TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 392 di Martedì 9 novembre 2010

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE VOLTE ALLA REVISIONE DEL TRATTATO DI AMICIZIA, PARTENARIATO E COOPERAZIONE ITALIA-LIBIA

La Camera,
premesso che:
i rapporti tra Italia e Libia hanno vissuto, negli anni, periodi burrascosi, come è noto a tutti, ma non si sono mai interrotti, neanche negli anni caratterizzati da episodi di terrorismo internazionale e dalle sanzioni contro il Paese nordafricano con un embargo durato dal 1992 al 2004, toccando il punto più basso quando la Libia, dopo il bombardamento Usa di Tripoli e Bengasi del 1986, lanciò un missile che cadde nelle acque prospicienti Lampedusa;
la normalizzazione dei rapporti italo-libici è stata preceduta, prima della conclusione del trattato di Bengasi, da numerosi accordi bilaterali, anche se alcune questioni rimanevano ancora irrisolte: le pretese libiche relative ai danni del colonialismo, i crediti delle imprese italiane per opere mai pagate e il delicato capitolo del contrasto all'immigrazione clandestina, disciplinato da due protocolli del 29 dicembre 2007, rimasti fino ad allora inattuati;
con il «Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra la Repubblica italiana e la Grande Giamahiria araba libica popolare socialista» firmato a Bengasi il 30 agosto 2008, entrato in vigore il 19 febbraio 2009 a seguito della legge di ratifica e esecuzione del 6 febbraio 2009, n. 7, non solo si è inteso porre fine alla disputa risalente all'epoca coloniale, ma si è voluto anche rafforzare, tra le altre cose, la collaborazione tra i due Paesi nella lotta all'immigrazione clandestina per via marittima, dando attuazione ai protocolli sopra menzionati;
il trattato ha, soprattutto, segnato la conclusione di un lungo processo negoziale che era stato iniziato dai precedenti Governi, accelerato poi dall'attuale con l'intento di imprimere un salto di qualità alle relazione dei due Paesi, istituendo un vero e proprio partenariato e non solo un semplice trattato di amicizia e navigazione, visto che la Libia è nei fatti sempre più importante per l'Italia a causa degli ingenti investimenti economici in quel Paese, ma anche per le forniture di petrolio e di gas e per il controllo dei flussi migratori dall'Africa;
in ragione anche di questi interessi, l'Italia si è impegnata, con questo accordo, a realizzare progetti infrastrutturali di base, nei limiti di una spesa di 5 miliardi di dollari per un importo annuale di 250 milioni di dollari in 20 anni, e la Libia si è impegnata ad abrogare tutti i provvedimenti e le norme che impongono vincoli o limiti alle imprese italiane operanti nel Paese;
relativamente al contrasto all'immigrazione clandestina, uno degli obiettivi previsti dai citati accordi, va sottolineato che, nell'attuazione di una politica di respingimento indiscriminato, non controllando lo stato dei centri di detenzione libici, si corre il serio rischio di far venir meno la tutela dei diritti umani dei migranti e dei richiedenti asilo, come si è avuto modo di constatare tragicamente nell'ultimo anno;
ad oggi, questo accordo, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, ha lasciato palesare che, invece di tutelare e difendere i diritti di chi si trova nelle acque mediterranee, per sfuggire da situazioni pericolose o nell'esercizio del proprio lavoro, esso dia in effetti il via libera a comportamenti e atti, da parte della Libia nella fattispecie, che contrastano con il diritto internazionale, come è accaduto molto recentemente quando una motovedetta libica (parte della flotta di navi italiane regalate a Tripoli per il controllo dell'immigrazione), con a bordo anche alcuni finanzieri italiani, ha sparato sul motopeschereccio «Ariete», un fatto grave, troppo presto rubricato come incidente da diversi Ministri;
va ricordato, peraltro, che l'Italia è parte integrante, a differenza della Libia, della Convenzione relativa allo status dei rifugiati di Ginevra del 1951, come del resto di tutti gli organismi internazionali di tutela dei diritti umani, e l'adesione alla Carta delle Nazioni Unite e alla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo dovrebbe consentirle di chiederne sempre il rispetto;
nel trattato, purtroppo, restano ancora zone d'ombra, margini interpretativi fin troppo ampi e, di conseguenza, occorrerebbe approfondire i contorni di questo accordo, proprio perché contiene maglie molto larghe che consentono il ripetersi di episodi come quello citato,

impegna il Governo

ad assumere le necessarie iniziative sul piano politico-diplomatico per una profonda revisione del «Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra la Repubblica italiana e la Grande Giamahiria araba libica popolare socialista», che preveda l'introduzione di procedure più stringenti di controllo, affinché tutte le azioni che riguardano le operazioni di contrasto all'immigrazione clandestina in mare aperto avvengano nel pieno rispetto del diritto internazionale e comunitario e a tutela dei diritti umani dei migranti e dei richiedenti asilo.
(1-00440)
«Donadi, Evangelisti, Leoluca Orlando, Borghesi».
(28 settembre 2010)

La Camera,
premesso che:
a seguito della conclusione di un lungo processo negoziale e di numerose intese bilaterali, il 30 agosto 2008 è stato firmato a Bengasi il «Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra la Repubblica italiana e la Grande Giamahiria araba libica popolare socialista», entrato poi in vigore con la legge di ratifica ed esecuzione n. 7 del 2009;
scopo principale del presente trattato era quello di porre fine alla disputa risalente all'epoca coloniale e, contestualmente, prevedere una serie di collaborazioni in campo economico, industriale e energetico, in ambito scientifico e culturale, nonché nel settore della difesa, andando a realizzare non solo un trattato di amicizia, ma un vero e proprio partenariato tra i due Paesi, con la realizzazione di opere infrastrutturali di base, la costruzione di unità abitative in Libia, l'assegnazione di borse di studio per studenti libici in Italia e quant'altro;
l'articolo 19 del trattato prevede, in particolare, un rafforzamento della collaborazione «nella lotta al terrorismo, alla criminalità organizzata, al traffico di stupefacenti, e all'immigrazione clandestina», anche in attuazione di due protocolli di cooperazione firmati a Tripoli il 29 dicembre del 2007;
specificatamente, poi, sul tema dell'immigrazione clandestina il comma 2, dell'articolo 19, prevede che le due Parti promuovono la realizzazione di un sistema di controllo delle frontiere terrestri libiche, da affidare a società italiane in possesso delle necessarie competenze tecnologiche;
tuttavia, a quasi due anni di distanza dall'entrata in vigore del suddetto trattato, proprio l'aspetto relativo al rafforzamento della cooperazione nel campo dell'immigrazione clandestina è quello che si è rivelato maggiormente problematico sotto il profilo del rispetto delle norme fondamentali di diritto internazionale e di tutela dei diritti umani fondamentali;
in particolare, hanno suscitato enormi reazioni internazionali le politiche di respingimento in mare, avvenute nell'estate del 2009, che hanno visto il respingimento da parte di motovedette italiane di migranti imbarcati, senza distinzioni tra donne e bambini e, soprattutto, senza che fosse stata previamente verificata la sussistenza di migranti aventi diritto ad inoltrare domanda d'asilo;
tale aspetto è aggravato dal fatto che, come è noto, la Libia non ha mai ratificato la Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati, e recenti dichiarazioni del Governo libico hanno ribadito che non vi è alcuna intenzione da parte del Governo libico di procedere a tale ratifica;
tale circostanza è stata ulteriormente aggravata dall'avvenuta chiusura nel giugno 2010 dell'ufficio dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati che operava da più di vent'anni, in via di fatto, a Tripoli, garantendo una sia pur minima tutela dei diritti fondamentali dei richiedenti asilo e, soprattutto, una minima attività di trasparenza rispetto a quanto effettivamente avveniva in Libia sulla condizione dei migranti e soprattutto sulla tutela dei richiedenti asilo;
il recente e gravissimo episodio del motopeschereccio italiano, contro il quale sono stati sparati dei colpi da una motovedetta libica regalata dall'Italia alle autorità libiche e con la presenza a bordo di esponenti della guardia di finanza italiana, non può certo essere giustificato sulla base del fraintendimento che il motopeschereccio era stato scambiato per un'imbarcazione di migranti, né essere derubricato ad un mero incidente;
lo stesso Parlamento europeo, in una risoluzione approvata il 17 giugno 2010, dopo aver esortato le autorità libiche a ratificare quanto prima la Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati e a consentire e facilitare lo svolgimento delle attività dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati in Libia, inclusa la creazione di un sistema nazionale di asilo, ha invitato gli Stati membri che rinviano gli immigrati in Libia, in cooperazione con l'Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne (Frontex), a porre immediatamente fine a queste pratiche qualora sussista il serio rischio che la persona interessata possa essere sottoposta alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti;
è urgente che l'Unione europea adotti quanto prima un sistema comune in materia d'asilo, assicurando così il pieno rispetto di un principio ormai riconosciuto dal diritto internazionale generale, e non lasciando il peso esclusivo della gestione di questo problema esclusivamente ai Paesi che sono per primi raggiunti dai richiedenti asilo;
il trattato prevede all'articolo 1 che le Parti si impegnino ad adempiere sia agli obblighi «derivanti dai principi e dalle norme del Diritto internazionale universalmente riconosciuti, sia quelli inerenti al rispetto dell'Ordinamento Internazionale», e all'articolo 6 è stata inserita una norma che impegna le parti, di comune accordo, ad agire conformemente alle rispettive legislazioni, agli obiettivi e ai principi della Carta delle Nazioni Unite e della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo;
tuttavia, è evidente dai diversi fatti di cronaca verificatisi in questo anno e mezzo che tale articolo è rimasto in gran parte inattuato e che sussistono ancora troppe zone d'ombra nell'interpretazione del trattato, che non consentono una gestione dei flussi migratori provenienti dalla Libia conforme al rispetto delle norme di diritto internazionale generale o pattizio, ratificate dall'Italia;
l'articolo 10 della Costituzione, dopo aver ribadito al comma 1 che l'Italia si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute, al comma 3 specifica che «lo straniero al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge»,

impegna il Governo:

ad adottare ogni iniziativa urgente sul piano diplomatico volta ad assicurare l'effettivo rispetto dei diritti garantiti ai sensi degli articoli 1 e 6 del Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra la Repubblica italiana e la Grande Giamahiria araba libica popolare socialista, per garantire che le politiche migratorie siano pienamente conformi alle norme di diritto internazionale, in particolare per quel che concerne i richiedenti asilo, anche in considerazione del fatto che, trattandosi di diritti fondamentali dell'uomo, la mancanza di coerenza tra gli impegni assunti e la loro attuazione renderebbe necessaria un'azione politico-diplomatica da parte dell'Italia per una revisione del trattato che ne renda stringente l'interpretazione;
ad adottare ogni iniziativa urgente sul piano diplomatico per favorire quanto prima la ratifica da parte libica della Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati e, in via immediata, la riapertura dell'ufficio dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati;
ad adottare ogni iniziativa utile volta ad acquisire notizie certe e garanzie sulle condizioni e la destinazione dei richiedenti asilo in Libia, anche attivandosi con il Governo libico per consentire l'invio di una delegazione parlamentare italiana in visita ai centri di detenzione libici.
(1-00480)
«Tempestini, Maran, Amici, Narducci Bressa, Fassino, Barbi, Corsini, Touadi, Gozi, Zaccaria, Pistelli».
(8 novembre 2010)

La Camera,
premesso che:
il 19 febbraio 2009 è entrata in vigore la legge n. 7 del 2009 di ratifica ed esecuzione del «Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra la Repubblica italiana e la Grande Giamahiria araba libica popolare socialista» firmato a Bengasi il 30 agosto 2008;
all'origine del trattato vi sono state la volontà di chiudere un annoso contenzioso causato dalle note vicende storico-militari e la necessità di creare uno strumento che rafforzasse le relazioni già esistenti tra il nostro Paese e la Libia, in virtù degli ingenti interessi economici in campo in diversi settori e di stabilire un efficace coordinamento per il controllo dell'immigrazione clandestina;
la Libia e le sue frontiere rappresentano il terminale dove giungono centinaia di immigrati provenienti principalmente dal Ciad, dalla regione del Darfur e da altri Paesi dove sono in atto conflitti etnico-religiosi o dove sono presenti regimi autoritari, ma poiché il Paese libico non ha ancora sottoscritto la Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati del 1951, non è assicurato l'esercizio del diritto di asilo e desta preoccupazione la situazione dei migranti respinti e di quelli detenuti nei centri libici di detenzione;
secondo le onlus internazionali impegnate sul tema dei diritti umani, risulterebbero gravissime le violazioni ai diritti fondamentali della persona e, soprattutto, la detenzione in carcere di centinaia di potenziali richiedenti asilo tra i quali anche numerose donne e minori;
l'Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati ha più volte ribadito tutte le sue preoccupazioni a riguardo: «In Africa ci sono 10 milioni e mezzo tra sfollati, rifugiati e rimpatriati. E la Libia, che non ha mai sottoscritto la Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati, rischia di trasformarsi in un cul de sac per troppi disperati»;
inoltre, secondo, il portavoce italiano dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, Laura Boldrini: «Come Unchr siamo presenti in Libia, ma non abbiamo un riconoscimento formale delle autorità locali. Cosa che ha ricadute pesanti sull'assolvimento del nostro mandato.»;
inoltre, sempre secondo la Boldrini, «anche solo per avere il visto di ingresso nel Paese i nostri operatori devono affrontare lunghe attese. Non abbiamo accesso a tutti i centri di detenzione dove sono i rifugiati. I richiedenti asilo ci sono e sono molti: non hanno accesso a forme di protezione, affrontano lunghe detenzioni, se sono liberi non hanno alcun sostegno all'integrazione»;
il 12 settembre del 2010, ad oltre trenta miglia dalla costa libica, il motopesca italiano «Ariete» è stato colpito da proiettili di mitraglia sparati da una motovedetta libica, con a bordo militari italiani, che aveva intimato l'alt al natante italiano;
l'accordo sottoscritto non prevede che i mezzi marittimi che pattugliano la zona di confine possano sparare a coloro che superino tale confine, peraltro ancora molto indefinito, a maggior ragione se a sparare sia personale libico su motovedette messe a disposizione dall'Italia;
da sempre la Libia ambisce ad ottenere il controllo sulle quelle acque internazionali ed estendere il proprio controllo sino a 72 miglia dalla sua costa, e nel trattato restano margini interpretativi fin troppo ampi che consentono il ripetersi di episodi come quello citato,

impegna il Governo:

ad assumere iniziative presso il Governo libico volte a verificare che sia garantita l'attuazione di misure in materia di immigrazione pienamente rispettose delle norme di diritto internazionale relative alla protezione dei rifugiati e sia agevolata l'attività di monitoraggio sulle politiche in materia di immigrazione da parte dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati in quel Paese;
a valutare l'opportunità di adottare iniziative per modificare le attuali disposizioni che regolano la presenza di militari italiani a bordo delle motovedette messe a disposizione dal nostro Paese e le regole di ingaggio, evitando interpretazioni ed impieghi di materiale italiano per scopi che non siano destinati al contrasto dell'immigrazione clandestina.
(1-00481)
«Adornato, Volontè, Galletti, Compagnon, Ciccanti, Naro, Libè, Rao, Occhiuto, Bosi».
(8 novembre 2010)

La Camera,
premesso che:
il 30 agosto 2008 è stato firmato a Bengasi il «Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra la Repubblica italiana e la Grande Giamahiria araba libica popolare socialista» (entrato in vigore il 19 febbraio 2009 a seguito della legge di ratifica e esecuzione del 6 febbraio 2009, n. 7), a coronamento degli sforzi compiuti negli ultimi anni tra i due Paesi, per trovare una soluzione soddisfacente ai passati contenziosi storici legati ai danni del colonialismo;
il capitolo più importante del suddetto accordo di cooperazione, che definisce un nuovo e bilanciato partenariato politico ed economico tra i due Paesi, è quello rappresentato dal ruolo determinante che l'Italia avrà nella realizzazione di progetti infrastrutturali di base e che sarà affidata ad imprese italiane attraverso fondi che verranno gestiti direttamente dal nostro Paese;
la Libia rappresenta da tempo per l'Italia un Paese importante dove sono stati effettuati ingenti investimenti economici per le forniture di petrolio e gas e per il controllo dei flussi migratori dall'Africa;
in ragione anche di questi interessi, l'Italia si è impegnata, con questo accordo, a realizzare progetti infrastrutturali di base che dovranno essere concordati fra le Parti nei limiti di una spesa annua di 250 milioni di dollari per venti anni, mentre la Libia si è impegnata ad abrogare tutti i provvedimenti e le norme che impongono vincoli o limiti alle imprese italiane operanti nel Paese;
la preferenza per le imprese italiane, compatibile con le regole comunitarie, è già stata attuata anche in altri settori dove sta dando i suoi frutti. L'Italia oggi risulta essere il terzo Paese investitore in Libia, tra quelli europei, ed il sesto a livello mondiale, con una presenza di oltre 100 imprese presenti stabilmente nel Paese, prevalentemente collegate al settore petrolifero (come Eni, Snam progetti, Edison, Tecnimont, Saipem), alle infrastrutture, ai comparti della meccanica, dei prodotti e della tecnologia per le costruzioni (Impregilo e Bonatti), dell'ingegneria ed impiantistica (Techint e Technip), dei trasporti (Iveco e Calabrese) e delle telecomunicazioni (Sirti e Telecom Italia), solo per citarne alcune;
nell'ambito dei suddetti accordi Italia-Libia per la realizzazione della superstrada Rass Ajdir-Imsaad (la cosiddetta «Autostrada dell'amicizia» che attraverserà la Libia per circa 1.700 chilometri dal confine con l'Egitto a quello con la Tunisia), il Governo italiano ha recentemente promosso la formazione di tre consorzi che comprendono 20 imprese italiane, ma nessuna tra queste ha sede nel Mezzogiorno;
sono numerose le imprese meridionali che si vanno affermando nel settore dell'edilizia, in quello dell'informatica, nella produzione dei pannelli fotovoltaici, come nell'impiantistica, nelle infrastrutture, nella formazione professionale e universitaria, nell'assistenza sanitaria, imprese che sarebbero pronte a consorziarsi tra loro, o con le grandi imprese nazionali, per la realizzazione delle suddette infrastrutture e che non meritano di trovarsi escluse dall'albo che il Governo italiano potrà aggiornare e segnalare alle autorità libiche per l'affidamento delle commesse;
il 29 dicembre 2007 Italia e Libia hanno siglato a Tripoli un protocollo di cooperazione per fronteggiare il fenomeno dell'immigrazione clandestina, in base al quale le due Parti intensificheranno la collaborazione nella lotta contro le organizzazioni criminali dedite al traffico degli esseri umani e allo sfruttamento dell'immigrazione clandestina. L'accordo prevede, in particolare, l'organizzazione di pattugliamenti marittimi congiunti davanti alle coste libiche;
più in particolare, il suddetto accordo prevede che l'Italia si impegni a cooperare con l'Unione europea «per la fornitura di un sistema di controllo per le frontiere terrestri e marittime libiche, al fine di fronteggiare l'immigrazione clandestina». La direzione e il coordinamento delle attività addestrative ed operative di pattugliamento marittimo vengono affidati ad un comando operativo interforze che sarà istituito presso una «idonea struttura» individuata dalla Libia. Il responsabile sarà un «qualificato rappresentante» designato dalle autorità libiche, mentre il vice comandante (con un suo staff) verrà nominato dal Governo italiano;
tra i compiti del Comando interforze ci sono quelli di organizzare l'attività quotidiana di addestramento e pattugliamento, di «impartire le direttive di servizio necessarie in caso di avvistamento e/o fermo di natanti con clandestini a bordo», di interfacciarsi con le «omologhe strutture italiane», potendo anche richiedere l'intervento o l'ausilio dei mezzi schierati a Lampedusa per le attività anti-immigrazione;
nella comunicazione della Commissione europea al Consiglio dell'Unione europea del 30 novembre 2006 «Rafforzare la gestione delle frontiere marittime meridionali» (Com 2006-733) si individuava «l'esigenza di cooperare con i Paesi di transito dell'Africa e del Medio Oriente per trattare la questione dei migranti illegali»;
per la Commissione europea l'asilo costituisce un elemento di rilievo di tale risposta e un'opzione efficace per le persone che necessitano di protezione internazionale. A tale scopo, occorre assicurare che gli Stati membri applichino con coerenza ed efficienza gli obblighi di protezione, per quanto riguarda l'intercettazione e il salvataggio in mare di persone che possano necessitare di protezione internazionale e la sollecita identificazione di queste persone dopo lo sbarco, presso i luoghi di accoglienza;
Amnesty international ha diffuso un rapporto nel quale sottolinea come la situazione dei diritti umani in Libia risenta dell'assenza di riforme, nonostante il Paese intenda giocare un ruolo di maggior rilievo sul piano internazionale. Il rapporto, basato anche su una missione di ricerca sul campo del 2009 e aggiornato fino alla metà del maggio 2010, denuncia una serie di violazioni dei diritti umani, tra cui la tortura, la fustigazione delle donne e la pena di morte;

la politica di respingimenti avviata in applicazione del nuovo accordo comporta rischi di violazioni dei diritti umani, tanto da suscitare preoccupazione e condanna di organismi ed istituzioni internazionali,

impegna il Governo:

ad adottare iniziative politico-diplomatiche presso le autorità libiche affinché vengano garantite alle imprese meridionali pari opportunità di accesso alla realizzazione delle grandi opere infrastrutturali previste in Libia nell'ambito degli accordi di partenariato di Bengasi del 2008;
ad assumere, anche in vista della revisione universale periodica nell'ambito del Consiglio dell'Onu dei diritti umani che a novembre del 2010 riguarderà anche la Libia, un ruolo guida nella verifica del rispetto dei diritti umani da parte della Libia.
(1-00482)
«Misiti, Lo Monte, Commercio, Latteri, Lombardo, Brugger».
(8 novembre 2010)

La Camera,
premesso che:
il Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione con la Libia è stato firmato il 30 agosto 2008 ed è entrato in vigore il 2 marzo 2009, in tempi, quindi, eccezionalmente rapidi, dovuti anche all'ampia convergenza bipartisan sulla sua ratifica;
da un punto di vista generale il trattato ha consentito di raggiungere risultati positivi in tutti i principali settori di collaborazione. Esso si è innanzitutto tradotto in un forte rilancio e in una forte intensificazione del dialogo politico, attraverso lo svolgimento di frequenti incontri al massimo livello e, soprattutto, mediante la firma e la conclusione di importanti intese bilaterali in vari settori;
già nel corso della prima visita in Italia del colonnello Gheddafi (che ha avuto luogo dal 10 al 13 giugno 2009), sono stati finalizzati quattro importanti accordi: la Convenzione per evitare le doppie imposizioni; il memorandum sulla semplificazione delle procedure di rilascio dei visti; il memorandum sulla collaborazione economica, scientifica e tecnica nel settore delle risorse marine e lo scambio di lettere sulla concessione di borse di studio a cento studenti libici;
il Presidente del Consiglio dei ministri Berlusconi, nel corso della sua visita in Libia, del 27 e 28 marzo 2010, per intervenire, su invito del colonnello Gheddafi, al vertice della Lega Araba di Sirte, ha, tra l'altro, svolto una proficua opera di mediazione della complessa crisi libico-svizzera che si era creata, coronata da successo anche a seguito di una nuova missione del Presidente del Consiglio dei ministri a giugno 2010, con il rientro in patria dello svizzero Max Goldi;
il 30 agosto 2010, secondo anniversario del trattato di Bengasi, il colonnello Gheddafi ha effettuato una visita a Roma per partecipare alle celebrazioni della seconda Giornata dell'amicizia italo-libica. L'occasione ha consentito di confermare l'eccellente stato delle relazioni tra Italia e Libia per l'intenso sviluppo della collaborazione bilaterale in tutti i settori di reciproco interesse;
per quanto riguarda il settore dell'industria, nell'aprile 2009 è stato firmato dal Ministro dello sviluppo economico un accordo di cooperazione economica, commerciale e industriale, che prevede, in particolare, l'istituzione in Libia di zone industriali riservate alle aziende italiane;
nel quadro dell'azione condotta dal Ministero dell'interno per il rafforzamento della collaborazione italo-libica nel settore migratorio, nel 2009 il Ministro Maroni ha compiuto tre visite a Tripoli. Nel corso della prima, il 4 febbraio 2009, ha firmato con l'omologo libico un protocollo in materia di contrasto all'immigrazione clandestina, in seguito al quale è stato possibile avviare i pattugliamenti marittimi congiunti previsti dall'accordo firmato il 29 dicembre 2007 dall'allora Ministro Amato;
il 15 aprile 2010 il Ministro Frattini ha firmato con l'omologo libico un accordo per l'abolizione dell'obbligo di visto per i titolari di passaporti diplomatici e di servizio, entrato in vigore il 14 agosto 2010;
questo fitto scambio di visite, caratterizzate dalla firma di intese tecniche, dimostra come il Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione costituisca la tela di fondo per il raggiungimento di obiettivi concreti di nostro interesse;
tra il 2009 e il 2010 tutti gli organismi tecnici misti previsti dal trattato si sono insediati e hanno avviato i loro lavori. Per quanto concerne, in particolare, l'attività della commissione mista prevista dall'articolo 9 del trattato, della quale fanno parte per l'Italia funzionari del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e del Ministero dello sviluppo economico, è in corso la procedura di selezione delle aziende italiane che realizzeranno l'autostrada costiera;
in particolare, la politica di contrasto dell'immigrazione clandestina, messa in opera grazie alle intese sopra ricordate, ha consentito di conseguire un drastico calo degli sbarchi, azzerando sostanzialmente gli arrivi di immigrati in Italia;
la decisione adottata nei mesi scorsi dalle autorità di Tripoli di chiudere l'ufficio dell'Unhcr (Agenzia dell'Onu per i rifugiati) in Libia è stata successivamente modificata anche a seguito di un'azione condotta dal Governo italiano. Le autorità di Tripoli stanno, infatti, consentendo la prosecuzione delle attività e dei progetti che fanno capo all'Unhcr in Libia e hanno avviato con lo stesso Alto commissario un negoziato per definire un accordo di sede. L'Alto commissario ha dato formalmente atto che tali sviluppi positivi sono stati resi possibili grazie all'azione che il Governo italiano ha sempre svolto e che continua a svolgere in tal senso nei confronti di Tripoli;
sempre in tema di lotta all'immigrazione clandestina ed alla tratta di esseri umani, in base a quanto previsto dall'articolo 19, paragrafo 2, del Trattato di amicizia, nei mesi scorsi è stato avviato il progetto per la realizzazione di un sistema di controllo delle frontiere terrestri libiche, finanziato dall'Italia con un importo di circa 150 milioni di euro su tre anni. Conformemente a quanto previsto dal Trattato di amicizia (articolo 19, paragrafo 2), il Governo italiano ha richiesto nelle opportune sedi a Bruxelles che l'Unione europea si faccia carico dei costi necessari ad un ulteriore sviluppo del progetto, tenuto in particolare conto degli impegni presi con le autorità di Tripoli anche su questo punto dalla Commissione europea nel luglio 2007 (memorandum Ferrero Waldner-Al Obeidi);
in un quadro più generale il Governo sta da tempo svolgendo in sede comunitaria un'azione coordinata volta ad ottenere un maggiore impegno dei partner europei e delle istituzioni comunitarie alla lotta all'immigrazione clandestina nel Mediterraneo e, in tale ambito, una più intensa collaborazione con la Libia; sotto questo profilo è, in particolare, previsto un ampio volet migratorio nell'accordo quadro Unione europea-Libia attualmente in fase negoziale; le recenti affermazioni del leader libico sulla necessità di impegni economici europei vanno inserite in tale contesto e saranno esaminate nel corso del vertice Unione europea-Africa che si terrà proprio in Libia a fine novembre 2010;
che la lotta all'immigrazione clandestina sia uno dei pilastri della politica dell'attuale Governo è dimostrato anche dai dati diffusi nel mese di ottobre 2010 dall'Agenzia europea per le frontiere (Frontex), che hanno rilevato un «drastico calo» degli ingressi illegali sul fronte dell'immigrazione tra gennaio e agosto 2010 dell'ordine del 72 per cento sullo stesso periodo del 2009; in forte calo anche i soggiorni illegali nel Paese, diminuiti del 19 per cento nei primi otto mesi del 2010 rispetto allo stesso periodo 2009;
quello che manca ancora è una politica comune europea sulla gestione dell'immigrazione illegale; è necessario ragionare, a livello europeo, e forse anche mondiale, su come consentire l'immigrazione legale e, quindi, la partecipazione di tanti lavoratori stranieri allo sviluppo del Paese e dell'Unione europea, impedendo al tempo stesso che organizzazioni criminali gestiscano vere e proprie tratte di esseri umani; in questo ambito, il Governo italiano ha per primo sollevato in Europa il problema, sottolineando come il fronteggiare da un lato l'immigrazione clandestina e l'adottare dall'altro una politica di accoglienza, di inserimento e di integrazione dei lavoratori stranieri che giungono in Europa non costituisca questione che possa essere semplicemente delegata alla buona volontà dei Paesi costieri. È questa un'azione il Governo continua a proporre in ogni forum multilaterale ed in ogni incontro bilaterale,

impegna il Governo:

a proseguire nell'attuazione degli impegni sanciti dal Trattato italo-libico di amicizia, in vista dell'auspicata creazione di un forte ed ampio partenariato bilaterale in tutti i settori di collaborazione;
a svolgere un ruolo di stimolo, avvalendosi dell'esperienza maturata nei rapporti con la Libia e dell'eccellente stato delle relazioni bilaterali, sulla tematica del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, anche nell'ambito del negoziato per la conclusione di un accordo quadro tra l'Unione europea e la Libia attualmente in corso;
nell'ambito dell'azione di controllo e regolamentazione dei flussi migratori, svolta dal Governo anche a garanzia dei necessari livelli di sicurezza nel nostro Paese, a proseguire nella collaborazione con Tripoli in materia di lotta all'immigrazione clandestina e di contrasto alle attività delle organizzazioni criminali dedite al traffico di esseri umani, lungo le linee direttrici delineate in questi ultimi mesi che hanno consentito un radicale ridimensionamento nell'afflusso di clandestini sulle coste italiane.
(1-00484)
«Antonione, Dozzo, Sardelli, Romano, Baldelli, Biancofiore, Boniver, Bonciani, Del Tenno, Renato Farina, Lunardi, Malgieri, Migliori, Moles, Osvaldo Napoli, Nicolucci, Nirenstein, Pianetta, Picchi, Scandroglio, Zacchera».
(8 novembre 2010)

La Camera,
premesso che:
il «Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra la Repubblica italiana e la Grande Giamahiria araba libica popolare socialista», firmato a Bengasi il 30 agosto 2008 ed entrato in vigore a seguito della legge di ratifica ed esecuzione del 6 febbraio 2009, n. 7, intendeva porre fine al contenzioso tra i due Paesi risalente all'epoca coloniale, dando vita ad una nuova fase politica basata sul rispetto reciproco e sulla pari dignità;
tale trattato - diversamente da quanto normalmente accade quando il Parlamento italiano discute i trattati internazionali - è stato oggetto fin dalla sua discussione nelle Commissioni affari esteri di Camera e Senato di una forte, ancorché minoritaria, contestazione politica per i suoi contenuti;
l'Italia è, infatti, il primo Paese che ha stipulato un trattato di «amicizia» con la Libia, dopo che questo Paese è stato tolto dalla lista di quelli sotto sanzioni del Consiglio di sicurezza dell'Onu; sanzioni che erano state imposte dopo l'accertamento delle responsabilità delle autorità di Tripoli in attività di terrorismo internazionale che hanno colpito interessi e tolto la vita a cittadini di Paesi alleati dell'Italia all'interno della Nato e dell'Unione europea;
secondo tale trattato - all'articolo 8, capo II - l'Italia si è impegnata, tra l'altro, a realizzare in Libia progetti infrastrutturali nei limiti di una spesa di 5 miliardi di dollari per un importo annuale di 250 milioni di dollari in 20 anni, quale segno di risarcimento per il colonialismo italiano di inizio secolo scorso, e la Libia si è impegna ad abrogare tutti i provvedimenti e le norme che impongono vincoli o limiti alle imprese italiane operanti nel Paese;
nessuna cifra è stata, invece, indicata nel trattato per risarcire né gli italiani espulsi dalla Libia dopo il colpo di Stato del Colonnello Gheddafi, né per le imprese italiane che hanno continuato a lavorare in Libia e che non si sono viste corrispondere i crediti che vantano legalmente;
solo in sede parlamentare, all'interno del disegno di legge di ratifica, si è dopo prevista una cifra parziale di risarcimento per i cittadini espulsi dalla Libia, che resta tuttavia ancora da corrispondere, mentre niente si è previsto al momento a tutela dei crediti delle imprese italiane che hanno operato in Libia;
nei mesi precedenti la ratifica parlamentare le autorità italiane, e in particolare il Ministero dell'interno, hanno posto grande enfasi sulla necessità di ratificarlo, per gli effetti che quest'atto avrebbe avuto nel contrasto all'immigrazione clandestina proveniente dalla Libia;
l'articolo 19 del trattato, infatti, prevede - dando attuazione al protocollo di cooperazione, firmato a Tripoli il 29 dicembre 2007 tra il Ministro dell'interno Amato e il Ministro degli esteri libico Abdurrahman Mohamed Shalgam - un pattugliamento del tratto di Mediterraneo tra la Sicilia e la Libia con equipaggi misti italo-libici, con motovedette messe a disposizione dall'Italia e con la realizzazione di un sistema di telerilevamento alle frontiere terrestri libiche da affidare alle società italiane;
nonostante l'articolo 19 non faccia, però, alcun riferimento ai respingimenti verso la Libia dei migranti intercettati in mare, bensì solo alle operazioni di pattugliamento congiunto, dal maggio 2009, e come ampiamente preannunciato dal Ministro dell'interno Maroni prima dell'ingresso in vigore del trattato, è stata introdotta la politica italiana dei respingimenti in Libia delle persone intercettate nel Canale di Sicilia, quali misure volte a contrastare il fenomeno dell'immigrazione clandestina;
tale politica destava fin dall'inizio profonda preoccupazione poiché, nonostante gli impegni generali delle Parti contraenti previsti dal trattato al rispetto dei diritti umani, la Libia non ha mai ratificato le convenzioni di Ginevra che tutelano i diritti dei rifugiati e, soprattutto, pratica da lungo tempo una politica di discriminazione e di gravi violazioni dei diritti dell'uomo, denunciate regolarmente dalle organizzazioni internazionali, nei confronti delle centinaia di migliaia di migranti che transitano o risiedono in Libia e che provengono da zone dell'Africa dove sono in corso conflitti armati e crisi umanitarie gravissime da lungo tempo, che sono costati la vita a milioni di persone;
l'Unhcr (Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati), come riportato nell'articolo del Sole 24 Ore del 12 maggio 2009, ha subito espresso profonda preoccupazione per la politica dei respingimenti che l'Italia ha deciso di applicare, visto che «essa mina l'accesso all'asilo nell'Unione europea e comporta il rischio di violare il principio fondamentale di non respingimento (non-refoulement) previsto dalla Convenzione del 1951 sui rifugiati»;
per tutta risposta le autorità libiche, il 2 giugno 2010 hanno deciso di chiudere l'ufficio dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati a Tripoli, chiarendo definitivamente - per il momento - che non vogliono che sia garantita alcuna protezione internazionale a centinaia di migliaia di migranti che si trovano in Libia e che non hanno riconosciuto alcuno status giuridico;
stando a quanto riferito dalla stessa agenzia Onu, l'ufficio dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati è stato chiuso dalle autorità libiche senza alcuna spiegazione né preavviso;
l'8 giugno 2010, in un comunicato diffuso sul sito dell'agenzia di stampa ufficiale libica Jana, il Comitato popolare per le comunicazioni estere e la cooperazione internazionale libico, ha fatto sapere che «la Libia non riconosce l'esistenza dell'Ufficio dei rifugiati nel suo territorio perché la Libia non è uno Stato membro della Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati del 1951 sui rifugiati, e non ha firmato alcun accordo di cooperazione con l'Ufficio dell'Alto commissariato per i rifugiati. Di conseguenza, qualsiasi attività svolta dall'Ufficio è stata un'attività illecita»;
la portavoce dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati in Italia, Laura Boldrini, si è subito augurata che tale chiusura sia temporanea visto che la Libia non solo non ha firmato la Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati del 1951 sui rifugiati, ma neanche ha nel proprio ordinamento un sistema per la richiesta e l'ottenimento dell'asilo politico, e si ricorda che finora a tale mancanza sopperiva l'ufficio dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, valutando le domande dei richiedenti e assegnando eventualmente lo status di rifugiato;
grave preoccupazione per l'applicazione di tale politica dei respingimenti è stata espressa a più riprese anche da altre autorità come dall'Alto commissario Onu sui diritti umani Navy Pillay, dalla Conferenza episcopale italiana, e dal Commissario ai diritti umani del Consiglio d'Europa Thomas Hammarberg;
il dossier dell'organizzazione non governativa internazionale Human rights watch, intitolato «Scacciati e schiacciati», pubblicato il 21 settembre 2009, critica duramente la politica sull'immigrazione del Governo italiano e si scaglia contro i respingimenti verso la Libia effettuati dal Governo, dichiarando che «l'Italia intercetta migranti africani e richiedenti asilo e senza valutare se veramente sono rifugiati o bisognosi di protezione, li respinge forzatamente in Libia, dove molti sono detenuti in condizioni disumane e degradanti»; «la realtà è che l'Italia respinge senza senso i migranti»;
il 23 giugno 2010 è stato pubblicato un rapporto di Amnesty international dal titolo «La Libia domani: quale speranza per i diritti umani?», che mette in luce il fatto che i rifugiati, i richiedenti asilo e i migranti irregolari che si trovano in Libia siano sfruttati e subiscano violenze, abusi e torture durante la loro detenzione da parte delle autorità libiche;
secondo tale rapporto, diverse migliaia di loro sono detenuti indefinitamente in centri sovraffollati e molti rischiano costantemente di essere rinviati in Paesi come la Somalia e l'Eritrea, dove potrebbero essere sottoposti a persecuzioni e torture;
sulla base dei dati relativi ai respingimenti in un periodo di soli quasi quattro mesi, dal 6 maggio al 30 agosto 2009, ci sono state complessivamente 8 operazioni di respingimento nel Canale di Sicilia e in totale sono stati riportati in Libia 757 immigrati - il dato è stato reso noto dal Sottosegretario all'interno Mantovano nell'audizione del 22 settembre 2009 presso il Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione ed il funzionamento della Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen e di vigilanza sull'attività dell'unità nazionale Europol -;
sempre secondo i dati forniti dal Ministero dell'interno, il Sottosegretario di Stato Nitto Palma, durante la seduta n. 251 del 24 novembre 2009, ha dichiarato che nessuno dei «respinti» intercettati dalle autorità italiane avrebbe fatto richiesta di asilo politico o di protezione internazionale, mentre i dati relativi al 2008, riportano che, dei 36 mila cittadini di altri Paesi che sono sbarcati sulle nostre coste, circa il 75 per cento ha fatto domanda di asilo;
come riportato nell'articolo de L'Unità del 20 luglio 2010, anche 103 dei 205 eritrei che si trovavano segregati in condizioni estreme nel carcere libico di Brak - e che lì rimasero per 16 giorni - erano stati respinti in Libia dopo essere stati intercettati in mare dalle autorità italiane;
nell'articolo de L'Unità del 20 luglio 2010, Don Mussie Zerai, sacerdote e responsabile dell'agenzia Habesha - un'organizzazione non governativa con sede a Roma che si occupa dell'accoglienza dei migranti africani - ha affermato che: «gran parte dei 205 eritrei segregati nel carcere libico di Brak erano sulla rotta di Lampedusa quando sono stati arrestati e portati nel lager di Gheddafi, ammassati in 90 in una stanzetta e picchiati ogni due ore»;
a seguito dell'accordo, firmato il 7 luglio 2010 con il Ministro del lavoro libico e su pressione del Governo italiano, i 205 eritrei sono stati liberati dal carcere di Brak e la loro condizione è attualmente la seguente: gli eritrei, dopo esser stati liberati il 17 luglio 2010 dal carcere di Brak, sono ora bloccati nella città di Sebha, a 800 chilometri da Tripoli, dove hanno un permesso di soggiorno di tre mesi, che però ha validità solo nella regione di Sebha; gli eritrei con il permesso di soggiorno possono solo circolare liberamente nella città di Sebha, ma non possono uscirvi e, una volta scaduto il permesso di soggiorno, i migranti saranno costretti a chiedere un visto, per il quale dovranno prima recarsi all'ambasciata eritrea e farsi rilasciare un passaporto; per gli eritrei tale ultima eventualità è impraticabile e molto pericolosa, dal momento sono richiedenti asilo in fuga dal proprio Paese, dove l'emigrazione è considerata un crimine e punita severamente;
in merito alla vicenda dei 205 eritrei, il 7 luglio 2010 il Sottosegretario di Stato agli esteri Stefania Craxi, parlando con i cronisti a margine della sua audizione presso la Commissione esteri del Senato, ha così affermato: «L'Italia sarebbe pronta ad accogliere alcuni dei cittadini eritrei attualmente in Libia a determinate condizioni»; «Già nel 2009 abbiamo accettato una procedura di resettlement per 67 cittadini eritrei e se anche in questo caso si ripresentassero le medesime condizioni, il Governo italiano farà la sua parte», ha assicurato la Craxi. «Ci aspettiamo che lo stesso facciano anche altri stati dell'Ue», ha aggiunto;
l'articolo 4 del trattato Italia-Libia sancisce il principio di non ingerenza diretta o indiretta negli affari interni o esterni che rientrino nella giurisdizione dell'altra Parte, attenendosi allo spirito di buon vicinato;
tale articolo, inoltre, sancisce al comma 2 che: «Nel rispetto dei principi della legalità internazionale, l'Italia non userà, ne permetterà l'uso dei propri territori in qualsiasi atto ostile contro la Libia e la Libia non userà, né permetterà, l'uso dei propri territori in qualsiasi atto ostile contro l'Italia»;
il 12 settembre 2010, al largo di Lampedusa, un motopeschereccio italiano che si trovava in acque internazionali è stato avvicinato da una motovedetta guidata da equipaggio libico, ma all'interno della quale vi era anche un equipaggio italiano e, in particolare, si trattava di ufficiali della Guardia di finanza;
questa motovedetta è una delle sei che il Governo italiano ha donato al Governo libico a seguito della ratifica del trattato di amicizia, partenariato e cooperazione, allo scopo di effettuare i pattugliamenti congiunti per contrastare l'immigrazione clandestina per via marittima;
la motovedetta ha in seguito sparato ripetutamente colpi di mitra che hanno colpito il peschereccio italiano, mettendo a rischio la vita dell'equipaggio;
dinanzi all'interrogazione a risposta immediata a prima firma Mecacci e concernente il suddetto fatto, il 15 settembre 2010, il Governo italiano nella figura del Ministro per i rapporti con il Parlamento, Elio Vito, ha così risposto: «L'episodio, molto grave, che ha visto coinvolto il peschereccio italiano richiederà un forte impegno affinché azioni del genere non si ripetano più. Nessun accordo né alcuna regola d'ingaggio consente, infatti, interventi con armi da fuoco verso imbarcazioni pacifiche. D'altra parte, lo stesso comandante libico, e subito dopo l'autorità di Tripoli, incluso il Ministero degli affari esteri, hanno formalmente presentato le loro scuse. In Libia è stata avviata un'inchiesta per chiarire le dinamiche dei fatti e accertare le responsabilità. In Italia sono in corso l'indagine promossa dal Ministero dell'interno e l'indagine penale avviata contro ignoti per tentato omicidio dalla magistratura di Agrigento. Il Governo italiano approfondirà con le controparti libiche i necessari correttivi, che dovessero essere opportuni, alle intese tecniche che disciplinano le operazioni di pattugliamento congiunto»;
nel corso della XVI legislatura Gheddafi è il leader politico straniero che si è incontrato più volte con il Presidente del Consiglio dei ministri italiano Berlusconi, caratterizzando la politica estera del nostro Paese con la vicinanza politica a una delle più longeve dittature esistenti al mondo;
nel corso della sua ultima recente visita in Italia, il Colonnello libico Gheddafi ha dichiarato, tra l'altro, che se l'Europa non vorrà «diventare nera» occorreranno non 5 miliardi di dollari in 20 anni, ma 5 miliardi di dollari l'anno, alludendo quindi alla possibilità di usare la minaccia dell'immigrazione clandestina di massa, come strumento di pressione nell'ambito dei negoziati in corso per un accordo di cooperazione tra l'Unione europea e la Libia;
nelle settimane successive alla visita del leader libico Gheddafi in Italia, sono state espresse forti preoccupazioni in vari settori della società italiana sull'acquisizione di quote societarie del gruppo Unicredit, il più grande gruppo bancario italiano, da parte di fondi libici controllati dal Governo, che potrebbe essere avvenuta al di fuori delle regole che disciplinano tali attività e per le quali sono in corso indagini da parte dei competenti organi di controllo;
nel 2009, all'apertura del vertice dell'Unione africana a Tripoli, Gheddafi si è così espresso a proposito d'importanti questioni internazionali: in merito al mandato d'arresto emesso dal Tribunale penale internazionale contro il Presidente sudanese Bashir per i crimini in Darfur ha così affermato:«Tale Tribunale è nuova forma di terrorismo mondiale, e sappiamo che tutti i paesi del terzo mondo si oppongono a questa sedicente Corte penale internazionale. Fino a quando tutti non saranno trattati allo stesso modo, non funzionerà»; in merito allo Stato di Israele, ha invece affermato: «Israele è dietro di tutti nei conflitti in Africa: per questo tutte le sue ambasciate nel continente vanno chiuse, in particolare Israele alimenta le crisi in Darfur, Sud Sudan, Ciad, per sfruttare le ricchezze di quelle aree, e solo l'Unione africana ha il diritto-dovere di tenere le questioni legate ai conflitti in Africa sempre all'ordine del giorno per aiutare gli africani a trovare soluzioni pacifiche ai conflitti in corso»,

impegna il Governo:

a rivedere il trattato di «amicizia» con la Libia affinché sia in linea con gli obblighi internazionali dell'Italia e, in particolare, con quelli che derivano dall'applicazione della Costituzione italiana e dal diritto internazionale, tra cui il diritto d'asilo e il diritto alla vita;
alla luce di quanto accaduto recentemente, a chiarire i termini degli accordi relativi ai pattugliamenti congiunti in corso, in particolare per quanto riguarda la catena di comando e le regole d'ingaggio, incluso l'uso delle armi durante tali operazioni;
ad attivarsi, sia attraverso i contatti bilaterali con Tripoli, che a livello internazionale, per ottenere che la Libia riconosca i confini marittimi sanciti dal diritto internazionale e consenta ai pescatori siciliani di pescare legalmente in acque internazionali senza il rischio di subire attacchi armati o il sequestro dei pescherecci, come purtroppo già avvenuto numerose volte in passato;
a sospendere la politica dei respingimenti dei migranti in Libia, anche alla luce di quanto accaduto negli ultimi mesi, dato che tale politica viola sia il principio fondamentale di non respingimento (non-refoulement) previsto dalla Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati del 1951 (ratificata dall'Italia nel luglio 1954) e considerato un principio di diritto internazionale generale, sia il pieno accesso alle procedure di asilo nell'Unione europea;
ad attivarsi sia in sede bilaterale che a livello internazionale, affinché la Libia riapra al più presto l'ufficio dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati a Tripoli e affinché ratifichi la Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati del 1951, quale condizione minima per poter:
a) farsi promotore, nelle principali sedi internazionali a partire da quella europea, di un percorso che garantisca agli immigrati provenienti dall'Africa, come da altri continenti, il diritto di asilo e tutti gli altri diritti e libertà fondamentali sanciti nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948;
b) tutelare i diritti e a dare effettive garanzie per i risarcimenti economici a favore sia degli italiani espulsi dalla Libia, che delle imprese italiane che vantano crediti riconosciuti ma non corrisposti dalle autorità libiche.
(1-00485)
«Mecacci, Beltrandi, Bernardini, Farina Coscioni, Maurizio Turco, Zamparutti, Colombo, Sarubbi, Duilio, Touadi».
(8 novembre 2010)



MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE VOLTE ALLA LIBERAZIONE DI LIU XIAOBO, PREMIO NOBEL PER LA PACE 2010

La Camera,
premesso che:
l'8 ottobre 2010 il premio Nobel per la pace 2010 è stato assegnato a Liu Xiaobo, docente universitario e attivista cinese dei diritti umani, condannato a 11 anni di carcere da un tribunale della Repubblica popolare cinese il 25 dicembre 2009 per «istigazione alla sovversione»;
le motivazioni con le quali è stato assegnato a Liu Xiaobo il premio Nobel per la pace sottolineano, in particolare, «i suoi sforzi costanti e non violenti in favore dei diritti dell'uomo in Cina»;
Liu Xiaobo, docente di letteratura cinese all'Università di Pechino, fondatore nel 1989, insieme a due suoi studenti Wang Duan e Wu'er Xi, della Federazione autonoma degli studenti, è stato animatore della rivolta pacifica di piazza Tienanmen, arrestato la prima volta nel 1989 e condannato a 18 mesi di prigione per «propaganda e istigazione controrivoluzionaria», condanna reiterata nel 1991 per ulteriori due anni di detenzione;
è stato nuovamente condannato nel 1996 a tre anni di lavori forzati per «disturbo della quiete pubblica» in un laogai (campo di rieducazione) per essere liberato soltanto nel 1999;
è stato licenziato dall'Università di Pechino e costretto ad emigrare, per poi rientrare nella Repubblica popolare cinese nel 2004;
sta scontando un'ingiusta e arbitraria terza condanna, colpevole soltanto di essere stato il promotore del manifesto «Charta 08», con il quale ha rivolto un appello al Governo della Repubblica popolare cinese per la libertà di espressione ed il rispetto dei diritti umani fondamentali;
alla notizia dell'assegnazione del premio Nobel per la pace si sono immediatamente registrate le positive prese di posizioni di molti Governi europei e di quello statunitense,

impegna il Governo:

a compiere un passo formale nei confronti del Governo della Repubblica popolare cinese per richiedere la liberazione del premio Nobel per la pace Liu Xiaobo;
a richiedere al Governo della Repubblica popolare cinese di eliminare ogni restrizione di movimento e di comunicazione alla signora Liu Xia, moglie del premio Nobel, consentendole di fornire notizie verificabili circa la propria condizione;
a promuovere un'iniziativa, di concerto con i partner dell'Unione europea, per riprendere un confronto con la Repubblica popolare cinese sul rispetto dei diritti umani fondamentali in quel Paese, dalla libertà stampa e di espressione, alla libertà religiosa, alla libertà di associazione politica;
a promuovere un'iniziativa. di concerto con i partner dell'Unione europea, affinché il premio Nobel per la pace Liu Xiaobo possa ritirare di persona il premio in occasione della cerimonia di assegnazione dei Nobel, il prossimo 10 dicembre 2010 a Oslo.
(1-00452)
«Vernetti, Della Vedova, Villecco Calipari, Boniver, Volontè, Mura, Brugger, Adornato, Barbieri, Bobba, Calgaro, Carlucci, Marco Carra, Colombo, Cuperlo, D'Antona, Damiano, Di Biagio, Di Stanislao, Esposito, Fadda, Farina Coscioni, Favia, Ferrari, Gentiloni Silveri, Giachetti, Giulietti, Gnecchi, Goisis, Lanzillotta, Lo Monte, Mancuso, Mantini, Margiotta, Giorgio Merlo, Messina, Mogherini Rebesani, Orsini, Raisi, Realacci, Ria, Ruben, Sarubbi, Speciale, Stradella, Torrisi, Touadi, Maurizio Turco, Zacchera, Zazzera».
(13 ottobre 2010)

La Camera,
premesso che:
l'8 ottobre 2010 lo scrittore e dissidente cinese Liu Xiaobo è stato insignito del premio Nobel per la pace per il suo impegno non violento a tutela dei diritti umani in Cina. Come si legge nelle motivazioni del Comitato per il Nobel: «Durante gli ultimi decenni la Cina ha fatto enormi progressi economici, forse unici al mondo, e molte persone sono state sollevate dalla povertà. Il Paese ha raggiunto un nuovo status che implica maggiore responsabilità nella scena internazionale, che riguarda anche i diritti politici. L'articolo 35 della Costituzione cinese stabilisce che i cittadini godono delle libertà di associazione, di assemblea, di manifestazione e di discorso, ma queste libertà in realtà non vengono messe in pratica». Inoltre: «Per oltre due decenni Liu Xiaobo è stato un grande difensore dell'applicazione di questi diritti, ha preso parte alla protesta di Tienanmen nell'89, è stato tra i firmatari e i creatori di Charta 08, manifesto per la democrazia in Cina»;
«Charta 08» è un manifesto per la libertà di espressione, per il rispetto dei diritti umani e per libere elezioni, che sostiene la necessità di introdurre riforme democratiche nel sistema politico. Sottoscritto originariamente da circa 300 personalità, «Charta 08» ha raccolto quasi 10.000 adesioni, da parte di cittadini di varia estrazione sociale ed origine etnica;
Liu Xiaobo, tuttora detenuto, è stato privato della libertà a causa della sua adesione al movimento «Charta 08». Inizialmente detenuto in un luogo sconosciuto, è stato formalmente arrestato solo il 23 giugno 2009, sulla base dell'accusa di «incitamento alla sovversione del potere dello Stato». Dopo un anno di detenzione, il 23 dicembre 2009 si è svolto il processo; il 25 dicembre 2009 è stato condannato a 11 anni di prigione e a due anni di interdizione dai pubblici uffici. La sentenza è stata confermata in appello l'11 febbraio 2010;
le autorità cinesi hanno sottoposto agli arresti domiciliari la signora Liu Xia, moglie di Xiaobo, a cui viene impedita ogni comunicazione con l'esterno;
a seguito della diffusione della notizia dell'assegnazione del premio Nobel per la pace a Liu Xiaobo, si sono immediatamente registrate numerose positive prese di posizione di molti Governi europei e di quello statunitense,

impegna il Governo:

ad assumere tutte le iniziative necessarie, sia sul piano diplomatico bilaterale sia contribuendo alla definizione di una comune linea dell'Unione europea sulla questione, per chiedere alle autorità cinesi:
a) la liberazione di Liu Xiaobo, vincitore del Nobel per la pace 2010, consentendogli di recarsi in Europa per partecipare alla cerimonia ufficiale di consegna del premio;
b) l'immediata rimozione di ogni limitazione alla libertà personale e di movimento della moglie dello stesso Liu Xiaobo, Liu Xia, eventualmente concedendole di ritirare il premio in sostituzione del marito.
(1-00464)
«Villecco Calipari, Franceschini, Bersani, Giulietti, Boniver, Antonio Martino, Ruben, Granata, Angela Napoli, Di Pietro, Donadi, Evangelisti, Buttiglione, Rao, Pezzotta, Tabacci, Lanzillotta, Nicco, Melchiorre, Fassino, Veltroni, Bindi, Ventura, Maran, Tassone, Gozi, Meta, Concia, Minniti, Garofani, Rugghia, La Malfa, Beltrandi, Lulli, Bachelet, Giulio Marini, Zampa, Giacomelli, Zunino, Grassano, Tanoni, Viola, Marchi, Mura, Zazzera, Di Stanislao, Barbieri, Narducci, Pistelli, Recchia, Verini, Fioroni, Migliavacca, Codurelli, D'Antoni, Cenni, Carella, Sereni, Schirru, Colaninno, Bonavitacola, Della Vedova, Piccolo, Mastromauro, Mecacci, Grassi, Boffa, Rubinato, Gianni Farina, Braga, Sanga, Burtone, Cambursano, Antonino Russo, Motta, Gnecchi, Agostini, Cesare Marini, Pompili, Argentin, Strizzolo, Margiotta, Sani, Pizzetti, Bucchino, Porta, Favia, Lo Monte, Coscia, Realacci, Castagnetti, Fucci, Mogherini Rebesani, Fontanelli, Servodio, Raisi, Touadi, De Torre, Di Biagio, Lucà, Marco Carra, Rampi, Fogliardi, Farina Coscioni, Vannucci, Rossa, Bernardini, Maurizio Turco, Zamparutti, Pes, De Biasi, Binetti, Amici, Tempestini, Ria, Federico Testa, Bossa, Garavini, Esposito, Lolli, Ghizzoni, Tullo, Damiano, Merloni, Pedoto, Ciriello, Dal Moro, Leoluca Orlando, Mantini, Colombo, Fiano, Velo, Mazzarella, Iannuzzi, Misiani, Causi».
(26 ottobre 2010)



MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE A FAVORE DEL SETTORE DELLA PESCA, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALLA COOPERAZIONE TRA I PAESI DEL MEDITERRANEO

La Camera,
premesso che:
il 12 settembre del 2010 il motopesca «Ariete» del compartimento marittimo di Mazara del Vallo è stato raggiunto da colpi di mitraglia sparati da una motovedetta libica che aveva intimato l'alt al natante italiano; l'episodio si è verificato ad oltre trenta miglia dalla costa libica, da sempre acque internazionali e sulle quali la Libia ha esteso con decisione unilaterale il proprio controllo sino a 72 miglia dalla costa di quel Paese;
la decisione della Libia di estendere le proprie acque territoriali non è mai stata ratificata da alcun organismo abilitato e, quindi, le stesse acque sono da intendersi come internazionali, secondo quanto previsto dal diritto marittimo internazionale;
i colpi di mitraglia sparati dalla vedetta libica hanno colpito il natante italiano in più parti e solo per caso nessun componente l'equipaggio, composto da 10 uomini di cui sette italiani e tre extracomunitari, è risultato ferito;
la vedetta libica in questione è stata fornita dal Governo italiano nel quadro degli accordi tendenti a ridurre il flusso di immigrati clandestini dai Paesi del Mediterraneo;
lo stesso motopesca «Ariete» in passato è stato protagonista di numerosi interventi di soccorso a barconi di migranti in difficoltà, come quando il 28 novembre del 2007 i marinai dell'«Ariete» salvarono 54 extracomunitari, tra cui una bimba e nove donne in balia delle onde a circa trenta miglia dalla costa di Lampedusa. Un anno dopo tale episodio, lo stesso motopesca ed altri tre natanti di Mazara del Vallo salvarono 650 migranti su due barconi in mezzo alla tempesta e ancora, il 5 giugno del 2008, l'«Ariete» salvò altri 27 naufraghi e, a seguito di tali gesti, l'istituto dell'Alto commissariato Onu per i rifugiati ha concesso ai marinai dell'«Ariete» il premio «per mare» per lo spirito solidaristico e per il coraggio dimostrato;
l'episodio riporta ai tanti altri atti simili compiuti dalle autorità libiche;
il Canale di Sicilia da sempre costituisce luogo di lavoro per i marittimi italiani e per quelli degli altri Paesi rivieraschi;
la decisione della Libia già in passato ha provocato reazioni internazionali, ma senza che si sia data soluzione alla questione;
anche con altri Paesi rivieraschi si verificano contenziosi costanti sulle acque utilizzate dai marittimi italiani per la pesca;
il Mediterraneo può costituire fonte di ricchezza non solo economica, alla condizione che si instauri tra tutti i Paesi rivieraschi un rapporto di collaborazione per lo sfruttamento sostenibile delle risorse ittiche;
appare evidente la sottovalutazione dell'Unione europea sulla questione della pesca nel Canale di Sicilia, anche in considerazione delle direttive comunitarie che stanno provocando seri danni occupazionali, soprattutto per le imprese siciliane. Si tenga conto che dal programma operativo trasmesso dall'Italia a Bruxelles si evince un piano di riduzione della flotta a strascico del 25 per cento, degli altri sistemi di pesca del 10 per cento e della pesca «volante» del 3 per cento, con la conseguenza che saranno 393 le imbarcazioni da demolire con una perdita di posti di lavoro di oltre 1.200 unità. Il costo degli interventi di dismissione della flotta per la sola regione Sicilia può essere valutato in oltre 78 milioni di euro, senza che un piano di tale portata assicuri un futuro per le imprese rimanenti;
anche gli altri Paesi comunitari che si affacciano nel Mediterraneo, pur con sfaccettature diverse, hanno l'interesse di creare condizioni di cooperazione in materia di sfruttamento delle risorse ittiche e, in particolare, si fa riferimento, oltre all'Italia, alla Francia, alla Grecia ed alla Spagna, anche ai Paesi che affidano il proprio futuro alle decisioni dell'Unione europea, come Cipro, Malta e la Slovenia;
la pesca ormai è uno dei settori economici globali che vedono Paesi molto lontani dal Mediterraneo interessarsi al nostro prodotto ittico, non solo attraverso l'importazione commerciale, ma anche attraverso la cattura del pesce con propri natanti, che lavorano costantemente nelle acque mediterranee a danno delle potenzialità delle flotte dei Paesi che tradizionalmente operano principalmente nel Canale di Sicilia;
appare urgente e necessario un piano di cooperazione tra i Paesi che si affacciano nel Mediterraneo, tenendo conto di quelli già citati e di quelli che hanno tutto l'interesse a creare forme di collaborazione con le economie comunitarie, come l'Albania, l'Algeria, la Croazia, l'Egitto, Israele, il Libano, la Libia, il Marocco, la Serbia, Montenegro, la Siria, i territori autonomi palestinesi, la Tunisia e la Turchia,

impegna il Governo:

ad intervenire presso gli organi competenti dell'Unione europea affinché la stessa affronti la questione della pesca mediterranea tenendo conto delle esigenze dei Paesi rivieraschi, in linea con le conclusioni della conferenza ministeriale di Venezia tenutasi nel 2003;
ad operare presso le sedi comunitarie perché l'Italia possa ottenere la possibilità di trattare bilateralmente con i Paesi rivieraschi su questioni riguardanti il settore pesca, senza che ciò comunque comporti atti in contrasto con lo spirito delle direttive comunitarie in materia di pesca;
a farsi promotore di una conferenza internazionale sulla pesca mediterranea, con la partecipazione di tutti i Paesi che si affacciano sul Canale di Sicilia e che hanno interesse a forme di cooperazione in tale comparto;
a muovere ogni passo utile perché la Libia nello spirito di collaborazione, riaffermato con le recenti intese italo-libiche, possa riconsiderare la decisione di estendere il controllo delle acque sino a 72 miglia dalla propria costa, al fine di consentire l'esercizio della pesca in acque internazionali;
ad affidare ad istituti di ricerca e ad università specializzate il compito di procedere alla redazione di un dettagliato studio sulle conseguenze economiche sul settore della pesca derivanti dall'applicazione delle direttive comunitarie;
ad operare in sede di Unione europea affinché si proceda all'ammodernamento della flotta peschereccia italiana, attualmente tra le più vetuste d'Europa;
ad avviare uno studio dettagliato sullo stato dei porti adibiti alla pesca, con specifico riferimento alla sicurezza ed ai servizi forniti alle imprese operanti nel settore della pesca;
ad operare a sostegno di quegli istituti scolastici che assicurano la formazione e la professionalità della gente di mare;
ad operare perché - conformemente con le indicazioni derivanti dalla politica comune della pesca (pcp) - si limiti la politica della demolizione dei natanti e si avvii in maniera definitiva la politica del «riposo biologico», cioè si proceda a limitare i giorni di pesca ed a ridurre per certi periodi dell'anno gli specchi acquei sui quali esercitare la cattura del prodotto ittico, prevedendo - ove coerenti con l'effettiva disponibilità di bilancio - agevolazioni finanziarie per le imprese ed indennità adeguate per i marittimi.
(1-00447)
(Nuova formulazione) «Cristaldi, Marinello, Laboccetta, Ciccioli, Renato Farina, Biava, Laffranco, Pittelli, Sbai, Contento, Lehner, Terranova, Castellani, Porcu, Landolfi, Saltamartini, Germanà, Antonio Pepe, Lamorte, Dima, Traversa, Patarino, Scandroglio, Pugliese, Vincenzo Antonio Fontana».
(30 settembre 2010)

La Camera,
premesso che:
le imprese del settore ittico sono al centro di una grave e prolungata crisi di redditività imputabile ai problemi di eccessivo sfruttamento, ad un insostenibile aumento dei costi di produzione (+ 240 per cento dal 2006 al 2009) e all'impossibilità di incidere sui meccanismi di formazione del prezzo con un'adeguata presenza nella rete distributiva;
la filiera ittica è caratterizzata da forti limiti strutturali, come, ad esempio, le ridotte dimensioni aziendali, la frammentazione dell'offerta e l'assenza di forme di organizzazione commerciale e di vendita, che ostacolano l'avvio di urgenti forme di integrazione, innovazione e sviluppo della filiera;
è in scadenza la proroga, concessa per l'anno 2010, del primo programma nazionale della pesca e dell'acquacoltura 2007/2009, unico strumento di programmazione a disposizione del settore secondo quanto previsto dal decreto legislativo n. 154 del 2004;
se entro fine 2010 non verranno impegnati i fondi del fondo europeo per la pesca (fep) a valere sulla programmazione 2008, per la regola comunitaria dell'«n+2», si attiverà il meccanismo di disimpegno automatico, con il rischio concreto che un'entità cospicua di risorse non impegnate andrebbero perdute a danno del settore già fortemente penalizzato;
la legge comunitaria 2009 (legge n. 96 del 2010), in vigore dal 7 luglio 2010, all'articolo 28, delega il Governo ad adottare decreti legislativi per il riassetto, il riordino, il coordinamento e l'integrazione della normativa nazionale in materia di pesca e acquacoltura entro 18 mesi dalla data di entrata in vigore della disposizione;
il 19 ottobre 2010 è stato approvato definitivamente il cosiddetto collegato lavoro, che, tra l'altro, delega il Governo ad adottare provvedimenti per la revisione della disciplina in tema di lavori usuranti, entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della disposizione;
la scadenza a giugno 2010 di una serie di deroghe comunitarie, previste dal regolamento sulla pesca mediterranea (regolamento n. 1967/2006) su attrezzi, dimensione delle maglie delle reti e distanza dalla costa, sta generando una situazione emergenziale e di crescente tensione nelle marinerie italiane, non solo per i pesanti impatti socioeconomici che interessano tutte le realtà costiere, ma soprattutto per una serie di problemi lasciati aperti dal processo di adeguamento alle disposizioni comunitarie;
in particolare, nel suddetto regolamento è prevista la possibilità per gli Stati membri di adottare autonomi piani di gestione, volti a disciplinare attività di pesca specifiche, coniugando la sostenibilità ambientale, in linea con gli obiettivi della politica comune della pesca (pcp), con quella economica e con il diritto al lavoro;
con la legge finanziaria per il 2008 (legge n. 244 del 2007, articolo 2, comma 120) è stato esteso l'ambito di applicazione del fondo per l'imprenditoria giovanile in agricoltura, prevedendone l'utilizzo anche per l'imprenditoria giovanile nel settore della pesca e una dotazione annua di 10 milioni di euro l'anno per il quinquennio 2007/2011;
non è stato predisposto alcun bando per l'utilizzo di tali risorse per il comparto della pesca marittima, al contrario le risorse del fondo sono state ripetutamente rimodulate in diminuzione e, per la restante parte, sono rimaste inutilizzate;
annualmente vengono ripartite tra le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano le risorse finanziarie del fondo unico agricoltura e pesca, di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dell'11 maggio 2001, attuativo del decreto legislativo n. 143 del 1997;
per un concreto sviluppo del settore ittico nazionale rivestono un'importanza strategica le politiche di cooperazione tra i Paesi del Mediterraneo; il Trattato italo-libico firmato il 30 agosto 2008 ed entrato in vigore con la legge di ratifica e di esecuzione n. 7 del 2009, stabilisce un «nuovo partenariato bilaterale», nel cui ambito è prevista una collaborazione economica e industriale, che ha per oggetto anche la pesca (articolo 17);
tuttavia, i continui problemi che i pescherecci italiani, in particolare quelli siciliani, hanno con gli altri Paesi rivieraschi, in primo luogo con la Libia, dimostrano l'insufficienza e l'inadeguatezza degli accordi bilaterali fin qui assunti e devono indurre il Governo ad assumere iniziative immediate per fare in modo che l'attività della pesca possa rappresentare per tutti i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo un elemento di sviluppo;
i rapporti italo-libici in materia di pesca costituiscono, tra l'altro, solo un aspetto di una questione più ampia riguardante la disciplina dello sfruttamento delle risorse ittiche e della loro conservazione nell'intero Mediterraneo; le politiche bilaterali del Mediterraneo dovrebbero essere, a loro volta, parte di una più ampia visione multilaterale in grado di essere la base per una disciplina giuridica dei mari «semichiusi»,

impegna il Governo:

a prorogare anche per l'anno 2011 l'applicazione del programma triennale della pesca e dell'acquacoltura per dare tempo all'amministrazione di redigere il nuovo programma triennale, che dovrà tenere conto degli attuali mutamenti di scenario in atto;
ad intraprendere una forte azione politica e diplomatica nei confronti della Commissione europea per scongiurare il disimpegno automatico a fine 2010 dei fondi del fondo europeo per la pesca (fep) anche mediante un confronto con gli altri Stati membri dell'Unione europea che evidenziano ritardi nelle azioni di impegno dei fondi, come Spagna e Grecia, al fine di raggiungere una posizione unitaria per chiedere, in via straordinaria, lo slittamento di un anno dei termini relativi al meccanismo del disimpegno automatico («n+3»);
ad avviare al più presto le procedure per l'attuazione della delega contenuta nella legge comunitaria 2009 per il riassetto, il riordino, il coordinamento e l'integrazione della normativa nazionale in materia di pesca e acquacoltura, mediante la compilazione di un unico testo normativo;
ad assumere ogni iniziativa di competenza al fine di inserire la pesca marittima tra i lavori usuranti;
in vista della verifica del regolamento sulla pesca mediterranea (regolamento n. 1967/2006), a predisporre, d'intesa con le regioni, uno studio tecnico-scientifico sulle condizioni del Mar Mediterraneo, al fine di riconsiderare in ambito di Unione europea le decisioni di maggior impatto socioeconomico per l'Italia e al fine di dare soluzioni concrete e non penalizzanti al settore ittico nazionale, in relazione al processo di adeguamento alle disposizioni comunitarie;
a caldeggiare una rapida approvazione dei piani di gestione inviati a Bruxelles, in materia di pesche speciali per scongiurare il ritardato o addirittura mancato avvio della campagna di pesca 2010-2011, che tradizionalmente inizia a novembre;
ad attivare misure a favore della pesca a valere sulle risorse del fondo per l'imprenditoria giovanile in agricoltura e pesca, definendo una riserva di quota parte alla filiera ittica, nonché ad assumere iniziative per il rifinanziamento del fondo stesso;
a mettere in atto tutte le azioni e gli strumenti per individuare una dotazione separata e distinta per la pesca all'interno della ripartizione annuale del fondo unico agricoltura e pesca, dando certezza di programmazione al settore;
ad attivare nuove forme di supporto agli investimenti delle imprese ittiche ed allo sviluppo di azioni innovative, anche attraverso nuove modalità di intervento, in linea con la più recente normativa europea sugli aiuti di Stato per le piccole e medie imprese di settore, favorendo gli investimenti orientati alla crescita delle dimensioni aziendali, alle ristrutturazioni e ai salvataggi, alle concentrazioni e alle fusioni e ai prestiti partecipativi;
a disporre una revisione della proposta sul fermo biologico, prevedendo un prolungamento dei giorni, nell'ambito di una diversificazione dei periodi di fermo e di una diversificazione per specie;
nel quadro dei rapporti italo-libici, a negoziare ulteriori intese volte ad assicurare che nelle zone dell'alto mare siano garantite le tradizionali libertà e che, in particolare, non venga impedita in alcun modo la libertà di navigazione;
nel quadro dei rapporti italo-libici, ad adottare ogni iniziativa diplomatica volta a modificare la decisione libica di estendere il controllo delle acque sino a 72 miglia dalla propria costa, così consentendo l'esercizio della pesca in acque internazionali ai pescherecci italiani;
a farsi promotore nelle opportune sedi internazionali e, in particolare nell'ambito della politica europea di vicinato, della necessità di giungere ad una disciplina equa dello sfruttamento delle risorse ittiche e della loro conservazione nell'intero Mediterraneo.
(1-00477)
(Nuova formulazione) «Agostini, Sani, Oliverio, Zucchi, Brandolini, Marco Carra, Cenni, Cuomo, Dal Moro, Fiorio, Marrocu, Mario Pepe (PD), Servodio, Trappolino».
(8 novembre 2010)

La Camera,
premesso che:
con il Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra la Repubblica italiana e la Grande Giamahiria araba libica popolare socialista, firmato a Bengasi il 30 agosto 2008, entrato in vigore il 19 febbraio 2009 a seguito della legge di ratifica e esecuzione 6 febbraio 2009, n. 7, nonché con i tre protocolli (due del 2007 e uno del 2009), si è inteso porre fine alla disputa risalente all'epoca coloniale e rafforzare, tra l'altro, la collaborazione tra i due Paesi nella lotta all'immigrazione clandestina per via marittima, anche attraverso la cessione di alcune motovedette e l'assistenza tecnica per la loro gestione;
tale accordo ha, soprattutto, segnato la conclusione di un lungo processo negoziale che era stato iniziato dai precedenti Governi, accelerato poi dall'attuale con l'intento di imprimere un salto di qualità nelle relazioni tra i due Paesi, istituendo un vero e proprio partenariato e non solo un semplice trattato di amicizia e navigazione, visto che la Libia è nei fatti sempre più importante per l'Italia a causa degli ingenti investimenti economici in quel Paese, ma anche per le forniture di petrolio, gas e per il controllo dei flussi migratori dall'Africa;
in base al primo protocollo sopra citato è previsto un pattugliamento marittimo congiunto con motovedette messe a disposizione appunto dall'Italia, con l'impegno delle parti a effettuare operazioni di controllo, di ricerca e salvataggio nei luoghi di partenza e di transito delle imbarcazioni dedite al trasporto di immigrati clandestini nelle acque territoriali libiche e in quelle internazionali;
ad oggi, questo accordo ha lasciato palesare che esso, invece di tutelare e difendere i diritti di chi si trova nelle acque mediterranee per sfuggire da situazioni pericolose, ma anche nell'esercizio del proprio lavoro, dà il via libera a porre in essere comportamenti e atti illeciti da parte della Libia nella fattispecie;
infatti, malgrado il 10 giugno 2009 sia stato firmato un memorandum d'intesa, un primo passo verso una maggiore collaborazione tra i due Paesi, fatto che rappresenta un seguito operativo del trattato in questione, per un maggior rasserenamento dei rapporti tra Italia e Libia che hanno visto già in passato il verificarsi di alcuni momenti di tensione che hanno interessato da vicino il settore della pesca, proprio il 12 settembre 2010 una motovedetta libica ha aperto il fuoco contro il motopeschereccio italiano «Ariete» a circa 30 miglia dalla costa libica;
l'incidente, benché non abbia per fortuna provocato vittime, ha riaperto le polemiche sui rapporti italo-libici e sulla stipulazione del Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione del 2008, nonché sul contenuto dei tre protocolli citati;
quando tali episodi si manifestano e si ripetono continuamente, la preoccupazione è grande perché si denota, soprattutto, l'assenza di un'azione politica a livello nazionale e internazionale che affronti finalmente, nelle sedi dovute, questa questione ormai spinosa, che riguarda la gestione delle acque territoriali di confine e della pesca tra Italia e Libia;
il trattato con la Libia ha inserito la pesca tra gli ambiti di «collaborazione economica e industriale» tra i due Paesi (articolo 17), ma questo non ha finora prodotto alcun cambiamento per i nostri pescatori; la Libia, tra l'altro, rivendica al Golfo della Sirte il carattere di baia storica, così spostando in avanti unilateralmente, anche se al di sotto della mediana con l'Italia, il confine delle proprie acque territoriali (la proclamazione è avvenuta senza adeguata consultazione dell'Italia però), ma non è disposta a riconoscere alcun valore alla storica attività dei pescatori italiani tra la Sicilia e il Paese nordafricano, né a ridurre l'estensione della sua zona di pesca (62 miglia dal confine delle acque territoriali) illegittima sotto il profilo del diritto internazionale e insostenibile per l'economia dei Paesi vicini;
la competenza a concludere accordi di pesca è naturalmente una competenza comunitaria, a differenza di quella volta a stabilire i confini marittimi che resta nella sovranità degli Stati membri, ma l'Unione europea ha finora incontrato notevoli difficoltà nel Mediterraneo e mostrato qualche sottovalutazione di troppo sulla questione della pesca nel Canale di Sicilia, con particolare riferimento alle varie direttive che si sono succedute e che hanno provocato danni occupazionali per i pescatori e per l'indotto siciliani;
tra l'altro, i rapporti italo-libici in materia di pesca costituiscono solo un momento di una questione più ampia, che riguarda la disciplina dello sfruttamento delle risorse ittiche e della loro conservazione nell'intero Mediterraneo. Le politiche bilaterali dovrebbero essere parte di una più ampia visione che ponga il multilateralismo al servizio di una politica di cooperazione che dovrebbe essere la base, come insegna la stessa Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, per la disciplina dei mari semichiusi, qual è il Mediterraneo; in tal senso, un quadro più efficace potrebbe essere ora offerto non tanto dall'Unione per il Mediterraneo, di cui la Libia non fa parte, ma dalla politica europea di vicinato;
è ormai imprescindibile che la Libia ratifichi la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982, la quale non solo offre un quadro di riferimento per tutte le attività marittime, inclusi lo sfruttamento e la conservazione delle risorse ittiche, ma stabilisce anche una normativa precisa in caso di cattura di navi nella zona economica esclusiva (applicabile anche alle zone di pesca), a salvaguardia non solo dei legittimi interessi dello Stato costiero, ma anche di quelli degli equipaggi;
tra l'altro, in considerazione del fatto che alla Conferenza di Doha del marzo 2010 non è passata la proposta di inserire il tonno rosso tra le specie da proteggere in virtù della Convenzione di Washington del 1973 sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora selvatiche minacciate di estinzione (Cites), di cui la Libia fa parte, lo sfruttamento di tale specie nella zona di pesca libica sta diventando preoccupante a causa delle numerose licenze rilasciate dalla Nafco, l'Italia dovrebbe attivarsi per scongiurare il depauperamento, in particolare, del tonno rosso;
per questi motivi appare non più rinviabile l'adozione di un piano di cooperazione tra tutti i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo in materia di sfruttamento delle risorse ittiche,

impegna il Governo:

nella fattispecie del contenzioso relativo alla pesca, ad assumere iniziative volte a concretizzare gli impegni sanciti dall'articolo 17, comma 4, del Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra la Repubblica italiana e la Grande Giamahiria araba libica popolare socialista, laddove si afferma che «Le due Parti si adoperano per concordare entro breve una Intesa tecnica in materia di cooperazione economica, scientifica e tecnologica nel settore della pesca e dell'acquacoltura e favoriscono Intese analoghe tra altri Enti competenti dei due Paesi», e del successivo memorandum di intesa applicativo, firmato il 10 giugno 2009 per il raggiungimento di una più proficua collaborazione per la soluzione dell'annosa questione;
a contestare, nelle sedi appropriate, con maggiore forza e convinzione, la rivendicazione libica del Golfo della Sirte come baia storica, considerando l'altrettanto storica presenza dei pescatori siciliani in quella zona da tempo immemorabile;
ad agire in sede europea per ottenere il riconoscimento dei propri «diritti preferenziali di pesca» nella zona libica, poiché i pescatori italiani sono attivi nell'area da un cospicuo numero di anni, promuovendo una conferenza internazionale sulla pesca nel Mediterraneo con tutti i Paesi interessati a ottenere il riconoscimento degli stessi diritti;
a negoziare in sede europea la delimitazione della piattaforma continentale non ancora definita e il limite esterno delle aree marine, quali zona di pesca o zona economica esclusiva, qualora si dovesse arrivare a una delimitazione considerato che le rispettive zone si accavallano, e ad assumere iniziative per giungere a una regolamentazione definitiva, anche perché l'Italia, pur non avendo ancora proclamato una zona economica esclusiva, ha previsto l'istituzione di «zone di protezione ecologica» oltre il limite esterno del mare territoriale, la cui concreta attuazione attende l'adozione dei relativi decreti;
a svolgere un'intensa azione diplomatica affinché la Libia ratifichi nel più breve tempo possibile la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982, proprio in funzione di uno sfruttamento ottimale delle risorse in cooperazione con organizzazioni internazionali rilevanti, come l'Iccat (International commission for the conservation of Atlantic tunas), che è competente anche per il Mediterraneo, e con la Commissione generale della pesca nel Mediterraneo.
(1-00478)
«Di Giuseppe, Donadi, Evangelisti, Borghesi».
(8 novembre 2010)

La Camera,
premesso che:
sin dal 2003 i Ministri della pesca dei Paesi mediterranei, riuniti a Venezia, hanno ritenuto che fosse giunto il momento di migliorare la gestione della pesca nel Mediterraneo, al fine di risolvere i problemi legati allo sfruttamento delle risorse ittiche di un bacino su cui si affacciano 21 Stati sovrani ed in cui operano anche flotte provenienti da altri Paesi non mediterranei;
molti Paesi, infatti, anche molto lontani dal Mediterraneo, sono interessati al nostro prodotto ittico, non solo attraverso l'importazione commerciale, ma anche attraverso la pesca con flotte proprie, danneggiando l'attività di quelle che tradizionalmente vi operano, principalmente nel Canale di Sicilia;
una gestione sostenibile dell'attività della pesca presuppone, pertanto, una cooperazione più stretta tra i Paesi rivieraschi;
numerosi ed anche recenti episodi, come quello avvenuto il 12 settembre 2010 in cui il motopesca «Ariete» del compartimento marittimo di Mazara del Vallo è stato raggiunto da colpi di mitraglia sparati da una motovedetta libica ad oltre trenta miglia dalla costa della Libia, evidenziano la presenza di contenziosi costanti sulle acque utilizzate dai marittimi italiani per la pesca: spesso con la Libia ma in passato anche con altri Paesi rivieraschi;
il Consiglio consultivo regionale per il Mediterraneo (RAC-MED), riunitosi a Solonicco nel settembre 2010, ha valutato attentamente la situazione della giurisdizione delle acque nel Mediterraneo - sia ai fini dello sfruttamento delle risorse della pesca degli Stati costieri, sia per la protezione dell'ambiente marino - e i ripetuti incidenti dovuti a sconfinamenti veri o presunti di pescherecci in acque territoriali non internazionalmente ritenute tali, nonché la mancata armonizzazione delle misure tecniche e di gestione della pesca che sta vanificando gli sforzi sviluppati dall'Unione europea nella politica di conservazione delle risorse ittiche;
tuttavia, la piena e condivisibile azione di tutela e di salvaguardia del patrimonio marittimo del Mediterraneo, unita al necessario e giusto contrasto alla pesca distruttiva ed indiscriminata, deve essere armonizzata con le specificità e le peculiarità locali, al fine di evitare che la legislazione comunitaria possa prescindere da quelle che sono le vocazioni dei territori e creare, di conseguenza, tensioni di carattere sociale;
il regolamento n. 1967/2006 del Consiglio europeo del 21 dicembre 2006, relativo a «Misure di gestione per lo sfruttamento sostenibile delle risorse della pesca nel Mar Mediterraneo e recante modifica del regolamento (CEE) n. 2847/93 e che abroga il regolamento (CE) n. 1626/94», infatti, sta penalizzando, in questo momento di crisi strutturale, le marinerie italiane, non in grado di sopportare i maggiori costi di gestione derivanti dall'adeguamento delle attrezzature di pesca e dal cambiamento del tipo di pesca effettuato e questo sia per la pesca a strascico (che, avendo visto già lievitare il costo del carburante delle imbarcazioni, si troverà a far fronte, a causa dell'aumento della selettività delle reti, ad un minor pescato, soprattutto di specie pregiate, e quindi ad un calo di redditività complessiva) sia per quella speciale di bianchetto e di rossetto, che, non potendo più essere effettuata nella fascia costiera ed in corrispondenza delle praterie di fanerogame, sarebbe destinata a scomparire con grave danno per i piccoli operatori ittici e per alcune eccellenze gastronomiche ad essa legata;
solo per le imprese siciliane si parla di 393 imbarcazioni da demolire con una perdita di posti di lavoro di oltre 1.200 unità; inoltre, il costo degli interventi di dismissione della flotta per la sola Regione siciliana è stimato in oltre 78 milioni di euro, senza che un piano di tale portata assicuri un futuro per le imprese rimanenti;
qualora non intervenisse una proroga vi è il fondato rischio che le risorse stanziate dal fondo europeo per la pesca possano venire disimpegnate con grave nocumento per il settore;
le associazioni nazionali del settore ittico esprimono, oltre a ciò, profonda preoccupazione e allarme per il rischio che salti la prossima campagna di pesca 2010/2011 per le cosiddette pesche speciali tradizionali, attività stagionali svolte in forma artigianale nei mesi invernali da piccole imbarcazioni, che assumono un fondamentale ruolo socio-economico in molte regioni italiane. La sopravvivenza di queste attività è legata all'approvazione di uno specifico piano di gestione che l'Italia ha già provveduto a presentare a Bruxelles per soddisfare i requisiti di sostenibilità imposti dall'Unione europea;
il cosiddetto collegato lavoro, recentemente approvato dalla Camere, reca, tra l'altro, una delega per la revisione della disciplina in materia di lavori usuranti, tra i quali dovrebbe essere inserito l'esercizio della pesca, come richiesto dalle associazioni di categoria;
si segnala, infine, che il settore ittico italiano, oltre a scontare una crisi di redditività e una sostanziale stasi della filiera dal punto di vista dell'innovazione e del miglioramento della filiera, risulta in grande sofferenza per il taglio del 36 per cento dei fondi per l'attuazione del piano nazionale per la pesca marittima decisi con il decreto-legge n. 78 del 2010 per la stabilizzazione dei conti e recepiti dal disegno di legge di stabilità,

impegna il Governo:

a prevedere misure di sostegno al settore ittico italiano atte a ridurre l'impatto della crisi e delle misure comunitarie in materia, in particolare quella relativa alla riconversione delle imbarcazioni dedite alla pesca tradizionale, valutando l'opportunità di assumere iniziative per estendere il regime speciale dell'iva agricola anche nel settore ittico, avviare un riassetto della normativa nazionale in materia di pesca ed acquacoltura, varare un programma nazionale triennale per il riposizionamento e l'adeguamento delle imprese coinvolte, sostenere l'adeguamento delle reti e promuovere un coordinamento degli interventi delle regioni, al fine di prevedere piani di gestione locali, diversificazione delle attività, integrazioni del reddito, e, infine, estendere la cassa integrazione in deroga e fino al 31 dicembre 2011 in relazione al fermo biologico, anche per quei settori che ne erano esclusi, come, ad esempio, quello del pesce spada;
a valutare l'opportunità di richiedere all'Unione europea, unitamente a Paesi come Spagna e Grecia che presentano i medesimi ritardi, uno slittamento di 12 mesi dei termini per usufruire dei fondi del fondo europeo per la pesca (fep), che rischiano di essere altrimenti disimpegnati;
ad assumere iniziative normative affinché la disciplina relativa ai lavori usuranti sia estesa anche all'attività della pesca marittima;
ad elaborare, tra gli obiettivi di una politica della pesca nel Mediterraneo, uno schema di controllo per la lotta contro la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata;
ad adottare ogni iniziativa necessaria, in sede comunitaria, affinché sia avviata una revisione del regolamento citato in premessa in tempi anticipati rispetto a quelli previsti (2012), cogliendo anche l'occasione offerta in tal senso dal libro verde sulla riforma della politica comune della pesca (pcp), in materia di maggiore sussidiarietà e con particolare riferimento alle politiche nei confronti dei Paesi mediterranei non appartenenti all'Unione europea;
a sollecitare la Commissione europea affinché si esprima positivamente per una rapida approvazione del piano di gestione presentato dall'Italia per l'avvio della prossima campagna per le cosiddette pesche speciali tradizionali, evitando di rinviare ogni decisione alla primavera del 2011;
a promuovere una conferenza mediterranea che definisca chiaramente la giurisdizione delle acque da parte degli Stati costieri - nel rispetto delle norme del diritto internazionale del mare - avviando negoziati per i contenziosi e le situazioni ad oggi sospese, al fine di stabilire un quadro in grado di garantire la certezza del diritto all'attività alla flotta comunitaria;
a sollecitare un processo di armonizzazione della misure tecniche e di gestione della pesca tra i Paesi rivieraschi, proseguendo e rilanciando gli sforzi già compiuti dalla stessa Commissione europea con la creazione dell'Associazione delle organizzazioni nazionali di imprese di pesca dell'Unione europea.
(1-00479)
«Delfino, Naro, Galletti, Compagnon, Ciccanti, Volontè, Libè, Occhiuto».
(8 novembre 2010)

La Camera,
premesso che:
il settore della pesca, anche per scelte politiche dell'Unione europea che hanno suscitato perplessità tra gli stessi operatori del comparto, è investito, ormai da anni, da un forte processo di ristrutturazione e riorganizzazione, che ne ha ridimensionato la consistenza numerica delle imprese e degli occupati e sul quale la crisi economica internazionale ha acuito le problematiche;
l'accentuarsi dello stato di crisi del settore della pesca italiana ed europea è dovuta a molteplici cause imputabili, tra l'altro, all'esponenziale aumento dei costi del carburante ad uso dei motopescherecci, che incide fortemente sui redditi d'impresa, ma anche a causa di fattori comunitari;
è necessario sottolineare che il segnale più evidente della crisi del settore è costituito dal fatto che oltre la metà dei consumi nazionali di prodotti derivanti dalla pesca dipende dalle importazioni, considerando anche che la flotta italiana si caratterizza, tra l'altro, per il basso grado di rinnovamento ed ammodernamento;
nel settore pesca, stante la crisi, sarebbe necessario prevedere sgravi fiscali e previdenziali, nonché l'applicazione del credito d'imposta per l'acquisizione di beni strumentali nuovi;
si assiste sempre più alla progressiva sottrazione di aree di pesca utili nel Mediterraneo, a causa delle dichiarazioni di zone di pesca esclusive effettuate dai Paesi rivieraschi del Mediterraneo, quali Libia, Algeria e Tunisia;
resta grave la questione degli interventi strutturali del fondo europeo per la pesca 2007-2013 e della programmazione triennale di settore che lamentano un preoccupante ritardo, stante le incertezze nella definizione dei relativi programmi operativi;
la programmazione europea del fondo europeo per la pesca 2007-2013 ha assegnato all'Italia un finanziamento comunitario complessivo di 376,5 milioni di euro, destinati per 282,5 milioni di euro alle regioni dell'obiettivo convergenza (Calabria, Campania, Puglia e Sicilia) e per 94 milioni di euro alle restanti regioni; a tali risorse bisogna aggiungere il cofinanziamento degli interventi da parte dell'Italia, in modo che l'impegno finanziario complessivo per il settore nei prossimi sette anni ammonti a circa 700 milioni di euro;
gli stessi fondi del fondo europeo per la pesca relativi alla programmazione 2008, se non verranno impegnati entro l'anno, andranno persi arrecando un ulteriore e inammissibile danno alla pesca e, in particolare, alle imprese del Mezzogiorno,

impegna il Governo:

ad orientare la politica della pesca ad una decisa azione di rilancio del settore che si fondi su linee di indirizzo strategico;
a valorizzare i prodotti della pesca come parte integrante del patrimonio agroalimentare e delle tradizioni enogastronomiche del Paese, anche nella prospettiva di promuoverne la presenza nei mercati esteri;
a sostenere la creazione di un'area di libero scambio nel Mediterraneo, una fondamentale opportunità di sviluppo e crescita per i Paesi che su questo mare si affacciano, grazie alla quale sarà possibile costruire regole ed azioni condivise, idonee a superare le differenze oggi presenti, che, in particolare nella pesca, determinano forti tensioni tra le marinerie dei diversi Paesi che si affacciano sul Mediterraneo;
a favorire la riorganizzazione e la competitività del settore attraverso lo sviluppo e l'associazionismo e della cooperazione e delle organizzazioni di produttori;
a prevedere, anche attraverso apposite iniziative normative, l'applicazione del credito d'imposta per l'acquisizione di nuovi beni strumentali;
a prevedere, anche attraverso apposite iniziative normative, misure di carattere previdenziale volte a sostenere i marittimi imbarcati a bordo di navi da pesca indicando l'attività marittima tra quelle usuranti;
a favorire la modernizzazione del settore e a promuovere la qualità, in particolare attraverso interventi volti ad agevolare e sostenere la tracciabilità della filiera ittica;
a promuovere una riforma volta a semplificare e ridurre gli oneri burocratici ed amministrativi ai quali il settore della pesca è soggetto;
a sviluppare politiche strutturali per una più competitiva gestione della flotta, al fine di aiutare il settore della pesca;
a sostenere con migliore efficacia i periodi di fermo pesca, necessari per consentire il ripopolamento degli stock;
ad incentivare la pesca in mare, sviluppando processi di filiera certificati da appositi marchi di qualità ecologica per i prodotti della pesca nazionale, seppure a partecipazione volontaria, che rispettino criteri chiari e oggettivi in materia di pratiche della pesca, insieme alla qualità del pesce;
ad attivare tutti gli ammortizzatori sociali necessari per governare la crisi che sta interessando le imprese del settore della pesca, in particolare nel Mezzogiorno, particolarmente esposte alla congiuntura sfavorevole e alle conseguenze derivanti dalla crisi economica;
ad assumere opportune iniziative in sede di Unione europea allo scopo di evitare che le risorse del fondo europeo per la pesca non impegnate siano disimpegnate, evitando un danno che ricadrebbe sull'intera filiera della pesca.
(1-00483)
«Lo Monte, Commercio, Latteri, Lombardo, Misiti, Brugger».
(8 novembre 2010)