TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 472 di Lunedì 22 marzo 2021

 
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MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE VOLTE A IMPLEMENTARE LA PRODUZIONE E LA DISTRIBUZIONE DI VACCINI ANTI COVID-19, ANCHE ATTRAVERSO L'AUTORIZZAZIONE TEMPORANEA DELLA CONCESSIONE DI LICENZE OBBLIGATORIE

   La Camera,

   premesso che:

    dall'inizio della pandemia da COVID-19 fino ad oggi i casi riscontrati di contagiati sono 2,81 milioni, le guarigioni 2,32 milioni e 95.718 i decessi;

    per affrontare l'attuale crisi causata dal COVID-19, la Commissione europea e gli Stati membri hanno concordato un'azione comune a livello di Unione europea per garantire l'approvvigionamento e sostenere lo sviluppo di un vaccino contro il COVID-19, decisivo nella strategia di contrasto alla pandemia;

    la somministrazione di 4.682.710 dosi di vaccino in Italia è iniziata il 31 dicembre 2020: alla data del 22 febbraio 2021 sono 3.537.975 il totale delle somministrazioni e 1.332.163 le persone a cui sono state somministrate la prima e la seconda dose di vaccino;

    i tagli e i ritardi nelle forniture al momento attuale comportano un ritardo di due mesi nel compimento del programma vaccinale. L'immunità di gregge che doveva essere raggiunta a fine estate, lo sarà forse a fine autunno 2021, quasi in pieno inverno, con tutti i maggiori rischi che ciò comporta;

    la preoccupazione più grave è il ritardo nella vaccinazione delle fasce di età più anziane e più vulnerabili;

    il Presidente del Consiglio dei ministri, nel suo primo intervento programmatico, ha affermato: «Abbiamo bisogno di mobilitare tutte le energie su cui possiamo contare, ricorrendo alla protezione civile, alle Forze armate, ai tanti volontari. Non dobbiamo limitare le vaccinazioni all'interno di luoghi specifici, spesso ancora non pronti: abbiamo il dovere di renderle possibili in tutte le strutture disponibili, pubbliche e private», perché «la velocità è essenziale non solo per proteggere gli individui e le loro comunità sociali, ma ora anche per ridurre le possibilità che sorgano altre varianti del virus»;

    è condivisibile quanto auspicato dal Commissario europeo Thierry Breton, alla guida della task force europea per il rafforzamento della capacità produttiva dei vaccini, di accrescere la produzione anche con la riconversione di impianti destinati a produzioni di altri prodotti per la salute umana e animale, ma più giusto ancora sarebbe poter liberare i brevetti dei vaccini, per garantirne uno sfruttamento diffuso e universale;

    la questione dei brevetti dei farmaci emerge fragorosamente ogni volta che le ragioni del profitto si scontrano con quelle della salute e della vita delle popolazioni; è accaduto anche per i brevetti sui farmaci antiretrovirali necessari per la cura di Hiv/Aids; dalla scoperta nel 1997 sono passati 10 anni e milioni di morti prima che la cura raggiungesse i malati dei Paesi più poveri;

    pur osservando che la tutela brevettuale rappresenta un incentivo fondamentale affinché le imprese investano nell'innovazione e producano nuovi medicinali e dispositivi medici, si rileva che l'effetto preclusivo dei brevetti può comportare un approvvigionamento limitato sul mercato e un accesso ridotto a medicinali e prodotti farmaceutici;

    l'esperienza di questi mesi in merito all'emergenza epidemiologica da COVID-19 rende necessario trovare un equilibrio tra la promozione dell'innovazione, mediante l'effetto preclusivo dei brevetti e la garanzia dell'accesso ai medicinali per la tutela della salute dei cittadini, in piena sintonia con la risoluzione 2020/2071 (Ini) approvata dal Parlamento europeo in data 17 settembre 2020 avente ad oggetto «Penuria di medicinali – come affrontare un problema emergente»;

    già il 2 ottobre 2020, i Governi di India e Sudafrica hanno inviato all'Organizzazione mondiale del commercio una proposta congiunta con cui chiedono una deroga ai brevetti e agli altri diritti di proprietà intellettuale in relazione a farmaci, vaccini, diagnostici, dispositivi di protezione personale e alle altre tecnologie medicali per tutta la durata della pandemia;

    l'iniziativa dei Cittadini europea (Ice), in corso, «Right to cure. No profit on pandemic», chiede alla Commissione europea di proporre una normativa intesa, tra le altre cose, a garantire che i diritti di proprietà intellettuale, compresi i brevetti, non ostacolino l'accessibilità o la disponibilità di qualsiasi futuro vaccino o trattamento contro il COVID-19;

    la legislazione internazionale vigente (TRIPs – Agreement on trade related aspects of intellectual property rights – articolo 31) prevede la possibilità di sospendere un brevetto in caso di emergenze di sanità pubblica, concedendo licenze obbligatorie per la vasta produzione dei prodotti necessari;

    i Governi possono dunque ricorrere alla licenza obbligatoria in situazioni di emergenza sanitaria per permettere anche ad aziende non detentrici del brevetto di produrre versioni generiche (equivalenti) dei farmaci, pagando una royalty all'azienda titolare della proprietà intellettuale;

    la deroga è prevista in base all'articolo IX, commi 3 e 4, dell'Accordo di Marrakech che ha costituito l'Organizzazione mondiale del commercio e consentirebbe una sospensione temporanea di tutti gli obblighi contenuti nella sezione I, parte II, dell'Accordo TRIPs, quella concernente copyright, disegni industriali, brevetti, protezione di informazione non condivisa. La condizione è che vi sia una giustificazione fondata su circostanze eccezionali e che siano esplicitati i termini anche temporali di suddetta sospensione;

    la licenza obbligatoria, ex articolo 31 del Trade-related aspects of intellectual property rights (TRIPs), consente agli Stati membri dell'Organizzazione mondiale del commercio di includere nella loro legislazione una disposizione per l'uso del brevetto senza autorizzazione del titolare, per facilitare l'accesso ai farmaci, consentendo la produzione e l'esportazione di brevetti sui vaccini o vaccini in corso di brevettazione, senza il previo consenso del titolare del monopolio;

    la procedura implica la formale richiesta al titolare del brevetto di un'autorizzazione immediata alla produzione dei farmaci necessari e, qualora il titolare neghi il consenso, si può imporre una licenza obbligatoria circoscritta temporalmente e geograficamente, la quale implica il pagamento di una royalty al titolare del brevetto;

    durante la pandemia COVID-19 diversi Paesi hanno utilizzato lo strumento della licenza obbligatoria (ad esempio, Israele per alcuni farmaci antivirali sul COVID-19), poiché i rispettivi ordinamenti hanno disciplinato compiutamente la licenza obbligatoria consentita dall'Organizzazione mondiale del commercio, ossia hanno previsto una norma che consente ai Governi di superare la tutela brevettuale;

    con questa deroga, i centri di ricerca avrebbero la possibilità di condividere la conoscenza scientifica e accelerare le collaborazioni per lo sviluppo di nuovi prodotti per combattere il virus, a costi inferiori, anche per i Paesi a basso reddito;

    il decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30 – Codice della proprietà industriale – disciplina i diritti di proprietà industriale e, all'articolo 141, contempla l'espropriazione dei diritti di proprietà industriale da parte dello Stato nell'interesse della difesa militare del Paese o per altre ragioni di pubblica utilità; l'espropriazione può essere limitata al diritto di uso per i bisogni dello Stato, fatte salve le previsioni in materia di licenze obbligatorie in quanto compatibili; il medesimo decreto legislativo, all'articolo 70, disciplina inoltre la licenza obbligatoria per mancata attuazione, ma indica una tempistica che non appare essere compatibile con la pandemia in corso;

    l'espropriazione, ai sensi del sopra citato Codice della proprietà industriale, è disposta con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro competente, di concerto con i Ministri dello sviluppo economico e dell'economia e delle finanze, sentito il Consiglio dei ministri, e nel decreto di espropriazione è fissata l'indennità spettante al titolare del diritto di proprietà industriale;

    l'implementazione del codice della proprietà intellettuale è pertanto una strada percorribile e doverosa al fine di autorizzare, temporaneamente, la concessione di licenze obbligatorie in caso di emergenze sanitarie nazionali, in modo da consentire la produzione di medicinali e dispositivi medici considerati indispensabili per il benessere e la salute dei cittadini;

    sarebbe auspicabile che la licenza obbligatoria per i medicinali possa essere concessa su proposta del Ministro della salute, mediante definizione dei medicinali ritenuti essenziali da parte dell'Agenzia italiana del farmaco, sentito il titolare dei diritti di proprietà intellettuale, ovvero mediante definizione dei dispositivi medici ritenuti essenziali da parte dell'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, sentito il titolare dei diritti di proprietà intellettuale;

    in data 2 dicembre 2020, è stata approvata, in Assemblea alla Camera dei deputati, la risoluzione di maggioranza n. 6-00158 che ha impegnato il Governo pro tempore, tra gli altri compiti, ad adoperarsi in seno all'Unione europea affinché l'Organizzazione mondiale del commercio deroghi per i vaccini anti COVID-19 al regime ordinario dell'Accordo TRIPs sui brevetti o su altri diritti di proprietà intellettuale, per garantire l'accesso gratuito e universale ai vaccini;

    negli ultimi mesi sono diversi gli appelli del mondo scientifico che richiedono al Governo italiano di attivarsi per utilizzare lo strumento delle licenze obbligatorie per il vaccino anti COVID-19;

    a tal proposito, Silvio Garattini, presidente e fondatore dell'Istituto di ricerche farmacologiche «Mario Negri», in un articolo su Quotidiano Sanità ha affermato che è necessario «verificare a livello europeo tutti gli stabilimenti che possono produrre i 3 vaccini già autorizzati, rafforzandone eventualmente le capacità produttive. E se vi fossero difficoltà ricorrere alla sospensione temporanea del brevetto utilizzando licenze obbligatorie»;

    sul tema si è espresso anche Gino Strada, fondatore di Emergency, affermando che «perché il vaccino sia disponibile per il maggior numero di persone è indispensabile aumentare la produzione e abbassare i prezzi: un risultato che potrebbe essere raggiunto se le regole che tutelano la proprietà intellettuale venissero – almeno temporaneamente – sospese o se le farmaceutiche concedessero licenze ad aziende terze»;

    come riferito da Riccardo Palmisano, presidente Assobiotec, in un articolo pubblicato il 22 febbraio 2021 su Il Fatto Quotidiano, nel nostro Paese ci sono società con competenze di alto livello «nel settore delle terapie avanzate, dove l'Italia che pure ha fatto parte dell'avanguardia in Europa nella messa a punto delle prime terapie, non ha oggi una capacità produttiva correlata al suo potenziale, nonostante la presenza di eccellenze come Holostem a Modena, Agc biologics a Bresso o l'Ospedale Bambino Gesù di Roma, con il suo “bioreattore” (fondamentale per produrre vaccini a Rna). La fotografia del settore dice che su più di 230 società di terapie geniche, cellulari e rigenerativa in Europa, solo 8 sono italiane e nessuna di queste è preparata, nell'immediato, con bioreattori per la produzione di vaccini a Rna. Se l'Italia vuole essere competitiva nel settore della produzione biofarmaceutica e sfruttare eccellenza delle maestranze e costo del lavoro contenuto deve fare adesso un deciso salto di qualità»;

    i 50 Paesi più ricchi hanno acquistato il 60 per cento delle dosi disponibili di Pfizer, Moderna e AstraZeneca e, nonostante i finanziamenti per i vaccini anti COVID-19 siano pubblici, i brevetti per la loro produzione restano privati; così facendo la copertura vaccinale rischia di rimanere troppo limitata e a farne le spese saranno, ovviamente, anche i Paesi più poveri;

    aumentare la produttività dei vaccini significa pertanto aumentare, anche a livello mondiale, la capacità di reazione di tutti i Paesi, anche quelli che ad oggi non hanno dosi sufficienti di vaccini e medicinali per combattere il COVID-19;

    se l'epidemia non sarà contenuta in tutti i Paesi del mondo ci saranno sempre dei reservoirs di virus che, libero di diffondersi, muterà rapidamente rendendo vano qualunque sforzo compiuto per arginare la pandemia; l'obiettivo primario, quindi, è il contenimento della diffusione virale non solo nei Paesi maggiormente dotati di risorse, ma anche e soprattutto in quei Paesi dove le disponibilità economiche non consentono il tracciamento, il sequenziamento e il blocco della diffusione del virus stesso;

    la rimozione dei brevetti e di altri ostacoli è fondamentale per garantire che vi siano sufficienti fornitori a produrre e distribuire vaccini e farmaci anti-COVID a prezzi accessibili e in regime di libera concorrenza;

    appare necessario che il Ministero della salute avvii una ricerca di stabilimenti produttivi sul territorio italiano per rendere operativa una maggiore produzione nel nostro Paese,

impegna il Governo:

1) ad intraprendere, in seno alle competenti sedi decisionali europee, ogni possibile iniziativa al fine di promuovere e sollecitare la necessità di iscrivere il regime di licenze obbligatorie all'interno di un'azione più ampia dell'Unione europea per affrontare la questione dell'accesso ai medicinali, in conformità all'approccio comune e alla strategia globale dell'Unione europea nella lotta al COVID-19;

2) a farsi promotore, in sede europea, di proposte di modifica riguardo ai termini e alle condizioni sulle restrizioni derivanti dai diritti di proprietà intellettuale, compresi i brevetti, affinché non rappresentino, in una situazione di pandemia e di difficoltà economica, un ostacolo all'accessibilità e alla distribuzione diffusa di qualsiasi futuro vaccino o trattamento contro il COVID-19, consentendo così la massima condivisione possibile di conoscenze, proprietà intellettuale e dati relativi alle tecnologie sanitarie, a beneficio di tutti i Paesi e di tutti i cittadini;

3) a disciplinare nell'ordinamento italiano, nella prima iniziativa normativa utile e in maniera compiuta, la licenza obbligatoria normata dall'Organizzazione mondiale del commercio, al fine di consentire al nostro Paese di superare con celerità la tutela brevettuale dinanzi a circostanze eccezionali, com'è il caso della pandemia COVID-19, garantendo che siano esplicitati i termini temporali e geografici di suddetta sospensione della licenza brevettuale;

4) ad avviare – tramite il Ministero della salute, coadiuvato da Agenzia italiana del farmaco e d'intesa con le regioni – una ricerca di stabilimenti produttivi per la produzione di vaccini contro il COVID-19 nel territorio italiano;

5) a valutare l'opportunità, nella prima iniziativa utile, anche attraverso un investimento pubblico strategico, di rafforzare la capacità produttiva e tecnologica delle aziende presenti sul territorio italiano nell'ottica di garantire, nel più breve tempo possibile, la produzione di mRna per i vaccini nonché dei medicinali e dei dispositivi medici ritenuti essenziali da parte dell'Agenzia italiana del farmaco, anche attraverso un adeguamento degli impianti esistenti.
(1-00423) «Ianaro, Grillo, Provenza, Sportiello, D'Arrando, Lorefice, Mammì, Nesci, Nappi, Ruggiero, Villani, Troiano».

(23 febbraio 2021)

   La Camera,

   premesso che:

    i leader dell'Unione europea nel Consiglio europeo che si è svolto il 25-26 febbraio 2021, a fronte dei ritardi nelle consegne già contrattualizzate con Astrazeneca e Moderna, hanno concordato la necessità di accelerare con urgenza l'autorizzazione, la produzione, la distribuzione dei vaccini e di velocizzare la campagna di vaccinazione, nonché di potenziare la capacità di sorveglianza, intensificando gli sforzi per collaborare con l'industria e gli Stati membri, al fine di aumentare la produzione di vaccini e adeguarli alle nuove varianti;

    ad oggi la strategia europea sulla campagna di vaccinazione ha prodotto scarsi risultati, tenendo conto che meno del 5 per cento degli europei è stato vaccinato e che, nell'ambito delle quote redistribuite, una dose di vaccino su tre non è ancora utilizzata, secondo quanto affermato di recente dallo stesso Thierry Breton, Commissario europeo al mercato interno che guida la task force per aumentare la capacità produttiva dei vaccini nell'ambito dell'Unione europea;

    occorre superare la posizione timida, sia della Commissione europea che degli Stati membri, verso le grandi aziende produttrici di vaccini che producono in Europa ed esportano fuori dall'Unione europea, ritardando le consegne già contrattualizzate con la Commissione; in tal senso, è da accogliere positivamente la recente decisione del nostro Paese di bloccare le esportazioni di 250 mila dosi di Astrazeneca assemblate in Italia e destinate all'Australia, dando seguito all'orientamento espresso dal Presidente Draghi in sede di Consiglio dell'Unione europea, in applicazione del recente regolamento europeo in materia;

    è necessario scongiurare ulteriori errori, ritardi e scarsi risultati sulla strategia vaccinale, che incentivano la moltiplicazione di iniziative unilaterali non concordate, minando sempre di più la solidarietà europea, in uno scenario di rischio che vede il continente europeo sempre più schiacciato dalle potenze globali in azione, per un uso geopolitico dei vaccini, dai quali dipende la principale scommessa per superare la crisi sanitaria ed economica. La sfida sui vaccini è una competizione a livello internazionale: dall'approvvigionamento dei vaccini e dalla tempestività della campagna vaccinale dipenderà la ripresa anche in termini economici, pena il declassamento del continente in un prossimo futuro;

    il Presidente Draghi, in occasione del suo discorso di insediamento in Parlamento, ha sottolineato come scienza, salute e sostenibilità vadano di pari passo e che questa è una sfida nella quale l'urgenza sui vaccini, su scala nazionale ed europea, si innesta con politiche di lungo periodo;

    nell'ambito di una necessaria rinnovata strategia vaccinale, il Consiglio europeo di febbraio 2021 ha, inoltre, concordato la necessità di un approccio e di un piano comune sui certificati di vaccinazione, con la realizzazione di un Green pass digitale europeo entro l'estate;

    si è aperto un grande dibattito in sede di Unione europea circa la necessità di un green pass digitale europeo e su come debba essere configurato e usato, con opinioni diversificate da parte degli Stati membri, che evidenziano la stretta connessione tra il tema dell'accelerazione della campagna vaccinale e quello di un passaporto europeo;

    la Commissione europea presenterà a breve (17 marzo 2021) una proposta per un «passaporto verde» per i vaccini dell'Unione europea; un pacchetto incentrato sui viaggi e sulla revoca delle restrizioni per una riapertura comune sicura;

    il Vicepresidente dell'esecutivo comunitario, Margaritis Schinas, al termine della recente videoconferenza dei Ministri della salute dell'Unione europea, ha chiarito che il «Digital green pass» fornirà una prova della vaccinazione per la persona in possesso del documento, con i risultati dei test effettuati da coloro che ancora non si sono potuti sottoporre al vaccino COVID-19 ed eventuali informazioni sulla guarigione dal Coronavirus, avendo cura di sottolineare: «senza comportare discriminazioni tra chi ha effettuato la vaccinazione e chi no»;

    la Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha sottolineato come il nuovo documento rispetterà la protezione dei dati, la sicurezza e la privacy e faciliterà la vita degli europei allo scopo di consentire gradualmente ai cittadini di muoversi in sicurezza nell'Unione europea o all'estero, per lavoro o per turismo;

    il passaporto vaccinale ha precedenti importanti nella storia e un suo impiego secolare; basti pensare alle «Fedi di sanità» o alle «Fedi di salute marittime», che certificavano la provenienza di persone, animali e merci, antesignani dei moderni certificati sanitari, durante le secolari epidemie di peste; stando all'attualità, i precedenti sono rinvenibili nei certificati dell'Organizzazione mondiale della sanità, che permettono di viaggiare, previa vaccinazione, in taluni Paesi afflitti dalla febbre gialla;

    i 27 Paesi dell'Unione europea dovranno, dunque, accelerare il processo per definire un protocollo comune e un sistema digitale valido in tutta Europa per permettere ai cittadini dotati di passaporto vaccinale di viaggiare più liberamente. La proposta è partita dal Primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis il 12 gennaio 2021, anche se all'interno dell'Unione europea ci si divide tra i Paesi che lo adotterebbero subito ed altri che creano resistenze, considerando tale certificato come discriminatorio;

    la questione dell'introduzione del passaporto vaccinale è, infatti, delicata sotto il profilo del bilanciamento tra l'interesse alla ripresa dei settori economici e la garanzia dei diritti individuali, affinché siano evitati discriminazioni, uso improprio ai fini delle privacy e la non sufficiente tutela da frodi e abusi, nell'ambito di realtà sempre più complesse;

    pur avendo tutti i passaporti vaccinali un potenziale nel bloccare le persone dall'accesso a beni e servizi essenziali ed escludere coloro che mancano di identificazione o non possiedono o non possono permettersi uno smartphone, tuttavia è possibile prefigurare ed istituire un certificato di vaccinazione con regole semplici, per un tempo determinato in relazione al periodo di immunizzazione dei vaccini quale individuato dalla comunità scientifica, con una regolamentazione che eviti forme di discriminazione per chi ne sarà sprovvisto; in tal senso, il Commissario europeo alla giustizia, Didier Reynders, ha suggerito che anche chi non si è sottoposto all'immunizzazione possa continuare a muoversi, avvalendosi dei test e delle quarantene, escludendo dunque l'idea di una limitazione alla circolazione sulla base della certificazione vaccinale; inoltre, come alcuni Stati ipotizzano, potrebbe essere rilasciata una versione cartacea del passaporto vaccinale per coloro che non dispongano di uno smartphone;

    la Commissione europea sta lavorando, inoltre, anche con organismi internazionali come Organizzazione mondiale della sanità, Ocse e Iata, per far sì che il «green pass» venga riconosciuto al di fuori dell'Unione europea, cercando di non subire «decisioni assunte altrove» con riferimento ai programmi di alcuni colossi digitali, affinché vi sia l'adozione di una certificazione dell'avvenuta vaccinazione contro il Coronavirus, da parte dell'Organizzazione mondiale della sanità. David Nabarro, inviato speciale su COVID-19 per l'Organizzazione mondiale della sanità, prevede che in futuro verrà introdotto un documento che attesti l'immunità. La Presidente von der Leyen ha aperto all'idea, sostenendo che la proposta andrà discussa non appena esisterà un certificato vaccinale riconosciuto dall'Organizzazione mondiale della sanità stessa; è evidente la necessità di standard globali come il certificato di vaccinazione intelligente dell'Organizzazione mondiale della sanità;

    occorrerà soppesare i diritti umani e la protezione dei dati contro il dovere di cura e la libertà commerciale di agire e, in tale direzione, si potranno rendere obbligatori i passaporti dei vaccini per motivi economici o per proteggere la salute pubblica, evitando un'ingerenza eccessiva da parte delle autorità sul cittadino;

    in relazione al dibattito sul «passaporto verde» in Europa e alla diversa situazione dei Paesi membri, è utile rilevare che:

     a) la Grecia è uno dei Paesi precursori, con la lettera inviata dal Primo ministro greco a Ursula von der Leyen e con la firma di un accordo con Israele, al fine di far circolare liberamente i turisti vaccinati tra i due Paesi;

     b) la Francia, il Belgio e la Germania al momento sono i Paesi più «attendisti», propensi a rinviare la decisione tra qualche mese, in considerazione della mancanza di un obbligo vaccinale e in attesa di risultati più consistenti circa il numero di vaccinati; in particolare, la Ministra degli esteri e Vice Premier belga Sophie Wilmès ha espresso preoccupazioni relative al rischio discriminazione, dal momento che non è garantito un accesso universale ai vaccini. La Germania appare divisa tra chi vorrebbe allentare le restrizioni per gli immuni, come il Ministro degli esteri Heiko Maas, e chi invita alla prudenza, come il titolare degli interni Horst Seehofer, secondo il quale distinguere fra vaccinati e non, renderebbe, di fatto obbligatorio il vaccino nel proprio Paese;

    nel nostro Paese non è stato ancora indicato un vero e proprio piano in merito ai certificati di vaccinazione. Va segnalato, tuttavia, che: a) la Federazione nazionale dell'industria dei viaggi e del turismo del sistema Confindustria ha invitato il Governo italiano ad accelerare l'implementazione della vaccinazione nazionale, anche al fine di rilasciare certificati a coloro che saranno, o sono stati, sottoposti al vaccino contro il virus, segnalando che dopo dieci mesi di inattività l'industria turistica italiana ha necessità di ripartire, sollecitando il Governo a trovare soluzioni compatibili, come il rilascio di certificati di vaccinazione per i viaggi; b) il certificato vaccinale, da istituire entro la metà di marzo 2021, è stato annunciato dalla regione Lazio, anticipando una soluzione, nelle more di una disciplina a livello nazionale e a livello europeo, secondo cui tutti i cittadini vaccinati potranno scaricare on line il certificato vaccinale dal fascicolo sanitario elettronico di ogni residente, un certificato in doppia lingua, nel quale verrà segnalata la doppia somministrazione e l'attestazione con la tecnologia QRcode;

    nell'ambito del dibattito brevemente descritto, rilevano anche posizioni e interessi degli attori privati e le raccomandazioni delle organizzazioni internazionali, come quella dell'Associazione delle compagnie aeree (Iata) che richiedono al più presto l'introduzione del «passaporto verde»,

impegna il Governo:

1) ad attivarsi nelle competenti sedi europee in favore dell'istituzione di un passaporto vaccinale UeB (green pass digitale europeo) che diventi operativo entro pochi mesi, in concomitanza con la necessità di imprimere avanzamenti e accelerazioni della campagna vaccinale, anche allo scopo di facilitare i viaggi per lavoro e per turismo in ambito europeo;

2) a sostenere un sistema di «passaporto verde» che fornisca la prova sia della vaccinazione che dei risultati del test COVID-19, con carattere di eventuale temporaneità sulla base della durata delle relative immunizzazioni, nel rispetto della protezione dei dati, della sicurezza, della privacy e del principio di non discriminazione, con riguardo alla libertà di circolazione, tra vaccinati e non vaccinati, i quali potranno avvalersi di test e quarantene;

3) a lavorare in tutte le sedi sovranazionali, anche in vista del summit globale per la salute (Global health summit) che si terrà a Roma nel mese di maggio 2021 e in considerazione dell'attuale Presidenza italiana del G20, affinché il passaporto vaccinale dell'Unione europea sia coerente con gli standard internazionali e riconosciuto al di fuori dell'Unione europea, avendo particolare riguardo alle decisioni da concordare (e non subire) nell'ambito di organismi internazionali come Organizzazione mondiale della sanità, Ocse e Iata per il riconoscimento dei certificati vaccinali;

4) a valutare, in tutte le sedi europee e internazionali competenti, l'esigenza di un passaporto vaccinale internazionale che risponda alle seguenti caratteristiche: a) soddisfare i parametri di riferimento per l'immunità COVID-19; b) rispettare le differenze tra i vaccini nella loro efficacia e i cambiamenti nell'efficacia del vaccino contro le varianti emergenti; c) essere conforme agli standard internazionali; d) avere credenziali verificabili; e) avere usi definiti; f) essere basato su una piattaforma di tecnologie interoperabili; g) essere sicuro per i dati personali; h) essere portatile; i) essere accessibile a individui e Governi; l) rispettare gli standard legali; m) rispettare gli standard etici; n) avere condizioni di utilizzo comprese e accettate dai titolari del passaporto;

5) a proseguire con fermezza l'indirizzo, appena avviato, in favore di un'autosufficienza europea tecno-scientifica in ambito farmaceutico e bio-medicale, anche mediante la promozione di un consorzio pubblico-privato per la produzione di vaccini che tenga conto delle specializzazioni e delle eccellenze degli Stati membri;

6) ad adottare iniziative per rafforzare le capacità nazionali di partecipazione (anche parziale) alla produzione dei vaccini nell'ambito dell'Unione europea ed extra-Unione europea, insieme alla produzione futura di vaccini italiani, con la creazione di un polo nazionale per la ricerca di farmaci e vaccini, allo scopo di rafforzare il contrasto al COVID-19, con le nuove varianti che pongono ulteriori sfide, e di prevenire future crisi pandemiche.
(1-00428) «Rossello, Occhiuto, Valentini, Mandelli, Battilocchio, Marrocco, Pettarin, Ruggieri, Elvira Savino, Cosimo Sibilia, Saccani Jotti, Baldini».

(10 marzo 2021)

MOZIONE CONCERNENTE INIZIATIVE
A SOSTEGNO E TUTELA DELLE DONNE

   La Camera,

   premesso che:

    a quasi un anno dalla comparsa della pandemia in Italia, diversi studi e analisi mettono in evidenza il peso che le differenze di genere hanno avuto sugli impatti sociali, economici e sanitari del COVID-19;

    nello specifico, il virus Sars-CoV-2 ha colpito in modo particolare le donne che si sono ritrovate esposte su molteplici fronti, come quello economico, familiare e sanitario;

    nel settore dell'occupazione, le donne hanno pagato, più di tutte le altre categorie, le ripercussioni derivanti dall'epidemia ancora in corso: secondo l'ultimo report Istat sul lavoro, reso noto il 1° febbraio 2021, nell'ultimo mese del 2020 ci sono stati 101 mila occupati in meno e di questi 99 mila sono donne;

    i dati mostrano una situazione allarmante, tanto che dei 444 mila occupati in meno registrati in Italia in tutto il 2020, il 70 per cento è costituito da donne;

    nel dettaglio, il solo mese di dicembre 2020 mostra rispetto a novembre 2020 una dinamica decisamente diversa tra donne e uomini: per le prime cala il tasso di occupazione (-0,5 punti) e cresce quello di inattività (+0,4 punti), per i secondi la stabilità dell'occupazione si associa al calo dell'inattività (-0,1 punti);

    non può sottacersi il fatto che le misure del cosiddetto lockdown, adottate per combattere la pandemia, hanno avuto un impatto significativo nei settori economici con un'alta presenza femminile e sulle professioni svolte in prevalenza da donne, che hanno inoltre visto aumentare il carico della cura dei figli a causa della chiusura delle scuole e degli asili nido, con conseguenze particolari soprattutto per le madri lavoratrici;

    la pandemia sta agendo in un contesto dove la disparità di genere nel settore occupazionale rappresentava una criticità già prima dell'emergenza sanitaria: il Censis fino all'inizio del 2020 rilevava che le donne rappresentano circa il 42 per cento degli occupati complessivi del Paese e il tasso di attività femminile era intorno al 56 per cento, contro il 75 per cento degli uomini;

    la nota dolente del nostro Paese continua infatti a essere l'occupazione, che è la peggiore in tutta Europa: solo il 31,3 per cento delle donne ha un lavoro a tempo indeterminato, contro la media europea del 41,5 per cento, e lo stipendio medio femminile resta uno dei più bassi d'Europa ed è di un quinto inferiore rispetto a quello degli uomini;

    la disparità tra donne e uomini si spiega con la qualità degli impieghi in cui sono maggiormente coinvolte le donne, in media più precari, meno tutelati e sempre più interessati dal ricorso al part time involontario, cioè a un part time imposto dal datore di lavoro, come confermano i dati Istat;

    le donne, in Italia, hanno anche molte meno prospettive di carriera rispetto al resto del continente: il Career prospects index dell'Eige, che valuta l'autonomia nel lavoro, le tipologie di contratto, le possibilità di avanzamento di carriera e la probabilità di essere licenziate in caso di ristrutturazione aziendale, assegna al nostro Paese un punteggio di 52 su 100, contro la media europea di 64;

    secondo l'ultimo Global gender gap report 2020 del World economic forum ci vorranno 99,5 anni per raggiungere la parità tra uomini e donne e per la parità a livello di accesso alla partecipazione economica 257 anni;

    a ciò si aggiunga che i dati del World economic forum dimostrano che, se nel 2018 l'Italia aveva raggiunto il 70esimo posto (dall'82esimo posto del 2017), nel 2019 è scivolata al 76esimo posto su 153 Paesi;

    da un'analisi dei dati il problema si registra principalmente in merito alle opportunità e sulla partecipazione alla vita economica, a cui fa seguito la disparità di trattamento salariale che relega l'Italia al 125esimo posto in una lista di 153 Paesi;

    a ciò si aggiunga che sull'Italia pesa anche il divario salariale tra uomini e donne;

    a parità di livello e di mansioni, tanto che più le donne studiano, più aumenta il divario: se un laureato uomo guadagna il 32,6 per cento in più di un diplomato, una laureata guadagna solo il 14,3 per cento in più;

    le difficoltà si rintracciano nei posti di lavoro in cui sono maggiormente rappresentate le donne – nel commercio al dettaglio e nel settore impiegatizio – più penalizzati dalla progressiva automazione, mentre non rientrano in quelle professioni dove la crescita dei salari è stata più significativa (nel settore Stem in particolare);

    oltre ad avere difficoltà nell'accesso al mercato del lavoro, le donne scontano anche le problematiche legate al bilanciamento vita-lavoro: a livello globale, il lavoro di cura non retribuito è svolto per il 75 per cento dalle donne, che vi dedicano dalle tre alle sei ore al giorno, mentre il numero di donne che lavorano part time è il 32,9 per cento del totale delle occupate;

    il gender pay gap cresce al diminuire della categoria contrattuale ed è più alto fra impiegati e operai, che tra dirigenti e quadri: a parità di inquadramento contrattuale, le donne hanno sempre una retribuzione inferiore rispetto ai colleghi uomini;

    una donna guadagna meno di un collega maschio sia a parità di ruolo professionale che a parità di settore d'impiego: da un'analisi statistica condotta da Jobpricing, nel 77,8 per cento dei casi gli uomini hanno retribuzioni superiori alle donne e questa situazione è estesa a tutti i settori professionali;

    ancora oggi, purtroppo, per molte donne lavorare e formare una famiglia rimangono due percorsi paralleli e spesso incompatibili: per questo una donna occupata su tre (il 32,4 per cento, cioè più di 3 milioni di lavoratrici) ha un impiego part time (nel caso degli uomini questa percentuale si riduce all'8,5 per cento), che molto spesso viene scelto per mancanza di alternative da circa due milioni di lavoratrici ed è involontario per il 60,2 per cento delle donne che, invece, lo richiede;

    sono quasi 6 milioni le donne italiane che hanno figli minori e che allo stesso tempo lavorano e tra quelle occupate con almeno tre figli quasi 1,3 milioni lavora a tempo pieno e 171.000 (l'85 per cento del totale delle occupate) sono dirigenti, quadri o imprenditrici;

    è necessario insistere con l'adozione di misure strutturali volte a favorire la creazione di un quadro certo su cui le donne possano fare affidamento per la costruzione del loro progetto di vita;

    in questa prospettiva, due sembrano le criticità sulle quali è doveroso operare in maniera strutturale e di lungo periodo: il problema dei carichi familiari e la scarsa copertura dei servizi di asili nido e di scuole per l'infanzia, attuando politiche della famiglia indirizzate alla piena possibilità di armonizzare la vita familiare con la vita sociale, lavorativa e relazionale, affinché l'indispensabile sostegno al contrasto alla denatalità possa svilupparsi anche attraverso l'implementazione di politiche di conciliazione dei tempi di lavoro con quelli della famiglia e di strategie family friendly;

    secondo l'Istat le donne presentano, infatti, una maggiore quota di sovraccarico tra impegni lavorativi e familiari: più della metà delle donne occupate (54,1 per cento) svolge oltre 60 ore settimanali di lavoro retribuito e familiare (46,6 per cento nel caso degli uomini);

    la presenza di forti carichi familiari si riverbera in modo decisivo sulla partecipazione delle donne al mercato del lavoro in ogni suo segmento: dall'ingresso alla progressione di carriera;

    un altro dato assolutamente degno di nota è quello che riguarda la copertura territoriale dei servizi di asili nido e di scuole per l'infanzia e le relazioni che intercorrono fra questo aspetto e l'occupazione femminile;

    la copertura dei servizi di asilo nido e di scuola per l'infanzia nel nostro Paese è scarsa: la media nazionale dei bambini che ne fruiscono è del 20 per cento, con riduzioni drastiche al Meridione, pari al 7 per cento circa dei bambini, a fronte di una media europea del 40 per cento circa;

    la scarsa partecipazione femminile è legata in buona parte all'incapacità delle politiche italiane di welfare e del lavoro di conciliare i tempi della vita lavorativa e familiare, come peraltro si sta verificando dall'inizio della pandemia: si è innescato un circolo vizioso per cui la conciliazione lavoro e vita privata è complicata e il reddito medio delle famiglie non è adeguato per domandare servizi privati per l'infanzia, soprattutto nel Mezzogiorno, dove la «divisione del lavoro» all'interno delle famiglie è fortemente dicotomica per genere e la partecipazione femminile al mercato del lavoro patologicamente bassa;

    l'accesso delle donne alle posizioni apicali resta ancora molto basso, soprattutto nelle aziende private: secondo dati Istat del 2019 la percentuale di dirigenti donna è del 32 per cento, quella dei quadri il 46 per cento;

    a tal proposito il principio della parità di genere ha avuto un significativo riconoscimento con la cosiddetta legge Golfo-Mosca (legge n. 120 del 2011), la cui efficacia è stata prorogata dal decreto-legge n. 124 del 2019 e modificata dalla legge di bilancio per il 2020 con cui è stata aumentata, per le società quotate in borsa, la quota da riservare al genere meno rappresentato da un terzo (30 per cento) a due quinti (40 per cento);

    si tratta di una battaglia bipartisan proseguita nella XVIII legislatura, che ha avuto il merito di cambiare in modo decisivo l'atteggiamento degli operatori di mercato nei confronti del gender board diversity; la vigenza della legge citata è utile per permettere a quelle donne che stanno maturando esperienze nella governance di società quotate di conseguire gli skill professionali necessari per accedere anche a ruoli apicali esecutivi o di massima rappresentatività;

    l'Istat, nel suo Rapporto sul mercato del lavoro 2020 frutto della collaborazione tra Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Istat, Inps, Inail e Anpal, evidenzia i molteplici effetti negativi occupazionali prodotti dalla pandemia, sottolineando come le peggiori conseguenze stiano ricadendo su donne e giovani che hanno subito le maggiori perdite occupazioni, poiché in larga parte interessati da lavori temporanei;

    la Commissione lavoro pubblico e privato della Camera dei deputati ha avviato, sul tema della parità salariale, dell'occupazione e dell'imprenditoria femminile, l'esame di alcune proposte di legge che intervengono sulla materia e delle quali si auspica una rapida approvazione;

    la questione della parità salariale e occupazionale tra donne e uomini assume una rilevanza strategica anche in riferimento alla violenza domestica, soprattutto in quei casi in cui le donne che hanno subito violenza non trovano il coraggio di denunciare le violenze subite nel timore di non trovare una propria autonomia anche dal punto di vista economico;

    a ciò si aggiunga che nelle fasi più acute della pandemia si è registrato un preoccupante quanto allarmante incremento di episodi di violenza domestica nei confronti dei più fragili e, in particolare, delle donne;

    purtroppo, la violenza sulle donne è una piaga che non arresta a fermarsi e l'emergenza sanitaria ha creato e amplificato le tensioni familiari senza considerare che la chiusura in casa per alcuni mesi, necessaria per rallentare la diffusione del COVID-19, ha peggiorato le situazioni di abuso domestico; gli ultimi dati Istat rilevano come il 31,5 per cento delle donne dai 16 a 70 anni ha subito nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale: il 20,2 per cento ha subito violenza fisica, il 21 per cento violenza sessuale, il 5,4 per cento le forme più gravi della violenza sessuale come lo stupro e il tentato stupro;

    dall'indagine dell'Istat, che ha analizzato i dati dei servizi dello Stato per combattere la violenza di genere, è emerso che nel periodo del lockdown (marzo-giugno 2020) le telefonate al 1522 e le richieste di aiuto via chat sono passate da 6.956 a 15.280 rispetto allo stesso trimestre del 2019, con un aumento del 119,6 per cento;

    uno degli aspetti più rilevanti nell'analisi Eures riguarda la «correlazione tra convivenza e rischio omicidio», considerato che il più delle volte il femminicidio è un reato commesso all'interno delle mura domestiche e segnatamente all'interno della coppia;

    in valori assoluti, nel confronto tra i dieci mesi del 2019 e il medesimo periodo del 2020, il numero dei femminicidi familiari con vittime conviventi sale da 49 a 54 (+10,2 per cento), mentre contestualmente scende da 36 a 26 quello delle vittime non conviventi (-27,8 per cento);

    nella maggior parte dei casi gli autori dei crimini così efferati sono soprattutto il partner attuale (nel 58,4 per cento dei casi), l'ex partner (15,3 per cento) e un familiare, come un genitore a un figlio (18,8 per cento);

    dal punto di vista economico, il monitoraggio operato da Actionaid sui fondi antiviolenza nazionali ripartiti tra le regioni ha rilevato che solo il 10 per cento dei fondi del 2019, nonostante la pandemia, siano arrivati direttamente ai centri antiviolenza per rispondere ai nuovi bisogni delle strutture di accoglienza;

    nonostante il 2 aprile 2020 il Ministro competente abbia siglato il decreto per la procedura accelerata di trasferimento delle risorse per il 2019, prevedendo la possibilità di usare i fondi destinati al Piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere, ai sensi della legge 15 ottobre 2013, n. 119, per coprire le spese dell'emergenza sanitaria, a distanza di sei mesi dall'incasso delle risorse, solo cinque regioni hanno erogato i fondi (Abruzzo, Friuli-Venezia Giulia, Lombardia, Molise e Veneto);

    la situazione non sembra migliorare rispetto agli anni precedenti: al 15 ottobre 2020 solamente il 72 per cento delle risorse per il 2015-2016 è stato liquidato dalle regioni, il 62 per cento di quelle del 2017 e il 39 per cento per il 2018: nonostante le regioni negli ultimi tre anni abbiano fatto qualche passo in avanti, i fondi mettono ancora dai 10 ai 12 mesi per arrivare direttamente nelle casse dei centri antiviolenza;

    a ciò si aggiunga che il Piano nazionale antiviolenza 2017-2020, che ha terminato di produrre i suoi effetti dal dicembre 2020, ha mostrato la sua incompletezza: le risorse effettivamente impegnate non sono sufficienti a coprire le azioni programmate, ma ancor più grave è la poca trasparenza che non consente di verificare se esse siano realmente spese;

    dalle ultime rilevazioni dell'Istat emerge un'evidente carenza delle case rifugio sull'intero territoriale nazionale, tanto che sono circa 272 quelle attive in Italia, pari a 0,04 case per 10 mila abitanti (232 nel 2017);

    la loro presenza è molto differenziata nel territorio: il 36 per cento delle case rifugio è attiva nel Nord-Est, in particolare nel Friuli-Venezia Giulia e in Emilia-Romagna, il 32,4 per cento nel Nord-ovest, con la Lombardia che da sola conta 57 case rifugio attive, e il 17,1 per cento al Centro Italia, con la Toscana in cui sono presenti 21 case rifugio a fronte delle sole 6 dislocate in tutto il Lazio. Nelle altre regioni la presenza di case rifugio è molto più bassa;

    l'89,6 per cento delle case che hanno partecipato all'indagine Istat aderisce a una rete territoriale antiviolenza, il 4,1 per cento non vi aderisce e un restante 6,3 per cento non aderisce perché nel 2018 questa rete non esisteva sul proprio territorio; in particolare, tutte le case rifugio del Nord-Ovest, l'87,5 per cento di quelle del Nord-Est, il 92,1 per cento di quelle del Centro Italia e il 90 per cento di quelle attive nelle Isole aderiscono a una rete territoriale per contrastare la violenza contro le donne;

    una forma di violenza molto diffusa e difficile da riconoscere, esplicitamente citata nella Convenzione di Istanbul, è la violenza economica. Una delle ragioni per cui le donne faticano a denunciare le violenze subite nello stesso ambito familiare sono le difficoltà economiche legate a percorsi di fuoriuscita dalla relazione, soprattutto quando il partner detiene il controllo completo sulle finanze e sulle risorse familiari, cosicché molte donne, nel momento della denuncia nei confronti del partner, rischiano di perdere la casa senza più alcuna risorsa economica;

    il rapporto del Gruppo di esperti del Consiglio d'Europa contro la violenza nei confronti delle donne (Grevio) esorta le autorità ad adottare maggiori misure per proteggere le donne dalla violenza: il documento valuta l'attuazione da parte dell'Italia della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, nota come «Convenzione di Istanbul», e, nel riconoscere i progressi compiuti per promuovere i diritti delle donne in Italia, il rapporto sottolinea che la causa dell'uguaglianza di genere incontra ancora resistenze nel Paese e che sta emergendo una tendenza a reinterpretare e riorientare la nozione di parità di genere in termini di politiche per la famiglia e la maternità;

    a ciò si aggiunga che le donne con disabilità rimangono troppo spesso ai margini: non solo la loro condizione è peggiore rispetto a quella delle donne non disabili, ma lo è anche rispetto a quella degli uomini con disabilità;

    ancora oggi, prendendo in considerazione la popolazione compresa tra i 15 e i 64 anni, risulta occupato solo il 31,3 per cento di coloro che soffrono di gravi limitazioni (26,7 per cento tra le donne e 36,3 per cento tra gli uomini) contro il 57,8 per cento delle persone senza limitazioni; a livello territoriale il dato peggiore è quello del Mezzogiorno, dove solo il 18,9 per cento delle persone con disabilità è occupato;

    appare necessario e non più procrastinabile dare finalmente piena attuazione alla Convenzione Onu del 2006 sui diritti delle persone disabili per quanto attiene all'inclusione lavorativa delle persone con disabilità, al fine di garantire i diritti di uguaglianza e di inclusione sociale di tutti i cittadini con disabilità;

    la differenza di sesso nella disabilità condiziona anche la prospettiva di accesso alla formazione e di conseguenze anche al lavoro: le bambine e le ragazze con difficoltà, dopo l'obbligo scolastico, spesso non vengono avviate a cicli di istruzione che potrebbero garantire delle posizioni lavorative più elevate;

    per quanto riguarda più propriamente gli interventi di natura legislativa, durante i Governi Berlusconi sono state poste in essere diverse iniziative positive e meritorie nella direzione del rafforzamento delle misure di tutela contro la violenza sulle donne; non ci si può esimere, a tal riguardo, dal dare atto, ad esempio, delle misure poste in essere contro la violenza di genere e lo stalking;

    c'è però ancora molto da fare: benché il 4 marzo 2020 la Camera dei deputati abbia approvato varie mozioni a sostegno delle donne e per contrastare i fenomeni di violenza, ancora oggi mancano interventi concreti volti a dare concreta attuazione a tutti gli impegni profusi nelle mozioni citate;

    eccezion fatta per rarissimi casi virtuosi, ove sia consolidato un lavoro integrato con i servizi specialistici, le donne che subiscono violenza si rivolgono, in prima battuta, ai servizi generali, tra i quali servizi sanitari e il servizio sociale del territorio, e solo di rado ricevono informazioni adeguate sui servizi specializzati, pur essendo espressamente previsto dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119;

    le procure e le forze di polizia, il più delle volte, adottano strumenti informativi per le vittime che si traducono, nella maggior parte dei casi, in una mera riproduzione del contenuto normativo, di difficile comprensione per le vittime, raramente fruibili in una lingua diversa dall'italiano e, ove presenti, disponibili solo nel caso in cui la vittima decide di presentare denuncia/querela;

    ancora oggi, in Italia le donne trovano ancor troppi ostacoli sia con le forze dell'ordine che con professionisti/e dell'ambito sociale e sanitario, dovuti ancora ad una scarsa preparazione e formazione sul fenomeno della violenza, ma soprattutto al substrato culturale italiano, caratterizzato da profondi stereotipi sessisti e diseguaglianze tra i generi, oltre che da pregiudizi nei confronti delle donne che denunciano situazioni di violenza, cui ancora si tende a non credere;

    dal momento in cui una donna trova la forza per denunciare la violenza subita, deve poter contare su un'adeguata assistenza da parte dello Stato che in questa partita gioca un ruolo cruciale;

    su questo tema la XVIII legislatura si è caratterizzata per l'approvazione del cosiddetto «codice rosso» (legge 19 luglio 2019, n. 69), che ha visto l'inserimento in sede parlamentare di numerose proposte provenienti da gruppi di maggioranza e opposizione. Il provvedimento nei suoi punti salienti ha inasprito le pene per i reati di violenza sessuale (da 5-10 anni a 6-12 anni), ha introdotto il reato di sfregio del volto punito con 14 anni di reclusione, ha previsto per la violenza su bambini fino a 24 anni di carcere, ha previsto una corsia preferenziale per le denunce, indagini più rapide sui casi di violenza alle donne e l'obbligo per i pubblici ministeri di ascoltare le vittime entro tre giorni. Ha, inoltre, introdotto il delitto di revenge porn, previsto una fattispecie specifica di reato, diretta a punire la «costrizione o induzione al matrimonio mediante coercizione», l'applicazione di procedure di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici (braccialetto elettronico) nei casi di divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa;

    oltre alle proposte appena citate, è significativa l'approvazione dell'emendamento con cui è stato previsto lo stanziamento di una quota pari a 3 milioni di euro per l'anno 2019 e 5 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2020 da destinare a misure di sostegno e di aiuto economico in favore delle famiglie affidatarie degli orfani per crimini domestici;

    un fenomeno in crescita è quello delle donne che ricevono molestie o minacce sul luogo di lavoro: i dati Istat – basati sulla rilevazione effettuata negli anni 2015-2016 – danno atto che le donne che hanno subito un ricatto sessuale nel corso della loro vita lavorativa sono un milione e 404 mila;

    tali dati rilevano, altresì, che, quando una donna subisce violenza, nell'80,9 per cento dei casi non ne parla con nessuno e che solo la quota dello 0,7 per cento si è rivolta alle forze di polizia;

    come se non bastasse, ancora oggi la società italiana è caratterizzata da stereotipi di genere radicati e da diffuso sessismo;

    partendo dal presupposto che solo con un profondo mutamento culturale si può raggiungere la parità effettiva tra donne e uomini, sia dal punto di vista sociale sia dal punto di vista economico, è necessario mettere in campo iniziative, anche in sede legislativa, volte a superare le reali necessità delle donne, madri e lavoratrici,

impegna il Governo:

1) ad adottare ogni iniziativa volta a favorire la partecipazione delle donne nel mondo del lavoro e a prevedere misure strutturali di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, anche alla luce delle evidenti difficoltà emerse durante l'emergenza sanitaria ancora in corso;

2) ad adottare opportune iniziative volte a superare le condizioni di organizzazione e distribuzione del lavoro che siano, di fatto, pregiudizievoli per l'avanzamento professionale di carriera ed economico della donna;

3) ad adottare iniziative per colmare il divario retributivo tra donne e uomini, prevedendo sgravi contributivi per incentivare anche la contrattazione di secondo livello, al fine di introdurre, attraverso accordi tra datori di lavoro e lavoratori, misure ad hoc di monitoraggio e di valutazione delle condizioni di lavoro e di retribuzione dei due sessi;

4) a promuovere, per quanto di competenza, interventi permanenti per il potenziamento e la riqualificazione di strutture destinate agli asili nido e alle scuole dell'infanzia;

5) ad adottare iniziative volte ad incrementare l'occupazione femminile come elemento fondamentale di emancipazione e liberazione da ogni tipo di violenza (sessuale, psicologica ed economica), da intendersi soprattutto quale strumento di inclusione sociale;

6) ad adottare tempestivamente iniziative per rendere operativo il nuovo Piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere, al fine di prevenire e contrastare il fenomeno della violenza contro le donne, attraverso l'informazione e la sensibilizzazione della collettività, e di potenziare le forme di assistenza e di sostegno alle donne vittime di violenza;

7) ad assumere le opportune iniziative di competenza al fine di stanziare risorse adeguate destinate alla formazione del personale impiegato nelle strutture di pubblica sicurezza, chiamato ad interagire con le donne che hanno subito maltrattamenti, violenza sessuale, atti persecutori e lesioni aggravate, per incentivare una cultura sociale e giudiziaria orientata alla tutela della vittima;

8) ad adottare le iniziative di competenza per l'istituzione del «soccorso di libertà» quale misura volta al sostegno economico e all'inserimento sociale delle donne vittime di violenza di genere esposte al rischio di emarginazione nella società e nel mondo del lavoro e diretta a favorire, garantendo la loro indipendenza economica, l'autonomia e l'emancipazione delle vittime da ogni forma di sopruso o ricatto, al fine di accedere ai beni essenziali e di partecipare liberamente alla vita sociale;

9) a intraprendere le opportune iniziative al fine di prevedere misure di prevenzione e di sensibilizzazione contro il sessismo e l'utilizzo degli stereotipi che alimentano la vittimizzazione secondaria a tutti i livelli;

10) ad adottare iniziative per rivedere ed adeguare i meccanismi di finanziamento statali, garantendo su tutto il territorio nazionale una presenza delle case rifugio e dei centri antiviolenza sufficiente in linea con i parametri internazionali;

11) a valutare l'opportunità di adottare le iniziative di competenza per prevedere forme di coordinamento e di raccordo tra interventi nazionali e regionali, coinvolgendo le associazioni di donne che offrono servizi specialistici, con allocazione di risorse umane, tecniche e finanziarie adeguate e stabili nel tempo per un'attuazione sistematica ed efficace delle azioni, nonché il monitoraggio e la valutazione del loro impatto;

12) ad adottare ogni iniziativa atta a far emergere il fenomeno delle molestie in ambito lavorativo e favorire al più presto l'adozione di accordi specifici nel settore privato;

13) ad assumere iniziative per promuovere e favorire l'inclusione sociale delle donne con disabilità attraverso un effettivo inserimento nel mercato del lavoro, anche con riguardo ai congedi di maternità e alla flessibilità degli orari, rafforzando la normativa vigente in materia o, se necessario, attraverso ulteriori iniziative normative.
(1-00433) «Polidori, Occhiuto, Valentini, Bagnasco, Baldini, Cappellacci, Cassinelli, Cristina, D'Attis, Giacometto, Giannone, Labriola, Marrocco, Orsini, Palmieri, Perego Di Cremnago, Pettarin, Pittalis, Ripani, Rossello, Rotondi, Saccani Jotti, Sarro, Elvira Savino, Spena, Versace, Vietina».

(19 marzo 2020)

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