FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1
                        Articolo 2
                        Articolo 3
                        Articolo 4
                        Articolo 5

XVIII LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 831

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati
D'IPPOLITO, DEIANA, FEDERICO, ILARIA FONTANA, LICATINI, ALBERTO MANCA, TRAVERSI, VIANELLO, VIGNAROLI

Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sullo smaltimento illecito di rifiuti mediante affondamento di navi e sulle connesse attività di organizzazioni criminali

Presentata il 29 giugno 2018

  Onorevoli Colleghi! — La proposta di legge per l'istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta, ai sensi dell'articolo 82 della Costituzione, sul presunto affondamento da parte del pentito di ’ndrangheta Francesco Fonti della motonave Cunski, carica di rifiuti tossici, nei pressi di Cetraro (Cosenza) e sul più ampio contesto in cui la vicenda è già stata inserita, trae origine dalle conclusioni a cui è pervenuta, nella scorsa legislatura, la Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati, nella relazione approvata nella seduta del 28 febbraio 2018.
  Nello specifico, parliamo di un caso che solleva ancora oggi interrogativi da riprendere in sede parlamentare. A questo riguardo, infatti, la citata relazione riassume: «Le tre navi a perdere indicate da Francesco Fonti hanno avuto un ruolo nel recupero di quei rifiuti sversati in terra libanese, come abbiamo visto; tre navi che fonti diverse – in alcuni casi istituzionali, come le Nazioni Unite – assicurano essere state affondate nel Mediterraneo, creando così la narrazione che arriverà fino ad oggi e sulla quale è pensabile poter operare ulteriori approfondimenti a partire dalle acquisizioni della Commissione nella XVI e della XVII legislatura». Nella relazione si aggiunge, a seguire, la nave Jolly Rosso, «utilizzata per riportare in Italia i rifiuti inviati dalla Jelly Wax in Libano», che «entrerà nell'inchiesta sulle navi a perdere, con una doppia veste: era la motonave scelta da Giorgio Comerio per diventare laboratorio su mare per produrre missili (informazione, questa, riportata su diverse note del Sismi) e finirà spiaggiata sulla costa di Amantea, in Calabria». «Tutti questi fili – si legge nella relazione – portano in Libano». La stessa relazione, precisa, infine, suggerendo una precisa linea d'inchiesta: «La vicenda delle navi a perdere – nda: indicandosi con tale espressione le navi affondate dolosamente con carichi di rifiuti radioattivi o comunque tossici, smaltiti illegalmente nelle profondità marine – non è sicuramente conclusa, perché tanti sono gli elementi da approfondire. Di certo eventuali nuove indagini dovrebbero cercare di capire meglio questi collegamenti con la vicenda libanese, che, come abbiamo visto, ha avuto un ruolo di rilievo nella storia delle navi dei veleni e con l'intero network che ha operato nello smaltimento illecito transnazionale dei rifiuti».
  Per quanto concerne i vari approfondimenti già compiuti in sede parlamentare, nella citata relazione, a proposito delle cosiddette «navi a perdere», tra cui la Cunski, si evidenzia che «permangono ancora molti punti da chiarire», benché la suddetta Commissione abbia disposto «la desecretazione di molti atti acquisiti nel corso delle trascorse legislature e promosso una serie di attività di verifica che hanno riguardato anche importanti vicende irrisolte, come il “caso Alpi”».
  La relazione riassume alcuni aspetti essenziali, uno di carattere storico, l'altro di carattere geografico. Per il primo, nella relazione in predicato si osserva: «Le vicende delle “navi dei veleni” e delle “navi a perdere” sono state approfondite dalla Commissione d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti fin dal 1995. Ventidue anni, sei legislature, sette Commissioni parlamentari – includendo quella sul caso Alpi/Hrovatin – e diverse indagini della magistratura sono i numeri che mostrano il peso della vicenda, ma anche la difficoltà di pervenire a conclusioni univoche sull'intero fenomeno. Questi traffici possono essere considerati come il peccato originale della lunga e complessa storia dei rifiuti italiani, soprattutto dei residui industriali. Le relazioni che hanno affrontato il tema, d'altra parte, ci mostrano come questo nodo critico sia strettamente connesso con la storia industriale del paese».
  Per quanto invece riguarda il suddetto aspetto geografico, nella relazione si evidenzia che la «centralità geografica e strategica dell'Italia nel mare Mediterraneo ha poi caratterizzato il ruolo del nostro paese all'interno di un network sicuramente europeo. È indubbio, infatti, che molti protagonisti – finanziari, logistici – provenissero da altre nazioni; i nostri porti hanno però svolto un ruolo chiave, coprendo l'ultimo tratto di un traffico complesso».
  Nella relazione della Commissione parlamentare vi è, poi, un ulteriore elemento, relativo al carattere transnazionale del traffico di rifiuti tossici, con una precisa sottolineatura sulle condizioni dei Paesi maggiormente interessati. «Gli anni ’80 e ’90 – si legge nel documento parlamentare – sono stati l'epoca d'oro dei viaggi dei rifiuti pericolosi italiani ed europei verso i paesi extra Ue, con una prevalenza del Nord Africa. Le mete erano spesso caratterizzate da democrazie fragili e guerre civili in corso; un contesto che rendeva facile, per le imprese europee, riuscire a certificare quell'apparenza solo cartacea di corretta gestione dei rifiuti inviati. L'intera vicenda delle “navi dei veleni” è costellata di documentazioni falsificate, a volte in maniera grossolana. False erano le attestazioni di smaltimento di Gibuti; falsa era la documentazione fornita dalle imprese venezuelane; falso, molto probabilmente, era il contratto firmato in Siria per accogliere e trattare i residui industriali; falso era, infine, il documento emesso da una società libanese che attestava lo smaltimento dei rifiuti arrivati in quel paese nel 1987. Queste carte sono bastate, all'epoca, per far partire diverse navi dai porti italiani, soprattutto da quello di Marina di Carrara. Segno evidente di un vulnus nel sistema dei controlli, lo stesso peccato originale che negli anni successivi garantirà alle imprese collegate con organizzazioni criminali di operare in tutto il paese. Ma anche sintomo importante di una sorta di know how criminale già presente nel sistema fin dalla metà degli anni ’80, una sorta di logistica parallela in grado di garantire trasporti discreti via mare. Un service che funzionava per i rifiuti, ma che poteva essere richiesto ed attivato anche per altri trasporti, come quello delle armi. Le rotte, in fondo, erano le stesse, dal Nord verso il Sud. Alcune inchieste citate – come quella del 1997 sul Mozambico – hanno visto la compartecipazione di elementi importanti del traffico di armamenti, insieme a broker asseritamente specializzati in movimento di rifiuti».
  «Particolarmente interessante è, infine, la vicenda libanese – è rimarcato nella relazione – approfondita dalla Commissione. Beirut, come abbiamo visto, fu la destinazione finale di almeno una delle navi dei veleni, la Radhost, sbarcata il 21 settembre 1987. Quello che accadrà dopo questa data sembra essere la prima matrice della complessa vicenda delle “navi a perdere”, una sorta di punto zero. A partire da quella che è sempre stata considerata la “madre” delle carrette del mare utilizzate per l'affondamento dei rifiuti, la M/n Rigel. Ebbene, secondo la sentenza di appello nei confronti del gruppo che gestì l'ultimo viaggio della motonave, questa in realtà non sarebbe stata affondata». Si riporta inoltre un passaggio esplicativo quanto essenziale della stessa relazione, in cui è scritto: «Il rapporto della società di investigatori incaricata dagli assicuratori trovarono tracce – da loro ritenute credibili e accolte dai giudici di secondo grado – relative allo sbarco della Rigel in Libano, nel porto di Ras Selaata, terminal posto una decina di miglia a Nord di Beirut. Si tratterebbe, dunque, di un affondamento simulato, dichiarato per coprire affari molto probabilmente illeciti. Questa operazione, però, avviene negli stessi giorni dell'arrivo della Radhost – carica di rifiuti italiani – a Beirut; anzi, nello stesso giorno, il 21 settembre 1987».
  Destinatario di plausi e nel 2004 della medaglia d'oro, da parte del Presidente della Repubblica, al merito di marina «Alla memoria», il 12 dicembre 1995 fu l'ultimo giorno di vita del capitano di fregata Natale De Grazia, figura fondamentale per le indagini della procura di Reggio Calabria su un presunto traffico illecito di rifiuti radioattivi e tossici di portata sopranazionale, da inserire nel più ampio quadro tratteggiato.
  Alle prime ore del 13 dicembre 1995, qualche giorno prima del suo trentanovesimo compleanno, il capitano spirò per cause che a molti apparvero quanto meno sospette e che ancora oggi continuano ad essere considerate tali. Il capitano era un ufficiale della Marina militare, in servizio presso la capitaneria di porto di Reggio Calabria. Al momento della morte era applicato alla sezione di polizia giudiziaria presso la procura circondariale di Reggio Calabria e faceva parte di un pool investigativo, coordinato dal sostituto procuratore Francesco Neri, costituito per effettuare le indagini avviate a seguito di un esposto presentato da Legambiente, concernente presunti interramenti di rifiuti tossici in Aspromonte.
  Nel corso dell'inchiesta si aprirono subito scenari inquietanti legati al fenomeno delle «navi a perdere». In particolare, il comandante De Grazia morì, come già ricordato, il 13 dicembre 1995 a Nocera Inferiore per «arresto cardio-circolatorio», mentre si trasferiva da Reggio Calabria a La Spezia, nell'ambito delle citate indagini di «polizia giudiziaria».
  Da indagini del capitano De Grazia emerse – si legge nella relazione sulla sua morte della Commissione parlamentare (della XVI legislatura) di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, approvata nella seduta del 5 febbraio 2013 – che tutta la documentazione sequestrata all'imprenditore Giorgio Comerio «portava a ritenere che lo stesso si occupasse dell'acquisto delle navi per il loro successivo utilizzo a fini illeciti; conseguentemente, era stato effettuato un accertamento presso i Lloyds di Londra – sede di Genova – ed erano state acquisite le copie dei sinistri marittimi intervenuti dall'anno 1987 al 1993, al fine di verificare quelli di natura eventualmente dolosa avvenuti nelle acque territoriali calabresi; da tale attività era emerso che ben 23 navi erano affondate nel mare antistante le coste calabresi». «Dunque – prosegue la relazione – le indagini svolte all'epoca dalla procura di Reggio Calabria, proprio sulla base degli elementi acquisiti nel corso della perquisizione a carico di Giorgio Comerio, si incentrarono su tale figura e sui personaggi che gravitavano intorno a lui. (...) Nel processo di La Spezia, infatti, venne definitivamente accertata la natura dolosa dell'affondamento della Rigel e la truffa ai danni dell'assicurazione. Gli imputati vennero giudicati in relazione ai reati di associazione a delinquere, truffa ai danni della società assicurativa, corruzione ed altri reati connessi e finalizzati a conseguire il premio assicurativo, ma nulla venne accertato in merito all'effettivo carico della nave». «In sostanza, nel processo di La Spezia – continua il documento della Commissione parlamentare – non venne neppure ipotizzato che la nave Rigel fosse stata caricata con rifiuti tossici e pericolosi: ed, infatti, nessun elemento era emerso in questo senso né dalle testimonianze né dai documenti, appositamente falsificati per far risultare un carico diverso da quello effettivo». «Gli atti del procedimento – è aggiunto nella relazione – furono, pertanto, riesaminati dal capitano De Grazia, al fine verificare quale fosse il carico della motonave affondata, sospettandosi che unitamente alla stessa fossero stati inabissati rifiuti radioattivi». «Indicazioni precise in questo senso – continua la relazione della Commissione parlamentare – erano state fornite dalla fonte confidenziale denominata “Pinocchio” (di cui all'informativa citata del 13 maggio 1995 del Corpo forestale dello Stato, doc. 118/7), che aveva fatto riferimento ad una nave affondata in Calabria, a largo di capo Spartivento, a venti miglia circa dalla costa, nave che – secondo gli investigatori – poteva appunto identificarsi con la Rigel (cfr. par. 1.4). Due importanti elementi di riscontro, considerati unitariamente, convinsero gli investigatori a ritenere più che fondate le dichiarazioni della fonte confidenziale anzidetta e li spinsero a ricercare ulteriori prove. Posto che la motonave Rigel era affondata il 21 settembre 1987 a largo di capo Spartivento, come accertato dal processo di La Spezia, il primo elemento di riscontro fu ricavato dall'annotazione “lost the ship” rinvenuta sull'agenda sequestrata a Giorgio Comerio proprio sulla pagina corrispondente alla data 21 settembre 1987. Il secondo elemento proveniva direttamente dalle informazioni acquisite dal capitano De Grazia presso i registri Lloyds di Londra, che coprono il 90% della situazione mondiale di tutte le navi affondate, e presso l'IMO, secondo cui l'unica nave affondata il 21 settembre 1987 era la motonave Rigel».
  «Dunque, secondo gli investigatori, l'annotazione di Comerio – continua la relazione della Commissione parlamentare – non poteva che riferirsi alla Rigel e, tenuto conto della documentazione trovata in possesso del Comerio attinente al progetto Dodos e alla società O.D.M., era legittimo ritenere che l'interesse del Comerio alle sorti della Rigel potesse essere legato al carico di rifiuti tossici. Gli investigatori cercarono – tra gli atti del processo di La Spezia – altri elementi utili a rafforzare il quadro che velocemente si andava delineando. Da subito si comprese che fondamentale era il ritrovamento della nave e del suo carico. In particolare, il capitano De Grazia si concentrò in tale direzione, cercando di individuare il punto esatto di affondamento della moto-nave Rigel». «Conclusivamente, con riferimento alla Rigel, le attività del capitano De Grazia – sintetizza la relazione – si concentrarono essenzialmente nell'esame della documentazione sequestrata a Comerio, nell'individuazione di elementi di collegamento con l'affondamento della Rigel e nella ricerca del punto esatto di affondamento della motonave, condizione questa indispensabile per avviare proficue attività di ricerca del relitto».
  Di particolare rilievo, secondo quanto riportato nella relazione, è che, stando alla testimonianza resa presso la Commissione parlamentare dal magistrato Nicola Maria Pace, il capitano De Grazia sarebbe riuscito a individuare le coordinate relative al punto di affondamento, tanto che insistette, proprio la mattina della sua partenza per La Spezia, per portarvi lo stesso magistrato.
  Nella relazione si leggono, più avanti, le dichiarazioni del maresciallo Scimone – collega di indagini del De Grazia – il quale riferì alla Commissione parlamentare:
  «Ho anche sentito dire una cosa stranissima: che il comandante De Grazia avrebbe trovato tra gli atti di Comerio il certificato di morte di Ilaria Alpi. Non mi risulta. (...) Non era il certificato di morte di Ilaria Alpi perché sapete bene che il certificato di morte non è stato redatto in Somalia: Ilaria Alpi fu portata su una nave italiana e il primo certificato di decesso è stato fatto dal medico della nave. Credo che poi il comune di Roma abbia redatto l'ultimo certificato. Comerio aveva una “fascetta”, la notizia Ansa della morte di Ilaria Alpi, che De Grazia aveva trovato mentre cercavamo nelle carte e che mi aveva fatto vedere. Era una notizia Ansa, non un certificato di morte. (...) Era un fascicolo della Somalia. Lui aveva dei fascicoli tra cui questo, Somalia, in cui c'erano tutte le proposte di smaltimento dei rifiuti, i suoi progetti, i contatti con i vari ministri, roba di questo genere e c'era questa striscia».
  Significative sono, in proposito, alla luce della complessità e dell'importanza delle riassunte investigazioni della procura di Reggio Calabria e del delegato capitano De Grazia, le conclusioni della Commissione parlamentare di inchiesta. «Va sottolineato – si legge nella relativa relazione – che, man mano che l'indagine acquisiva maggiore consistenza, sarebbe stata naturale un'intensificazione ed accelerazione delle attività investigative, che, peraltro, fino a quel momento, si erano svolte regolarmente. Viceversa, deve prendersi atto che fu proprio quello il momento in cui si assistette non solo ad un rallentamento dell'attività di indagine, ma anche al disfacimento del gruppo investigativo costituito dagli ufficiali di polizia giudiziaria appartenenti a diverse forze dell'ordine, che fino a quel momento avevano collaborato con il dottor Neri. Il decesso del capitano De Grazia deve essere inserito in questo preciso contesto investigativo ed analizzato unitamente agli eventi immediatamente precedenti e successivi al decesso».
  Inoltre, nella relazione si legge un passaggio circa i rapporti degli inquirenti che stavano indagando sulle presunte attività illecite mediante le cosiddette «navi a perdere» e il Sismi, di cui ha riferito anche il maresciallo Moschitta nel corso delle due audizioni rese avanti alla Commissione (l'11 marzo e l'11 maggio 2010). «Un giorno – ha affermato il Moschitta – mi presento al Sismi e sequestro un documento, con tanto di provvedimento del magistrato. Ho trovato grande collaborazione nel generale Sturchio, il capo di gabinetto. Mi chiese se volessi il tale documento e me lo dettero tranquillamente. (...) Chiedevamo se avevano qualcosa su Giorgio Comerio. Il primo documento che emerse mostrava che Giorgio Comerio era colui il quale aveva ospitato in un appartamento, non so se di sua proprietà, a Montecarlo l'evaso Licio Gelli».
  Nella stessa relazione della Commissione parlamentare, è riportata una risposta del citato pentito di ’ndrangheta Fonti, che riferì di un'ipotesi, per sentito dire, per cui la criminalità calabrese trattava, a proposito dello smaltimento illecito di rifiuti, «con i servizi segreti, e, se qualcosa non va, questi decidevano di far sparire anche le persone». «L'ipotesi – è precisato nella relazione – era quella che anche il capitano fosse stato eliminato, perché stava andando a scoprire qualcosa che non doveva emergere». Tuttavia, nella relazione le specifiche dichiarazioni di Fonti, in quanto de relato, «indipendentemente dall'attendibilità di base o meno del personaggio», non vengono prese «seriamente in considerazione».
  Sta di fatto che dalla relazione della Commissione (della XVI legislatura) emergono dubbi e interrogativi pesanti circa la morte del De Grazia e risultano numerosi punti ancora tutti da chiarire in ordine alle attività di indagine del capitano e della procura di Reggio Calabria sul presunto traffico di rifiuti radioattivi e tossici che avrebbe interessato coste italiane, in un quadro molto più ampio includente sospetti, anche gravi, sul coinvolgimento di poteri pure riferibili allo Stato e non solo.
  In questa cornice, vasta e complessa, si osserva che il caso della motonave Cunski è tutt'altro che chiuso. Il 18 settembre 2009, i rilievi della nave Mare Oceano incaricata dal Ministero dell'ambiente smentirono la tesi del ritrovamento del relitto, avanzata giorni prima dalla procura di Paola (Cosenza) sulla base di altri rilievi. Secondo i rilievi dei tecnici ministeriali, la nave su quei fondali non era il Cunski ma un piroscafo della prima guerra mondiale, il Catania. Ascoltato nella XVI legislatura presso la Commissione parlamentare di inchiesta sulle ecomafie l'allora procuratore di Paola, Bruno Giordano, fornì particolari importanti: l'anno di costruzione del relitto indicato tra gli anni ’50 e ’60; l'assenza sui registri di affondamenti bellici nella zona di mare perlustrata; la stiva parzialmente piena. I rilievi commissionati dal Ministero sono invece contrari: il relitto sarebbe una nave militare antecedente al 1917, affondata in guerra e con la stiva vuota. Dall'audizione (di Giordano), desecretata, emerge che la Marina militare in più occasioni fu poco collaborativa con la procura della Repubblica di Paola. Già nel 2005 fu chiesto l'intervento della Marina, la quale prima ebbe una delega a intervenire e subito dopo, dal comando, arrivò una misteriosa revoca. Non se ne fece nulla. Poche settimane dopo i rilievi commissionati dal Ministero dell'ambiente, il giornalista Riccardo Bocca osservò su «L'Espresso» che il luogo dei rilievi ministeriali distava 3 miglia marine dal luogo in cui era stato segnalato il relitto. Per il Ministero dell'ambiente le 3 miglia di differenza – pari a circa 5 chilometri e mezzo – sono «uno spostamento fisiologico del relitto». Il giornalista Gianni Lannes, qualche tempo dopo, ritrovò un documento dei Lloyd di Londra che stabiliva che la nave da guerra Catania fu affondata il 4 agosto del 1943 nel porto di Napoli.
  Da qui la necessità di istituire una Commissione parlamentare di inchiesta sul caso della motonave Cunski: sia per indagare sulle contraddizioni riassunte e per proseguire il lavoro dei colleghi della XVII legislatura di cui si è qui reso conto, sia per procedere ad approfondimenti, proprio partendo dalla vicenda dello scafo in questione, circa l'eventuale ruolo della criminalità organizzata nel presunto, illecito affondamento di navi cariche di rifiuti radioattivi e tossici, anche lungo le coste della Calabria, e i relativi accertamenti compiuti dallo Stato.

PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Istituzione e funzioni della Commissione)

  1. È istituita, per la durata della XVIII legislatura, ai sensi dell'articolo 82 della Costituzione, una Commissione parlamentare di inchiesta sullo smaltimento illecito di rifiuti mediante affondamento di navi e sulle connesse attività di organizzazioni criminali, di seguito denominata «Commissione», con il compito di:

   a) svolgere indagini atte a fare luce sul caso della motonave Cunski, sulla sua ubicazione definitiva nonché sul ruolo e sui rapporti delle organizzazioni criminali nel fenomeno delle cosiddette «navi a perdere», ovvero delle imbarcazioni usate per tombare rifiuti, anche nucleari, sui fondali marini, con particolare riguardo al correlato traffico illecito di rifiuti e per accertare se esso sia stato ostacolato da organi o poteri dello Stato;

   b) individuare le connessioni tra lo smaltimento illecito di rifiuti mediante le navi a perdere e altre attività economiche, con particolare riguardo al traffico internazionale di armi, nonché le eventuali connessioni con i filoni d'inchiesta legati al fenomeno delle cosiddette «navi dei veleni» ovvero dell'arrivo in Italia di una serie di imbarcazioni cariche di rifiuti industriali inviati nel nostro Paese;

   c) verificare l'eventuale sussistenza di comportamenti illeciti nell'ambito della pubblica amministrazione centrale e periferica e dei soggetti pubblici e privati in relazione a inchieste e accertamenti legati al caso della motonave Cunski e ad altre imbarcazioni correlate allo smaltimento illecito di rifiuti su cui siano stati avviati procedimenti da parte dall'autorità giudiziaria;

   d) verificare come gli organismi pubblici di protezione ambientale abbiano monitorato i livelli d'inquinamento ambientale nelle aree in cui siano stati segnalati o individuati siti con presenza di rifiuti tossici o radioattivi riconducibili all'incaglio o all'affondamento di navi a perdere, contestualmente accertando come le aziende sanitarie siano intervenute a tutela della salute delle popolazioni delle predette aree.

  2. La Commissione riferisce alle Camere annualmente con singole relazioni o con relazioni generali e ogniqualvolta ne ravvisi la necessità e comunque al termine dei suoi lavori.

Art. 2.
(Composizione della Commissione)

  1. La Commissione è composta da dodici senatori e da dodici deputati, nominati rispettivamente dal Presidente del Senato della Repubblica e dal Presidente della Camera dei deputati, in proporzione al numero dei componenti i gruppi parlamentari, comunque assicurando la presenza di un rappresentante per ciascun gruppo esistente in almeno un ramo del Parlamento. I componenti sono nominati anche tenendo conto della specificità dei compiti assegnati alla Commissione. I componenti della Commissione dichiarano alla Presidenza della Camera di appartenenza se nei loro confronti sussista una delle condizioni indicate nel codice di autoregolamentazione sulla formazione delle liste elettorali, proposto dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, istituita dalla legge 19 luglio 2013, n. 87, con la relazione approvata nella seduta del 23 settembre 2014.
  2. La Commissione è rinnovata dopo il primo biennio dalla sua costituzione e i suoi componenti possono essere confermati.
  3. Il Presidente del Senato della Repubblica e il Presidente della Camera dei deputati, entro dieci giorni dalla nomina dei suoi componenti, convocano la Commissione per la costituzione dell'ufficio di presidenza.
  4. L'ufficio di presidenza, composto dal presidente, da due vicepresidenti e da due segretari, è eletto dai componenti la Commissione a scrutinio segreto. Per l'elezione del presidente è necessaria la maggioranza assoluta dei componenti la Commissione; se nessuno riporta tale maggioranza si procede al ballottaggio tra i due candidati che hanno ottenuto il maggiore numero di voti. In caso di parità di voti è proclamato eletto o entra in ballottaggio il più anziano di età.
  5. Per l'elezione, rispettivamente, dei due vicepresidenti e dei due segretari, ciascun componente la Commissione scrive sulla propria scheda un solo nome. Sono eletti coloro che hanno ottenuto il maggior numero di voti. In caso di parità di voti si procede ai sensi del comma 4.
  6. Le disposizioni dei commi 4 e 5 si applicano anche per le elezioni suppletive.

Art. 3.
(Poteri e limiti)

  1. La Commissione procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell'autorità giudiziaria. La Commissione non può adottare provvedimenti attinenti alla libertà e alla segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione nonché alla libertà personale, fatto salvo l'accompagnamento coattivo di cui all'articolo 133 del codice di procedura penale.
  2. Ferme restando le competenze dell'autorità giudiziaria, per le audizioni a testimonianza davanti alla Commissione si applicano le disposizioni previste dagli articoli da 366 a 372 del codice penale.
  3. La Commissione può ottenere copie di atti e documenti relativi a procedimenti e inchieste in corso presso l'autorità giudiziaria e altri organi inquirenti, nonché copie di atti e documenti relativi a indagini e inchieste parlamentari, anche se coperti dal segreto. In tale ultimo caso la Commissione garantisce il mantenimento del regime di segretezza. L'autorità giudiziaria provvede tempestivamente e può ritardare la trasmissione di copia di atti e documenti richiesti con decreto motivato solo per ragioni di natura istruttoria. Il decreto ha efficacia per sei mesi e può essere rinnovato. Quando tali ragioni vengono meno, l'autorità giudiziaria provvede senza ritardo a trasmettere quanto richiesto. Il decreto non può essere rinnovato o avere efficacia oltre la chiusura delle indagini preliminari.
  4. La Commissione può altresì acquisire atti e documenti da amministrazioni pubbliche e da soggetti privati.
  5. La Commissione stabilisce quali atti e documenti non devono essere divulgati, anche in relazione ad esigenze attinenti ad altre istruttorie o inchieste in corso. Devono in ogni caso essere coperti dal segreto gli atti e i documenti attinenti a procedimenti giudiziari nella fase delle indagini preliminari.
  6. Il segreto funzionale riguardante atti e documenti acquisiti dalla Commissione in riferimento ai reati di cui agli articoli 416 e 416-bis del codice penale non può essere opposto ad altre Commissioni parlamentari di inchiesta.

Art. 4.
(Obbligo del segreto)

  1. I componenti la Commissione, il personale addetto alla stessa e ogni altra persona che collabora con la Commissione o compie concorre a compiere atti di inchiesta, oppure ne viene a conoscenza per ragioni di ufficio o di servizio, sono obbligati al segreto per tutto quanto riguarda gli atti e i documenti di cui all'articolo 3, comma 5.
  2. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, la violazione del segreto è punita ai sensi dell'articolo 326 del codice penale.
  3. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, le pene di cui al comma 2 si applicano a chiunque diffonda in tutto o in parte, anche per riassunto o informazione, atti o documenti del procedimento di inchiesta dei quali sia stata vietata la divulgazione.

Art. 5.
(Organizzazione interna)

  1. L'attività e il funzionamento della Commissione sono disciplinati da un regolamento interno approvato dalla Commissione stessa prima dell'inizio dei lavori. Ciascun componente può proporre la modifica delle norme regolamentari.
  2. La Commissione può organizzare i propri lavori anche attraverso uno o più comitati, costituiti secondo il regolamento di cui al comma 1.
  3. Tutte le volte che lo ritenga opportuno, la Commissione può riunirsi in seduta segreta.
  4. La Commissione si avvale dell'opera di agenti e di ufficiali di polizia giudiziaria e può avvalersi di tutte le collaborazioni, che ritenga necessarie, di soggetti interni ed esterni all'amministrazione dello Stato autorizzati, ove occorra e con il loro consenso, dagli organi a ciò deputati e dai Ministeri competenti.
  5. Per lo svolgimento delle sue funzioni la Commissione fruisce di personale, locali e strumenti operativi messi a disposizione dai Presidenti delle Camere, d'intesa tra loro.
  6. Le spese per il funzionamento della Commissione sono stabilite nel limite massimo di 100.000 euro per l'anno 2018 e di 150.000 euro per ciascuno degli anni successivi e sono poste per metà a carico del bilancio interno del Senato della Repubblica e per metà a carico del bilancio interno della Camera dei deputati.
  7. La Commissione cura l'informatizzazione dei documenti acquisiti e prodotti nel corso dell'attività propria e delle analoghe Commissioni parlamentari di inchiesta precedenti.

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