TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 315 di Mercoledì 4 marzo 2020

 
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MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE VOLTE A PROMUOVERE LA PARITÀ DI GENERE E A PREVENIRE E CONTRASTARE LA VIOLENZA CONTRO LE DONNE

   La Camera,

   premesso che:

    secondo il Global gender gap report 2020 del World economic forum, la parità tra uomini e donne a livello globale, in assenza di radicali cambiamenti, non sarà raggiunta prima di un centinaio di anni;

    il mondo in cui si vive continua, pertanto, a proporre persistenti divari tra uomini e donne, sia dal punto di vista sociale sia dal punto di vista economico;

    negli ultimi anni, nel nostro Paese, la questione di genere è stata affrontata con numerosi provvedimenti legislativi intervenuti sia sugli aspetti culturali, come l'inserimento dell'educazione alla parità tra i sessi nelle scuole o il congedo obbligatorio per i padri, sia sugli aspetti civili come il divorzio breve. Importanti misure sono state adottate per il sostegno alla maternità (bonus bebé, voucher per baby sitter o asili nido, dimissioni in bianco), così pure per la parità di genere nella rappresentanza e per il contrasto al femminicidio e il sostegno delle vittime di violenza;

    purtuttavia, si riconosce che la strada è ancora lunga, restano nodi da sciogliere e ostacoli da superare, ma la si sta percorrendo nell'assoluta convinzione che solo quando la parità sarà pienamente raggiunta si potrà definire l'Italia un Paese civile e maturo a tutti gli effetti;

    il nostro Paese, sulla base dell'ultimo report sul gender gap del World economic forum, si colloca ancora al 76° posto su 153 Paesi della classifica mondiale;

    tale posizione è dovuta a molteplici fattori. Uno di questi si rinviene nella scarsa rappresentanza femminile nei ruoli emergenti, in quanto, anche laddove le donne siano professionalmente adeguate per dei ruoli, non sono sufficientemente rappresentate. Le donne manager in Italia sono, infatti, solo il 27 per cento dei dirigenti: un valore molto al di sotto di quello medio europeo (33,9 per cento). Non solo le donne sono sottorappresentate nelle posizioni apicali, ma quando lavorano spesso svolgono mansioni per cui sarebbe sufficiente un titolo di studio più basso di quello che possiedono. Del resto, il 48,2 per cento degli italiani è convinto che le donne, per raggiungere gli stessi traguardi degli uomini, debbano studiare più di loro (Censis, 21 novembre 2019);

    tornando al Global gender gap report, sull'Italia pesa anche la differenza salariale fra uomini e donne a parità di livello e di mansioni. E più le donne studiano, più aumenta il divario: se un laureato guadagna il 32,6 per cento in più di un diplomato, una laureata guadagna solo il 14,3 per cento in più;

    la situazione dell'Italia, alla luce dei dati forniti dal World economic forum, riflette ancora una ripartizione di ruoli tradizionale. Il Paese, infatti, risale posti in classifica sul fronte dell'istruzione, dove si colloca al 55esimo posto in tema di partecipazione delle donne, ma crolla al 117esimo quando si parla di inclusione economica e addirittura al 125esimo se ci si confronta in equiparazione salariale;

    la Commissione lavoro pubblico e privato della Camera dei deputati ha avviato, sul tema della parità salariale, dell'occupazione e dell'imprenditoria femminile, l'esame di alcune proposte di legge che intervengono sulla materia e delle quali si auspica una rapida approvazione;

    sempre secondo il Censis, in Italia le donne che lavorano sono il 42,1 per cento degli occupati complessivi. Con un tasso di attività femminile del 56,2 per cento (rispetto al 75,1 per cento di quella maschile) si è all'ultimo posto tra i Paesi europei. Per le giovani donne la situazione è drammatica. Nell'ultimo anno il tasso di disoccupazione in Italia è pari all'11,8 per cento per le donne e al 9,7 per cento per gli uomini. Ma tra le giovani di 15-24 anni si arriva al 34,8 per cento, mentre per i maschi della stessa età si ferma al 30,4 per cento. In questo caso è abissale la distanza con l'Europa, dove il tasso medio di disoccupazione giovanile per le donne è del 14,5 per cento;

    la situazione peggiora quando arrivano i figli, stanti le difficoltà a conciliare i tempi di lavoro e quelli della famiglia. Per molte donne lavorare e formare una famiglia rimangono ancora oggi due percorsi paralleli e spesso incompatibili. In Italia l'11,1 per cento delle madri con almeno un figlio non ha mai lavorato. Un dato che è quasi tre volte la media dell'Unione europea, pari al 3,7 per cento. Il tasso di occupazione delle madri tra 25 e 54 anni che si occupano di figli piccoli o parenti non autosufficienti è del 57 per cento, a fronte dell'89,3 per cento dei padri. Ma a guardare bene lo spaccato per livello di educazione, il divario è davvero notevole fra l'80 per cento del tasso di occupazione delle laureate e il 34 per cento di coloro che hanno la terza media o meno ancora, secondo i dati diffusi dall'Istat dal titolo «Conciliazione tra lavoro e famiglia/Anno 2018», pubblicato a metà novembre 2019;

    la difficoltà di conciliare famiglia e lavoro emerge dalla preponderanza femminile nei lavori part time: una donna occupata su tre (il 32,4 per cento, cioè più di 3 milioni di lavoratrici) lavora part time, a fronte dell'8,5 per cento degli uomini. Lungi dal rappresentare una forma di emancipazione e una libera scelta, il lavoro a tempo parziale è subito per mancanza di alternative da circa 2 milioni di lavoratrici (è involontario per il 60,2 per cento delle donne che hanno un impiego part time). Del resto, il 63,5 per cento degli italiani riconosce che a volte può essere necessario o opportuno che una donna sacrifichi parte del suo tempo libero o della sua carriera per dedicarsi alla famiglia (Censis, 21 novembre 2019);

    il riconoscimento della parità di genere non è solo una questione di diritti, ma anche un investimento per il sistema Paese. Ad affermarlo è anche il Governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, che ha evidenziato come «negli ultimi 20 anni numerosi studi, inclusi quelli prodotti in Banca d'Italia, hanno messo in luce i molteplici benefici che derivano da una maggiore presenza e una più piena valorizzazione del contributo delle donne nell'economia e nella società», aggiungendo che «il raggiungimento della parità di genere nel mercato del lavoro è ancora lontano»;

    la cosiddetta «legge Golfo-Mosca», da ultimo modificata con la legge di bilancio per il 2020 che ha portato, per le società quotate in borsa, la quota da riservare al genere meno rappresentato da un terzo (33 per cento) a due quinti (40 per cento), ha fatto sì che la percentuale di donne nei board delle società quotate italiane salisse al 36,4 per cento. Tuttavia, non ha avuto un impatto significativo, neanche indiretto, sull'aumento della percentuale femminile nel management;

    la questione della parità salariale ed economica tra uomo e donna diventa ancor più prioritaria nei casi di violenza domestica. Nel processo di fuoriuscita dalla violenza, le donne che denunciano dispongono di scarsi strumenti – in termini di welfare – a sostegno del loro percorso di libertà e autonomia. Fatto che, sovente, le obbliga a tornare dal partner violento per l'impossibilità di far fronte alle difficoltà economiche;

    una forma di violenza molto diffusa e difficile da riconoscere, esplicitamente citata nella Convenzione di Istanbul, è la violenza economica. Una delle ragioni per cui le donne faticano a denunciare violenze subite nello stesso ambito familiare sono le difficoltà economiche legate a percorsi di fuoriuscita dalla relazione, soprattutto quando il partner detiene il potere economico e sociale e il controllo completo sulle finanze e sulle risorse familiari, cosicché molte donne, se denunciano il partner violento e lasciano la relazione, rischiano di ritrovarsi senza una casa, senza risorse economiche, impossibilitate alla riorganizzazione materiale della propria vita, con la paura che le difficoltà economiche possano incidere anche nel rapporto con i figli;

    ancora troppe sono le donne vittime di violenza e anche il luogo di lavoro spesso diventa il luogo di molestie e discriminazioni. Si stima che siano il 43,6 per cento le donne fra i 14 e i 65 anni che nel corso della vita hanno subito qualche forma di molestia sessuale. E la percezione della gravità delle molestie fisiche subite è molto diversa tra i generi: il 76,4 per cento delle donne le considera molto o abbastanza gravi contro il 47,2 per cento degli uomini (Istat, Le molestie e i ricatti sessuali sul lavoro, 13 febbraio 2018);

    per questo è importante che si proceda alla ratifica della Convenzione dell'Organizzazione internazionale del lavoro contro la violenza e le molestie nei luoghi di lavoro;

    nell'ultimo rapporto sull'Italia redatto da Grevio, organo del Consiglio d'Europa che valuta come gli Stati applicano la Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza sulle donne, si dà conto delle permanenti resistenze nei confronti di una piena attuazione della parità di genere;

    il rapporto esprime tutta la sua preoccupazione per «l'emergere di una tendenza a reinterpretare le politiche d'uguaglianza tra i sessi come politiche della famiglia e della maternità», trascurando tutta un'altra sfera della parità nel lavoro o nella vita sociale;

    nell'analisi del Consiglio d'Europa, secondo Grevio, la scuola italiana non fa abbastanza per colmare il gender gap: «Molte scuole subiscono crescenti pressioni perché rinuncino a condurre attività educative sul tema, ma anche a livello di ricerca universitaria esiste una delegittimazione degli studi sulle questioni di genere, mentre a livello locale alcune città hanno “censurato” eventi che si dovevano tenere in biblioteche pubbliche e miravano ad accrescere la consapevolezza sulle questioni di genere». L'organismo del Consiglio d'Europa interviene, inoltre, sul cosiddetto disegno di legge Pillon in materia di affido condiviso e mantenimento diretto e garanzia di bigenitorialità, sostenendo che «Se fosse stato approvato questo disegno di legge avrebbe comportato gravi regressioni nella lotta contro le disuguaglianze tra i sessi»;

    molti passi avanti sono però stati fatti: il rapporto mette anche in evidenza provvedimenti e misure che considera esempi a cui altri Paesi potrebbero addirittura ispirarsi: la legge n. 80 del 2015 che dà alle donne vittime di violenza speciali congedi dal lavoro; la legge n. 4 del 2018 per gli orfani delle vittime di femminicidio, così pure l'istituzione della Commissione d'inchiesta sul femminicidio al Senato viene considerata «lodevole»;

    purtroppo, la violenza sulle donne rimane una drammatica realtà. In vista della Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, il 12 novembre 2019 è stata approvata dalla Camera dei deputati una mozione in cui, pur riconoscendo i numerosi passi avanti sul tema, grazie all'adozione di un complessivo quadro giuridico che interviene in tema di violenza sia dal punto di vista dell'educazione sia della prevenzione, del supporto e della punizione, si è impegnato il Governo ad adottare tutte le ulteriori e necessarie iniziative per proseguire lungo la strada intrapresa;

    il problema, come rileva l'Istat, è anche di tipo culturale. Nell'ultimo rapporto si dà conto dei più diffusi stereotipi di genere in cui si riconosce il 58,8 per cento della popolazione (di 18-74 anni), senza particolari differenze tra uomini e donne, e diventano più diffusi al crescere dell'età (65,7 per cento dei 60-74enni e 45,3 per cento dei giovani) e tra i meno istruiti. Per il 10,3 per cento della popolazione spesso le accuse di violenza sessuale sono false (più uomini, 12,7 per cento, che donne, 7,9 per cento); per il 7,2 per cento «di fronte a una proposta sessuale le donne spesso dicono no ma in realtà intendono sì», per il 6,2 per cento donne serie non vengono violentate;

    per aiutare a superare tali stereotipi, appare con ogni evidenza un punto di snodo imprescindibile quello di valorizzare le presenze femminili a ogni livello: strategico è, dunque, lo scenario pubblico, in tutte le sue varie declinazioni, iniziando dal mondo dei mass media, specie per quanto riguarda l'aspetto della rappresentazione dell'immagine della donna;

    fondamentale risulta, inoltre, un'educazione scolastica che non trasmetta l'immagine stereotipata della donna, a partire dai testi scolastici adottati,

impegna il Governo:

1) a rafforzare le iniziative per la parità tra i sessi e per i diritti delle donne, anche a prescindere dalle politiche per la famiglia e la maternità;

2) ad adottare ogni iniziativa utile per favorire l'accesso e la permanenza delle donne nel mondo del lavoro, elemento fondamentale per la crescita del Paese;

3) a sostenere, in ogni sede, le iniziative volte a garantire la parità di genere nelle retribuzioni e nelle carriere;

4) a rafforzare strategie volte a prevenire e perseguire ogni forma di violenza fisica, psicologica e sessuale, che può affliggere le donne nel contesto di un rapporto di lavoro;

5) ad adottare ulteriori iniziative volte alla prevenzione e al contrasto della violenza economica;

6) ad adottare ulteriori iniziative per introdurre strumenti di welfare volti a sostenere economicamente le donne nel loro percorso di fuoriuscita dalla violenza e a favorirne l'inserimento nel mondo del lavoro e l'autonomia abitativa;

7) a promuovere la formazione sulla prevenzione della violenza di genere per le professionalità che, in ragione delle attività lavorative svolte, possono entrare a contatto con tali casi, quali medici, infermieri, psicologi, avvocati, assistenti sociali, polizia municipale, nonché a promuovere la formazione sulla prevenzione della discriminazione di genere nei luoghi di lavoro, anche pubblici;

8) a promuovere la parità e la prevenzione della violenza di genere attraverso l'educazione scolastica, anche mediante l'aggiornamento dei materiali didattici, volto a garantire che i nuovi libri di testo e i suddetti materiali didattici siano realizzati in modo da rimuovere gli stereotipi presenti in tali strumenti di formazione e assumendo conseguenti iniziative per destinare a tale scopo nuove risorse finanziarie, nonché assicurando che, nei metodi di insegnamento e all'interno delle materie di studio, in particolar modo l'educazione civica, siano compresi il rispetto di genere e l'educazione al riconoscimento della violenza di genere, anche domestica;

9) ad assumere iniziative per dare attuazione all'articolo 17 della Convenzione di Istanbul, anche attraverso l'adozione di misure per la promozione da parte dei media della soggettività femminile e l'introduzione di efficaci meccanismi di monitoraggio e di intervento sanzionatorio su comportamenti mediatici e comunicativi di ogni tipo, che esprimano sessismo e visione stereotipata dei ruoli tra uomo e donna;

10) a promuovere l'equilibrio di genere nelle candidature, così come nell'ambito delle cariche istituzionali e del management delle società pubbliche.
(1-00334) «Boldrini, Ascari, Boschi, Muroni, Giannone, Bruno Bossio, Benedetti, Frate, Pezzopane, Annibali, De Giorgi, Cenni, Cancelleri, Schirò, Sarli, Occhionero, Serracchiani, Quartapelle Procopio, Carinelli, Elisa Tripodi, Casa, Deiana, Giordano, Ehm, Bonomo, Barbuto, Villani, Rotta, Palmisano, Madia, Berlinghieri, Incerti, Ciampi, Gribaudo, Martinciglio, Papiro, Carnevali, Baldini, Sportiello, Prestipino, Siragusa, Ciprini, Noja, D'Arrando, Spadoni, Bologna, La Marca, Fornaro, Delrio, Brescia, Nobili, Sensi».

(26 febbraio 2020)

   La Camera,

   premesso che:

    la scarsa partecipazione delle donne al mercato del lavoro costituisce ancora oggi un freno al pieno sviluppo sociale del Paese, persistendo ancora diversi ostacoli che impediscono a moltissime donne la completa realizzazione di sé stesse nella società;

    secondo gli ultimi dati resi noti dal Censis, l'Italia è l'ultimo Paese in Europa per quanto riguarda l'occupazione femminile, con 9.768.000 lavoratrici che rappresentano il 42,1 per cento degli occupati complessivi e un tasso di attività femminile al 56,2 per cento, lontanissimo dall'81,2 per cento della Svezia, prima tra gli Stati europei;

    in Italia, il numero delle donne occupate è lontanissimo da quello relativo agli uomini, che registrano un tasso di attività pari al 75,1 per cento: il tasso di occupazione nella fascia di età 15-64 anni è del 49,5 per cento per le donne e del 67,6 per cento per gli uomini;

    nel confronto europeo riferito alla fascia d'età 20-64 anni, il tasso di disoccupazione in Italia è pari all'11,8 per cento per le donne e al 9,7 per cento per gli uomini, tra le giovani di 15-24 anni si arriva al 34,8 per cento, mentre per i maschi della stessa età si ferma al 30,4 per cento, con una distanza abissale con l'Europa, dove il tasso medio di disoccupazione giovanile per le donne è del 14,5 per cento;

    anche tra le donne in attività i numeri sono preoccupanti: in Italia le donne manager sono solo il 27 per cento dei dirigenti, valore molto al di sotto di quello medio europeo del 33 per cento;

    ancora oggi, purtroppo, per molte donne lavorare e formare una famiglia rimangono due percorsi paralleli e spesso incompatibili: per questo una donna occupata su tre (il 32,4 per cento, cioè più di 3 milioni di lavoratrici) ha un impiego part time (nel caso degli uomini questa percentuale si riduce all'8,5 per cento), che molto spesso viene scelto per mancanza di alternative da circa due milioni di lavoratrici ed è involontario per il 60,2 per cento delle donne che, invece, lo richiede;

    sono quasi 6 milioni le donne italiane che hanno figli minori e che allo stesso tempo lavorano e tra quelle occupate con almeno tre figli quasi 1,3 milioni lavora a tempo pieno e 171.000 (l'85 per cento del totale delle occupate) sono dirigenti, quadri o imprenditrici;

    la condizione di diseguaglianza tra donne e uomini comporta anche una differenza nei redditi da pensione: nel 2017 le donne che percepivano una pensione da lavoro erano più di cinque milioni, con un importo medio annuo di 17.560 euro, mentre per i quasi sei milioni di pensionati uomini l'importo medio era di 23.975 euro;

    alla Commissione lavoro pubblico e privato della Camera dei deputati sono giacenti una serie di proposte, sul tema della parità salariale, dell'occupazione e dell'imprenditoria femminile, degli incentivi per l'assunzione di donne, nonché di una maggiore conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, presentate da esponenti delle opposizioni, che meritano maggiore attenzione e condivisione da parte della maggioranza per un rapido iter e approvazione;

    una misura fortemente apprezzata, ad esempio, è stato l'istituto sperimentale per il pensionamento anticipato delle donne (cosiddetta opzione donna), introdotto nell'ordinamento dal centrodestra al Governo e da ultimo prorogato dall'attuale maggioranza governativa con la legge di bilancio per il 2020, estendendone la possibilità di fruizione alle lavoratrici che abbiano maturato determinati requisiti entro il 31 dicembre 2019;

    purtroppo, però, le misure introdotte dal legislatore negli ultimi anni sono sempre state caratterizzate da transitorietà e temporaneità; invero, è necessario insistere con l'adozione di misure strutturali volte a favorire la creazione di un quadro certo su cui le donne possono fare affidamento per la costruzione del loro progetto di vita;

    in questa prospettiva, due sembrano le criticità sulle quali è doveroso operare in maniera strutturale e di lungo periodo: il problema dei carichi familiari e la scarsa copertura dei servizi di asili nido e di scuole per l'infanzia, attuando politiche della famiglia indirizzate alla piena possibilità di poter armonizzare la vita familiare con la vita sociale, lavorativa e relazionale, affinché l'indispensabile sostegno al contrasto alla denatalità possa svilupparsi anche attraverso l'implementazione di politiche di conciliazione dei tempi di lavoro con quelli della famiglia e di strategie family friendly;

    secondo l'Istat le donne presentano, infatti, una maggiore quota di sovraccarico tra impegni lavorativi e familiari: più della metà delle donne occupate (54,1 per cento) svolge oltre 60 ore settimanali di lavoro retribuito e familiare (46,6 per cento nel caso degli uomini);

    la presenza di forti carichi familiari si riverbera in modo decisivo sulla partecipazione delle donne al mercato del lavoro in ogni suo segmento: dall'ingresso alla progressione di carriera;

    un altro dato assolutamente degno di nota è quello che riguarda la copertura territoriale dei servizi di asili nido e di scuole per l'infanzia e le relazioni che intercorrono fra questo aspetto e l'occupazione femminile;

    la copertura dei servizi di asilo nido e di scuola per l'infanzia nel nostro Paese è scarsa: la media nazionale dei bambini che ne fruiscono è del 20 per cento, con riduzioni drastiche al Meridione, pari al 7 per cento circa dei bambini, a fronte di una media europea del 40 per cento circa;

    come rilevato anche dall'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), esiste un nesso causale immediato e diretto fra la scarsa disponibilità di servizi pubblici per l'infanzia e la disoccupazione femminile: è di tutta evidenza, infatti, che le madri che non possono affidare il bambino ad altri componenti del nucleo familiare o sostenere il costo di servizi di asilo nido privati o di baby-sitting non abbiano altra scelta che rinunciare in tutto o in parte al proprio lavoro. Dati statistici dimostrano in modo incontrovertibile che i Paesi con il tasso di disoccupazione femminile più basso (Francia, Danimarca e Paesi scandinavi) sono quelli con la più alta copertura di servizi per l'infanzia;

    il principio della parità di genere, nonostante il significativo riconoscimento ottenuto con la cosiddetta legge Golfo-Mosca (legge n. 120 del 2011), e il recente aumento, per le società quotate in borsa, della quota da riservare al genere meno rappresentato da un terzo (30 per cento) a due quinti (40 per cento), è ancora ben lontano dalla sua piena attuazione;

    la mancata occupazione o una retribuzione inadeguata costituiscono, per la donna, anche una forma di violenza di genere, di tipo economico, che drammaticamente si affianca a quella di tipo fisico e/o psicologico, impedendo alla donna stessa che subisce violenza in ambito domestico il coraggio di denunciare;

    purtroppo, la violenza sulle donne è una piaga che non accenna a fermarsi: quasi sette milioni di donne italiane dai 16 ai 70 anni hanno subito almeno una volta nella vita una forma di violenza; su un totale di tre milioni di donne, la violenza è stata perpetrata nel 5,2 per cento dei casi dall'attuale partner e nel 18,9 per cento da un ex partner. Oltre a partner ed ex partner, si rilevano violenze da parte dei colleghi di lavoro nel 2,5 per cento dei casi, da parenti nel 2,6 per cento, da amici nel 3 per cento e da conoscenti nel 6,3 per cento dei casi;

    il 12 novembre 2019 è stata approvata dalla Camera dei deputati una mozione volta a riconoscere i passi in avanti compiuti nel contrasto alla violenza sulle donne e allo stesso tempo ad impegnare il Governo ad aumentare le misure volte a contrastare e prevenire tale fenomeno;

    dal punto di vista legislativo, in passato sono state poste in essere diverse iniziative positive e meritorie nella direzione del rafforzamento delle misure di tutela contro la violenza sulle donne; non ci si può esimere, a tal riguardo, dal dare atto di quanto realizzato durante i Governi di centrodestra, quando, per la prima volta, è stato posto in essere un piano nazionale contro la violenza di genere e lo stalking (reato introdotto nell'ordinamento nel 2009), finanziato con oltre 18 milioni di euro e teso a realizzare una strategia di contrasto su scala nazionale, con l'obiettivo di ottenere una positiva collaborazione tra i centri antiviolenza delle regioni, il numero verde 1522 e le diverse professionalità esistenti nelle fila delle forze dell'ordine;

    oggigiorno non si parla soltanto di violenza fisica e psicologica ma anche di quella economica, prevista dalla Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, ratificata dall'Italia nel 2013: tra le vittime ci sono donne di ogni età e di ogni ceto sociale; la spirale in cui cadono le porta a indebitarsi, a non avere liquidità, fino ad arrivare a vivere di stenti, a non poter mandare i figli all'università e non poter acquistare loro da mangiare o da vestire; i comportamenti degli uomini che perpetrano la violenza economica non solo generano una forma di controllo che impedisce l'indipendenza della donna, ma creano anche uno stato di soggezione;

    un fenomeno in crescita è quello delle donne che ricevono molestie o minacce sul luogo di lavoro: i dati Istat – basati sulla rilevazione effettuata negli anni 2015-2016 – danno atto che le donne che hanno subito un ricatto sessuale nel corso della loro vita lavorativa sono un milione e 404 mila (rappresentano la quota dell'8,9 per cento delle lavoratrici attuali o passate, incluse le donne in cerca di occupazione); rilevano, altresì, che, quando una donna subisce violenza, nell'80,9 per cento dei casi non ne parla con nessuno e che solo la quota dello 0,7 per cento si è rivolta alle forze di polizia; i ricatti sessuali si verificano nel momento in cui le donne si trovano più in difficoltà e subiscono la situazione asimmetrica, presente soprattutto nei settori professionali tradizionalmente maschili;

    il sessismo non risparmia neanche le donne con disabilità, anzi le rende doppiamente vittime: se la donna è spesso vista come un «oggetto», il fatto di essere disabile la rende ancora più indifesa e bersaglio di atteggiamenti discriminatori e violenti;

    per raggiungere la parità effettiva tra uomini e donne occorre il superamento di stereotipi e pregiudizi di genere, accompagnato da misure, anche a carattere normativo, tese a sostenere le reali necessità delle donne, madri e lavoratrici,

impegna il Governo:

1) ad adottare le opportune iniziative volte a sostenere e valorizzare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, nonché misure strutturali di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro per le lavoratrici;

2) ad adottare iniziative per colmare il divario retributivo tra donne e uomini prevedendo sgravi contributivi per incentivare la contrattazione di secondo livello al fine di introdurre, attraverso accordi tra datori di lavoro e lavoratori, misure ad hoc di monitoraggio e di valutazione delle condizioni di lavoro e di retribuzione dei due sessi;

3) ad adottare iniziative per introdurre strumenti di welfare volti a supportare le donne nel rientro al lavoro dopo il parto e nella gestione dei figli, con particolare riguardo per le mamme single o che abbiano subito violenza;

4) a prevedere le opportune iniziative volte a superare le condizioni di organizzazione e distribuzione del lavoro che siano, di fatto, pregiudizievoli per l'avanzamento professionale di carriera ed economico della donna;

5) ad adottare iniziative per avviare programmi di controllo interno ai luoghi di lavoro al fine di rilevare eventuali condizioni di discriminazione, individuate ai sensi del codice delle pari opportunità, ed al contempo individuare apposite misure che incentivino i datori di lavoro ad assumere le donne lavoratrici con il profiling adeguato alla mansione da svolgere, senza penalizzarne come spesso accade la professionalità e la competenza;

6) ad adottare iniziative per riconoscere specifiche agevolazioni fiscali per le lavoratrici residenti nei territori con minore capacità fiscale e per sostenere il lavoro femminile anche nelle realtà più svantaggiate dal punto di vista economico e sociale, dove il divario occupazionale tra i sessi è ancora maggiore;

7) a promuovere misure organiche e permanenti per il potenziamento e la riqualificazione di strutture destinate agli asili nido e alle scuole dell'infanzia e ad adottare iniziative per reperire le occorrenti risorse finanziarie per conseguire l'obiettivo di copertura in tutto il territorio nazionale dei servizi socio-educativi per la prima infanzia, anche valutando orari prolungati corrispondenti alla chiusura di uffici e negozi e coperture nel periodo estivo per le madri lavoratrici;

8) a sostenere il potenziamento dell'offerta pubblico-privata degli asili nido, anche attraverso l'incentivazione dei nidi condominiali, sui luoghi di lavoro e in case private secondo il modello tedesco delle Tagesmutter, nell'ambito delle politiche per la famiglia ed a sostegno delle madri-lavoratrici;

9) a promuovere il rilancio dell'occupazione femminile, facilitando l'accesso al lavoro part time e al telelavoro previsto dalla legge n. 81 del 2017, con l'obiettivo di garantire una più ampia flessibilità nella scelta dell'orario di lavoro, consentendo ai genitori l'opportunità di trascorrere più tempo a casa con i propri figli;

10) ad adottare iniziative per prevedere incentivi in favore delle imprese che privilegiano le assunzioni di donne, neomamme e donne vittime di violenza;

11) a promuovere la parità tra i sessi e la prevenzione della violenza di genere nelle scuole;

12) a prevedere le opportune iniziative normative al fine di attuare quanto previsto dall'articolo 40 della Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, ratificata dall'Italia nel 2013, per quanto attiene alle molestie perpetrate in ambito lavorativo, al fine di prevedere forme di responsabilità anche del datore di lavoro quale garante della correttezza del comportamento dei propri dipendenti;

13) a prevedere ogni iniziativa atta a far emergere il fenomeno delle molestie in ambito lavorativo e favorire al più presto l'adozione di accordi specifici nel settore privato;

14) a promuovere la parità di genere nell'ambito delle cariche istituzionali e dell'attività politica, delle società pubbliche o a prevalente partecipazione pubblica e per le società quotate in borsa;

15) a intraprendere le opportune iniziative al fine di adottare misure di prevenzione e di sensibilizzazione contro il sessismo, la misoginia in generale e l'utilizzo degli stereotipi che alimentano la vittimizzazione secondaria a tutti i livelli;

16) ad adottare iniziative volte ad incrementare l'occupazione femminile come elemento fondamentale di emancipazione e liberazione da ogni tipo di violenza, intesa soprattutto quale strumento di inclusione sociale;

17) ad assumere le opportune iniziative al fine di stanziare risorse adeguate destinate alla formazione del personale impiegato nelle strutture di pubblica sicurezza, chiamato ad interagire con le donne che hanno subito maltrattamenti, violenza sessuale, atti persecutori e lesioni aggravate, per incentivare una cultura sociale e giudiziaria orientata alla tutela della vittima.
(1-00335) «Gelmini, Locatelli, Meloni, Gagliardi, Carfagna, Foscolo, Frassinetti, Prestigiacomo, Murelli, Bellucci, Calabria, Boldi, Baldini, Marrocco, Eva Lorenzoni, Bucalo, Aprea, Lazzarini, Caretta, Anna Lisa Baroni, Legnaioli, Ciaburro, Bartolozzi, Andreuzza, Ferro, Bergamini, Bisa, Lucaselli, Biancofiore, Bordonali, Mantovani, Brambilla, Bubisutti, Montaruli, Cristina, Castiello, Fascina, Vanessa Cattoi, Ferraioli, Cavandoli, Fiorini, Colmellere, Fitzgerald Nissoli, Comaroli, Labriola, Covolo, Mazzetti, De Angelis, Milanato, Fantuz, Polidori, Fogliani, Polverini, Frassini, Porchietto, Gava, Ravetto, Gerardi, Ripani, Giacometti, Rossello, Gobbato, Ruffino, Latini, Saccani Jotti, Loss, Santelli, Lucchini, Elvira Savino, Patelli, Sandra Savino, Piccolo, Siracusano, Raffaelli, Spena, Saltamartini, Tartaglione, Tateo, Maria Tripodi, Tomasi, Versace, Valbusa, Vietina, Zanella».

(3 marzo 2020)

INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

   PAOLO RUSSO, CARFAGNA, SARRO e PENTANGELO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   i gravissimi episodi di violenza che hanno interessato la città di Napoli nei giorni scorsi destano particolare allarme; alla morte del 15enne, che ha perso la vita in uno scontro a fuoco nella zona di Santa Lucia a Napoli durante un tentativo di rapina nei confronti di un carabiniere in borghese, hanno fatto seguito l'aggressione che ha distrutto il pronto soccorso dell'ospedale Vecchio Pellegrini, dove era stato portato il ragazzo, e quella all'esterno della sede del comando provinciale dei carabinieri di Napoli, contro la quale sono stati esplosi due colpi che, secondo le ricostruzioni della stampa, sarebbero partiti da due ragazzi in sella a uno scooter;

   si tratta di episodi che mostrano falle indiscutibili nell'azione dello Stato di controllo del territorio a garanzia dell'incolumità dei cittadini e il forte disagio generazionale che interessa i giovani, per i quali i modelli criminali continuano ad esercitare una forte attrattiva, attraverso il radicarsi e l'espandersi delle cosiddette baby gang;

   i provvedimenti adottati in termini di prevenzione e repressione della criminalità risultano evidentemente insufficienti: i cittadini sono ancora costretti a vivere in un clima di paura, in un ambiente dove rapine e aggressioni spesso non vengono più nemmeno denunciate, ma balzano alle cronache solo nei casi più eclatanti;

   è innegabile la situazione di emergenza e rischio in cui lavorano gli operatori delle forze dell'ordine, così come gli operatori sanitari. Tra l'altro, l'aggressione al presidio sanitario arriva in un momento particolarmente delicato, in cui tutti gli operatori stanno lavorando con altissima professionalità e impegno per contenere la diffusione del Covid-19;

   è evidente come la sensazione di impunità alimenti le violenze, sia dei singoli che di gruppo, fino a sfociare addirittura in rappresaglia; con ogni probabilità, se la vittima fosse stato il carabiniere, non ci sarebbero state le aggressioni successive, frutto evidente di una ritorsione ai danni dello Stato. Occorre, quindi, che lo Stato si adoperi per l'incolumità dei cittadini e per difendere coloro che quotidianamente svolgono funzioni per tutelare sia la salute che la sicurezza degli stessi –:

   quali siano gli intendimenti in relazione ai fatti riportati in premessa e quali misure urgenti si intendano adottare a tutela e a protezione degli operatori sanitari e delle forze dell'ordine, in particolare per il controllo di un territorio così martoriato da eventi criminosi e per prevenire eventi tanto drammatici, garantendo così la sicurezza dei cittadini.
(3-01344)

(3 marzo 2020)

   STUMPO e FORNARO. — Al Ministro per l'innovazione tecnologica e la digitalizzazione. — Per sapere – premesso che:

   il Digital economy and society index è un indice composito delle performance dei Paesi membri dell'Unione europea nella competitività digitale, che tiene conto di 5 indicatori: connettività, capitale umano, utilizzo di internet, integrazione di tecnologie digitali, servizi pubblici digitali;

   il rapporto Digital economy and society index 2019, tenuto conto dei cinque indicatori, afferma che l'Italia occupa il 24° posto su 28 Paesi;

   per connettività l'Italia risulta al 19mo posto nell'Unione europea, migliorando la propria posizione di ben 7 posti rispetto al 2018; è migliorata e aumentata la copertura delle reti fisse a banda larga; per la banda larga ultraveloce l'Italia appare ancora in ritardo; per il capitale umano l'Italia si pone al 26° posto;

   solo il 44 per cento degli individui residenti in Italia tra i 16 ed i 74 anni possiede competenze digitali di base (media europea 57 per cento); i laureati in Ict (innovazione sociale, comunicazione e nuove tecnologie) costituiscono solo l'1 per cento dei laureati;

   il 19 per cento degli individui residenti in Italia, quasi il doppio della media dell'Unione europea, non ha mai usato internet; le attività on line più diffuse sono: streaming, download di musica, video e il gioco on line;

   sull'integrazione delle tecnologie digitali da parte delle imprese, l'Italia si posiziona al 23° posto tra gli Stati dell'Unione europea, al di sotto della media dell'Unione europea;

   sui servizi pubblici digitali, l'Italia si posiziona al 18° posto. L'Italia è al quarto posto nell'Unione europea in materia di open data ed all'ottavo posto per quanto riguarda i servizi di sanità digitale; sono aumentate del 90 per cento le adesioni regionali al fascicolo sanitario elettronico, ma solo oltre 11 milioni cittadini hanno aperto un fascicolo;

   l'età media dei dipendenti della pubblica amministrazione è di 52 anni, la più alta nei Paesi dell'Ocse;

   nel 2018 solo il 24 per cento degli italiani ha interagito con la pubblica amministrazione per via telematica;

   la trasformazione digitale della pubblica amministrazione è strategica ed in grado di portare ingenti benefici, tra risparmi diretti di spesa e maggiori entrate, calcolati in 35 miliardi di euro; l'utilizzo del cloud per i comuni comporterebbe un risparmio di quasi 900 milioni di euro, mentre per gli enti regionali si potrebbero prevedere risparmi per 274 milioni di euro –:

   quali iniziative intenda assumere per migliorare la performance dell'Italia nella competitività digitale ed accelerare la digitalizzazione dei servizi ai cittadini, al fine di superare le differenze che sussistono con i Paesi dell'Unione europea.
(3-01345)

(3 marzo 2020)

   IANARO, NESCI, BOLOGNA, SARLI, SPORTIELLO, D'ARRANDO, LAPIA, MAMMÌ, MENGA, LOREFICE, PROVENZA, NAPPI e TROIANO. — Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:

   con delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020 è stato dichiarato, per 6 mesi, lo stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all'insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili, in conformità alle disposizioni del Codice della protezione civile (decreto legislativo 2 gennaio 2018, n. 1, in particolare l'articolo 7, comma 1, lettera c), e l'articolo 24, comma 1). La delibera prevede che, per l'attuazione degli interventi da effettuare nella vigenza dello stato di emergenza, si provvede con ordinanze, emanate dal Capo del Dipartimento della protezione civile in deroga a ogni disposizione vigente e nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico;

   l'articolo 120 della Costituzione, secondo comma, prevede che il Governo può sostituirsi a organi delle regioni, delle città metropolitane, delle province e dei comuni anche nel caso di pericolo grave per l'incolumità e la sicurezza pubblica, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali. La legge definisce le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione;

   in considerazione dell'evolversi della situazione epidemiologica nel territorio italiano e del carattere particolarmente diffusivo dell'epidemia, il Governo ha ritenuto d'intervenire d'urgenza per contrastare l'emergenza epidemiologica da Covid-19, adottando le misure di contrasto e contenimento alla diffusione del predetto virus sul territorio italiano, nel rispetto dell'articolo 117 della Costituzione, perseguendo la massima sinergia con le regioni;

   tutte le regioni «no cluster» hanno firmato l'ordinanza tipo messa a punto dal Governo, in raccordo con la Conferenza delle regioni, l'Istituto superiore di sanità e la Protezione civile, per coordinare le azioni nei territori fuori dall'area del contagio. Sono state emanate le ordinanze di: Lazio, Puglia, Abruzzo, Molise, Sicilia, Campania, Toscana, Sardegna, Calabria, Basilicata, Umbria e della Provincia autonoma di Bolzano. Dalla Valle d'Aosta e dalla Provincia autonoma di Trento si attendono gli adempimenti; è auspicabile che anche le altre regioni del Nord, senza aree cluster, aderiscano quanto prima all'ordinanza condivisa;

   è evidente che un'azione uniforme per contenere l'emergenza in atto è una necessità imprescindibile –:

   se tutte le regioni abbiano aderito o intendano al più aderire all'ordinanza condivisa al fine di garantire sicurezza, contenimento del contagio e l'ordinato avvio delle attività sospese.
(3-01346)

(3 marzo 2020)

   CECCANTI, DE MARIA, VISCOMI, POLLASTRINI, RACITI, GRIBAUDO, FIANO e ENRICO BORGHI. — Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:

   a seguito dell'adozione da parte del Governo dei provvedimenti per il contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da Covid–19, le eventuali ordinanze sindacali contingibili e urgenti, adottate ai sensi dell'articolo 50 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni, dirette a fronteggiare tale emergenza, rischiano di risultare contrastanti con le misure statali;

   in un'intervista pubblicata su la Repubblica il 2 marzo 2020, il Ministro interrogato, difendendo l'accentramento delle decisioni sul contrasto del Coronavirus, ha dichiarato che «nel caso di emergenza, comanda lo Stato», in riferimento alle conseguenze giuridiche di tali ordinanze eventualmente adottate dai sindaci a livello locale;

   di fronte a un caso di emergenza epidemiologica nazionale, anche il servizio sanitario offerto ai cittadini non può che essere coordinato a livello sovraregionale, in modo da assicurare un efficace controllo della diffusione della malattia;

   più in generale – e nella prospettiva del riconoscimento di ulteriori forme di autonomia alle regioni, ai sensi dell'articolo 116, comma terzo, della Costituzione e del disegno di legge quadro sull'autonomia differenziata attualmente in corso di definizione – è necessario garantire stabilmente l'adeguatezza su tutto il territorio nazionale delle strutture e delle prestazioni sanitarie pubbliche, anche mediante un controllo pubblico a livello territoriale più stringente;

   esistono già nel vigente testo unico degli enti locali strumenti amministrativi per circoscrivere i poteri dei sindaci nei casi di emergenze non limitate all'ambito locale (articolo 50, comma 5) e poteri di indirizzo del Ministro dell'interno (articolo 54, comma 12) senza che questo possa far parlare di indebiti e stabili accentramenti;

   per le competenze legislative il caso di specie sembra dimostrare la necessità di un'esplicita clausola di supremazia statale per dare ordine al sistema –:

   quali iniziative, per quanto di competenza, il Ministro interrogato intenda porre in essere al fine di impedire il sovrapporsi di prescrizioni adottate a livello locale per il contenimento del Coronavirus, potenzialmente contrastanti tra loro e con le misure adottate a livello nazionale, e se ritenga che sia svolto in maniera omogenea in tutte le aree del Paese un effettivo controllo pubblico sul servizio sanitario.
(3-01347)

(3 marzo 2020)

   MOLINARI, ANDREUZZA, BADOLE, BASINI, BAZZARO, BELLACHIOMA, BELOTTI, BENVENUTO, BIANCHI, BILLI, BINELLI, BISA, BITONCI, BOLDI, BONIARDI, BORDONALI, CLAUDIO BORGHI, BUBISUTTI, CAFFARATTO, CANTALAMESSA, CAPARVI, CAPITANIO, CASTIELLO, VANESSA CATTOI, CAVANDOLI, CECCHETTI, CENTEMERO, CESTARI, COIN, COLLA, COLMELLERE, COMAROLI, COMENCINI, COVOLO, ANDREA CRIPPA, DARA, DE ANGELIS, DE MARTINI, D'ERAMO, DI MURO, DI SAN MARTINO LORENZATO DI IVREA, DONINA, DURIGON, FANTUZ, FERRARI, FOGLIANI, LORENZO FONTANA, FORMENTINI, FOSCOLO, FRASSINI, FURGIUELE, GALLI, GARAVAGLIA, GASTALDI, GAVA, GERARDI, GIACCONE, GIACOMETTI, GIGLIO VIGNA, GIORGETTI, GOBBATO, GOLINELLI, GRIMOLDI, GUIDESI, GUSMEROLI, IEZZI, INVERNIZZI, LATINI, LAZZARINI, LEGNAIOLI, LIUNI, LOCATELLI, LOLINI, EVA LORENZONI, LOSS, LUCCHINI, MACCANTI, MAGGIONI, MANZATO, MARCHETTI, MATURI, MINARDO, MOLTENI, MORELLI, MORRONE, MOSCHIONI, MURELLI, ALESSANDRO PAGANO, PANIZZUT, PAOLINI, PAROLO, PATASSINI, PATELLI, PATERNOSTER, PETTAZZI, PIASTRA, PICCHI, PICCOLO, POTENTI, PRETTO, RACCHELLA, RAFFAELLI, RIBOLLA, RIXI, SALTAMARTINI, SASSO, STEFANI, SUTTO, TARANTINO, TATEO, TIRAMANI, TOCCALINI, TOMASI, TOMBOLATO, TONELLI, TURRI, VALBUSA, VALLOTTO, VINCI, VIVIANI, RAFFAELE VOLPI, ZICCHIERI, ZIELLO, ZOFFILI e ZORDAN. — Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:

   l'emergenza sanitaria che si è determinata in Italia con la scoperta dei primi casi di contagio del virus Covid-19, in particolare nelle regioni «focolaio» della Lombardia e del Veneto, è iniziata con una dichiarazione a parere degli interroganti scomposta del Presidente del Consiglio dei ministri sulla volontà di contenere le prerogative dei presidenti di regione in materia di sanità per avocare a sé il potere decisionale, aggravata da insinuazioni, rimbalzate anche sulla stampa internazionale, su presunte responsabilità di una struttura ospedaliera lombarda nel mancato rispetto dei protocolli sanitari che avrebbe contribuito al diffondersi del contagio;

   si evidenzia che, i primi di febbraio 2020, prima che esplodesse l'epidemia in Italia, i presidenti delle regioni Veneto, Lombardia, Friuli Venezia Giulia e della provincia autonoma di Trento, nel rispetto delle prerogative spettanti allo Stato in materia di tutela della salute, avevano formalmente chiesto al Governo, in via precauzionale, che il periodo di isolamento previsto per chi rientrasse dalla Cina venisse applicato anche ai bambini che frequentano le scuole, in linea con il report n. 12 dell'Organizzazione mondiale della sanità sulle misure di contenimento della diffusione del virus e il Governo ha risposto in chiave politica, sostanzialmente derubricando le richieste dei presidenti come manifestazioni discriminatorie;

   a ciò si aggiunga che, il 6 febbraio 2020, il Consiglio dei ministri ha deliberato di impugnare la legge regionale della Lombardia n. 21/2019, con riguardo al funzionamento dell'Agenzia per il trasporto pubblico locale, decisione che, ad avviso degli interroganti, è dettata da logiche politiche di tutela delle prerogative del sindaco di Milano, piuttosto che da ragioni di costituzionalità, dal momento che consta agli interroganti che i due Ministeri interessati, interno e lavoro e politiche sociali, non hanno sollevato eccezioni di costituzionalità sulla norma impugnata, come si evince anche dal sito internet del Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie;

   sono palesi, a parere degli interroganti, i continui e ripetuti tentavi dell'attuale Governo di attaccare l'autonomia regionale;

   in proposito, si ricorda che il Ministro interrogato, a fine novembre 2019, aveva annunciato che c'era l'intesa quadro sull'autonomia differenziata regionale ex articolo 116, terzo comma, della Costituzione in sede di Conferenza Stato-regioni e che l'avrebbe portata presto in Consiglio dei ministri per l'approvazione definitiva, annunciando un'accelerazione con un emendamento alla legge di bilancio, cui poi non è stato dato seguito –:

   se, ed in che termini, intenda procedere sulla richiesta di autonomia differenziata avanzata da Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, al momento di nuovo «bloccata», e quali iniziative intenda assumere per salvaguardare le competenze già attribuite alle regioni dalla Costituzione e dalla giurisprudenza.
(3-01348)

(3 marzo 2020)

   GADDA, FREGOLENT, NOBILI, D'ALESSANDRO, MORETTO e TOCCAFONDI. — Al Ministro per le politiche giovanili e lo sport. — Per sapere – premesso che:

   le misure adottate con il decreto-legge n. 6 del 2020 per contrastare la diffusione del Covid-19 appaiono appropriate ad un'emergenza sanitaria che richiede il massimo sforzo da parte di operatori, cittadini e delle istituzioni nazionali, regionali e locali;

   le disposizioni attuative previste dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 1° marzo 2020 hanno specificato le misure da adottarsi nei territori coinvolti e le attività sottoposte a regime autorizzatorio, tra le quali figurano le attività sportive professionistiche, dilettantistiche ed amatoriali;

   con avviso dell'Ufficio sport della Presidenza del Consiglio dei ministri del 2 marzo 2020, si precisa che è fatto salvo «lo svolgimento dei predetti eventi e competizioni e delle sedute di allenamento degli atleti tesserati agonisti»;

   tale definizione rischia di ingenerare differenti interpretazioni a causa del richiamo alla qualifica di «atleta agonista», che, come noto, cambia a seconda della disciplina sportiva, dell'età dell'atleta, dell'organismo affiliante, quindi delle federazioni e degli enti di promozione sportiva coinvolti. Nel regolamento di questi ultimi, inoltre, è previsto che gli atleti svolgano attività non agonistica ma con modalità competitive. Senza contare il richiamo all'ambito in cui opera la sospensione che attiene «allo sport di base e all'attività motoria in genere». Si tratta anche in questo caso di definizione di difficile interpretazione rispetto all'utilizzo degli impianti sportivi riconosciuti dalle federazioni sportive nazionali, dalle discipline sportive associate e dagli enti di promozione sportiva;

   secondo dati Coni, i tesserati delle federazioni sportive sarebbero 4 milioni e 703 mila atleti, ai quali si aggiungono circa il doppio dei tesserati agli enti di promozione sportiva, oltre alle migliaia di basi associative informali e praticanti amatoriali; gli operatori sportivi sono oltre 1 milione e le società sportive affiliate risultano essere 63.517;

   lo sport praticato a ogni livello rappresenta un importante veicolo di inclusione sociale e benessere delle persone coinvolte; il radicamento e la capillarità di tali attività sul territorio nazionale evidenziano, altresì, come lo sport abbia una incidenza sul fronte occupazionale, sull'economia e sul turismo legato agli eventi sportivi;

   le suddette misure di contenimento hanno ripercussioni economiche sulle attività che prevedono abbonamenti o iscrizioni giornaliere, come nel comparto del fitness e del benessere –:

   quali iniziative di competenza intenda adottare, a fronte della necessità di tutelare la salute dei cittadini, per chiarire le incertezze interpretative che ancora sussistono e per rilanciare l'attività sportiva praticata ad ogni livello, a partire dalla promozione di grandi eventi, e quali siano le misure di sostegno all'occupazione e alla sostenibilità economica delle attività connesse allo sport costrette alla temporanea cessazione.
(3-01349)

(3 marzo 2020)

   LOLLOBRIGIDA, MELONI, ACQUAROLI, BALDINI, BELLUCCI, BIGNAMI, BUCALO, BUTTI, CAIATA, CARETTA, CIABURRO, CIRIELLI, LUCA DE CARLO, DEIDDA, DELMASTRO DELLE VEDOVE, DONZELLI, FERRO, FOTI, FRASSINETTI, GALANTINO, GEMMATO, LUCASELLI, MANTOVANI, MASCHIO, MOLLICONE, MONTARULI, OSNATO, PRISCO, RAMPELLI, RIZZETTO, ROTELLI, SILVESTRONI, TRANCASSINI, VARCHI e ZUCCONI. — Al Ministro per le politiche giovanili e lo sport. — Per sapere – premesso che:

   i dati relativi alla criminalità minorile in Italia, segnatamente in alcune aree del Paese, confermano uno scenario complesso su cui appare prioritario richiamare l'attenzione delle istituzioni, nella prospettiva di individuare soluzioni percorribili atte al contenimento del fenomeno e all'integrazione e al coinvolgimento dei minori a rischio;

   l'evento di cronaca che ha interessato la città di Napoli il 1° marzo 2020, con la morte di un quindicenne che nel tentativo di rapina in pieno centro è stato colpito a morte dalla vittima, un carabiniere in borghese nel tentativo di difendersi, rappresenta la conferma di una piaga sociale, in particolar modo nelle aree dove maggiore è l'incidenza della criminalità organizzata e dove si registra spesso una mancanza di indirizzo socio-educativo da parte delle famiglie, legate esse stesse ad un contesto di criminalità;

   stando ai dati Istat contenuti nel «Report giustizia criminalità e sicurezza», nel 2018 sono stati seguiti dagli uffici di servizio sociale per i minorenni oltre ventunomila soggetti e la prima causa di denuncia per i minori continua a essere il reato di furto, in secondo luogo i delitti legati all'uso e allo spaccio di stupefacenti;

   secondo l'Osservatorio nazionale sull'adolescenza, il 6-7 per cento dei giovani con un'età inferiore ai 18 anni vive esperienze di criminalità di gruppo, cosiddetto fenomeno delle «baby gang», mentre il Quinto rapporto di Antigone sugli istituti penali per i minorenni segnala l'elevato numero di minori segnalati per associazione mafiosa, aumentati nel 2018 del 93,8 per cento rispetto al 2014;

   appare evidente che il numero maggiore di delitti compiuti da minori si colloca nelle aree con significativa presenza di criminalità organizzata, dove si registra un'inevitabile tendenza all'emulazione sociale in ragione dell'inesistenza di modelli alternativi di riferimento per i giovani, che si ritrovano in un contesto di illegalità e di delinquenza in cui risultano assenti riferimenti di socialità e di integrazione e dove le istituzioni, a partire dalla scuola, che dovrebbero svolgere un ruolo preponderante, non detengono adeguati strumenti di controllo, condivisione e coinvolgimento –:

   se non ritenga di intraprendere adeguate iniziative di competenza tese al monitoraggio del disagio tra i minori e quali interventi educativi e formativi integrati si intendano assumere nella prospettiva di implementare la collaborazione tra scuola, servizi di assistenza e famiglie dei minori a rischio.
(3-01350)

(3 marzo 2020)

   FUSACCHIA. — Al Ministro per le politiche giovanili e lo sport. — Per sapere – premesso che:

   il servizio civile è un pilastro essenziale per costruire una cittadinanza consapevole, dal momento che, come dichiarato dallo stesso Dipartimento per le politiche giovanili e il servizio civile universale in data 5 settembre 2019, è «uno strumento di pace e di integrazione, una forma di aiuto a chi vive in disagio o ha minori opportunità, un atto di amore e di solidarietà verso gli altri, una occasione di confronto con altre culture, una risorsa per il Paese, una esperienza utile per avvicinarsi al mondo del lavoro»;

   con il decreto legislativo n. 40 del 2017 il servizio civile da nazionale è diventato universale, con l'obiettivo di renderlo un'esperienza aperta a tutti i giovani che desiderano svolgerlo;

   l'impatto reale del servizio civile per i giovani e per il Paese dipendono dalla disponibilità di fondi che consentono di farne uno strumento reale che non resti sulla carta;

   in data 24 febbraio 2020 il Forum del terzo settore ha ricordato come «il fondo nazionale resta a 140 milioni di euro di effettiva disponibilità, sufficienti per un contingente di soli 20.000 posti»;

   a quanto si apprende da notizie di stampa non risulterebbero assegnati al servizio civile universale i 70 milioni di euro aggiuntivi provenienti dal «Fondo per l'attuazione del Piano nazionale per la riqualificazione sociale e culturale delle aree urbane degradate» del bilancio della Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per le parti opportunità – (atto Camera n. 2090), grazie al quale ulteriori 13 mila ragazze e ragazzi potrebbero partecipare al programma –:

   come intenda garantire, per quanto di competenza, un adeguato finanziamento del servizio civile capace di portare ad un costante, progressivo e significativo ampliamento della platea dei giovani interessati al programma.
(3-01351)

(3 marzo 2020)

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