FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1

XVIII LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 1031

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati
PALLINI, PARISSE, GIORDANO, IORIO, DEL MONACO, DI LAURO, AMITRANO, INVIDIA, COSTANZO, DAVIDE AIELLO, MENGA, BILOTTI, NESCI, GUBITOSA, DONNO, GRIMALDI, CASO, CURRÒ, GIANNONE, MAGLIONE, MARAIA, MIGLIORINO

Disposizioni in materia di requisiti per la partecipazione ai concorsi per l'accesso ai pubblici impieghi

Presentata il 31 luglio 2018

  Onorevoli Colleghi! — La presente proposta di legge è volta a modificare radicalmente la prassi secondo cui soltanto una bassa percentuale di cittadini, tra quelli aventi comunque diritto per legge, può partecipare a concorsi pubblici a causa delle limitazioni previste in materia di requisiti formativi. La legge n. 124 del 2015, all'articolo 17, comma 1, lettera d), aveva infatti previsto la «soppressione del requisito del voto minimo di laurea per la partecipazione ai concorsi per l'accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni», ma tale norma non è stata di fatto mai applicata.
  Sono ormai circa settanta anni che le procedure di reclutamento del personale pubblico avvengono nel medesimo modo, limitando, ad esempio, la partecipazione a un ristretto numero di laureati o diplomati che hanno conseguito il titolo richiesto con una specifica votazione.
  Nel post dopoguerra e negli anni del benessere economico, quando non si riscontravano un numero così elevato di laureati e una così alta percentuale di disoccupati e inoccupati, soprattutto tra i giovani, il predetto sistema di accesso ai concorsi pubblici poteva, anche se discriminatorio, risultare valido. Oggi il Paese e soprattutto i giovani necessitano di una riforma che garantisca la possibilità di accedere ai pochissimi e sempre più rari concorsi pubblici senza alcuna discriminazione.
  In un momento storico così cruciale per l'occupazione, specialmente giovanile, si ritiene indispensabile concedere a tutti i cittadini aventi diritto per legge (ai sensi degli articoli 3, secondo comma, 4, primo comma, e 51 della Costituzione) di partecipare ai concorsi pubblici, senza inserire nei bandi di concorso la limitazione del voto di laurea che oggi, in alcuni di essi, risulta determinante ai fini della partecipazione ma non necessariamente garantisce un'effettiva preparazione e conoscenza. Nel caso di specie, non è mai stata presa in considerazione l'ipotesi che fra tutte le scuole abilitate a conferire un determinato titolo di studio possa essere fatta un'ulteriore distinzione in relazione al valore intrinseco della formazione data ai rispettivi allievi. È invece sotto gli occhi di tutti che, nonostante la parità formale dei programmi di studio, sussistono rilevanti differenze, relativamente alla qualità dell'offerta culturale, all'impegno dei docenti, alle tecniche di insegnamento, alla severità degli esami e ad altri aspetti. Il sistema italiano, nell'opinione corrente, viene posto criticamente in comparazione con quello vigente all'estero, e più precisamente nei Paesi anglosassoni – in particolare negli Stati uniti d'America e in Gran Bretagna – e in Francia.
  L'Italia ha sistematizzato l'offerta accademica con un quadro dei titoli italiani (QTI) che si dirama da «un primo modello prototipale» ideal-eterno, che però cozza contro un paradosso: la struttura riformata del 3+2 viene ritenuta poco qualificante dall'Unione europea, visto che per le professioni riconosciute uniformemente impone il ciclo unico. Il QTI è quanto di più simile all'effetto concreto del valore legale, ossia che lo Stato garantisca la qualità della formazione secondo standard di idoneità. L'attribuzione di un punteggio (in genere di rilevanza marginale) al voto di laurea, a ben vedere, è un'ingiustizia, poiché in genere le scuole più serie e formative sono avare di buoni voti, mentre quelle meno serie largheggiano. Ci sono infatti «laureifici», a costo spesso non basso, che rischiano di distorcere il sistema. D'altra parte, se si avanzassero proposte come il numero chiuso degli iscritti, la selezione con test di ingresso o la drastica limitazione della possibilità di tentare nuovamente un esame dopo una bocciatura – tutto ciò che caratterizza il mitico modello anglosassone – la gran parte dei soggetti le considererebbero come un insulto al «diritto allo studio» costituzionalmente garantito, inteso come diritto al diploma.
  Se esiste il valore legale del titolo di studio, a nostro avviso la laurea deve avere lo stesso valore. Crediamo sia necessario rimuovere certi vincoli rispetto alla possibilità di partecipare a concorsi pubblici basati sul voto e sulle classi di laurea.
  La disciplina legislativa per l'accesso al pubblico impiego, infatti, non prevede tra i requisiti quello del voto minimo, ma soltanto l'eventuale possesso del titolo di studio richiesto nel bando che, pur conseguito con il voto minimo, ha valore legale ai fini della partecipazione al concorso. Solamente in caso di impieghi particolari la normativa prevede un requisito aggiuntivo.
  È opportuno ricordare che le nuove norme si applicano ai concorsi per funzionario; mentre i concorsi per dirigenti sono in genere sottoposti a un altro tipo di normativa.
  Non è obiettivo della proposta di legge modificare o in alcun modo ledere il principio di meritocrazia, consentendo l'accesso nella pubblica amministrazione a personale inadeguato e carente di competenze, ma semplicemente rispecchiare in pieno i princìpi costituzionali di eguaglianza e di libertà.
  Ai sensi dei richiamati articoli della Costituzione, la Repubblica deve garantire uguali diritti e libertà a tutti i suoi cittadini senza alcuna discriminazione o limitazione e assicurare l'eliminazione di tutti gli ostacoli che limitano di fatto la libertà e impediscono il pieno sviluppo socio-economico dell'individuo.
  L'articolo 97 della Costituzione, inoltre, fa principalmente riferimento ai princìpi di trasparenza, efficacia, efficienza ed economicità della pubblica amministrazione; nello specifico, il quarto comma sancisce il principio secondo cui «Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge».
  Nel regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 maggio 1994, n. 487, recante norme sull'accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi, l'articolo 2, comma 6, specifica che per l'accesso ai profili professionali di ottava qualifica funzionale è richiesto il solo diploma di laurea.
  La sentenza del Consiglio di Stato, sezione IV, n. 1064 del 9 luglio 1998 ha dichiarato che: «È illegittima la disposizione del bando di concorso che pone tra i requisiti di ammissione al concorso il conseguimento di una votazione minima all'esame di diploma di scuola media superiore, in quanto la discrezionalità della pubblica amministrazione di richiedere un titolo di studio specifico e il conseguimento di un determinato punteggio trova un limite nell'esigenza di giustificare attraverso un'adeguata motivazione la razionalità di uno sbarramento preselettivo di tale fatta».
  La sentenza del tribunale amministrativo regionale (TAR) del Lazio sul ricorso n. 3946/08 ha annullato in parte la disposizione con la quale il direttore dell'Agenzia delle entrate ha approvato e diramato il bando per la selezione pubblica per l'assunzione di 1.180 unità, che prevedeva che la partecipazione al concorso indetto fosse limitata a coloro che avessero conseguito il diploma di laurea con votazione non inferiore a 100/110.
  Il medesimo TAR del Lazio, invece, con la sentenza n. 4782 del 2 maggio 2018, ha ritenuto legittimo il bando di concorso, indetto dalla Banca d'Italia, per l'assunzione di 76 dipendenti inquadrati nel grado di «esperto», nella parte in cui prevede, all'articolo 1, quale requisito di ammissione, il conseguimento di un voto di laurea non inferiore a 105/110 o votazione equivalente. Il Regolamento del personale della Banca d'Italia per l'accesso alle qualifiche appartenenti all'area manageriale e alte professionalità, stabilisce che sono ammessi ai concorsi i soggetti in possesso di laurea e di eventuali altri titoli o requisiti di volta in volta previsti nel bando di concorso. Con tale previsione – che ricalca quella recata dall'articolo 2, comma 2, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 487 del 1994, in base al quale le amministrazioni possono introdurre ulteriori requisiti per l'ammissione a particolari profili professionali – viene quindi espressamente prevista la possibilità, per la Banca d'Italia, di introdurre, nelle procedure concorsuali, requisiti ulteriori rispetto al possesso del diploma di laurea per determinate categorie di personale. Tra tali requisiti ulteriori e diversi può farsi rientrare anche la previsione di un voto minimo di laurea, che costituisce un idoneo indice selettivo attestante un determinato livello di preparazione dei candidati.
  In linea generale, pur nel rispetto dell'autonomia del citato TAR, riteniamo discriminatorio e iniquo tale principio.
  Di conseguenza, a nostro avviso, la previsione del requisito minimo del voto di laurea in bandi di concorso pubblico deve essere vietata, perché tale limitazione, ledendo così i princìpi di eguaglianza, imparzialità e pari opportunità, tende ad escludere a priori e senza alcuna reale motivazione una parte degli aventi diritto che, pur avendo conseguito il titolo di studio richiesto o un titolo equipollente, non possono partecipare a un concorso in ragione della votazione con cui lo hanno conseguito.

PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

  1. Per l'accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni, ivi comprese le autorità amministrative indipendenti, sia in regime di diritto pubblico ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, sia in regime di diritto privato ai sensi dell'articolo 2, commi 2 e 3, del medesimo decreto legislativo, non possono in nessun caso essere previsti requisiti e prescrizioni aventi ad oggetto il voto con cui è stato conseguito il titolo di studio universitario richiesto per la partecipazione al concorso.
  2. Il Governo provvede a modificare l'articolo 2 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 maggio 1994, n. 487, al fine di adeguarlo alle disposizioni del comma 1 del presente articolo.
  3. Le amministrazioni e gli enti interessati provvedono a modificare gli atti normativi da esse adottati, al fine di adeguarli alle disposizioni del comma 1 del presente articolo.

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