TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 197 di Mercoledì 26 giugno 2019

 
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MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE DI COMPETENZA PER L'EFFETTIVA INTERRUZIONE DELLA ESPORTAZIONE E DEL TRANSITO DI ARMAMENTI VERSO L'ARABIA SAUDITA ED ALTRI PAESI COINVOLTI NEL CONFLITTO IN YEMEN

   La Camera,

   premesso che:

    dal marzo 2015 in Yemen è in corso un conflitto armato tra la coalizione guidata dall'Arabia Saudita, formata da Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Qatar, Bahrain, Egitto e Sudan, intervenuta a sostegno del Governo del presidente Hadi, e le forze dell'alleanza militare formata dagli Huthi, sostenuti dall'Iran, e dalle truppe vicine all'ex Presidente Saleh. Dall'inizio degli scontri 19 mila raid aerei hanno devastato scuole, ospedali e infrastrutture, obbligando 1,5 milioni di bambini a fuggire dalle loro case e uccidendo o ferendo gravemente quasi 6.500 minori. I numeri di 4 anni di guerra sono tragici: 24 milioni di persone su una popolazione di 30 milioni sopravvivono solo grazie agli aiuti umanitari; 20 milioni di persone soffrono di malnutrizione e di queste 11 sono sull'orlo della carestia; 18 milioni di persone non hanno accesso ad acqua pulita e a servizi igienici sanitari di base; 3 milioni sono sfollati interni;

    secondo l'Ufficio dell'Alto commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite, dal 26 marzo 2015 – giorno del primo raid aereo della coalizione guidata dall'Arabia Saudita per fermare l'offensiva degli Huthi, arrivata fino alle porte di Aden, con l'obiettivo di riportare al potere il deposto presidente Hadi – fino ad agosto 2017, sono stati uccisi 5.144 civili. Secondo Oxfam, solo nel 2018 sono stati uccisi o feriti circa 100 civili ogni settimana;

    tutte le parti coinvolte nel conflitto nello Yemen hanno ripetutamente violato i diritti umani e la popolazione civile sta affrontando una crisi umanitaria di vaste proporzioni. Secondo le Nazioni Unite, però, la coalizione a guida saudita sarebbe la principale responsabile delle vittime civili del conflitto, continuando a commettere gravi violazioni del diritto internazionale umanitario e delle norme internazionali sui diritti umani;

    le organizzazioni umanitarie faticano sempre più ad entrare in Yemen e le loro strutture di accoglienza e assistenza alla popolazione civile sono sotto attacco, comprese quelle sostenute da organizzazioni umanitarie italiane;

    il 25 ottobre 2018 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione (ultima di una lunga serie con le medesime richieste) che «invita il Consiglio a raggiungere una posizione comune per imporre, a livello dell'Unione europea, un embargo sulle armi nei confronti dell'Arabia Saudita e a rispettare la posizione comune 2008/944/PESC; chiede un embargo sull'esportazione di sistemi di sorveglianza e di altri prodotti a duplice uso suscettibili di essere utilizzati in Arabia Saudita a fini repressivi»;

    in una successiva risoluzione datata 14 novembre 2018 relativa all'implementazione della posizione comune dell'Unione europea sull’export di armamenti lo stesso Parlamento europeo ha chiesto al Consiglio e all'Alto rappresentante per la politica estera di «estendere tale embargo anche a tutti gli altri membri della coalizione a guida saudita nello Yemen»;

    nell'aprile 2019 la Camera dei rappresentanti statunitense ha adottato una risoluzione per porre fine a qualsiasi forma di assistenza militare degli Usa all'intervento saudita in Yemen, la stessa risoluzione era stata votata dal Senato statunitense nel mese di marzo 2019;

    Germania, Svezia, Danimarca, Finlandia, Norvegia e Olanda hanno recentemente annunciato la sospensione delle forniture militari che possono venire utilizzate nel conflitto in Yemen, oltre che all'Arabia Saudita, anche agli Emirati Arabi Uniti;

    il Trattato delle Nazioni Unite sul commercio di armi permetterebbe già di sospendere l'invio di materiali bellici in considerazione di gravi violazioni del diritto umanitario. All'articolo 7 è specificato, infatti, che quando si viene a conoscenza che il sistema militare può essere usato per commettere gravi crimini di guerra un Paese può sospendere o revocare l'autorizzazione all’export;

    l'Italia ha una specifica parte di responsabilità in questa guerra, poiché alcune delle armi utilizzate contro gli yemeniti sono fabbricate, vendute o transitate dall'Italia nonostante il comma 6, lettera a), dell'articolo 1 della legge n. 185 del 1990 affermi che «l'esportazione ed il transito di materiali di armamento sono altresì vietati: a) verso i Paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i principi dell'articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, fatto salvo il rispetto degli obblighi internazionali dell'Italia o le diverse deliberazioni del Consiglio dei ministri, da adottare previo parere delle Camere»;

    in Italia, a Domusnovas, in provincia di Cagliari, è operante uno stabilimento della Rwm Italia spa, società controllata dal produttore tedesco di armi Rheinmetall AG, che produce bombe d'aereo General purpose e da penetrazione, caricamento di munizioni e spolette, sviluppo e produzione di teste in guerra per missili, siluri, mine marine, cariche di demolizione e controminamento;

    l'8 ottobre 2016 un raid aereo condotto verosimilmente dalla coalizione militare guidata dall'Arabia Saudita ha colpito il villaggio di Deir Al-Hajari, situato nello Yemen nord-occidentale. L'attacco aereo ha ucciso una famiglia di sei persone, tra cui una madre incinta e quattro bambini. Sul luogo dell'attacco sono stati rinvenuti dei resti di bombe e un anello di sospensione prodotti da Rwm Italia spa. Ad aprile 2018, una coalizione internazionale di organizzazioni non governative (Rete Disarmo, ECCHR e Mwatana) ha depositato un esposto alla procura della Repubblica di Roma per chiedere che venga avviata un'indagine sulla responsabilità penale dell'autorità italiana che autorizza le esportazioni di armamenti (Unità per le autorizzazioni dei materiali d'armamento – Uama) e degli amministratori della società produttrice di armi Rwm Italia spa per le esportazioni di armamenti destinate ai membri della coalizione militare guidata dall'Arabia Saudita coinvolti nel conflitto in Yemen;

    nonostante le violazioni segnalate in Yemen, l'Italia di fatto continua ad esportare armi verso i membri della coalizione militare guidata dall'Arabia Saudita, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo in violazione della legge n. 185 del 1990, che vieta l'esportazione di armi verso Paesi in conflitto armato e in contrasto con le disposizioni vincolanti della posizione comune dell'Unione europea che definisce norme comuni per il controllo delle esportazioni di attrezzature militari e contro le prescrizioni contenute nel Trattato internazionale sul commercio delle armi;

    come evidenziato anche da numerosi servizi giornalistici, già a partire dal 2016 le bombe fabbricate dalla Rwm Italia spa in Sardegna sono partite sia dall'aeroporto di Cagliari-Elmas sia dal porto canale di Cagliari;

    la relazione annuale della Presidenza del Consiglio dei ministri sulle esportazioni di materiali militari inviata alle Camere nel mese di aprile 2019 riporta che nel 2018 sono state autorizzate esportazioni di materiali militari per l'Arabia Saudita del valore totale di 13.350.266 euro e nell'allegato dell'Agenzia delle dogane riporta 816 esportazioni effettuate (consegne) nel 2018 per un valore di 108.700.337 euro. Tra queste si evidenziano tre forniture (esportazioni effettuate) del valore complessivo di 42.139.824 euro che sono attribuibili alle bombe aeree della classe MK80 prodotte dalla Rwm Italia spa che risalgono ad un'autorizzazione rilasciata nel 2016 dal Governo per la fornitura all'Arabia Saudita di 19.675 bombe aeree del valore di oltre 411 milioni di euro. Si tratta come detto delle micidiali bombe aeree della serie MK prodotte a Domusnovas in Sardegna dall'azienda tedesca Rwm Italia spa, azienda che ha la sua sede legale a Ghedi (Brescia), che vengono impiegate dall'aeronautica militare saudita per bombardare indiscriminatamente lo Yemen. Un rapporto dell'Onu del gennaio del 2017 ha documentato l'utilizzo di queste bombe nei bombardamenti sulle zone abitate da civili in Yemen e un secondo rapporto redatto da un gruppo di esperti delle Nazioni Unite ha dichiarato che questi bombardamenti possono costituire «crimini di guerra»;

    alle 22,30 del 20 maggio 2019 la nave dell'Arabia Saudita «Bahri Yanbu» ha lasciato il porto di Genova senza imbarcare i due generatori elettrici per uso militare che sono rimasti chiusi nei magazzini dello scalo ligure. A impedire il carico degli impianti sulla nave Bahry Yanbu hanno contribuito in modo decisivo lo sciopero e il presidio dei lavoratori portuali di Genova che hanno impedito e boicottato le operazioni di carico di materiale bellico impiegato in operazioni definite dalle Nazioni Unite «crimini di guerra»;

    i lavoratori del porto di Genova attraverso questa mobilitazione hanno voluto lanciare un segnale forte all'Italia e all'Europa contro una delle più gravi catastrofi umanitarie del mondo;

    il cargo si è diretto verso Alessandria d'Egitto senza più fare tappa, come inizialmente ipotizzato, a La Spezia, dove, secondo parecchie indiscrezioni, all'arsenale avrebbe dovuto caricare otto cannoni semoventi Caesar, di produzione francese, destinati al conflitto nello Yemen per essere utilizzati dall'esercito saudita contro la popolazione civile di quel Paese;

    si tratta degli stessi dispositivi bellici che per un analogo «boicottaggio» messo in atto dai lavoratori del porto francese, non erano stati fatti imbarcare a Le Havre, scalo portuale sulla costa della Normandia;

    secondo notizie di stampa nel porto di Monfalcone la nave Norderney, dell'armatore tedesco Mlb Shipping, battente bandiera di Antigua, ha scaricato a fine maggio 2019 un quantitativo di tondini di ferro, ma nei container a bordo vi erano anche 360 bazooka e 415 missili anticarro ucraini destinati al Governo dell'Arabia Saudita. Del transito della nave e del contenuto dei container erano a conoscenza prefettura, guardia costiera e polizia che hanno proceduto ai controlli e alle verifiche obbligatorie. Tuttavia, non sono state avvisate le maestranze che avrebbero dovuto operare in presenza di un carico potenzialmente pericoloso, sollevando le proteste delle organizzazioni sindacali e dell'amministrazione comunale, anch'essa ignara del contenuto della nave approdata a Monfalcone;

    secondo gli analisti dell'Osservatorio permanente sulle armi leggere e politiche di sicurezza e difesa (Opal) e della Rete italiana per il disarmo, Teknel s.r.l., l'azienda italiana produttrice dei generatori bloccati dai lavoratori portuali a Genova, ha ricevuto l'autorizzazione a esportare all'Arabia Saudita questo tipo di generatori elettrici di tipo militare, per la prima volta nel 2018 per un valore complessivo di 7.829.780 euro per 18 gruppi elettrogeni su trailer, dotati di palo telescopico per illuminazione, che alimentano 18 shelter per comunicazione, comando e controllo, in grado di gestire droni, comunicazioni e centri di comando aereo e terrestre;

    di questi hanno già esportato due gruppi elettrogeni e due shelter Tbs per un totale di circa 786.200 euro;

    essendo materiali che sono stati esportati con specifica autorizzazione da parte dell'Autorità nazionale per le esportazioni di materiali d'armamento (Uama) questi generatori vanno considerati a tutti gli effetti come materiali militari;

    l'azienda Teknel s.r.l. di Roma ha inoltre ammesso pubblicamente che il destinatario e utilizzatore finale di questi generatori è la Guardia nazionale saudita, che è una delle Forze armate dell'Arabia Saudita;

    nel 2018 il valore totale delle licenze all’export a Riyadh è pari a 13.350.266 euro, di cui oltre la metà a favore della Teknel s.r.l.;

    dalla già citata relazione della Presidenza del Consiglio dei ministri non figurano provvedimenti relativi a sospensioni, revoche o dinieghi per esportazioni di armamenti verso l'Arabia Saudita posti in essere dal Governo Conte nel 2018;

    il Presidente del Consiglio dei ministri Conte, nella conferenza stampa del 28 dicembre 2018, ha affermato: «il Governo italiano è contrario alla vendita di armi all'Arabia Saudita» e «si tratta solamente di formalizzare questa posizione». Finora, però, non risulta nessun atto di sospensione, né di revoca delle forniture di armamenti all'Arabia Saudita;

    la Ministra della difesa Trenta ha dichiarato: «È un'indecenza che il nostro Paese possa essere in qualche modo complice di ciò che accade in Yemen»,

impegna il Governo:

1) ad esprimere, in ogni consesso internazionale o sede di confronto con rappresentanti di Paesi stranieri, la profonda preoccupazione dell'Italia per l'allarmante deterioramento della situazione umanitaria nello Yemen, caratterizzata da una diffusa insicurezza alimentare e una grave malnutrizione in alcune parti del Paese, da attacchi indiscriminati contro civili, personale medico e operatori umanitari e dalla distruzione delle infrastrutture civili e mediche, a causa del preesistente conflitto interno, dell'intensificarsi degli attacchi aerei ad opera della coalizione guidata dall'Arabia Saudita, dei combattimenti a terra e dei bombardamenti, nonostante i ripetuti appelli per una nuova cessazione delle ostilità;

2) ad adottare iniziative per sospendere immediatamente ogni esportazione di materiali d'armamento e articoli correlati prodotti in Italia e destinati all'Arabia Saudita e agli Emirati Arabi Uniti che potrebbero venire utilizzati dai due Paesi nel conflitto in Yemen;

3) a farsi promotore a livello di Consiglio dell'Unione europea di una forte iniziativa politica che porti all'embargo di materiale militare di tutta l'Unione europea verso i Paesi coinvolti nel conflitto in Yemen, come ripetutamente richiesto dal Parlamento europeo;

4) ad assumere iniziative per non autorizzare il transito e l'utilizzo di porti e aeroporti in Italia da parte di cargo aerei e navali che trasportino materiali d'armamento destinati all'Arabia Saudita e a tutti i Paesi coinvolti nel conflitto armato in Yemen, in considerazione delle gravi accuse di violazione del diritto umanitario internazionale da parte dell'Arabia Saudita e dei suoi alleati nello Yemen, come prevedono tutte le normative nazionali ed internazionali in vigore;

5) ad attuare tutte le misure idonee dirette alla differenziazione produttiva e alla conversione a fini civili delle industrie nel settore della difesa, come previsto dalla legge n. 185 del 1990, anche tramite iniziative per il rifinanziamento del comma 7 dell'articolo 6 del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 149, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 237, prevedendo un adeguato stanziamento pluriennale e destinando almeno il 70 per cento di tale importo alle attività di riconversione dell'industria bellica, anche per sottrarre i lavoratori e le comunità al «ricatto occupazionale» causato da questo tipo di produzioni in territori con alti livelli di disoccupazione.
(1-00198) «Fornaro, Palazzotto, Boldrini, Bersani, Conte, Epifani, Fassina, Fratoianni, Muroni, Occhionero, Pastorino, Rostan, Speranza, Stumpo, Magi».

(18 giugno 2019)

   La Camera,

   premesso che:

    il conflitto in Yemen ha avuto inizio nel 2015, quando i ribelli Houthi, sostenuti dall'Iran, hanno deposto il presidente del Paese riconosciuto a livello internazionale, il quale ha successivamente fatto intervenire una coalizione multinazionale, guidata dall'Arabia Saudita, per combattere i ribelli e le truppe ad essi alleate;

    il conflitto in atto nello Yemen è giunto al quarto anno e ha causato ormai decine di migliaia di morti; più di 22 milioni di persone (circa l'80 per cento della popolazione yemenita) necessitano di sostegno umanitario; le persone in condizioni di insicurezza alimentare sono più di 17 milioni e oltre otto milioni rischiano di morire di fame; 2.500 bambini sono stati uccisi nel conflitto, mentre, secondo l'organizzazione non governativa Save the Children, nel solo 2017 più di 50 mila bambini sono morti per malnutrizione o per problemi igienico-sanitari;

    dal mese di giugno 2018 la coalizione guidata dall'Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi Uniti è impegnata in un'offensiva per prendere la città di Hodeidah – il porto più importante dello Yemen – che compromette il transito del cibo e degli aiuti umanitari nel Paese; parlando al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, il coordinatore delle Nazioni Unite per gli affari umanitari Mark Lowcock ha annunciato il pericolo di una imminente carestia in Yemen;

    alcune organizzazioni non governative hanno iniziato a documentare violazioni del diritto internazionale avvenute nel conflitto già a partire dal 2016. Queste violazioni sono state riconosciute internazionalmente da una organizzazione sovranazionale per la prima volta il 28 agosto 2018, nelle conclusioni del gruppo di eminenti esperti indipendenti internazionali istituito dal Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, secondo cui detti interventi possono costituire crimini di guerra;

    a questo rapporto ha fatto seguito nel settembre 2018 la relazione dell'Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani che ha concluso, per la prima volta, che vi sono ragionevoli motivi per ritenere che tutte le parti implicate nel conflitto nello Yemen abbiano commesso crimini di guerra;

    è in vigore un embargo internazionale sulle armi nei confronti dei ribelli Houthi sostenuti dall'Iran;

    il 25 ottobre 2018 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione (ultima di una lunga serie con le medesime richieste) che «invita il Consiglio a raggiungere una posizione comune per imporre, a livello dell'UE, un embargo sulle armi nei confronti dell'Arabia Saudita e a rispettare la posizione comune 2008/944/PESC; chiede un embargo sull'esportazione di sistemi di sorveglianza e di altri prodotti a duplice uso suscettibili di essere utilizzati in Arabia Saudita a fini repressivi»;

    in una successiva risoluzione datata 14 novembre 2018 relativa all'implementazione della posizione comune dell'Unione europea sull’export di armamenti lo stesso Parlamento europeo ha chiesto al Consiglio d'Europa e all'Alto Rappresentante per la politica estera di «estendere tale embargo anche a tutti gli altri membri della coalizione a guida saudita nello Yemen»;

    nella seduta del 19 settembre 2017 è stata votata dal Parlamento una mozione che impegnava il Governo italiano, tra l'altro, «a favorire, nell'ambito delle regolari consultazioni dell'Unione europea a Bruxelles, una linea di azione condivisa in materia di esportazioni di materiali di armamento dando sostegno concreto alle iniziative internazionali per la cessazione delle ostilità e adeguandosi immediatamente alle prescrizioni o ai divieti che fossero adottati nell'ambito delle Nazioni Unite o dell'Unione europea»;

    sia le Nazioni Unite che l'Unione europea hanno preso posizioni sulla sospensione della vendita di armi utilizzabili nel conflitto in Yemen all'Arabia Saudita, visto il riconoscimento a livello internazionale delle violazioni del diritto internazionale umanitario da parte della Arabia Saudita in Yemen a seguito del conflitto in corso;

    Regno Unito, Germania, Svezia, Danimarca, Finlandia, Norvegia, Svizzera, Belgio, Austria e Olanda hanno recentemente annunciato la sospensione delle forniture militari che possono venire utilizzate nel conflitto in Yemen oltre che all'Arabia Saudita anche agli Emirati Arabi Uniti, anche a seguito dell'assassinio del giornalista Jamal Khashoggi, oltre che in seguito ai pronunciamenti del 28 agosto 2018 del panel di eminenti esperti indipendenti internazionali istituito dal Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite e del settembre 2018 dell'Alto commissariato Onu per i rifugiati;

    una risoluzione in materia di sospensione della vendita di armi è stata avviata in Commissione affari esteri della Camera dei deputati già dal mese di ottobre 2018, ma il Governo non ha comunque preso posizione;

    nell'aprile 2019 la Camera dei rappresentanti statunitense ha adottato una risoluzione per porre fine a qualsiasi forma di assistenza militare degli Usa all'intervento saudita in Yemen; la stessa risoluzione era stata votata dal Senato statunitense nel mese di marzo;

    da quando il re saudita Salman bin Abdul Aziz Al Saud ha nominato suo figlio, Mohammed bin Salman, come principe ereditario nel giugno 2017, le Nazioni Unite e numerose organizzazioni internazionali non governative, quali Amnesty International, hanno denunciato sempre più gravi violazioni dei diritti umani e delle libertà fondamentali in Arabia Saudita, con frequenti detenzioni arbitrarie di attivisti, ecclesiastici di alto profilo, dirigenti d'azienda, giornalisti e commentatori dei social media;

    queste gravi violazioni, sono sfociate, in ultimo, nell'uccisione, il 2 ottobre 2018, del giornalista dissidente, Jamal Khashoggi, all'interno del Consolato saudita di Istanbul e poi cremato in un forno presente nella residenza del console;

    il rapporto indipendente delle Nazioni Unite redatto dalla relatrice speciale sulle esecuzioni extragiudiziali, sommarie o arbitrarie, Agnes Callamard, reso noto il 19 giugno 2019, parla di una «esecuzione deliberata e premeditata» che richiede «ulteriori indagini sulle responsabilità individuali di funzionari sauditi di alto livello, compreso il principe ereditario» Mohammad bin Salman. Si legge anche che ci sono «prove credibili che richiedono ulteriori indagini sulle responsabilità individuali di funzionari sauditi di alto livello, compreso il principe ereditario» – pur specificando comunque che «non ci sono conclusioni sui colpevoli» – ma che è necessario, avviare «un'inchiesta penale internazionale»;

    nel mese di maggio 2019, e anche in questi giorni, a Genova e poi a Cagliari, è approdata una nave della compagnia Bahri, la più grande flotta della monarchia saudita composta da sei navi-cargo per un carico di armamenti. A Genova, grazie alle proteste e alla mobilitazione delle associazioni e dei camalli, il carico incriminato è rimasto a terra, mentre a Cagliari, sono stati caricati 44 container;

    un plauso va a questa categoria di lavoratori che si è opposta al carico, ma certamente, non si può caricare sulle scelte etiche dei lavoratori portuali, decisioni che deve invece prendere il Governo, scegliendo una posizione da tenere in merito;

    il Presidente del Consiglio Conte nella Conferenza stampa del 28 dicembre 2018 ha affermato: «il Governo italiano è contrario alla vendita di armi all'Arabia Saudita e si tratta solamente di formalizzare questa posizione»,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative per sospendere tutte le forniture di armi e materiali d'armamento, utilizzabili per il conflitto, ai Paesi coinvolti direttamente nella guerra in Yemen, come già deciso da Regno Unito, Germania, Svezia, Danimarca, Finlandia, Norvegia, Svizzera, Belgio, Austria e Olanda e come in discussione in altri Parlamenti di Stati membri dell'Unione;

2) ad operare uno sforzo politico e diplomatico in sede multilaterale per il riconoscimento dello stato di conflitto armato in Yemen ai fini del diritto internazionale umanitario e dell'applicazione rigorosa delle disposizioni della legge 9 luglio 1990, n. 185, della posizione comune 2008/944/PESC e del Trattato internazionale sul commercio delle armi, già ratificato dall'Italia;

3) a farsi promotore a livello di Consiglio dell'Unione europea di una forte iniziativa politica che porti all'embargo di materiale militare di tutta l'Unione europea verso i Paesi coinvolti nel conflitto in Yemen, come ripetutamente richiesto dal Parlamento europeo;

4) a sostenere gli sforzi profusi dall'inviato speciale per lo Yemen del segretario generale delle Nazioni Unite volti a rilanciare il processo politico e a raggiungere una soluzione negoziata e inclusiva della crisi, nonché ad assicurare ogni intervento utile per consentire un immediato e completo accesso umanitario alle zone colpite dalle ostilità in Yemen, al fine di assistere efficacemente la popolazione in stato di bisogno attraverso prioritari programmi di cooperazione internazionale, anche con l'implementazione degli stessi da parte della cooperazione italiana;

5) a sostenere, anche nel ruolo di membro eletto del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, la prosecuzione di indagini efficaci e indipendenti sulle violazioni e sui crimini commessi in Yemen dalle parti in conflitto e a promuovere l'istituzione di un tribunale internazionale indipendente per accertarne e condannarne le responsabilità.
(1-00202) «Quartapelle Procopio, De Maria, Ceccanti, Scalfarotto, Fassino, Bruno Bossio, Fragomeli, Carla Cantone, Mor, Bonomo, Sensi, Frailis, Benamati, Paita, Fiano, Fregolent, Marco Di Maio, Serracchiani, Buratti, Giorgis, Ungaro, De Menech, Siani, Moretto, Nardi, Berlinghieri, Madia, Pezzopane, Pellicani, Schirò, Navarra, Carnevali, Rizzo Nervo, Di Giorgi, Noja».

(24 giugno 2019)

   La Camera,

   premesso che:

    dal marzo del 2015 in Yemen è in corso una guerra civile, quando le forze ribelli Huthi hanno preso il controllo della capitale, Sana'a, dopo avere deposto l'allora presidente ’Abd Rabbih Mansur Hadi, tuttora riconosciuto dalla comunità internazionale;

    da allora, il regno dell'Arabia saudita – supportato da una coalizione internazionale formata da Kuwait, Bahrain, Emirati Arabi Uniti, Giordania, Marocco, Senegal, (e in passato anche Qatar, Egitto e Sudan) e con l'appoggio iniziale di Stati Uniti, Regno Unito, Canada, Francia e Turchia – conduce attacchi e bombardamenti incessanti su città e villaggi yemeniti;

    questa azione militare non ha mai ricevuto un avallo formale o un preciso mandato dell'Onu che tuttavia, attraverso il Consiglio di sicurezza, ha approvato più risoluzioni che non sono riuscite a far cessare le violenze e a dare al via una soluzione negoziata del conflitto;

    secondo quanto affermato da Mark Lowcock, segretario generale aggiunto delle Nazioni Unite agli affari umanitari e coordinatore dei soccorsi d'urgenza, in Yemen siamo di fronte «alla peggiore crisi umanitaria del pianeta»;

    secondo le Nazioni Unite quasi l'80 per cento della popolazione yemenita ha bisogno di assistenza o protezione umanitaria. A causa del conflitto, oltre 20 milioni di persone su una popolazione totale di 24 non hanno cibo sufficiente, 9,6 milioni sono sull'orlo della carestia e 240 mila si trovano nella cosiddetta «fase cinque», ossia sopravvivono a malapena alla fame. Dall'inizio del conflitto, oltre tre milioni e 300 mila yemeniti hanno lasciato le loro case, 600 mila nel solo 2018;

    secondo una recente nota diffusa dall'Unicef in occasione della conferenza di Ginevra dei Paesi donatori sulla crisi dello Yemen, 11,3 milioni di bambini, pari all'80 per cento di tutti quelli nel Paese, hanno bisogno di assistenza umanitaria. Di questi, 1,8 milioni soffrono di malnutrizione acuta, fra cui circa 360.000 bambini sotto i 5 anni soffrono di malnutrizione acuta grave. Secondo Unicef, almeno 2 milioni non vanno a scuola e 8,1 milioni non hanno accesso ad acqua sicura e a servizi igienico sanitari;

    un report di esperti pubblicato dal Conscio dei diritti umani delle Nazioni Unite diffuso il 28 agosto 2018, ha accusato le forze governative dello Yemen, la coalizione a guida saudita che li appoggia, e i ribelli del movimento Huthi di non aver fatto nulla per impedire o ridurre la morte di civili;

    secondo lo stesso report, poi diffuso a settembre dall'Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, i Governi della Yemen, degli Emirati Arabi Uniti e dell'Arabia Saudita, si sarebbero resi responsabili anche di crimini di guerra come stupri, torture, sparizioni forzate e privazione del diritto alla vita;

    anche le milizie ribelli degli Huthi secondo il report, si sarebbero rese responsabili di crimini di guerra nel Paese arabo, verso cui, a differenza degli Emirati Arabi Uniti e dell'Arabia Saudita, è in vigore un embargo sulle forniture di armamenti;

    in data 30 ottobre 2018, il segretario di Stato, Mike Pompeo, ha chiesto una immediata cessazione degli attacchi aerei condotti dalla coalizione a guida saudita contro i ribelli sciiti Huthi nelle aree popolate da civili e, allo stesso tempo, uno «stop» anche agli attacchi condotti dagli Huthi in territorio saudita. Secondo Pompeo: «è arrivato il tempo per la cessazione delle ostilità, inclusi i bombardamenti con missili e droni dalle aree controllate dagli Huthi verso l'Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti. Di conseguenza dovranno cessare anche i raid della coalizione saudita verso le aree popolate da civili nello Yemen»;

    nella stessa data Jim Mattis, ex Segretario della difesa degli Stati Uniti, ha invitato le parti in conflitto in Yemen a imporre un cessate il fuoco per intraprendere negoziati di pace;

    a seguito degli appelli e della disponibilità della Svezia ad ospitare i colloqui di pace, nel mese di dicembre 2018 sono iniziati a Stoccolma i colloqui di pace tra le parti che combattono in Yemen, poi proseguiti con delle riunioni tecniche in Giordania a febbraio che hanno interessato le questioni principali, dallo scambio dei prigionieri fino al raggiungimento di un compromesso preliminare sull'attuazione della tregua e sul ritiro delle rispettive truppe dal porto di al Hodeidah;

    la situazione umanitaria in Yemen è devastante e come raccontano i dati recentemente diffusi, in continuo peggioramento. Occorre uno sforzo affinché tutte le parti in conflitto adempiano alle loro responsabilità, consentendo l'erogazione senza impedimenti degli aiuti umanitari, compresi cibo, acqua e medicinali, a favore della popolazione civile;

    è quindi estremamente urgente porre quanto prima fine ai combattimenti, al fine di rendere lo Yemen uno Stato pacifico e pluralistico nell'interesse di tutti i suoi cittadini, indipendentemente dalla etnia o fede e libero dalle ingerenze esterne;

    a tal fine la Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti, nelle settimane passate, ha approvato una risoluzione finalizzata a ritirare il sostegno militare degli Stati Uniti per la campagna a guida saudita nello Yemen, mentre la Germania ha sospeso le esportazioni di armi, a partire dal prossimo 9 marzo, verso l'Arabia Saudita «fino a quando non vi saranno sviluppi nel processo di pace con lo Yemen». Stessa cosa hanno già fatto Danimarca, Finlandia, Norvegia e Olanda in Europa, sulla scia della risoluzione del Parlamento europeo del 25 ottobre 2018 che chiedeva l'adozione di un embargo totale sulla vendita di armamenti all'Arabia Saudita, date le gravi violazioni del diritto umanitario internazionale perpetrate da questo Paese e accertate da autorità competenti delle Nazioni Unite;

    anche in ragione delle licenze di esportazione di materiali d'armamento italiano all'Arabia Saudita, agli Emirati Arabi Uniti e agli altri Paesi coinvolti nel conflitto, sarebbe opportuno che venissero assunte iniziative per favorire e supportare, ove possibile, la riconversione in produzioni civili delle attività delle aziende attualmente interessate alla produzione di armi, anche attraverso l'istituzione di un fondo ad hoc e il rifinanziamento degli incentivi per la ristrutturazione e la riconversione dell'industria bellica e la riconversione produttiva nel campo civile e duale, destinati alle imprese che operano nel settore della produzione di materiali di armamento, ai sensi dell'articolo 6, commi 7, 8, 8-bis e 9, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 149, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 237,

impegna il Governo:

1) a chiedere, in tutte le sedi competenti, l'immediato cessate il fuoco e l'interruzione di ogni iniziativa militare in Yemen;

2) a continuare a sostenere l'iniziativa dell'inviato speciale delle Nazioni Unite per lo Yemen, Martin Griffiths, affinché si arrivi, se necessario, al ritiro delle truppe in campo;

3) a proseguire, con gli altri partner internazionali, nell'azione umanitaria coordinata sotto la guida delle Nazioni Unite per alleviare le sofferenze della popolazione yemenita, come stabilito nella Terza conferenza dei donatori che si è svolta a Ginevra;

4) a valutare l'avvio di una iniziativa finalizzata alla previsione da parte dell'Unione europea di una moratoria sulle bombe d'aereo e relativa componentistica nei confronti di tutti i Paesi coinvolti nella guerra in Yemen;

5) a promuovere l'istituzione di un'inchiesta internazionale o di un tribunale internazionale per accertare e condannare le responsabilità per eventuali crimini commessi dalle parti in conflitto in Yemen;

6) ad assumere iniziative affinché si applichino rigorosamente le disposizioni della legge 9 luglio 1990, n. 185, e della posizione comune 2008/944/PESC, ovvero per sospendere le esportazioni di bombe d'aereo e relativa componentistica verso l'Arabia Saudita fino a quando non vi saranno sviluppi nel processo di pace per lo Yemen;

7) ad assumere iniziative per favorire e supportare, anche attraverso la destinazione di specifici incentivi, la differenziazione dei materiali d'armamento prodotti dalle aziende del settore, al fine di salvaguardare i livelli occupazionali.
(1-00203) «Lollobrigida, Delmastro Delle Vedove, Deidda, Ferro».

(24 giugno 2019)

   La Camera,

   premesso che:

    da quando, nel marzo del 2015, le forze Huthi hanno preso il controllo della capitale Sana'a dopo avere deposto l'allora presidente ’Abd Rabbih Mansur Hadi, tuttora riconosciuto dalla comunità internazionale, in Yemen è in corso una guerra civile;

    da allora, il regno dell'Arabia Saudita – supportato da una coalizione internazionale formata da Kuwait, Bahrain, Emirati Arabi Uniti, Giordania, Egitto, Sudan e Senegal (e in passato anche Qatar e Marocco) – è intervenuto militarmente a sostegno del Governo legittimo dello Yemen, conducendo attacchi e bombardamenti su città e villaggi yemeniti;

    secondo quanto affermato dall'Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (Un-Ocha), in Yemen si è di fronte «alla peggiore crisi umanitaria del pianeta»;

    secondo le Nazioni Unite quasi l'80 per cento della popolazione yemenita ha bisogno di assistenza o protezione umanitaria. A causa del conflitto, oltre 24 milioni di persone su una popolazione totale di 28 non hanno cibo sufficiente, 9,6 milioni sono sull'orlo della carestia e 240 mila si trovano nella cosiddetta «fase cinque», ossia sopravvivono a malapena alla fame. Dall'inizio del conflitto, oltre tre milioni e 300 mila yemeniti hanno lasciato le loro case, 600 mila nel solo 2018;

    secondo una recente nota diffusa dall'Unicef in occasione della conferenza di Ginevra dei Paesi donatori sulla crisi dello Yemen, 11,3 milioni di bambini, pari all'80 per cento di tutti quelli nel Paese, hanno bisogno di assistenza umanitaria. Di questi, 1,8 milioni soffrono di malnutrizione acuta, fra cui circa 360.000 bambini sotto i 5 anni soffrono di malnutrizione acuta grave. Secondo Unicef, almeno 2 milioni non vanno a scuola e 8,1 milioni non hanno accesso ad acqua sicura e a servizi igienico sanitari;

    in base a un recente calcolo della Armed Conflict Location and Event Data Project (Acled), un'organizzazione non governativa legata a molte istituzioni e università anglosassoni, nella guerra civile ad oggi hanno perso la vita già 70.000 persone;

    un report di esperti pubblicato dal Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite diffuso il 28 di agosto 2018, ha accusato le forze governative dello Yemen, la coalizione a guida saudita che li appoggia, e le forze Huthi di non aver fatto nulla per impedire o ridurre la morte di civili;

    secondo lo stesso report, i Governi dello Yemen, degli Emirati Arabi Uniti e dell'Arabia Saudita, si sarebbero resi responsabili anche di crimini di guerra come stupri, torture, sparizioni forzate e privazione del diritto alla vita;

    anche le forze Huthi secondo il report, si sarebbero rese responsabili di crimini di guerra nel Paese arabo. A differenza degli Emirati Arabi Uniti e dell'Arabia Saudita, verso le forze Huthi è in vigore un embargo sulle forniture di armamenti;

    in data 30 ottobre 2018, il segretario di Stato, Mike Pompeo, ha chiesto una immediata cessazione degli attacchi aerei condotti dalla coalizione a guida saudita contro le forze Huthi nelle aree popolate da civili e, allo stesso tempo uno «stop» anche agli attacchi condotti dalle forze Huthi in territorio saudita. Secondo Pompeo: «è arrivato il tempo per la cessazione delle ostilità, inclusi i bombardamenti con missili e droni dalle aree controllate dalle forze Huthi verso l'Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti. Di conseguenza dovranno cessare anche i raid della coalizione saudita verso le aree popolate da civili nello Yemen»;

    nella stessa data l'allora Segretario della difesa degli Stati Uniti, Jim Mattis, ha invitato le parti in conflitto in Yemen a imporre un cessate il fuoco per intraprendere negoziati di pace;

    a seguito degli appelli e della disponibilità della Svezia ad ospitare i colloqui di pace, nel mese di dicembre 2018 sono iniziati a Stoccolma i colloqui di pace tra le parti che combattono in Yemen, poi proseguiti con delle riunioni tecniche in Giordania a febbraio che hanno interessato le questioni principali, dallo scambio dei prigionieri fino al raggiungimento di un compromesso preliminare sull'attuazione della tregua e sul ritiro delle rispettive truppe dal porto di al Hodeidah;

    la situazione umanitaria in Yemen è devastante e come raccontano i dati recentemente diffusi, in continuo peggioramento. Occorre uno sforzo affinché tutte le parti in conflitto adempiano alle loro responsabilità consentendo l'erogazione senza impedimenti degli aiuti umanitari, compresi cibo, acqua e medicinali, a favore della popolazione civile;

    a causa della mancanza di strutture mediche pienamente funzionanti, dell'accesso all'acqua pulita o di servizi igienici adeguati, dilagano le malattie ed è in particolare il colera a colpire la popolazione, poiché dal gennaio 2018, secondo l'Organizzazione mondiale della sanità si annota il più grande focolaio mai registrato, che ha provocato 724.405 casi sospetti e 1.135 decessi collegati;

    è quindi estremamente urgente porre quanto prima fine ai combattimenti, al fine di stabilizzare lo Yemen nella cornice di uno Stato pacifico e pluralistico nell'interesse – oltre che della regione di riferimento – di tutti i suoi cittadini, indipendentemente dalla etnia o fede e libero dalle ingerenze esterne;

    la Germania ha sospeso temporaneamente le proprie licenze di esportazioni di armi verso l'Arabia Saudita fino al 30 settembre. A loro volta Danimarca, Finlandia, Norvegia e Paesi Bassi in Europa hanno sospeso l'erogazione di nuove licenze verso l'Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti, sulla scia della risoluzione del Parlamento europeo dello scorso 25 ottobre che chiedeva l'adozione di un embargo totale sulla vendita di armamenti all'Arabia Saudita e agli Emirati Arabi Uniti, date le gravi violazioni del diritto umanitario internazionale perpetrate da questi Paesi e accertate da autorità competenti delle Nazioni Unite, mentre il governo del Regno Unito – pur preannunciando un ricorso in appello – ha deciso di sospendere le nuove forniture di armi all'Arabia Saudita e agli altri Paesi della coalizione coinvolta nella guerra nello Yemen dopo il verdetto della Corte d'appello di Londra che ha dichiarato illegale una delle procedure finora seguite;

    anche in ragione delle licenze di esportazione di materiali d'armamento italiano ai Paesi coinvolti nel conflitto, sarebbe opportuno che venissero assunte iniziative per favorire e supportare la riconversione in produzioni civili delle attività delle aziende attualmente interessate alla produzione di armi, anche attraverso l'istituzione di un fondo ad hoc e il rifinanziamento degli incentivi per la ristrutturazione e la riconversione dell'industria bellica e la riconversione produttiva nel campo civile e duale, destinati alle imprese che operano nel settore della produzione di materiali di armamento, ai sensi dell'articolo 6, commi 7, 8, 8-bis e 9, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 149, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 237,

impegna il Governo:

1) a proseguire, in tutte le sedi competenti, l'azione volta ad ottenere l'immediato cessate il fuoco e l'interruzione di ogni iniziativa militare in Yemen, continuando a sostenere, in particolare, l'iniziativa dell'inviato speciale delle Nazioni Unite per lo Yemen Martin Griffiths affinché si giunga quanto prima al ritiro delle truppe in campo;

2) a proseguire, con i partner internazionali, nell'azione umanitaria coordinata sotto la guida delle Nazioni Unite per alleviare le sofferenze della popolazione yemenita, come stabilito nella terza conferenza dei donatori che si è svolta a Ginevra;

3) a valutare l'avvio e la realizzazione di iniziative finalizzate alla futura adozione, da parte dell'Unione europea, di un embargo mirato sulla vendita di armamenti ad Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, prevedendo al contempo consultazioni con gli altri Stati membri dei consorzi internazionali in relazione ai programmi di coproduzione industriale intergovernativi attualmente in essere;

4) a continuare ad assicurare un'applicazione rigorosa delle disposizioni della legge 9 luglio 1990, n. 185, e ad adottare gli atti necessari a sospendere le esportazioni di bombe d'aereo e missili che possono essere utilizzati per colpire la popolazione civile e loro componentistica verso l'Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti sino a quando non vi saranno sviluppi concreti nel processo di pace con lo Yemen.
(1-00204) (Nuova formulazione) «Cabras, Formentini, Ehm, Billi, Cappellani, Caffaratto, Carelli, Coin, Colletti, Comencini, Di San Martino Lorenzato Di Ivrea, Sabrina De Carlo, Grimoldi, Del Grosso, Ribolla, Di Stasio, Zoffili, Emiliozzi, Grande, Olgiati, Perconti, Romaniello, Siragusa, Suriano».

(24 giugno 2019)

   La Camera,

   premesso che:

    dal 25 marzo 2015 la coalizione internazionale guidata dall'Arabia Saudita, formata da Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Qatar, Baharain, Egitto e Sudan, sostenuta da Stati Uniti e Regno Unito, ha lanciato una vasta offensiva contro il gruppo armato Huthi in Yemen;

    secondo le Nazioni Unite, a quattro anni dall'inizio della guerra sono stati 70 mila i morti e 24 milioni le persone che hanno bisogno di assistenza e protezione. Oltre 10 milioni non riescono a sopravvivere senza aiuti alimentari d'emergenza e gli sfollati sono oltre 3 milioni e 300 mila. Per l'organizzazione non governativa Armed conflict location & event data project, le vittime del conflitto sarebbero addirittura 91.600; solo nel 2019 sarebbero state uccise 11.900 persone, contro le 30.800 del 2018;

    l'impatto delle armi esplosive sui bambini, i soggetti più vulnerabili, è particolarmente grave in quanto spesso le lesioni richiedono cure specialistiche e interventi chirurgici complessi in un territorio dove strutture ospedaliere e sanitarie sono state distrutte dai bombardamenti e le attrezzature mediche sono sempre più insufficienti, a causa del blocco di fatto delle importazioni, dell'insicurezza e delle restrizioni all'accesso umanitario;

    con le risoluzioni 2201/2015 e 2216/2015 il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha espresso una chiara condanna delle azioni unilaterali intraprese dagli Huthi, con il colpo di Stato che ha portato allo spodestamento del Governo in carica nello Yemen. In particolare, la risoluzione n. 2216 dell'aprile 2015 chiedeva agli Huthi di ritirarsi dai territori occupati con la forza, compresa la capitale Sana'a e di restituire le armi sottratte all'esercito regolare. Tali testi hanno costituito la cornice negoziale delle ripetute e fragili tregue sottoscritte in questi anni, ma che non ha consentito la definizione di un accordo risolutivo;

    il 13 dicembre 2018 a Stoccolma, alla fine dei pre-colloqui negoziali mediati dall'Onu, è stato siglato un accordo tra i rappresentanti del Governo riconosciuto dalla comunità internazionale e gli insorti Houti che è entrato in vigore il 18 dicembre 2018. L'accordo prevedeva, tra l'altro, il «cessate il fuoco» immediato per la città di Hodeida e l'omonimo governatorato, lo scambio di quindicimila prigionieri, la costituzione di una commissione per sbloccare l'assedio della città di Taiz e l'impegno a continuare «senza condizioni» le consultazioni alla fine di gennaio 2019;

    con la risoluzione 2451/2019, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha fatto proprio l'accordo di Stoccolma e autorizzato l'invio di un team di osservatori a Hodeida, con un mandato di trenta giorni, mentre con la risoluzione 2452/2019 è stata istituita una missione di sostegno all'accordo sulla città (UN mission to support the Hodeida agreement, Unmha), nonché il dispiegamento di osservatori;

    ad inizio 2019 è cominciata la missione degli osservatori delle Nazioni Unite che ha però incontrato, fin da subito, numerose difficoltà, tanto che le previste riunioni sono diventate sempre più sporadiche;

    in tale contesto, dal mese di gennaio 2019 il Paese è stato scosso da una serie di attentati che hanno messo ulteriormente in difficoltà la mediazione dell'Onu. Il capo delle operazioni per il monitoraggio del «cessate il fuoco», generale Michael Lollesgaard, ha recentemente rilevato che il ritiro degli Huthi non è stato completato, in violazione dell'accordo del dicembre 2018 a Stoccolma;

    è in vigore un embargo internazionale sulle armi nei confronti dei ribelli Huthi sostenuti dall'Iran e, secondo la 18° relazione annuale dell'Unione europea sulle esportazioni di armi, gli Stati membri dell'Unione hanno continuato ad autorizzare il trasferimento di armi verso l'Arabia Saudita, in violazione della posizione comune 2008/944/PESC del Consiglio dell'8 dicembre 2008;

    la Germania ha sospeso temporaneamente le proprie licenze di esportazione di armi verso l'Arabia Saudita fino al 30 settembre 2019. A loro volta altri Stati europei (Danimarca, Finlandia, Norvegia e Paesi Bassi) hanno sospeso la concessione di nuove licenze di esportazione di armi verso l'Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti, sulla scia delle risoluzioni del Parlamento europeo del 25 ottobre e del 14 novembre 2018, mentre il Regno Unito, a seguito del verdetto della Corte d'appello di Londra che ha dichiarato illegale una delle procedure finora seguite nel rilascio di autorizzazioni per l'esportazione di armi, ha deciso di sospendere le nuove forniture belliche all'Arabia Saudita e agli altri Paesi della coalizione;

    la legge italiana sul controllo dell'esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento, la legge n. 185 del 1990, e successive modificazioni ed integrazioni, è particolarmente severa e prevede un sistema di controllo e di autorizzazione scrupoloso ed articolato in materia di armamenti convenzionali,

impegna il Governo:

1) ad attivarsi nelle competenti sedi internazionali ed europee per la promozione di iniziative per la risoluzione diplomatica e multilaterale del conflitto in Yemen, per l'arresto immediato dei bombardamenti e per la ripresa di negoziati di pace tra le parti coinvolte sotto l'egida delle Nazioni Unite;

2) a promuovere anche interventi finanziari per gli aiuti umanitari, in quanto l'attuale fondo di intervento per gli aiuti umanitari dell'Onu non riesce a raggiungere i milioni di yemeniti bisognosi di assistenza e colpiti da una catastrofe umanitaria di vaste proporzioni;

3) ad assumere iniziative affinché le parti coinvolte nella guerra in Yemen siano tenute al rispetto e alla tutela di ospedali e personale medico, come previsto dal diritto umanitario internazionale, tenendo conto che un attacco deliberato contro i civili e le infrastrutture civili costituisce crimine di guerra;

4) a promuovere iniziative a livello multilaterale di embargo sulle armi per tutte le parti in conflitto in Yemen e per arrestare le gravi violazioni dei diritti umani ripetutamente denunciate;

5) a proseguire la rigorosa applicazione delle disposizioni della legge n. 185 del 1990 in relazione alle richieste di imprese italiane volte a ottenere la licenza di esportazione di armi e ad adottare iniziative per imporre prescrizioni e divieti, ove fossero accertate violazioni da parte degli organismi internazionali.
(1-00209) «Valentini, Orsini, Occhiuto».

(25 giugno 2019)

INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

   LOLLOBRIGIDA, MELONI, DEIDDA, FERRO, ACQUAROLI, BELLUCCI, BUCALO, BUTTI, CAIATA, CARETTA, CIABURRO, CIRIELLI, LUCA DE CARLO, DELMASTRO DELLE VEDOVE, DONZELLI, FIDANZA, FOTI, FRASSINETTI, GEMMATO, LUCASELLI, MANTOVANI, MASCHIO, MOLLICONE, MONTARULI, OSNATO, PRISCO, RAMPELLI, RIZZETTO, ROTELLI, SILVESTRONI, TRANCASSINI, VARCHI e ZUCCONI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   destano sconcerto le recenti vicende che stanno travolgendo il Consiglio superiore della magistratura e che hanno portato 5 consiglieri a lasciare l'incarico. Attualmente risultano in carica al Consiglio superiore della magistratura 11 togati e 5 laici (lo scioglimento è previsto con 10 togati e 5 laici);

   l'inchiesta sulle tangenti al Consiglio di Stato, che ha portato numerosi magistrati nel registro degli indagati e che ha individuato un gruppo di potere che manipolava le decisioni dietro le sentenze del Consiglio di Stato, ruota attorno alla figura del pubblico ministero di Roma Luca Palamara, ex consigliere del Consiglio superiore della magistratura con Unicost ed ex presidente dell'Associazione nazionale magistrati;

   l'inchiesta, emersa dalla procura di Perugia, competente a indagare sui magistrati di Roma, ha rilevato il quadro desolante di una rete di «servigi» legati alla magistratura italiana attraverso un sistema volto a creare una rete di rapporti con magistrati che partecipavano a seminari e corsi giuridici;

   dalle intercettazioni è emerso un vero e proprio «centro di potere» esterno al Consiglio superiore della magistratura, in cui Palamara e altri consiglieri dialogavano della nomina alla procura di Roma con i parlamentari del Partito democratico Cosimo Ferri e Luca Lotti, quest'ultimo già sotto processo a Roma nel caso Consip;

   la magistratura, attraverso l'organo di autogoverno, sta ad avviso degli interroganti attraversando il periodo più basso della sua credibilità, con le ormai evidenti commistioni con esponenti della politica per trattare le nomine della procura di Roma e di altri capoluoghi;

   ad avviso degli interroganti l'imparzialità dell'organo di autogoverno della magistratura è ormai irrimediabilmente compromessa e, anche alla luce delle affermazioni di alcune forze politiche, che da sempre hanno osteggiato la riforma della magistratura e che solo ora, direttamente coinvolte, reclamano, si ha un'idea dell'emergenza che richiede immediatamente di intervenire;

   è improcrastinabile dare centralità a quella maggioranza silenziosa di magistrati onesti e imparziali, veri servitori dello Stato, soffocati da gruppi di potere che stanno mettendo a repentaglio l'intera credibilità del sistema;

   sono necessarie riforme radicali che ricostruiscano il rapporto fiduciario tra i cittadini e le toghe attraverso quello che da sempre Fratelli d'Italia chiede: separazione delle carriere, soppressione delle nomine parlamentari e cambiamento del sistema elettorale dei collegi –:

   quali urgenti iniziative di competenza, anche di carattere normativo e di rango costituzionale, intenda adottare al fine di restituire alla magistratura indipendenza e prestigio.
(3-00819)

(25 giugno 2019)

   DORI, PALMISANO, SALAFIA, PIERA AIELLO, ASCARI, BARBUTO, CATALDI, DI SARNO, DI STASIO, D'ORSO, GIULIANO, PERANTONI, SAITTA, SARTI e SCUTELLÀ. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   come ampiamente riportato dagli organi di stampa nazionale, il Consiglio superiore della magistratura risulta essere scosso da una vera e propria «bufera giudiziaria»;

   un'indagine condotta dalla procura di Perugia nei confronti di Luca Palamara, ex presidente dell'Associazione nazionale magistrati ed ex giudice togato dello stesso Consiglio superiore della magistratura, oltre a far emergere vari illeciti disciplinari, ipotizza episodi di corruzione finalizzati ad indirizzare l'esito di alcune decisioni sulle nomine negli uffici giudiziari, nonché il corso di alcuni procedimenti;

   è, altresì, emerso un grave tentativo di commistione tra rappresentanti di poteri diversi dello Stato: dalle intercettazioni sono emersi, infatti, contatti e incontri apparentemente finalizzati a concordare, secondo l'accusa, nomine gradite ai vertici delle procure di Roma e Firenze, unitamente a promozioni per i magistrati;

   in seguito a tali fatti, sono sopraggiunte le dimissioni di un consigliere del Consiglio superiore della magistratura e l'autosospensione di altri quattro consiglieri coinvolti, appartenenti a diverse correnti della magistratura; anche il presidente dell'Associazione nazionale magistrati, Pasquale Grasso, dopo essersi dissociato dalla sua corrente, ha lasciato l'incarico;

   ad avviso degli interroganti l'inchiesta ha messo a nudo profonde divisioni all'interno della magistratura, metodi «opachi» di assegnazione degli incarichi e una prossimità al mondo politico giudicata riprovevole, perché mina alla base il prestigio e l'autorevolezza dei giudici;

   come rilevato il 21 giugno 2019 dal Presidente della Repubblica in occasione del plenum del Consiglio superiore della magistratura, ci si trova di fronte ad un «quadro sconcertante e inaccettabile. (....) Quanto avvenuto – ha sottolineato, il Capo dello Stato – ha prodotto conseguenze gravemente negative per il prestigio e l'autorevolezza non soltanto di questo Consiglio, ma anche il prestigio e l'autorevolezza dell'intero ordine giudiziario; la cui credibilità e la cui capacità di riscuotere fiducia sono indispensabili al sistema costituzionale e alla vita della Repubblica»;

   tale vicenda ha dunque gettato un forte discredito sul Consiglio superiore della magistratura e di riflesso sull'intera magistratura, ponendo in luce la necessità – anche espressa da ultimo dal Ministro interrogato – di interventi urgenti al fine di ripristinare e consolidare l'alto ruolo dell'organo di rilievo costituzionale –:

   quali opportune e urgenti iniziative, per quanto di competenza, abbia adottato, o intenda intraprendere, al fine di tutelare e restituire credibilità all'autonomia e all'indipendenza della magistratura, principio cardine dell'intero ordine giudiziario, nonché più in generale dell'ordinamento costituzionale.
(3-00820)

(25 giugno 2019)

   ROSTAN e FORNARO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   secondo quanto riportato dal quotidiano la Repubblica in data 23 giugno 2019, oggi si contano nelle corsie degli ospedali italiani almeno 8 mila medici in meno rispetto ad alcuni anni fa; altri 16.500 mancheranno da qui al 2025;

   secondo le stime del sindacato Anaao, da qui al 2025 andranno in pensione almeno altri 52.500 medici, oltre la metà degli ospedalieri italiani;

   nel dettaglio, entro il 2025 il sistema ospedaliero pubblico italiano avrà bisogno di almeno 4 mila medici in urgenza, 3 mila in pediatria, circa 2 mila in medicina interna, anestesia, oltre mille in chirurgia generale;

   mancano all'appello, ad oggi, almeno 800 medici nei presidi d'urgenza in Campania, almeno 500 pediatri in Lombardia, altri 700 in medicina interna e in rianimazione in Lombardia;

   le scuole di specializzazione, secondo l'Anaao, daranno al sistema circa 36 mila medici da qui al 2025: di questi almeno 14 mila andranno nel privato, nelle case farmaceutiche o sul mercato estero;

   unendo le esigenze del pubblico e del privato, secondo l'Associazione nazionale medici di origine straniera in Italia ed il movimento «Uniti per unire», nel 2026 mancheranno 100 mila medici all'appello, con carenze nel Lazio (15.000), Veneto (10.000), Piemonte (10.000), Lombardia (9.000), Emilia Romagna (8.000), Puglia (7.000), Toscana (4.000), Campania (4.000), Sicilia (4.000), Molise (4.000); inoltre mancheranno entro il 2026, 60 mila infermieri e 30 mila fisioterapisti;

   sempre secondo Amsi molti medici italiani chiedono informazioni per andare a lavorare all'estero; sarebbero almeno 5 mila le richieste pervenute in tal senso;

   un incremento del 25 per cento, negli ultimi 3 anni, di domande da parte di medici stranieri, già residenti in Italia, che vogliono tornare nei loro Paesi di origine;

   stipendi bassi, difficoltà di stabilizzazione, ricorso a forme estreme e continuate di precariato, difficoltà logistiche sono le ragioni che incoraggiano l'esodo;

   il blocco prolungato del turn over, soprattutto nelle regioni con piani di rientro; i pensionamenti anticipati con la cosiddetta quota 100; il numero chiuso, le difficoltà per le specializzazioni rappresentano gli elementi che bloccano il sistema;

   c'è grande preoccupazione nella rete ospedaliera italiana, soprattutto con l'estate quando le ferie rischiano di rendere le difficoltà insormontabili mentre la domanda di servizi, in particolar modo per il pronto soccorso, tende addirittura ad aumentare –:

   in che modo il Governo intenda fronteggiare la carenza di medici e di personale nei presidi ospedalieri italiani a partire dai prossimi mesi e per il futuro.
(3-00821)

(25 giugno 2019)

   MOLINARI, ALESSANDRO PAGANO, ANDREUZZA, BADOLE, BASINI, BAZZARO, BELLACHIOMA, BELOTTI, BENVENUTO, BIANCHI, BILLI, BINELLI, BISA, BOLDI, BONIARDI, BORDONALI, CLAUDIO BORGHI, BUBISUTTI, CAFFARATTO, CANTALAMESSA, CAPARVI, CAPITANIO, VANESSA CATTOI, CAVANDOLI, CECCHETTI, CENTEMERO, CESTARI, COIN, COLLA, COLMELLERE, COMAROLI, COMENCINI, COVOLO, ANDREA CRIPPA, DARA, DE ANGELIS, DE MARTINI, D'ERAMO, DI MURO, DI SAN MARTINO LORENZATO DI IVREA, DONINA, FANTUZ, FERRARI, FOGLIANI, FORMENTINI, FOSCOLO, FRASSINI, FURGIUELE, GASTALDI, GERARDI, GIACCONE, GIACOMETTI, GIGLIO VIGNA, GOBBATO, GOLINELLI, GRIMOLDI, GUSMEROLI, IEZZI, INVERNIZZI, LATINI, LAZZARINI, LEGNAIOLI, LIUNI, LO MONTE, LOCATELLI, LOLINI, EVA LORENZONI, LOSS, LUCCHINI, MACCANTI, MAGGIONI, MARCHETTI, MATURI, MORELLI, MOSCHIONI, MURELLI, PANIZZUT, PAOLINI, PAROLO, PATASSINI, PATELLI, PATERNOSTER, PETTAZZI, PIASTRA, PICCOLO, POTENTI, PRETTO, RACCHELLA, RAFFAELLI, RIBOLLA, RIXI, SALTAMARTINI, SASSO, SUTTO, STEFANI, TARANTINO, TATEO, TIRAMANI, TOCCALINI, TOMASI, TOMBOLATO, TONELLI, TURRI, VALBUSA, VALLOTTO, VINCI, VIVIANI, ZICCHIERI, ZIELLO, ZOFFILI e ZORDAN. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   con determina del 25 febbraio 2019 l'Agenzia italiana del farmaco ha inserito la molecola triptorelina fra i medicinali erogabili, off label, a carico del servizio sanitario nazionale. Segnatamente, la molecola Trp potrà essere somministrata, sotto stretto controllo medico, ad adolescenti affetti dalla cosiddetta disforia di genere, allo scopo di procurare loro un blocco temporaneo, fino a un massimo di qualche anno, dello sviluppo puberale, con l'ipotesi che ciò «alleggerisca» in qualche modo il «percorso di definizione della loro identità di genere»;

   la molecola, come detto, verrebbe somministrata attraverso una prescrizione off label, ossia per un trattamento non previsto dalla scheda tecnica del prodotto, realizzato invece per combattere carcinomi della prostata, della mammella, fibromi uterini non operabili o per trattamento prechirurgico dei fibromi uterini;

   si interviene in tal modo, col contributo dello Stato, su una fase delicatissima dello sviluppo dell'adolescente, col pericolo elevato di accentuare i disagi che si vorrebbero alleviare;

   è alto il rischio, adoperando la Trp per bloccare la pubertà, dai 12 ai 16 anni d'età, di indurre farmacologicamente un disallineamento fra lo sviluppo fisico e quello cognitivo del minore;

   peraltro, non esistono evidenze sull'effettivo pieno ripristino della fertilità nel caso di desistenza dal trattamento e di permanenza nel sesso di appartenenza;

   resta sospesa la questione del consenso all'uso del farmaco, vista la scarsa consapevolezza di adolescenti e preadolescenti circa le proprie potenzialità procreative, la contrarietà ai principi fondamentali dell'ordinamento, che conferisce la capacità di agire al compimento della maggiore età, la possibile scelta al posto del minore da parte dei genitori, che disporrebbero di un corpo diverso dal proprio senza alcuna procedura autorizzativa, come esiste perfino per l'uso dei genitori dei beni intestati al minore;

   ciò è avvenuto per determina di un'autorità amministrativa, mentre i diritti coinvolti, da quello alla salute a quelli relativi alla famiglia, imporrebbero una decisione del Parlamento o al massimo del Governo su sua delega –:

   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno adottare le iniziative di competenza affinché l'Agenzia italiana del farmaco sospenda l'applicazione della determina del 25 febbraio 2019, valutando quindi l'eliminazione della prescrizione della triptorelina dai farmaci dispensati a carico del servizio sanitario nazionale per la disforia di genere.
(3-00822)

(25 giugno 2019)

   CALABRIA, SPENA, GIACOMONI, POLVERINI, BARELLI, MARROCCO, BATTILOCCHIO, PEDRAZZINI, CORTELAZZO, NOVELLI, GIACOMETTO, RUFFINO, GAGLIARDI, MAZZETTI e LABRIOLA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   è ormai da troppo tempo che la crisi dei rifiuti a Roma è fuori controllo, con cassonetti che traboccano di immondizia in tutta la città, le strade sempre più sporche, e un sindaco assolutamente non in grado di portare a soluzione questa vera e propria emergenza ambientale e sanitaria;

   la gran parte dei cassonetti stradali sono stracolmi e non vengono svuotati, con sacchi, cartoni e materiale organico sparso in putrefazione, depositati a terra sui marciapiedi in assenza di alternative;

   in questa situazione fuori controllo, si assiste conseguentemente al proliferare di gabbiani, blatte, vermi e soprattutto di topi, per non parlare dei cinghiali che si affacciano sempre più spesso nelle periferie attratti dai cumuli di immondizia; con tutto quello che tutto questo comporta in termini di rischi per la salute pubblica;

   già nel gennaio 2019 i presidi di Roma riuniti nell'Anp (Associazione nazionale dirigenti e alte professionalità della scuola) avevano scritto al sindaco, minacciando la chiusura delle scuole per la situazione fuori controllo nella gestione dei rifiuti per i troppi topi e il rischio di emergenza sanitaria;

   i romani e i turisti sono ormai prigionieri delle 4.600 tonnellate di spazzatura che producono ogni giorno di cui nessuno si prende cura;

   questa situazione drammatica è acuita dall'arrivo del forte caldo, che comporta non solo un problema legato all'insostenibile cattivo odore proveniente dai rifiuti organici abbandonati, ma soprattutto amplifica i rischi per la salute;

   il pericolo principale per la salute pubblica legato all'emergenza rifiuti è un rischio di tipo infettivo;

   il vicesegretario Fimmg e vicepresidente dell'ordine medici di Roma, dottor Luigi Bartoletti, ha ricordato come «con l'arrivo del caldo in una città sporca in cui i rifiuti permangono in strada, i pericoli potenziali per la salute aumentano (...). La puzza vicino ai cassonetti è indice di contaminazione batterica»;

   anche il presidente dell'ordine dei medici (Omceo) di Roma, Antonio Magi, ha dichiarato: «siamo in una situazione di preallarme. Come ordine vigileremo, come già facemmo nel gennaio 2019. Attualmente il caldo peggiora la situazione (...)» –:

   quali iniziative urgenti si intendano adottare, per quanto di competenza, per monitorare sotto l'aspetto sanitario l'ormai conclamata e perdurante emergenza ambientale connessa a quella che gli interroganti ritengono una totale incapacità da parte del sindaco e della giunta capitolina a gestire il ciclo dei rifiuti, al fine di escludere rischi, anche di tipo infettivo, sulla salute pubblica per la popolazione residente.
(3-00823)

(25 giugno 2019)

   DE FILIPPO, CAMPANA, CARNEVALI, UBALDO PAGANO, PINI, RIZZO NERVO, SCHIRÒ, SIANI, GRIBAUDO, ENRICO BORGHI e FIANO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   nonostante le dichiarazioni riportate dal Ministro interrogato sugli obiettivi raggiunti in un anno di mandato, con le quali si sottolineano gli aumenti dei finanziamenti in sanità («Abbiamo finalmente ricominciato a investire sulla sanità pubblica: +4,5 miliardi di euro per il fondo sanitario nazionale nel triennio 2019-2021»), la nuova bozza di Patto per la salute inviata dal Ministero della salute alle regioni ha, invece, allarmato le stesse regioni per il contenuto del primo articolo, nel quale, alla voce finanziamenti, è stata introdotta la clausola che subordina le risorse definite nell'ultima manovra (2 miliardi di euro in più per il 2020 e 1,5 miliardi di euro per il 2021) «salvo eventuali modifiche che si rendessero necessarie in relazione al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica e a variazioni del quadro macroeconomico»;

   l'eventuale taglio potrebbe a sua volta far saltare alcune delle novità di maggior rilievo del nuovo Patto per la salute, come l'abolizione del superticket, subordinata dallo stesso Patto all'accesso delle regioni «all'incremento del livello del finanziamento a partire dal 2020», o le nuove assunzioni di medici e infermieri ospedalieri, visto che all'articolo 11 del «decreto Calabria» si prevede un aumento della spesa del personale sul 2018 legata a «un importo pari al 5 per cento dell'incremento del fondo sanitario regionale rispetto all'esercizio precedente». Incremento ora a rischio e che metterebbe ancora più in difficoltà quelle regioni che negli ultimi mesi, per coprire le carenze di personale ospedaliero, stanno ricorrendo a soluzioni straordinarie come il ricorso ai medici in pensione o a quelli militari –:

   se non ritenga doveroso, alla luce anche delle dichiarazioni rilasciate, espungere la clausola in oggetto, vista anche la necessità per le regioni di avere un quadro certo di finanziamenti a breve e medio termine, senza che questi siano condizionati dalla variazione del quadro macroeconomico, anche nella prospettiva di dover assumere nuovo personale alla luce della carenza attuale di medici e infermieri ospedalieri.
(3-00824)

(25 giugno 2019)

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