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Comunicati stampa

14/12/2015
Intervento della Presidente della Camera dei deputati, Laura Boldrini, in occasione della conferenza Giovani italiani nelle Nazioni Unite: una storia lunga oltre 40 anni
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"E' con grande piacere che vi do il benvenuto alla Camera dei deputati. Un piacere che deriva dal vedere facce amiche e facce di persone con le quali, fino a tre anni fa, ho condiviso molto più che un impegno lavorativo, direi un percorso di vita. Con voi ho condiviso anche dei valori, gli stessi che oggi costituiscono la base della mia azione istituzionale nell'incarico che ho l'onore di ricoprire. Grazie anche al Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale ed al Dipartimento per gli Affari economici e sociali delle Nazioni Unite, che hanno promosso quest'iniziativa assieme alla Camera dei deputati.

Un'iniziativa che conclude le celebrazioni dedicate al sessantesimo anniversario dell'ingresso dell'Italia nelle Nazioni Unite ed inaugurate qui alla Camera dal Segretario generale Ban Ki-moon, in occasione del suo storico intervento davanti al Parlamento italiano riunito - Camera e Senato alla presenza del Capo dello Stato - lo scorso 15 ottobre. Era la prima volta che la Camera ospitava un evento di questo genere. Celebrazioni che hanno messo in risalto il contributo che il nostro Paese ha dato in questi decenni alle cause della pace e della sicurezza internazionale, della tutela dei diritti umani e della promozione dello sviluppo, attraverso l'impegno nelle missioni di peacekeeping, le campagne in favore di una moratoria della pena di morte, la partecipazione come membro non permanente del Consiglio di Sicurezza e l'attenzione rivolta allo sviluppo rurale ed al diritto all'alimentazione, promossi dalle agenzie ONU le cui rispettive sedi centrali si trovano a Roma.

Esattamente sessant'anni fa, per l'appunto, il 14 dicembre 1955, l'Italia aderiva all'ONU, un'organizzazione che, proprio quell'anno, celebrava il primo decennale della propria istituzione. L'ingresso dell'Italia, che sancì il pieno ritorno del nostro Paese nella comunità delle nazioni, non era scontato, nel contesto post-bellico ed in un mondo diviso in blocchi contrapposti.

Il mondo - e l'Italia con esso - sono cambiati profondamente dai tempi in cui, a San Francisco, si posero le basi per il sistema multilaterale che ha regolato le relazioni internazionali negli ultimi settant'anni. Le sfide d'allora provenivano in gran parte dalle tensioni della Guerra fredda, dal post-colonialismo e dagli sforzi per integrare i milioni di rifugiati del secondo conflitto mondiale ed accelerare lo sviluppo delle vaste aree in povertà.

Oggi le sfide che abbiamo davanti sono molteplici e di diversa natura. Quel modello di sviluppo che abbiamo attuato e promosso si rivela ad esempio, come causa del cambiamento climatico, la più grande sfida che l'umanità dovrà affrontare nei decenni a venire. Nel fine settimana scorso, in una Parigi blindata a seguito dei barbari attentati del 13 novembre, si è conclusa la COP21, che molti - me inclusa - hanno definito come un vero e proprio "vertice di pace", molto più che un vertice sull'ambiente.

Un vertice che non ha deluso, i cui risultati sono andati ben oltre le aspettative. Ma la sfida inizia ora, perchè ora si apre una nuova fase in cui è importante che ciascuno Stato si attenga ai propri impegni e venga effettuato un attento monitoraggio. La positiva tensione di Parigi non si deve disperdere, ed anzi la consapevolezza deve crescere e investire la quotidianità delle nostre società: il rispetto degli obiettivi della Cop21 passa infatti anche attraverso le scelte che ognuno di noi compie con il proprio stile di vita. Ciascuno può contribuire all'obiettivo che i "grandi" si sono posti a Parigi.
Pochi mesi fa, i Paesi del mondo si sono riuniti a New York per sottoscrivere la nuova Agenda per lo sviluppo sostenibile. Un'Agenda che, a differenza del passato, non riguarda solo i Paesi in via di sviluppo, ma si configura come un patto tra tutti gli Stati, inclusi quelli ricchi. Un'Agenda che - voi lo sapete meglio di chiunque altro - sarebbe stata impensabile settanta o sessant'anni fa.

Oggi, come nel 1955, il mondo deve far fronte ad una gravissima crisi dei rifugiati. Già nel 2014, gli sfollati forzati erano sessanta milioni, l'equivalente della popolazione italiana. Una nazione senza nome, una nazione in movimento. Quest'anno, con l'acuirsi della crisi siriana ed il perdurare dei conflitti e dei regimi totalitari in Africa sub-sahariana, sono ancora più numerosi. Conflitti, peraltro, che non sembrano essere di alcun interesse per la comunità internazionale.

L'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, l'UNHCR, dal primo gennaio sarà guidato da un italiano, Filippo Grandi, che è con noi oggi e che ho il grande piacere di salutare.

Le responsabilità che dovrà assumersi, in un tempo in cui le guerre, le violazioni massicce dei diritti umani e le persecuzioni continuano ed in cui i finanziamenti dei governi alle agenzie umanitarie scarseggiano sempre di più, lasciando buchi profondi, sono enormi. E sono enormi anche perché nella nostra Europa, che è il cuore della civiltà giuridica, della Convenzione di Ginevra, i rifugiati sono diventati obiettivo, nonostante siano protetti da tutti i nostri atti fondativi, nostri dell'Unione europea e, nel nostro caso, della Costituzione italiana. I rifugiati sono diventati oggetti di pesantissime campagne politiche, e questo rende tutto molto più complesso, specialmente per chi è preposto alla loro protezione.

Auguri, dunque, a Filippo, che conosco da decenni e che - non ne ho dubbi - sarà la persona giusta alla guida dell'UNHCR negli anni a venire.

Filippo Grandi ed io cominciammo le nostre rispettive carriere all'ONU negli stessi anni, mentre crollava la Cortina di Ferro. Entrammo però nelle Nazioni Unite in maniera diversa: io, infatti, fui selezionata per il programma JPO, Junior Professional Officer, come molti di voi. Anche Filippo fece questa selezione, ma poi decise di prendere un'altra strada. Fa comunque parte di questa "famiglia" Oggi celebriamo non solo il sessantennale dell'Italia nell'ONU, ma anche gli oltre quarant'anni del coinvolgimento del nostro Paese nel Programma Giovani Esperti Associati e, attraverso questa ricorrenza, celebriamo il contributo, la grande spinta che migliaia di italiani hanno dato all'ONU, ricevendo moltissimo in cambio. Quindi celebriamo tutti voi e tutti gli altri ex colleghi che sono all'opera nella varie situazioni di crisi. E' il nostro contributo al vostro lavoro, a quello che avete fatto e dato al sistema delle Nazioni Unite, ma anche al nostro Paese.

Un bagaglio di competenze e di conoscenze ricchissimo, che il nostro Paese dovrebbe saper mettere a frutto come fanno altri Stati, soprattutto del Nord-Europa. Se, individualmente, tante e tanti di noi che hanno cominciato le loro carriere all'ONU hanno poi proseguito all'interno dell'organizzazione o sono passati ad altri settori, penso d'interpretare il sentire comune in questa sala se sottolineo il fatto che l'Italia non promuove sempre, in maniera sistematica ed efficace, la propria presenza nelle Nazioni Unite. E' per questo che auspico - e so che il Ministero degli Affari esteri sta già lavorando in questa direzione - un raccordo continuo e regolare con i funzionari italiani e la tessitura di una rete globale che può servire a quegli stessi funzionari, ma che in primis può servire all'Italia.

I quasi venticinque anni che ho trascorso alle Nazioni Unite - dapprima alla FAO, in seguito al WFP e, infine, per quindici anni, all'UNHCR - fanno parte del bagaglio culturale e politico, che porterò sempre con me e che oggi mi guida in questo ruolo in cui una consolidata esperienza di terzietà e di mediazione può essere molto utile, vi assicuro!

E' dunque con una partecipazione particolare che ho voluto fortemente celebrare l'Italia nelle Nazioni Unite qui alla Camera dei deputati. L'Italia intesa come Stato multilaterale per storia e tradizione e l'Italia intesa come i funzionari che, in ogni angolo del pianeta, danno lustro sia all'ONU che al Paese".

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