ad assumere le necessarie iniziative sul piano politico-diplomatico per una profonda revisione del «Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra la Repubblica italiana e la Grande Giamahiria araba libica popolare socialista», che preveda l'introduzione di procedure più stringenti di controllo, affinché tutte le azioni che riguardano le operazioni di contrasto all'immigrazione clandestina in mare aperto avvengano nel pieno rispetto del diritto internazionale e comunitario e a tutela dei diritti umani dei migranti e dei richiedenti asilo.
ad adottare ogni iniziativa urgente sul piano diplomatico volta ad assicurare l'effettivo rispetto dei diritti garantiti ai sensi degli articoli 1 e 6 del Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra la Repubblica italiana e la Grande Giamahiria araba libica popolare socialista, per garantire che le politiche migratorie siano pienamente conformi alle norme di diritto internazionale, in particolare per quel che concerne i richiedenti asilo, anche in considerazione del fatto che, trattandosi di diritti fondamentali dell'uomo, la mancanza di coerenza tra gli impegni assunti e la loro attuazione renderebbe necessaria un'azione politico-diplomatica da parte dell'Italia per una revisione del trattato che ne renda stringente l'interpretazione;
ad assumere iniziative presso il Governo libico volte a verificare che sia garantita l'attuazione di misure in materia di immigrazione pienamente rispettose delle norme di diritto internazionale relative alla protezione dei rifugiati e sia agevolata l'attività di monitoraggio sulle politiche in materia di immigrazione da parte dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati in quel Paese;
ad adottare iniziative politico-diplomatiche presso le autorità libiche affinché vengano garantite alle imprese meridionali pari opportunità di accesso alla realizzazione delle grandi opere infrastrutturali previste in Libia nell'ambito degli accordi di partenariato di Bengasi del 2008;
a proseguire nell'attuazione degli impegni sanciti dal Trattato italo-libico di amicizia, in vista dell'auspicata creazione di un forte ed ampio partenariato bilaterale in tutti i settori di collaborazione;
a rivedere il trattato di «amicizia» con la Libia affinché sia in linea con gli obblighi internazionali dell'Italia e, in particolare, con quelli che derivano dall'applicazione della Costituzione italiana e dal diritto internazionale, tra cui il diritto d'asilo e il diritto alla vita;
premesso che:
i rapporti tra Italia e Libia hanno vissuto, negli anni, periodi burrascosi, come è noto a tutti, ma non si sono mai interrotti, neanche negli anni caratterizzati da episodi di terrorismo internazionale e dalle sanzioni contro il Paese nordafricano con un embargo durato dal 1992 al 2004, toccando il punto più basso quando la Libia, dopo il bombardamento Usa di Tripoli e Bengasi del 1986, lanciò un missile che cadde nelle acque prospicienti Lampedusa;
la normalizzazione dei rapporti italo-libici è stata preceduta, prima della conclusione del trattato di Bengasi, da numerosi accordi bilaterali, anche se alcune questioni rimanevano ancora irrisolte: le pretese libiche relative ai danni del colonialismo, i crediti delle imprese italiane per opere mai pagate e il delicato capitolo del contrasto all'immigrazione clandestina, disciplinato da due protocolli del 29 dicembre 2007, rimasti fino ad allora inattuati;
con il «Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra la Repubblica italiana e la Grande Giamahiria araba libica popolare socialista» firmato a Bengasi il 30 agosto 2008, entrato in vigore il 19 febbraio 2009 a seguito della legge di ratifica e esecuzione del 6 febbraio 2009, n. 7, non solo si è inteso porre fine alla disputa risalente all'epoca coloniale, ma si è voluto anche rafforzare, tra le altre cose, la collaborazione tra i due Paesi nella lotta all'immigrazione clandestina per via marittima, dando attuazione ai protocolli sopra menzionati;
il trattato ha, soprattutto, segnato la conclusione di un lungo processo negoziale che era stato iniziato dai precedenti Governi, accelerato poi dall'attuale con l'intento di imprimere un salto di qualità alle relazione dei due Paesi, istituendo un vero e proprio partenariato e non solo un semplice trattato di amicizia e navigazione, visto che la Libia è nei fatti sempre più importante per l'Italia a causa degli ingenti investimenti economici in quel Paese, ma anche per le forniture di petrolio e di gas e per il controllo dei flussi migratori dall'Africa;
in ragione anche di questi interessi, l'Italia si è impegnata, con questo accordo, a realizzare progetti infrastrutturali di base, nei limiti di una spesa di 5 miliardi di dollari per un importo annuale di 250 milioni di dollari in 20 anni, e la Libia si è impegnata ad abrogare tutti i provvedimenti e le norme che impongono vincoli o limiti alle imprese italiane operanti nel Paese;
relativamente al contrasto all'immigrazione clandestina, uno degli obiettivi previsti dai citati accordi, va sottolineato che, nell'attuazione di una politica di respingimento indiscriminato, non controllando lo stato dei centri di detenzione libici, si corre il serio rischio di far venir meno la tutela dei diritti umani dei migranti e dei richiedenti asilo, come si è avuto modo di constatare tragicamente nell'ultimo anno;
ad oggi, questo accordo, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, ha lasciato palesare che, invece di tutelare e difendere i diritti di chi si trova nelle acque mediterranee, per sfuggire da situazioni pericolose o nell'esercizio del proprio lavoro, esso dia in effetti il via libera a comportamenti e atti, da parte della Libia nella fattispecie, che contrastano con il diritto internazionale, come è accaduto molto recentemente quando una motovedetta libica (parte della flotta di navi italiane regalate a Tripoli per il controllo dell'immigrazione), con a bordo anche alcuni finanzieri italiani, ha sparato sul motopeschereccio «Ariete», un fatto grave, troppo presto rubricato come incidente da diversi Ministri;
va ricordato, peraltro, che l'Italia è parte integrante, a differenza della Libia, della Convenzione relativa allo status dei rifugiati di Ginevra del 1951, come del resto di tutti gli organismi internazionali di tutela dei diritti umani, e l'adesione alla Carta delle Nazioni Unite e alla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo dovrebbe consentirle di chiederne sempre il rispetto;
nel trattato, purtroppo, restano ancora zone d'ombra, margini interpretativi fin troppo ampi e, di conseguenza, occorrerebbe approfondire i contorni di questo accordo, proprio perché contiene maglie molto larghe che consentono il ripetersi di episodi come quello citato,
(1-00440)
«Donadi, Evangelisti, Leoluca Orlando, Borghesi».
(28 settembre 2010)
premesso che:
a seguito della conclusione di un lungo processo negoziale e di numerose intese bilaterali, il 30 agosto 2008 è stato firmato a Bengasi il «Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra la Repubblica italiana e la Grande Giamahiria araba libica popolare socialista», entrato poi in vigore con la legge di ratifica ed esecuzione n. 7 del 2009;
scopo principale del presente trattato era quello di porre fine alla disputa risalente all'epoca coloniale e, contestualmente, prevedere una serie di collaborazioni in campo economico, industriale e energetico, in ambito scientifico e culturale, nonché nel settore della difesa, andando a realizzare non solo un trattato di amicizia, ma un vero e proprio partenariato tra i due Paesi, con la realizzazione di opere infrastrutturali di base, la costruzione di unità abitative in Libia, l'assegnazione di borse di studio per studenti libici in Italia e quant'altro;
l'articolo 19 del trattato prevede, in particolare, un rafforzamento della collaborazione «nella lotta al terrorismo, alla criminalità organizzata, al traffico di stupefacenti, e all'immigrazione clandestina», anche in attuazione di due protocolli di cooperazione firmati a Tripoli il 29 dicembre del 2007;
specificatamente, poi, sul tema dell'immigrazione clandestina il comma 2, dell'articolo 19, prevede che le due Parti promuovono la realizzazione di un sistema di controllo delle frontiere terrestri libiche, da affidare a società italiane in possesso delle necessarie competenze tecnologiche;
tuttavia, a quasi due anni di distanza dall'entrata in vigore del suddetto trattato, proprio l'aspetto relativo al rafforzamento della cooperazione nel campo dell'immigrazione clandestina è quello che si è rivelato maggiormente problematico sotto il profilo del rispetto delle norme fondamentali di diritto internazionale e di tutela dei diritti umani fondamentali;
in particolare, hanno suscitato enormi reazioni internazionali le politiche di respingimento in mare, avvenute nell'estate del 2009, che hanno visto il respingimento da parte di motovedette italiane di migranti imbarcati, senza distinzioni tra donne e bambini e, soprattutto, senza che fosse stata previamente verificata la sussistenza di migranti aventi diritto ad inoltrare domanda d'asilo;
tale aspetto è aggravato dal fatto che, come è noto, la Libia non ha mai ratificato la Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati, e recenti dichiarazioni del Governo libico hanno ribadito che non vi è alcuna intenzione da parte del Governo libico di procedere a tale ratifica;
tale circostanza è stata ulteriormente aggravata dall'avvenuta chiusura nel giugno 2010 dell'ufficio dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati che operava da più di vent'anni, in via di fatto, a Tripoli, garantendo una sia pur minima tutela dei diritti fondamentali dei richiedenti asilo e, soprattutto, una minima attività di trasparenza rispetto a quanto effettivamente avveniva in Libia sulla condizione dei migranti e soprattutto sulla tutela dei richiedenti asilo;
il recente e gravissimo episodio del motopeschereccio italiano, contro il quale sono stati sparati dei colpi da una motovedetta libica regalata dall'Italia alle autorità libiche e con la presenza a bordo di esponenti della guardia di finanza italiana, non può certo essere giustificato sulla base del fraintendimento che il motopeschereccio era stato scambiato per un'imbarcazione di migranti, né essere derubricato ad un mero incidente;
lo stesso Parlamento europeo, in una risoluzione approvata il 17 giugno 2010, dopo aver esortato le autorità libiche a ratificare quanto prima la Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati e a consentire e facilitare lo svolgimento delle attività dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati in Libia, inclusa la creazione di un sistema nazionale di asilo, ha invitato gli Stati membri che rinviano gli immigrati in Libia, in cooperazione con l'Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne (Frontex), a porre immediatamente fine a queste pratiche qualora sussista il serio rischio che la persona interessata possa essere sottoposta alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti;
è urgente che l'Unione europea adotti quanto prima un sistema comune in materia d'asilo, assicurando così il pieno rispetto di un principio ormai riconosciuto dal diritto internazionale generale, e non lasciando il peso esclusivo della gestione di questo problema esclusivamente ai Paesi che sono per primi raggiunti dai richiedenti asilo;
il trattato prevede all'articolo 1 che le Parti si impegnino ad adempiere sia agli obblighi «derivanti dai principi e dalle norme del Diritto internazionale universalmente riconosciuti, sia quelli inerenti al rispetto dell'Ordinamento Internazionale», e all'articolo 6 è stata inserita una norma che impegna le parti, di comune accordo, ad agire conformemente alle rispettive legislazioni, agli obiettivi e ai principi della Carta delle Nazioni Unite e della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo;
tuttavia, è evidente dai diversi fatti di cronaca verificatisi in questo anno e mezzo che tale articolo è rimasto in gran parte inattuato e che sussistono ancora troppe zone d'ombra nell'interpretazione del trattato, che non consentono una gestione dei flussi migratori provenienti dalla Libia conforme al rispetto delle norme di diritto internazionale generale o pattizio, ratificate dall'Italia;
l'articolo 10 della Costituzione, dopo aver ribadito al comma 1 che l'Italia si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute, al comma 3 specifica che «lo straniero al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge»,
ad adottare ogni iniziativa urgente sul piano diplomatico per favorire quanto prima la ratifica da parte libica della Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati e, in via immediata, la riapertura dell'ufficio dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati;
ad adottare ogni iniziativa utile volta ad acquisire notizie certe e garanzie sulle condizioni e la destinazione dei richiedenti asilo in Libia, anche attivandosi con il Governo libico per consentire l'invio di una delegazione parlamentare italiana in visita ai centri di detenzione libici.
(1-00480)
«Tempestini, Maran, Amici, Narducci Bressa, Fassino, Barbi, Corsini, Touadi, Gozi, Zaccaria, Pistelli».
(8 novembre 2010)
premesso che:
il 19 febbraio 2009 è entrata in vigore la legge n. 7 del 2009 di ratifica ed esecuzione del «Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra la Repubblica italiana e la Grande Giamahiria araba libica popolare socialista» firmato a Bengasi il 30 agosto 2008;
all'origine del trattato vi sono state la volontà di chiudere un annoso contenzioso causato dalle note vicende storico-militari e la necessità di creare uno strumento che rafforzasse le relazioni già esistenti tra il nostro Paese e la Libia, in virtù degli ingenti interessi economici in campo in diversi settori e di stabilire un efficace coordinamento per il controllo dell'immigrazione clandestina;
la Libia e le sue frontiere rappresentano il terminale dove giungono centinaia di immigrati provenienti principalmente dal Ciad, dalla regione del Darfur e da altri Paesi dove sono in atto conflitti etnico-religiosi o dove sono presenti regimi autoritari, ma poiché il Paese libico non ha ancora sottoscritto la Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati del 1951, non è assicurato l'esercizio del diritto di asilo e desta preoccupazione la situazione dei migranti respinti e di quelli detenuti nei centri libici di detenzione;
secondo le onlus internazionali impegnate sul tema dei diritti umani, risulterebbero gravissime le violazioni ai diritti fondamentali della persona e, soprattutto, la detenzione in carcere di centinaia di potenziali richiedenti asilo tra i quali anche numerose donne e minori;
l'Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati ha più volte ribadito tutte le sue preoccupazioni a riguardo: «In Africa ci sono 10 milioni e mezzo tra sfollati, rifugiati e rimpatriati. E la Libia, che non ha mai sottoscritto la Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati, rischia di trasformarsi in un cul de sac per troppi disperati»;
inoltre, secondo, il portavoce italiano dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, Laura Boldrini: «Come Unchr siamo presenti in Libia, ma non abbiamo un riconoscimento formale delle autorità locali. Cosa che ha ricadute pesanti sull'assolvimento del nostro mandato.»;
inoltre, sempre secondo la Boldrini, «anche solo per avere il visto di ingresso nel Paese i nostri operatori devono affrontare lunghe attese. Non abbiamo accesso a tutti i centri di detenzione dove sono i rifugiati. I richiedenti asilo ci sono e sono molti: non hanno accesso a forme di protezione, affrontano lunghe detenzioni, se sono liberi non hanno alcun sostegno all'integrazione»;
il 12 settembre del 2010, ad oltre trenta miglia dalla costa libica, il motopesca italiano «Ariete» è stato colpito da proiettili di mitraglia sparati da una motovedetta libica, con a bordo militari italiani, che aveva intimato l'alt al natante italiano;
l'accordo sottoscritto non prevede che i mezzi marittimi che pattugliano la zona di confine possano sparare a coloro che superino tale confine, peraltro ancora molto indefinito, a maggior ragione se a sparare sia personale libico su motovedette messe a disposizione dall'Italia;
da sempre la Libia ambisce ad ottenere il controllo sulle quelle acque internazionali ed estendere il proprio controllo sino a 72 miglia dalla sua costa, e nel trattato restano margini interpretativi fin troppo ampi che consentono il ripetersi di episodi come quello citato,
a valutare l'opportunità di adottare iniziative per modificare le attuali disposizioni che regolano la presenza di militari italiani a bordo delle motovedette messe a disposizione dal nostro Paese e le regole di ingaggio, evitando interpretazioni ed impieghi di materiale italiano per scopi che non siano destinati al contrasto dell'immigrazione clandestina.
(1-00481)
«Adornato, Volontè, Galletti, Compagnon, Ciccanti, Naro, Libè, Rao, Occhiuto, Bosi».
(8 novembre 2010)
premesso che:
il 30 agosto 2008 è stato firmato a Bengasi il «Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra la Repubblica italiana e la Grande Giamahiria araba libica popolare socialista» (entrato in vigore il 19 febbraio 2009 a seguito della legge di ratifica e esecuzione del 6 febbraio 2009, n. 7), a coronamento degli sforzi compiuti negli ultimi anni tra i due Paesi, per trovare una soluzione soddisfacente ai passati contenziosi storici legati ai danni del colonialismo;
il capitolo più importante del suddetto accordo di cooperazione, che definisce un nuovo e bilanciato partenariato politico ed economico tra i due Paesi, è quello rappresentato dal ruolo determinante che l'Italia avrà nella realizzazione di progetti infrastrutturali di base e che sarà affidata ad imprese italiane attraverso fondi che verranno gestiti direttamente dal nostro Paese;
la Libia rappresenta da tempo per l'Italia un Paese importante dove sono stati effettuati ingenti investimenti economici per le forniture di petrolio e gas e per il controllo dei flussi migratori dall'Africa;
in ragione anche di questi interessi, l'Italia si è impegnata, con questo accordo, a realizzare progetti infrastrutturali di base che dovranno essere concordati fra le Parti nei limiti di una spesa annua di 250 milioni di dollari per venti anni, mentre la Libia si è impegnata ad abrogare tutti i provvedimenti e le norme che impongono vincoli o limiti alle imprese italiane operanti nel Paese;
la preferenza per le imprese italiane, compatibile con le regole comunitarie, è già stata attuata anche in altri settori dove sta dando i suoi frutti. L'Italia oggi risulta essere il terzo Paese investitore in Libia, tra quelli europei, ed il sesto a livello mondiale, con una presenza di oltre 100 imprese presenti stabilmente nel Paese, prevalentemente collegate al settore petrolifero (come Eni, Snam progetti, Edison, Tecnimont, Saipem), alle infrastrutture, ai comparti della meccanica, dei prodotti e della tecnologia per le costruzioni (Impregilo e Bonatti), dell'ingegneria ed impiantistica (Techint e Technip), dei trasporti (Iveco e Calabrese) e delle telecomunicazioni (Sirti e Telecom Italia), solo per citarne alcune;
nell'ambito dei suddetti accordi Italia-Libia per la realizzazione della superstrada Rass Ajdir-Imsaad (la cosiddetta «Autostrada dell'amicizia» che attraverserà la Libia per circa 1.700 chilometri dal confine con l'Egitto a quello con la Tunisia), il Governo italiano ha recentemente promosso la formazione di tre consorzi che comprendono 20 imprese italiane, ma nessuna tra queste ha sede nel Mezzogiorno;
sono numerose le imprese meridionali che si vanno affermando nel settore dell'edilizia, in quello dell'informatica, nella produzione dei pannelli fotovoltaici, come nell'impiantistica, nelle infrastrutture, nella formazione professionale e universitaria, nell'assistenza sanitaria, imprese che sarebbero pronte a consorziarsi tra loro, o con le grandi imprese nazionali, per la realizzazione delle suddette infrastrutture e che non meritano di trovarsi escluse dall'albo che il Governo italiano potrà aggiornare e segnalare alle autorità libiche per l'affidamento delle commesse;
il 29 dicembre 2007 Italia e Libia hanno siglato a Tripoli un protocollo di cooperazione per fronteggiare il fenomeno dell'immigrazione clandestina, in base al quale le due Parti intensificheranno la collaborazione nella lotta contro le organizzazioni criminali dedite al traffico degli esseri umani e allo sfruttamento dell'immigrazione clandestina. L'accordo prevede, in particolare, l'organizzazione di pattugliamenti marittimi congiunti davanti alle coste libiche;
più in particolare, il suddetto accordo prevede che l'Italia si impegni a cooperare con l'Unione europea «per la fornitura di un sistema di controllo per le frontiere terrestri e marittime libiche, al fine di fronteggiare l'immigrazione clandestina». La direzione e il coordinamento delle attività addestrative ed operative di pattugliamento marittimo vengono affidati ad un comando operativo interforze che sarà istituito presso una «idonea struttura» individuata dalla Libia. Il responsabile sarà un «qualificato rappresentante» designato dalle autorità libiche, mentre il vice comandante (con un suo staff) verrà nominato dal Governo italiano;
tra i compiti del Comando interforze ci sono quelli di organizzare l'attività quotidiana di addestramento e pattugliamento, di «impartire le direttive di servizio necessarie in caso di avvistamento e/o fermo di natanti con clandestini a bordo», di interfacciarsi con le «omologhe strutture italiane», potendo anche richiedere l'intervento o l'ausilio dei mezzi schierati a Lampedusa per le attività anti-immigrazione;
nella comunicazione della Commissione europea al Consiglio dell'Unione europea del 30 novembre 2006 «Rafforzare la gestione delle frontiere marittime meridionali» (Com 2006-733) si individuava «l'esigenza di cooperare con i Paesi di transito dell'Africa e del Medio Oriente per trattare la questione dei migranti illegali»;
per la Commissione europea l'asilo costituisce un elemento di rilievo di tale risposta e un'opzione efficace per le persone che necessitano di protezione internazionale. A tale scopo, occorre assicurare che gli Stati membri applichino con coerenza ed efficienza gli obblighi di protezione, per quanto riguarda l'intercettazione e il salvataggio in mare di persone che possano necessitare di protezione internazionale e la sollecita identificazione di queste persone dopo lo sbarco, presso i luoghi di accoglienza;
Amnesty international ha diffuso un rapporto nel quale sottolinea come la situazione dei diritti umani in Libia risenta dell'assenza di riforme, nonostante il Paese intenda giocare un ruolo di maggior rilievo sul piano internazionale. Il rapporto, basato anche su una missione di ricerca sul campo del 2009 e aggiornato fino alla metà del maggio 2010, denuncia una serie di violazioni dei diritti umani, tra cui la tortura, la fustigazione delle donne e la pena di morte;
la politica di respingimenti avviata in applicazione del nuovo accordo comporta rischi di violazioni dei diritti umani, tanto da suscitare preoccupazione e condanna di organismi ed istituzioni internazionali,
ad assumere, anche in vista della revisione universale periodica nell'ambito del Consiglio dell'Onu dei diritti umani che a novembre del 2010 riguarderà anche la Libia, un ruolo guida nella verifica del rispetto dei diritti umani da parte della Libia.
(1-00482)
«Misiti, Lo Monte, Commercio, Latteri, Lombardo, Brugger».
(8 novembre 2010)
premesso che:
il Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione con la Libia è stato firmato il 30 agosto 2008 ed è entrato in vigore il 2 marzo 2009, in tempi, quindi, eccezionalmente rapidi, dovuti anche all'ampia convergenza bipartisan sulla sua ratifica;
da un punto di vista generale il trattato ha consentito di raggiungere risultati positivi in tutti i principali settori di collaborazione. Esso si è innanzitutto tradotto in un forte rilancio e in una forte intensificazione del dialogo politico, attraverso lo svolgimento di frequenti incontri al massimo livello e, soprattutto, mediante la firma e la conclusione di importanti intese bilaterali in vari settori;
già nel corso della prima visita in Italia del colonnello Gheddafi (che ha avuto luogo dal 10 al 13 giugno 2009), sono stati finalizzati quattro importanti accordi: la Convenzione per evitare le doppie imposizioni; il memorandum sulla semplificazione delle procedure di rilascio dei visti; il memorandum sulla collaborazione economica, scientifica e tecnica nel settore delle risorse marine e lo scambio di lettere sulla concessione di borse di studio a cento studenti libici;
il Presidente del Consiglio dei ministri Berlusconi, nel corso della sua visita in Libia, del 27 e 28 marzo 2010, per intervenire, su invito del colonnello Gheddafi, al vertice della Lega Araba di Sirte, ha, tra l'altro, svolto una proficua opera di mediazione della complessa crisi libico-svizzera che si era creata, coronata da successo anche a seguito di una nuova missione del Presidente del Consiglio dei ministri a giugno 2010, con il rientro in patria dello svizzero Max Goldi;
il 30 agosto 2010, secondo anniversario del trattato di Bengasi, il colonnello Gheddafi ha effettuato una visita a Roma per partecipare alle celebrazioni della seconda Giornata dell'amicizia italo-libica. L'occasione ha consentito di confermare l'eccellente stato delle relazioni tra Italia e Libia per l'intenso sviluppo della collaborazione bilaterale in tutti i settori di reciproco interesse;
per quanto riguarda il settore dell'industria, nell'aprile 2009 è stato firmato dal Ministro dello sviluppo economico un accordo di cooperazione economica, commerciale e industriale, che prevede, in particolare, l'istituzione in Libia di zone industriali riservate alle aziende italiane;
nel quadro dell'azione condotta dal Ministero dell'interno per il rafforzamento della collaborazione italo-libica nel settore migratorio, nel 2009 il Ministro Maroni ha compiuto tre visite a Tripoli. Nel corso della prima, il 4 febbraio 2009, ha firmato con l'omologo libico un protocollo in materia di contrasto all'immigrazione clandestina, in seguito al quale è stato possibile avviare i pattugliamenti marittimi congiunti previsti dall'accordo firmato il 29 dicembre 2007 dall'allora Ministro Amato;
il 15 aprile 2010 il Ministro Frattini ha firmato con l'omologo libico un accordo per l'abolizione dell'obbligo di visto per i titolari di passaporti diplomatici e di servizio, entrato in vigore il 14 agosto 2010;
questo fitto scambio di visite, caratterizzate dalla firma di intese tecniche, dimostra come il Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione costituisca la tela di fondo per il raggiungimento di obiettivi concreti di nostro interesse;
tra il 2009 e il 2010 tutti gli organismi tecnici misti previsti dal trattato si sono insediati e hanno avviato i loro lavori. Per quanto concerne, in particolare, l'attività della commissione mista prevista dall'articolo 9 del trattato, della quale fanno parte per l'Italia funzionari del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e del Ministero dello sviluppo economico, è in corso la procedura di selezione delle aziende italiane che realizzeranno l'autostrada costiera;
in particolare, la politica di contrasto dell'immigrazione clandestina, messa in opera grazie alle intese sopra ricordate, ha consentito di conseguire un drastico calo degli sbarchi, azzerando sostanzialmente gli arrivi di immigrati in Italia;
la decisione adottata nei mesi scorsi dalle autorità di Tripoli di chiudere l'ufficio dell'Unhcr (Agenzia dell'Onu per i rifugiati) in Libia è stata successivamente modificata anche a seguito di un'azione condotta dal Governo italiano. Le autorità di Tripoli stanno, infatti, consentendo la prosecuzione delle attività e dei progetti che fanno capo all'Unhcr in Libia e hanno avviato con lo stesso Alto commissario un negoziato per definire un accordo di sede. L'Alto commissario ha dato formalmente atto che tali sviluppi positivi sono stati resi possibili grazie all'azione che il Governo italiano ha sempre svolto e che continua a svolgere in tal senso nei confronti di Tripoli;
sempre in tema di lotta all'immigrazione clandestina ed alla tratta di esseri umani, in base a quanto previsto dall'articolo 19, paragrafo 2, del Trattato di amicizia, nei mesi scorsi è stato avviato il progetto per la realizzazione di un sistema di controllo delle frontiere terrestri libiche, finanziato dall'Italia con un importo di circa 150 milioni di euro su tre anni. Conformemente a quanto previsto dal Trattato di amicizia (articolo 19, paragrafo 2), il Governo italiano ha richiesto nelle opportune sedi a Bruxelles che l'Unione europea si faccia carico dei costi necessari ad un ulteriore sviluppo del progetto, tenuto in particolare conto degli impegni presi con le autorità di Tripoli anche su questo punto dalla Commissione europea nel luglio 2007 (memorandum Ferrero Waldner-Al Obeidi);
in un quadro più generale il Governo sta da tempo svolgendo in sede comunitaria un'azione coordinata volta ad ottenere un maggiore impegno dei partner europei e delle istituzioni comunitarie alla lotta all'immigrazione clandestina nel Mediterraneo e, in tale ambito, una più intensa collaborazione con la Libia; sotto questo profilo è, in particolare, previsto un ampio volet migratorio nell'accordo quadro Unione europea-Libia attualmente in fase negoziale; le recenti affermazioni del leader libico sulla necessità di impegni economici europei vanno inserite in tale contesto e saranno esaminate nel corso del vertice Unione europea-Africa che si terrà proprio in Libia a fine novembre 2010;
che la lotta all'immigrazione clandestina sia uno dei pilastri della politica dell'attuale Governo è dimostrato anche dai dati diffusi nel mese di ottobre 2010 dall'Agenzia europea per le frontiere (Frontex), che hanno rilevato un «drastico calo» degli ingressi illegali sul fronte dell'immigrazione tra gennaio e agosto 2010 dell'ordine del 72 per cento sullo stesso periodo del 2009; in forte calo anche i soggiorni illegali nel Paese, diminuiti del 19 per cento nei primi otto mesi del 2010 rispetto allo stesso periodo 2009;
quello che manca ancora è una politica comune europea sulla gestione dell'immigrazione illegale; è necessario ragionare, a livello europeo, e forse anche mondiale, su come consentire l'immigrazione legale e, quindi, la partecipazione di tanti lavoratori stranieri allo sviluppo del Paese e dell'Unione europea, impedendo al tempo stesso che organizzazioni criminali gestiscano vere e proprie tratte di esseri umani; in questo ambito, il Governo italiano ha per primo sollevato in Europa il problema, sottolineando come il fronteggiare da un lato l'immigrazione clandestina e l'adottare dall'altro una politica di accoglienza, di inserimento e di integrazione dei lavoratori stranieri che giungono in Europa non costituisca questione che possa essere semplicemente delegata alla buona volontà dei Paesi costieri. È questa un'azione il Governo continua a proporre in ogni forum multilaterale ed in ogni incontro bilaterale,
a svolgere un ruolo di stimolo, avvalendosi dell'esperienza maturata nei rapporti con la Libia e dell'eccellente stato delle relazioni bilaterali, sulla tematica del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, anche nell'ambito del negoziato per la conclusione di un accordo quadro tra l'Unione europea e la Libia attualmente in corso;
nell'ambito dell'azione di controllo e regolamentazione dei flussi migratori, svolta dal Governo anche a garanzia dei necessari livelli di sicurezza nel nostro Paese, a proseguire nella collaborazione con Tripoli in materia di lotta all'immigrazione clandestina e di contrasto alle attività delle organizzazioni criminali dedite al traffico di esseri umani, lungo le linee direttrici delineate in questi ultimi mesi che hanno consentito un radicale ridimensionamento nell'afflusso di clandestini sulle coste italiane.
(1-00484)
«Antonione, Dozzo, Sardelli, Romano, Baldelli, Biancofiore, Boniver, Bonciani, Del Tenno, Renato Farina, Lunardi, Malgieri, Migliori, Moles, Osvaldo Napoli, Nicolucci, Nirenstein, Pianetta, Picchi, Scandroglio, Zacchera».
(8 novembre 2010)
premesso che:
il «Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra la Repubblica italiana e la Grande Giamahiria araba libica popolare socialista», firmato a Bengasi il 30 agosto 2008 ed entrato in vigore a seguito della legge di ratifica ed esecuzione del 6 febbraio 2009, n. 7, intendeva porre fine al contenzioso tra i due Paesi risalente all'epoca coloniale, dando vita ad una nuova fase politica basata sul rispetto reciproco e sulla pari dignità;
tale trattato - diversamente da quanto normalmente accade quando il Parlamento italiano discute i trattati internazionali - è stato oggetto fin dalla sua discussione nelle Commissioni affari esteri di Camera e Senato di una forte, ancorché minoritaria, contestazione politica per i suoi contenuti;
l'Italia è, infatti, il primo Paese che ha stipulato un trattato di «amicizia» con la Libia, dopo che questo Paese è stato tolto dalla lista di quelli sotto sanzioni del Consiglio di sicurezza dell'Onu; sanzioni che erano state imposte dopo l'accertamento delle responsabilità delle autorità di Tripoli in attività di terrorismo internazionale che hanno colpito interessi e tolto la vita a cittadini di Paesi alleati dell'Italia all'interno della Nato e dell'Unione europea;
secondo tale trattato - all'articolo 8, capo II - l'Italia si è impegnata, tra l'altro, a realizzare in Libia progetti infrastrutturali nei limiti di una spesa di 5 miliardi di dollari per un importo annuale di 250 milioni di dollari in 20 anni, quale segno di risarcimento per il colonialismo italiano di inizio secolo scorso, e la Libia si è impegna ad abrogare tutti i provvedimenti e le norme che impongono vincoli o limiti alle imprese italiane operanti nel Paese;
nessuna cifra è stata, invece, indicata nel trattato per risarcire né gli italiani espulsi dalla Libia dopo il colpo di Stato del Colonnello Gheddafi, né per le imprese italiane che hanno continuato a lavorare in Libia e che non si sono viste corrispondere i crediti che vantano legalmente;
solo in sede parlamentare, all'interno del disegno di legge di ratifica, si è dopo prevista una cifra parziale di risarcimento per i cittadini espulsi dalla Libia, che resta tuttavia ancora da corrispondere, mentre niente si è previsto al momento a tutela dei crediti delle imprese italiane che hanno operato in Libia;
nei mesi precedenti la ratifica parlamentare le autorità italiane, e in particolare il Ministero dell'interno, hanno posto grande enfasi sulla necessità di ratificarlo, per gli effetti che quest'atto avrebbe avuto nel contrasto all'immigrazione clandestina proveniente dalla Libia;
l'articolo 19 del trattato, infatti, prevede - dando attuazione al protocollo di cooperazione, firmato a Tripoli il 29 dicembre 2007 tra il Ministro dell'interno Amato e il Ministro degli esteri libico Abdurrahman Mohamed Shalgam - un pattugliamento del tratto di Mediterraneo tra la Sicilia e la Libia con equipaggi misti italo-libici, con motovedette messe a disposizione dall'Italia e con la realizzazione di un sistema di telerilevamento alle frontiere terrestri libiche da affidare alle società italiane;
nonostante l'articolo 19 non faccia, però, alcun riferimento ai respingimenti verso la Libia dei migranti intercettati in mare, bensì solo alle operazioni di pattugliamento congiunto, dal maggio 2009, e come ampiamente preannunciato dal Ministro dell'interno Maroni prima dell'ingresso in vigore del trattato, è stata introdotta la politica italiana dei respingimenti in Libia delle persone intercettate nel Canale di Sicilia, quali misure volte a contrastare il fenomeno dell'immigrazione clandestina;
tale politica destava fin dall'inizio profonda preoccupazione poiché, nonostante gli impegni generali delle Parti contraenti previsti dal trattato al rispetto dei diritti umani, la Libia non ha mai ratificato le convenzioni di Ginevra che tutelano i diritti dei rifugiati e, soprattutto, pratica da lungo tempo una politica di discriminazione e di gravi violazioni dei diritti dell'uomo, denunciate regolarmente dalle organizzazioni internazionali, nei confronti delle centinaia di migliaia di migranti che transitano o risiedono in Libia e che provengono da zone dell'Africa dove sono in corso conflitti armati e crisi umanitarie gravissime da lungo tempo, che sono costati la vita a milioni di persone;
l'Unhcr (Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati), come riportato nell'articolo del Sole 24 Ore del 12 maggio 2009, ha subito espresso profonda preoccupazione per la politica dei respingimenti che l'Italia ha deciso di applicare, visto che «essa mina l'accesso all'asilo nell'Unione europea e comporta il rischio di violare il principio fondamentale di non respingimento (non-refoulement) previsto dalla Convenzione del 1951 sui rifugiati»;
per tutta risposta le autorità libiche, il 2 giugno 2010 hanno deciso di chiudere l'ufficio dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati a Tripoli, chiarendo definitivamente - per il momento - che non vogliono che sia garantita alcuna protezione internazionale a centinaia di migliaia di migranti che si trovano in Libia e che non hanno riconosciuto alcuno status giuridico;
stando a quanto riferito dalla stessa agenzia Onu, l'ufficio dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati è stato chiuso dalle autorità libiche senza alcuna spiegazione né preavviso;
l'8 giugno 2010, in un comunicato diffuso sul sito dell'agenzia di stampa ufficiale libica Jana, il Comitato popolare per le comunicazioni estere e la cooperazione internazionale libico, ha fatto sapere che «la Libia non riconosce l'esistenza dell'Ufficio dei rifugiati nel suo territorio perché la Libia non è uno Stato membro della Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati del 1951 sui rifugiati, e non ha firmato alcun accordo di cooperazione con l'Ufficio dell'Alto commissariato per i rifugiati. Di conseguenza, qualsiasi attività svolta dall'Ufficio è stata un'attività illecita»;
la portavoce dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati in Italia, Laura Boldrini, si è subito augurata che tale chiusura sia temporanea visto che la Libia non solo non ha firmato la Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati del 1951 sui rifugiati, ma neanche ha nel proprio ordinamento un sistema per la richiesta e l'ottenimento dell'asilo politico, e si ricorda che finora a tale mancanza sopperiva l'ufficio dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, valutando le domande dei richiedenti e assegnando eventualmente lo status di rifugiato;
grave preoccupazione per l'applicazione di tale politica dei respingimenti è stata espressa a più riprese anche da altre autorità come dall'Alto commissario Onu sui diritti umani Navy Pillay, dalla Conferenza episcopale italiana, e dal Commissario ai diritti umani del Consiglio d'Europa Thomas Hammarberg;
il dossier dell'organizzazione non governativa internazionale Human rights watch, intitolato «Scacciati e schiacciati», pubblicato il 21 settembre 2009, critica duramente la politica sull'immigrazione del Governo italiano e si scaglia contro i respingimenti verso la Libia effettuati dal Governo, dichiarando che «l'Italia intercetta migranti africani e richiedenti asilo e senza valutare se veramente sono rifugiati o bisognosi di protezione, li respinge forzatamente in Libia, dove molti sono detenuti in condizioni disumane e degradanti»; «la realtà è che l'Italia respinge senza senso i migranti»;
il 23 giugno 2010 è stato pubblicato un rapporto di Amnesty international dal titolo «La Libia domani: quale speranza per i diritti umani?», che mette in luce il fatto che i rifugiati, i richiedenti asilo e i migranti irregolari che si trovano in Libia siano sfruttati e subiscano violenze, abusi e torture durante la loro detenzione da parte delle autorità libiche;
secondo tale rapporto, diverse migliaia di loro sono detenuti indefinitamente in centri sovraffollati e molti rischiano costantemente di essere rinviati in Paesi come la Somalia e l'Eritrea, dove potrebbero essere sottoposti a persecuzioni e torture;
sulla base dei dati relativi ai respingimenti in un periodo di soli quasi quattro mesi, dal 6 maggio al 30 agosto 2009, ci sono state complessivamente 8 operazioni di respingimento nel Canale di Sicilia e in totale sono stati riportati in Libia 757 immigrati - il dato è stato reso noto dal Sottosegretario all'interno Mantovano nell'audizione del 22 settembre 2009 presso il Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione ed il funzionamento della Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen e di vigilanza sull'attività dell'unità nazionale Europol -;
sempre secondo i dati forniti dal Ministero dell'interno, il Sottosegretario di Stato Nitto Palma, durante la seduta n. 251 del 24 novembre 2009, ha dichiarato che nessuno dei «respinti» intercettati dalle autorità italiane avrebbe fatto richiesta di asilo politico o di protezione internazionale, mentre i dati relativi al 2008, riportano che, dei 36 mila cittadini di altri Paesi che sono sbarcati sulle nostre coste, circa il 75 per cento ha fatto domanda di asilo;
come riportato nell'articolo de L'Unità del 20 luglio 2010, anche 103 dei 205 eritrei che si trovavano segregati in condizioni estreme nel carcere libico di Brak - e che lì rimasero per 16 giorni - erano stati respinti in Libia dopo essere stati intercettati in mare dalle autorità italiane;
nell'articolo de L'Unità del 20 luglio 2010, Don Mussie Zerai, sacerdote e responsabile dell'agenzia Habesha - un'organizzazione non governativa con sede a Roma che si occupa dell'accoglienza dei migranti africani - ha affermato che: «gran parte dei 205 eritrei segregati nel carcere libico di Brak erano sulla rotta di Lampedusa quando sono stati arrestati e portati nel lager di Gheddafi, ammassati in 90 in una stanzetta e picchiati ogni due ore»;
a seguito dell'accordo, firmato il 7 luglio 2010 con il Ministro del lavoro libico e su pressione del Governo italiano, i 205 eritrei sono stati liberati dal carcere di Brak e la loro condizione è attualmente la seguente: gli eritrei, dopo esser stati liberati il 17 luglio 2010 dal carcere di Brak, sono ora bloccati nella città di Sebha, a 800 chilometri da Tripoli, dove hanno un permesso di soggiorno di tre mesi, che però ha validità solo nella regione di Sebha; gli eritrei con il permesso di soggiorno possono solo circolare liberamente nella città di Sebha, ma non possono uscirvi e, una volta scaduto il permesso di soggiorno, i migranti saranno costretti a chiedere un visto, per il quale dovranno prima recarsi all'ambasciata eritrea e farsi rilasciare un passaporto; per gli eritrei tale ultima eventualità è impraticabile e molto pericolosa, dal momento sono richiedenti asilo in fuga dal proprio Paese, dove l'emigrazione è considerata un crimine e punita severamente;
in merito alla vicenda dei 205 eritrei, il 7 luglio 2010 il Sottosegretario di Stato agli esteri Stefania Craxi, parlando con i cronisti a margine della sua audizione presso la Commissione esteri del Senato, ha così affermato: «L'Italia sarebbe pronta ad accogliere alcuni dei cittadini eritrei attualmente in Libia a determinate condizioni»; «Già nel 2009 abbiamo accettato una procedura di resettlement per 67 cittadini eritrei e se anche in questo caso si ripresentassero le medesime condizioni, il Governo italiano farà la sua parte», ha assicurato la Craxi. «Ci aspettiamo che lo stesso facciano anche altri stati dell'Ue», ha aggiunto;
l'articolo 4 del trattato Italia-Libia sancisce il principio di non ingerenza diretta o indiretta negli affari interni o esterni che rientrino nella giurisdizione dell'altra Parte, attenendosi allo spirito di buon vicinato;
tale articolo, inoltre, sancisce al comma 2 che: «Nel rispetto dei principi della legalità internazionale, l'Italia non userà, ne permetterà l'uso dei propri territori in qualsiasi atto ostile contro la Libia e la Libia non userà, né permetterà, l'uso dei propri territori in qualsiasi atto ostile contro l'Italia»;
il 12 settembre 2010, al largo di Lampedusa, un motopeschereccio italiano che si trovava in acque internazionali è stato avvicinato da una motovedetta guidata da equipaggio libico, ma all'interno della quale vi era anche un equipaggio italiano e, in particolare, si trattava di ufficiali della Guardia di finanza;
questa motovedetta è una delle sei che il Governo italiano ha donato al Governo libico a seguito della ratifica del trattato di amicizia, partenariato e cooperazione, allo scopo di effettuare i pattugliamenti congiunti per contrastare l'immigrazione clandestina per via marittima;
la motovedetta ha in seguito sparato ripetutamente colpi di mitra che hanno colpito il peschereccio italiano, mettendo a rischio la vita dell'equipaggio;
dinanzi all'interrogazione a risposta immediata a prima firma Mecacci e concernente il suddetto fatto, il 15 settembre 2010, il Governo italiano nella figura del Ministro per i rapporti con il Parlamento, Elio Vito, ha così risposto: «L'episodio, molto grave, che ha visto coinvolto il peschereccio italiano richiederà un forte impegno affinché azioni del genere non si ripetano più. Nessun accordo né alcuna regola d'ingaggio consente, infatti, interventi con armi da fuoco verso imbarcazioni pacifiche. D'altra parte, lo stesso comandante libico, e subito dopo l'autorità di Tripoli, incluso il Ministero degli affari esteri, hanno formalmente presentato le loro scuse. In Libia è stata avviata un'inchiesta per chiarire le dinamiche dei fatti e accertare le responsabilità. In Italia sono in corso l'indagine promossa dal Ministero dell'interno e l'indagine penale avviata contro ignoti per tentato omicidio dalla magistratura di Agrigento. Il Governo italiano approfondirà con le controparti libiche i necessari correttivi, che dovessero essere opportuni, alle intese tecniche che disciplinano le operazioni di pattugliamento congiunto»;
nel corso della XVI legislatura Gheddafi è il leader politico straniero che si è incontrato più volte con il Presidente del Consiglio dei ministri italiano Berlusconi, caratterizzando la politica estera del nostro Paese con la vicinanza politica a una delle più longeve dittature esistenti al mondo;
nel corso della sua ultima recente visita in Italia, il Colonnello libico Gheddafi ha dichiarato, tra l'altro, che se l'Europa non vorrà «diventare nera» occorreranno non 5 miliardi di dollari in 20 anni, ma 5 miliardi di dollari l'anno, alludendo quindi alla possibilità di usare la minaccia dell'immigrazione clandestina di massa, come strumento di pressione nell'ambito dei negoziati in corso per un accordo di cooperazione tra l'Unione europea e la Libia;
nelle settimane successive alla visita del leader libico Gheddafi in Italia, sono state espresse forti preoccupazioni in vari settori della società italiana sull'acquisizione di quote societarie del gruppo Unicredit, il più grande gruppo bancario italiano, da parte di fondi libici controllati dal Governo, che potrebbe essere avvenuta al di fuori delle regole che disciplinano tali attività e per le quali sono in corso indagini da parte dei competenti organi di controllo;
nel 2009, all'apertura del vertice dell'Unione africana a Tripoli, Gheddafi si è così espresso a proposito d'importanti questioni internazionali: in merito al mandato d'arresto emesso dal Tribunale penale internazionale contro il Presidente sudanese Bashir per i crimini in Darfur ha così affermato:«Tale Tribunale è nuova forma di terrorismo mondiale, e sappiamo che tutti i paesi del terzo mondo si oppongono a questa sedicente Corte penale internazionale. Fino a quando tutti non saranno trattati allo stesso modo, non funzionerà»; in merito allo Stato di Israele, ha invece affermato: «Israele è dietro di tutti nei conflitti in Africa: per questo tutte le sue ambasciate nel continente vanno chiuse, in particolare Israele alimenta le crisi in Darfur, Sud Sudan, Ciad, per sfruttare le ricchezze di quelle aree, e solo l'Unione africana ha il diritto-dovere di tenere le questioni legate ai conflitti in Africa sempre all'ordine del giorno per aiutare gli africani a trovare soluzioni pacifiche ai conflitti in corso»,
alla luce di quanto accaduto recentemente, a chiarire i termini degli accordi relativi ai pattugliamenti congiunti in corso, in particolare per quanto riguarda la catena di comando e le regole d'ingaggio, incluso l'uso delle armi durante tali operazioni;
ad attivarsi, sia attraverso i contatti bilaterali con Tripoli, che a livello internazionale, per ottenere che la Libia riconosca i confini marittimi sanciti dal diritto internazionale e consenta ai pescatori siciliani di pescare legalmente in acque internazionali senza il rischio di subire attacchi armati o il sequestro dei pescherecci, come purtroppo già avvenuto numerose volte in passato;
a sospendere la politica dei respingimenti dei migranti in Libia, anche alla luce di quanto accaduto negli ultimi mesi, dato che tale politica viola sia il principio fondamentale di non respingimento (non-refoulement) previsto dalla Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati del 1951 (ratificata dall'Italia nel luglio 1954) e considerato un principio di diritto internazionale generale, sia il pieno accesso alle procedure di asilo nell'Unione europea;
ad attivarsi sia in sede bilaterale che a livello internazionale, affinché la Libia riapra al più presto l'ufficio dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati a Tripoli e affinché ratifichi la Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati del 1951, quale condizione minima per poter:
a) farsi promotore, nelle principali sedi internazionali a partire da quella europea, di un percorso che garantisca agli immigrati provenienti dall'Africa, come da altri continenti, il diritto di asilo e tutti gli altri diritti e libertà fondamentali sanciti nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948;
b) tutelare i diritti e a dare effettive garanzie per i risarcimenti economici a favore sia degli italiani espulsi dalla Libia, che delle imprese italiane che vantano crediti riconosciuti ma non corrisposti dalle autorità libiche.
(1-00485)
«Mecacci, Beltrandi, Bernardini, Farina Coscioni, Maurizio Turco, Zamparutti, Colombo, Sarubbi, Duilio, Touadi».
(8 novembre 2010)