fine, a giudizio del professor Liberati, il completamento dell'impianto del federalismo fiscale «appare indispensabile affinché le forme di federalismo differenziato possano eventualmente dispiegare le loro potenzialità» (cfr. il documento allegato al resoconto stenografico dell'audizione del 10 novembre 2021).

  (106) Su quest'ultimo aspetto è stato posto l'accento dai rappresentanti della Corte dei conti nell'audizione del 27 ottobre 2021. Sul punto, il professor Paolo Liberati ha evidenziato: «Se da un lato l'ulteriore differenziazione si giustifica con considerazioni di efficienza e maggiore aderenza a sistemi di preferenze locali, dall'altro i maggiori vantaggi di queste pratiche potrebbero essere colti solo nella misura in cui il governo centrale sia in grado di attivare procedure di coordinamento e monitoraggio dell'operato delle Regioni. È ragionevole assumere, sotto questo profilo, che alla maggiore autonomia delle Regioni non debba corrispondere una riduzione del ruolo dello Stato centrale, ma piuttosto una modificazione dei suoi compiti, inclusi quello del controllo e delle verifiche di adempimento» (cfr. il documento allegato al resoconto stenografico dell'audizione del 10 novembre 2021).

  (107) Tale scelta è stata illustrata dalla Ministra Gelmini nell'audizione svoltasi il 26 maggio 2021.

  (108) Come ricostruito più dettagliatamente in precedenza, il tema è stato affrontato nel corso di diverse audizioni e, segnatamente, in quelle del professor Giovanardi e del professor Stevanato (svolte, rispettivamente, nelle sedute del 3 e dell'11 novembre 2021). Nel rinviare pertanto a quanto già esposto, si riporta di seguito – a solo scopo riepilogativo – un passaggio della memoria messa a disposizione della Commissione dal professor Stevanato: «Poiché l'art. 116 comma 3 Cost., sull'autonomia differenziata, impone di rispettare i principi di cui all'art. 119 Cost., al finanziamento delle funzioni trasferite alle regioni si dovrebbe provvedere – escluso che le regioni debbano reperire tali risorse istituendo nuovi tributi propri o inasprendo quelli esistenti – attraverso l'attribuzione di apposite compartecipazioni al gettito di uno o più tributi erariali. Le bozze di intesa predisposte dalle regioni che hanno avviato le richieste a norma dell'art. 116 comma 3 Cost. prevedono appunto lo strumento delle compartecipazioni o quello delle aliquote riservate (o riserve di aliquota) su tributi erariali. Sul punto, anche la recente bozza di legge-quadro sull'autonomia differenziata, che il gruppo di lavoro istituito dal Ministro per gli Affari Regionali con d. m. 25 giugno 2021 ha predisposto, prevede che le risorse finanziarie necessarie all'esercizio delle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia sono determinate in termini di compartecipazione o riserva di aliquota al gettito di tributi erariali maturati nel territorio regionale, in coerenza con l'art. 119, quarto comma, della Costituzione» (cfr. il documento allegato al resoconto stenografico della relativa audizione).

  (109) Il Presidente dell'Unione delle Province d'Italia (Upi), Michele de Pascale, nell'audizione del 15 settembre 2021, ha puntualizzato che l'incertezza del quadro ordinamentale ha condizionato «fortemente anche le leggi regionali che hanno provveduto al riordino delle funzioni provinciali e di area vasta nel 2015» e che la gran parte di tali leggi «ha riaccentrato in capo alla Regione o ad enti/agenzie strumentali regionali le funzioni di area vasta, in attesa dell'abolizione delle Province dalla Costituzione». Secondo il Presidente de Pascale, la situazione è ancora più disarmonica «se si allarga lo sguardo alle discipline del tutto disomogenee sugli enti di area vasta che sono state approvate nelle Regioni a statuto speciale e che hanno portato alla completa abolizione delle Province nel Friuli Venezia Giulia e al loro commissariamento degli enti in Sicilia e Sardegna» (cfr. il documento allegato al resoconto stenografico della seduta).

  (110) Il Presidente dell'Unione delle Province d'Italia, Michele de Pascale, ha rilevato che «In termini complessivi, considerando le diverse manovre finanziarie e/o spending review, il fondo è attualmente azzerato, o ancor meglio è un “fondo negativo” dove a fronte di 427 milioni recuperati dallo Stato, ne vengono erogati solo 184 milioni, per quei pochi enti che ancora dispongono di una assegnazione effettiva e non solo nominale del fondo sperimentale» (cfr. il documento allegato al resoconto stenografico dell'audizione del 15 settembre 2021).

  (111) Come è stato rappresentato in occasione dell'audizione del 9 giugno 2021 della Viceministra dell'economia e delle finanze, Laura Castelli, «il gettito annuo dei due tributi sopra indicati (IPT e RCA) è di circa 4 miliardi di euro e rappresenta la quasi totalità delle entrate tributarie di province e città metropolitane» (cfr. l'Appendice del documento allegato al resoconto stenografico dell'audizione).

  (112) Questa criticità è stata rimarcata ancora dal Presidente dell'Unione delle Province d'Italia, Michele de Pascale, nell'ambito dell'audizione tenutasi il 15 settembre 2021 (cfr., in particolare, il suddetto documento allegato al resoconto stenografico della seduta).

  (113) L'esigenza di valorizzare il ruolo della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, istituita in seno alla Conferenza unificata, è stata segnalata, in particolare, dal Presidente dell'Unione delle Province d'Italia, Michele de Pascale, nella sopracitata audizione del 15 settembre 2021.

  (114) Cfr. l'audizione della Viceministra dell'economia e delle finanze, Laura Castelli, del 9 giugno 2021.

  (115) Tale aspetto è stato messo in luce, in particolare, dalla Ministra dell'interno, Luciana Lamorgese, secondo la quale «il disegno federalista risulta più avanzato con riferimento ai Comuni per i quali, fin dal 2011, è stata effettuata la fiscalizzazione dei trasferimenti erariali, con l'attribuzione di gran parte del gettito dell'imposta municipale propria, l'IMU, ed è stato altresì introdotto un fondo perequativo, il fondo di solidarietà comunale basato su due pilastri costituiti dal fabbisogno standard e quindi le risorse necessarie per garantire il livello essenziale dei servizi fondamentali a favore della comunità locale e dalle capacità fiscali che sono delle risorse proprie disponibili» (cfr. il resoconto stenografico dell'audizione del 21 luglio 2021). In sintonia con tali considerazioni, il professor Francesco Porcelli, nella richiamata audizione del 3 novembre 2021, ha osservato che il comparto più vicino «alla meta» è quello dei comuni, con un'attuazione del federalismo fiscale pari al 66 per cento, seguito dal comparto regionale con un'attuazione del 58 per cento.

  (116) In questo senso, cfr. la più volte menzionata audizione della Viceministra dell'economia e delle finanze, Laura Castelli, del 9 giugno 2021.

  (117) Secondo i dati forniti dal Presidente della Commissione tecnica per i fabbisogni standard, Giampaolo Arachi, nell'audizione del 6 ottobre 2021 il valore di tale componente «si colloca intorno ai 4 miliardi e rappresenta circa il 20% della capacità fiscale standard complessiva, al netto della componente rifiuti, che viene perequata nell'ambito del FSC» e il gettito storico «è superiore ai 9 miliardi, evidenziando il ruolo fondamentale di queste entrate nel quadro delle risorse proprie dei comuni» (cfr. il documento allegato al resoconto stenografico della relativa seduta).

  (118) Su questo punto, elementi di aggiornamento sono stati forniti dai rappresentanti dalla società Sose – Soluzioni per il Sistema Economico S.p.A. nel corso dell'audizione del 21 ottobre 2021.

  (119) Tutte le varie questioni sopra richiamate circa i progressi da realizzare con riferimento ai meccanismi perequativi sono state diffusamente trattate, in particolare, nell'ambito dell'audizione del Presidente della Commissione tecnica per i fabbisogni standard, Giampaolo Arachi, del 6 ottobre 2021.

  (120) Questo profilo è stato rilevato dal Consigliere dell'Ufficio parlamentare di bilancio, Alberto Zanardi, nell'audizione del 20 ottobre 2021.

  (121) Con riferimento ai punti sopra enucleati, sono state sollecitate iniziative dall'Associazione Nazionale dei Piccoli Comuni d'Italia nell'audizione tenutasi il 28 ottobre 2021, in occasione della quale sono intervenuti la Presidente Franca Biglio e il consulente dell'Associazione Roberto Gregori (cfr., in particolare, il documento allegato al resoconto stenografico della relativa seduta). Una maggiore attenzione per le specificità dei piccoli comuni è stata richiesta anche dall'Associazione Nazionale dei Comuni Italiani (Anci), secondo la quale occorre assicurare «la salvaguardia della dinamica delle risorse dei Comuni di minore dimensione con particolare riguardo alle aree interne più esposte al rischio di spopolamento» (cfr. il documento allegato al resoconto stenografico dell'audizione del 23 settembre 2021). In tale contesto, si segnala che è in corso l'esame parlamentare di una proposta di legge (A.C. 1356 e abb.), che prevede, tra l'altro, un intervento di semplificazione in materia di controllo di gestione per i comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti.

  (122) In particolare, l'Associazione Nazionale dei Comuni Italiani (Anci) ha evidenziato l'urgenza di perfezionare alcune regole contabili, ad esempio attenuando i vincoli relativi al Fondo per i crediti di dubbia esigibilità (Fcde) e prevedendo incentivi al recupero di crediti tributari e tariffari, nonché rivedendo la «disciplina restrittiva circa l'utilizzo degli avanzi vincolati per gli enti in complessivo disavanzo o, che limita in modo spesso paradossale l'utilizzo di risorse disponibili per investimento (da trasferimento e da accensione di prestiti) e per spese correnti vincolate (in particolare, i trasferimenti in campo sociale e scolastico in capo agli enti capofila di funzioni svolte in forma sovracomunale)» e infine consentendo l'utilizzo degli avanzi di amministrazione a regime e non solo in fase emergenziale (cfr. il già citato documento allegato al resoconto stenografico dell'audizione del 23 settembre 2021).

  (123) Ciò in linea con quanto osservato dalla Corte costituzionale, secondo la quale l'intervento diretto dello Stato deve essere rivolto al deficit strutturale imputabile alle caratteristiche socio-economiche della collettività e del territorio (e non alle patologie organizzative), attraverso l'attivazione dei meccanismi di solidarietà previsti dal terzo, quarto e quinto comma dell'articolo 119 della Costituzione (sentenze n. 115/2020 e n. 4/2020). Si segnala, al riguardo, che l'Associazione Nazionale dei Comuni Italiani (Anci) ha indicato tra gli aspetti che restano ancora irrisolti quelli relativi all'accelerazione del «percorso di ristrutturazione del debito locale» e al rafforzamento dei «dispositivi di sostegno agli enti in crisi finanziaria», rilevando, più in generale, come già ricordato, l'esigenza di pervenire a una riforma della disciplina delle crisi finanziarie (cfr. il documento allegato al resoconto stenografico dell'audizione del 23 settembre 2021).

  (124) Secondo la Ministra per il Sud e la coesione territoriale, Maria Rosaria Carfagna, «La criticità rilevante nell'immediato è quella della semplificazione dei procedimenti e della celere progettazione e realizzazione delle opere» (audizione del 16 giugno 2021).

  (125) Come riportato nella memoria consegnata alla Commissione dalla professoressa Floriana Margherita Cerniglia nel corso dell'audizione del 10 novembre 2021, il Fondo, «anche se ha una dotazione limitata, segna l'avvio del processo di perequazione infrastrutturale e uno scadenziario per la stima dei gap» (cfr. il documento allegato al resoconto stenografico della seduta).

  (126) Quest'aspetto è emerso, in particolare, nell'audizione del consigliere dell'Ufficio parlamentare di bilancio, Alberto Zanardi, del 20 ottobre 2021.

  (127) L'esigenza di ricollegare il tema dell'autonomia a quello della responsabilità è stata richiamata, in special modo, nell'audizione dell'11 novembre 2021 dal professor Michele Belletti, il quale ha sottolineato che la piena attuazione di una reale autonomia tributaria e finanziaria, di entrata e di spesa, deve essere correlata a «forme precettive di responsabilità».

  (128) Nell'Appendice al documento prodotto dai rappresentanti della Corte dei conti in occasione dell'audizione del 27 ottobre 2021, si rappresenta che «gli ingenti investimenti pubblici derivanti dal PNRR, unitamente alla maggiore fiducia e a livelli di domanda più elevati, incentiveranno gli investimenti privati, e traineranno la ripresa» (cfr. il documento allegato al resoconto stenografico dell'audizione).

  (129) Nell'audizione del 20 ottobre 2021 il consigliere dell'Ufficio parlamentare di bilancio, Alberto Zanardi, ha quantificato il valore finanziario delle misure (riconducibili al Dispositivo di ripresa e resilienza (RRF)), che gli enti territoriali dovranno gestire come soggetti attuatori in un intervallo compreso tra circa 66 e 71 miliardi di euro (34,7-36,9 per cento del complesso delle risorse RRF destinate all'Italia). Valori sostanzialmente analoghi sono stati stimati dai rappresentanti della Corte dei conti nell'ambito della più volte menzionata audizione del 27 ottobre 2021.

  (130) L'Associazione Nazionale dei Comuni Italiani (Anci) ha evidenziato la necessità che gli enti locali siano messi nelle condizioni di utilizzare effettivamente le risorse che saranno erogate attraverso apparati e regole profondamente rinnovati. A tal fine, la stessa Associazione ha posto l'accento sui seguenti obiettivi: «1. finanziamenti diretti e non intermediati a sostegno degli investimenti, con il recupero di una più ampia discrezionalità amministrativa in capo ai Ministeri che li regolano; 2. le semplificazioni al codice degli appalti, da consolidare ed ampliare; 3. un'ampia semplificazione degli strumenti di programmazione degli enti locali, in parte anticipata per gli enti di minore dimensione; 4. lo snellimento dei monitoraggi sui fatti finanziari e sulle opere pubbliche, ancora troppo complessi e spesso duplicati, che devono comunque essere assistiti da sistemi telematici efficienti e di facile uso; 5. l'allentamento dei vincoli sulle assunzioni di personale qualificato, anche in deroga ai criteri introdotti dall'art. 33 del dl 34/2019, in corso di estensione alle Città metropolitane e alle Province; 6. un lungimirante governo della spesa e dei vincoli di parte corrente, che riguardano “infrastrutture di servizio” altrettanto cruciali, dai servizi sociali territoriali, agli asili nido, alla gestione dell'urbanistica e dell'ambiente, rafforzando e ampliando l'intervento “verticale” dello Stato nel Fondo di solidarietà comunale e nei fondi relativi alle Città metropolitane e alle Province» (cfr. il documento allegato al resoconto stenografico dell'audizione del 23 settembre 2021). Con riferimento all'impegno richiesto alle amministrazioni decentrate dagli adempimenti connessi al Piano nazionale di ripresa e resilienza, si sono pronunciati, nell'audizione del 27 ottobre 2021, anche i rappresentanti della Corte dei conti, i quali hanno rilevato che un aspetto determinante «nell'attuazione delle misure contenute nel piano che interessano le amministrazioni locali riguarda la capacità gestionale degli enti e soprattutto le concrete potenzialità attuative, il profilo progettuale ed esecutivo» (cfr. il documento allegato al resoconto stenografico della relativa seduta).