TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 127 di Venerdì 15 febbraio 2019

 
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INTERPELLANZE URGENTI

A)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:

   nella città di Caserta e nella sua provincia opera un consorzio di cooperative denominato Ati (composto dalle cooperative Quadrifoglio, Pellicano e Aido) che impiega gli operatori socio-sanitari, distribuendoli nelle strutture sanitarie della provincia;

   sono 170 unità, gli operatori socio-sanitari, inquadrati dal consorzio Ati ed attualmente impiegati presso le strutture ospedaliere di Maddaloni, San Felice a Cancello, Marcianise, Piedimonte Matese, Sessa Aurunca, Santa Maria Capua Vetere, presso il servizio psichiatrico-diagnosi e cura dell'ospedale di Caserta, presso il coordinamento farmaceutico dell'ex azienda sanitaria locale Caserta 1, presso la farmacia del poliambulatorio di Caiazzo distretto 15;

   gli operatori socio-sanitari esplicano mansioni assistenziali in ambiti sanitari complessi, quali: la degenza ospedaliera, della radiologia, di pronto soccorso e della salute mentale;

   il rapporto di lavoro dei 170 lavoratori socio-sanitari viene regolamentato attraverso il rinnovo periodico del contratto di lavoro tra il consorzio Ati e l'azienda sanitaria locale di Caserta, che è il committente, e tale rinnovo contrattuale avviene dal 2005, come si apprende da notizie stampa pubblicate dal giornale Il Mattino il 31 gennaio 2019;

   la programmazione dell'attività dell'azienda, la definizione degli obiettivi e la verifica della disponibilità finanziaria, anche derivante da vincoli nazionali e regionali, costituiscono atti prodromici posti alla base del piano triennale dei fabbisogni delle aziende e degli enti del Servizio sanitario nazionale. I predetti piani triennali, compatibilmente con la cornice finanziaria prevista per il Servizio sanitario nazionale, devono essere redatti nel rispetto della legislazione vigente e sono approvati dalle rispettive regioni di appartenenza, secondo quanto previsto dalla disciplina regionale in materia e tenuto conto della riorganizzazione della rete ospedaliera effettuata ai sensi del decreto ministeriale 2 aprile 2015, n. 70;

   i piani triennali, inoltre, devono essere predisposti in coerenza con i rispettivi atti aziendali, di cui all'articolo 3, comma 1-bis, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, ferma restando la specifica disciplina prevista per le regioni in piano di rientro dal deficit sanitario ai sensi della quale detti fabbisogni devono essere verificati dal Comitato permanente per la verifica dell'erogazione dei livelli essenziali di assistenza, nonché dal Tavolo per il monitoraggio dell'attuazione del regolamento di cui al decreto del Ministro della salute 2 aprile 2015, n. 70 –:

   se, anche alla luce dei dati in possesso del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari, il fabbisogno del personale, con specifico riferimento all'operatore socio-sanitario, nell'ambito delle strutture ospedaliere e sanitarie della regione Campania, sia da ritenersi congruo sulla base della normativa vigente, richiamata in premessa;

   se nelle strutture ospedaliere e sanitarie sopra menzionate dell'azienda sanitaria locale di Caserta il personale sia sufficiente a garantire ai cittadini la piena erogazione dei livelli essenziali di assistenza;

   se non ritenga, nell'ambito delle proprie competenze, di adottare iniziative per porre rimedio ad una situazione di precarietà, che si protrae da oltre 13 anni, per i 170 lavoratori socio-sanitari della provincia di Caserta.
(2-00267) «Sportiello, D'Arrando, Massimo Enrico Baroni, Bologna, Lapia, Lorefice, Mammì, Menga, Nappi, Nesci, Provenza, Sapia, Sarli, Trizzino, Troiano, Leda Volpi, Battelli, Bella, Berardini, Berti, Bilotti, Brescia, Bruno, Buompane, Businarolo, Cabras, Cadeddu, Cancelleri, Luciano Cantone, Cappellani, Carabetta».

(12 febbraio 2019)

B)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro per i beni e le attività culturali, per sapere – premesso che:

   a più di due anni dall'attuazione della «seconda fase» della riforma organizzativa dei beni culturali avviata dal precedente Ministro Franceschini, che ha cambiato fisionomia al settore attraverso l'istituzione delle soprintendenze uniche territoriali organizzate, accorpando le soprintendenze ai beni archeologici a quelle per i beni architettonici e culturali, e la nascita di un nuovo assetto museale costituito da dieci nuovi poli museali autonomi, sono tutti concordi sul fatto che la tutela del patrimonio archeologico ne esce fortemente compromessa;

   molti dei rilievi avanzati alla riforma sono contenuti in un «Manifesto» promosso da un fronte che accomuna un folto gruppo di accademici ed esperti di cultura, ex-soprintendenti ma anche magistrati, archeologi del pubblico impiego e giornalisti, che a tutt'oggi ha registrato l'adesione di oltre mille delle figure più qualificate della cultura archeologica e museale italiana;

   l'aspetto più dibattuto dell'operazione è stato l'intento della riforma di privilegiare la valorizzazione sempre più commerciale del patrimonio artistico a discapito della sua tutela, attraverso la promozione di mostre e iniziative che poco avrebbero a che fare con l'identità dei luoghi che le ospitano. Inoltre, il suddetto accorpamento delle soprintendenze per i beni artistici con quelle per i beni architettonici e paesaggistici rappresenta per gli interpellanti uno dei passaggi più controversi della riforma, poiché alle nuove soprintendenze verrebbero affidati solo compiti di tutela e formazione e non anche compiti di gestione dei musei;

   tra le funzioni delle neo-soprintendenze si ricordano: il rilascio di autorizzazioni per l'esecuzione di opere e lavori di qualsiasi genere sui beni culturali; la partecipazione e l'espressione dei pareri nelle conferenze di servizi; l'istruzione e le proposte alla competente Commissione regionale per il patrimonio culturale di provvedimenti di verifica o di dichiarazione dell'interesse culturale, di prescrizioni di tutela indiretta, nonché le dichiarazioni di notevole interesse pubblico paesaggistico ovvero le integrazioni del loro contenuto;

   spending review e nuova efficienza sono l'origine e l'obiettivo della riorganizzazione di un Ministero, il Ministero per i beni e le attività culturali, che sembra non perseguire più come fine primario la salute e il benessere dell'immenso patrimonio culturale italiano, considerato mero prodotto sottoposto alle leggi del marketing;

   è del tutto evidente, a parere degli interpellanti, come la riforma in questione tenda ad immobilizzare l'efficacia di tutti gli aspetti della tutela territoriale (attraverso un appesantimento della catena di comando e lo svilimento delle competenze scientifiche di soprintendenti e funzionari nelle soprintendenze uniche, l'introduzione dell'istituto del silenzio-assenso e la sottomissione delle soprintendenze alle prefetture), depauperandola sempre più di risorse, tutte orientate verso grandi progetti di valorizzazione commerciale del patrimonio artistico –:

   se il Governo non ritenga opportuno, al fine di risolvere le problematiche esposte in premessa, adottare iniziative per:

    a) il ripristino di uffici di soprintendenza autonomi esplicitamente dedicati ai beni archeologici, che esercitino insieme funzioni di tutela, ricerca e valorizzazione;

    b) il ripristino della direzione generale archeologia che garantisca coordinamento e omogeneità di azione a livello nazionale per quanto riguarda la tutela e aspetti specifici di rilievo nazionale, come l'archeologia subacquea e la numismatica;

    c) il riaccorpamento dei musei archeologici e delle aree archeologiche non autonome alle soprintendenze archeologiche;

    d) l'avvio di procedure concorsuali pubbliche per la direzione dei più importanti musei e parchi archeologici, svolte da commissioni di esperti in archeologia, in luogo delle attuali e generiche prove selettive svolte da un'unica commissione eterogenea, che demanda la decisione finale al Ministro o ad un direttore generale di nomina ministeriale;

    e) la definizione di una disciplina specifica in grado di garantire la qualità, la dignità, i diritti scientifici e le responsabilità degli archeologi professionisti e degli archeologi che operano all'interno delle amministrazioni pubbliche, attraverso il possesso dei necessari requisiti universitari.
(2-00256) «Fassina, Fornaro, Fratoianni».

(5 febbraio 2019)

C)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:

   la giovane agente di polizia penitenziaria recentemente scomparsa Sissy Trovato Mazza veniva ferita gravemente il 1° novembre 2016 da un colpo di pistola nell'ascensore del reparto di pediatria dell'Ospedale civile di Venezia, dove si trovava per servizio, iniziando così un calvario durato ben due anni;

   in relazione a quel tragico episodio, incautamente catalogato inizialmente come suicidio, le indagini condotte sino ad oggi non sono ancora riuscite a chiarire chi abbia sparato alla giovane agente di polizia penitenziaria, né quale fosse il movente;

   le ultime rivelazioni trapelate dagli organi di stampa ed il clima teso di una vicenda che getta discredito e sfiducia su alcune componenti dello Stato, che avrebbero dovuto conoscere fatti a circostanze denunciate dalla vittima, impongono urgenti riflessioni ed azioni immediate;

   lo sconforto ed il dolore dei familiari dell'agente Sissy Trovato Mazza, che dall'accadimento delittuoso hanno incessantemente cercato interlocutori istituzionali a cui affidare sospetti e preoccupazioni del caso, meritano oggi il dovuto rispetto e la conoscenza della verità sui tristi eventi di cui l'adorata figlia è rimasta vittima;

   l'accertamento dei reali fatti risulta essere maggiormente doveroso nell'interesse proprio delle istituzioni coinvolte che, nell'agire quotidiano a difesa dei diritti e della sicurezza dei cittadini, non possono privarsi della fiducia, o parte della stessa, che il Paese in essi deve riporre;

   è necessario, quindi, fare piena luce su un episodio che ha colpito un rappresentante dello Stato, coraggioso ed integerrimo, la cui sofferenza ed agonia patita nei due anni di incessanti cure ed attenzioni mediche, rappresenta il più alto dei sacrifici compiuti verso il proprio Paese;

   appare poi necessario secondo gli interpellanti chiarire se vi siano stati profili di incompatibilità nella conduzione delle indagini da parte della procura di Venezia –:

   quali iniziative di competenza si intendano assumere, affinché sia fatta piena luce sugli inquietanti episodi esposti in premessa, anche attraverso l'attivazione di iniziative ispettive presso la procura di Venezia, e affinché la stessa procura possa disporre delle risorse necessarie, al fine di giungere alla verità e determinare con assoluta certezza i fatti accaduti alla vittima.
(2-00257) «Cannizzaro, Occhiuto».

(5 febbraio 2019)

D)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro dell'interno, il Ministro della salute, per sapere – premesso che:

   alcuni dipendenti del Corpo guardie giurate s.p.a. in provincia di Mantova, dopo aver espletato un turno regolare notturno di ore sette, devono, con una breve pausa di tre ore, rientrare in servizio per ulteriori cinque ore. Il responsabile dell'organico è costretto a richiedere questi servizi che recano disagio ai dipendenti per mancanza di personale. Questi dati sono emersi nel corso degli incontri sindacali (Cobas lavoro privato). A un dipendente che aveva rifiutato di rientrare in servizio dopo il turno notturno, nonostante avesse comunicato per tempo di non riuscire a sopperire tale richiesta, è stata applicata la sospensione non retribuita. Tali turnazioni appaiono in conflitto con il decreto legislativo 26 novembre 1999, n. 532, e successive circolari emanate dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, che disciplinano il lavoro notturno, sia dal punto di vista dell'orario consentito che della durata; orari di lavoro che vanno dalle 4/5 ore prima o dopo il turno notturno di 7/8 ore, con una pausa di 2/3 ore, possono essere rischiosi per il lavoratore e non dovrebbero esserci ore in eccesso alle 8 ore su 24 ore. Il lavoro della guardia giurata con incarico di pubblico servizio è molto delicato, in quanto fornisce servizi di sicurezza sia al pubblico che al privato cittadino, ma per garantire un'efficiente servizio i dipendenti devono godere di un ottimale riposo psicofisico per prestare attenzione in modo minuzioso. Le troppe ore di lavoro ledono e riducono la lucidità alla guardia che, non avendo riposato correttamente, diventa un pericolo, in primis per sé stesso e successivamente per gli altri utenti della strada, con un aumento della possibilità di provocare sinistri. Inoltre, è da considerare che gli orari sopracitati non sono dovuti a un'emergenza, ma sono parte integrante dell'ordinario. Situazioni analoghe risultano agli interpellanti presenti in altre parti d'Italia –:

   se i Ministri interpellati siano al corrente di questa situazione e se ritengano di adottare iniziative al riguardo e/o promuovere modifiche normative per precisare la disciplina in materia e per tutelare la qualità di vita e la sicurezza dei lavoratori e del pubblico;

   se intendano promuovere una riforma atta al riconoscimento di uno status giuridico adeguato che garantisca l'ottimale svolgimento delle mansioni e delle funzioni alle quali oggi le guardie particolari giurate sono chiamate, istituendo un registro provinciale delle guardie particolari giurate.
(2-00272) «Zolezzi, Costanzo, Davide Aiello, Amitrano, Ciprini, Bilotti, Cubeddu, De Lorenzo, Giannone, Invidia, Pallini, Perconti, Segneri, Siragusa, Tripiedi, Tucci, Vizzini, Carbonaro, Carelli, Carinelli, Casa, Caso, Cassese, Cataldi, Maurizio Cattoi, Chiazzese, Cillis, Cimino, Colletti, Corda, Corneli, Currò, Dadone, D'Ambrosio».

(12 febbraio 2019)

E)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:

   negli ultimi giorni il giornalista de la Repubblica Paolo Berizzi, autore del libro «NazItalia» e di importanti indagini sull'area dell'estremismo nero, è stato nuovamente destinatario di pesanti minacce da parte di militanti neofascisti e neonazisti e ultrà di estrema destra (dopo quelle subite nell'ultimo periodo da diversi gruppi, in particolare Forza Nuova, Do.Ra., Mab);

   in particolare, gli ultimi episodi sono di sabato 26 gennaio 2019 dopo la sua partecipazione, per motivi di lavoro, al funerale dell'ultrà varesino Daniele Belardinelli rimasto ucciso negli scontri tra tifosi a margine della partita Inter-Napoli (già al termine di tale funerale Berizzi veniva puntato e avvicinato minacciosamente da militanti neonazisti del gruppo Do.Ra.; solo grazie alla presenza di personale Digos e funzionari della questura si sono evitate conseguenze peggiori);

   il coraggioso inviato de la Repubblica ha ricevuto sui social numerose minacce di morte, estese anche alla sua famiglia, persino l'augurio di «documentare presto il funerale della madre», di avere una morte con «molto dolore e pena», di «essere portato in un box...» e di vedersi «strappare la lingua»;

   nei mesi scorsi si sono moltiplicati a Bergamo, città in cui vive il giornalista Berizzi, episodi di minacce gravi che, dopo il danneggiamento della sua auto (con l'incisione sulla carrozzeria di svastiche, simbolo SS e un crocefisso), hanno addirittura riguardato blitz neofascisti contro la casa di Berizzi, imbrattata con scritte ingiuriose, minacce, svastiche; altro episodio ha investito la testata on line Bergamonews con attacchinaggio notturno di volantini nei quali Berizzi veniva definito «vergogna di Bergamo»;

   durante le varie iniziative sul territorio nazionale di presentazione del libro «NazItalia», nel quale si documenta la fitta rete dell'estremismo nero, Berizzi ha subito blitz di squadracce neofasciste che lo hanno pesantemente contestato con striscioni infamanti; in occasione di quest'ultima presentazione, militanti di Forza Nuova sono entrati addirittura in sala a scopo intimidatorio e hanno scattato delle fotografie al giornalista;

   per proteggere il giornalista Paolo Berizzi è stata disposta la vigilanza generica da parte delle forze dell'ordine. Tale dispositivo garantisce il passaggio più volte al giorno di mezzi di polizia nel luogo di dimora della persona sottoposta a tutela, un servizio reso con grande perizia dagli agenti, che però lascia scoperte la gran parte delle ore del giorno, nelle quali peraltro il giornalista – inviato – si trova in giro per lavoro e per svolgere le sue inchieste;

   i gruppi neofascisti hanno dimostrato più volte di avere accesso ai luoghi di lavoro e addirittura all'abitazione di Berizzi, facendo temere per la sua incolumità fisica –:

   se il dispositivo di vigilanza sopra citato sia adeguato a proteggere Paolo Berizzi da queste pesanti minacce o se serva un ulteriore apparato di scorta;

   quali altre iniziative intenda intraprendere per proteggere l'incolumità di una voce libera che esercita con coraggio il giornalismo di inchiesta.
(2-00254) «Carnevali, Pizzetti, Bordo, Librandi, Viscomi, Morani, Pezzopane, Rotta, Fiano, Martina, Siani, Schirò, Bazoli, Andrea Romano, Enrico Borghi, Sensi, Fassino, Bruno Bossio, Rizzo Nervo, Ciampi, Del Basso De Caro, Braga, Scalfarotto, Gariglio, Fregolent, Di Giorgi, Carla Cantone, Ungaro, Moretto, Gribaudo, Mauri, Orlando, Fragomeli».

(1° febbraio 2019)

F)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'interno, il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, per sapere – premesso che:

   in Italia sono emersi due casi di morte imputabili al Fentanyl, farmaco originato dalla morfina, utilizzato come droga, letale per i tossicodipendenti e per le forze dell'ordine; negli USA, Paese di maggior consumo, alcuni agenti sono deceduti in seguito al contatto cutaneo accidentale avvenuto durante le operazioni di sequestro, non consapevoli che l'assorbimento transdermico lo rendesse biodisponibile in misura superiore al 95 per cento;

   i centri per il controllo e la prevenzione delle malattie USA riferiscono un aumento di morti: 49 mila nel 2017. L'affare è gigantesco: un chilo di Fentanyl, comprato in Cina per 3.800 $ e tagliato rende oltre 30 milioni, un'enormità, considerato che un chilo di eroina, acquistata per 50.000 dollari può renderne «solo» 200 mila;

   il maggior produttore illegale è la Cina, gli Usa hanno chiesto controlli sulla produzione, poiché sono invasi di Fentanyl cinese, acquistabile online sul dark web, che provoca overdose nei soggetti con scarsa tolleranza agli oppioidi;

   l'International Journal of Drug Policy, in uno studio, ipotizza che ciò sia causato dalla diminuita produzione di oppio, quindi dell'eroina disponibile sul mercato;

   la droga è consumata anche in Europa, soprattutto in Estonia, in due Stati membri sono stati segnalati 77 casi di decesso, 13 vittime segnalati in altri 4 Stati ed è stato individuato in 11 Stati membri, con 44 sequestri totali avvenuti fra giugno e dicembre 2017;

   l'Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze considera il Fentanyl un analgesico narcotico con potenza 80 volte superiore a quella della morfina; nel giugno 2018 un rapporto congiunto dell'Osservatorio e di Europol in materia di allerta precoce ha indicato che, dal 2012, sono giunti 28 nuovi fentanyl, tutti di provenienza cinese;

   nel marzo 2018 il comitato scientifico dell'Osservatorio europeo ha redatto delle relazioni sulla valutazione dei rischi, inviate alla Commissione e al Consiglio. Il Consiglio ha quindi approvato la decisione (UE) 2018/1463, del 28 settembre 2018, con la quale tali sostanze sono state assoggettate a misure di controllo ed a sanzioni analoghe a quelle previste per le altre sostanze stupefacenti, poco dicendo, in tema di prevenzione rispetto agli acquisti in generale e sul dark web in particolare, e sui modi per evitare l'importazione clandestina dalla Cina;

   nella decisione si afferma che: «L'esposizione accidentale al ciclopropilfentanyl può presentare rischi per i familiari e gli amici dell'utilizzatore, per le forze dell'ordine, il personale dei servizi di emergenza, il personale medico e dei laboratori forensi, nonché per il personale addetto alle strutture penitenziarie e quello dei servizi postali»;

   in Italia, la direzione centrale antidroga, nell'ultima relazione annuale, riguardo al Fentanyl, ha specificato che «non si erano verificate evidente della loro presenta nelle piatte italiane». Poi, nel settembre 2018, come detto in esordio, si è scoperto tardivamente il primo decesso avvenuto nell'aprile 2017. Inizialmente si riteneva che la vittima fosse morta per overdose da eroina;

   la comunicazione ritardata non ha consentito di conoscere l'esatta diffusione della droga in Italia perché mancano dati certi relativi ai decessi avvenuti nell'ultimo anno e mezzo. Il ritardo preoccupa perché l'unico caso accertato potrebbe rappresentare solo la punta dell’iceberg;

   una seconda morte è avvenuta il 10 giugno 2018; un tossicodipendente è morto, trovato dai carabinieri a Travedona Monate; accanto al suo corpo è stato trovato il Fentanyl: «La bustina di plastica che lo conteneva recava la scritta 1:10 contenente sostanza solido pulviscolare bianca/beige». Si cita l'Allerta di grado 3, diffusa dal Sistema nazionale di allerta precoce dell'istituto superiore di sanità. Il reperto è stato inviato il 20 luglio al laboratorio di analisi dei carabinieri di Milano, che, non riuscendo a identificare la sostanza si sono rivolti ai Ris di Parma. In quei laboratori il furanilfentanyl è stato riconosciuto con un'analisi spettrografica;

   l'allerta dello Snap riporta in testa la dicitura «vietate la divulgazione e la pubblicazione su web» ma, tra chi riceve gli alert si pensa che i dati vadano invece resi pubblici, anche fra chi non fa parte di queste categorie professionali; l'informazione può infatti interessare finanche gli stessi consumatori di stupefacenti. Gli allarmi dell'Osservatorio europeo su droghe e dipendenze e i sistemi nazionali di allerta di altri Paesi, non riportano divieti di pubblicazione;

   il 31 dicembre 2018, nell'ospedale di Melzo sono stati rubati 400 grammi di Fentanyl. Il furto è stato denunciato da un medico, che ha spiegato come le quattro fialette sparite fossero tenute in una cassaforte la cui chiave non era evidentemente custodita al sicuro –:

   a fronte dei fatti esposti in premessa, se il Governo intenda investire l'Unione europea, nelle sedi istituzionali proprie, della questione per proporre l'adozione di ulteriori e più efficaci politiche di contrasto alla diffusione del Fentanyl e similari nel territorio dei Paesi membri e se intenda adottare iniziative atte a prevenire morti accidentali, anche diramando accurate informazioni alle persone, tra quelle indicate nella decisione dell'Unione europea sopracitata, e alle forze dell'ordine in particolare, esposte al rischio di assorbimento involontario per via transdermica;

   se intendano tempestivamente adottare le iniziative di competenza per «assoggettare ciclopropilfentanyl e il metossiacetilfentanyl a misure di controllo e alle sanzioni penali» prescritte nella decisione dell'Unione europea sopracitata;

   se il Ministro dell'interno intenda predisporre un'attenta vigilanza per contrastarne la diffusione illegale, attivando in particolare la polizia postale, ed adottare misure di tutela per gli agenti dal contatto cutaneo;

   se il Ministro della salute intenda predisporre una indagine ministeriale per accertare eventuali ulteriori casi di morte, non ancora individuati, se intenda predisporre raccomandazioni per una più sicura detenzione del Fentanyl nelle strutture del Servizio sanitario nazionale e se intenda adottare iniziative per consentire la divulgazione e la pubblicazione tempestiva dei casi di morte a causa del Fentanyl;

   se il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale intenda prendere contatti con il Governo cinese, avviando forme di collaborazione necessaria per garantire un efficace contrasto al narcotraffico;

   se il Dipartimento per le politiche antidroga della Presidenza del Consiglio, in ottemperanza alle competenze attribuite dalla legge, abbia in programma azioni mirate per prevenire e contrastare il diffondersi di questa specifica sostanza e della relativa tossicodipendenza.
(2-00270) «Ianaro, Macina, D'Uva, Nappi, Di Sarno, De Giorgi, Battelli, Galizia, Scerra, Bruno, Lombardo, Adelizzi, Menga, Caso, Zanichelli, Brescia, Olgiati, Angiola, Papiro, Trizzino, Palmisano, Rospi, Giordano, Di Lauro, Scagliusi, Lovecchio, Penna».

(12 febbraio 2019)

G)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:

   di recente il dipartimento della regione Calabria ambiente e territorio ha scritto ai comuni e ai gestori dei servizi relativi al ciclo dei rifiuti, ricordando loro il subentro all'ente regione, ai sensi della legge regionale 11 agosto 2014, n. 14, e a decorrere dal 1° gennaio 2019, degli stessi comuni, più precisamente degli ambiti territoriali ottimali nei rapporti contrattuali con essi gestori;

   nella stessa nota si legge della richiesta del suddetto dipartimento ai riferiti gestori di continuare a erogare i servizi malgrado manchino i contratti, indispensabili, che a parere degli interpellanti non si sa ancora se, come e quando i comuni potranno stipulare, per loro diffuse difficoltà sia finanziarie che di carattere strettamente amministrativo;

   il rischio che ne deriva è, ad avviso degli interpellanti, che in Calabria la «filiera» dei rifiuti possa presto bloccarsi completamente, con ogni intuibile conseguenza d'ordine sanitario e d'ordine pubblico, per comprensibili riserve dei suddetti gestori a proseguire le attività in mancanza delle garanzie contrattuali; a ciò si aggiunga che in Calabria non sono più in esercizio impianti pubblici di trattamento dei rifiuti e discariche in gestione pubblica e/o privata;

   quanto al problema del trasferimento delle competenze ai comuni riuniti in ambiti territoriali ottimali, la stessa regione ha pensato di adottare una soluzione temporanea di affiancamento dei comuni, che tuttavia non sembra superare le prescrizioni delle norme vigenti in materia di ambiti territoriali e, infatti, il consiglio regionale della Calabria ha promulgato la legge regionale 25 gennaio 2019, n. 5, con la quale il trasferimento delle funzioni amministrative in materia di rifiuti da regione a comuni-ambiti territoriali ottimali (contenuto nella legge regionale n. 14 del 2014, in attuazione del principio di cui agli articoli 198 e 200 e successivi del decreto legislativo n. 152 del 2006) viene di fatto completamente eluso, attraverso la previsione di accordi attraverso i quali i comuni «possono delegare alla regione Calabria le funzioni amministrative relative alla gestione del servizio di trattamento»;

   evidenti sono i problemi di coerenza sistematica e di rispetto di gerarchia delle fonti nel raffronto con il testo unico ambientale (articoli 198, 200, 203) nel provvedimento citato; ad essi si aggiungono altrettanto evidenti problemi di conformità normativa, in quanto i gestori continuano – e, probabilmente, continueranno – ad essere privi di qualunque disciplina contrattuale (articolo 203 del testo unico ambientale) dei loro rapporti nonché di regolarità contabile, avendo la legge regionale in parola stanziato, con variazione del bilancio regionale, la cifra di 87.363.000,00 di euro, per la cui copertura vengono ipotizzati degli improbabili versamenti comunali, nonostante che, invece, gli obbligati siano gli ambiti territoriali ottimali e non i singoli enti locali;

   quanto alla carenza di impianti pubblici di trattamento e smaltimento, la regione Calabria, nel mese di gennaio 2019, ha visto andare deserta, per la seconda volta, la gara europea per il trasferimento transnazionale dei rifiuti, nel mentre si preannuncia la predisposizione di una terza gara, con notevole aumento dei prezzi offerti che, ove trovasse partecipanti, eroderebbe tutte le risorse finanziarie delle quali beneficerebbero, in tariffa, i cittadini che seguono la prassi della raccolta differenziata che, pertanto, verrebbe presto abbandonata; inoltre, la regione è orientata solo a favorire la realizzazione di future mega-discariche private, spesso in spregio di norme di tutela ambientale e storico-paesaggistica, con grave nocumento degli interessi della collettività;

   ancora, si aggiunga che nel tempo in Calabria, regione – secondo Ispra – penultima in Italia quanto a percentuale di raccolta differenziata, il suo presidente, Mario Oliverio, in merito al ciclo dei rifiuti ha gestito il regime ordinario con ricorso sistematico a ordinanze in deroga, ben dodici in quattro anni, prassi nello specifico non consentita dalla norme in vigore per come già chiarito dal competente Sottosegretario per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare all'interpellante in sede di risposta all'interrogazione a risposta immediata in Commissione, il quale anche a mezzo stampa ha rilevato gravi criticità nella regione Calabria in relazione alla carenza di impianti di trattamento, alla percentuale della raccolta differenziata al di sotto degli obiettivi minimi previsti dalla legge e alle difficoltà esistenti in ordine al recupero e al riuso dei rifiuti –:

   se il Governo non ritenga, per ripristinare il rispetto della gerarchia delle fonti, di promuovere la questione di legittimità costituzionale, ai sensi dell'articolo 127 della Costituzione, in relazione alla legge regionale 25 gennaio 2019, n. 5, recante «Disposizioni transitorie per la gestione del servizio di trattamento dei rifiuti urbani», per conflitto con gli articoli 199, 200 e 203 del decreto legislativo n. 152 del 2006, assumendo nel contempo urgenti iniziative di competenza per la gestione dei rifiuti nel territorio calabrese, anche prendendo in considerazione l'ipotesi di deliberare lo stato di emergenza e procedere, conseguentemente, alla nomina di un commissario governativo con riferimento alla situazione della regione Calabria.
(2-00268) «D'Ippolito, Daga, Deiana, Federico, Ilaria Fontana, Licatini, Alberto Manca, Maraia, Ricciardi, Rospi, Terzoni, Traversi, Varrica, Vianello, Vignaroli, Zolezzi, Acunzo, Adelizzi, Davide Aiello, Piera Aiello, Alaimo, Alemanno, Amitrano, Angiola, Aresta, Ascari, Azzolina, Baldino, Barbuto, Massimo Enrico Baroni, Acquaroli, Nesci».

(12 febbraio 2019)

H)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:

   la situazione in cui versa il sistema viario siciliano, già da tempo critica, va aggravandosi sempre di più, in particolare quella delle autostrade, dove si verificano sempre più incidenti, con numerosissimi morti a causa delle pessime condizioni in cui versano, con gallerie fatiscenti, carreggiate cosparse di buche, frane diffuse;

   a titolo esemplificativo, vale la pena segnalare le condizioni dell'autostrada A18 Messina-Catania che rappresenta la principale dorsale autostradale della Sicilia orientale nonché parte integrante dell'itinerario europeo E45. La centralità di questa opera è altresì rimarcata dai numeri: da anni ormai i volumi di traffico tra Messina e Catania sfiorano circa i 30 milioni di veicoli in transito, e in particolare tra le località di Taormina e Giardini Naxos annualmente registra oltre 2 milioni di turisti;

   purtroppo, altri dati numerici rendono l'A18 protagonista nel settore viario siciliano: basti ricordare che nel corso del 2018 sono stati ben 617 gli incidenti registrati su un tracciato caratterizzato da gravi e inaccettabili criticità in numerosi tratti. Sulla medesima autostrada, il 15 gennaio 2019 l'ispettore capo della polizia stradale di Giardini Naxos, Angelo Spadaro, è rimasto ucciso, schiacciato contro il guard-rail da un tir sopraggiunto, mentre l'agente stava intervenendo per un altro incidente;

   il governo regionale in carica sta intervenendo con 46 milioni di euro per manutenere tutta la tratta messinese A18 e A20, in tutto 120 chilometri da riasfaltare e 30 chilometri di barriere, in direzione Catania e in direzione Palermo, da finanziare con 120 milioni di euro dal Patto per il Sud. Inoltre, 16 milioni di euro sono previsti per la sistemazione della tratta interessata dalla frana di Letojanni in essere dal 2015 (con 4 milioni di euro della protezione civile regionale);

   si riscontrano però gravissime problematiche riconducibili ad anni di inerzia da parte delle precedenti amministrazioni regionali e del Consorzio autostrade siciliane (Cas), ente gestore della rete stradale, quest'ultimo interessato da un'inchiesta della direzione investigativa antimafia, che nel 2017 emetteva ordinanze di arresto, interessando oltre 50 indagati tra il personale del consorzio, con accuse di appalti truccati e progetti inesistenti e ipotizzando reati di falso, abuso d'ufficio e truffa per fatti riguardanti le autostrade A18 e A20, per l'ammontare di 1,3 milioni di euro;

   le previsioni del Cas di circa 510 mila euro per interventi di pavimentazione delle tratte ammalorate appaiono ormai insufficienti. Si continua, infatti, a svolgere micro interventi, di poche centinaia di metri. Risulta, inoltre, che l'appalto per riasfaltare l'intera carreggiata da Messina a Giarre, per un valore di 24,3 milioni di euro, sia fermo, in attesa del via libera del provveditorato regionale delle opere pubbliche, organo del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. «Così vuole il codice degli appalti, solo che al Provveditorato fanno poche sedute e i tempi si allungano a dismisura», precisano dal Cas ammettendo così la grave e inaccettabile situazione in cui versa la Sicilia;

   il Ministro interpellato, durante la conferenza stampa del 20 novembre 2018, ha affermato che per risolvere il problema della viabilità avrebbe adottato «il modello Genova», nominando un commissario straordinario al quale avrebbe assegnato i poteri e i fondi necessari;

   la ragione per cui «al di là delle appartenenze politiche è necessario lavorare insieme», risiedeva nella necessità di abbreviare i tempi. Il Ministro ha affermato, altresì, che «forse già nel prossimo Consiglio dei ministri», sarà nominato un commissario straordinario per la Sicilia, per «mettere in condizione di ordinarietà una situazione che al momento appare assimilabile, per buona parte dei 26 mila chilometri di strade provinciali, a quelle postbelliche»;

   lo stesso Ministro interpellato ha poi aggiunto: «Servono interventi ordinari e straordinari, sono qui a proporre un commissario straordinario governativo che non si sostituisca alla regione, ma che integri. Un nome proposto dalla regione con la condivisione di tutti. Lo dico con grande sincerità: oggi lo Stato torna a interessarsi concretamente della Sicilia». E anche che «Qui bisogna riprendere in mano la situazione. E se servono poteri speciali lo faremo. Così in pochi mesi qualche cantiere può essere sbloccato»;

   gli interpellanti ricordano che le ex province, oggi liberi consorzi comunali e città metropolitane, sono sottoposte a un prelievo forzoso, solo parzialmente ridotto con l'ultima legge di bilancio;

   il processo di riforma avviatosi dal 2014 non ha però ricevuto adeguato sostegno finanziario da parte dello Stato, anzi è stato caratterizzato dal crescente prelievo forzoso che ha quasi cancellato ogni autonomia finanziaria regionale, a giudizio degli interpellanti in palese violazione dell'articolo 119 della Costituzione. Di tale avviso è anche la Consulta, come risulta dalla sentenza n. 137 del 2018. Il prelievo forzoso operato dallo Stato, in violazione dei princìpi costituzionali, ha reso impossibile l'erogazione di fondamentali servizi pubblici essenziali, soprattutto in materia di viabilità, ma essa incide complessivamente sulla possibilità di fornire adeguati servizi sociali, come l'edilizia scolastica;

   si è, pertanto, innanzi a un caso definibile come «dissesto indotto» dalla normativa, che ha reso impossibile il completamento del processo di riforma avviato prima dal legislatore nazionale, poi dalla regione siciliana;

   la richiamata sentenza della Corte Costituzionale afferma che: «L'omissione del legislatore statale lede l'autonomia di spesa degli enti in questione (...) perché la necessità di trovare risorse per le nuove funzioni comprime inevitabilmente le scelte di spesa relative alle funzioni preesistenti, e si pone altresì in contrasto con il principio di corrispondenza tra funzioni e risorse, ricavabile dall'articolo 119, quarto comma, della Costituzione (...) perché all'assegnazione delle funzioni non corrisponde l'attribuzione delle relative risorse, nonostante quanto richiesto dalla L. n. 56 del 2014 e dalla sentenza n. 205 del 2016 di questa Corte.». La sentenza della Suprema Corte è auto esplicativa –:

   se le condizioni di cui in premessa corrispondano al vero e, in tal caso, quali iniziative il Governo intenda assumere;

   in particolare, se e quando il Governo intenda adottare le iniziative di competenza per provvedere alla nomina di un commissario straordinario, come affermato nel corso della conferenza stampa citata, per risolvere la drammatica situazione della viabilità stradale in Sicilia, dotandolo di fondi adeguati;

   quali iniziative, anche di carattere normativo, il Governo intenda assumere al fine di intervenire sulla causa principale delle problematiche illustrate in premessa, cioè in merito al prelievo forzoso che provoca la mancata erogazione dei servizi pubblici essenziali descritti, con particolare riguardo alla tutela della libertà di circolazione, nonché al diritto alla mobilità, costituzionalmente garantiti ma, di fatto, in Sicilia, non pienamente goduti dai cittadini-utenti a causa della impossibilità di percorrere gran parte della rete viaria.
(2-00269) «Germanà, Gelmini, Prestigiacomo, Bartolozzi, Minardo, Scoma, Siracusano».

(12 febbraio 2019)

I)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:

   la Corte di giustizia dell'Unione europea ha condannato l'Italia, il 17 novembre 2011, in merito alla causa C-496/09, poiché non ha adottato tutte le misure necessarie per conformarsi alla sentenza 10 aprile 2004, causa C-99/02, Commissione/Italia, relativa al regime di aiuti concessi dall'Italia per interventi a favore dell'occupazione, dichiarati illegittimi ed incompatibili con il mercato comune, venendo meno agli obblighi che incombono sul Paese in forza di tale decisione e dell'articolo 228, n. 1, del trattato CE;

   il 2 dicembre 2014 la stessa Corte ha condannato l'Italia nella causa C-196/13 per 200 discariche non bonificate, prevedendo come sanzione una multa forfettaria di 40 milioni di euro e una multa semestrale proporzionale alle discariche ancora non bonificate;

   il 16 luglio 2015 ha condannato l'Italia nella causa C-653/13 per non aver adottato tutte le misure necessarie all'esecuzione della sentenza Commissione/Italia (C-297/08) sull'emergenza rifiuti in Campania, comminando una multa giornaliera di 120.000 euro per ciascun giorno di ritardo nell'attuazione delle misure necessarie e una multa forfettaria di 20 milioni di euro;

   il 17 settembre 2015 la Corte ha condannato l'Italia nella causa C-367/14, perché ha ritenuto che le riduzioni e/o sgravi dagli oneri sociali concessi tra il 1995 e il 1997 a una serie di imprese del territorio insulare di Venezia e Chioggia costituivano aiuti di Stato incompatibili con il mercato comune; a seguito della sentenza il nostro Paese ha versato una somma forfettaria di 30 milioni di euro e dovrà versare una penalità di 12 milioni di euro per ogni semestre di ritardo nel recupero degli aiuti;

   il 31 maggio 2018 la Corte ha condannato l'Italia nella causa C-251/17 per aver omesso di adottare le disposizioni necessarie per garantire che diversi agglomerati situati nel territorio italiano fossero provvisti di reti fognarie per la raccolta e/o di trattamento delle acque reflue urbane conformi alle prescrizioni dell'articolo 3, dell'articolo 4, paragrafi 1 e 3, nonché dell'articolo 10 della direttiva 91/271; per tali motivi la Corte ha stabilito che: 1) la Repubblica italiana, non avendo adottato tutte le misure necessarie per l'esecuzione della sentenza del 19 luglio 2012, Commissione/Italia (C565/10), è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza dell'articolo 260, paragrafo 1, TFUE; 2) nel caso in cui l'inadempimento constatato al punto 1 persista al giorno della pronuncia della sentenza, la Repubblica italiana è condannata a pagare alla Commissione europea una penalità di 30.112.500 euro per ciascun semestre di ritardo nell'attuazione delle misure necessarie per ottemperare alla sentenza del 19 luglio 2012 già citata, a partire dalla data della pronuncia della sentenza e fino all'esecuzione integrale della medesima, penalità il cui importo effettivo deve essere calcolato alla fine di ciascun periodo di sei mesi riducendo l'importo complessivo di una quota corrispondente alla percentuale che rappresenta il numero di abitanti equivalenti degli agglomerati i cui sistemi di raccolta e di trattamento delle acque reflue urbane sono stati resi conformi con quanto statuito dalla citata sentenza in rapporto al numero di abitanti degli agglomerati che non dispongono di tali sistemi al giorno della pronuncia; 3) la Repubblica italiana, inoltre, è condannata a pagare alla Commissione una somma forfettaria di 25 milioni di euro –:

   quale sia l'importo complessivo delle sanzioni pecuniarie che l'Italia ha dovuto versare in ragione delle condanne irrogate dalla Corte di giustizia ai sensi dell'articolo 260 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea e quali iniziative il Governo stia mettendo in campo per ottemperare a tali sentenze.
(2-00271) «Magi, Schullian».

(12 febbraio 2019)

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