"Mi fa piacere vedere tanti ragazzi e tante ragazze. Vi ringrazio di aver accettato il nostro invito ad essere qui oggi. Saluto il presidente Boccia, che ha voluto invitarmi in occasione della Giornata internazionale del Migrante. Saluto Monsignor Galantino, che ho sempre piacere di incontrare e di ascoltare. Grazie anche a chi coordinerà oggi i nostri lavori, Antonio Polito.
Ragazzi e ragazze, prima di entrare nel merito della condizione del migrante mi prendo la libertà di fare un ragionamento di fine anno sulla condizione del rifugiato. E qui colgo subito una differenza che è fondamentale non perdere mai di vista. Il migrante è una persona che decide dolorosamente di lasciare il proprio Paese, perché ambisce a migliori condizioni di vita per sé e per i propri figli, laddove il rifugiato è una persona che non ha queste scelte: parliamo in questo caso di immigrazione forzata. Nel mondo ci sono 60 milioni di persone che vivono questa condizione. E' un Paese senza nome, senza confini, grande quanto il nostro, che è in movimento per motivi di violenza, di persecuzione, di guerra. Una moltitudine che non ha il privilegio di poter vivere a casa propria.
Il 2015 verrà ricordato come l'anno della grande fuga, del grande esodo dei rifugiati verso il cuore dell'Europa. Verrà ricordato perché per la prima volta l'Europa si è trovata a vivere quello che altri continenti vivono da sempre. È la prima volta che l'Europa fa i conti con un fenomeno come questo, con numeri importanti. Guardiamoli, questi numeri. In Italia, sulle nostre coste, sono arrivate circa 140 mila persone. Com'è stato il dibattito su questo tema, ragazzi? I commenti sono andati dal "sono troppi" al "ci stanno invadendo". Difficile che qualcuno abbia fatto altre considerazioni, sono rare quelle voci. E poiché sono state rare, sono anche state prese di mira per campagne di aggressione.
Sono troppi? Prima di darci questa risposta dobbiamo capire che cosa accade anche in altri contesti. Basta volgere lo sguardo all'Egeo e arrivare in Grecia, dove sono entrate circa 800 mila persone. Se allora da noi c'era l'invasione, che cosa ci doveva essere in Grecia? 800 mila persone in gran parte arrivate nell'isola di Lesbo. I numeri possono sembrare epici, quasi apocalittici. Ma la lente la dobbiamo allargare ancora di più, se vogliamo di capire di cosa stiamo parlando, e andare fuori dal contesto europeo, ma non tanto distante da noi. Arriviamo allora in Giordania, in Turchia, in Libano. Cosa è successo in questi altri paesi, quante persone sono giunte in questi altri paesi? È vero che tutte vogliono venire in Europa? La risposta la trovate di nuovo nei numeri. In Turchia ci sono due milioni di rifugiati siriani. In Libano, un paese di pochi milioni di abitanti - quattro milioni e mezzo, si dice in base all'ultimo censimento - sono arrivati un milione e duecento mila rifugiati, il 25 per cento della popolazione. Tenete sempre presenti i 140 mila che sono arrivati da noi. I fenomeni si capiscano solamente se si inseriscono nei contesti cui si riferiscono, altrimenti si ha una visione completamente distorta, che fa gioco solo a chi vuole fare propaganda e non a chi vuole capire e dare risposte efficaci a questo fenomeno.
Torno adesso al tema della nostra giornata, i migranti. Anche a questo riguardo dobbiamo fare alcune considerazioni. Senza i migranti, fra qualche decennio i paesi europei saranno spopolati e abitati da anziani. E' un dato di fatto, e a dirlo non è una qualche Ong che è parte in causa, ma gli istituti di statistica italiani e europei che ci restituiscono questa fotografia. Ci fanno delle domande, questi istituti. Chi pagherà le pensioni nel 2060, quando nell'Unione europea si arriverà ad avere due giovani per anziano? Oggi siamo a quattro giovani per anziano. Peraltro in Italia - dove abbiamo anche un deficit di natalità - questa realtà arriverà prima, dicono gli istituti statistici. Nel 2035, cioè tra vent'anni, noi ci troveremo di fronte a questa realtà se non saremo abbastanza lungimiranti da consentire ogni anno una presenza adeguata di immigrati.
Sempre i dati statistici dicono che tra quarant'anni, se non ci sarà un'adeguata riserva di immigrati, la popolazione sarà ridotta a 45 milioni. Oggi siamo a 60. Queste cifre devono essere sempre tenute a mente quando si parla di una programmazione a medio e lungo termine, e chi ha responsabilità istituzionali e politiche non può prescindere da queste proiezioni.
Inoltre chi si pone in maniera più pregiudiziale verso la presenza dei migranti e dei rifugiati non coglie neanche l'importanza di avere una presenza che può arricchire i paesi in cui i migranti vivono, dal punto di vista economico ma non solo. Immaginate se gli Stati Uniti d'America non avessero accettato i cittadini europei che in passato furono costretti a lasciare l'Europa. Immaginate che cosa avremmo perso se non avessero accettato persone come Albert Einstein, come Hannah Arendt, Béla Bartók. Queste persone arrivarono negli Usa come rifugiati e vennero accolte. Immaginatevi che cosa sarebbe successo anche allo sviluppo tecnologico del nostro tempo se un migrante siriano non fosse stato accolto negli Stati Uniti, qualche decennio fa: perché, vedete, il padre di Steve Jobs era un siriano e se gli Stati Uniti avessero deciso le proprie politiche migratorie sulla base del pregiudizio, dicendo no a persone provenienti da paesi di religione musulmana, noi oggi forse non avremmo quegli strumenti che scandiscono la nostra esistenza, come gli iPhone e gli iPad. A dire che ci sono grandi opportunità in tutto questo, ma basta saperle cogliere.
I dati del 2014 ci restituiscono una fotografia molto interessante, dal punto di vista dell'imprenditoria migrante. Ci dicono che le imprese guidate da stranieri sono cresciute quasi del 6 per cento, e ci dicono che molte di queste imprese danno lavoro agli italiani, in totale controtendenza. Questo ci deve anche far riflettere su come noi possiamo consolidare questi risultati e facilitare lo sviluppo dell'imprenditoria di persone che provengono da altri contesti geografici. Credo che alcune cose si possano e si debbano fare: ad esempio assicurare canali legali di accesso, perché oggi purtroppo nel nostro Paese non ci sono quote di immigrazione regolare, perché il decreto flussi non c'è e chi vuole arrivare regolarmente non ha materialmente la possibilità di farlo. Se noi vogliamo sostenere l'impresa, anche quella straniera, dobbiamo consentire canali regolari di accesso al nostro territorio. E poi l'accesso al credito, a pari condizioni rispetto alle aziende gestite da personale italiano; così come il microcredito, che è una risorsa molto importante in tempo di crisi. Inoltre c'è l'abbattimento del costo delle rimesse, con le quali si mandano avanti intere economie di molti paesi e molte famiglie. Quando queste rimesse vengono decimate dai costi di trasferimento, questo sicuramente non incentiva lo sviluppo dell'impresa e dell'iniziativa dei migranti. Poi la portabilità delle pensioni: oggi una persona non cittadina che lavora nel nostro Paese, paga i contributi e magari lascia il nostro Paese prima di andare in pensione, perde quei contributi. Questo non facilita la migrazione circolare. In altri Paesi ti viene restituito ciò che hai versato: per un periodo dell'anno tu lavori in un Paese, poi torni nel tuo Paese d'origine, e questo facilita i movimenti, i contatti, la possibilità di incrementare nuovi scambi. Su questo punto credo che il legislatore ancora debba fare dei passi in avanti.
C'è poi chi dice che i migranti ci costano troppo perché hanno accesso ai nostri servizi. Cerchiamo di capire, anche in questo caso, se questo è vero o è frutto di una retorica totalmente demagogica, finalizzata alla presentazione negativa dei migranti nel nostro Paese. Anche qui le statistiche ci dicono che il contributo del migrante al PIL nel 2013 era dell'8,8 per cento. I migranti nel nostro Paese sono circa l'8 per cento della popolazione e contribuiscono a circa l''8,8 per cento del nostro PIL. Se poi andiamo a fare il conto di quello che loro versano alle casse dello Stato e quello che noi spendiamo rispetto all'immigrazione, il saldo è sicuramente positivo. Tra quanto versato dai migranti nelle casse dello Stato in termini di tasse e contributi e quanto speso per l'immigrazione, il saldo è di tre miliardi di euro. Quindi anche questo non è vero. Vi prego di valutare sempre bene i dati, perché i dati sono eloquenti e spiegano molte cose.
Chiaramente il contributo dei migranti non è solo economico, sarebbe riduttivo, ingiusto e comunque miope pensarlo. Perché la vita non è solo economia, la vita è fatta anche di affetti, di relazioni, di fede, di tante altre cose. Non possiamo ridurre questa presenza solo al rapporto economico, al PIL, dobbiamo considerare tutti gli altri aspetti della nostra vita sociale. Nel dire questo non posso non sottolineare il ruolo delle donne migranti, che sono essenziali nel nostro tessuto sociale. Vi domandate mai come vivono queste donne che magari vedete accanto ai vostri nonni anziani, alle vostre famiglie? Vi chiedete che cosa hanno lasciato alle loro spalle, quale vita, da quanto tempo non vedono più i loro figli? Molte di loro lasciano i propri figli nella loro casa per occuparsi dei figli nostri. Non vedono i loro figli per anni e quando li rivedono non li riconoscono neanche più. Sono donne che rinunciano ai loro affetti, i mariti spesso si fanno un'altra famiglia. E i figli, che rapporto hanno con queste madri? Purtroppo spesso e volentieri percepiscono queste madri come delle mamme-bancomat. Quando c'è da chiedere soldi, si fa la telefonata a chi sta lontano. La vita di queste donne è una vita di rinunce, di solitudine, e noi abbiamo il dovere di essere grati, tutti, a queste donne.
Oggi viviamo in un Paese che è composito, lo vediamo. Gli italiani lo sanno perché vedono i loro figli che vivono nelle classi in cui c'è Mohamed, c'è Sunny e c'è Li, e questi ragazzi vengono nel pomeriggio nelle nostre case a fare i compiti insieme. Gli italiani lo sanno perché i loro colleghi magari parlano altre lingue, perché i vicini di casa cucinano dei piatti diversi con sapori diversi. Gli italiani sanno anche, quindi, che questo fattore è diventato strutturale e allora va gestito in modo strutturale, non può essere più lasciato all'emergenza, perché l'emergenza in questo Paese ha creato tanti danni. Perché se si continua a parlare di emergenza si crea la paura, l'ansia il senso di assedio e questo porta anche le amministrazioni ad andare in deroga alle norme che esistono sugli appalti, e questo crea disfunzioni che come abbiamo visto non fanno onore al nostro Paese. Perché lucrare sulle persone bisognose è qualcosa di veramente ripugnante. Però può succedere, se tutto questo viene concepito sempre come un'eccezionalità, come una deroga alla normalità.
In conclusione, voglio dire un'altra cosa. Chi amministra nei territori oggi ha una responsabilità aggiuntiva. Ho lavorato, come forse voi sapete, per venticinque anni per un'Agenzia delle Nazioni Unite e quindici anni li ho passati alle frontiere, laddove le persone entrano in un altro paese e assumono una connotazione giuridica: sono rifugiati. Se non si entra in un altro Paese, si rimane dentro il proprio Paese e non si ha quella protezione giuridica perché si rimane sfollati interni e, in questo caso, il diritto internazionale ha meno strumenti di protezione per queste persone che magari fuggono per le stesse ragioni, per gli stessi motivi. Ho visto per esperienza come si fa a convivere tra rifugiati e persone del luogo. L'ho visto in situazioni molto difficili dove le risorse sono poche, non c'è acqua, non ci sono scuole, non ci sono ospedali. Come si fa a fare un campo profughi in un contesto arido, privo di ogni forma di servizio? Si fa consentendo agli abitanti del luogo di usufruire degli stessi servizi dei rifugiati. Che cosa vuol dire, nel nostro contesto? Quando arrivano i rifugiati in un quartiere, in una grande città o in un piccolo paese, queste persone sono sconosciute: non si sa niente di loro, quello che si sa è sempre qualcosa di detto in Tv che magari, in un certo senso, fa paura perché quello che non si conosce fa paura. La paura è un sentimento serio, da non sottovalutare, anzi bisogna avere molto rispetto delle persone che hanno paura. Allora quella paura bisogna lavorarci e abbatterla, cercare di ridimensionarla. Come si fa? Si fa attraverso la conoscenza. Ho assistito, in circostanze in cui sembrava impossibile, in cui interi quartieri facevano delle barricate perché non volevano che alcuni rifugiati venissero portati in un centro di accoglienza, ho visto tanti sforzi da parte degli amministratori di quella zona che sono arrivati a fare incontrare i rifugiati con i comitati di quartiere. Questi incontri sono stati risolutivi. Perché quando le persone si trovano davanti altre persone che non hanno più niente, che hanno perso tutto, che hanno visto i propri parenti morire, quelle persone si porranno in un modo completamente diverso. Faranno una gara di solidarietà a fare la propria parte. Ma se manca questo passaggio, le persone di quel quartiere si arroccheranno, saranno ostili, avranno paura e faranno di tutto per mandare via queste nuove figure che si sono, a loro avviso, introdotte abusivamente nel loro tessuto sociale. Le misure che vi ho detto prima e le misure di cui vi sto parlando adesso sono misure semplici, ma di grande impatto. Sono misure non ideologiche, basate sul buonsenso e anche sull'esigenza di arrivare tutti a vivere meglio in una società che necessariamente andrà sempre più verso questa direzione. Chi vende ricette di chiusura, di file spinati, di espulsioni, di allontanamenti, chi fa questo non rende un servizio al Paese, perché la storia non va mai indietro. Noi possiamo solo andare avanti, e dobbiamo cercare di farlo nel modo migliore per tutti".