TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 389 di Mercoledì 27 ottobre 2010

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE VOLTE A GARANTIRE L'ACCESSO AL CREDITO DI FAMIGLIE E IMPRESE, IN RELAZIONE AI NUOVI PARAMETRI STABILITI DALL'ACCORDO «BASILEA 3»

La Camera,
premesso che:
lo sviluppo del sistema industriale non può prescindere dal supporto del sistema creditizio, in termini di finanziamento sia della gestione corrente, sia degli investimenti; nell'attuale congiuntura, poi, il credito diventa per tutte le imprese, e soprattutto per le piccole e medie, addirittura essenziale;
la genesi della pesante crisi economico-finanziaria che ha investito i mercati di tutto il mondo ha aperto la discussione sulla patrimonializzazione degli istituti di credito e sugli eccessivi livelli di rischio che questi ultimi assumono; il crac di Lehman Brothers di due anni fa ha fatto drammaticamente emergere l'abuso della leva finanziaria da parte degli istituti di credito e il problema della qualità degli strumenti finanziari detenuti dalle banche stesse; i 613 miliardi di dollari di debito dell'istituto americano hanno portato all'avvio del procedimento fallimentare e, dopo il caso Lehman Brothers, altri colossi legati al credito e alla finanza immobiliare, quali Fannie Mae e Freddie Mac, sono stati salvati dall'intervento del Dipartimento del tesoro statunitense; alla crisi finanziaria si sono aggiunti, in Europa, i contraccolpi dapprima su gran parte delle banche britanniche, fino alla crisi del sistema finanziario della Grecia, dove il deficit di bilancio è schizzato, nel 2009, al 12,7 per cento del prodotto interno lordo;
sui mercati finanziari occidentali è ancora alto il rischio derivante dal collocamento, presso aziende e famiglie, di prodotti finanziari caratterizzati da strutture derivate che non si coniugano né con l'economia reale, né con le esigenze di risparmio dei cittadini, ma che, al contrario, garantiscono quasi esclusivamente forti ritorni commissionali ai collocatori;
nel mese di settembre 2010 il Comitato di Basilea sulla supervisione bancaria ha riscritto l'accordo cosiddetto Basilea 2 per arrivare all'accordo Basilea 3, che verrà formalmente sottoscritto dai Capi di Stato e di Governo al G20 del novembre 2010 a Seul e che mira a rafforzare il patrimonio delle banche, al fine di scongiurare nuove catastrofi finanziarie; l'intesa è stata raggiunta dopo un ampio confronto tra le autorità bancarie europee, timorose che i nuovi parametri potessero limitare la loro operatività;
in particolare, il nuovo accordo prevede l'invarianza dell'attuale requisito minimo per il patrimonio complessivo, che resta all'8 per cento in rapporto alle attività ponderate per il rischio e l'innalzamento dal 4 per cento al 6 per cento del Tier 1 Capital, che è il requisito del patrimonio di base; viene poi stabilito che alle banche verrà richiesto di mantenere un cuscinetto (buffer) di capitale aggiuntivo sopra i minimi, pari al 2,5 per cento, soggetto all'aumento nelle fasi di crisi;
i nuovi requisiti saranno pienamente a regime solo nel 2019, prevedendo un innalzamento graduale delle soglie;
l'accordo Basilea 3 suscita forti e giustificati timori nel mondo industriale ed, in particolare, tra le piccole e medie imprese in merito ai nuovi requisiti in esso previsti aventi lo scopo di rafforzare il capitale delle banche; si evidenzia il rischio che venga ridotto il credito non solo alle imprese ma anche alle famiglie, con un ampio differenziale tra tassi a credito e tassi a debito. C'è il fondato rischio, quindi, che il nuovo accordo penalizzi l'economia reale in una fase ancora molto delicata con il nostro sistema industriale che sta uscendo faticosamente dal vortice della crisi; è fondamentale garantire il supporto del sistema creditizio e scongiurare il pericolo che la capitalizzazione richiesta alle banche dai nuovi accordi di Basilea 3 possa portare ad una forte stretta sul credito,

impegna il Governo:

a monitorare nel tempo la situazione del sistema creditizio ed eventualmente ad intervenire con determinazione affinché si assicuri la costante erogazione del credito, anche d'intesa con la Banca d'Italia e l'ABI, al fine di prevenire le possibili conseguenze negative che possono derivare dall'applicazione dei nuovi parametri patrimoniali previsti dall'accordo Basilea 3 nei confronti delle imprese e delle famiglie.
(1-00445) «Reguzzoni, Maggioni, Montagnoli, Luciano Dussin, Fogliato, Lussana, Alessandri, Allasia, Bitonci, Bonino, Bragantini, Buonanno, Callegari, Caparini, Cavallotto, Chiappori, Comaroli, Consiglio, Crosio, Dal Lago, D'Amico, Desiderati, Di Vizia, Dozzo, Guido Dussin, Fava, Fedriga, Follegot, Forcolin, Fugatti, Gidoni, Goisis, Grimoldi, Lanzarin, Molgora, Laura Molteni, Nicola Molteni, Munerato, Negro, Paolini, Pastore, Pini, Pirovano, Polledri, Rainieri, Rivolta, Rondini, Simonetti, Stefani, Stucchi, Togni, Torazzi, Vanalli, Volpi, Zaffini, Carlucci».
(30 settembre 2010)

La Camera,
premesso che:
la crisi che a partire dal 2007 ha colpito il sistema finanziario internazionale ha generato effetti dirompenti sulle economie dei principali Paesi. Le autorità hanno reagito in una prima fase con misure di emergenza e, successivamente, con l'avvio del processo di riforma della regolamentazione bancaria e finanziaria e della vigilanza;
il Comitato di Basilea sulla supervisione bancaria ha elaborato una articolata proposta di revisione delle regole per le banche, con l'obiettivo di prevenire l'eccessiva assunzione di rischi da parte degli operatori e rendere il sistema finanziario nei prossimi armi più solido e prudente;
nel settembre 2010 i Governatori e i capi delle autorità di vigilanza del G20 hanno approvato le proposte del Comitato di Basilea sulla supervisione bancaria, che saranno sottoposte al vaglio dei Capi di Stato e di Governo nel G20 agli inizi di novembre 2010;
un primo obiettivo del nuovo accordo è di rafforzare, non solo in termini di quantità ma soprattutto in termini di qualità, il capitale delle banche per far tirante ai rischi legati all'espansione dell'attività finanziaria;
un secondo altrettanto importante obiettivo è quello di disegnare norme che riducano la cosiddetta prociclicità, che contribuiscano cioè a contenere la crescita eccessiva dell'attività finanziaria nei periodi di espansione economica e assicurino che le banche abbiano sufficienti risorse per affrontare le fasi negative del ciclo;
per evitare che le nuove regole rappresentino un freno alla debole ripresa in corso, le autorità di regolamentazione hanno concesso alle banche un periodo di transizione per adeguarsi: le nuove regole inizieranno ad applicarsi dal primo gennaio 2013, ma entreranno in vigore integralmente solo nel 2019;
le proposte di riforma hanno suscitato sul mercato reazioni diverse. In particolare, banche e imprese hanno lamentato un'eccessiva severità delle nuove regole, preoccupate rispettivamente del costo associato a più elevati requisiti di capitale e delle possibili ricadute sul finanziamento degli investimenti e, dunque, sulla ripresa economica;
la Banca d'Italia stima che, per il nostro Paese, un aumento di un punto percentuale del rapporto di capitalizzazione, realizzato in un arco temporale di 4 anni, produrrebbe nei prossimi 4-5 anni un tasso di crescita annuo del prodotto interno lordo inferiore di circa lo 0,1 per cento rispetto a quello che si sarebbe realizzato in assenza della riforma. D'altro canto, la maggiore solidità del sistema finanziario indotta dalla riforma ridurrebbe la probabilità di crisi finanziarie e le ricadute negative sulla crescita economica, che in Italia nel biennio 2008-2009 hanno provocato una caduta del prodotto pari ad oltre il 6 per cento;
tuttavia, l'accordo di Basilea 3 fornisce indicazioni ancora vaghe su due problemi cruciali. Anzitutto, l'esistenza di un rapporto minimo tra capitale e attivo ponderato per il rischio, non ha impedito a molte banche di accumulare un attivo per un valore pari a molte decine di volte rispetto al capitale. Lehman Brothers, prima di fallire, aveva un livello di Tier 1 Capital dell'11 per cento, ben superiore al nuovo minimo definito dal Comitato di Basilea sulla supervisione bancaria. I coefficienti patrimoniali sono un requisito necessario ma non sufficiente a misurare i rischi e a prevenire eventuali nuove crisi finanziarie. Assieme ai requisiti patrimoniali è urgente affrontare, da un lato, il tema dell'eccessiva leva finanziaria e, dall'altro, quello della scarsa liquidità disponibile a breve;
per quanto concerne la leva, il limite è stato individuato solo in via preliminare, rinviandone la definizione al 2017, in previsione della sua entrata in vigore nell'anno successivo;
riguardo al rischio di liquidità, l'accordo si limita a dire che nel 2011 inizierà un periodo di osservazione, in vista dell'introduzione di un coefficiente di liquidità nel 2015, senza specificare neppure in via preliminare un criterio quantitativo;
gli effetti della riforma sul sistema produttivo italiano potranno risultare diversificati. Le imprese più indebitate verso il sistema bancario potrebbero subire maggiormente le conseguenze di un irrigidimento delle politiche creditizie;
in particolare, le più esposta sembrano essere le imprese di minore dimensione, per il minore potere contrattuale che possono vantare nei confronti delle banche;
i dati della Centrale dei bilanci relativi a un campione di circa 50.000 imprese indicano che quelle con meno di 50 addetti presentano una struttura finanziaria relativamente fragile e un'elevata esposizione nei confronti dei sistema bancario. In particolare, il grado di indebitamento delle piccole imprese risulta significativamente più elevato rispetto a quello delle imprese di maggiore dimensione;
tra il 2005 e il 2008 il rapporto tra i debiti finanziari e la somma degli stessi con il patrimonio netto è risultato in media pari al 58,3 per cento, circa due punti percentuali in più rispetto alle imprese di media dimensione e oltre 10 punti in più rispetto alle grandi. Il maggiore indebitamento delle piccole imprese si riflette in una più contenuta capacità di sostenerne gli oneri finanziari, che rappresentano oltre il 30 per cento del margine operativo lordo, contro valori compresi tra il 20 e il 25 per cento per le imprese più grandi;
a causa della sostanziale assenza di canali di finanziamento alternativi al credito, la dipendenza delle piccole imprese dalle banche è più elevata della media: la quota di debiti bancari sul totale dei debiti finanziari è pari all'83 per cento; tale valore, prossimo a quello registrato per le imprese medie, è più elevato rispetto alle grandi di circa 30 punti percentuali;
per comprendere appieno i possibili effetti della riforma, vanno tuttavia adeguatamente considerati diversi fattori;
in primo luogo, è possibile stimare che le imprese con meno di 20 addetti sono finanziate in misura minore dalle banche più grandi e complesse che subiranno il maggiore impatto della riforma. La quota di credito concesso da questi intermediari alle piccole imprese è pari a circa il 45 per cento, contro un valore prossimo al 53 per cento per le imprese medio-grandi;
inoltre, ed è il fattore più significativo, un buon numero di banche italiane di medie e piccole dimensioni è già oggi caratterizzato da livelli di patrimonio superiori a quelli richiesti dalle nuove regole;
in ogni caso, la fase transitoria potrebbe aiutare a trovare soluzioni adeguate a specificità nazionali,

impegna il Governo:

a prevedere strumenti per incentivare le imprese a rafforzare la propria struttura finanziaria, agevolando questo processo con adeguate misure a sostegno delle operazioni di capitalizzazione o di altre operazioni volte ad accrescere la dimensione d'impresa e, con essa, la capacità di accedere direttamente ai mercati finanziari, al contempo favorendo opportuni meccanismi di garanzia pubblica sui finanziamenti a medio e lungo termine concessi dalle banche alle piccole e medie imprese;
a impegnarsi nelle opportune sedi internazionali, affinché l'accordo trovi, diversamente da quanto accaduto con Basilea 2, applicazione omogenea non solo in Europa ma a livello globale, e affinché nella sua concreta attuazione siano tenuti nella massima considerazione il differente peso che le banche hanno per il finanziamento dei settori produttivi nei diversi Paesi e il modello di business delle diverse banche, in maniera da penalizzare chi ha maggiore probabilità di ingenerare crisi sistemiche ed evitando che siano penalizzati, nelle misure sulle deduzioni dal patrimonio di vigilanza, Paesi come l'Italia in cui, a causa del regime fiscale, si sono accumulate ingenti imposte differite attive (dta).
(1-00462) «Fluvi, Boccia, Lulli, Carella, Causi, Ceccuzzi, D'Antoni, Fogliardi, Graziano, Marchignoli, Piccolo, Pizzetti, Sposetti, Strizzolo, Vaccaro, Verini, Colaninno, Fadda, Froner, Marchioni, Martella, Mastromauro, Peluffo, Portas, Quartiani, Sanga, Scarpetti, Federico Testa, Vico, Zunino».
(26 ottobre 2010)

La Camera,
premesso che:
i Governatori e i capi delle autorità di vigilanza del G20 hanno approvato, su proposta del Comitato di Basilea sulla supervisione bancaria, un nuovo accordo, il cosiddetto Basilea 3;
il nuovo accordo impone requisiti patrimoniali più severi per l'operatività delle banche per consentire loro di disporre di maggiori risorse per affrontare crisi, tipo quella mutui subprime, che hanno messo in ginocchio il sistema finanziario e l'economia internazionale;
l'entrata in vigore sarà graduale, dal 1o gennaio 2013 per giungere alla piena attuazione al 1o gennaio 2019;
l'accordo intende intervenire ed agire su quelli che sono ritenuti i requisiti chiave imposti alle banche nella loro attività e che vengono misurati dal rapporto tra il patrimonio di vigilanza, cioè i fondi sui quali una banca può contare in una fase di necessità, e il totale delle sue attività per tenere conto delle effettive caratteristiche del rischio;
l'accordo avrà un'approvazione «politica» nella riunione dei Capi di Stato e di Governo del G20 che si terrà a novembre 2010 a Seul;
l'applicazione di questo accordo rischia di avere un serio contraccolpo a livello sociale, in quanto le banche, per adeguarsi ai nuovi criteri, potranno farlo solo ricapitalizzandosi o/e riducendo gli impieghi, o procedendo ad una stretta creditizia che si ripercuoterebbe inevitabilmente sulle piccole e medie imprese e sulle famiglie;
il Mezzogiorno già vive un'estrema difficoltà di accesso al credito da parte di imprese e famiglie; con l'applicazione dell'accordo Basilea 3 la difficoltà potrebbe aggravarsi, impedendo la ricostruzione e il sostegno al Sud di medie e piccole imprese che da sempre rappresentano la spina dorsale di un efficace e duraturo sviluppo economico e un volano occupazionale indispensabile;
l'accordo Basilea 3 può diventare un'importante innovazione se le banche torneranno a prestare maggiore attenzione alla qualità dei progetti imprenditoriali da finanziare in modo che nel giudicare i progetti non si guardi solo al bilancio dell'azienda, ma anche al suo trend di sviluppo, agli investimenti e alla possibilità di espansione nel territorio;
l'applicazione corretta nelle diverse aree geografiche del Paese è il requisito fondamentale, affinché si possa evitare l'effetto distorsivo nelle diverse economie presenti sul territorio italiano, effetto che amplierebbe il profondo differenziale già esistente tra Nord e Sud;
oggi le imprese e le famiglie del Sud scontano un costo del credito superiore di almeno un punto percentuale rispetto ai costi del credito sostenuti dagli stessi soggetti nel Centro-Nord,

impegna il Governo:

ad assumere ogni iniziativa di competenza al fine di evitare che l'applicazione dell'accordo Basilea 3 penalizzi l'accesso al credito per piccole e medie imprese, nonché per le famiglie;
ad adottare ogni iniziativa di competenza volta a garantire l'accesso al credito alle famiglie e alle piccole e medie imprese anche nei territori meridionali;
a monitorare e ad accompagnare l'applicazione dell'accordo Basilea 3, affinché questa possa avere effetti positivi nelle aree svantaggiate del Paese, considerato che ciò è il requisito fondamentale per evitare effetti ulteriormente distorsivi nelle diverse economie presenti sul territorio italiano, effetti che amplierebbero il profondo differenziale già esistente tra Nord e Sud.
(1-00463) «Misiti, Lo Monte, Commercio, Latteri, Lombardo, Brugger».
(26 ottobre 2010)

La Camera,
premesso che:
secondo la Banca d'Italia, grazie al nuovo accordo Basilea 3 si avrà un più severo e omogeneo quadro di regole che rappresenta la condizione necessaria per rendere più solido il sistema finanziario e costituisce uno stimolo per l'adozione di comportamenti virtuosi da parte delle imprese;
tuttavia, nel corso dei numerosi incontri e convegni organizzati per analizzare l'impatto del nuovo accordo internazionale Basilea 3, che sarà portato all'approvazione del G20 dei Capi di Stato e di Governo di Seul agli inizi di novembre 2010, sono emerse preoccupazioni e timori per i possibili effetti sul comparto creditizio, soprattutto su quello maggiormente concentrato sull'attività di intermediazione tradizionale rispetto a quello dedito all'investment bank;
i timori sono legati alle conseguenze che i nuovi requisiti di capitale, richiesti agli istituti per fare fronte ai rischi, potranno avere sull'economia;
in particolare, il rapporto tra il patrimonio delle banche (capitale azionario più riserve di bilancio) e le sue attività, salirà dal 2 per cento al 4,5 per cento e potrà, inoltre, essere richiesto anche un ulteriore 2,5 per cento da usare nei periodi difficili, che porterà la percentuale al 7 per cento. Sono, inoltre, previsti test per un tetto sulla leva finanziaria pari al 3 per cento del capitale Tier 1;
anche se gli istituti italiani possono contare su una qualità complessivamente buona del capitale, secondo il vicedirettore della Banca d'Italia, Maria Tarantola, l'impatto sulle banche non sarà trascurabile e peserà su quelle di maggiori dimensioni che mostrano livelli medi di patrimonializzazione meno elevati nel confronto internazionale;
infatti, le piccole e medie banche italiane presentano già livelli di patrimonio superiori a quelli richiesti dalle nuove regole, come confermato anche da un'analisi condotta dalla società di consulenza Oliver Wyman su un campione di 45 banche medie (con attivi totali compresi fra 10 e 40 miliardi di euro) e medio-piccole (500 milioni di euro e 10 miliardi di euro) italiane, secondo cui il comparto è già sostanzialmente in linea con l'accordo Basilea 3;
tuttavia l'accordo Basilea 3 prevede anche l'introduzione di una serie di cuscinetti di emergenza per assorbire eventuali perdite in particolari fasi di mercato. Il primo, detto conservation buffer, sarà obbligatorio e aumenterà progressivamente fino al 2019. L'applicazione dell'altro, il cosiddetto countercyclical buffer, resta a discrezione delle singole banche centrali nazionali e servirebbe a evitare eccessi nei periodi di forte crescita del credito. In caso di introduzione di quest'ultima misura precauzionale, i requisiti minimi patrimoniali dovranno essere aumentati ulteriormente e l'impatto a livello aggregato potrebbe arrivare fino a 3 miliardi di euro (2,2 miliardi di euro per le banche medie e 800 milioni di euro per quelle piccole);
un aumento dei requisiti patrimoniali delle banche produrrà un aumento del costo del capitale che, inevitabilmente, per le considerazioni di cui sopra, avrà l'effetto di aumentare il tasso sui prestiti concessi;
in tal caso, questi istituti sarebbero inevitabilmente costretti a ridurre gli impieghi, penalizzando quindi l'accesso al credito da parte delle aziende, soprattutto quelle più piccole e che insistono sul territorio;
la situazione potrebbe ancor più aggravarsi con l'ingresso della nuova direttiva anticrisi in discussione a Bruxelles, che riscrive le regole sul Fondo interbancario di garanzia dei depositi e sui criteri di misurazione dei contributi delle banche al Fondo, che inciderebbe in maniera decisa sui bilanci aziendali (oggi i contributi versati dalle banche sono virtuali e diventano concreti solo in caso di necessità), imponendo alle banche di prevedere accantonamenti in 10 anni pari all'1,5 per cento dei depositi;
il rischio di pesanti ricadute sull'economia è così avvertito che il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione di ben 68 punti in cui si chiede una più attenta analisi delle conseguenze del nuovo accordo per l'economia, un maggior coinvolgimento delle autorità europee e l'eliminazione di ogni possibile asimmetria regolamentare con altri Paesi extraeuropei, in particolare con la regolamentazione degli Stati Uniti i cui istituti creditizi, peraltro, hanno goduto dei salvataggi pubblici e pensano, quindi, di stare in condizioni migliori dei loro competitor europei;
sempre secondo il vice direttore della Banca d'Italia, dopo l'entrata in vigore dell'accordo Basilea 3, la debolezza della struttura finanziaria delle piccole aziende potrebbe incidere negativamente sulle condizioni di accesso al credito;
per l'Associazione bancaria italiana vi saranno inevitabili costi per la ripresa dell'economia, cosa che provocherà la riduzione delle risorse disponibili per il suo finanziamento;
è tutto da verificare che l'innalzamento dei requisiti basti ad evitare nuove crisi: basti pensare che i principali artefici della crisi finanziaria furono Fannie Mae e Freddie Mac, due aziende che operavano nel campo delle ipoteche immobiliari, quindi esentate dal rispetto delle regole di Basilea 2, mentre sarebbe opportuno puntare su maggiori controlli e supervisioni;
è opportuno vigilare affinché le regole dell'accordo Basilea 3 non penalizzino troppo gli istituti prestatori di garanzia, ossia i confidi che, per definizione, sono tra le istituzioni più attente alle piccole e medie imprese e considerati enti mutualistici nella maggior parte dei casi, con finalità diverse dalla massimizzazione dei profitti,

impegna il Governo:

ad adottare ogni iniziativa di competenza affinché non si ricorra ad aumenti degli spread applicati per realizzare accantonamenti di capitale che consentano di rientrare nei nuovi parametri patrimoniali previsti per gli istituti bancari, poiché tali aumenti graverebbero principalmente sulle famiglie e sulle aziende sottopatrimonializzate;
a valutare l'opportunità di prevedere misure di sostegno per le operazioni di capitalizzazione, o per le operazioni volte ad accrescere la dimensione delle imprese italiane;
a verificare attentamente che l'imposizione del nuovo corso di regole non generi svantaggi competitivi sui mercati internazionali;
a tenere in considerazione le indicazioni della citata risoluzione del Parlamento europeo e della Commissione europea prima di legittimare l'introduzione delle nuove regole nel corso dell'incontro di Seul del G20;
a considerare prioritaria, nella stesura delle proposte finali, l'indicazione di nuovi principi volti a ridurre il ruolo ufficiale delle agenzie di rating.
(1-00465) «Occhiuto, Galletti, Compagnon, Ciccanti, Volontè, Naro, Cera, Libè, Rao, Anna Teresa Formisano, Ruggeri, Poli».
(26 ottobre 2010)

La Camera,
premesso che:
i nuovi accordi di Basilea 3, ancora in corso di elaborazione definitiva, modificheranno i criteri già stabiliti con Basilea 1 (1998) e Basilea 2 (2008): essi fissano, alzandoli, i requisiti minimi di capitale delle banche proporzionalmente ai rischi che assumono, prevedono una serie di «cuscinetti» (liquidità) di capitale aggiuntivi (pari al 2,5 per cento, ma che potrebbe aumentare fino al 5 per cento) nelle fasi economiche a rischio, prevedono sanzioni nel caso di violazione delle nuove regole, quale il divieto di pagare bonus ai manager o cedole ai soci;
gli obiettivi perseguiti sono principalmente quelli di evitare nuove gravi crisi come quella del 2007-2008, evitare che eventuali nuove crisi bancarie creino un effetto-contagio che metta a repentaglio l'intero sistema finanziario europeo ed evitare che siano sempre e solo i contribuenti a pagare il conto del salvataggio delle banche;
in assenza di rialzo dei tassi ed in assenza di previsioni che indichino una forte ripresa economica - i recenti dati Istat segnalano un recupero del prodotto interno lordo italiano, intorno all'1 per cento entro la fine del 2010, ma le prospettive di ripresa sono molto incerte e l'aumento del prodotto interno lordo è molto basso rispetto alle performance degli altri Paesi dell'Unione europea, tra i quali la Germania con un aumento del prodotto interno lordo del 3 per cento - l'unica leva a disposizione del management delle banche sembrerebbe essere la compressione dei costi, di tutti i costi, in particolare quelli operativi e del lavoro;
nel caso del nostro Paese, non poche banche potrebbero dover ridurre drasticamente la distribuzione di dividendi per anni o chiedere di finanziare aumenti di capitale agli azionisti, quegli stessi azionisti che hanno già visto la redditività calare in modo drastico per effetto della crisi finanziaria e della recessione;
l'allineamento alle regole dell'accordo di Basilea 3 non potrà non comportare dei costi, in quanto una migliore qualità ed una maggiore quantità di capitale di garanzia potranno essere raggiunti solo attraverso un rimodellamento della struttura di ciascun istituto, ristrutturazione che imporrà dei costi quale prima conseguenza;
il rischio maggiore è quello di un inasprimento del costo del danaro: molto dipenderà dai parametri che saranno assunti nella stesura finale dei nuovi accordi, ma il rischio rimane anche nel caso di attenuazione degli effetti, grazie ad un'applicazione graduale delle nuove regole, al momento prevista a partire dal 2012; il Comitato ne sta ancora discutendo, in quanto le proposte definitive saranno presentate al G20 in programma a Seul nel mese di novembre 2010;
l'Unione europea sta lavorando per dare un nuovo corso alle regole anticrisi per il settore finanziario, in vista della consultazione pubblica del mese di dicembre 2010 che porterà, nella primavera 2011, ad una proposta legislativa;
la peculiarità del tessuto produttivo ed economico del nostro Paese, la fortissima presenza di piccole imprese, la forte vocazione manifatturiera rendono le banche il canale principale di erogazione delle risorse: per uscire dalla crisi le imprese, grandi, medie e piccole, hanno bisogno di credito, da utilizzare per affrontare le emergenze, per ricominciare a investire, per sopravvivere ai contraccolpi già subiti a causa della grave recessione e per affrontare un futuro ancora denso di incertezze;
il credito alimenta le imprese, la cui crescita rende necessarie a sua volta nuove fonti di finanziamento, creando un circuito virtuoso per tutte le parti coinvolte - imprese (e lavoratori), banche e Stato - che si avvantaggia di maggiori entrate fiscali;
il credito alimenta anche le famiglie, che possono aumentare le proprie capacità di spesa in beni di consumo o durevoli, favorendo anche in questo caso l'economia nel suo insieme;
negli ultimi mesi sono stati resi noti casi in cui imprenditori ed imprenditrici italiani recatisi in banca abbiano sentito già evocare l'accordo Basilea 3 quale giustificazione di dinieghi di accesso al credito;
il Governatore Mario Draghi ha rassicurato il Paese dichiarando che le nostre banche «sono solide ed hanno requisiti patrimoniali superiori ai minimi, nella media internazionale e a volte anche meglio» ed ha aggiunto che «le banche oggi non hanno difficoltà né di raccolta di fondi, né, per la maggior parte, di capitale, però preferiscono investire altrove, in impieghi più remunerativi»,

impegna il Governo:

a promuovere, nel rispetto delle competenze istituzionali, le basi, anche normative, adeguate a consentire un ordinato svolgimento dell'attività di credito da parte delle banche, affinché esso non sia di ostacolo agli obiettivi di sviluppo e di espansione sui mercati delle imprese finanziate;
a farsi promotore nelle debite sedi di proposte volte al coordinamento, almeno in sede europea, ai fini dell'applicazione omogenea delle nuove regole dell'accordo Basilea 3 nei Paesi membri;
a vigilare affinché i nuovi accordi di Basilea 3 non siano invocati quali alibi rispetto all'erogazione del credito alle imprese, in particolare quelle piccole, anche adottando opportuni strumenti affinché la stabilità delle banche non sia perseguita penalizzando i flussi di credito alle imprese;
ad adottare ogni iniziativa di competenza al fine di evitare che alle aziende che hanno chiuso in perdita il bilancio 2009 a causa della recessione, ma che sono sane e reagiscono, vengano bloccati i progetti;
ad intervenire, contestualmente ed in modo organico, con tutti gli strumenti a disposizione e di competenza per alleviare le eventuali criticità e superare i nodi che si temono, in particolare per l'accesso al credito delle piccole imprese e delle famiglie;
ad assumere iniziative volte ad incrementare le risorse del fondo di investimento per la crescita delle piccole e medie imprese, al fine di sostenere e rafforzare i processi di patrimonializzazione ed agevolare quelli di aggregazione;
a rafforzare le attività di garanzia del fondo rivolto alle piccole e medie imprese, di cui all'articolo 15 della legge n. 266 del 1997, valutando l'incremento delle risorse a disposizione del fondo di garanzia, del tetto dell'importo del credito garantito e delle percentuali sulle quali si applica la garanzia.
(1-00466) «Borghesi, Messina, Donadi, Cambursano, Barbato, Di Stanislao, Cimadoro».
(26 ottobre 2010)

La Camera,
premesso che:
i Governatori e i capi delle autorità di vigilanza del G20 hanno approvato, su proposta del Comitato di Basilea sulla supervisione bancaria, un nuovo accordo, cosiddetto Basilea 3 che interviene sui requisiti patrimoniali delle banche, al fine di assicurare che gli istituti dispongano di risorse adeguate a far fronte ad un'eventuale crisi, quale quella dei mutui subprime che ha messo in ginocchio il sistema finanziario internazionale;
l'entrata in vigore delle nuove previsioni sarà graduale, a partire dal 1o gennaio 2013, per giungere alla piena attuazione a decorrere dal lo gennaio 2019;
l'accordo agisce su uno dei requisiti chiave imposti alle banche nella loro operatività, costituito dal rapporto tra il patrimonio di vigilanza ed il totale dei loro impieghi (in sostanza i crediti erogati) ponderati in base alla relativa rischiosità, ovvero, in altri termini, dall'ammontare di patrimonio cui ciascuna banca può ricorrere per coprire eventuali perdite o svalutazioni che si registrassero sulle predette attività;
l'accordo presenta certamente diversi aspetti positivi, in primo luogo in quanto contribuirà a rafforzare la stabilità di lungo periodo dell'intero sistema finanziario mondiale, proteggendo meglio le istituzioni creditizie dai contraccolpi di eventuali crisi, nonché, in secondo luogo, consentirà di definire regole di patrimoniali uniformi per tutte le banche mondiali, a vantaggio del sistema creditizio italiano, il quale si è dimostrato sano e non ha avuto necessità, nella recente crisi finanziaria, di significativi interventi di patrimonializzazione;
nel corso del lungo e faticoso lavoro di preparazione dell'accordo, al di là del consenso sulla necessità di irrobustire la patrimonializzazione delle banche, è stato, tuttavia, manifestato il timore che le nuove regole possano in qualche modo limitare l'operatività degli istituti di credito, inducendoli a tenere immobilizzati capitali che potrebbero, invece, essere utilizzati per la normale operatività creditizia;
sussiste, infatti, il rischio (paventato, ad esempio, da Confindustria) che un'eccessiva «ingessatura» delle banche renda queste ultime meno propense ad erogare credito, l'imitando, quindi, la possibilità delle imprese di effettuare investimenti o, addirittura, di finanziare l'attività ordinaria, pregiudicando in tal modo la ripresa economica;
tale questione risulta particolarmente significativa in un Paese come l'Italia, il cui tessuto produttivo è costituito da circa sei milioni di imprese, delle quali più della metà individuali;
inoltre, occorre ricordare come le banche italiane, soprattutto quelle di medie e piccole dimensioni (banche popolari, banche di credito cooperativo) già presentino, generalmente, un rapporto tra patrimonio di vigilanza ed ammontare degli impieghi superiore a quello richiesto dalle nuove regole, e non presentino pertanto rischi sotto il profilo della stabilità;
in ragione di tale favorevole condizione (oltre che a causa del forte radicamento territoriale) tale categoria di banche, che del resto costituisce storicamente uno degli elementi caratterizzanti della struttura creditizia nazionale, si è conquistata sempre più, nel corso degli ultimi anni, un ruolo assolutamente centrale nel finanziamento del tessuto produttivo italiano, ed in particolare delle piccole e medie imprese;
in tale contesto un ulteriore rischio specifico per il sistema finanziario italiano insito nelle nuove regole dell'accordo Basilea 3 consiste nel fatto che queste ultime vincolano le banche ad accantonare maggiori risorse patrimoniali (cosiddetti buffer) nella fasi favorevoli del ciclo economico, al fine di assorbire eventuali perdite in caso di crisi particolarmente acute: tali misure anticicliche possono, infatti, costituire un problema proprio per le banche italiane di piccole e medie dimensioni, le quali, sebbene già più che adeguatamente patrimonializzate, potrebbero comunque essere costrette a reperire mezzi patrimoniali aggiuntivi, a condizioni generalmente più onerose degli istituti bancari di grandi dimensioni, ovvero a ridurre proporzionalmente il credito da loro erogato;
alla luce di tali considerazioni è, dunque, necessario che, nella fase di entrata in vigore dell'accordo di Basilea 3, ma anche, successivamente, nella sua applicazione a regime, si evitino conseguenze negative in termini di restrizione del credito a favore delle piccole e medie imprese e delle famiglie, verificando, in particolare, se le nuove regole possano determinare difficoltà per l'operatività delle banche italiane, segnatamente di piccole e medie dimensioni,

impegna il Governo:

a seguire attentamente la fase di transizione dell'entrata in vigore dell'accordo di Basilea 3, al fine di garantire adeguate condizioni di accesso al credito, in particolare a favore delle piccole e medie imprese e delle famiglie;
a valutare, in particolare, gli effetti che le misure anticicliche stabilite nell'accordo possano determinare sulle banche italiane, al fine di escludere ricadute negative sull'erogazione di credito da parte delle medesime;
ad evitare, con specifico riferimento alle banche di piccole e medie dimensioni, le quali svolgono un ruolo ormai cruciale nel finanziamento del sistema produttivo italiano, che le predette misure anticicliche possano tradursi in un vincolo automatico di maggiore patrimonializzazione delle banche stesse;
a frasi promotore, in tutte le competenti sedi internazionali, dell'esigenza di un costante monitoraggio sull'attuazione delle nuove previsioni previste dall'accordo, anche al fine di prevederne un'eventuale revisione a medio termine.
(1-00467) «Cicchitto, Bernardo, Gava, Baldelli, Angelucci, Berardi, Del Tenno, Dima, Vincenzo Antonio Fontana, Germanà, Leo, Milanese, Misuraca, Pagano, Antonio Pepe, Pugliese, Savino, Soglia, Ventucci, Abrignani, Berruti, De Corato, Galati, Golfo, Jannone, Lazzari, Marinello, Mazzocchi, Milanato, Mistrello Destro, Pelino, Scajola, Verdini, Versace, Vignali».
(26 ottobre 2010)

La Camera,
premesso che:
lo stato di salute del nostro apparato industriale, in massima parte composto da imprese di piccole e medie dimensioni, non può prescindere, specie in un periodo ancora contrassegnato dagli strascichi della violenta crisi economico-finanziaria, dal sostegno fornito dal sistema creditizio in termini di finanziamento sia della gestione corrente, sia degli investimenti;
l'origine finanziaria della suddetta crisi globale ha evidenziato la necessità di intervenire nell'ottica di patrimonializzare gli istituti di credito e gli eccessivi livelli di rischio che essi assumono;
al fine di scongiurare il verificarsi di una nuova crisi finanziaria, i Governatori e i capi delle autorità di vigilanza del G20 sono intervenuti apportando significative modifiche all'accordo noto con il nome di Basilea 2, stilando il testo del Basilea 3. In base agli accordi raggiunti, il requisito minimo per il common equity - la componente di capitale con la maggiore capacità di assorbire le perdite - sarà innalzato dall'attuale livello del 2 per cento al 4,5 per cento;
il nuovo coefficiente sarà introdotto con gradualità entro il 1o gennaio 2015;
il requisito per il patrimonio di base, che, oltre al common equity, comprenderà altri strumenti finanziari computabili sulla base di criteri più stringenti rispetto agli attuali, sarà elevato dal 4 al 6 per cento nell'arco dello stesso periodo;
è stato, altresì, stabilito che il capital conservation buffer (cuscinetto di protezione del patrimonio), aggiuntivo rispetto ai requisiti minimi regolamentari, sia calibrato al 2,5 per cento e costituito da common equity al netto delle deduzioni e sarà applicato a seconda delle specifiche situazioni nazionali;
lo scopo del nuovo buffer di capitale è quello di assicurare che le banche mantengano un cuscinetto di capitale da poter impiegare per assorbire le perdite durante i periodi di stress finanziario ed economico. Da un lato, le banche potranno attingere a tale risorsa in situazioni di stress, dall'altro quanto più i loro coefficienti patrimoniali regolamentari si avvicineranno al requisito minimo, tanto maggiori saranno i vincoli posti alla distribuzione degli utili. Tali coefficienti patrimoniali sono integrati da un indice di leva finanziaria non basato sul rischio, che funge da supporto ai coefficienti descritti in precedenza basati sul rischio;
inoltre, è stato deciso di sperimentare un coefficiente minimo di leva finanziaria per il patrimonio di base del 3 per cento durante il corrispondente periodo di sperimentazione;
a seconda dei risultati della fase sperimentale, gli eventuali aggiustamenti definitivi saranno apportati nella prima metà del 2017, con l'obiettivo di trasformarlo a partire dal 1o gennaio 2018 in requisito minimo nell'ambito del primo pilastro del regime di Basilea 2, subordinatamente a un'appropriata revisione delle regole di calcolo e alla fissazione del livello di calibrazione;
sono state previste disposizioni transitorie per l'applicazione dei nuovi standard, fatto che contribuirà ad assicurare che il settore bancario sia in grado di rispettare coefficienti patrimoniali più elevati, attraverso ragionevoli politiche di accantonamento degli utili e di aumenti di capitale, assicurando in pari tempo il credito all'economia;
in aggiunta, dopo un periodo di osservazione che prenderà avvio nel 2011, l'indice di copertura della liquidità a breve sarà introdotto il 1o gennaio 2015. L'indicatore strutturale dell'equilibrio finanziario sarà trasformato in requisito minimo il 1o gennaio 2018;
in sintesi: i principali timori di Basilea 3 sono riconducibili, da un lato, all'utilità e all'efficacia dell'accordo e, dall'altro, alle conseguenze che esso potrebbe avere sulle imprese e, più in generale, sull'economia reale;
sotto il primo profilo, i parametri prudenziali adottati in termini di qualità e composizione del patrimonio, di leva finanziaria e di liquidità disponibile sono da più parti giudicati troppo miti per garantire un'effettiva protezione contro il rischio che si ripeta una crisi come quella attuale. Dal secondo punto di vista, vi è il timore di una forte stretta sui crediti concessi alle imprese, non giustificabile dai vincoli e dai costi imposti da Basilea 3;
gli aumenti richiesti nella capitalizzazione delle banche, con l'entrata in vigore della riforma di Basilea 3, rischiano di compromettere la ripresa economica, richiedendo un aumento del costo del credito per le imprese;
ad essere maggiormente penalizzati sono Paesi con modelli di business come l'Italia, fondati, cioè, sul canale del credito bancario per il finanziamento alle imprese;
occorre, pertanto, individuare soluzioni adeguate a specificità nazionali;
le banche italiane concordano sull'esigenza di avere un nuovo quadro di regole, ma è anche necessario che queste tengano conto dei diversi modelli di business e delle vere cause che hanno scatenato la crisi finanziaria;
la necessità di aumentare l'ammontare di capitale immobilizzato come riserva e di garantire, al contempo, un'adeguata remunerazione del rischio potrebbe indurre le banche a penalizzare quelle realtà sottocapitalizzate e teoricamente più rischiose, meno trasparenti sotto il profilo finanziario e gestionale e con dubbie capacità di garantire una redditività nel tempo sufficiente a sostenere i costi e a onorare il debito contratto con gli istituti di credito,

impegna il Governo:

a verificare e, se necessario, ad assumere ogni iniziativa di competenza affinché sia assicurata l'erogazione del credito, al fine di prevenire e scongiurare che le imprese e le famiglie debbano pagare le eventuali conseguenze negative dell'applicazione dei nuovi parametri patrimoniali previsti da Basilea 3;
ad adottare, specie nel periodo transitorio verso l'applicazione di Basilea 3, tutte le misure utili a scongiurare la diminuzione degli impieghi destinati a soggetti ritenuti più difficili da valutare, come le micro e le piccole imprese;
ad evitare, infine, che i nuovi requisiti imposti dall'accordo provochino un impatto negativo sull'economia reale, per evitare eventuali ulteriori danni al composito mondo delle piccole e medie imprese, che ha già pagato in prima persona i danni di una profonda crisi di cui non era in nessun modo responsabile.
(1-00468) «Polidori, Bocchino, Di Biagio, Moroni, Della Vedova».
(26 ottobre 2010)

La Camera,
premesso che:
la crisi economica internazionale ha avuto origine nel mercato dei titoli scambiati dalle banche e dagli altri intermediari, incorporanti i debiti sui mutui immobiliari;
protagoniste e grandi colpite le banche, anche per i venti di sfiducia reciproca che ne sono seguiti e che hanno scosso e scuotono dannosamente l'intero edificio delle economie dei Paesi avanzati e di quelli emergenti, nonostante denunce precoci, rimaste confinate nel limbo del dissenso;
la cultura della deregulation e dell'affidamento all'autodisciplina degli operatori, impostasi in Usa e, in Europa, soprattutto nei Paesi anglosassoni, ha rappresentato un limite per la necessaria maggiore pregnanza delle regole, a livello comunitario,di comportamento e di controllo;
in particolare, si sono rivelate insufficienti la normativa e la vigilanza in tema di trasparenza dei bilanci delle banche e si sono manifestate sistemiche violazioni di regole prudenziali, in particolare nell'utilizzazione di strumenti finanziari derivati;
i controlli hanno evidenziato ritardi nella previsione dei fattori di rischio e nell'esercizio della vigilanza;
il Governatore della Banca d'Italia, il 22 agosto 2008, con riferimento alle banche maggiormente responsabili della crisi parlò di «ignoranza, ingordigia o arroganza, mancanza di autodisciplina» in un contesto regolamentare insufficiente;
lo stesso Governatore il 21 ottobre 2010, di fronte alla Commissione finanze e tesoro del Senato della Repubblica, assicurò, però, che «le banche italiane hanno fronteggiato la crisi che ha investito con crescente violenza il sistema finanziario mondiale (...) potendo contare su un modello di attività fondamentalmente sano (...) su un quadro normativo, disegnato dal Parlamento nelle sue linee di fondo, esteso e prudente;
nei giorni scorsi, a New York, mentre il Fondo monetario internazionale definiva «fragile e poco omogenea la ripresa», il Ministro dell'economia e delle finanze dichiarava, con riferimento alle banche ed ai banchieri, che «la speculazione è a piede libero e i derivati circolano in misura maggiore di prima della crisi»;
seppure il sistema bancario italiano - in questa fase e grazie, in particolare, alla più stringente normativa emanata a tutela del risparmio nel 2005, al termine di un'approfondita indagine conoscitiva parlamentare - non ha avuto bisogno di interventi pubblici forti a carico dei contribuenti, le interrelazioni tra istituzioni finanziarie a livello mondiale e la globalizzazione degli scambi rendono quanto mai urgente una disciplina uniforme dell'attività bancaria;
peraltro, tale disciplina deve avere carattere di prevenzione diversamente dal passato, quando le leggi specifiche erano necessitate a seguito, il più delle volte, di generali crisi finanziarie o industriali, sulle quali il legislatore disponeva a posteriori;
la normativa in elaborazione che va sotto il nome di Basilea 3 risponde all'esigenza di uniformità regolamentare a livello comunitario e alla necessità di vincolare le banche a requisiti patrimoniali, in termini di liquidità e capitale, idonei a fronteggiare situazioni di sempre possibile crisi;
le conseguenze non sono, però, neutrali, sia per quanto riguarda la parità sostanziale tra banche che possono rispettare tali requisiti patrimoniali grazie ai salvataggi operati dallo Stato, sia per i comportamenti delle banche stesse nell'esercizio della funzione creditizia;
non v'è, infatti, chi non tema che il banchiere, spinto anche dall'azionista, privilegi la massimizzazione del profitto o tenendo al minimo tali requisiti, confidando in futuri salvataggi, o limitando la stessa attività creditizia, preferendole quella finanziaria e venendo così meno al dovere di saper vagliare ed assumere i rischi imprenditoriali propri;
ne deriva la necessità di una disciplina in cui i nuovi coefficienti di capitale e liquidità vengano attentamente calibrati, assicurando anche fasce di assunzione di responsabilità a livello di singola banca in termini e tempi stabiliti e in funzione dell'attività di stimolo e sostegno della crescita, che, specie nell'attuale congiuntura di crisi, è da considerare essenziale;
ciò per evitare un rallentamento - anche nella fase di transizione dall'attuale alla futura disciplina - dell'attività creditizia, soprattutto verso la famiglia e le piccole aziende, che costituiscono il 99,5 per cento dell'imprenditoria del Paese e non hanno la possibilità di ricorrere al mercato dei capitali;
la stessa durata del periodo della «transizione» richiede, perciò, di essere valutata attentamente per evitare, da un lato, il rischio del soffocamento delle possibilità di ripresa, dall'altro atteggiamenti del mercato penalizzanti per le banche considerate in maggiore affanno circa il raggiungimento dei futuri requisiti, non dimenticando che ben oltre la metà delle banche italiane sono piccole, territoriali e cooperative,

impegna il Governo:

ad operare in modo che le nuove regole, nell'assicurare la tutela dei diritti dei risparmiatori e dei depositanti, siano modulate in modo da far sì che le banche assumano i rischi imprenditoriali propri in un contesto di valutazione prudenziale del merito del credito che non mortifichi la funzione a vantaggio del profitto contingente;
ad attivare canali di confronto con Abi e Banca d'Italia perché l'elaborazione delle regole e dei tempi di avvio dell'efficacia rispondano ai criteri di prudenza, ma anche di impegno imprenditoriale;
a riferire periodicamente al Parlamento sui modi di applicazione in Italia delle nuove regole e sugli effetti delle medesime sul sostegno creditizio alle aziende, in particolare alle piccole, e alle famiglie;
a verificare, riferendo al Parlamento, se la mutata situazione dell'economia e della finanza a livello globale, l'architettura della nuova regolamentazione e l'esperienza normativa in materia di regole e controlli negli altri Paesi sviluppati, non solo europei, non postuli l'esigenza di una nuova riflessione sull'adeguatezza dell'attuale legislazione bancaria, anche con riferimento ai mutamenti intervenuti a seguito delle concentrazioni e delle fusioni societarie ed all'assenza in pressoché due terzi del Paese della sede di banche di dimensioni tali da competere sul mercato internazionale.
(1-00469) «Mosella, Tabacci, Brugger».
(26 ottobre 2010)



INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

BALDELLI e RENATO FARINA. - Al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione. - Per sapere - premesso che:
gli organi di stampa riservano da tempo grande attenzione alle cosiddette auto blu, diffondendo informazioni non verificabili e talvolta contraddittorie;
in allegato alla «Relazione al Parlamento sullo stato della pubblica amministrazione» sono stati presentati il 20 ottobre 2010, dal Ministro interrogato, i risultati del monitoraggio sul numero di vetture di servizio utilizzate dalla pubblica amministrazione;
successivamente all'avvio del monitoraggio è entrato in vigore il decreto-legge n. 78 del 2010, che, tra le varie disposizioni volte al contenimento dei costi degli apparati amministrativi, ha previsto anche misure relative alle cosiddette auto blu -:
quali siano le modalità di rilevazione utilizzate per il suddetto monitoraggio e gli esiti dello stesso e se il Governo intenda disciplinare la materia anche con riferimento agli aspetti connessi alle modalità di utilizzo delle autovetture di servizio e, in generale, alla gestione del parco auto delle pubbliche amministrazioni.
(3-01305)
(26 ottobre 2009)

LIVIA TURCO, MARAN, AMICI, LENZI, QUARTIANI, GIACHETTI, BACHELET, TOUADI, DE TORRE, ARGENTIN, BOSSA, BUCCHINO, BURTONE, D'INCECCO, GRASSI, MIOTTO, MURER, PEDOTO, SARUBBI e SBROLLINI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
l'articolo 4-bis, comma 2, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, prevede: «(...) la sottoscrizione, da parte dello straniero, contestualmente alla presentazione della domanda di rilascio del permesso di soggiorno ai sensi dell'articolo 5, di un accordo di integrazione, articolato per crediti, con l'impegno a sottoscrivere specifici obiettivi di integrazione, da conseguire nel periodo di validità del permesso di soggiorno. La stipula dell'accordo di integrazione rappresenta condizione necessaria per il rilascio del permesso di soggiorno. La perdita integrale dei crediti determina la revoca del permesso di soggiorno e l'espulsione dello straniero dal territorio dello Stato.»;
il decreto del Presidente della Repubblica di cui all'articolo 4-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, è giacente presso il Consiglio di Stato, nonostante che il comma 2 dell'articolo 4-bis preveda che tale regolamento dovesse essere adottato entro 180 giorni dall'entrata in vigore della norma, norma inserita con il comma 25 dell'articolo 1 della legge 15 luglio 2009, n. 94,
lo schema di regolamento prevede la stipula, contestualmente alla presentazione dell'istanza di permesso di soggiorno, con lo Stato di un accordo di integrazione articolato per crediti;
se con l'accordo lo straniero si impegna, tra le altre cose, ad acquisire un livello adeguato di conoscenza della lingua italiana parlata almeno a livello A2, una sufficiente conoscenza dei principi fondamentali della Costituzione della Repubblica e dell'organizzazione e del funzionamento delle istituzioni pubbliche italiane, ad acquisire una sufficiente conoscenza della vita civile italiana, a garantire l'obbligo di istruzione da parte dei figli minori, da parte sua lo Stato si impegna a sostenere il processo di integrazione dello straniero, assicurando, nell'immediato, la sua partecipazione ad una sessione di formazione civica e di informazione sulla vita in Italia, la cui mancata partecipazione da parte dello straniero comporta la perdita di 15 crediti sui 16 assegnati all'atto della sottoscrizione;
inoltre, al momento della scadenza del biennio di durata dell'accordo, lo sportello unico avvia una verifica, previa comunicazione con lo straniero, della documentazione necessaria ad ottenere il riconoscimento dei crediti, comunicando anche la possibilità di svolgere un test presso lo sportello unico stesso, qualora la documentazione non sia sufficiente a far accertare il livello di conoscenza della lingua italiana;
sempre con il regolamento attuativo vengono poi previste agevolazioni connesse alla fruizione di attività culturali e formative, l'anagrafe nazionale degli intestatari degli accordi di integrazione, la collaborazione interistituzionale e altro ancora;
viene ribadito sia dal comma 3 dell'articolo 4-bis del decreto legislativo n. 286 del 1998, sia dall'articolo 13 dello schema di regolamento che all'attuazione delle disposizioni in oggetto si provvede senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica -:
quale sia attualmente lo stato dell'iter del regolamento attuativo dell'articolo 4-bis della legge n. 286 del 1988, approvato il 20 maggio 2010 in Consiglio dei ministri, se il Governo non ritenga opportuno, da un lato, riconsiderare la norma relativa alla revoca del permesso di soggiorno o del rifiuto del suo rinnovo e dell'espulsione dello straniero in caso di risoluzione dell'accordo per non raggiungimento dei crediti necessari, norma che non ha precedenti in Europa, e, dall'altro, vista la complessità e le novità introdotte dallo schema di regolamento in oggetto, se non ritenga plausibile e realistico non prevedere nuovi e maggiori oneri per una sua completa attuazione e, laddove ciò non fosse possibile, quali e quante risorse intenda investire affinché vi sia una reale integrazione dello straniero e quali iniziative siano già state avviate affinché, una volta pubblicato il regolamento attuativo, questo possa diventare effettivo, in particolare il programma di lingua e cultura italiana per gli adulti.
(3-01306)
(26 ottobre 2009)

REGUZZONI, LUCIANO DUSSIN, FOGLIATO, LUSSANA, MONTAGNOLI, ALESSANDRI, ALLASIA, BITONCI, BONINO, BRAGANTINI, BUONANNO, CALLEGARI, CAPARINI, CAVALLOTTO, CHIAPPORI, COMAROLI, CONSIGLIO, CROSIO, DAL LAGO, D'AMICO, DESIDERATI, DI VIZIA, DOZZO, GUIDO DUSSIN, FAVA, FEDRIGA, FOLLEGOT, FORCOLIN, FUGATTI, GIDONI, GIANCARLO GIORGETTI, GOISIS, GRIMOLDI, ISIDORI, LANZARIN, MAGGIONI, MOLGORA, LAURA MOLTENI, NICOLA MOLTENI, MUNERATO, NEGRO, PAOLINI, PASTORE, PINI, PIROVANO, POLLEDRI, RAINIERI, RIVOLTA, RONDINI, SIMONETTI, STEFANI, STUCCHI, TOGNI, TORAZZI, VANALLI e VOLPI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
l'accesso libero alle reti wi-fi pubbliche può rappresentare una risorsa sociale molto importante per tutta la cittadinanza e, in particolar modo, per quelle fasce di popolazione economicamente svantaggiate che non possono permettersi di pagare il canone di un abbonamento domestico;
l'accesso wi-fi libero è in grado di valorizzare alcuni luoghi pubblici, come, ad esempio, le biblioteche, che possono così migliorare le proprie funzioni di luoghi di studio, di approfondimento e di ricerca, e allo stesso modo può valorizzare zone cittadine degradate o poco frequentate, che possono attrarre studenti e lavoratori, in grado di operare con il computer in strada o nei locali di ristorazione in modo sicuro;
l'amministratore delegato della Telecom, Franco Bernabè, ha recentemente dichiarato che è possibile ottimizzare le risorse per una crescita della rete organica rispetto al territorio e alle sue esigenze senza dover ricorrere ad investimenti economici, diffondendo l'innovazione che già esiste in Italia attraverso un insieme di regole, di incentivi, ma anche di obblighi;
l'articolo 7 del decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144, recante «Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale», a fini antiterroristici, detta i limiti nell'accesso ai servizi wireless pubblici, stabilendo una trafila burocratica per richiedere la licenza alla questura e l'obbligo di registrazione da parte degli esercenti interessati ad offrire accesso wi-fi ai propri utenti/clienti;
i gestori, avendo l'onere di identificare e tener traccia dell'attività dell'utente sulla rete, al fine di renderlo rintracciabile per le autorità qualora si verifichi un illecito, devono farsi carico dei costi annessi all'utilizzo di un software che permette di conservare le generalità degli utenti che accedono alla rete o che ne gestisce l'autorizzazione, passando per il gestore di telefonia mobile tramite un sistema di registrazione via sms;
il sistema attuale scoraggia i gestori dall'intraprendere questo investimento e spesso si ricorre ad una soluzione con connessione a pagamento, per far rientrare i costi e allo stesso tempo utilizzare i dati delle carte di credito come identificativo;
il Ministero dell'interno, pur riconoscendo la grande utilità sociale del wi-fi libero, ha presentato un dossier che ne denuncia i rischi legati alla sicurezza pubblica, sottolineando, comunque, la volontà di trovare una soluzione di compromesso per semplificare le procedure burocratiche, pur mantenendo la rintracciabilità degli utenti -:
quali iniziative il Ministro interrogato intenda intraprendere al fine di rivedere l'attuale normativa per trovare soluzioni che contemperino le esigenze di sicurezza e lo sviluppo delle potenzialità del sistema wi-fi.
(3-01307)
(26 ottobre 2010)

POLI, GALLETTI, COMPAGNON, CICCANTI, VOLONTÈ, NARO, DELFINO, LIBÈ, OCCHIUTO e RAO. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
nonostante l'emanazione di misure normative, anche recenti, che incideranno negativamente sul grado di copertura pensionistica derivante dal pagamento dei contributi obbligatori per legge, si registra un preoccupante calo di attenzione sul problema della diffusione e dello sviluppo della previdenza complementare;
con l'entrata in vigore della «legge Dini» si era molto puntato sull'avvento del secondo pilastro, finalizzato ad erogare una pensione aggiuntiva a quella di base, al fine di garantire ai pensionati di domani un reddito di importo adeguato, ma al momento i risultati raggiunti sono ben lontani dalla previsioni e la maggioranza dei lavoratori continua a mantenere in azienda o all'Inps il trattamento di fine rapporto;
è ovvio che senza un'occupazione stabile e retribuzioni al limite della sussistenza i giovani, e non soltanto essi, non dispongono delle risorse necessarie da accantonare e sono a forte rischio di scoperture previdenziali, ma si rileva anche una carenza di informazione e di una certa «cultura previdenziale»;
rendimenti non sempre soddisfacenti nella fase di accumulo, accantonamenti spesso insufficienti per una rendita adeguata e informazioni scarse o poco chiare rappresentano le principali criticità denunciate di questa situazione;
il mancato decollo del secondo pilastro può generare conflitti intergenerazionali e tensioni sociali, mentre è proprio sulle pensioni per le giovani generazioni che un Paese mette in gioco la sua credibilità;
il Ministro interrogato ha recentemente affermato che «la previdenza complementare mantiene intatto (...) il suo carattere strategico, anche in relazione a quel principio istituzionale di sussidiarietà che il Governo ha in più occasioni dichiarato di voler promuovere», ma allo stato alle dichiarazioni non sono seguiti fatti concreti -:
quali iniziative concrete, anche di carattere normativo, intenda adottare per favorire la diffusione e la crescita della previdenza complementare, al fine di creare le condizioni effettive per la realizzazione di un sistema previdenziale adeguato alle nuove esigenze e per garantire a tutti lavoratori, soprattutto quelli più giovani, una rendita dignitosa.
(3-01308)
(26 ottobre 2009)

CIMADORO, PIFFARI, PALADINI, PORCINO. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
la situazione del lavoro in Italia diventa ogni giorno più drammatica;
non basta la crisi economico-finanziaria internazionale, ancora purtroppo in atto, per spiegarne le ragioni, che vanno, invece, individuate nella mancanza di politiche per il lavoro, serie ed efficaci, da parte del Governo in carica;
il «Piano triennale del lavoro», diffuso dal Governo a fine luglio 2010, pone scarsa attenzione ai problemi occupazionali, mentre nel concreto la manovra contenuta nel decreto-legge n. 78 del 2010 sta producendo e continuerà a produrre solo effetti depressivi sull'economia e sull'occupazione;
gli investimenti sono stati cancellati, ad esempio, dai fondi per le aree sottoutilizzate, che dal 2008 ad oggi sono stati «saccheggiati» per più di 27 miliardi di euro, usati come bancomat in gran parte per la copertura di provvedimenti che nulla hanno a che fare con la destinazione originaria dei fondi;
è necessario che il Governo proroghi tutti gli ammortizzatori sociali, inclusa la cassa integrazione in deroga, per il 2011, ma servono urgenti misure strutturali per risollevare la situazione dell'occupazione;
l'Istat ha confermato che il tasso di disoccupazione in Italia, nel secondo trimestre del 2010, è salito all'8,5 per cento, in aumento dell'1 per cento rispetto allo stesso periodo del 2009, senza calcolare i lavoratori in cassa integrazione guadagni;
l'Ocse, nel suo rapporto di fine 2009 sulla disoccupazione, aveva previsto che in Italia, nell'ultima fase del 2010, la disoccupazione sarebbe arrivata al 10,5 per cento e tutto lascia pensare che ci si arriverà se il Governo non interviene immediatamente;
il che significa che in alcune aree del Paese, specie nel Mezzogiorno, si toccheranno punte di disoccupazione vicino al 30 per cento della popolazione attiva, con la regione Campania in testa all'orribile classifica;
i dati sul tasso di disoccupazione «reale», se possibile, sono ancora peggiori delle previsioni Ocse, secondo le cifre riportate dalla Banca d'Italia nel suo bollettino economico: la disoccupazione reale sarebbe, infatti, all'11,5 per cento nel secondo trimestre del 2010. Il Ministro interrogato si è affrettato a definire «esoterico» questo dato, ma purtroppo non è immaginabile renderlo innocuo con una semplice battuta e per giunta poco istituzionale;
dopo i 528 mila posti di lavoro distrutti negli ultimi due anni, sono così a rischio altri 246 mila posti di lavoro. I più svantaggiati sono sempre i giovani, le donne, le basse professionalità, gli immigrati, oltre ai lavoratori con contratti temporanei o atipici, i lavoratori del Mezzogiorno, come si è già detto, e coloro che hanno già perso un'occupazione;
la situazione dei giovani è drammatica, perché quasi un giovane su tre in Italia è disoccupato. Nel secondo trimestre del 2010 l'Istat segnala che il tasso di disoccupazione dei giovani di 15-24 anni raggiunge il 27,9 per cento, il dato peggiore dell'ultimo decennio;
dal primo trimestre del 2009, nonostante un incremento del numero di occupati, il tasso di occupazione degli stranieri continua a ridursi, posizionandosi al 63,6 per cento, rispetto al 65,2 per cento nel secondo trimestre 2009;
molte, troppe, sono le aziende in crisi in Italia, che, se il Governo non interverrà con misure strutturali e non solo una tantum e a macchia di leopardo, chiuderanno o delocalizzeranno la produzione, producendo nuova disoccupazione e danni all'economia reale del Paese;
molte imprese, che fino ad ora sono riuscite a destreggiarsi con la cassa integrazione, stanno ora iniziando a ristrutturarsi con inevitabili tagli all'occupazione;
in Campania le aziende in crisi sono 604 e ben 12.170 i lavoratori a rischio. Rischiano di chiudere i cantieri navali di Castellammare di Stabia, i più antichi d'Italia, con conseguenze preoccupanti per l'indotto, in una città che già vive una crisi dell'occupazione senza precedenti. Stessa sorte potrebbe toccare ai cantieri di Palermo, se non migliora la situazione di Fincantieri;
non migliore è la situazione occupazionale in Lombardia, dall'altra parte d'Italia, dove nella sola provincia di Bergamo entro la fine del 2010 ci sarà una riduzione del lavoro dipendente pari a 5.280 unità (dati del servizio documentazione economica e osservatori della camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Bergamo). Stanno chiudendo le Fonderie Valbrem, che occupano 117 lavoratori (si veda l'agenzia stampa Agi del 18 ottobre 2010), che vanno ad aggiungersi alla crisi delle altre aziende della provincia: dalla San Pellegrino, alla Manifattura valbrembana, alla Brembana macchine, alla Lavanderia Fontanella. Senza contare i 495 posti di lavoro già persi nell'area limitrofa (fonte osservatorio crisi occupazionale Cgil), dove si sono verificate, tra le altre, le chiusure degli impianti delle ben più note Tenaris Dalmine e Indesit;
le parole dell'amministratore delegato della Fiat, pronunciate solo pochi giorni fa in una nota trasmissione televisiva, non fanno ben sperare, dopo l'annunciata chiusura di due stabilimenti, quello di Termini Imerese, 1.400 lavoratori più 500 dell'indotto, e quello della Cnh di Imola, 550 lavoratori compreso l'indotto;
difficile è la situazione occupazionale in Telecom, che ha previsto 13 mila esuberi entro fine 2012, ma anche nelle aziende dell'indotto le cose non vanno bene: la Ciet, oltre mille dipendenti in Italia, ad esempio, per molti mesi non ha pagato gli stipendi ai lavoratori, mentre sono in pericolo i 2.000 addetti in tutta Italia della Sielte;
precaria è la situazione occupazionale della Tirrenia in via di cessione, degli operai della Merloni e dei lavoratori dell'indotto, di quelli della Glaxo, che ha annunciato che chiuderà a fine 2010 il centro ricerca di Verona che impiega 410 scienziati e 150 addetti ai servizi, di quelli della Vinyls di Porto Torres, i cui operai hanno a lungo occupato l'isola dell'Asinara, ormai nota come l'isola dei cassintegrati, della Bialetti, che delocalizza; dei lavoratori dell'Eutelia/Agile, la cui vicenda è tristemente nota a tutti;
questo brutto elenco è molto lungo e non basterebbero decine di pagine per contenerlo -:
quali iniziative per interventi strutturali a favore dell'occupazione il Ministro interrogato intenda assumere alla luce di quanto descritto dalla presente interrogazione.
(3-01309)
(26 ottobre 2010)

RAISI. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
circa 70 laureati in giurisprudenza svolgono attualmente la pratica forense per l'esercizio della professione di avvocato e procuratore presso le avvocature territoriali dell'Istituto nazionale per la previdenza sociale, analogamente a quanto avviene da tempo per l'Avvocatura dello Stato e per gli uffici legali di altri enti pubblici;
ai suddetti praticanti dovrebbero affiancarsene nei prossimi mesi altri 419, sulla base del bando per l'ammissione alla pratica forense presso l'avvocatura dell'Inps, pubblicato dallo stesso istituto in data 25 ottobre 2010;
come già avviene per gli attuali praticanti, il bando precisa che lo svolgimento della pratica avverrà «a titolo gratuito, senza oneri retributivi o contributivi a carico dell'Inps»;
la gratuità della pratica è in palese contraddizione con quanto previsto dal codice deontologico forense, che, all'articolo 26, dispone che l'avvocato riconosca al praticante «dopo un periodo iniziale, un compenso proporzionato all'apporto professionale ricevuto»;
il richiamato codice deontologico forense prevede, all'articolo 1, che «le norme deontologiche si applicano a tutti gli avvocati e praticanti nella loro attività, nei loro reciproci rapporti e nei confronti dei terzi»;
il regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611 (recante norme relative all'ordinamento dell'Avvocatura dello Stato, che il bando dell'Inps richiama in analogia), contemplando all'articolo 24 la possibilità di compiere la pratica forense presso gli uffici della stessa, non presenta alcun riferimento al compenso dei praticanti, né ad un eventuale obbligo di gratuità dell'esercizio della pratica;
come riportato il 19 ottobre 2010 dalla testata telematica La Repubblica degli stagisti e ripreso da Il Fatto Quotidiano del 20 ottobre 2010, nel maggio 2010 alcuni praticanti presso l'avvocatura distrettuale Inps di Lecce hanno presentato all'istituto un'istanza di rimborso per le spese sostenute per lo svolgimento dell'attività e di un compenso proporzionato all'apporto professionale, in base alle previsioni deontologiche;
nella suddetta istanza si fa riferimento al fatto che, con delibera dell'istituto del 31 marzo 2010, alcuni dei richiedenti sarebbero stati abilitati al patrocinio legale, la qual cosa - ove confermata - evidenzierebbe come l'apporto professionale dei praticanti sia considerato rilevante e ormai imprescindibile dallo stesso istituto;
secondo le fonti di stampa sopra richiamate, a seguito dell'istanza, i firmatari della richiesta sono stati convocati dal dottor Francesco Miscioscia, direttore dell'ufficio Inps di Lecce, il quale avrebbe addotto a ragione della gratuità della pratica forense - e quindi della deroga alle norme deontologiche -- le limitate risorse economiche a disposizione dell'istituto, accompagnando alle sue argomentazioni una laconica riflessione su quanto sia consueto in Italia non riconoscere alcun compenso ai praticanti;
la violazione delle norme deontologiche forensi da parte di un'amministrazione pubblica come l'Inps, così come da parte dell'Avvocatura dello Stato e degli altri enti pubblici, contribuisce a dequalificare il praticantato e a consolidare la convinzione - purtroppo molto diffusa nel mondo forense italiano - che la gratuità del praticantato sia una prassi ormai comunemente accettata e accettabile -:
se non ritenga opportuno intervenire, nell'ambito delle sue funzioni di vigilanza, sull'attività dell'Istituto nazionale per la previdenza sociale, affinché l'istituto rispetti l'articolo 26 del codice deontologico forense, in ordine al compenso da riconoscere ai praticanti, e ritiri il bando per l'ammissione alla pratica forense presso la sua avvocatura pubblicato il 25 ottobre 2010, provvedendo a disciplinare diversamente lo svolgimento della pratica forense, eventualmente attraverso la previsione di un fondo compensi.
(3-01310)
(26 ottobre 2010)