XVIII LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 1

PROPOSTA DI LEGGE
D'INIZIATIVA POPOLARE

Abrogazione dell'articolo 3, comma 1, lettera d-bis), del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, recante «Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale»

Presentata alla Camera dei deputati nella XVII legislatura il 14 maggio 2013 e mantenuta all'ordine del giorno ai sensi dell'articolo 107, comma 4, del Regolamento

  Onorevoli Deputati! — L'articolo 31 del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, cosiddetto «decreto Salva Italia», dal 1° gennaio 2012 ha liberalizzato definitivamente, senza eccezioni e in tutto il territorio nazionale, il regime degli orari degli esercizi commerciali e di somministrazione di alimenti e bevande, superando il previgente principio generale dell'obbligo di chiusura domenicale e festiva dei negozi e le regolamentazioni locali degli orari giornalieri di apertura e chiusura degli stessi negozi e dei pubblici esercizi, comunque già adeguatamente temperati da norme statali e regionali che, fino all'entrata in vigore delle nuove norme, consentivano a tutti i comuni di individuare i giorni (normalmente comprensivi delle domeniche e delle festività del mese di dicembre, nonché di ulteriori domeniche o festività nel corso degli altri mesi dell'anno) e le zone del territorio nei quali gli esercenti potessero scegliere se derogare o no all'obbligo di chiusura e permettevano ai titolari degli esercizi aventi sede nei comuni ad economia prevalentemente turistica e nelle città d'arte (o in alcune zone del territorio dei medesimi) di determinare liberamente, nei periodi dell'anno appositamente individuati, gli orari di apertura e di chiusura e derogare all'obbligo di chiusura domenicale e festiva. Da considerare è, inoltre, che la maggior parte delle regioni già prevedeva a livello comunale una previa concertazione con le organizzazioni di categoria delle imprese del commercio, dei lavoratori dipendenti, delle associazioni dei consumatori e delle altre parti sociali interessate che consentisse agli esercenti di derogare ai limiti orari giornalieri e all'obbligo di chiusura domenicale e festiva tenendo conto della pianificazione degli orari dei servizi pubblici e privati nelle città e dei princìpi attinenti la gestione dei tempi di vita e dello spazio urbano.
  Secondo il Governo (risposta del Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico Massimo Vari all'interpellanza n. 2-01379), l'eliminazione dei limiti e delle prescrizioni in materia di orari sarebbe «correlata alla necessità di adeguare la disciplina nazionale ai princìpi previsti dall'ordinamento comunitario in tema di libera concorrenza tra gli operatori e pari opportunità di accesso al mercato». Si tratterebbe perciò «di un intervento normativo che si adegua a quelle prescrizioni del diritto dell'Unione europea che impongono di eliminare gli ostacoli all'esercizio delle attività economiche che non siano giustificati da motivi imperativi di tutela di interessi irrinunciabili e che non siano proporzionati a tali eventuali esigenze». Inoltre, la disposizione statale che liberalizza gli orari non comporterebbe «obblighi di alcun genere per l'esercente, stabilendo anzi il principio generale della libera determinazione dell'orario». In altre parole, essa consentirebbe al medesimo esercente «la facoltà di organizzare l'orario di lavoro in relazione alle specifiche esigenze della propria attività, anche se di piccola dimensione, e alla fascia di mercato nella quale egli opera, garantendogli la reale possibilità di rispondere alla richiesta di servizio nella maniera da lui ritenuta più adeguata ed efficace. Al tempo stesso, appare ragionevole escludere ogni automatica connessione tra tale liberalizzazione degli orari e i paventati rischi di chiusura dei piccoli esercizi, specie se si considera che la precedente analoga liberalizzazione, pur limitata ai soli comuni turistici, non ha determinato simili rilevanti conseguenze negative».
  In contrasto con quanto ritenuto dal Governo, il 13 marzo 2012, alla Camera dei deputati, è stato proposto, ma non approvato, un ordine del giorno (9/4940-A/25 Bitonci, Bragantini) che avrebbe impegnato il Governo «a rivedere l'attuale disposizione in materia di liberalizzazioni, prevedendo, in ragione della stessa, la formulazione di una norma apposita e specifica, di concerto con le associazioni di categoria e gli enti locali, in grado di prevedere una graduale revisione del principio delle liberalizzazioni degli orari nel settore del commercio», considerato che: la crisi economica internazionale, manifestatasi negli ultimi anni in tutti i Paesi d'Europa, ha avuto gravi ripercussioni sull'intero sistema economico nazionale italiano, colpendo in particolar modo il settore del commercio, e quello della distribuzione medio-piccola in particolare, che da mesi manifesta ormai segnali evidenti di diminuzione del volume di fatturato; il settore del commercio è uno dei punti di forza dell'economia italiana, e per il flusso economico che ogni anno genera e perché, nei piccoli centri storici, è parte integrante del tessuto urbano ed economico delle città italiane; l'articolo 31 del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, che prevede la liberalizzazione degli orari per gli esercizi commerciali, mette in grave pericolo la sopravvivenza dei negozi al dettaglio, i quali rischiano di scomparire, soverchiati dagli operatori della grande distribuzione i quali, a differenza dei piccoli negozi a conduzione familiare, possono usufruire del turn-over del personale.
  In ogni caso, la teorica spinta a una maggiore apertura del mercato non può negare l'esigenza del rispetto di valori etici appartenenti a un patrimonio sociale comune, con riferimento al rispetto delle feste religiose e civili, al diritto al riposo dei lavoratori, alla partecipazione alla vita delle famiglie e della comunità.
  Bisogna dunque che il legislatore ammetta l'errore in cui è caduto provvedendo alla totale liberalizzazione degli orari degli esercizi commerciali con l'articolo 31 del decreto-legge n. 201 del 2011 e, prima ancora, inserendo la disciplina degli orari all'interno dell'articolo 3 del decreto-legge n. 223 del 2006, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 248 del 2006, e così configurandola come tematica di competenza statale perché attinente alla concorrenza e alla tutela dei livelli essenziali delle prestazioni da garantire su tutto il territorio nazionale.
  In realtà la disciplina degli orari è sempre stata considerata una materia strettamente collegata con le esigenze del territorio e pertanto non riconducibile a quelle necessità di intervento macroeconomico che, ad avviso della stessa Corte costituzionale (sentenza n. 14 del 2004), legittimano l'esercizio da parte dello Stato della propria potestà legislativa piena. E, d'altronde, lo stesso decreto di riforma del commercio, il decreto legislativo n. 114 del 1998, aveva attribuito a regioni e comuni la competenza a definire a livello locale la disciplina degli orari; una competenza rafforzata anche dagli articoli 50 e 54 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, laddove affidano al sindaco il compito di coordinare e riorganizzare gli orari degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e dei servizi pubblici, sulla base degli indirizzi espressi dal consiglio comunale e nell'ambito dei criteri eventualmente indicati dalla regione.
  Da ciò l'esigenza, propugnata dalla presente proposta di legge, di provvedere all'abrogazione dell'articolo 3, comma 1, lettera d-bis), del decreto-legge n. 223 del 2006, come modificata dall'articolo 31 del citato decreto-legge n. 201 del 2011, riconsegnando alle regioni la competenza a regolamentare la disciplina degli orari nell'ambito della materia residuale del commercio e così consentendo il ripristino di una disciplina più equilibrata e rispondente alle realtà territoriali, a tutela delle società locali e del lavoro autonomo e dipendente.

PROPOSTA DI LEGGE
D'INIZIATIVA POPOLARE

Art. 1.

  1. La lettera d-bis) del comma 1 dell'articolo 3 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, come modificata dall'articolo 31, comma 1, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, è abrogata.

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