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CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 17 aprile 2019
177.
XVIII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Finanze (VI)
ALLEGATO

ALLEGATO 1

Documento di economia e finanza 2019 (Doc. LVII, n. 2 Allegati)

PROPOSTA ALTERNATIVA DI PARERE DEL GRUPPO PD

   La VI Commissione,
  esaminato, per le parti di competenza, il Documento di economia e finanza 2019,
  premesso che,
   il Documento di economia e finanza 2019 certifica il fallimento della politica economica del Governo, riconoscendo ufficialmente un insuccesso largamente previsto già nello scorso autunno;
   il Documento, infatti, stima una crescita tendenziale del Pil che precipita allo 0,1 per cento rispetto all'1,5 per cento della Nota di aggiornamento del settembre 2018 e all'1 per cento della successiva revisione del quadro macroeconomico presentata a dicembre;
   gli andamenti dell'economia reale e dell'occupazione che, da maggio 2018 a febbraio 2019, ha registrato la perdita di oltre 116.000 posti di lavoro, sono il frutto di errori di politica economica commessi da un Governo che, invece di predisporre una ampia e complessiva strategia di sviluppo, ha scommesso tutto su un decreto legge i cui effetti sul mercato del lavoro sono molto controversi e, soprattutto, sulle due misure della Legge di bilancio, la cosiddetta «Quota 100» e il Reddito di cittadinanza, che, come il DEF stesso riconosce, hanno effetti pressoché nulli sulla crescita;
   nel 2019 l'Italia sarà il paese che crescerà meno tra quelli occidentali e anche negli anni successivi la stima di crescita, seppur ottimistica, si mantiene su livelli estremamente bassi;
   per tornare su un sentiero di crescita sostenuta, occorre dare avvio a una diversa politica economica e sociale;
   il Documento desta forti preoccupazioni per il futuro del Paese perché presenta una errata strategia di rafforzamento dell'economia nazionale peggiorando il clima di fiducia;
   è invece necessario, data l'attuale congiuntura economica, restituire fiducia alle famiglie per evitare di accrescere la propensione al risparmio a fini precauzionali e va restituita la fiducia alle imprese affinché aumentino la propensione agli investimenti; vanno inoltre rassicurati gli investitori perché si riduca il premio al rischio e scendano i tassi di rendimento sui titoli di Stato, consentendo alle imprese di recuperare l'accesso al credito;
   resta molto elevato il grado di incertezza sul quadro della politica di bilancio, soprattutto per la mancata programmazione della disattivazione delle clausole di salvaguardia nel 2020, pienamente considerate nei quadri programmatici;
   la mancata sterilizzazione degli aumenti dell'IVA e delle accise, pari a 23,1 miliardi nel 2020 e in 28,8 miliardi a partire dal 2021, determina un marcato incremento della pressione fiscale, che cresce considerevolmente nel biennio 2020-21 dal 42 al 42,7 per cento e una riduzione generalizzata di reddito disponibile con riflessi negativi immediati sui consumi e quindi sulla crescita;
   il Governo evoca, senza risorse e stime di impatto, una riforma fiscale basata sull'introduzione di una nuova flat tax Pag. 80per i redditi familiari finanziariamente coperta dalla revisione delle agevolazioni fiscali;
   l'obiettivo di redistribuzione fiscale a vantaggio dei ceti medi e bassi seppur condivisibile non appare realizzabile con una misura ingiusta e regressiva quale la flat tax che prevede la transizione da un sistema di tassazione progressivo multi-aliquota a uno a due aliquote; tale regime infatti non può generare vantaggi ai soggetti con redditi bassi più di quelli che potrebbe portare ai redditi più alti;
   il cosiddetto decreto-legge «Crescita», che come dichiarato nel DEF dovrebbe concentrarsi su misure di stimolo all'accumulazione di capitale, tra le altre misure dovrebbe sostituire la mini-IRES con la riduzione delle aliquote delle imposte dirette sui redditi riconducibili agli utili trattenuti nell'impresa di fatto mantenendo la detassazione sugli utili non distribuiti ma dissociandola dall'incremento dell'occupazione e degli investimenti; tale misura essendo erogata in proporzione agli utili, avrà prevedibilmente un impatto maggiore sulle grandi imprese, soprattutto su quelle che appartengono a un gruppo fiscale o sulle imprese multinazionali a scapito delle PMI che sono invece le realtà che hanno maggior esigenza di stimoli alla crescita dimensionale per affrontare la concorrenza del mercato globale;
   in coerenza con la mancanza di una chiara strategia di politica economica, il Documento nulla precisa sugli intendimenti del Governo in materia di sostegno in favore degli azionisti delle banche sottoposte a liquidazione ovvero a risoluzione; dopo aver determinato un rallentamento nell'emanazione delle disposizioni attuative di norme già approvate nel corso della legislatura precedente, il Governo ha scelto di disporre in sede di Legge di bilancio 2019 una modifica rilevante delle procedure, con l'obiettivo di velocizzarle concedendo ristori automatici;
   contrariamente alle finalità, la soluzione si è tradotta in una paradossale impasse: il Ministero dell'economia non ha potuto dare attuazione a tali indennizzi a valere sul Fondo indennizzo risparmiatori (Fir, istituito dall'articolo 1, comma 493, della legge n. 145 del 2018, a sostituzione di un fondo già vigente per le medesime finalità), in ragione del concreto rischio di commettere un danno erariale e di incompatibilità con la disciplina comunitaria, dal momento che l'erogazione non sarebbe più stata subordinata all'accertamento terzo di un danno ingiusto subito;
   peraltro le stime di spesa contenute nel Documento a valere sul Fir – in termini netti circa 0,05 miliardi nel 2019, 0,3 miliardi nel 2020 e 0,4 miliardi nel 2021, rispetto a corrispondenti stanziamenti di bilancio di circa 0,5 miliardi annui nel triennio – sembrerebbero consentire l'erogazione di ristori anche superiori ai tetti fissati dalle nuove norme (30 per cento del costo di acquisto, comunque entro il limite massimo complessivo di 100.000 euro per ciascun risparmiatore), aprendo il varco ad una soluzione ragionevole che conduca, finalmente, ad indennizzi certi ed equi in favore dei soli azionisti vittime di misselling o in caso di condizioni di urgenza sociale, su modello di quanto già disposto dai Governi precedenti per gli obbligazionisti subordinati;
   complessivamente, l'entità delle maggiori entrate attese dal contrasto dell'evasione nel 2022 (la maggior parte degli 0,4 punti percentuali del PIL indicati nel DEF, ossia dei circa 8 miliardi) sembrerebbe eccessivamente ambiziosa a confronto con gli attuali risultati raggiunti dall'Agenzia delle entrate. In particolare, nel 2018 sono stati riscossi poco più di 19 miliardi, di cui 16 derivanti dall'attività «ordinaria» di controllo (ossia a seguito di atti emessi dall'Agenzia, dalla promozione della compliance e dalla riscossione coattiva) e i restanti 3 dall'attività di recupero da misure «straordinarie» (ad esempio, la definizione agevolata delle controversie tributarie, la rottamazione delle cartelle, la voluntary disclosure, ecc.). Si tratterebbe dunque di aumentare in misura rilevante, anche fino a circa il 50 per cento il Pag. 81recupero di entrate dall'attività «ordinaria» di riscossione. Peraltro, queste risorse aggiuntive dovrebbero avere natura permanente per poter effettivamente contribuire all'aggiustamento dei conti pubblici e alla sostenibilità di medio termine degli stessi;
   è necessario lavorare ad una semplificazione delle regole tributarie e degli adempimenti per i contribuenti, rivedere alcuni tributi locali che necessitano di revisioni di dettaglio, spesso a costo zero, anche al fine di abbattere la litigiosità dovuta spesso a disposizioni poco chiare e lacunose;
   in tema di semplificazioni fiscali è auspicabile l'unificazione dei due tributi immobiliari IMU e Tasi che permetterebbe di superare un'inutile duplicità del prelievo immobiliare, con regole e aliquote diverse sulle medesime basi imponibili;
   in definitiva, il rischio di aumento dell'IVA con riflessi negativi immediati sui consumi e quindi sulla crescita, l'introduzione della flat tax che aumenta le disuguaglianze minando l'equità e l'efficienza della tassazione, la modifica delle misure in favore dei risparmiatori delle banche sottoposte a liquidazione e a risoluzione che concretizzano il rischio di commettere un danno erariale oltre ad essere in aperto contrasto con la normativa comunitaria, nonché i continui condoni fiscali che prevedono misure di entrata una tantum solo con l'obiettivo di fare cassa, denotano la mancanza di una chiara strategia di politica economica e costituiscono un importante fattore di rischio per le prospettive economiche del Paese,
   esprime
   PARERE CONTRARIO.

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ALLEGATO 2

5-01954 Acquaroli: Articolazione organizzativa dell'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con il documento in esame gli onorevoli interroganti, nel richiamare l'articolo 1, comma 93, della legge n. 205 del 2017, n. 205 (Bilancio 2018), chiedono chiarimenti in merito alla nuova articolazione delle strutture centrali e territoriali dell'Agenzia delle dogane.
  Al riguardo, sentita l'Agenzia delle dogane e dei monopoli, si rappresenta quanto segue.
  L'articolo 17, comma 1, del Regolamento di amministrazione dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli, approvato con delibera del Comitato di gestione n. 371 del 27 novembre 2018, ha previsto l'istituzione di posizioni organizzative per lo svolgimento di incarichi di elevata responsabilità, alta professionalità o particolare specializzazione, nei limiti del risparmio di spesa conseguente alla riduzione di posizioni dirigenziali, disposta con atto del Direttore dell'Agenzia rispetto alla situazione in essere al 1o gennaio 2018 ai sensi dell'articolo 1, comma 93, della legge 27 dicembre 2017, n. 205.
  Con determinazione direttoriale n. 136786/RU del 17 dicembre 2018, sono state quindi istituite presso l'Agenzia 218 posizioni organizzative di elevata responsabilità, alta professionalità o particolare specializzazione (le cosiddette POER), previo confronto con le organizzazioni sindacali del comparto e visto il parere favorevole espresso dal Comitato di gestione nella seduta del 17 dicembre 2018.
  All'istituzione di tali figure professionali è stato destinato il risparmio di spesa risultante dalla riduzione di due posizioni dirigenziali di livello generale e di 44 posizioni dirigenziali di livello non generale previste dal nuovo assetto organizzativo dell'Agenzia (risparmio di spesa pari euro 5.221.235,00).
  Occorre sottolineare che la riduzione di posizioni dirigenziali ha riguardato esclusivamente il livello centrale e il livello regionale: due posizioni dirigenziali di livello generale e ventuno posizioni dirigenziali di livello non generale sono state soppresse al centro mentre a livello regionale ne sono state soppresse ventitré (di livello dirigenziale non generale).
  A livello territoriale, invece, nessuna struttura operativa di livello dirigenziale (Uffici delle dogane o Uffici dei monopoli) è stata soppressa, al fine di preservare adeguati livelli di operatività e di servizio all'utenza.
  A fronte di 210 Uffici dirigenziali di livello non generale previsti dal nuovo modello organizzativo transitorio con decorrenza 1o maggio 2019, sono state istituire 218 POER, distribuite su tutto il territorio nazionale, così come segue:
   a livello centrale 53 POER a fronte di 62 Uffici dirigenziali di livello non generale;
   a livello regionale 55 POER per 48 Uffici;
   a livello territoriale 110 POER in relazione a 100 Uffici (Uffici delle dogane e Uffici dei Monopoli).

  La ripartizione delle POER ha dunque privilegiato l'articolazione periferica dell'Agenzia. Gli Uffici delle dogane di maggiore complessità organizzativa e gestionale sono stati dotati di una, due o tre Pag. 83POER mentre tutti gli Uffici dei monopoli (connotati da ambiti di competenze territoriali corrispondenti alle regioni) sono stati provvisti tutti di una POER.
  Per quanto riguarda le regioni Emilia Romagna e Marche, menzionate dagli onorevoli interroganti, si fa presente che la ripartizione delle POER ha tenuto conto – in questo come in ogni altro caso – del numero e della tipologia di strutture dirigenziali ivi presenti: 10 nell'ambito della regione Emilia Romagna e 3 nella regione Marche. Alla Direzione interregionale sono state quindi destinate sei POER, all'Ufficio delle dogane di Bologna sono state attribuite tre POER (una delle quali dislocata nella SOT aeroportuale) in ragione dell'elevato traffico merci e passeggeri ivi registrato mentre altre sette POER sono state distribuite ad Uffici delle dogane (cinque) e ad Uffici dei monopoli (due).
  In ultimo, si fa presente che sono attualmente in corso le procedure selettive prescritte per la scelta dei funzionari cui attribuire le POER. La Commissione esaminatrice, presieduta da un magistrato della Corte dei conti e composta da due dirigenti operanti in loco, selezionerà i candidati più idonei secondo criteri di trasparenza e imparzialità e, con ogni probabilità, selezionando professionalità che conoscano «le realtà del territorio» e che sappiano «interfacciarsi con i singoli utenti per capire le loro esigenze», così come auspicato dagli onorevoli interroganti.

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ALLEGATO 3

5-01950 Pastorino: Accisa gravante sulle sigarette elettroniche.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con il documento in esame l'onorevole interrogante fa riferimento ai prodotti da fumo o simil tali di nuova generazione (e-cig, Iquos, Glo) per i quali, sulla base di una presunta minor nocività dovuta all'assenza di combustione, viene applicata un'accisa inferiore a quella normalmente gravante sulle sigarette tradizionali. Ritenendo, invece, tali prodotti, anche in base a notizie di stampa, «dannosi quanto il fumo delle sigarette tradizionali» e potenziale «porta di accesso del vizio tra i non fumatori», chiede di sapere se non si ritenga necessario equiparare la misura dell'accisa di cui all'articolo 39-terdecies, comma 3, del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, a quella attualmente in vigore per le sigarette tradizionali.
  Al riguardo, sentiti gli uffici competenti, si rappresenta quanto segue.
  In sede di conversione del decreto-legge n. 119 del 2018, è stato inserito l'articolo 25-decies il quale ha ridotto l'aliquota per il calcolo dell'accisa e dell'imposta di consumo sui prodotti di nuova generazione dal 50 per cento dell'accisa gravante sull'equivalente consumo di sigarette al 25 per cento per il «tabacco riscaldato», e al 5 e 10 per cento per liquidi per sigarette elettroniche, a seconda che contengano o meno nicotina.
  Ciò premesso, occorre precisare che la valutazione dei rischi sanitari dei prodotti da fumo sia tradizionali (sigarette), sia di nuova generazione (liquidi per sigarette elettroniche e tabacco riscaldato) viene effettuata sulla base degli obblighi di informazione posti in capo ai fabbricanti e agli importatori ai sensi del decreto legislativo 12 gennaio 2016, n. 6 (Recepimento della direttiva 2014/40/UE sul ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri relative alla lavorazione, alla presentazione e alla vendita dei prodotti del tabacco e dei prodotti correlati).
  Si segnala, inoltre, che ai sensi dell'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 15 dicembre 2014, n. 188, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, su proposta del Direttore dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli, le aliquote di tassazione dei summenzionati prodotti possono essere variate entro i ristretti limiti fissati dallo stesso comma (fino a 0,5 punti percentuali per le sigarette e fino a 5 punti percentuali per i prodotti da fumo di nuova generazione), tenendo conto dell'andamento dei consumi e del livello dei prezzi di vendita anche al fine di assicurare la realizzazione del maggior gettito complessivo netto derivante dal suddetto decreto.
  Più in generale, le valutazioni che presiedono alla determinazione del livello di tassazione dei tabacchi, non seguono considerazioni collegate esclusivamente alla minore o maggiore nocività del prodotto, bensì tengono conto anche di logiche di mercato e delle specifiche caratteristiche dei prodotti del tabacco e delle intenzioni d'uso, che ne determinano, peraltro, una differente classificazione doganale.
  Peraltro, la necessità di prevedere e disciplinare in modo peculiare i prodotti a basso rischio deriva da fonti dell'Unione Europea, in particolare dalla Direttiva 2014/40.

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ALLEGATO 4

5-01952 Centemero: Imposta sull'acquisto e l'immatricolazione in Italia di autovetture con elevate emissioni di CO2.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Nel documento in esame gli onorevoli interroganti fanno riferimento alla normativa che ha introdotto a decorrere dal 1o marzo 2019 e fino al 31 dicembre 2021 un'imposta sull'acquisto e l'immatricolazione in Italia di autovetture con emissioni di CO2 superiori ai 160 g/km (cosiddetta Ecotassa). Nel segnalare la problematica relativa all'illegalità ed alle frodi nel settore dei carburanti per autotrazione, chiedono anzitutto di sapere quali iniziative siano state poste in essere per garantire la legalità in questo specifico ambito. Inoltre, chiedono delucidazioni in merito alla debenza dell'imposta nel caso di autovetture di prima o seconda immatricolazione estera successivamente reimmatricolate in Italia dal medesimo titolare e se l'imposta in questione sia in via generale dovuta nel caso di vettura con doppia alimentazione.
  Al riguardo, sentiti gli uffici competenti, si rappresenta quanto segue.
  Occorre anzitutto evidenziare come il settore della commercializzazione e distribuzione dei carburanti sia interessato da fenomeni evasivi – perpetrati spesso da operatori economici appartenenti a complesse organizzazioni criminali anche a carattere transnazionale – responsabili non solo di un grave nocumento all'Erario in termini di mancato gettito fiscale, ma anche di sensibili effetti distorsivi delle regole di libera concorrenza.
  In proposito va sottolineato che il contrasto a tali manifestazioni criminali è oggetto sia di appositi Piani Operativi tesi a presidiare la filiera distributiva dei prodotti sottoposti ad accisa – e, segnatamente, dei prodotti carbo-lubrificanti – sia di specifiche azioni progettuali predisposte dalla componente speciale del Corpo della Guardia di finanza ed elaborate sulla base di mirate analisi nei confronti dei soggetti ritenuti più a rischio di frode sotto il profilo fiscale.
  Inoltre, un apposito piano straordinario di controlli per gli anni 2018-2020 che vede la collaborazione tra Guardia di finanza e Agenzia delle Entrate, è stato predisposto in ottemperanza a quanto disposto dall'articolo 1, comma 919, della legge n. 205 del 2017 (Legge di Bilancio 2018).
  A ciò si aggiunge una costante collaborazione operativa e di intelligence sviluppata anche attraverso apposite operazioni internazionali congiunte con gli Organi collaterali esteri impegnati a contrastare i medesimi fenomeni illeciti. Al riguardo, il Corpo della Guardia di finanza è referente nazionale nell'ambito delle iniziative assunte in attuazione del ciclo programmatico (cosiddetto « Policy Cycle»), promosso dal Consiglio dell'Unione europea e coordinato da Europol con lo scopo di intensificare l'azione di contrasto al crimine organizzato transnazionale.
  Nello specifico, l'attività della Guardia di finanza svolta nel settore dei prodotti energetici nel corso del 2018, si è sostanziata, complessivamente, nell'esecuzione di 2.750 interventi, a seguito dei quali sono state riscontrate 1.498 violazioni.
  La problematica delle frodi sull'IVA nazionale nel settore dei carburanti è stata, poi, attenzionata dalla Direzione centrale antifrode e controlli dell'Agenzia delle dogane sin dal 2014, coinvolgendo tempestivamente le competenti articolazioni Pag. 86dell'Agenzia delle Entrate, anche sulla base delle evidenze raccolte a margine delle verifiche effettuate presso i depositi di prodotti sottoposti ad accisa.
  Successivamente, la predetta DCAC ha, da un lato, svolto azione di contrasto del fenomeno fraudolento di che trattasi in sinergia con la predetta Agenzia delle Entrate e con la Guardia di Finanza e, dall'altro, si è fatta promotrice, insieme alle altre competenti Strutture centrali dell'Agenzia nonché della predetta Agenzia delle Entrate, di apposite modifiche normative volte a garantirne una soluzione strutturale.
  In particolare, quest'ultima attività ha trovato compimento, all'interno dell'apposito tavolo «legalità» coordinato dal MEF e con la partecipazione anche delle principali Associazioni di categoria del settore, nelle disposizioni di cui all'articolo 1, commi da 937-943 della legge di Stabilità 2018.
  A seguito dell'entrata in vigore di tali norme, l'Agenzia delle dogane ha, tra l'altro, proseguito un costante monitoraggio dei flussi merceologici salienti tra depositi nazionali con la finalità di individuare e di quantificare i carburanti movimentati con una logistica antieconomica e, quindi, potenzialmente ancora oggetto della frode fiscale in argomento.
  Alla luce delle evidenze in tal modo raccolte, sono allo studio ulteriori proposte di carattere amministrativo e normativo per ulteriormente contenere e reprimere la fenomenologia fraudolenta di che trattasi.
  Con particolare riferimento, poi, alla debenza dell'imposta nel caso di autovetture di prima o seconda immatricolazione estera successivamente reimmatricolate in Italia dal medesimo titolare e se l'imposta in questione sia in via generale dovuta nel caso di vettura con doppia alimentazione, si precisa che l'articolo 1, comma 1042, della legge n. 145 del 2018 prevede che «a decorrere dal 1o marzo 2019 e fino al 31 dicembre 2021, chiunque acquista, anche in locazione finanziaria, e immatricola in Italia un veicolo di categoria M1 nuovo di fabbrica è tenuto al pagamento di un'imposta parametrata al numero di grammi di biossido di carbonio emessi per chilometro eccedenti la soglia di 160 CO2 g/km», secondo gli importi ivi previsti.
  L'imposta di cui all'articolo 1, comma 1042, delle legge n. 145 del 2018 è altresì dovuta da chi immatricola in Italia un veicolo di categoria M1 già immatricolato in un altro Stato e non si applica ai veicoli per uso speciale di cui all'allegato II, parte A, punto 5, della direttiva 2007/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 settembre 2007.
  Sul punto, l'Agenzia delle entrate ha fornito chiarimenti con la risoluzione n. 32/E del 28 febbraio 2019 e con la circolare n. 8/E del 10 aprile 2019 (paragrafo 3.5.2), precisando che «rileva anche l'acquisto del veicolo nuovo effettuato all'estero purché acquisto e immatricolazione avvengano nell'arco temporale individuato dalla disposizione in commento».
  La medesima imposta è versata, dall'acquirente o da chi richiede l'immatricolazione del veicolo, con le modalità di cui agli articoli 17 e seguenti del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241 e si applicano in quanto compatibili, le disposizioni in materia di accertamento, riscossione e contenzioso in materia di imposte sui redditi.
  Il comma 1046, della legge n. 145 del 2018 dispone, altresì, che «fino al 31 dicembre 2020 il numero di grammi di biossido di carbonio emessi per chilometro del veicolo per la determinazione (...) dell'imposta è relativo al ciclo di prova NEDC, come riportato nel secondo riquadro al punto V.7 della carta di circolazione del medesimo veicolo» ed il successivo comma 1047 prevede che al fine di monitorare lo stato di attuazione delle misure (in parola) «è istituito presso il Ministero dello sviluppo economico un sistema permanente di monitoraggio, che si avvale anche delle informazioni fornite dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti».

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ALLEGATO 5

5-01953 Fregolent: Contenzioso relativo a una procedura concorsuale bandita dall'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con il documento in esame gli onorevoli interroganti fanno riferimento al concorso per il reclutamento di 69 dirigenti bandito dall'Agenzia delle dogane e dei monopoli il 16 dicembre 2011. Gli esiti della procedura concorsuale non sono mai stati formalizzati in ragione del complesso contenzioso amministrativo e civile apertosi già all'indomani della pubblicazione degli esiti delle prove scritte (contenzioso amministrativo) e, poi, estesosi al piano civile (querele di falso riguardanti alcuni verbali redatti dalla Commissione esaminatrice). Al contenzioso amministrativo e civile si è sovrapposto l'avvio di indagini penali, conseguenti a un esposto riguardante vicende correlate allo svolgimento delle prove scritte, che hanno inizialmente riguardato tre componenti della Commissione esaminatrice e trenta candidati portando alla richiesta di rinvio a giudizio per due componenti della medesima Commissione e per nove candidati.
  Gli onorevoli interroganti chiedono, pertanto, delucidazioni in merito alla posizione dei candidati collocati utilmente in graduatoria, allo stato ancora in attesa di approvazione e pubblicazione.
  Al riguardo, sentita l'Agenzia delle dogane e dei monopoli, si rappresenta quanto segue.
  All'atto della pubblicazione dei risultati delle prove scritte, con separati ricorsi, alcuni candidati che non le avevano superate hanno adito il T.A.R. per il Lazio, al fine di vedere annullati gli esiti delle citate prove, nonché i relativi verbali redatti dalla Commissione esaminatrice.
  Il menzionato T.A.R., con sentenze n. 6095 e n. 6097, depositate il 28 aprile 2015, ha annullato «tutti gli atti della procedura concorsuale a partire dalla correzione delle prove scritte» e ha disposto la «rinnovazione integrale della fase di correzione degli elaborati di tutti i candidati che hanno partecipato alle prove scritte, a cura di una nuova Commissione esaminatrice, che avrà cura di prevedere modalità operative tali da garantire l'anonimato delle prove scritte».
  Avverso le citate pronunce l'Agenzia delle dogane ha proposto distinti appelli al Consiglio di Stato, entrambi corredati da istanze cautelari di sospensione.
  Con sentenze n. 1446 e n. 1447 del 18 febbraio 2016, il Consiglio di Stato, in parziale riforma delle decisioni di primo grado, ha disposto l'annullamento degli atti della procedura concorsuale a partire dalla correzione delle prove scritte, limitandone però l'effetto alle sole attività compiute in violazione della regola del collegio perfetto e ha stabilito la rinnovazione – a cura della medesima Commissione esaminatrice – delle operazioni di correzione annullate.
  Ai fini della corretta esecuzione delle citate sentenze, l'Avvocatura Generale dello Stato, in rappresentanza dell'Agenzia, ha prodotto ricorso al Consiglio di Stato ex articolo 112, comma 5, c.p.a. (giudizio di ottemperanza) nonché ricorso ex articolo 86 c.p.a. (correzione errore materiale).
  Anche alcuni candidati – tra quanti hanno superato tutte le prove d'esame – hanno prodotto ricorso per ottemperanza, ma ai sensi del secondo comma, lettera a), Pag. 88dell'articolo 112 c.p.a., per l'esecuzione del giudicato formatosi sulla sentenza del Consiglio di Stato n. 1446/2016.
  Avverso la sentenza n. 1447/2016 è stato proposto ricorso per revocazione. La sentenza n. 1446/2016 – di contenuto pressoché identico – è stata oggetto di ricorso per opposizione di terzo.
  Le otto pronunce del Consiglio di Stato pubblicate il 18 gennaio 2019 danno puntuali indicazioni circa le modalità di esecuzione delle sentenze del Consiglio di Stato numeri 1446 e 1447 del 2016.
  L'Avvocatura Generale dello Stato ha trasmesso all'Agenzia le pronunce pubblicate il 18 gennaio 2019, sottolineando che: «... il Consiglio di Stato ha accolto le tesi difensive propugnate nonché le richieste e le eccezioni sollevate ... confermando sostanzialmente la legittimità dell'azione amministrativa fin qui svolta.».
  Le pronunce del 18 gennaio 2019 confermano, dunque, che si deve procedere al riesame dei soli elaborati precedentemente corretti in violazione del principio di collegialità, una volta ripristinato l'anonimato dei compiti – secondo le puntuali indicazioni dello stesso Consiglio di Stato – a cura di un'apposita «struttura collegiale» nominata dall'Agenzia delle dogane.
  L'Agenzia ha condotto l'approfondimento utile a individuare, con immediatezza, le azioni da intraprendere e riferisce che le azioni esecutive delle pronunce del Consiglio di Stato sono già state avviate.
  In particolare, le operazioni di ripristino dell'anonimato degli elaborati (redatti da 549 candidati) corretti in difetto di collegialità – e dunque da assoggettare a nuova correzione – sono state eseguite, nei giorni 13, 14 e 15 marzo 2019, da una Struttura collegiale appositamente costituita e composta da un dirigente di prima fascia e da due funzionari in servizio presso l'Ufficio centrale audit interno di questa Agenzia.
  Tali attività hanno avuto luogo alla presenza dei candidati che avevano manifestato l'intendimento di assistervi, e di militari della Guardia di Finanza, con il compito di assicurare – in collaborazione con i funzionari di questa Amministrazione – il regolare e corretto svolgimento delle attività.
  L'Agenzia ha poi verificato la posizione dei componenti dell'originaria Commissione esaminatrice i quali, all'esito di tale verifica, hanno fatto pervenire la propria dichiarazione di astensione dall'incarico ricoperto.
  In conclusione, occorre precisare che, per le altre azioni da compiere in esecuzione delle citate pronunce, l'Agenzia ha avviato un confronto con l'Avvocatura Generale dello Stato per compiere un'attenta analisi comparativa dei costi e dei benefici conseguenti alle varie soluzioni da adottare in ordine alla definizione della procedura concorsuale in argomento.

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ALLEGATO 6

5-01951 Tabacci: Criteri relativi alla definizione delle società a partecipazione non finanziaria.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con il documento in esame, gli onorevoli interroganti fanno riferimento all'articolo 162-bis del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, introdotto dall'articolo 12 del decreto legislativo n. 142 del 2018, di recepimento della Direttiva ATAD (Anti Tax Avoidance Directive), il quale ha definito le società di partecipazione non finanziaria come quelle che esercitano in via esclusiva o prevalente l'attività di assunzione di partecipazioni in soggetti diversi dagli intermediari finanziari.
  A tale riguardo, gli onorevoli interroganti, evidenziano che la norma, per individuare la prevalenza, stabilisce che «l'esercizio in via prevalente di attività di assunzione di partecipazioni in soggetti diversi dagli intermediari finanziari sussiste, quando, in base ai dati del bilancio approvato relativo all'ultimo esercizio chiuso, l'ammontare complessivo delle partecipazioni in detti soggetti unitariamente considerati, sia superiore al 50 per cento del totale dell'attivo patrimoniale».
  Pertanto, gli interroganti chiedono se ai fini del calcolo della suddetta prevalenza debbano essere ricomprese anche le attività derivanti da rapporti commerciali con le società partecipate e altre componenti non finanziarie, nonché se si debba tenere conto anche delle garanzie prestate dalla holding alle società partecipate, nonostante queste non compaiano nei conti d'ordine ma solo nella nota integrativa.
  Al riguardo, sentiti gli Uffici dell'Amministrazione finanziaria si osserva quanto segue.
  Il comma 2 dell'articolo 162-bis del TUIR, per quanto riguarda le società con partecipazioni finanziarie stabilisce che, ai fini della verifica della prevalenza, devono fare riferimento non solo al valore delle partecipazioni ma anche degli altri elementi patrimoniali intercorrenti con gli stessi, unitariamente considerati, inclusi gli impegni ad erogare fondi e le garanzie rilasciate e ciò nonostante detti elementi non sono più iscrivibili nei conti d'ordine ma desumibili solo dalla nota integrativa. A tale riguardo, il valore di detti elementi dovrà essere aggiunto al valore complessivo dell'attivo al fine di verificare la presenza della prevalenza dei componenti di carattere finanziario nell'ultimo bilancio approvato dalla società.
  Analoga previsione non è contenuta al successivo comma 3, relativo alle società con partecipazione non finanziaria.
  Per ragioni logico-sistematiche potrebbe essere opportuno estendere anche a tali società le predette regole dettate per le holding finanziarie.
  A tal fine, gli Uffici dell'Amministrazione finanziaria dichiarano la disponibilità a chiarire gli aspetti sopra menzionati attraverso una modifica normativa che potrebbe essere realizzata con lo strumento del decreto legislativo correttivo previsto, del resto, dall'articolo 1 della legge di delega 25 ottobre 2017, n. 163 che rinvia all'articolo 31 della Pag. 90legge 24 dicembre 2012, n. 234 recante «Norme generali sulla partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea».
  Infine, l'Amministrazione finanziaria ritiene opportuno precisare che tra gli elementi dell'attivo rilevanti ai fini della prevalenza non devono essere comprese le attività derivanti da rapporti commerciali con le società partecipate quali, ad esempio, crediti derivanti da canoni di locazione immobiliare, royalties per utilizzo brevetti e marchi, crediti per imposte verso le partecipate derivanti dall'adesione al consolidato fiscale.

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ALLEGATO 7

5-01949 Bignami: Limitazioni all'uso del patent box per le imprese.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con il documento in esame, gli onorevoli interroganti fanno riferimento all'eliminazione dei marchi dal regime patent box, avvenuto mediante l'articolo 56 del decreto-legge n. 50 del 2017 in ottemperanza ad una raccomandazione OCSE, e, pertanto, chiedono «se il Ministro sia a conoscenza della suddetta limitazione nell'utilizzo di uno strumento come il patent box, frutto di una raccomandazione non vincolante rispetto alla quale il Governo avrebbe potuto far valere l'interesse nazionale, chiarendo se e come intenda porre rimedio a questo grave errore strategico che, di fatto antepone generiche raccomandazioni OCSE al bene dell'imprenditoria italiana».
  Al riguardo, sentiti gli Uffici dell'Amministrazione finanziaria, si osserva quanto segue. L'agevolazione introdotta con l'articolo 1, commi da 37 a 45, della legge n. 190 del 2014, cosiddetto patent box, consiste in un regime opzionale di tassazione agevolata per i redditi derivanti dall'utilizzo di software, di brevetti industriali, di marchi, di disegni e modelli, nonché di processi, formule e informazioni relativi ad esperienze acquisite nel campo industriale, commerciale o scientifico giuridicamente tutelabili.
  Tale regime premiale trova il suo fondamento nel nexus approach elaborato in sede Ocse e descritto nel Final Report dell'Action 5 del progetto Beps (Base erosion and profit shifting), intitolato « Countering harmful tax practices more effectively taking into account transparency and substance», concernente i regimi preferenziali di tassazione delle proprietà intellettuali, con il principale obiettivo di tracciare regole condivise per uniformarne le strutture e, in tal modo, contrastare la concorrenza fiscale dannosa.
  L'adeguamento alle linee guida OCSE, nello specifico alle raccomandazioni sulle norme nazionali relative ai cosiddetti regimi patent box, discende dall'accordo politico dei Ministri delle Finanze nel G20 di Ankara a settembre 2015 e dei Capi di governo nel G20 ad Antalya a novembre 2015 che ha condiviso e validato gli esiti e le misure di contrasto alla pianificazione fiscale aggressiva oggetto delle Azioni del progetto OCSE/G2Q Base erosion and Profit Shifting (BEPS).
  Tali misure hanno definito alcuni standard minimi cui gli Stati membri si devono attenere nell'applicazione delle proprie norme fiscali al fine di contrastare le pratiche elusive.
  Tra questi, è ricompreso lo standard minimo sui cosiddetti regimi patent box, regimi opzionali di tassazione per i redditi derivanti dalle proprietà intellettuali, con il principale obiettivo di tracciare regole condivise e, in tal modo, contrastare la concorrenza fiscale dannosa. Secondo l'OCSE i marchi d'impresa devono essere tenuti fuori da regimi fiscali agevolati aventi ad oggetto beni immateriali, dato che tali beni intangibili non sono frutto di ricerca e sviluppo e si potrebbero prestare maggiormente a pratiche elusive di delocalizzazione dei redditi ad essi riferiti dai Paesi dove sono stati generati verso altri Paesi con fiscalità agevolata.
  Pertanto, approvando le misure esito del BEPS, l'Italia si è assunto di dare attuazione allo standard suddetto, che trae dunque la sua forza vincolante proprio dall'accordo politico ad esso sotteso.

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  La mancata attuazione dello standard minimo sul regime patent box avrebbe comportato una censura del nostro regime pubblicamente dichiarato pratica fiscale dannosa con conseguente danno di immagine per l'Italia come Paese sostenitore della lotta alle pratiche fiscali elusive. Inoltre, avrebbe autorizzato gli altri Paesi Membri ad applicare misure difensive ritorsive nei confronti dell'Italia e degli operatori economici italiani.
  Si rappresenta, comunque che, in sede di negoziazione delle modifiche da apportare al regime in discussione, l'Italia è comunque riuscita a garantire, quale regime transitorio (cosiddetto « grandfathering»), la conservazione dei benefici del regime patent box secondo la disciplina originaria per tutto il quinquennio di validità e, comunque, non oltre il 30 giugno 2021 per i contribuenti che hanno esercitato l'opzione per i primi 2 periodi d'imposta di applicazione dell'agevolazione (2015 e 2016).
  Infine, si segnala che lo standard OCSE sui regimi patent box è stato recepito anche in ambito di Unione Europea, sempre mediante accordo politico. Ma in questo caso la forza vincolante dello standard è tratta dall'appartenenza stessa all'Unione Europea, le cui indicazioni e raccomandazioni devono essere attuate da ogni Stato Membro.
  Nel report dell'OCSE « Harmful Tax practices – 2017 Progress Report on Preferenti al Regimes», pubblicato il 16 ottobre 2017, il regime Patent box italiano non è classificato come dannoso, ad eccezione del periodo compreso tra il 30 giugno e il 31 dicembre 2016, durante il quale erano ammesse all'agevolazione fiscale anche le domande di opzione relative ai marchi d'impresa.

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ALLEGATO 8

5-01955 Martinciglio: Disciplina delle dichiarazioni fiscali integrative.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con il documento in esame, l'onorevole interrogante fa riferimento alla disciplina delle dichiarazioni integrative cosiddette a favore del contribuente che, per effetto della nuova formulazione dell'articolo 2, commi 8 e 8-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 322 del 1998, introdotta dall'articolo 5, comma 1 del decreto legge n. 193 del 2016, possono essere presentate entro il termine di decadenza dell'accertamento di cui all'articolo 43 del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, equiparando in tal modo la posizione del contribuente a quella dell'Agenzia delle entrate.
  Gli onorevoli interroganti segnalano che sussiste un contrasto giurisprudenziale in ordine all'efficacia temporale delle nuove disposizioni e chiedono di chiarire se la riformulazione del 2016 abbia natura interpretativa o valenza innovativa, trovando applicazione solo per le dichiarazioni successive all'entrata in vigore del decreto legge n. 193 del 2016.
  Al riguardo, sentiti i competenti Uffici dell'Amministrazione finanziaria, si rappresenta quanto segue.
  Prima della modifica, la cosiddetta dichiarazione integrativa «a sfavore» del contribuente poteva essere presentata entro il termine di decadenza per l'accertamento, mentre quella «a favore» doveva essere presentata entro il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo di imposta successivo a quello in cui la stessa si riferisce.
  Tale disallineamento aveva generato un rilevante contenzioso circa la validità delle dichiarazioni a favore del contribuente presentate oltre il termine della presentazione della dichiarazione dei redditi.
  In relazione all'efficacia temporale della novella normativa introdotta dal cennato articolo 5 comma 1 del decreto legge n. 193 del 2016, l'Agenzia delle entrate ha da sempre sostenuto che le dichiarazioni integrative a favore, presentate prima del 24 ottobre 2016, debbano essere valutate sulla base della normativa vigente alla data di presentazione, in applicazione al principio generale dell'irretroattività della legge, di cui all'articolo 11 delle preleggi al codice civile).
  Questo approccio interpretativo è stato confermato dalla Suprema Corte di Cassazione che nella sentenza n. 1291 del 18 gennaio 2019 ha precisato quanto segue:
   «Per decidere la controversia è essenziale definire quali siano gli effetti derivanti dalle modifiche apportate dall'articolo 5 cit. sui giudizi in corso nei quali, com’è quello in esame, l'Amministrazione finanziaria abbia fatto valere la non emendabilità della dichiarazione stante la presentazione della relativa integrazione oltre il termine annuale previsto dall'ormai previgente decreto del Presidente della Repubblica n. 322 del 1998, articolo 2, comma 8-bis, e la risposta che questa Corte dà è che l'articolo 5 è irretroattivo, in quanto norma avente natura sostanziale».