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Doc. XXIII n. 21


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Premessa.

        L'approfondimento sulle cosiddette «navi a perdere».
        La Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti ha avviato una serie di approfondimenti sul fenomeno delle cosiddette «navi a perdere».
        La determinazione ad approfondire questo tema è stata assunta a seguito del rinvenimento di un relitto nel mare antistante la costa di Cetraro, ad opera di alcuni pescatori della zona, in conseguenza del quale la procura della Repubblica presso il tribunale di Paola aveva aperto un procedimento penale, ipotizzando originariamente che il relitto potesse identificarsi con una delle navi cariche di rifiuti e dolosamente affondate di cui il collaboratore di giustizia Fonti Francesco aveva parlato all'autorità giudiziaria negli anni precedenti (in particolare, a partire dall'anno 2003). Il procedimento penale avviato dalla procura di Paola, poi proseguito dalla procura di Catanzaro, si è concluso con un provvedimento di archiviazione.
        Francesco Fonti, collaboratore di giustizia già appartenente alla ’ndrangheta calabrese, aveva infatti reso una serie di dichiarazioni relative ai presunti affondamenti di tre navi (la Cunsky, la Voriais Sporiadais e la Yvonne A) ai quali avrebbe partecipato personalmente.
        Una delle tre navi, secondo il racconto di Fonti, sarebbe stata affondata proprio dinanzi alle coste di Cetraro, nell'anno 1992.
        L'operazione, finalizzata allo smaltimento illecito di rifiuti tossici, sarebbe stata realizzata dalla ’ndrangheta calabrese che in quel periodo si occupava, oltre che delle consuete attività illecite quali il traffico degli stupefacenti e l'attività estorsiva, anche del traffico illecito di rifiuti radioattivi (o comunque tossici).
        A seguito degli accertamenti effettuati dal Ministero dell'ambiente si è potuto constatare come effettivamente il relitto antistante le coste di Cetraro non si identificasse con la nave di cui aveva parlato Fonti.
        Nonostante ciò, la Commissione ha, comunque, ritenuto di approfondire il tema delle «navi a perdere» ossia dell'esistenza di navi affondate in mare cariche di rifiuti tossici e radioattivi, e, più in generale, il fenomeno del traffico di questo genere di rifiuti verso i paesi africani, come la Somalia, in quanto tema di grande attualità, rispetto al quale permangono molti aspetti oscuri oltreché di notevolissima rilevanza per la salute e l'ambiente.
        Secondo un dossier di Legambiente gli affondamenti sospetti di navi, tra il 1979 ed il 2000, sarebbero 88. (doc. 117/30).

      L'attività della Commissione è, fino ad oggi, consistita sia nell'acquisizione dei documenti afferenti le indagini e le attività compiute in merito al traffico di rifiuti (con particolare riferimento allo smaltimento in mare) sia nell'acquisizione di documenti utilizzati da precedenti Commissioni parlamentari di inchiesta (Commissione di inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, Commissioni


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parlamentari di inchiesta sul ciclo dei rifiuti istituite nel corso della XIII e della XIV legislatura);
        In particolare, sono stati acquisiti in copia gli atti delle indagini svolte dalle procure della Repubblica di Reggio Calabria, di Matera, di Paola e di Catanzaro. Con particolare riferimento alla vicende attinente il decesso del capitano Natale De Grazia, sono stati acquisiti gli atti dell'indagine avviata all'epoca dalla procura circondariale di Nocera Inferiore.
        Sono state, poi, audite persone informate sui fatti (per aver partecipato direttamente alle indagini o per essere state coinvolte dalle stesse) o perché, comunque, in grado di riferire elementi utili ai fini dell'inchiesta.
        Tra gli auditi si segnalano:
            i magistrati Francesco Neri, Nicola Maria Pace, Francesco Greco, Giancarlo Russo, Felicia Genovese, Francesco Basentini, Alberto Cisterna,Vincenzo Macrì, Bruno Giordano;
            Francesco Postorino, cognato del capitano di Fregata Natale De Grazia;
            il m.llo Niccolò Moschitta, già appartenente al Nucleo operativo dei Carabinieri di Reggio Calabria;
            il m.llo Domenico Scimone, già appartenente al Nucleo operativo dei Carabinieri di Reggio Calabria;
            il carabiniere Rosario Francaviglia, appartenente al Nucleo operativo dei Carabinieri di Reggio Calabria;
            il carabiniere Angelantonio Caiazza;
            il carabiniere Sandro Totaro;
            l'ex colonnello del Corpo forestale di Brescia Rino Martini;
            il brigadiere del Corpo forestale dello Stato Gianni De Podestà;
            il vice ispettore del Corpo forestale dello stato Claudio Tassi;
            il medico legale dottoressa Simona Del Vecchio;
            il medico legale dottor Alessio Asmundo;
            il consulente tecnico Mario Scaramella;
            il comandante in seconda, ufficiale presso la Capitaneria di porto di Vibo Valentia, Giuseppe Bellantone;
            Andrea Gais, amministratore delegato della società di navigazione Ignazio Messina;
            l'assessore all'ambiente della regione Calabria Silvestro Greco;
            Francesco Fonti, ex collaboratore di giustizia;
            Guido Garelli;
            Renato Pent;
            Marino Ganzerla;

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            Emilio Di Giovine;
            Carmelo Stefano Serpa;
        Numerosi altri soggetti sono stati auditi nel corso delle missioni che la Commissione ha svolto nelle regioni italiane.
        È stato, infine, conferito un incarico di consulenza tecnica al professore dottor Giovanni Arcudi, direttore dell'Istituto di Medicina legale nella Facoltà Medica dell'Università di Roma «Tor Vergata» nonchè consulente medico legale della Commissione, al fine di operare una rivalutazione delle attività medico legali svolte dai consulenti nominati dal pubblico ministero e dalle parti civili nell'ambito del procedimento aperto presso la procura della Repubblica di Nocera Inferiore, volto ad accertare le cause del decesso del capitano De Grazia.
        L'attività della Commissione si è svolta sia presso la sua sede sia nel corso delle numerose missioni effettuate.
        La relazione è strutturata in sei parti:
        La prima parte è dedicata alle indagini svolte dalla magistratura in merito ai presunti traffici di rifiuti radioattivi mediante affondamento di navi o interramenti, prima della collaborazione del pentito Francesco Fonti.
        La seconda parte riguarda gli approfondimenti svolti in ordine al decesso del capitano Natale De Grazia, uno degli investigatori impegnati nell'indagine condotta dalla procura circondariale di Reggio Calabria in ordine al fenomeno delle «navi a perdere», già oggetto di separata relazione approvata dalla Commissione.
        La terza parte è dedicata ancora alle indagini giudiziarie, con particolare riferimento all'affondamento della motonave Rigel e allo spiaggiamento della motonave Rosso.
        Nella parte quarta vengono trattati i temi oggetto dell'indagine condotta dalla procura di Asti.
        La quinta parte è dedicata agli accertamenti e alle indagini compiute sullo smaltimento illecito di rifiuti avviati in conseguenza delle dichiarazioni dell'ex collaboratore di giustizia Francesco Fonti.
        Nella sesta ed ultima parte, vengono esposti i risultati delle indagini condotte in merito al rilevamento del relitto sul fondale marino antistante la costa di Cetraro.
        Infine vengono riportate le conclusioni della Commissione.
        In allegato, a seguito dalla deliberazione della Commissione del 28 febbraio 2013, si trovano i resoconti stenografici desegretati dalle audizioni del generale Sergio Siracusa, già direttore del Sisde, del generale Adriano Santini, direttore dell'AISE, e del prefetto Giorgio Piccirillo, già direttore dell'AISI, svoltasi rispettivamente il 19 aprile 2011, il 21 giugno 2011 e il 12 luglio 2011:

1. Le indagini giudiziarie prima della collaborazione del pentito Francesco Fonti.

1.1 L'indagine avviata dalla procura circondariale di Reggio Calabria.
1.1.1 La denuncia di Legambiente del 2 marzo 1994 e l'apertura del procedimento.

        La Commissione ha accertato che il primo procedimento penale aperto in relazione alla vicenda delle «navi a perdere» fu quello


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recante il n. 2114/94 mod. 21 R.G.N.R., iscritto presso la procura circondariale di Reggio Calabria, assegnato al sostituto procuratore della Repubblica, dottor Francesco Neri.
        Il procedimento venne aperto inizialmente a carico di ignoti a seguito di un esposto di Legambiente del 2 marzo 1994 nel quale si denunciava l'esistenza, in Aspromonte, di discariche abusive contenenti materiale tossico-nocivo e/o radioattivo, trasportato con navi presso porti della Calabria e, successivamente, in montagna con automezzi pesanti.
        Nella denuncia si evidenziava come il territorio calabrese si prestasse particolarmente alla realizzazione di discariche abusive, sia perché i porti erano scarsamente controllati, sia perché l'Aspromonte, con le sue caverne naturali, appariva il luogo ideale in cui nascondere questo tipo di materiale.
        Vennero, pertanto, disposti dal Pubblico Ministero accertamenti tecnici – per il tramite dell'Istituto Geografico Militare – finalizzati a verificare se il territorio calabrese fosse effettivamente adatto per un simile illecito smaltimento di rifiuti. La risposta fu affermativa in quanto realmente l'Aspromonte, per la sua geomorfologia, accessibilità e vicinanza a porti incontrollati si prestava ad essere utilizzato per occultare rifiuti pericolosi.
        Contestualmente, vennero delegate indagini ai ROS, alla Guardia di finanza e alla Squadra Mobile di Reggio Calabria, finalizzate ad accertare quali veicoli pesanti avessero potuto trasportare rifiuti in Aspromonte.
        Occorre subito evidenziare che – in poco meno di un anno – le indagini ebbero sviluppi inimmaginabili, tanto che nel giugno 1995 il sostituto procuratore Francesco Neri sentì l'esigenza di trasmettere al procuratore Capo una relazione nella quale evidenziava le tappe investigative ed i sorprendenti scenari che si erano aperti, per i quali riteneva necessario procedere con rogatorie internazionali, collaborazioni con altre procure, non solo calabresi, e scambio di informazioni con i servizi segreti (cfr. doc. 362/3).

1.1.2 Approfondimenti relativi alla nave Korabi e costituzione del primo gruppo investigativo.

        Il tema investigativo ben preso si ampliò. Ed infatti, contemporaneamente allo svolgimento degli accertamenti sulle caratteristiche del territorio calabrese, giunse alla procura di Reggio Calabria la notizia che la nave Koraby, battente bandiera albanese e salpata dal porto di Durazzo con destinazione Palermo, era stata perquisita nella rada antistante «Pentimele» perché sospettata di trasportare materiale radioattivo (scorie di rame di altoforno).
        La nave, giunta a Palermo, era stata respinta per radioattività del carico. Tuttavia, al successivo controllo presso il porto di Reggio Calabria, ove si era ormeggiata, detta radioattività non era stata riscontrata. La nave aveva, perciò, ripreso la sua navigazione con destinazione Durazzo.
        Questo dato è stato rappresentato dal dottor Neri come particolarmente inquietante perché poteva far presumere che la nave si fosse


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disfatta del carico radioattivo nel percorso tra Palermo e Reggio Calabria.
        Nel corso dei controlli effettuati presso il porto di Reggio Calabria dalla Guardia di finanza venne trovato a bordo della nave un motore fuoribordo, del quale il comandante non seppe fornire alcuna giustificazione.
        I successivi controlli effettuati consentirono di accertarne la provenienza furtiva. Venne disposto, dunque, il fermo di polizia giudiziaria del comandante per ricettazione ed il sequestro della nave, nel frattempo ormeggiata presso il porto di Pescara.
        Gli accertamenti disposti successivamente sulla radioattività della motonave Koraby ebbero esito negativo e la nave venne, pertanto, dissequestrata.
        Fu disposta, in seguito, consulenza collegiale per accertare se le «presunte» scorie di rame contenessero «plutonio» o altre sostanze radioattive o fungessero da «scudo» ad altra fonte radioattiva di cui il comandante si era potuto disfare nel tragitto tra Palermo e Reggio Calabria.
        Invero, lo stesso, nel corso dell'interrogatorio reso innanzi all'autorità giudiziaria di Pescara, aveva dichiarato che il carico ritirato a Durazzo era stato scaricato a Rieka (Fiume) Slovenia per essere poi caricato su vagoni ferroviari con destinazione ignota (cfr. doc. 362/3).
        Si iniziò, dunque, a profilare l'ipotesi che rifiuti tossici potessero essere smaltiti illecitamente in mare.
        La denuncia di Legambiente fu trasmessa anche alle procure di Locri, Palmi, Vibo Valentia e Crotone.
        Fu disposta una consulenza collegiale da parte di tutte le procure interessate al fine di ottenere una mappa aggiornata di tutti i possibili siti (discariche, cave, ecc.) di stoccaggio abusivo di rifiuti radioattivi e tossico/nocivi.
        Sempre nello stesso periodo venne acquisita dalla procura della Repubblica di Savona (pubblico ministero dottor Landolfi) documentazione circa il ritrovamento di 6.000 fusti contenenti materiale tossico in una cava di Borghetto Santo Spirito, gestita da personaggi legati alle cosche calabresi.
        L'ipotesi, poi approfondita dalla procura di Locri, competente per territorio, era che il materiale tossico potesse essere destinato al sud, nei territori gestiti dalle cosche predette.
        Anche dalle procure di Vibo Valentia, Crotone e Palmi pervennero notizie in merito a presunti interramenti di rifiuti tossici.
        Quello sopra descritto è lo scenario nel quale si sviluppò l'indagine condotta dal dottor Francesco Neri.
        Proprio per la complessità delle situazioni emerse venne creato un apposito gruppo investigativo costituito dal maresciallo capo Scimone Domenico, appartenente alla sezione di polizia giudiziaria dei Carabinieri presso la procura di Reggio Calabria, dal capitano di corvetta De Grazia Natale, dal maresciallo M. Moschitta e dal carabiniere Rosario Francaviglia, questi ultimi due appartenenti al Nucleo operativo del reparto operativo Carabinieri di Reggio Calabria.
        Tale gruppo ebbe modo di interfacciarsi sia con la procura di Matera (che indagava sul centro ricerche Trisaia Enea di Rotondella) sia con il Corpo forestale di Brescia (che aveva da tempo avviato

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indagini mirate su Giorgio Comerio, presunto trafficante di rifiuti tossici e, più in generale, mirate sul traffico di rifiuti radioattivi).

1.1.3 Audizione del teste «Bill» e coordinamento investigativo con la procura di Matera.

        Nel marzo 1995 l'indagine si arricchì di elementi importanti, riguardanti il traffico e la gestione delle scorie nucleari in Italia, lasciando intravedere anche il coinvolgimento dell'Enea.
        Un funzionario di questo ente, ingegner Carlo Giglio, chiese espressamente alla polizia giudiziaria di essere sentito, dopo aver appreso dalla stampa che la procura di Reggio Calabria si stava occupando di traffici illegali di rifiuti radioattivi in Calabria.
        Il teste venne sentito a Roma, ove risiedeva, il 17 marzo 1995 (doc. 681/44), dal dottor Neri e dai marescialli Scimone e Moschitta.
        Riferì di essere riuscito a scoprire, nell'ambito della sua attività istituzionale, che la registrazione degli scarti nucleari era truccata per rendere incontrollabile il movimento in entrata e in uscita di tutto il materiale radioattivo che doveva essere gestito presso tutti gli impianti nucleari.
        Dichiarò che le sue relazioni ispettive effettuate presso i centri Enea di Rotondella (MT) e di Saluggia (Vercelli) scatenarono all'interno dell'ente azioni di ritorsione che sfociarono in denunce per diffamazione e calunnia.
        Parlò, poi, di una presunta attività clandestina dell'Enea finalizzata a fornire tecnologia e materiale nucleare all'Iraq (12.000 kg di uranio), delle reazioni del governo americano e dei servizi segreti israeliani. Riferì, ancora, in ordine allo smaltimento dei rifiuti radioattivi prodotti dall'Enel, sotto la supervisione dell'Enea, la cui destinazione sarebbe stata ignota.
        L'ingegner Giglio, in quell'occasione, rese una serie di dichiarazioni attinenti ad una presunta attività di fornitura da parte dell'Italia all'Iraq di armi da guerra (comprese navi) e di tecnologie nucleari.
        Particolarmente significative si rivelarono le dichiarazioni relative al traffico clandestino di materiale nucleare:
        «(...) la scelta di Palermo come punto di riferimento per il traffico clandestino di materiale nucleare non è occasionale, ma mirato, in quanto è logico ritenere che solo la mafia o le altre organizzazioni criminali operanti al sud potevano garantire quella attività di copertura necessaria per detti traffici. (...). Altro aspetto inquietante del traffico illecito di materiale radioattivo concerne lo smaltimento effettuato, con la supervisione dell'Enea, da parte dell'Enel di rifiuti radioattivi la cui destinazione è a tutt'oggi ignota. Mentre la conferma che la Calabria è stata utilizzata come deposito illecito di materiale radioattivo è data dalla scoperta di una discarica abusiva di un tale Pizzimenti. L'ingegner Giglio fa inoltre presente come la persecuzione subita nell'ambito del suo ente sia dipesa essenzialmente dall'avere adempiuto ai suoi doveri denunciando alla magistratura, al suo ente ed alle varie Commissioni di inchiesta i fatti sin qui narrati (...)».


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        In seguito, l'ingegner Giglio, per la delicatezza delle dichiarazioni rilasciate, fu chiamato dagli investigatori con lo pseudonimo «Bill».
        Nacque, quindi, l'esigenza di coordinare le indagini con quelle svolte dalla procura circondariale di Matera, in particolare dal procuratore Nicola Maria Pace, dal momento che questi, sin dai primi anni ’90, stava svolgendo indagini in merito ad un presunto traffico di rifiuti radioattivi provenienti dal Centro Trisaia Enea di Rotondella (procedimento penale n. 254/93 R.G.N.R.).
        Secondo quanto riferito dal dottor Pace alla Commissione era stato ipotizzato un interesse dell'Enea nell'attività di smaltimento in mare attraverso le navi. Questa ipotesi aveva portato al coordinamento investigativo con le attività svolte sul territorio limitrofo dagli investigatori operanti in Calabria, guidati dal dottor Neri.
        Ed, in effetti, Carlo Giglio venne successivamente sentito, in data 10 maggio 1995, dal dottor Neri e dal dottor Pace, questa volta presso gli uffici del Corpo forestale di Brescia (alla presenza dei marescialli Moschitta e Scimone).
        In tale occasione fornì talune precisazioni in merito a quanto già riferito in precedenza:
        «i controlli da me effettuati in presenza dei rappresentanti Enea presso i centri sono stati sempre oggetto di verbali di sopralluogo firmati dal sottoscritto e dalla stessa direzione Enea (...) tali verbali sono stati sempre trasmessi all'autorità giudiziaria competente per le gravissime deficienze riscontrate nei sistemi di monitoraggio e di misura della radioattività e per quanto riguarda specificatamente il Centro di Rotondella».
        Precisò, poi, che il processo avviato in merito a tali fatti si era concluso con una sentenza emessa dal tribunale di Matera in data 28 maggio 1984 con la quale furono assolti sia gli ispettori dell'Enea sia il direttore dell'impianto.
        In sintesi, le dichiarazioni di Giglio Carlo hanno fatto riferimento a presunti fatti di particolari gravità, quali:
            la non corretta tenuta della contabilità all'interno del centro Enea di Rotondella tale da consentire l'uscita di rifiuti radioattivi erroneamente definiti «scarti»;
            l'esistenza di un traffico illecito di rifiuti radioattivi (negli anni ’80/’90) destinati ai paesi del terzo mondo, in particolare Irak, Pakistan e Libia, ove sarebbero stati utilizzati per la produzione di ordigni atomici;
            l'insussistenza di un'effettiva ed efficace attività di controllo tra Enea ed Enel, nonchè la totale inefficienza della Nucleco, società costituita tra Enea ed Agip, per il trattamento dei rifiuti radioattivi.
        Il successivo 16 giugno 1995, sempre innanzi ai pubblici ministeri Neri e Pace e alla presenza del colonnello Martini e del Maresciallo Scimone, Carlo Giglio rese ulteriori dichiarazioni presso la sede di Roma del Corpo forestale dello Stato.
        In sostanza, secondo quanto affermato dal Giglio, sarebbero state violate numerose norme penali (ma non sono specificate né le norme violate né le modalità attraverso le quali sarebbero state violate).

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        Le ultime dichiarazioni rese da Giglio Carlo agli inquirenti, presso la procura della Repubblica di Reggio Calabria, risalgono al 5 dicembre 1995.
        In quella occasione il teste, in sostanza, evidenziò che:
            da quando aveva iniziato a collaborare con l'autorità giudiziaria, lui e i suoi familiari avevano vissuto strani episodi riconducibili a velate intimidazioni (così come era accaduto nel corso di precedenti indagini riguardanti l'Enea);
            Giorgio Comerio aveva avuto rapporti con l'Enea: «Non vi è dubbio che il Comerio ha avuto rapporti diretti con l'Enea se intendeva smaltire rifiuti radioattivi in mare (...) Addirittura nella strategia dell'ente si sta cercando di eliminare ogni prova o traccia di rapporti tra il Comerio ed altri dirigenti dell'ente. Il Comerio infatti ha offerto all'ente i suoi servigi circa lo smaltimento in mare dei rifiuti radioattivi»;
            anche l'Italia aveva disperso in mare le scorie radioattive: «è noto che anche l'Italia ha disperso in mare scorie radioattive quindi l'ente (Enea) è in grado di riferire dove, come e quando»;
            l'Enea sarebbe stata infiltrata dalla massoneria: «proprio per il tramite della massoneria deviata i traffici illeciti del materiale nucleare e strategico o quelli relativi allo smaltimento in mare possono essere attuati nell'ambito dell'Ente ai massimi livelli e con la copertura più ferrea compresa quella con i servizi deviati, da sempre e notoriamente coinvolti in detti traffici».
        Sui fatti riguardanti il centro Enea di Rotondella la Commissione ha audito il dottor Pace.
        Lo stesso era stato, peraltro, già ascoltato sia dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti presieduta dall'on. Russo (in data 10 marzo 2005) sia dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin (quest'ultima audizione è segretata).
        Secondo quanto dichiarato nel corso dell'audizione del 10 marzo 2005:
            nel centro Enea di Rotondella era stata riscontrata una situazione di grave pericolo, in quanto giacevano rifiuti radioattivi liquidi ad alta attività all'interno di contenitori che, già all'epoca, avevano esaurito il tempo massimo previsto dal progetto;
            una delle principali anomalie dell'Enea era relativa alla mancanza di controlli esterni. La conservazione di materiali pericolosi all'interno di contenitori inidonei era una regola avallata, attraverso proroghe continue, da parte di due ingegneri i quali, dopo un incidente verificatosi il 14 aprile del 1994, furono costretti a redigere un documento di estremo allarme in merito alla situazione della centrale (documento che il dottor Pace inviò al Presidente della Repubblica dell'epoca);
            nel prosieguo delle indagini il dottor Pace aveva acquisito documenti da cui risultava che l'Italia, nel 1978, aveva ceduto all'Iraq due reattori plutonigeni Cirene; aveva, poi, accertato che presso la

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centrale Enea di Rotondella vi era la presenza continuativa di personale iracheno (tale ultima circostanza è stata riferita alla Commissione anche dalla dottoressa Genovese, nel corso dell'audizione del 21 ottobre 2009, allorquando ha dichiarato che nel corso delle indagini era emerso da fonti dichiarative che tecnici iracheni e pachistani «andavano e venivano» dall'Enea);
            il dottor Pace cercò di individuare i cosiddetti siroi (cavità, risalenti al IV secolo a.C., scavate nella roccia) che da un manuale dell'Enea risultavano impiegati per il deposito di scorie radioattive. Si rivolse per questo sia al professore Quilici dell'Università di Bologna – il quale però gli disse che i siroi non erano più localizzabili –, sia ad un professore rumeno, tale Amasteadu, che aveva condotto studi archeologici in Basilicata. Anche quest'ultimo professore disse di non potere localizzare i siroi; aggiunse, però, che era stato pubblicato un testo, ormai introvabile, contenente le mappe dei siroi, testo che lui stesso aveva posseduto in passato, ma che gli era stato trafugato dopo avere ricevuto una strana visita da parte di non meglio identificati cittadini iracheni che gli avevano fatto numerose domande.
        Nel corso dell'audizione resa avanti a questa Commissione, avvenuta in data 20 gennaio 2010, il dottor Pace ha, sostanzialmente, confermato le dichiarazioni precedentemente rese, aggiungendo ulteriori particolari.
        Alla domanda posta dal Presidente, on. Gaetano Pecorella: «vorrei sapere se al centro Enea giungessero anche materiali radioattivi esterni, cioè provenienti da altri paesi o da altre fonti di produzione. Vorrei chiederle inoltre se il sistema di controllo dell'entrata e dell'uscita di questi materiali fosse in grado di garantire almeno che ciò che usciva fosse verificato, cioè risultasse in modo documentale. Uno dei punti sostenuti da Fonti, che stiamo verificando, è che questo materiale radioattivo provenisse dall'Enea di Rotondella attraverso camion che uscivano durante la notte. Vorremmo quindi capire se la situazione contabile potesse offrire una qualche garanzia di ciò che entrava e di ciò che usciva», il dottor Pace ha risposto di avere attentamente valutato la contabilità dell'Enea, che presentava delle anomalie, ma non tali da indurre a ritenere che camion di materiali potessero uscire in modo incontrollato.
        E, tuttavia, secondo il confronto tra i dati di contabilità e il magazzino nucleare mancava il plutonio: «la contabilità risultava inveritiera soltanto per quanto riguarda il plutonio, fatto di non poco conto, tanto che su questo tema c’è stata una notevole dialettica con i massimi esponenti dell'Enea».
        Con riferimento, invece, alla contabilità concernente i materiali esterni, quelli provenienti dagli ospedali e che dovevano avere la caratterizzazione, il registro di carico e scarico, tutta la documentazione dei rifiuti trasportati avrebbe dovuto essere custodita in un armadio, che invece fu trovato vuoto.
        Sul coordinamento investigativo tra la procura di Reggio Calabria e quella di Matera ha riferito alla Commissione anche il maresciallo Moschitta, in data 11 maggio 2010:
        « L'attenzione cadde sull'Enea nel momento in cui il dottor Pace di Matera ci telefonò e ci chiese se stavamo indagando sui materiali

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radioattivi. Alla nostra risposta affermativa, ci propose di lavorare insieme, dal momento che lui aveva una centrale – così disse – che stava esplodendo. Ci disse che era solo, che non aveva le strutture e che quindi aveva paura a procedere nell'attività. Invece, unendosi a noi e lavorando sullo stesso terreno, avremmo potuto raggiungere qualche risultato. A seguito di questa collaborazione, il dottor Pace ci disse che Matera viveva una situazione molto pericolosa, perché nella centrale nucleare della città, dentro una piscina, vi erano 64 barre di uranio, acquistate prima della moratoria dalle centrali Elk River degli Stati Uniti. La piscina era stata realizzata nel 1960, quando ancora la normativa antisismica non esisteva. Matera è una zona sismica. Quindi, ci mostrò la gravità della situazione e ci chiese come avremmo potuto prenderla in mano. Ci disse che il personale dell'Enea gli faceva muro davanti, che avrebbe voluto fare degli accertamenti e proseguire le operazioni, che lo invitavano a fare delle verifiche personalmente, ma che lui non sapeva dove andare a controllare. La situazione era incresciosa, se pensiamo – queste sono le parole che sono state pronunciate allora – che il problema di Chernobyl è nato da mezza barra di uranio e che a Matera ve ne erano 64. Apprese queste notizie, acquisita da Giglio l'informazione che dalla centrale di Saluggia non erano stati vetrificati i liquidi radioattivi e tante altre notizie che già erano a conoscenza del dottor Pace, si rese necessario fare una relazione al Capo del Governo dell'epoca. Vi si recò il dottor Cordova personalmente».
        In sostanza, le indagini avviate a Reggio Calabria sugli interramenti di rifiuti in Aspromonte si estesero rapidamente ai traffici di rifiuti radioattivi e agli smaltimenti illeciti degli stessi effettuati in mare o destinati verso paesi esteri. Inevitabile fu, quindi, il coordinamento investigativo con la procura di Matera che già indagava in merito a presunte irregolarità concernenti il centro di ricerche Enea Trisaia di Rotondella.

1.1.4 L'inserimento nelle indagini del Corpo forestale di Brescia. Giorgio Comerio e il progetto ODM.

        I procuratori Neri e Pace, dunque, unirono le loro risorse e conoscenze investigative per proseguire le indagini.
        Queste, peraltro, ebbero una svolta decisiva in conseguenza del contributo fornito dai militari appartenenti al Corpo forestale dello Stato di Brescia, coordinati dal colonnello Rino Martini, il quale si rivelò da subito un elemento chiave, sia per la sua specifica competenza nella materia del traffico illecito di rifiuti radioattivi, sia per le indagini che da tempo stava svolgendo sull'argomento.
        Nella primavera del 1995 gli accertamenti svolti dal Comando di Brescia avevano, infatti, consentito di acquisire notizie di estrema rilevanza in relazione ad un imponente traffico di rifiuti radioattivi destinati ad essere smaltiti in mare.
        In particolare, con nota informativa del 3. aprile 1995 (doc. 277/2), il colonnello Rino Martini informò il dottor Neri circa l'esistenza di una holding, denominata ODM (Oceanic Disposal Management


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inc.), che si occupava dell'inabissamento in mare di rifiuti radioattivi.
        A capo dell'organizzazione vi era tale Manfred Convalexius, titolare della Convalexius Trading con sede a Vienna (personaggio definito nella nota come conosciuto in Austria ed in altri Paesi nord-europei per il traffico di rifiuti e di rottami ferrosi), mentre il referente italiano era un certo Giorgio Comerio, nato il 03 febbraio 1945 a Busto Arsizio (VA), titolare della Comerio Industry ltd, con sede legale a La Valletta (Malta).
        La scoperta della società ODM era scaturita dal controllo – effettuato il 23 maggio 1994 dal Corpo forestale di Brescia – nei confronti di tale Ripamonti Elio alla frontiera di Chiasso, all'esito del quale erano stati sequestrati una serie di documenti che il Ripamonti portava con sé, riguardanti il progetto della ODM di smaltimento in mare di rifiuti radioattivi (cosiddetto progetto «DODOS»), corredato dalle relazioni tecniche e da documentazione dalla quale si ricavava che il progetto interessava nazioni come l'Italia, l'Austria, la Cecoslovacchia, la Germania e la Lettonia (doc. 362/3).
        In realtà risulta che, già nell'anno 1993, Ripamonti era stato controllato al confine dalla Guardia di finanza di Vigevano e trovato in possesso di documentazione relativa a traffici illeciti riguardanti lo smaltimento di rifiuti radioattivi. L'analisi dei documenti, in particolare di una proposta di contratto trasmessa via fax dall'abitazione di Garlasco di Giorgio Comerio, portò a ritenere che quest'ultimo, con la ODM, avesse proposto lo smaltimento di rifiuti radioattivi tramite i cd penetratori, da effettuarsi in paesi baltici, come l'ex Urss.
        Da ciò era scaturita una perquisizione, ordinata dalla procura della Repubblica di Lecco, che aveva aperto un procedimento nei confronti del Ripamonti e di Comerio (doc. 1180/1 e 1180/2).
        DODOS è l'acronimo di Deep Ocean Data Operative. Si trattava di un progetto studiato ad Ispra sul lago Maggiore, presso il centro di ricerca della Comunità Europea, al quale avevano lavorato soggetti appartenenti a diversi Stati compreso Giorgio Comerio nella sua qualità di ingegnere e di responsabile di una società che originariamente avrebbe dovuto partecipare al progetto.
        Il progetto riguardava le modalità di smaltimento dei rifiuti radioattivi attraverso il loro inabissamento in mare. In sostanza, i rifiuti radioattivi avrebbero dovuto essere inseriti in contenitori di acciaio e carbonio chiamati cannister, a loro volta inseriti in un cilindro di 25 metri a forma di siluro (cosiddetto penetratore). Infine, il siluro avrebbe dovuto essere buttato in mare su un fondale marino adeguato, alla profondità di qualche migliaio di metri, piantandosi in tal modo nel fondale stesso.
        Il progetto non fu, però, portato avanti in ragione della opposizione manifestata da taluni Paesi che avevano aderito a trattati internazionali che vietavano lo smaltimento in mare dei rifiuti radioattivi.
        Dalla documentazione sequestrata al Ripamonti emerse che questi avrebbe dovuto individuare clienti svizzeri per lo smaltimento in mare di rifiuti radioattivi per il tramite dell'avvocato Forni di Lugano. Emerse, altresì, che un primo ordine da parte di qualche governo

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estero era stato già emesso (verosimilmente l'Austria per il tramite del Convalexius).
        Ripamonti Elio venne sentito dal dottor Neri e dal colonnello Martini in data 11 maggio 1995 (doc. 277/12). In tale occasione confermò le circostanze emerse dalla documentazione sequestratagli, precisando:
            di essere stato incaricato da Giorgio Comerio di portare la documentazione relativa al progetto DODOS all'avvocato Forni di Lugano per siglare un contratto in esclusiva con la Svizzera;
            che nel caso fosse stato concluso il contratto, sarebbe stata versata la somma di 200.000 franchi svizzeri su un conto corrente intestato a Giunta Giuliana (legata sentimentalmente a Comerio);
            che i rifiuti radioattivi svizzeri avrebbero dovuto essere depositati su fondali marini del nord Europa;
            che il Comerio gli aveva confidato di avere conoscenze all'interno dell'Enea e che si era riservato l'esclusiva per lo smaltimento dei rifiuti radioattivi italiani;
            che il progetto di smaltimento in mare adottato dal Comerio (penetratori) era stato elaborato anche dall'Enea in collaborazione con altri Stati esteri.
        Sempre le indagini svolte dal Corpo forestale di Brescia, riportate nell'informativa del 3 aprile 1995 (doc. 277/2), permisero di individuare un'altra figura di rilievo, tale Pent Renato, rappresentate della società Jelly Wax con sede in Opera, definito nell'informativa come un personaggio noto nell'ambiente degli smaltitori per avere organizzato nel 1986-1987 le navi dei veleni insieme allo svizzero Ambrosini. Tali affermazioni, successivamente, non sono state supportate da elementi concreti di riscontro.
        Come risulta dalla successiva annotazione dell'8 maggio 1995 del Corpo forestale dello Stato di Brescia (doc. 277/3), da una fonte confidenziale si apprese che:
            Giorgio Comerio aveva il domicilio in Malta;
            manteneva, in ogni caso, un ufficio della Comerio Industry ltd in via Colonna 9 a Milano;
            la sede legale della Comerio Industry Ltd era a La Valletta (Malta);
            il porto di Reggio Calabria era il luogo di transito per l'imbarco di containers di materiale radioattivo diretto a Malta e negli stati del medio oriente.
        Si ipotizzò, pertanto, che il domicilio in Malta potesse servire al Comerio per seguire direttamente i suoi affari attinenti al traffico di rifiuti nonché per evitare controlli quali quello subìto precedentemente (in data 1993) ad opera della Guardia di finanza di Vigevano (PV) su delega della procura di Lecco (nell'ambito del proc. pen. n. 6356/93).

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        Venne precisato, infine, nell'annotazione che Giorgio Comerio intratteneva rapporti commerciali con la Nucleco (Enea-Agip Nucelare) di Roma per la gestione e/o smaltimento di rifiuti radioattivi.
        Particolarmente importante è apparsa alla Commissione l'annotazione – redatta dal colonnello Rino Martini, dal brig. Gianni De Podestà e dal brig. Claudio Tassi – del 13 maggio 1995, trasmessa al procuratore F. Neri, nella quale vennero riportate le dichiarazioni rese da una fonte confidenziale di sesso maschile chiamata «Pinocchio». Tali dichiarazioni riguardavano vari personaggi coinvolti nel traffico di rifiuti pericolosi nonché l'affondamento di una nave carica di rifiuti (doc. 118/7 e 277/5).
        In sintesi, la fonte dichiarò agli investigatori che:
            1. tale Noè, funzionario Enea a La Spezia, aveva la supervisione (non ufficiale) all'interno dell'Enea delle Boe elettroniche per la segnalazione, localizzazione e guida sottomarina spaziale e navigazione in superficie. Si trattava, pertanto, di un soggetto che conosceva perfettamente i fondali antistanti la rada di La Spezia, figurando per tale motivo quale possibile uomo chiave per la criminalità organizzata. In sostanza, veniva indicato come un personaggio che aveva la possibilità di far entrare e uscire dal porto imbarcazioni di media grandezza, eludendo i controlli;
            2. era a conoscenza di un caso specifico di affondamento di nave con carico di materiale radioattivo. Testualmente: «La nave affondata a Capo Spartivento, luogo della regione Calabria-provincia di Reggio Calabria, di una portata di tonnellate 4-6000 caricata con materiale nucleare (uranio additivato), altri rifiuti e carico vario, prima di giungere in Calabria, dove viene affondata volontariamente per riscuotere il premio assicurativo e nel contempo gettare a mare ogni sorta di rifiuti, ha come luogo di provenienza la Grecia, successivamente tocca altri porti in Albania e nel nord Africa e poi entra definitivamente nel mar Ionio. Qui viene affondata al largo di Capo Spartivento su un fondale di circa 400 metri. Tale punto d'affondamento viene scelto per condizioni climatiche che, quasi sempre avverse, non permetterebbero un futuro recupero»;
            3. altri personaggi erano legati al traffico di rifiuti radioattivi e tossico-nocivi nel tratto La Spezia/Napoli/Reggio Calabria e oltremare, quali Duvia Orazio, Di Francia Giorgio, Conte Angelo, Mastropasqua Domenico, Bini Renzo, Monducci Eros e Messina Ignazio, quest'ultimo titolare dell'omonima compagnia di navigazione. Indicava, poi, tale Motta Giancarlo (amministratore della Sistemi Ambientali) descritto come una persona a conoscenza (per interesse diretto) dei vari passaggi di materiale di scarto nucleare (possibile uranio) avvenuti via mare fra il nord Africa, i paesi meridionali balcanici e le coste Ioniche, passaggi che sarebbero avvenuti tramite una compagnia di navigazione il cui titolare era Ignazio Messina di La Spezia.
        Sin d'ora si deve precisare che gli spunti investigativi forniti dalla fonte confidenziale non sono stati supportati da elementi di prova.
        Dunque, il panorama investigativo, originariamente circoscritto a verificare se in Calabria fossero state costituite abusive discariche di

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rifiuti radioattivi o pericolosi (all'interno delle caverne naturali presenti in Aspromonte), si estese notevolmente, profilandosi l'ipotesi che l'occultamento illecito di rifiuti radioattivi venisse attuato anche mediante l'affondamento in mare degli stessi, attraverso organizzazioni di respiro internazionale che agivano anche sulla base di contatti con organi istituzionali e in accordo con gli stessi.

1.1.5 La perquisizione presso l'abitazione di Giorgio Comerio e le indagini conseguenti.

        Giovandosi delle attività investigative avviate dal colonnello Martini sul traffico illecito di rifiuti radioattivi, le indagini dei magistrati di Matera e Reggio Calabria si incentrarono su Giorgio Comerio.
        Venne, pertanto, emesso un decreto di perquisizione della sua abitazione sita in Garlasco e dei luoghi nella disponibilità dello stesso.
        I documenti acquisiti all'esito della perquisizione fornirono agli investigatori dell'epoca uno spaccato decisamente inquietante in merito all'attività svolta dal Comerio, a suoi interessi nello smaltimento dei rifiuti radioattivi, alle connessioni tra il traffico di armi e il traffico di rifiuti.
        All'esito della perquisizione, eseguita il 12 e il 13 maggio 1995 dalla Sezione polizia giudiziaria CC procura circondariale di Reggio Calabria, dal Reparto operativo CC Reggio Calabria, dal Reparto operativo CC Matera e dal Corpo forestale settore di polizia regionale di Brescia, venne sequestrata una mole imponente di documentazione che permise agli inquirenti di far luce sull'esistenza di progetti finalizzati allo smaltimento in mare di rifiuti radioattivi.
        Secondo quanto riferito dal dottor Neri al suo procuratore, con la nota sopra citata, l'importanza della documentazione sequestrata «consentiva di incaricare le forze di polizia giudiziaria impegnate nell'indagine di avvalersi dell'ausilio del Sismi che peraltro ha fornito ben 277 documenti sul Comerio a conferma della pericolosità di detto soggetto e a riprova della bontà della ipotesi investigativa seguita» (doc. 362/3).
        Sempre nella medesima nota a firma del dottor Neri si legge che nell'abitazione di Comerio furono trovati: «Agende, video-tape, dischetti magnetici, fascicoli relativi alla commercializzazione del progetto Euratom (DODOS) trafugato a detto ente (centro Euratom di Ispra) clandestinamente dal Comerio stesso (...) Veniva sequestrata anche numerosa corrispondenza (e fotografie) di incontri con rappresentanti governativi della Sierra Leone per ottenere l'autorizzazione a smaltire in mare rifiuti radioattivi. Si accertava così che soci nell'affare erano tale Paleologo Mastrogiovanni (presunto principe dell'Impero di Bisanzio) e tale Dino Viccica, uomo ricchissimo che avrebbe dovuto finanziare l'operazione «Sierra Leone» (...) Al riguardo il console onorario della Sierra Leone sentito in merito ha confermato che il Comerio ha concluso l'affare con i governanti di detti Stati corrompendo un ministro. (...)» (doc. 362/3).
        È proprio in questa fase che emerge chiaramente la partecipazione del capitano De Grazia alle indagini, avendo lo stesso contribuito ad analizzare i documenti con riferimento a tutti gli aspetti di


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sua specifica competenza nonchè a redigere l'informativa sugli esiti della perquisizione e sulle attività investigative conseguenti.
        Gli elementi raccolti sulla base della documentazione sequestrata e della successiva attività di indagine, infatti, vennero riportati nell'informativa del 25 maggio 1995 n. 399/41 di prot. (a cura del capitano di corvetta Natale De Grazia e del maresciallo Moschitta) tramessa alla procura di Reggio Calabria (doc. 118/5).
        Vennero deferiti all'autorità giudiziaria procedente ed iscritti nel registro indagati, per i reati previsti dal decreto del Presidente della Repubblica 185/1964, dal decreto del Presidente della Repubblica 915/1982, oltre che per il reato di ricettazione:
            Comerio Giorgio
            la compagna Giunta Giuliana
            il socio Molaschi Gabriele
            altri personaggi, quali Viccica Gerardo (alias Dino), Pagliariccio Pietro (alias Giampiero), Mazreku Jack, Barattini Giuseppe, Paleologo Mastrogiovanni e Toppino Ezio Piero.
        I principali elementi evidenziati nell'informativa in questione e posti all'attenzione dei magistrati inquirenti furono:
            all'interno dell'abitazione di Comerio, sita in Garlasco, era stata rivenuta documentazione attinente al progetto DODOS (Deep Ocean Data Operating System) che prevedeva il lancio sui fondali marini, attraverso i cosiddetti penetratori, di scorie radioattive, progetto in parte già realizzato in zone africane e del nord Europa in violazione della Convenzione di Londra;
            erano stati, poi, sequestrati un progetto relativo alla costruzione ed alla vendita di telemine, strumento bellico subacqueo, nonché documenti dai quali emergevano contatti con paesi arabi e indiani e transazioni bancarie in dollari su banche svizzere che rendevano concretamente ipotizzabile l'avvenuta vendita delle telemine;
            da alcuni disegni di navi sequestrati era evidente che il Comerio avesse intenzione di modificare una nave Ro-Ro per la costruzione delle telemine. I disegni si riferivano alla Jolly Rosso (spiaggiatasi il 14 dicembre 1990 ad Amantea) ed alla nave Acrux, poi denominata Queen Sea (all'epoca sotto sequestro presso il porto di Ravenna);
            erano stati sequestrati, inoltre, atti relativi a navi aventi scarso valore commerciale e in degrado strutturale, sulle quali erano stati abbozzati preventivi di spesa per la riparazione e per la documentazione di cambio di bandiera;
            tutta la documentazione sequestrata a Comerio portava a ritenere che lo stesso si occupasse dell'acquisto delle navi per il loro successivo utilizzo a fini illeciti;
            conseguentemente, era stato effettuato un accertamento presso i Lloyds di Londra – sede di Genova – ed erano state acquisite le copie dei sinistri marittimi intervenuti dall'anno 1987 al 1993, al fine di verificare quelli di natura eventualmente dolosa avvenuti nelle acque territoriali calabresi;

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            da tale attività era emerso che ben 23 navi erano affondate nel mare antistante le coste calabresi;
            le risultanze delle indagini trasmesse dal Corpo forestale di Brescia relative al possibile affondamento di una nave a Capo Spartivento trovavano un primo riscontro nella documentazione acquisita, dalla quale risultava l'affondamento della nave da carico Rigel di bandiera Maltese, inabissatasi il 21 settembre 1987, a 20 miglia sud-est da Capo Spartivento. La citata nave proveniva da Marina di Carrara ed era diretta a Limassol e, prima della partenza, risultava avere avuto problemi giudiziari per il carico a bordo;
            i punti di affondamento delle navi Anni ed Euroriver, entrambe battenti bandiera maltese, trovavano riscontro con i punti di dispersione delle scorie pericolose previste dal progetto ODM di Comerio, nella parte indicata dal punto C. aree nazionali italiane, sequestrato nel corso della perquisizione;
            era stato accertato che la Capitaneria di porto di Vibo Valentia aveva richiesto ai locali Vigili del fuoco accertamenti radiometrici sulla motonave Jolly Rosso e sulla spiaggia circostante;
            il comandante Bellantone, della Capitaneria di porto di Vibo Valentia, aveva riferito di avere richiesto lui stesso gli accertamenti in quanto a bordo della nave erano stati reperiti sia documenti con strani cenni a materiale radioattivo, sia documenti che lo stesso non aveva saputo interpretare (gli erano sembrati un «piano di battaglia navale») e che poi riconosceva nei progetti ODM sequestrati presso l'abitazione di Comerio. Il comandante, in quell'occasione, aveva fornito copia del verbale di consegna della citata documentazione al comandante della Rosso nonché copia dell'istanza con la quale il capitano Bert M. Kleywegt – in rappresentanza della società olandese Smit Tak – aveva chiesto l'autorizzazione al recupero della nave;
            il Comerio per la realizzazione dei suoi programmi aveva creato una serie di società quali: Oceanic Disposal Management Inc. (ODM); Acquavision SRL; Comerio Industry Ltd; Georadar Ltd; M.E.I. Limited, tutte società strumentali alla realizzazione di telemine, di boe di rilevamento nonché al reperimento e alla modifica di navi destinate ad utilizzi illeciti.
        Nell'informativa citata vennero riportate le dichiarazioni rese, rispettivamente l'11 e il 12 maggio 1995, da Nitti Maria Luigia (legata sentimentalmente a Giorgio Comerio dal 1986 al 1993) e da Pent Renato:
        La prima dichiarò:
        «ho sentito parlare il Comerio di un altro suo progetto ossia quello di creare dei depositi marini di rifiuti radioattivi e ricordo che voleva coinvolgermi in questo suo affare e per ovvi motivi io non accettai avendo avuto perdite in altre società. Preciso che il Comerio ha diverse società sparse in varie città del mondo e ricordo in particolare la Mei ltd (Marine Electronic Industryes) che operava nella costruzione di boe di rilevamento marino o boe di segnalazione. Detta società dovrebbe avere sede in Inghilterra. (...) io sapevo che il suo

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progetto ODM era ufficiale tant’è che aveva accordi con diversi governi anche dell'est tra cui sicuramente quello russo. Preciso che non erano accordi conclusi ma di trattative avviate. La mia collaborazione secondo la richiesta fattami dal Comerio doveva consistere nella elaborazione al computer di dati relativi al trasferimento dei materiali nella struttura da immergere in mare. Difatti le operazioni prevedevano l'inabissamento di materiali radioattivi di varia provenienza mediante l'impiego di un natante. Preciso che nel 1993 il Comerio mi chiarì che il progetto Euratom prevedeva l'affondamento in mare di contenitori con scorie radioattive e che la ODM era una sua società. Ricordo di avere sentito il nome di tale Convalexius Manfred anche se non l'ho mai conosciuto. (...) Le uniche volte che sentii parlare il Comerio di materiale nucleare o radioattivo, riguardava il progetto ODM. Ne parlava in termini tali da far intendere che l'operazione doveva essere fatta in maniera legale, tant’è che nell'affare era coinvolto anche l'avvocato Gaspari-Vaccari. Tale progetto di deposito del materiale radioattivo nelle profondità marine faceva seguito ad attività di ricerca fatte presso il centro Euroatom di Ispra, attività nella quale aveva preso parte anche Comerio richiesto dal centro di fornire un apporto esterno con la costruzione della boa di rilevamento».
        La Nitti riferì, inoltre, che Comerio le aveva confidato di far parte dei servizi segreti («il Comerio mi esterno di appartenere ai servizi segreti tant’è che era ossessionato dall'idea di avere i telefoni sotto controllo al punto che effettuava le sue telefonate da cabine telefoniche. A seguito di attentati terroristici avvenuti in quel periodo il Comerio si assentm dicendo che era stato convocato per collaborare nelle indagini....preciso che si trattava di attentati dinamitardi primavera del 1993. Mi pare si trattasse del'attentato all'accademia dei Georgofili di Firenze.»).
        Pent Renato, confermando quanto dichiarato dalla Nitti, affermò (doc. 277/17):
            di avere conosciuto Giorgio Comerio il quale nel 1989/1990 gli aveva proposto di entrare in affari con lui nell'ambito di un progetto finalizzato allo smaltimento in mare di sostanze radioattive (si tratta del noto progetto elaborato presso il centro Euratom di Ispra). La collaborazione richiestagli da Comerio riguardava la messa a disposizione da parte sua di automezzi idonei per la fase relativa al prelievo del materiale presso il produttore e al successivo trasporto su imbarcazioni del tipo RO-RO, che avrebbero poi operato nella fase di affondamento del siluro (l'impiego di imbarcazioni del tipo RO-RO si spiegava con l'esigenza di permettere agli automezzi di entrare direttamente nella stiva evitando la fase di trasbordo e la pubblicità che ne sarebbe derivata col rendere l'operazione visibile agli estranei);
            di avere visto il filmato relativo alla sperimentazione della fase di lancio in mare;
            di avere appreso da Comerio che il progetto non era ancora operativo, ma che avrebbe potuto partire non appena avesse ricevuto l'acconto da parte di un committente;
            Comerio non gli aveva mai parlato del mare Mediterraneo, ma del mare prospiciente uno dei paesi dell'unione sovietica, sul quale

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avrebbe iniziato ad operare non appena avesse avuto tutte le autorizzazioni governative;
            che l'operazione che il Comerio diceva di essere pronto ad effettuare era relativa al Mar Baltico e sarebbe stata portata avanti in società con Convalexius;
            di essersi recato a Vienna unitamente a Comerio e di aver incontrato, per il tramite di Convalexius, alcuni ministri austriaci, ai quali venne esposto il progetto di Comerio. Comerio aveva preso contatti anche con il governo svizzero. Entrambi i paesi, pur essendo interessati all'operazione subordinarono la loro adesione alla preliminare adesione di altri paesi;
            che, verso la fine del 1994, Comerio gli aveva riferito che un primo ordine era stato effettuato, ma non gli disse da parte di quale paese;
            di non conoscere le navi che Comerio aveva acquistato per effettuare lo smaltimento dei rifiuti radioattivi;
            che Comerio aveva dei referenti molto importanti presso il centro Enea, e ciò lo desumeva dalla gran massa di materiale progettuale non solo cartaceo, ma anche magnetico proveniente dall'Enea o comunque da strutture con le quali aveva collaborato l'Enea.
        Secondo quanto riferito dal dottor Neri al procuratore capo Scuderi, con la nota più volte citata (doc. 362/3), Comerio, subito dopo la perquisizione, trasmise alla procura una lettera con la quale, dichiarandosi disponibile per ogni chiarimento, riferiva che:
            a) non erano stati acquisiti elementi utili alle indagini;
            b) i progetti e i documenti sequestrati erano proposte di carattere commerciale;
            c) non era stato concluso alcun contratto;
            d) si era sempre impegnato per conto della giustizia nel settore ambientale;
            e) quale consulente navale nell'ambito della difesa aveva sempre lavorato per società estere e solo «per la promozione di attività fra governo e governo».
        Qualche tempo dopo, precisamente in data 12 luglio 1995, Giorgio Comerio si presentò spontaneamente in procura. In quella occasione ebbe a dichiarare:
            quanto al progetto ODM, che si trattava di un progetto legale che aveva propagandato presso vari governi per lo smaltimento di rifiuti radioattivi;
            quanto alla Jolly Rosso, che le carte rinvenute presso la sua abitazione e relative alla nave si giustificavano con pregresse trattative finalizzate all'acquisto che lui aveva cercato di concludere per conto del governo iraniano;

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            di avere conosciuto Convalexius perché gli era stato presentato da Renato Pent;
            di avere conosciuto Marino Ganzerla che aveva acquistato, attraverso la società Soleana, quote della società ODM, e di non avere avuto con lui proficui rapporti di lavoro, in quanto Ganzerla riteneva che i penetratori dovessero essere realizzati in cemento.
        Alla perquisizione dell'abitazione di Giorgio Comerio seguì quella a casa di Molaschi Gabriele, conclusasi positivamente con il sequestro di copiosa documentazione che venne attentamente esaminata dalla polizia giudiziaria procedente.
        L'esame portò a ritenere che il Molaschi, così come il Comerio, fosse coinvolto in un complesso traffico internazionale di armi nonché in attività di smaltimento dei rifiuti radioattivi.
        Ritennero gli investigatori che Molaschi avesse contatti con personaggi di alto livello politico all'estero e riuscisse a a muovere ingenti flussi di danaro per il continuo rifinanziamento delle sue attività’ illecite.
        Così si legge nell'informativa del 9 giugno 1995, a firma del maresciallo Moschitta e del carabiniere Francaviglia (doc. 681/15).
        Si riportano di seguito alcuni stralci tratti dalla predetta informativa, utili a comprendere in quante e, soprattutto, in quali delicate direzioni stesse volgendo l'indagine nata dalla denuncia di Legambiente:
        «con riferimento al progetto ODM, vale a dire il programma di smaltimento dei rifiuti radioattivi, emerge dalla documentazione del Molaschi che uno dei siti è stato localizzato in unazona africana per come risulta da un fax che Giorgio Comerio trasmette a Giannantonio Gaspari-Vaccari e allo stesso Molaschi, in data 30.12.1994, dal seguente tenore (testuale): «Auguri di buon 1995 – Sito localizzato – Firma accordi dal 5 al 10 gennaio a S. Biagio (comune di Garlasco, n.d.r.) ratifica fra il 15 ed il 20 gennaio in Africa (date previste e confermabili entro il 5.01.1995) contratti con clienti negoziabili dal 1o febbraio saluti» segue firma.
        La stessa documentazione consente di appurare che la ODM è in fase di trattative, collocabili agli inizi del 1994, con l'Ucraina, e precisamente con 4 suoi ministri, in quanto quest'ultimo paese è alla ricerca disperata di smaltire un ingente quantitativo di rifiuti radioattivi.
        Nel contesto ODM non vanno dimenticate le vicende delle navi utilizzate come veicoli per l'inabissamento dei rifiuti radioattivi in mare e anche il Molaschi sembra essere coinvolto (...) presso la sua abitazione questo Comando ha rinvenuto fotocopia della documentazione della motonave «Jolly Rosso» (...) La «Jolly Rosso» è così importante anche per Molaschi che di essa se ne trova traccia anche nella sua agenda del 1992 e precisamente nel giorno indicante il 31 marzo. Il nominativo di detta nave era accomunato a quello della «Zanubia» e «Caren B» ed a fianco ad ognuno di essi, rispettivamente, vi era indicata una società: per la «Jolly Rosso», Acqua; per la «Zanubia», Castalia e per la «Caren B», Eco-Servizi. (...) Ma, per ritornare al Molaschi, le sue «carte» aprono, o confermano, altri

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scenari interessanti quali, per esempio, i depositi abusivi in Italia di rifiuti radioattivi, di cui vi sono in corso altre indagini della procura della Repubblica presso la pretura circondariale di Matera, collegate con le presenti.
        Il documento, che in sostanza è un appunto manoscritto datato 24 aprile 1994, fa riferimento alla società Nucleco, costituita dall'Agip e dall'Enea per lo smaltimento dei rifiuti radioattivi, che avrebbe del materiale accumulato in magazzino. Evidentemente si riferisce al fatto che detta società ha problemi di smaltimento di rifiuti radioattivi e ciò interessa l'organizzazione del Comerio.
        Tale assunto trova conferma in uno scambio epistolare tra la Nucleco e la ODM, una delle quali datata 20 dicembre 1993, con la quale la Nucleco, in risposta ad un fax del 23 agosto 1993 della ODM, trasmette i propri depliants illustrativi sul tipo di attività che svolge. Appare evidente che alla ODM serviva (alla data odierna non si è a conoscenza dell'esito dei contatti) la struttura tecnica della Nucleco per coinvolgerla nello smaltimento a mare dei rifiuti radioattivi (...)».
        Deve tenersi presente che già nel 1985 l'Enea aveva pubblicato un opuscolo nel quale (alle pagine 8 e 9) si rappresentava la possibilità di smaltimento di rifiuti radioattivi nei siti marini. Con nota del 4 novembre 1995 il comandante del Nucleo operativo dei Carabinieri, A. Greco, trasmise tale opuscolo ai magistrati titolari delle indagini (dottor Neri e dottor Pace) evidenziando che il metodo di inabissamento dei rifiuti illustrato era identico a quello previsto dal noto progetto ODM di Comerio (doc. 681/31).
        Nel corso delle indagini venne sentito un altro socio di Giorgio Comerio, Marino Ganzerla; anche Ganzerla si presentò spontaneamente, in data 14 luglio 1995, a seguito della perquisizione che aveva subito il giorno precedente (doc. 277/13).
        Ganzerla dichiarò in quella occasione:
            di avere acquistato, quale procuratore della società Soleana autorità giudiziaria di Vaduz, per la somma di lire 20 milioni, il 3 per cento di azioni della ODM (società di Comerio), nonché’ il 50 per cento della società NTM (società di trasporto di rifiuti radioattivi) con sede in Ticino (Svizzera) al prezzo di 29.000 dollari consegnati a Comerio in Lugano;
            che Comerio gli aveva parlato del suo progetto di effettuare lo smaltimento dei rifiuti radioattivi in mare attraverso i penetratori, ma lui si era subito reso conto dell'inattuabilità del progetto sia perché non sarebbero riusciti a trovare siti idonei, sia perché i penetratori in acciaio-cemento non sarebbero stati mai omologati perché non erano idonei a resistere per migliaia di anni in fondo al mare;
            che Comerio non gli aveva mai comunicato punti di affondamento dei penetratori nel Mediterraneo;
            che con la società ODM non erano mai stati effettuati smaltimenti di rifiuti radioattivi con i penetratori;
            «per quanto riguarda l'affondamento delle navi devo dire che circa 10 anni fa venni a conoscenza di progetti di affondamenti di navi cariche di rifiuti chimici, il cosiddetto sistema delle navi «a perdere,»

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truffando così anche le assicurazioni. Se ricordo bene il porto più sospetto era quello di La Spezia. E ricordo che anche che si diceva che le coste dello Ionio erano preferite non solo perché gestite dalla ’ndrangheta ma anche perché i marinai una volta arrivati a terra con le scialuppe affidavano detti mezzi di salvataggio a soggetti del luogo e provvedevano ad affondarle o comunque ad occultarle in maniera definitiva per far sparire ogni traccia dell'affondamento ed evitare così l'indagine giudiziaria. Mi risulta anche che dette navi facevano capo ad armatori del Pireo. Nessuna rilevanza hanno le bandiere perché possono essere cambiate con facilità. Aggiungo che i marinai potevano essere recuperati anche da altre navi amiche che transitavano appositamente vicino al punto di affondamento e trasportavano gli stessi in paesi esteri anche perché trattavasi di marinai stranieri, anche se a volte il comandante o il direttore di macchine erano italiani o comunque gente fidata degli spedizionieri. Ciò mi fu riferito se ben ricordo da un greco nel corso di una cena avvenuta circa 10 anni fa a Genova. Era preferito lo Ionio perché molto profondo. Mi risulta che il Comerio trattava compravendita di navi».
        È evidente che le testimonianze acquisite in quella fase e i documenti sequestrati dagli investigatori fossero estremamente preziosi al fine di ricostruire, al di là di quanto riferito dalle fonti confidenziali, la figura e l'attività di Giorgio Comerio nonché di verificare l'esistenza e – soprattutto – la concreta attuazione dei progetti di smaltimento in mare di rifiuti radioattivi.
        La Commissione, nell'ambito degli approfondimenti svolti nel corso della missione effettuata a Bologna nel febbraio 2010, ha audito Pent Renato e Marino Ganzerla.
        Il Pent ha, innanzi tutto, dichiarato di essere amministratore della Jelly Wax, che produce paraffine, con sede in Opera, società attiva già nel 1987.
        Parte dei rifiuti prodotti nell'ambito dell'attività venivano smaltiti attraverso l'esportazione degli stessi a mezzo di navi. In particolare, ha riferito in merito all'esportazione di rifiuti avvenuta a mezzo della nave Links (citata dall'excollaboratore Francesco Fonti in un memoriale pubblicato sul settimanale l'Espresso nel mese di giugno 2005), nonchè della trattativa con il Governo venezuelano per la realizzazione di una discarica di rifiuti industriali in Venezuela (per il dettaglio si rimanda al resoconto stenografico relativo all'audizione del 17 febbraio 2010).
        Riguardo al tema dell'affondamento di navi e di rifiuti, il Pent ha dichiarato:
        «Conosco Comerio, ma non mi risulta che abbia partecipato. Delle navi affondate ho appreso dai giornali (...). Mi chiedo perché sia necessario affondare una nave con i rifiuti. (...)».
        Il Pent ha proseguito parlando dei rapporti intrattenuti con l'armatore della motonave Zanoobia. Alla domanda circa il luogo ove fossero stati depositati i rifiuti della Zanoobia, il Pent ha risposto che:
        «I rifiuti sono stati sbarcati a Genova, dove la nave era stata portata da Marina di Carrara, e smaltiti dalla Castalia (...) Come sono stati smaltiti non mi è dato di sapere.(...)».

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        Con riferimento alle vicende che hanno interessato le motonavi Links e Zanoobia, il Pent ha fatto riferimento al procedimento penale avviato dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Massa Carrara, conclusosi in primo grado con sentenza di condanna, acquisita in copia dalla Commissione.
        I fatti oggetto del processo attengono all'estorsione denunciata da Renato Pent ed imputata, tra gli altri, all'armatore della motonave Zanoobia.
        A prescindere dalla specifica fattispecie estorsiva, peraltro riconosciuta esistente, la sentenza è importante perché ricostruisce le vicende originate dall'invio in Venezuela di 2.000 tonnellate di rifiuti industriali caricati sulla motonave Links (doc. 289/2).
        Se ne riportano i passaggi fondamentali:
        «La Jelly Wax SpA di cui Pent Renato era il legale rappresentante, aveva stipulato in data 21/1/87 con la società Ambrosini e con la Intercontract un contratto di smaltimento di 2.000 tonnellate di residui industriali. I rifiuti erano stati caricati sulla nave Lynx nel porto di Marina di Carrara e dovevano essere trasportati a Gibuti ma, a causa di un inadempimento contrattuale da parte della Ambrosini, non vi erano mai arrivati. La Jelly Wax, preso atto dell'inadempimento (per il quale aveva sporto querela per truffa), aveva stipulato in data 18/3/87 un nuovo contratto di smaltimento con la società Mercanti Lemport in esecuzione del quale i rifiuti erano stati sbarcati in Venezuela. Tuttavia, dopo circa sei mesi, a seguito di una campagna di stampa contraria allo smaltimento di quei rifiuti in Venezuela, la Jelly Wax era stata di fatto costretta a riprendersi i rifiuti ed a provvedere in altro modo al loro smaltimento. Il carico di rifiuti era stato allora imbarcato sulla nave Makiri, che aveva fatto rotta verso il Mediterraneo. (...) la nave si era diretta a Tartous (Siria). In quella località, aveva tentato di sbarcare e smaltire il carico di rifiuti, ma non essendo riuscita l'operazione, i rifiuti erano stati imbarcati sulla nave Zanoobia, al comando dell'imputato Tabalo Ahmed. La Zanoobia si era quindi diretta in un primo momento a Salonicco, dove però non era riuscita a scaricare il carico di rifiuti, e successivamente aveva fatto rotta verso l'Italia, concludendo il suo viaggio a Marina di Carrara. (...) è emerso che, a seguito delle pressioni del governo venezuelano, (...) la Jelly Wax (...) aveva stipulato con la ditta Samin un (secondo) contratto di presa in consegna ed assunzione di proprietà dei rifiuti. L'accordo era stato concluso in data 10/11/87 tra la Jelly Wax e Tabalo Mohfimed (...) proprietario della Makiri e della Zanoobia. (...) Successivamente, dopo circa due mesi, l'imputato Tabalo Mohamed ed il suo legale avvocato Rizzuto avevano comunicato alla Jelly Wax che, per ordine del governo siriano, la merce era stata caricata sulla nave Zanoobia e doveva essere trasportata fuori dal territorio siriano perché era stato accertato che il carico era radioattivo. Pertanto, il Tabalo ed il Rizzuto avevano chiesto al Pent (...) il pagamento di una somma di 2-300mila dollari per lo smaltimento dei rifiuti, facendo presente che, in caso di mancata accettazione della proposta, avrebbero rimesso forzatamente a disposizione della Jelly il carico di rifiuti riportandolo a Marina di Carrara, con le prevedibili ricadute a danno dell'immagine della Jelly Wax (...). Quest'ultima non aveva accettato e perciò la Zanoobia, guidata dal

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comandante Tabalo Ahmed (fratello di Tabalo Mohamed), aveva riportato il carico di rifiuti a Marina di Carrara».
        Sono stati riportati i passaggi della sentenza, depositata il 20 giugno 2003, in quanto le indagini effettuate dalla procura circondariale di Reggio Calabria avevano riguardato anche le vicende della nave Zanoobia e, più in generale, l'attività svolta dalla Jelly Wax nonché i rapporti intercorrenti tra Renato Pent e Giorgio Comerio.
        La Commissione, sempre in data 17 febbraio 2010, ha audito Marino Ganzerla, il quale ha di fatto negato quanto affermato innanzi al pubblico ministero Neri con riferimento al fenomeno delle navi a perdere.
        In riferimento a Comerio Ganzerla ha ammesso di avere acquisito una partecipazione nella società ODM. Ha, tuttavia, negato di aver acquistato, per conto della Soleana (società che a suo dire non avrebbe mai operato), il 50 per cento della NTM, società di trasporto dei rifiuti radioattivi con sede in Svizzera, nel Ticino, versando al Comerio 29.000 dollari USA.
(Tale ultima circostanza, peraltro, era stata dallo stesso Ganzerla riferita al dottor Neri, come risulta dal verbale di spontanee dichiarazioni del 14 luglio 1995, acquisito in copia dalla Commissione – cfr. doc. 277/13).
        Con specifico riferimento alla possibilità di smaltire rifiuti radioattivi tramite penetratori il Ganzerla ha precisato di avere sempre nutrito dubbi sulla legittimità dell'operazione e di essersi rivolto ad un esperto di diritto internazionale per capire se i rifiuti radioattivi potessero essere scaricati sotto il fondo marino. L'esperto gli comunicò che, in base alla normativa del tempo si sarebbe potuto fare, ma che la normativa stessa, di lì a poco sarebbe cambiata, rendendo illegittime le operazioni in parola.
        Conseguentemente, a cavallo tra il 1995 e il 1996, Ganzerla contattò Comerio per comunicargli di non voler più proseguire l'affare. Ha aggiunto alla Commissione: «Da quanto so, la società non ha mai operato. Non so se sia andato avanti per conto suo. Non ha mai fatto niente. Io ho rinunciato a tutto, non gli ho fatto causa per truffa, mi sono tenuto la perdita e non l'ho più visto».
        Con riferimento all'affondamento di navi finalizzato allo smaltimento di rifiuti, Ganzerla ha dichiarato di averne sentito parlare solo perché qualcuno (il cui nome non è stato rivelato) venne a proporgli un affare su questo tipo di attività.
        La Commissione ha tuttavia contestato al Ganzerla di aver reso al dottor Neri dichiarazioni parzialmente diverse. Allorquando poi la Commissione ha chiesto al Ganzerla il nominativo del personaggio greco dal quale avrebbe avuto notizia dell'affondamento doloso di navi cariche di rifiuti tossici nel mediterraneo, il Ganzerla non ha saputo o voluto fornire elementi utili alla sua identificazione.
        In generale, può affermarsi che nel corso dell'audizione il Ganzerla si è limitato a rendere informazioni alquanto generiche e comunque già in possesso della Commissione, ripetendo, in risposta alle insistenti domande dei commissari, di non ricordare.
Dunque le indagini svolte all'epoca dalla procura di Reggio Calabria, proprio sulla base degli elementi acquisiti nel corso della perquisizione

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a carico di Giorgio Comerio, si incentrarono su tale figura e sui personaggi che gravitavano intorno a lui.

1.1.6 Gli affondamenti sospetti di navi nel Mediterraneo. Gli approfondimenti investigativi svolti dal capitano Natale De Grazia.

        L'interesse investigativo si concentrò via via sempre più sugli affondamenti sospetti di navi avvenuti nel mare Mediterraneo, avendo preso concretamente piede l'ipotesi che navi cariche di rifiuti radioattivi, o comunque pericolosi, venissero inabissate dolosamente in modo tale da potere ricavare il duplice vantaggio rappresentato, da un lato, dall'indebito risarcimento ottenuto dalla compagnia assicurativa, dall'altro, dal guadagno derivante dall'attività di illecito smaltimento.
        Come si è già sottolineato, all'interno del gruppo investigativo creato dal sostituto procuratore dottor Neri, un ruolo fondamentale ebbe il capitano di Natale De Grazia, il quale, a detta di tutti quelli che lavorarono con lui, profuse in questa indagine un impegno straordinario.
        Il 30 maggio 1995 il capitano trasmise al magistrato un appunto, riassuntivo degli elementi fino a quel momento acquisiti.
        Se ne riporta il testo (doc. 681/32):
        «Appunto per il dottor F. Neri del 30.5.95:
        A riepilogo dell'attività investigativa svolta, relativamente allo smaltimento di rifiuti tossico nocivi e/o radioattivi in mare, si riferisce che da informazioni confidenziali acquisite dal Coordinamento regionale di Brescia del Corpo forestale dello Stato, si è avuta notizia che era stata affondata al largo di Capo Spartivento una nave carica di materiale nucleare (uranio additivato).
        Successivamente durante la perquisizione effettuata presso il signor Comerio Giorgio si è acquisita documentazione relativa al progetto ODM che prevedeva l'affondamento di rifiuti radioattivi nel sottofondo marino con penetratori lanciati da navi. Nella documentazione sequestrata, inoltre, vi erano dei progetti relativi a siluri a lenta corsa denominati «telemine». Tra gli altri documenti rinvenuti in casa del Comerio vi erano anche degli appunti/progetti preventivi relativi a navi che dovevano essere attrezzate per la realizzazione e il trasporto delle citate telemine, nonché per l'affondamento dei penetratori del progettoODM; inoltre vi erano alcuniappunti con documentazione tecnica fotografica relativi a navi generalmente vecchie ed in disuso. Tra questi vi erano gli appunti per l'acquisto del mototraghetto Guglielmo Mazzola, della motonave Sais, del f/b Transcontainer I, della motonave Acrux e della motonave Jolly Rosso.
        Gli appunti in questione contenevano anche dei progetti di modifica di una nave RO-RO per la costruzione degli ordigni, riferiti in particolare alle navi Jolly Rosso e Acrux ora denominata Queen Sea I.
        Gli atti sequestrati ed informazioni di polizia giudiziaria hanno fatto nascere il sospetto che il Comerio avesse individuato le navi in questione per l'acquisto ed il successivo utilizzo per attività illecite


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quali la costruzione e posa delle telemine nonché il traffico e l'affondamento con a bordo rifiuti radioattivi.
        Onde effettuare riscontro dei sospetti e delle informazioni confidenziali si è acquisita copia dei registri Lloyd's relativi agli incidenti accorsi alle navi in genere, nelle varie parti del mondo. La documentazione è stata acquisita presso l'ufficio Lloyd's Register di Genova.
        Da un esame di detti registri si ha avuto riscontro in prima analisi dell'affondamento di una nave a venti miglia a sud-est da Capo Spartivento il 21 settembre 1997. Il sinistro non risulta dai registri delle autorità marittime e le caratteristiche della nave e la tipologia dell'evento davano una prima conferma delle informazioni confidenziali. La nave affondata, denominata «Rigel», di bandiera Maltese è andata perduta durante il viaggio da Marina di Carrara a Limassol e l'equipaggio fu tratto in salvo da una nave jugoslava denominata «Kral» che sbarcò i naufraghi in un porto della Tunisia. Da ulteriori informazioni si accertava che la procura della Repubblica di La Spezia aveva in corso un procedimento a carico di numerosi imputati per l'affondamento doloso della nave, per truffa all'assicurazione.
        Per gli imputati di quel processo è stato richiesto dal tribunale di La Spezia il rinvio a giudizio con ordinanza in data 20 novembre 1992. Dagli atti dell'ordinanza stessa emerge che non si ha conoscenza dei carico effettivo della motonave «Rigel» tanto che viene richiesto il rinvio a giudizio della funzionaria doganale di Marina di Carrara per aver ricevuto una somma di danaro affinché omettesse di controllare il carico destinato alla nave. La situazione poco chiara circa la tipologia del carico è inoltre confermata da una richiesta di compenso all'assicurazione esosa rispetto al valore della merce dichiarata dai caricatori. La tesi accusatoria e gli accertamenti successivi dell'autorità giudiziaria di La Spezia fanno perno su una telefonata tra il signor Gino ed il Fuiano Vito, ambedue imputati, nel corso della quale veniva annunciata la mattina del 21 settembre 1987 la nascita di un bambino, poi chiarito come allusione all'affondamento della nave. Nelle agende del Comerio Giorgio sequestrate presso i propri uffici il giorno 21 settembre 1987 si rileva un'annotazione in lingua inglese relativa alla «perdita della nave» come indicato nell'informativa del 25 maggio 1995; si è proceduto ad estrarre dai registri Lloyd's’ citati in precedenza numero 23 navi che nei vari anni sono affondate nel Mediterraneo e delle quali per la maggior parte non si ha certezza degli eventi. Di questi potrebbero ritenersi dubbiosi, oltre alla Rigel i seguenti affondamenti:
            M/N «ASO» affondata il 16.05.1979 al largo di Locri carica con 900 tonnellate di solfato ammonico e da considerarsi un'affondamento a rischio per il tipo di carico e per le circostanze poco chiare emerse nell'inchiesta sommaria;.
            M/N «MIKIGAN» affondata il 31.10.1986 nel Tirreno in posizione 38:35’ N / 15o 42’ E con un carico di granulato di marmo era partita dal Porto di Marina di Massa lo stesso Porto di origine della «Rigel» dove i controlli sul carico potrebbero essere stati non effettuati;

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– M/NA «FOUR STAR I» di bandiera Sry Lanka con carico generale affondata il 09.12.1988 in, un punto non noto dello Jonio Meridionale durante il viaggio da Barcellona ad Antolya (Turchia). Da una ricostruzione stimata del punto di affondamento la nave in questione potrebbe essere affondata al ’largo di Capo Spartivento, nei pressi del punto di affondamento della «Rigel».La nave potrebbe essere ritenuta sospetta in quanto non risultano chiamate di soccorso alle Autorità Marittime né denunce di Sinistro nonostantequesto sia avvenuto nella ZEE italiana. La tecnica quindi potrebbe collegarsi a quella della nave «Rigel», più volte citata, che non emesse nessuna richiesta sulle frequenze di soccorso;
            M/N «ANNI» di bandiera Maltese affondata il 01.08.1989 in alto Adriatico;
            M/N «EURORIVER» di bandiera Maltese affondata anch'essa in Adriatico il 12.11.1991. Queste due navi. di bandiera Maltese sono affondale in due punti dell'Adriatico che nel progetto ODM reperito tra i documenti di Comerio sono indicati quali punti previsti nel programma di dispersione delle scorie nelle aree nazionali italiane e degli affondamenti si ha notizia dai registri Lloyd's;
            M/N «Rosso» di bandiera Italiana arenatasi a Capo Suvero di Vibo Valentia il 14.12.1990 durante il viaggio da Malta a La Spezia. In merito al sinistro occorso a questa motonave si è riferito nell'informativa del 25.05.1995 dove appunto si faceva rilevare la richiesta di misurazione della radioattività fatta eseguire dalla Capitaneria di porto di Vibo Valentia Marina per il ritrovamento di documenti che come riferito dal Comandate di quell'Ufficio Marittimo sarebbero i progetti ODM. Inoltre dell'unità in questione furono trovati presso il Comerio i progetti di trasformazione per la costruzione delle telemine.
        Circa le navi affondate elencate nell'informativa inizialmente citata sospetti sul carico sono basati sulla bandiera delle navi, quasi sempre di comodo e dal fatto che non si é a conoscenza degli sviluppi del sinistro. Si fa riserva di comunicare tutte le ulteriori informazioni necessarie qualora scaturissero ulteriori elementi dalle indagini in corso.
        Reggio Calabria, li 30 maggio 1995 Capitano De Grazia».
        Gli elementi riassunti nell'appunto del capitano De Grazia spinsero gli investigatori a concentrarsi sull'ipotesi investigativa relativa all'affondamento doloso di navi partendo dall'individuazione di tutti gli affondamenti che parevano «sospetti» o per le circostanze dell'affondamento o per la natura del carico.
        Il gruppo di lavoro si dedicò, innanzitutto, all'affondamento della motonave Rigel, avvenuto il 21 settembre 1987 di fronte a Capo Spartivento, nonchè allo spiaggiamento della motonave Rosso, avvenuto di fronte alle coste di Amantea il 14 dicembre 1990.
        Altri accertamenti furono delegati in ordine ad altri sospetti affondamenti, come si evince dalla delega, del 17 luglio 1995, emessa dal sostituto procuratore F. Neri ed indirizzata al capitano De Grazia ed al maresciallo Moschitta i quali avrebbero dovuto accertare:

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            «a) i motivi del trasporto del materiale radioattivo da parte della nave Acrux e quindi acquisire in copia tutta la documentazione utile alle indagini;
            b) richiedere alla C.P. di Genova quali siano le navi che normalmente caricano o scaricano materiale tossico nocivo o radioattivo dalle banchine del Ponte Libia di Genova;
            c) accertare in La Spezia presso gli uffici competenti quali merci pericolosi siano transitate (tossico nocive o radiattive) dalle banchine della Cont Ship italia;
            d) vorranno contattare le forze di polizia giudiziaria di La Spezia che possano fornire elementi utili di indagine sul procedimento in corso.
dato in Brescia 13.07.95».
        Gli approfondimenti relativi alla Rigel e alla Rosso verranno di seguito trattati in paragrafi separati in quanto, in riferimento a ciascuna delle due vicende, gli investigatori svolsero attività consistite nel ricostruire – partendo dagli atti di indagine già svolti dalla procura di La Spezia e dalla Capitaneria di porto di Vibo Valentia – tutte le circostanze relative all'affondamento, al carico delle navi, alla formazione dell'equipaggio.
        Le due vicende, apparentemente separate, avevano in realtà dei punti di connessione che furono individuati proprio nel corso delle indagini.

1.1.7 L'affondamento della motonave Rigel: l'indagine della procura della Repubblica presso il tribunale di La Spezia e le successive attività investigative della procura di Reggio Calabria.

        La motonave Rigel, di proprietà della Mayfair Shipping Company Limited di Malta, affondò, secondo la versione ufficiale, a 20 miglia al largo di capo Spartivento – promontorio situato nel comune di Brancaleone (RC) – in acque internazionali, il 21 settembre 1987, dopo essere partita dal porto di Marina di Carrara il 2 settembre 1987, diretta a Limassol, Cipro.
        Secondo le indagini svolte dalla procura della Repubblica di La Spezia nell'ambito del procedimento penale n. 814/1986 RGNR, la Rigel fu affondata dolosamente.
        I responsabili, rinviati a giudizio il 20 novembre 1992 per aver cagionato il naufragio della nave al fine di truffare la società di assicurazioni, furono condannati con sentenza confermata nei successivi gradi di giudizio.
        Appare opportuno ripercorre i passaggi fondamentali della sentenza-ordinanza del 20 novembre 1992 in quanto furono poi ripresi dal procuratore Neri e dal capitano De Grazia al fine di approfondire il tema concernente il carico della nave e l'eventuale utilizzo della stessa per lo smaltimento illecito di rifiuti radioattivi, aspetto questo non affrontato nell'inchiesta di La Spezia.


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        Secondo quanto si legge nel provvedimento giudiziario citato, l'accordo per l'affondamento della nave intervenne tra Luigi Divano (titolare della Trade Centre Srl), Vito Bellacosa (di professione agente marittimo, titolare dell'agenzia marittima «Spediamar» corrente in la Spezia), Fuiano Gennaro (di professione funzionario doganale), Cappa Giuseppe e Figliè Carlo, quest'ultimo titolare di un'agenzia marittima in Marina di Carrara (quali organizzatori in Italia e ricercatori delle persone da indurre ad effettuare un fittizio trasporto di merce destinata all'affondamento), Khoury e Papanicolau (il primo quale fittizio acquirente della merce caricata sulla Rigel, e il secondo quale fornitore del mezzo da far naufragare), il capitano Vassiliadis come esecutore materiale nonché capitano della Rigel.
        Nel corso dell'indagine erano state intercettate le utenze in uso a Gennaro Fuiano, funzionario di dogana già sospeso e a Luigi Divano, intermediatore di affari di Rapallo.
        Particolarmente interessante per gli investigatori calabresi si rivelò la conversazione telefonica del 24 marzo 1987 tra Gennaro Fujano e Vito Bellacosa (il quale si trovava a Limassol, Cipro, presso la sede della società di Khoury) nella quale si parlava di un carico da spedire «colà», con un «carico buono e meno buono» (definito testualmente «merda» da Bellacosa).
        Poiché in quel periodo i soggetti erano impegnati nell'organizzazione della truffa assicurativa, il riferimento al carico della nave apparve di sicuro interesse investigativo, tenuto conto del fatto che il carico «buono» non poteva essere inteso come la parte del carico da far arrivare a destinazione (atteso che tutta la nave era destinata ad affondare).
        Dunque, gli investigatori interpretarono le espressioni utilizzate come riferite ai rifiuti, in parte definiti buoni (cioè non pericolosi) e in parte non buoni (quindi tossici).
        L'altra conversazione di interesse fu quella del 21 settembre 1987, sempre tra Gennaro Fujano e Vito Bellacosa, nella quale venne pronunciata l'espressione: «il bambino è nato», con ciò indicandosi, secondo l'ipotesi investigativa, con una metafora, il buon esito della operazione di affondamento, che infatti avvenne proprio in quella data.
        Gli atti del processo di La Spezia offrirono agli investigatori coordinati dal dottor Neri elementi di conferma di estrema importanza alle ipotesi investigative formulate, spingendoli ad approfondire sempre di più l'aspetto che invece non era stato oggetto delle indagini dell'autorità giudiziaria di La Spezia, ossia quello della natura del carico della nave.
        Nel processo di La Spezia, infatti, venne definitivamente accertata la natura dolosa dell'affondamento della Rigel e la truffa ai danni dell'assicurazione.
        Gli imputati vennero giudicati in relazione ai reati di associazione a delinquere, truffa ai danni della società assicurativa, corruzione ed altri reati connessi e finalizzati a conseguire il premio assicurativo, ma nulla venne accertato in merito all'effettivo carico della nave.
        In sostanza, nel processo di La Spezia non venne neppure ipotizzato che la nave Rigel fosse stata caricata con rifiuti tossici e pericolosi: ed, infatti, nessun elemento era emerso in questo senso né

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dalle testimonianze né dai documenti, appositamente falsificati per far risultare un carico diverso da quello effettivo.
        Gli atti del procedimento furono, pertanto, riesaminati dal capitano De Grazia, al fine verificare quale fosse il carico della motonave affondata, sospettandosi che unitamente alla stessa fossero stati inabissati rifiuti radioattivi.
        Indicazioni precise in questo senso erano state fornite dalla fonte confidenziale denominata «Pinocchio» (di cui all'informativa citata del 13 maggio 1995 del Corpo forestale, doc. 118/7), che aveva fatto riferimento ad una nave affondata in Calabria, a largo di Capo Spartivento, a venti miglia circa dalla costa, nave che – secondo gli investigatori – poteva appunto identificarsi con la Rigel (cfr. par. 1.1.4).
        Due importanti elementi di riscontro, considerati unitariamente, convinsero gli investigatori a ritenere più che fondate le dichiarazioni della fonte confidenziale anzidetta e li spinsero a ricercare ulteriori prove.
        Posto che la motonave Rigel era affondata il 21 settembre 1987 a largo di Capo Spartivento, come accertato dal processo di La Spezia, il primo elemento di riscontro fu ricavato dall'annotazione «lost the ship» rinvenuta sull'agenda sequestrata a Giorgio Comerio proprio sulla pagina corrispondente alla data 21 settembre 1987.
        Il secondo elemento proveniva direttamente dalle informazioni acquisite dal capitano De Grazia presso i registri Lloyds di Londra, che coprono il 90 per cento della situazione mondiale di tutte le navi affondate, e presso l'IMO, secondo cui l'unica nave affondata il 21 settembre 1987 era la motonave Rigel.
        Dunque, secondo gli investigatori, l'annotazione di Comerio non poteva che riferirsi alla Rigel e, tenuto conto della documentazione trovata in possesso del Comerio attinente al progetto Dodos e alla società ODM, era legittimo ritenere che l'interesse del Comerio alle sorti della Rigel potesse essere legato al carico di rifiuti tossici.
        Gli investigatori cercarono – tra gli atti del processo di La Spezia – altri elementi utili a rafforzare il quadro che velocemente si andava delineando.
        Da subito si comprese che fondamentale era il ritrovamento della nave e del suo carico.
        In particolare, il capitano De Grazia si concentrò in tale direzione, cercando di individuare il punto esatto di affondamento della motonave Rigel.
        Significative in merito sono alcune informative che il capitano De Grazia trasmise al sostituto dottor Francesco Neri nel mese di giugno 1995, riportate di seguito, nelle quali vengono riassunti gli elementi fino a quel momento acquisiti, evidenziandosi che (cfr. inf. del 16, del 22 e del 26 giugno 1995 – doc. 681/32, 681/18, 681/21):
            la procura della Repubblica di La Spezia aveva accertato l'affondamento doloso della Rigel, finalizzato a truffare la compagnia assicuratrice;
            nell'ambito del procedimento di La Spezia era emerso che due degli indagati – in una telefonata del 21 settembre 1987 – avevano

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fatto riferimento alla nascita di un bambino, poi chiarita dagli stessi come allusione all'affondamento della nave;
            Giorgio Comerio aveva annotato sulla sua agenda l'evento dell'affondamento, scrivendo alla data del 21 settembre 1987: «lost the ship»;
            una copia dei progetti ODM di Giorgio Comerio era stata trovata sulla plancia della motonave Jolly Rosso, spiaggiatasi ad Amantea il 14 dicembre 1990, dal comandante della Capitaneria di porto di Vibo Valentia, Bellantone;
            per individuare il relitto della nave al largo di Capo Spartivento, stante la disponibilità dei mezzi offerta dal Comando Generale delle Capitanerie di Porto, occorreva individuare la tipologia del mezzo nautico da impiegare, quindi, acquisire notizie tecniche circa le apparecchiature e le modalità d'impiego di sonar per l'individuazione dei relitti, nonché di strumenti idonei alla misurazione della radioattività;
            per tale attività si chiedeva all'autorità giudiziaria l'autorizzazione a recarsi a Roma per prendere contatti diretti con l'ingegner Bertone del Centro Ricerche nucleari di Roma e con il Reparto Operazioni del Comando Generale delle Capitanerie di Porto per la pianificazione delle attività da porre in essere.
        Conclusivamente, con riferimento alla Rigel, le attività del capitano De Grazia si concentrarono essenzialmente nell'esame della documentazione sequestrata a Comerio, nell'individuazione di elementi di collegamento con l'affondamento della Rigel e nella ricerca del punto esatto di affondamento della motonave, condizione questa indispensabile per avviare proficue attività di ricerca del relitto.
        Sebbene fosse stato ritenuto necessario procedere ad una nuova escussione dei soggetti coinvolti nell'inchiesta di La Spezia, con particolare riferimento alla natura del carico e alle relative operazioni, tuttavia, il capitano De Grazia non ebbe la possibilità di parteciparvi personalmente in quanto deceduto prima che venissero svolte queste attività.
        Successivamente, fu il maresciallo Scimone ad effettuare le attività predette, di cui si renderà conto nel prosieguo della relazione.
        Va detto, fin da subito, che – secondo la testimonianza del magistrato Nicola Maria Pace – il capitano De Grazia sarebbe riuscito ad individuare le coordinate relative al punto di affondamento, tanto che insistette, proprio la mattina della sua partenza per La Spezia, per portarvi lo stesso magistrato.
        Si riporta il passo dell'audizione del dottor Pace, avvenuta avanti alla Commissione in data 12 gennaio 2010:
        «Quando è giunta la notizia della morte di De Grazia io, Neri ed altri non abbiamo avuto dubbi sul fatto che quella morte non fosse dovuta a un evento naturale. Avevo sentito De Grazia alle 10,30 di quella mattina, mi aveva detto che con una delega di Neri si sarebbe recato prima a Massa Marittima e poi a la Spezia, mi avrebbe aspettato a Reggio Calabria per portarmi con una nave sul punto

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esatto in cui è affondata la Rigel. Alle 10,30 del 13 dicembre, giorno in cui è morto, ricevetti questa sua telefonata in ufficio, ma non sono in grado di fornire elementi obiettivi».

1.1.8 Lo spiaggiamento della Jolly Rosso e Giorgio Comerio. Gli approfondimenti svolti dal capitano De Grazia.

        Particolare attenzione suscitò la vicenda della motonave Rosso, della compagnia di Ignazio Messina.
        Tale nave naufragò al largo di Capo Suvero, in Calabria, in data 14 dicembre 1990 (con immediato abbandono della stessa da parte di tutto l'equipaggio), per arenarsi sulla costa di Amantea (CS) nella stessa giornata (doc. 695/1).
        Sullo spiaggiamento, inzialmente, non venne avviata alcuna indagine di carattere penale, ma solo un'indagine amministrativa da parte della compagnia di assicurazione e un'inchiesta da parte della Capitaneria di porto di Vibo Valentia di cui si dà atto nel rapporto riassuntivo a firma del comandante Giuseppe Bellantone (doc. 695/19).
        Nel 1994 la vicenda della Rosso fu oggetto di ulteriore approfondimento nell'ambito dell'indagine condotta da dottor Francesco Neri.
        Il motivo dell'approfondimento era da collegarsi ad una serie di circostanze sospette, prima fra tutte quella relativa al rinvenimento presso l'abitazione di Comerio, in Garlasco, di documentazione attinente alla motonave Jolly Rosso.
        Particolarmente importanti furono le dichiarazioni rese dal comandante Bellantone al capitano De Grazia, assunte da quest'ultimo informalmente, delle quali si dà conto nell'informativa del 30 maggio 1995 (doc. 681/32):
        «(...) dall'indagine sommaria esperita dalla Capitaneria di porto di Vibo Valentia Marina emerge che il comandante di quella Capitaneria ha richiesto, a seguito dell'incaglio, degli accertamenti radiometrici sulla nave semi sommersa. Data l'inusualità dell'accertamento si è contattato il comandante di quella Capitaneria di porto Bellantoni il quale riferiva di avere lui stesso richiesto detti accertamenti in quanto in alcuni documenti reperiti a bordo della nave vi erano strani cenni a materiale radioattivo.
        Successivamente, il preddetto comandante riferiva oralmente che sulla nave aveva rinvenuto della documentazione che non aveva saputo interpretare ma che comunque gli sembravano dei piani di «battaglia navale» che poi riconoscevanei progetti ODM sequestrati presso l'abitazione-laboratorio del Comerio.
        Il citato Ufficiale in quella occasione forniva copia del verbale di consegna della succitata documentazione al comandante della «Rosso», nonché copia dell'istanza con la quale il capitano Bert M. Kleywegt in rappresentanza della società Smit Tak, olandese, aveva chiesto- l'autorizzazione al recupero della suddetta nave. Viene riferito ciò in quanto la ditta, pur avendo operato per circa 30 giorni,


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non ha effettuato alcuna attività di recupero nonostante abbia operato con dei subaquei, alcuni gommoni e un grosso Tir».
        Successivamente il comandante Bellantone fu sentito a sommarie informazioni dai procuratori Scuderi e Neri (in data 29 febbraio 1996) ed anche in tale circostanza confermò quanto dichiarato informalmente al capitano De Grazia sulla presenza – a bordo della Rosso – di documenti con strani cenni a materiale radioattivo. Precisò ancora che, all'epoca, il capitano De Grazia gli mostrò un opuscolo con uno stemma triangolare della società ODM uguale a quello dallo stesso notato a bordo della nave (doc. 695/7).
        Al verbale di sommarie informazioni vi è il documento citato, di cui si riporta il frontespizio:

         È importante sottolineare che il comandante Bellantone è stato successivamente sentito sia dal pubblico ministero di Paola, Francesco Greco, nell'anno 2004 sia dalla Commissione in data 8 marzo 2011.


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        Le dichiarazioni fornite in tale occasioni sono risultate contrastanti tra di loro nonché con quanto precedentemente dichiarato ai magistrati e al capitano De Grazia. In particolare, nel verbale di sit del 15 luglio 2004 (doc. 695/7), il comandante ha dichiarato, quanto ai documenti rinvenuti sulla Rosso, di avere visto su qualche documento uno stemma a forma di triangolo con la scritta ODM specificando che all'epoca dello spiaggiamento non conosceva il significato di tale scritta.
        Si riportano le dichiarazioni nella parte di interesse:
        «(...) Ricordo di aver seguito la fase del recupero della M/N e successiva demolizione, nonché la questione dell'inquinamento che poteva causare la nave e i relativi danni che poteva creare per l'erosione alla costa vicina. Non ricordo se sono salito a bordo, sicuramente è salito qualche ufficiale della Marina, forse anch'io, non ricordo. Ricordo di aver visto su qualche documento, uno stemma a forma di triangolo con la scritta ODM, preciso di non conoscere all'epoca dello spiaggiamento, il significato dello scritto ODM e comunque era scritto tutto in inglese.
        Non ricordo di aver visto sulla nave una cartografia raffigurante i siti di affondamento di navi che possa raffigurare una battaglia navale. Ricordo però che la stessa mi fu mostrata dal magistrato Neri di Reggio Calabria e o dal suo collaboratore De Grazia Natale. Ricordo vagamente che la nave Michigan, che affondò al largo di Capo Vaticano, trasportava grosse quantità di granulato di marmo e comunque gli atti dell'inchiesta sono depositati presso la Capitaneria di Vibo Valentia.
        Tutta la documentazione acquisita, non inerente l'inchiesta sommaria, normalmente viene restituita poiché non utile alla stessa. Non ricordo in questo caso se è stata restituita e a chi o da chi. Ricordo che all'epoca aggiornavamo della situazione gli organi competenti, prefettura, comune e magistratura, relativamente al recupero della nave, all'inquinamento e all'erosione causato dalla nave stessa. Non ricordo però quale magistrato di Paola, si occupò della vicenda, né se da quest'ultimo ho ricevuto deleghe di attività d'indagine.
        Ricordo che a seguito di allarmismo della gente del posto, circa il carico, poiché veniva definita come la nave dei veleni, fu disposto un controllo sulla radioattività da parte dei Vigili del fuoco, con esito negativo, non ricordo se fu interessato il PMP di Cosenza».
        Nel corso dell'audizione dinnanzi alla Commissione il comandante Bellantone ha oscillato tra smentite, parziali conferme e dichiarazioni di non ricordare, palesando finanche la possibilità che le sue dichiarazioni avanti ai magistrati di Reggio Calabria non fossero state fedelmente riportate.
        Risulta, quindi, allo stato incerto quello che effettivamente fu rinvenuto a bordo della motonave Rosso, in mancanza di verbali di sequestro redatti in quell'occasione.
        Non può essere ignorato il fatto che le iniziali dichiarazioni rese dal comandante Bellantone al capitano De Grazia, riportate nell'annotazione citata e successivamente confermate ai magistrati di Reggio Calabria, sono quelle rese in epoca più prossima ai fatti e, quindi, da ritenere, secondo criteri di comune esperienza, più attendibili.

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        Come si avrà modo di evidenziare, il capitano De Grazia, pur incaricato di sviluppare questi aspetti, non ebbe la possibilità di portare a termine l'attività per le ragioni che di seguito si andranno ad esporre.

1.1.9 Le verifiche effettuate dal capitano De Grazia in merito agli ulteriori affondamenti sospetti.

        Come già evidenziato il capitano De Grazia, in ragione delle sue specifiche compentenze, operò una verifica – presso la compagnia di assicurazione Lloyd di Londra – in ordine agli affondamenti sospetti di navi, stilando un elenco che avrebbe dovuto costituire la base di ulteriori approfondimenti.
        E, pertanto, si può sostenere, senza timore di smentita, che il capitano approfondì proprio l'aspetto attinente all'utilizzo di navi per lo smaltimento illecito dei rifiuti radioattivi sia attraverso il loro affondamento sia, più in generale, attraverso il loro utilizzo per il trasporto verso paesi esteri.
        Ed è proprio in questo ampio contesto investigativo che va esaminata la vicenda, dai contorni poco chiari, relativa alla monotave Latvia, ormeggiata presso il porto di La Spezia, di cui si ha traccia in due informative del Corpo forestale di Brescia indirizzate al procuratore Neri.
        Dell'esistenza di questa nave si dà conto per la prima volta nell'annotazione di polizia giudiziaria redatta dal Corpo forestale dello Stato di Brescia in data 26 ottobre 1995 (doc. 277/8), nella quale si evidenzia che la nave, venduta ad un prezzo superiore al valore reale, avrebbe potuto essere destinata al trasporto di rifiuti nucleari e/o tossico-nocivi.
        Si riportano i passi di interesse dell'informativa, redatta previa assunzione di informazioni di cui all'articolo 203 c.p.p.:
        «(...) Motonave Latvia.
        Nell'area portuale di La Spezia è presente la motonave Latvia. adibita al trasporto passeggeri, ex-sovietica, giunta nei cantieri ORAM prima della caduta del blocco orientale. Nave ritenuta come appartenente ai servizi segreti sovietici (KGB) (...). Attualmente è ormeggiata alla diga di La Spezia, è stata messa in vendita (forse dal tribunale) ed acquistata da una società Liberiana con sede in Monrovia, tramite un ufficio legale di La Spezia. Da fonte attendibile risulta che il prezzo pagato è superiore di quello del valore reale, e questo fa supporre che potrebbe essere utilizzata come «bagnarola» per traffici illegali di varia natura, in particolare di rifiuti nucleari e o tossico-nocivi, (esempi pratici sono le cosidette navi dei veleni) (...)».
        Ancora, la Latvia viene menzionata nell'annotazione di polizia giudiziaria redatta, in data 10 novembre 1995, con la quale il brigadiere De Podestà Gianni comunicò alle procure di Reggio Calabria e di Napoli che fonte confidenziale attendibile aveva di recente riferito in merito al coinvolgimento di famiglie camorristiche e logge massoniche deviate nei traffici di rifiuti radioattivi e tossico nocivi interessanti la zona di La Spezia e l'interland napoletano.


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        Nell'annotazione si dava atto che la Latvia, così come già era stato fatto per la Rigel e la Jolly Rosso, avrebbe dovuto essere preparata per salpare nell'arco di 4 giorni con un carico non ben definito (rifiuti tossico-nocivi e/o radioattivi) per poi seguire la rotta La Spezia-Napoli (per un ulteriore carico, come accertato per la Rosso) – Stretto di Messina-Malta – ritorno sulle coste ioniche (per affondamento).
        Dall'annotazione in parola si evince che la fonte confidenziale cui si fa riferimento è la stessa di cui all'informativa del 13 maggio 1995 richiamata espressamente, e dunque la fonte denominata «Pinocchio».
        Si riporta parte del testo dell'annotazione del 10 novembre 1995 (doc. 681/32):
        «Fonte confidenziale attendibile ha qui riferito, in epoca recente, del traffico di rifiuti radioattivi e tossico-nocivi che interessano in particolar modo la zona di La Spezia e l'interland napoletano e quindi il coinvoglimeritodi famiglie camorristiche e logge massoniche deviate. Nella prima annotazione di polizia giudiziaria redatta in data 13 maggio 1995 in questo ufficio, l'informatore riferiva di personaggi legati al traffico La SpeziaP5Napoli-Reggio Calabria e oltremare (...).
        In merito all'annotazione di polizia giudiziaria prot. 1045 del. 26 ottobre u.s., ove la fonte confidenziale (rimane tale per ragioni disicurezza personale, familiare e per la polizia giudiziaria. che lavora all'indagine) ha riferito che nell'area portuale di La Spezia vi è presente la motonave Latvia (ex KGB russo) e che tale imbarcazione dovrebbe essere preparata come è stato fatto per la Rigel e la Jolly Rosso e quindi destinata sui fondali marini come quest'ultime. Ancora la Latvia, se vengono rispettati i tempi di allestimento e caricamento della Jolly Rosso (dal 4 dicembre 1990 all'8 dicembre 1990) nell'arco di 4 giorni, risulterà pronta a salpare da La Spezia, con un carico non ben definito (rifiuti tossico-nocivi e/o radioattivi) per poi seguire la seguente rotta marittima: La Spezia-Napoli (porto)-stretto di Messina-Malta ritorno sulle coste ioniche (per affondamento).
        Risulta tappa importante il porto di Napoli, dove al carico di La Spezia dovrebbe essere aggiunto dell'altro (come accertato per la Jolly Rosso poi Rosso) e seguito in via strettamente riservata da persone di fiducia (uomini di fiducia del camorra napoletana legata al Di Francia e alla mafia sici1iana, che ha una ramificazione in La Spezia con un certo Giarusso)».
        Dunque, si iniziò ad indagare anche sulla Latvia, per le ragioni che emergono nelle informative appena riportate. In particolare, oggetto di attenzione fu il carico, la provenienza della nave, la sua destinazione nonché le ragioni della lunga permanenza presso il porto di La Spezia.
        È di tutta evidenza l'importanza che gli approfondimenti sulla Latvia avevano nell'ambito dell'inchiesta. Si trattava, infatti, di una nave che era possibile monitorare per così dire «in diretta» e che consentiva, quindi, di superare i vuoti conoscitivi attinenti alle altre navi delle quali si erano perse le tracce.
        Appare, quindi, del tutto credibile la circostanza emersa nell'ambito dell'inchiesta svolta dalla Commissione, secondo la quale il

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capitano De Grazia si sarebbe dovuto recare a La Spezia anche per effettuare indagini con riferimento alla predetta nave e per avere un contatto diretto con la fonte confidenziale che aveva già riferito informazioni in merito alla Latvia (cfr. informative appena riportate nonché paragrafo successivo nel quale si tratterà delle indagini che a La Spezia avrebbe dovuto effettuare il capitano De Grazia).
        Tale circostanza, invero, non risulta da alcun documento, ma è stata rappresentata alla Commissione da un soggetto il cui nome è rimasto segretato e che – all'epoca dei fatti – aveva collaborato con il Corpo forestale di Brescia.
        In data 15 dicembre 1995, due giorni dopo il decesso del capitano De Grazia, l'ispettore Tassi trasmise un fax alla procura circondariale di Reggio Calabria nel quale testualmente riferiva (doc. 634/1):
«In data odierna è stata accertata la partenza della motonave Latvia, avvenuta all'incirca verso la terza decina del Novembre u.s. per raggiungere il Porto di Ariga (Turchia). La Motonave è stata acquistata tramite il tribunale di La Spezia, da una Soc. Ciberiana la «Dido Steel Corporation S.A.» con sede in Brod Street Monrovia Liberia, Il trasporto è avvenuto o sta avvenendo a traino di un rimorchiatore denominato Kerveros di nazionalità Greca. Le pratiche sono state curate da una agenzia marittima spezzina».
        Lo stesso ispettore Tassi, nel marzo 1996, trasmise, sempre al sostituto procuratore dottor Neri, sette fotografie della motonave in questione (doc. 681/71):


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        Nell'ambito dell'indagine condotta dal dottor Neri gli approfondimenti relativi alla motonave Latvia furono esclusivamente quelli contenuti nelle due informative dell'ispettore De Podestà, sopra riportate, nonché la comunicazione dell'ispettore Tassi relativa all'avvenuta partenza della nave, collocata temporalmente alla fine di novembre (dopo il decesso del capitano De Grazia).
        Non può non sottolinearsi la peculiarità della vicenda, tenuto conto dei seguenti dati:
            nel pieno di indagini concernenti l'utilizzo di navi per lo smaltimento illecito di rifiuti tossici, vi era la possibilità di monitorare una nave, la Latvia, rispetto alla quale vi erano concreti indizi in merito al suo utilizzo per le predette finalità illecite;
            ebbene, nonostante la preziosissima fonte di informazioni, rappresentata dalla motonave in questione, non solo non risultano effettuate verifiche approfondite da parte degli ufficiali di polizia giudiziaria della zona, ma neppure risultano essere stati mai sentiti gli occupanti della nave;
            paradossale è poi che non sia stato predisposto un servizio di osservazione in merito agli spostamenti della nave.

1.1.10 Le indagini che a La Spezia avrebbe dovuto compiere il capitano De Grazia.

        La Commissione ha ritenuto di fondamentale importanza comprendere quale fosse l'oggetto specifico delle indagini che il capitano De Grazia, unitamente al maresciallo Moschitta e al maresciallo Francaviglia, avrebbe dovuto effettuare recandosi a La Spezia dal 12 dicembre 1995.


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        Deve sin d'ora sottolinearsi come questo approfondimento, teoricamente agevole in quanto erano state predisposte deleghe di indagine da parte del pubblico ministero procedente, si è rivelato nei fatti difficoltoso.
        La documentazione acquisita, costituita da ben sei deleghe, alcune delle quali conferite specificatamente ai militari in missione, non si è rivelata risolutiva in quanto le deleghe in questione sono state formulate in modo alquanto generico. Non è noto se per ragioni precauzionali e di riservatezza o per lasciare ampio margine di manovra agli ufficiali di polizia giudiziaria.
        Neppure chiarificatrici sono state le dichiarazioni rese sul punto da quegli stessi ufficiali che parteciparono alla missione in questione.
        Contradditorie, infine, sono state le informazioni acquisite dagli altri investigatori impegnati nell'indagine.
        Poco chiara è stata anche la vicenda attinente alla valigetta che il capitano De Grazia portava con sé, valigetta che non è stata mai sequestrata, ma solo affidata in custodia al maresciallo Moschitta e restituita, successivamente, al dottor Neri. Il contenuto della valigetta in questione non risulta mai inventariato essendo stata solo riportata genericamente (in un'annotazione di polizia giudiziaria) la presenza al suo interno di documenti attinenti all'indagine di cui al procedimento penale n. 2114/94 RGNR.
        La Commissione ha acquisito le copie delle sei deleghe di indagine emesse in data 11 dicembre 1995 dai magistrati di Reggio Calabria (sostituto F. Neri e procuratore F. Scuderi).
        Dall'analisi delle stesse si ricava che la prima era finalizzata all'escussione di Cesare Granchi e all'acquisizione in copia conforme di tutta la documentazione attinente ai rapporti commerciali e societari con Giorgio Comerio, con particolare riferimento a quelli concernenti la realizzazione del progetto ODM (doc. 681/87);
        La seconda era indirizzata al Presidente del tribunale di La Spezia, affinchè il capitano di corvetta De Grazia Natale e il maresciallo M. Moschitta Nicolò fossero autorizzati a visionare e estrarre copia degli atti del procedimento penale nr. 814/1986 (a carico Fuiano Gennaro + altri – Affondamento M/n Rigel) (doc. 681/87);
        La terza era indirizzata al procuratore della Repubblica presso il tribunale di La Spezia, affinchè il vice ispettore Tassi Claudio della Sezione di polizia giudiziaria del Corpo forestale dello Stato della procura della Repubblica di La Spezia – fosse autorizzato a svolgere le indagini delegategli nell'ambito del proc. pen. 2114/94». (doc. 681/87);
        Con la quarta si chiedeva al v. ispettore tassi di voler svolgere tutte le indagini già concordate nell'ambito del procedimento pen. 2114/94 anche fuori sede (doc. 695/16)
        Con le ultime due, indirizzate ai procuratori della Repubblica presso la pretura circondariale e presso il tribunale di Salerno, si richiedeva di consegnare al maresciallo Moschitta copia di tutti gli atti relativi agli accertamenti effettuati in merito allo spiaggiamento di un container, avvenuto a Positano nell'aprile del 1994, avente tracce di radioattività (Torio) e riferibile all'affondamento della motonave Marco Polo (doc. 681/87).

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        Dunque, le attività delegate sarebbero dovute consistere in parte nell'esame di atti processuali, in parte nel compimento di attività concordate precedentemente e non esplicitate nelle deleghe.
        Come già evidenziato, la Commissione ha ritenuto di audire tutti coloro in grado di fornire precisazioni in merito alle indagini da compiersi a La Spezia.
        In particolare, sono stati sentiti il maresciallo Moschitta, il carabiniere Francaviglia, il maresciallo Scimone, l'ispettore Tassi e un soggetto del quale non possono essere fornite le generalità per ragioni di segretezza.
        A fronte dell'importanza della missione, così come rappresentata dai magistrati e dagli stessi ufficiali di polizia giudiziaria, nessuno di essi è stato in grado di specificare in modo puntuale quali fossero effettivamente le attività da svolgere e per quale motivo il capitano De Grazia fosse diretto a La Spezia.
        Peraltro, a bene esaminare le dichiarazioni, le stesse risultano non solo generiche, ma anche in alcuni punti contraddittorie tra di loro.
        Formalmente, dalla delega acquisita il capitano De Grazia avrebbe dovuto esaminare gli atti processuali attinenti all'affondamento della motonave Rigel.
        Stando però le dichirazioni rese alla Commissione dalle persone sopra indicate, il capitano De Grazia avrebbe dovuto:
            sentire a sommarie informazioni alcuni componenti dell'equipaggio della Rosso;
            effettuare ulteriori approfondimenti in merito agli affondamenti sospetti di navi rilevati dai registri Lloyd's Adriatico;
            incontrare una fonte confidenziale già utilizzata dall'ispettore Tassi al fine di apprendere notizie in merito alla motonave Latvia, ormeggiata presso il porto di La Spezia.
        Anche il pubblico ministero Neri, nel verbale di sommarie informazioni rese al pubblico ministero Russo in data 9 aprile 1997 nell'ambito dell'indagine avviata in ordine al decesso del capitano De Grazia, ha affermato genericamente che «la missione a La Spezia aveva lo scopo di sentire testi presenti sulle navi affondate».
        In particolare: «il capitano era partito per La Spezia e Massa Carrara per sentire testi delle navi oggetto delle indagini. Lui stesso ci spiegò che vi era l'urgenza di fare questi accertamenti per evitare anche inquinamenti probatori e che completata questa fase investigativa fuori sede nel corso delle vacanze di Natale avrebbe avuto tutto il tempo di studiarsi le carte ed arrivare a punti conclusivi dell'indagine. I carabinieri che lo accompagnavano, Moschitta e Francaviglia, lo coadiuvavano in modo assiduo e costante essendo a conoscenza di ogni aspetto della indagine, trattandosi di un nucleo investigativo interforze appositamente da me costituito».
        In relazione alla missione a La Spezia il maresciallo Scimone è stato l'unico a dichiarare che originariamente alla missione avrebbe dovuto partecipare lui e non il capitano De Grazia. Nessun'altro tra gli inquirenti ha, infatti, accennato a tale circostanza.

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        In particolare, nel corso dell'audizione del 18 gennaio 2011, in merito alla suddivisione dei compiti ha dichiarato:
        «Sul viaggio a La Spezia c'erano due programmi: il mio di acquisire documentazione presso la dogana e quello di Moschitta, che avrebbe dovuto svolgere un'attività che stava seguendo lui e che in questo momento non ricordo di preciso. Doveva sentire forse qualcuno...(...) Se non ricordo male, doveva sentire delle persone in merito a un aspetto della vicenda che stava curando lui come Nucleo operativo. Io mi ero occupato invece della ricostruzione della Jolly Rosso e di un'altra nave, per cui era necessario acquisire queste bolle di carico, tra cui anche quelle della Rigel, come è stato fatto successivamente, perché dopo la morte di De Grazia sono andato a prendere questa documentazione».
        Secondo la versione del maresciallo Scimone fu lo stesso De Grazia a chiedere di recarsi a La Spezia al posto del maresciallo Scimone per l'esame della documentazione marittima presso la dogana, in quanto munito di competenze specifiche che avrebbero agevolato l'esecuzione della delega.
        In realtà, dopo la morte del capitano fu proprio il maresciallo Scimone ad acquisire la documentazione in questione presso la dogana di La Spezia, il che, evidentemente, dimostra che lo stesso disponeva delle competenze adeguate per svolgere questo tipo di attività.
        Il maresciallo non ha fatto alcun riferimento ad indagini interessanti la motonave Latvia.
        Partendo proprio da quest'ultimo dato si deve evidenziare come anche il procuratore di Paola Francesco Greco nel 2004 abbia cercato di comprendere quale fosse l'oggetto delle indagini che avrebbero dovuto essere compiute in quel periodo a La Spezia, senza riuscirvi compiutamente.
        In primo luogo va esaminata la posizione dell'ispettore Tassi, appartenente al Corpo forestale dello Stato ed applicato presso la sezione di polizia giudiziaria della procura di La Spezia.
        Il pubblico ministero Greco aveva convocato l'ispettore Tassi proprio per sapere se avesse portato a compimento la delega sopra indicata e l'oggetto della stessa. Sul punto l'ispettore Tassi ha risposto in primo luogo precisando di avere avuto la delega via fax in data 15 dicembre 1995 (dunque successivamente al decesso del capitano De Grazia) e, in secondo luogo, dichiarando di aver effettuato alcuni accertamenti, poi riassunti nell'annotazione del 29 febbraio 1996 (doc. 695/22). L'annotazione fu prodotta al pubblico ministero Greco in occasione dell'escussione dell'ispettore.
        Dalla lettura dell'annotazione, si evince che le attività richieste all'ispettore Tassi erano relative all'accertamento di utenze telefoniche riferibili alla compagnia di navigazione Ignazio Messina.
        Tuttavia nell'annotazione si fa riferimento espresso alla delega della procura di Reggio Calabria nella quale era stati disposti accertamenti in Livorno, Arezzo e Casale Monferrato. Di talchè l'annotazione prodotta al dottor Greco non sembra riconducibile alla delega dell'11 dicembre 1995, bensì ad altra delega contenente richieste di accertamenti specifici relative ad utenze telefoniche da eseguirsi anche nelle città menzionate.

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        Peraltro, lo stesso Tassi, nel verbale di sommarie informazioni reso davanti al pubblico ministero Greco il 24 maggio 2005 (doc. 695/22), nel produrre l'annotazione in parola, ha specificato di «ritenere» che quella annotazione contenesse la risposta alla delega dell'11 dicembre 1995, senza esprimersi in termini di certezza.
        Pare strano, in ogni caso, (laddove la delega dell'11 dicembre si fosse riferita effettivamente ad accertamenti su utenze telefoniche in vista di eventuali operazioni di intercettazione) che le attività siano state compiute in un lasso di tempo così ampio (due mesi e mezzo).
        L'ispettore Tassi, a differenza di quanto ha voluto far credere nel corso delle audizioni in Commissione, era pienamente coinvolto nelle indagini, tanto che il procuratore Neri aveva richiesto per iscritto l'11 dicembre 1995 al procuratore della Repubblica presso il tribunale di La Spezia che fosse autorizzato a svolgere le indagini delegategli nell'ambito del procedimento penale 2114/94. (doc. 681/87).
        La richiesta di autorizzazione, come sopra evidenziato, rientra fra le sei deleghe che Neri aveva consegnato al capitano De Grazia, il giorno prima della sua partenza per La Spezia. Ad ulteriore sostegno di quanto esposto, vi è l'altra delega, tra le sei consegnate a De Grazia, indirizzata specificatamente al vice ispettore Tassi nella quale gli si chiedeva espressamente «di voler svolgere tutte le indagini già concordate nell'ambito del procedimento pen. 2114/94 anche fuori sede» (doc. 695/16).
        Il riferimento alle indagini già concordate presuppone inequivocabilmente l'esistenza di pregressi rapporti investigativi nonché l'esigenza di non rendere esplicito l'oggetto della delega per ragioni di riservatezza e anche di tutela delle persone che si occupavano delle indagini (cfr. capitolo due).
        Nel corso dell'inchiesta la Commissione ha verificato che il Corpo forestale dello Stato di Brescia si avvaleva di fonti confidenziali, una delle quali aveva come immediato referente – secondo quanto dichiarato dagli stessi ufficiali del Corpo forestale dello Stato di Brescia – l'ispettore Tassi.
        Nel corso delle audizioni in Commissione quest'ultimo ha riferito che le indagini che avrebbero dovuto compiere il capitano De Grazia a La Spezia erano costituite dall'assunzione di informazione di alcuni componenti dell'equipaggio della motonave Rosso, in particolare gli ufficiali Zanello e Zembo, che lo stesso tassi avrebbe dovuto escutere unitamente al capitano.
        Nessun riferimento è stato fatto dal Tassi alla vicenda della motonave Latvia della quale ha parlato in Commissione una fonte confidenziale affermando:
        «(...) sulla nave di Capo Spartivento il capitano De Grazia doveva venire a La Spezia a conferire con me e con Tassi con riferimento ad un'altra nave, la Latvia, ex nave del KGB sovietico che era ormeggiata a fianco di una struttura della marina militare nell'area del San Bartolomeo. Poi, questa nave è stata monitorata. (...) Questa nave era stata poi acquistata da una società fatta a La Spezia, non ricordo il nome ma non è difficile recuperarlo, (...) È stata ormeggiata alcuni mesi sulla diga foranea a La Spezia. (...) questa nave era rimasta

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ormeggiata prima ad un molo prospiciente il comando Nato dell'Alto Tirreno a La Spezia, quindi nell'area del San Bartolomeo proprio sotto la discarica Pitelli ed era stata acquistata da una società costituita da alcuni industriali e altri di La Spezia (...)
        Non poteva prendere il mare, era smantellata e priva di equipaggio.
        Poi, improvvisamente, questa nave dopo la costituzione di questa società che aveva recuperato questa nave come rottame, ha preso il largo trainata da un rimorchiatore che credo fosse turco ed è arrivata in Turchia. Voci dicevano che fosse stata riempita, non riempita, ma che fosse stato immesso del materiale particolare sulla nave prima della sua fuoriuscita dalla rada di La Spezia. Questo era uno dei lavori che abbiamo fatto io e l'ispettore Tassi del Corpo forestale».
        La nave probabilmente era stata caricata con del mercurio rosso radioattivo e il sospetto era che i rifiuti fossero stati buttati in mare.
        La nave pare l'abbiano poi demolita ad Ariga.
        Il Presidente nel corso dell'audizione ha richiesto insistentemente all'audito da chi avesse appreso quelle notizie. L'audito ha risposto che si trattava di «voci» acquisite nell'ambiente dei trasportatori e di tutti coloro che ruotano nel mondo dei rifiuti.
        Si è trattato evidentemente di una risposta evasiva soprattutto alla luce di quanto successivamente riferito dall'audito in merito all'attività che lui personalmente svolse con riferimento alla Latvia. In particolare ha dichiarato di essere salito sulla nave, di averla visionata, di avere pagato per questo un membro dell'equipaggio.
        Ha poi affermato che il capitano De Grazia avrebbe dovuto visionare la Latvia ma l'incontro non è avvenuto per la prematura morte del capitano De Grazia. Testualmente ha dichiarato:
        «Questo è un periodo che mi ricordo abbastanza bene in quanto eravamo rimasti piuttosto allibiti sul fatto che il capitano – che era anche uno sportivo da quello che mi veniva detto, perché io non l'ho mai conosciuto il personaggio – fosse morto e la cosa non mi era piaciuta assolutamente. Già questo aveva dato un forte rallentamento a quello che si poteva fare, parlo dei rapporti fra me e Tassi: Poi credo che Tassi abbia avuto dei problemi con Brescia, con la struttura del Corpo forestale di Brescia, per questioni loro sulle quali non sono mai andato ad indagare perché non erano fatti che riguardavno me. Io ho continuato a sentire De Podestà (...) ho rivisto Tassi, mi aveva detto lui, questo credo lo possa confermare, che la nave era arrivata ad Ariga in Turchia e addirittura c'era il gruppo sommergibili di La Spezia – due sommergibili della classe costiera che dovevano seguire la nave per un certo percorso per vedere se aveva contatti con l'esterno con mezzi di superficie o se buttasse qualcosa a mare.
        Tuttavia per un disguido, che non ho mai capito quale fosse stato, non ero io che tenevo i rapporti tra gruppo di sommergibili e tutta la struttura di intercettazione ma era evidentemente il corpo forestale. La nave è praticamente scappata, il rimorchiatore è arrivato ed in sei ore ha agganciato.... Ha ancorato la nave con i cavi, la nave miracolosamente si è raddrizzata dallo sbandamento ed è uscita»
        Evidenti sono le discrepanze tra quanto dichiarato da Tassi e quanto riferito invece dalla fonte confidenziale.

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        Deve, infatti, sottolinearsi che la motonave Latvia era effettivamente oggetto di indagini da parte della procura circondariale di Reggio Calabria, tenuto conto delle informative già redatte dagli ufficiali del Corpo forestale dello Stato di Brescia nelle quali si dava conto di una serie di evidenti anomalie che suscitavano l'interesse investigativo sulla motonave.
        Di sicuro rilievo è che la fonte audita abbia avuto la possibilità, secondo quanto dichiarato, di salire sulla motonave versando denaro a membri dell'equipaggio non meglio identificati.
        Non è stato chiarito in alcun modo quali soldi fossero stati impiegati per questa operazione e dunque se sia stato utilizzato denaro personale della fonte o denaro messo a disposizione dagli investigatori.
        Nessun riferimento ad accertamenti riguardanti la motonave Latvia è stato fatto dal maresciallo Moschitta nel corso delle due audizioni del 2010 avanti alla Commissione. Lo stesso, infatti, ha riferito:
        «Stavamo andando a La Spezia ad acquisire la documentazione in merito alla Rigel, la nave affondata a Capo Spartivento. Tale documentazione era di interesse perché il processo di La Spezia aveva sancito che sul trasporto di quella nave erano state pagate dazioni ed era stato coinvolto personale della dogana e della Rigel circa il carico. Era necessario e importante avere con noi questi documenti per poi proseguire, se non erro, per Como o per un'altra destinazione per sentire altri eventuali testimoni, con tanto di delega del magistrato».
        Ancora più generiche sono state le dichiarazioni sul punto da parte del carabiniere Rosario Francaviglia, rese in data 1o agosto 2012:
        «In data 12 dicembre 1995, insieme al maresciallo Moschitta e al capitano di corvetta Natale De Grazia, alle ore 18.50 siamo partiti a bordo di un'autocivetta per portarci a La Spezia, dove dovevano essere sentite delle persone per l'indagine. (...) Ricordo che si trattava di persone che facevano parte dell'equipaggio di una nave che era stata affondata, della Rigel se non ricordo male. (...) Quello che veniva deciso era condiviso soltanto da noi del pool; nessuno veniva informato. In quel periodo, avevamo anche la delega nominativa con divieto di riferire, anche gerarchicamente, sulle indagini e su ciò che facevamo, tanto che sui fogli di viaggio mettevamo varie regioni d'Italia, come destinazione, non dichiaravamo che stavamo andando a La Spezia o altrove».

1.1.11 Gli sviluppi investigativi in relazione alla Somalia.

        Il mese di novembre 1995 fu denso di attività investigative in quanto:
            erano in corso gli accertamenti sulla Rigel e sulla Jolly Rosso. In particolare, per quanto riguarda la Rigel, è stato riferito che il capitano De Grazia avesse individuato le coordinate precise del luogo di affondamento della nave (cfr. quanto dichiarato dal magistrato Nicola Maria Pace nel corso dell'audizione del 20 gennaio 2011);


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            con riferimento alla Jolly Rosso erano state programmate attività finalizzate ad identificare e a sentire a sommarie informazioni componenti dell'equipaggio nonché a ricostruire le varie fasi dello spiaggiamento e dello smantellamento del relitto;
            con riferimento alla motonave Latvia erano state acquisite informazioni di notevole rilevanza nel contesto investigativo tanto che (secondo quanto emerso nel corso dell'inchiesta svolta alla Commissione) il capitano De Grazia, una volta giunto a La Spezia, avrebbe dovuto acquisire direttamente informazioni;
            sempre nello stesso periodo gli investigatori iniziarono a trovare sempre più riscontri agli elementi ricavati dalla documentazione sequestrata a Giorgio Comerio nel maggio 1995, con riferimento anche alla Somalia, che già da tempo figurava quale luogo di destinazione di rifiuti tossici provenienti da diversi paesi.
        Il raccordo tra lo smaltimento di rifiuti tossici e la Somalia emerse ufficialmente, per quanto risulta alla Commissione, in data 2 dicembre 1995, allorquando il Corpo forestale di Brescia informò la procura circondariale di Reggio Calabria che, in data 11 novembre 1995, Ali Islam Haji Yusuf, membro dell'Autorità del servizio mondiale per i diritti umani di Bosaaso aveva segnalato che «al largo della città di Tohin, del distretto di Alula, nella regione del Bari, due navi sconosciute stavano effettuando una operazione insolita, valea dire che mentre una scavava sui fondali del mare, l'altra seppelliva in dette buche dei containers dal contenuto sconosciuto. Tale operazione stava creando tensione fra la popolazione locale».
        Tale documento era pervenuto al Corpo forestale dello Stato da Greenpeace.
        La comunicazione del Corpo forestale era di sicuro rilievo in quanto tra i documenti sequestrati a Comerio ve ne erano alcuni attinenti in modo specifico alla Somalia, contenuti in apposita cartellina recante la scritta «Somalia».
        Tali dati risultano compendiati nell'informativa 22 gennaio 1996 (cui si rimanda), redatta dal comandante provinciale – R.O.N.O. di Reggio Calabria, Antonino Greco (doc. 681/62), nella quale si fa riferimento a documentazione sequestrata a Comerio dalla quale si desumeva l'esistenza di trattative avviate per operazioni di smaltimento di rifiuti da realizzarsi in zone coincidenti con quelle in cui stavano operando le navi segnalate da Ali Islam Haji Yusuf. L'informativa, sebbene trasmessa dopo la morte del capitano De Grazia, dà conto di informazioni già acquisite precedentemente e, quindi, va intesa come riferita ad attività di indagine effettuate prima del decesso del capitano De Grazia.
        Pare doveroso evidenziare anche in questa sede che gli elementi complessivamente raccolti in ordine ai singoli indagati ed in particolare a Giorgio Comerio evidentemente non sono stati ritenuti sufficienti a formulare precise accuse né nei confronti di Comerio né nei confronti degli altri indagati, tanto che il procedimento si è concluso con una richiesta di archiviazione accolta dal Gip.
        Il tema relativo alla Somalia, come è noto, è stato ed è ancora oggi oggetto di numerosi approfondimenti in quanto le regioni del

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nord Africa – sulla base di dati investigativi anche recenti – sembrano essere la sede privilegiata di destinazione di rifiuti altamente tossici.
        Tuttavia, l'ipotesi secondo la quale in Somalia sarebbero giunti in quegli anni navi cariche di rifiuti radioattivi ed interrati in loco non ha avuto sinora un riscontro probatorio in ambito giudiziario.
        Con riferimento alla documentazione sequestrata a Comerio occorre evidenziare un altro dato emerso nel corso dell'inchiesta: nella cartellina riportante la scritta «Somalia» erano contenuti una serie di documenti tra cui anche uno concernente la morte di Ilaria Alpi.
        Il procuratore Neri, nel corso dell'audizione avanti alla Commissione ha ribadito di aver visto – tra gli atti sequestrati a Comerio – il certificato di morte di Ilaria Alpi. Tale certificato, peraltro, non è stato mai ritrovato all'interno del fascicolo e quindi – secondo quanto dichiarato dal magistrato – sarebbe stato verosimilmente trafugato.
        Questa specifica vicenda ha avuto già sviluppi processuali, non essendo stata confermata la notizia che effettivamente nel fascicolo vi fosse tale documento (vi è stato un procedimento penale a carico dello stesso magistrato per falsa testimonianza).
        Il dato incontroverso è che all'interno della cartellina in questione, dedicata alla Somalia, vi fosse un documento in qualche modo attinente alla morte di Ilaria Alpi, documento che secondo il maresciallo Scimone sarebbe consistito in una notizia Ansa.
        Resta in ogni caso significativo che all'interno di una cartella intitolata «Somalia», nella quale erano contenuti documenti concernenti lo smaltimento di rifiuti tossici e contatti con esponenti somali, vi fosse un atto riguardante la morte della giornalista, in un'epoca in cui ancora nessun potenziale collegamento era stato ipotizzato tra la morte della stessa e il traffico di rifiuti.
        Si riportano le dichiarazioni del maresciallo Scimone sul punto:
        «Ho anche sentito dire una cosa stranissima: che il comandante De Grazia avrebbe trovato tra gli atti di Comerio il certificato di morte di Ilaria Alpi. Non mi risulta. (...) Non era il certificato di morte di Ilaria Alpi perché sapete bene che il certificato di morte non è stato redatto in Somalia: Ilaria Alpi fu portata su una nave italiana e il primo certificato di decesso è stato fatto dal medico della nave. Credo che poi il comune di Roma abbia redatto l'ultimo certificato. Comerio aveva una «fascetta», la notizia Ansa della morte di Ilaria Alpi, che De Grazia aveva trovato mentre cercavamo nelle carte e che mi aveva fatto vedere. Era una notizia Ansa, non un certificato di morte. (...) Era un fascicolo della Somalia. Lui aveva dei fascicoli tra cui questo, Somalia, in cui c'erano tutte le proposte di smaltimento dei rifiuti, i suoi progetti, i contatti con i vari ministri, roba di questo genere e c'era questa striscia».
        Va sottolineato che, man mano che l'indagine acquisiva maggiore consistenza, sarebbe stata naturale un'intensificazione ed accelerazione delle attività investigative, che, peraltro, fino a quel momento, si erano svolte regolarmente.
        Viceversa, deve prendersi atto che fu proprio quello il momento in cui si assistette, non solo ad un rallentamento dell'attività di indagine, ma anche al disfacimento del gruppo investigativo costituito dagli ufficiali di polizia giudiziaria appartenenti a diverse forze dell'ordine, che fino a quel momento avevano collaborato con il dottor Neri.

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        Il decesso del capitano De Grazia deve essere inserito in questo preciso contesto investigativo ed analizzato unitamente agli eventi immediatamente precedenti e successivi al decesso.
        Prima di approfondire la fase regressiva dell'indagine occorre necessariamente soffermarsi sul rapporto di collaborazione tra la procura di Reggio Calabria e i servizi segreti, di cui il dottor Neri ha dato ampiamente conto anche nel corso delle audizioni.

1.1.12 La collaborazione tra la procura di Reggio Calabria e i servizi segreti.

        Una delle peculiarità dell'indagine condotta dal dottor Neri fu certamente quella della costante interlocuzione con il Sismi al quale vennero richieste informazioni e documenti sia su Comerio sia, più in generale, su tutti i temi oggetto di inchiesta (traffico di rifiuti radioattivi, traffico di armi, affondamenti di navi).
        Come si legge nella relazione sullo stato delle indagini inviata dal dottor Neri al procuratore Capo in data 26 giugno 1995 (doc. 362/3), l'importanza della documentazione sequestrata a Giorgio Comerio (nella quale figuravano soggetti come Galli, Pazienza e Kassoggi) consentì alla procura di autorizzare la polizia giudiziaria impegnata nell'indagine ad avvalersi dell'ausilio del Sismi, che fornì «ben 277 documenti sul Comerio a conferma della pericolosità di detto soggetto e a riprova della bontà della ipotesi investigativa seguita».
        La documentazione acquisita venne studiata sia dalle forze di polizia giudiziaria che dal Sismi.
        Riguardo l'inizio della collaborazione, il dottor Neri riferì al pubblico ministero Russo, nell'aprile 1997:
        «Ricordo che unitamente al collega Pace della procura circondariale di Matera comunicammo al Capo dello Stato che le indagini potevano coinvolgere la sicurezza nazionale, inoltre poiché fatti di questo tipo potevano essere a conoscenza del Sismi ancor prima dell'ingresso del capitano De Grazia nelle indagini chiese al direttore del servizio di trasmettermi copia di tutti gli atti che potevano riguardare il traffico clandestino di rifiuti radioattivi con navi. A dire il vero il Servizio molto correttamente mi trasmise degli atti tramite la polizia giudiziaria. In particolare il passaggio degli atti avvenne tramite il maresciallo Scimone appositamente delegato a ciò da me. Il maresciallo Scimone faceva parte del gruppo investigativo da me diretto e teneva i contatti con il Sismi. Il capitano De Grazia era a conoscenza di ciò, cioè sapeva dei contatti istituzionali di Scimone con il Sismi per la acquisizione delle notizie che chiedevamo. Ogni attività di rapporto con il Sismi è formalizzata in specifici atti reperibili nel processo.»
        Sui rapporti con il Sismi ha riferito anche il maresciallo Moschitta nel corso delle due audizioni rese avanti alla Commissione (l'11 marzo e l'11 maggio 2010):
        «Un giorno mi presento al Sismi e sequestro un documento, con tanto di provvedimento del magistrato. Ho trovato grande collaborazione nel generale Sturchio, il capo di gabinetto. Mi chiese se volessi


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il tale documento e me lo dettero tranquillamente. (...) Chiedevamo se avevano qualcosa su Giorgio Comerio. Il primo documento che emerse mostrava che Giorgio Comerio era colui il quale aveva ospitato in un appartamento, non so se di sua proprietà, a Montecarlo l'evaso Licio Gelli.
        Da lì comincia il nostro rapporto con i servizi segreti, i quali ci hanno veramente fornito molto materiale. Si è sempre collaborato benissimo, apertamente e senza problemi, tanto che nell'edificio della procura distrettuale di Reggio Calabria avevano approntato per loro anche un piccolo ufficio per esaminare documentazioni nostre ed eventualmente integrarle (...) i servizi segreti, il Sismi, hanno lavorato con noi. Il primo impatto che ho avuto con i servizi segreti è stato a seguito di un decreto di acquisizione di documenti presso il Sismi. Sono andato personalmente ad acquisire un documento a carico di Giorgio Comerio, titolare della ODM, oramai noto nell'inchiesta. In modo particolare, si trattava della fuga di Licio Gelli da Lugano fino al suo rifugio segreto nel principato di Monaco. Ci risulta che la casa in cui era ospitato Licio Gelli era di Giorgio Comerio. In seguito, i servizi segreti sono entrati ufficialmente con noi nell'indagine perché esaminavano la documentazione, d'accordo con la magistratura. In effetti, è stata una collaborazione corretta, leale e senza problemi».
        La collaborazione tra procura e Sismi proseguì anche dopo che il fascicolo fu trasmesso alla direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, come si evince dal provvedimento con il quale il sostituto procuratore dottor Alberto Cisterna, divenuto titolare dell'indagine, autorizzò la polizia giudiziaria «ad avvalersi dell'ausilio informativo del Sismi» per il tramite di persone nominativamente indicate appartenti all'ottava divisione (doc. 681/39).
        Quello sopra descritto fu il rapporto «formale» tra procura e servizi segreti, in merito alle indagini sulle cd navi a perdere.
        È stato, inoltre, prospettato alla Commissione, ma non è stato acquisito alcun riscontro al riguardo, un ulteriore ipotetico interessamento dei servizi all'indagine svolta dal dottor Neri attraverso il controllo delle attività poste in essere dalla procura e dagli ufficiali di polizia giudiziaria.
        Proprio con riferimento a quest'ultimo punto si evidenziano le dichiarazioni rese da Rino Martini alla Commissione, in data 17 febbraio 2010, allorquando ha dichiarato:
        «In quel periodo, si verificarono due episodi, uno dei quali ricordato dal procuratore Pace. Per una settimana siamo stati filmati da un camper parcheggiato di fronte alla caserma in cui operavo. Una sera in cui erano stati invitati anche altri magistrati, avevamo deciso di recarci in una bettola sul Maddalena, che non è frequentata da nessuno durante la cena perché è aperta solo di giorno, e dieci minuti dopo il nostro arrivo attraverso una strada nel bosco è arrivata un'altra autovettura e si sono presentati a cena due ragazzi di trent'anni, che hanno lasciato la macchina nel parcheggio. Siamo usciti per primi e, attraverso due sottufficiali dei Carabinieri di Reggio Calabria presenti, dalla targa dell'autovettura siamo risaliti al proprietario: il Sisde di Milano. Non ho altri episodi da raccontare. Certamente, c'era un controllo telefonico e attività ambientali di verifica su come ci muovevamo.»

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        Come specificato dall'ex colonnello, su domanda della Commissione, riguardo a questa presunta attività di controllo, lo stesso aveva semplicemente formulato un'ipotesi, senza avere alcun riscontro.
        Riguardo poi alla vicenda del camper, il colonnello ha specificato che le verifiche effettuate non hanno portato a risultati di alcun tipo:
        «Dal pubblico registro automobilistico non abbiamo trovato nulla di interessante e abbiamo preferito mantenere un basso profilo per cercare di capire come avvenissero questi controlli. Sicuramente, non apparteneva a nessuno degli abitanti del posto, perché di fronte ci sono ville residenziali. All'interno comunque non c'era nessun operatore, ma era piazzata una telecamera.(...) puntata verso l'ingresso».
        Circa 20 giorni dopo la sua audizione, il colonnello Martini ha trasmesso alla Commissione un appunto relativo al secondo dei due episodi sopra riferiti, aggiungendo ulteriori dettagli.
        Si riporta il contenuto del documento trasmesso (doc. 304/1):
        «Con riferimento alla lettera sopracitata riguardante l'episodio della presenza delle due persone come riferito nell'audizione, preciso quanto segue.
        Il punto di ritrovo serale per un certo periodo è stato l'Antica Birreria alla Bornata di V.le Bornata, 46 Brescia (ex Wurer), ma per la presenza di soggetti che frequentavano la trattoria alla stessa ora (mai la stessa) avevamo deciso di individuare un altro punto di ritrovo.
        A questo posto si arriva attraverso una strada sterrata di qualche centinaio di metri all'interno del bosco della Maddalena (collina adiacente alla città di Brescia) e dopo aver lasciato l'autovettura in un parcheggio si percorrono a piedi 200-300 metri.
        A quel tempo l'Osteria era denominata Briscola (Via Costalunga 18/4) ed alla sera era aperta su prenotazione.
        Dopo circa 30 minuti sono arrivate due persone ben vestite e di età sui 35 anni. Naturalmente io e gli altri presenti siamo usciti dopo pochi minuti ed abbiamo così potuto prendere la targa della seconda autovettura parcheggiata.
        Per poter ricostruire l'episodio ho chiesto al Coordinamento del Corpo forestale dello Stato di Brescia di verificare se i fogli di viaggio di quel periodo erano ancora in loro possesso per determinare la data del fatto.
        Ho poi contattato il dottor Nicola Pace, procuratore della procura di Brescia, che mi ha riferito che probabilmente non era presente in quel periodo quindi mi sono messo in contatto col dottor Francesco Neri, consigliere della procura generale di Reggio Calabria. Il contatto è avvenuto il 1o marzo 2010 in tarda mattinata.
        II dottor Neri invece ricorda perfettamente l'episodio e lui stesso all'epoca aveva chiesto ai suoi collaboratori, sottoufficiali dei Carabinieri di verificare l'appartenenza dell'autovettura.
        Dopo due giorni mi è stato riferito che l'autovettura era in carico ai servizi civili di Milano. Alla fine dell'anno 1995 tutta la documentazione riguardante l'indagine è stata trasferita alla procura della Repubblica di Reggio Calabria ed a Brescia presso il Nucleo sono rimaste le pure annotazioni senza allegati».

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1.1.13 Gli approfondimenti della Commissione sulle attività svolte dai servizi sui traffici di rifiuti tossici.

        Oltre al sopra descritto rapporto di collaborazione e scambio di informazioni tra la procura di Reggio Calabria e il Sismi, nell'ambito degli approfondimenti svolti dalla Commissione è emerso un ulteriore profilo di intervento dei servizi segreti nella materia riguardante il traffico dei rifiuti radioattivi e tossico nocivi e il traffico di armi.
        Ciò emerge dalla documentazione acquisita dalla Commissione riferita al medesimo periodo in cui erano in corso le indagini del dottor Neri.
        In particolare, è stato acquisito un documento proveniente dal Copasir, archiviato dalla Commissione con il n. 294/55, relativo ad una comunicazione del Sismi indirizzata al Cesis in merito alle spese sostenute nell'anno 1994 per i servizi di intelligence connessi al problema del traffico illecito di rifiuti radioattivi e di armi, indicati nella misura di 500 milioni di lire.
        Si tratta di un documento desecretato dalla Commissione particolarmente interessata a comprendere in che modo fossero stati utilizzati i 500 milioni di lire nelle operazioni di intelligence relative al traffico di rifiuti e di armi.
        Sul punto la Commissione ha svolto numerose audizioni sentendo gli appartenenti ai servizi che all'epoca risultavano essersi occupati della materia ed acquisendo numerosi documenti provenienti dai servizi stessi, coperti da segreto.

1.2 Il clima di intimidazione nel corso delle indagini.

        Nel corso dell'inchiesta alla Commissione sono state rappresentate – sia dai magistrati che dagli ufficiali di polizia giudiziaria impegnati nell'indagine – talune difficoltà operative legate, in taluni casi, a problemi burocratici e organizzativi, in altri, all'esistenza di un clima di intimidazione percepito nitidamente dagli investigatori in più di un'occasione.
        Sotto il primo profilo, si segnala che il capitano De Grazia, dopo essere stato applicato presso la procura di Reggio Calabria per collaborare con il dottor Neri nelle indagini sulle navi a perdere, era andato incontro a difficoltà operative, non essendo stato dispensato dallo svolgimento delle ordinarie incombenze del suo ufficio e ciò nonostante l'impegno particolarmente intenso che l'indagine giudiziaria richiedeva.
        Risulta inoltre che, ad un certo momento, il capitano De Grazia fu richiamato dall'ufficio di appartenenza e che i magistrati dovettero reiterare per iscritto la richiesta di applicazione dell'ufficale in procura, definendo non solo importante il suo apporto, ma indispensabile.
        Sul punto si è espresso il maresciallo Moschitta, audito dalla Commissione in data 11 marzo 2010:
        «(...) quando le indagini arrivavano a un picco, e quindi stavamo mettendo le mani su fatti veramente gravi, coinvolgenti anche il livello


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della sicurezza nazionale...(...) A un certo punto De Grazia non venne più a effettuare le indagini con noi, perché il suo comandante l'aveva bloccato.(...) Se non erro, era il colonnello Maio o De Maio, non ricordo bene. Era il comandante della Capitaneria di porto di Reggio Calabria. De Grazia mi chiamò e mi riferì che non poteva più venire, perché il suo comandante gli aveva mostrato un foglio matricolare... (...) Mi chiese se potevo parlare col giudice in modo che scrivesse un'altra lettera per poterlo reinserire nelle indagini. Accettai e promisi di parlarne col dottor Neri. Quest'ultimo scrisse un'altra lettera di incarico di indagini affermando che De Grazia non era solo necessario, ma indispensabile per la prosecuzione delle indagini. Solo così è ritornato con noi a lavorare. (...) Una volta morto lui, ci siamo un po’ fermati. Io sono stato male e anche il giudice Neri ha avuto problemi pressori».
        A parte questo, devono essere richiamati altri episodi percepiti dagli inquirenti quali presunte forme di controllo e di intimidazione nel'ambito delle indagini.

1.2.1 Le dichiarazioni rese dagli ufficiali di polizia giudiziaria del gruppo investigativo coordinato dal dottor Neri e dal dottor Pace.

        È stato riferito alla Commissione che nel corso delle indagini si sarebbero verificati diversi episodi (in particolare pedinamenti) che avevano destato preoccupazione e che erano stati interpretati dagli inquirenti come tentativi di intimidazione diretti sia nei confronti dei magistrati titolari delle indagini sia nei confronti della polizia giudiziaria delegata.
        In proposito, sono state raccolte le testimonianze dei diretti interessati nonché le annotazioni di servizio redatte dall'epoca dei fatti.
        Sia il maresciallo Moschitta che il carabiniere Francaviglia, sentiti il 9 aprile 1997 dal pubblico ministero Russo (titolare dell'indagine avviata in riferimento al decesso del capitano De Grazia), hanno riferito in merito al clima che si respirava nel corso delle indagini ed al fatto che, nel corso di alcune missioni alle quali avevano partecipato, erano stati seguiti.
        Il maresciallo Moschitta, in particolare, ha dichiarato:
        «confermo le relazioni di servizio anche a mia firma in merito a pedinamenti effettuati da ignoti nei nostri confronti in particolare durante il viaggio a Savona, a Firenze e a Roma nel mese di febbraio 1995, all'inizio delle indagini. Oltre a questi episodi ci sono state anche altre circostanze che ci hanno fatto credere seriamente di essere sotto controllo da parte di qualcuno per le indagini che stavamo svolgendo. In particolare, ricordo che vi fu uno strano episodio relativo alla forzatura della porta dell'ufficio del dottor Neri e vi sono altresì state delle occasioni nelle quali il personale della scorta e della tutela ha avuto l'impressione che alcune persone ci seguissero».
        Negli stessi termini si è espresso il carabiniere Francaviglia nel verbale di sommarie informazioni testimoniali effettuato il medesimo giorno.


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        Il maresciallo Moschitta ha poi riferito a questa Commissione, nel corso delle audizioni dell'11 marzo e dell'11 maggio 2010, ulteriori episodi che avevano destato preoccupazione, verificatisi fin dall'inizio delle indagini.
        Si riportano alcuni passi delle dichiarazioni rese:
        «il muro di gomma su cui inevitabilmente andava a cozzare l'attività degli inquirenti e della polizia giudiziaria ha rappresentato il principale ostacolo da abbattere per poter entrare nei meandri del fenomeno in esame. È sembrato che forze occulte di non facile identificazione controllassero passo passo gli investigatori nel corso delle diverse attività svolte. In effetti, sentivamo che c'era qualcosa. Qualcuno ci pedinava, però nessuno si manifestava. L'unico dato certo è emerso a Roma (...)»
        «Dopo aver interrogato un funzionario dell'Enea, che in quel momento avevamo chiamato Bill per evitare la divulgazione del suo nome, siamo andati ad alloggiare presso l'albergo Ivanhoe di Roma. Ebbene, stranamente le nostre schede – la mia, quella del giudice Neri, dell'autista e di altri colleghi, eravamo in cinque – non erano ritornate, come accadeva di solito, dal visto del commissariato. Io stesso sono stato chiamato dall'allora addetto alla reception che mi chiese ragione di questa circostanza. Risposi che non ne sapevo nulla e chiesi se fosse normale. L'addetto disse che non era normale, ma che poteva esserlo data l'occasione. A quel punto, noi che avevamo svolto quell'attività ci siamo preoccupati, intanto di preservare il magistrato che era con noi (Francesco Neri) (...) ad un certo punto lo abbiamo accompagnato di peso, perché lui non voleva andarsene, presso l'aeroporto di Ciampino e lo abbiamo fatto imbarcare alla volta di Reggio Calabria.
        Il dottor Neri non ci voleva lasciare. Mi ha fatto promettere che nel viaggio di ritorno – avevamo altre attività da svolgere, ma considerata la situazione abbiamo interrotto le operazioni e ce ne siamo andati – avremmo seguito un itinerario diverso da quello di andata. (...). In quel momento eravamo molto preoccupati (...). In seguito, non abbiamo avuto più notizie di questa vicenda.
        A Savona o a Firenze abbiamo avuto la sensazione che delle persone con degli automezzi ci stessero sempre vicino. Una volta me ne accorgevo io, una volta se ne accorgeva la tutela del dottor Neri, una volta se ne accorgeva l'autista. In pratica, ci sembrava di essere all'attenzione di persone che non conoscevamo. In quei casi, cercavamo di sottrarci alla loro vista, al loro controllo e adottavamo le misure più elementari possibili per sfuggire.
        A parte l'episodio di Roma, le altre situazioni sono derivate da nostre impressioni. Tuttavia – attenzione –, parlo di impressioni di investigatori, non di falegnami o baristi. Capivamo che qualcosa attorno a noi non quadrava.
        Infatti, appena arrivati a Savona, che è stata la nostra prima meta, il dottor Landolfi, sostituto procuratore della procura della Repubblica, ci disse che i telefoni già riferivano che il dottor Neri era in Liguria. In pratica, egli aveva dei telefoni di mafiosi calabresi sotto controllo, dunque sapeva che questi signori parlavano della presenza del dottor Neri a Savona.

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        Nel corso del tempo, al dottor Neri è stato assegnato un ufficio alla procura circondariale, la cui porta venne forzata, anche se non fu sottratto nulla.
        Inoltre, sono successi tanti altri avvenimenti, di cui la sua tutela, l'agente Luigi Bellantone, può riferire. Vi riporto l'esempio più recente. Ad un certo punto, siamo stati convocati dal GIP di Roma per la querela sporta nei nostri confronti da parte di Ali Mahdi, il signore della guerra ed ex presidente della Somalia. Egli affermava che non era vero quanto da noi riferito alla I Commissione circa i rapporti tra Comerio ed Ali Mahdi. Invece, vi era una gran quantità di documentazioni ufficiali in merito che abbiamo sequestrato a Comerio e prodotto in tutte le sedi.
        In occasione di questo viaggio, all'aeroporto di Ciampino, all'uscita del volo per Reggio Calabria, abbiamo notato due persone. Io ero già in pensione, non avevo nulla in mano, solo un portavaligie e ho pensato che all'occorrenza sarei potuto intervenire servendomi di quello.
        Come ho detto, abbiamo notato la presenza di due persone che fissavano sia il dottore Neri che il suo legale di fiducia, l'avvocato Gatto Lorenzo. Abbiamo segnalato alla tutela data da Roma al dottor Neri la presenza di questi due soggetti che non ci piacevano in modo particolare e abbiamo fatto intervenire la polizia dell'aeroporto, che li ha identificati. Erano due marocchini che stranamente si trovavano all'uscita per Reggio Calabria, mentre avrebbero dovuto prendere l'aereo per Ancona che era nella parte di fronte, ma distante dalla nostra uscita. Peraltro, era quasi l'ora di partenza dell'aereo per Ancona, tant’è vero che i due soggetti sono partiti qualche minuto prima di noi.
        La situazione ci ha insospettito. Successivamente, sono venuto a sapere che le Marche sono un punto di concentramento di persone sospette provenienti dall'est europeo. Non voglio dire altro perché non ho elementi su cui basarmi. Mi sembra, tuttavia, che la questura abbia accertato che la zona di provenienza di questi due soggetti era molto frequentata da personaggi poco raccomandabili, provenienti dall'Europa dell'est».
        Il maresciallo Moschitta, ha specificato che – in occasione dell'esame del dipendente Enea – erano in cinque ossia il magistrato Neri, due autisti, la tutela e lui stesso. Richiesto di far conoscere il nome del soggetto audito, ha così risposto:
        «Era l'ingegnere Carlo Giglio, il quale ha rilasciato delle dichiarazioni, con riferimento alla situazione delle centrali nucleari in Italia. A detta dell'ingegnere, si trattava di una circostanza molto delicata, critica, per non dire esplosiva. Queste sono state le sue parole. Basta leggere il suo verbale, per capire effettivamente quello che si nascondeva dietro l'affare nucleare. Avevamo un verbale molto importante e nel momento in cui non sono ritornate le schede ci siamo molto preoccupati».
        Riguardo gli eventuali accertamenti sui motivi per i quali le schede non fossero rientrate, il Maresciallo ha dichiarato:
        «Non ho saputo più nulla di questa storia. In tutto eravamo in cinque a svolgere le indagini e abbiamo scardinato tutta questa storia.

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Era stata segnalata alla questura di Roma. La sera stessa in cui siamo partiti è stato inviato un fax per la questura di Reggio. Quindi, la questura era interessata a questo tipo di discorso. Com’è andata a finire non lo so».

1.2.2 Le dichiarazioni rese dal dottor Neri e dal dottor Pace.

        Le circostanze rappresentate nel 1997 dai militari menzionati sono state confermate e specificate ulteriormente dal dottor Neri, sentito dal pubblico ministero Russo sempre in data 9 aprile 1997.
        Testualmente, lo stesso ha dichiarato:
        «sin dall'inizio delle indagini e in particolar modo allorché fui costretto col nucleo investigativo da me coordinato a recarmi fuori sede sono stato oggetto di intimidazioni di varia natura ed in particolare con autovetture e persone munite di radiotrasmittenti che, a mio giudizio, avevano l'evidente scopo di scoraggiare la mia attività di indagine (...)».
        Nel corso della testimonianza il dottor Neri ha riferito di alcune preoccupazioni del capitano De Grazia in merito alla sua carriera, in quanto, successivamente all'esecuzione di un decreto di perquisizione a carico di un indagato, tale Viccica Gerardo, erano emersi elementi circa un presunto coinvolgimento dei vertici militari della Marina in fatti di corruzione legati alla realizzazione di Boe. Il Viccica avrebbe detto a De Grazia in modo minaccioso che conosceva molte persone nell'ambito della Marina, e che, quindi, in qualche modo, avrebbe potuto danneggiarlo.
        Il De Grazia, inoltre, in qualche occasione aveva espresso al dottor Neri le preoccupazioni che aveva per la sua incolumità e per l'incolumità del magistrato.
        Nel corso dell'audizione del dottor Nicola Maria Pace, tenutasi il 20 gennaio 2010 avanti a questa Commissione, lo stesso, richiesto di riferire in merito ad eventuali episodi di intimidazione subìti all'epoca in cui era titolare di indagini collegate con quelle condotte dal sostituto Neri, ha dichiarato:
        «...vi espongo alcuni fatti oggettivi. Gli episodi più gravi si sono verificati nell'ambito di 15 giorni: nell'arco di due settimane muore De Grazia, si dimette il colonnello Martini, regista delle indagini e delle attività strettamente investigative.
        Per sviare gli antagonisti con Neri decidiamo di vederci non a Matera o a Reggio Calabria, ma a Catanzaro e durante la trasferta, mentre personalmente non mi accorsi di niente perché nella mia macchina non avevo scorta e durante il viaggio sonnecchiavo, Neri che aveva una scorta si accorse con i suoi e verificò con i computer di bordo di essere seguito da una macchina della ’ndrangheta. Fece scattare l'allarme, mi telefonò, prendemmo direzioni diverse e riuscimmo a tornare. Riferisco il fatto nella sua oggettività, senza averlo mai interpretato in chiave di paura.
        Per quanto riguarda l'essere filmati, sono invece testimone diretto, perché fui proprio io a Brescia, mentre fervevano le attività, a scoprire che qualcuno ci stava filmando da un camper parcheggiato a poca


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distanza dalla sede del Corpo forestale dello Stato di Brescia. Proposi al team investigativo di perquisire il camper, ma si considerò più opportuno far finta di niente. Proprio il colonnello Martini, uomo di poche parole, al quale ho sempre riconosciuto una grande capacità di strategie, disse di non preoccuparsi.
        Lavoravamo giorno e notte nel periodo in cui effettuammo le 16 perquisizioni a Comerio e agli altri, fatto che poi ha portato alla definitiva scoperta del progetto ODM e al suo collegamento con il progetto di partenza DODOS, che credo sia ancora negli scaffali della procura di Matera, perché ho disposto l'acquisizione di questi otto volumi del progetto DODOS, che, impressionante per lo spessore scientifico, aveva tutta la dignità per rappresentare una validissima alternativa al sistema dell'interramento dei rifiuti in cavità geologiche. Questi sono gli episodi che posso riportare».

1.2.3 Annotazioni di servizio della scorta del dottor Neri.

        Nelle relazioni di servizio redatte dall'Agente scelto Bellantone Giovanni, addetto alla tutela del magistrato titolare delle indagini dottor Neri, si fa riferimento, oltre che a pedinamenti subìti ad opera di ignoti in diverse città d'Italia ove gli inquirenti si erano recati per ragioni investigative anche ad intercettazioni telefoniche tra ignoti interlocutori nelle quali si parlava della necessità di far «saltare» anche la scorta del magistrato.
        Si riporta un estratto della relazione di servizio del 20 marzo 1995:
        «durante il nostro soggiorno nella città di Savona, ci accorgevamo della presenza insistente di alcuni individui nei vari percorsi che facevamo nelle vie della città. Le persone di cui sopra si contattavano tra di loro tramite cellulare, e indicavano come «cellule» gli uomini che erano di «scorta». Venivamo comunque notiziati che vi era stata un'intercettazione telefonica dove si parlava di far saltare pure la «scorta» e un'altra dove si parlava della presenza del giudice (dottor Neri) in città: inoltre la stampa locale pubblicava e veniva a conoscenza di cose che nessuno di noi aveva comunicato loro. Stesso controllo nei nostri confronti veniva notato nella città di Firenze, ed ancora più insistentemente nella città di Roma dove persone non identificate prendevano posto anche in ristoranti dove noi eravamo intenti a consumare i pasti».
        Si riporta poi un estratto della relazione di servizio del 18 maggio 1995:
        «in data odierna unitamente al dottor Neri ci recavamo alla procura circondariale di Catanzaro, durante il tragitto sull'autostrada A3 SA-RC corsia nord ci accorgevamo della presenza insistente di una BMW 520 nei pressi dello svincolo di Vibo-Pizzo, rallentavamo la corsa e l'autovettura di cui sopra era costretta a superarci cosicchè per motivi di sicurezza decidevamo di uscire allo svincolo e di proseguire dalla statale per Catanzaro. Dopo qualche chilometro venivamo agganciati da un'altra autovettura: trattasi di una Fiat Croma che con fare sospetto ci ha dapprima superato e successivamente


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si è posizionata dietro la nostra autovettura. Anche in questo caso eravamo costretti a rallentare la corsa per cercare di farci superare, e facevamo una sosta di qualche minuto presso un'area di servizio. Arrivati sul posto cui eravamo diretti e preoccupati per queste vicende, decidevo di telefonare al mio ufficio di appartenenza per effettuare accertamenti, ed il collega Bosco, in maniera tempestiva, mi faceva pervenire i dati qui sotto riportati:
            Bmw 520 tg. RC 476645 intestata ad Alvaro Antonio, nato a Siderno il 15 dicembre 1947 ivi res. in via Palermo, pregiudicato per reati finanziari;
            Fiat Croma tg. SV 413337 risultata rubata il 26 marzo 1993.
        Faccio inoltre presente che la persona sul sedile posteriore della bmw era munita di una radio portatile e di queste situazioni ci siamo resi conto immediatamente tutti gli abitanti dell'autovettura blindata (dottor Neri, comandante De Grazia della Capitaneria di porto di Reggio Calabria, autista Barberi)».

1.2.4 Le dichiarazioni dell'ex colonnello Rino Martini.

        Il colonnello del Corpo forestale dello Stato Rino Martini, è stato audito dalla Commissione in data 17 febbraio 2010.
        In tale occasione ha reso dichiarazioni anche in merito agli episodi di intimidazione di cui sorpa. Tali dichiarazioni sono state riportate già nel paragrafo relativo ai rapporti con i servizi (cfr. cap. 1, par. 1.12).

1.2.5 Le dichiarazioni dell'Ispettore De Podestà.

        In data 17 febbraio 2010 è stato audito dalla Commissione l'ispettore De Podestà, appartenente al Corpo forestale dello Stato di Brescia.
        Alla domanda, posta dalla Commissione se lo «smantellamento» del gruppo investigativo fosse stato determinato anche dal fatto «che stavate pestando piedi importanti», lo stesso ha risposto in questi termini:
        «Come sensazione sì, come riferimenti precisi no. I rapporti, finché c’è stato il colonnello Martini, li teneva lui con gli uffici superiori, sia con il comando regionale sia con il comando centrale di Roma. Quanto al fatto che, mentre si svolgeva attività investigativa, sorgevano incombenze ingiustificate a livello amministrativo, se n’è occupata anche la stampa e se ne occupò addirittura la magistratura, specificando che stavamo svolgendo delle indagini in campo nazionale e internazionale, quindi sembrava improprio che l'ufficio fosse smembrato per occuparsi anche dei compiti di carattere amministrativo».


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1.2.6 Accertamenti svolti in conseguenza degli episodi denunciati.

        A fronte degli episodi sopra descritti non pare che siano state avviate specifiche indagini finalizzate ad accertare se gli episodi medesimi fossero effettivamente intimidatori nei confronti degli inquirenti né risultano svolti accertamenti finalizzati ad individuarne gli autori.
        Peraltro, deve evidenziarsi che gli inquirenti hanno più volte dichiarato di sentirsi controllati e seguiti nel corso delle attività investigative fuori sede.
        Ebbene, data l'importanza delle indagini e la gravità dei fatti esposti, sfugge la ragione per la quale non siano state avviate immediatamente indagini mirate.
        Quando è stato chiesto al dottor Pace (nel corso dell'audizione avanti alla Commissione) per quale motivo non furono immediatamente effettuate verifiche sul camioncino che ritenevano li seguisse e costituisse una sorta di postazione di controllo della loro attività, lo stesso ha risposto che non si intervenne immediatamente onde evitare che ciò potesse pregiudicare l'esito di ulteriori successivi accertamenti.
        Tuttavia, deve osservarsi come, per quanto risulta alla Commissione, neanche in seguito sia stata avviata alcuna indagine sul punto.
        Ad oggi, in mancanza di elementi di supporto, non è possibile sostenere nulla di più di quanto già all'epoca affermato dai magistrati e dai soggetti coinvolti nella vicenda in esame.

1.3 Lo sfaldamento del gruppo investigativo ed esito delle indagini.

        Come evidenziato, la morte del capitano De Grazia segnò, obiettivamente, un forte rallentamento nelle indagini.
        Nello stesso periodo di tempo, il colonnello Rino Martini assunse altro incarico presso un'azienda municipalizzata, il maresciallo Moschitta andò in pensione, il carabiniere Francaviglia fu trasferito, l'ispettore Tassi cessò di prestare la sua collaborazione.
        Lo stesso magistrato che aveva fin dall'inizio assunto la direzione delle indagini, il dottor Neri, appena sei mesi dopo la morte di De Grazia si spogliò del procedimento, trasmettendolo per competenza alla procura presso il tribunale di Reggio Calabria, avvendo ipotizzato reati di competenza del tribunale.
        In merito agli avvenimenti successivi alla morte del capitano De Grazia, il maresciallo Scimone, nel corso dell'audizione del 18 gennaio 2011 avanti alla Commissione, ha dichiarato:
        «In seguito alla morte di De Grazia c’è stato praticamente un terremoto (...) C’è stato un momento di sbandamento e sei o sette mesi dopo la morte di De Grazia fu diffusa questa notizia dei Morabito e a quel punto abbiamo dovuto alzare le mani. Io mi sono offerto anche di collaborare con la DDA in qualità di polizia giudiziaria per conoscere il fascicolo, che ho catalogato e consegnato personalmente».


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1.3.1 L'incarico assunto dal colonnello Rino Martini presso la società municipalizzata di Milano per lo smaltimento di rifiuti.

        Il primo dicembre 1995, pochi giorni prima della morte del capitano De Grazia, il colonnello Martini lasciò l'incarico di colonnello del Corpo forestale dello Stato per assumere il ruolo di direttore operativo della società municipalizzata di Milano impegnata a fronteggiare l'emergenza rifiuti.
        In merito alle ragioni che determinarono tale scelta, l'ex colonnello ha dichiarato alla Commissione in data 17 febbraio 2010:
        «Era un salto di qualità dal punto di vista professionale e anche uno stimolo, quindi ho deciso di accettare (...) Mi sono dimesso il 16 ottobre 1995, e il 17 ottobre avevo già il decreto del Ministero dell'agricoltura firmato che accettava le mie dimissioni, quindi era già passato all'Ufficio regionale, era già andato al Ministero dell'agricoltura, ove era già stato accettato (...) È stata una scelta consapevole. Se avessi ricevuto pressioni esterne tali da portarmi ad accettare un posto migliore, non avrei mai dato le dimissioni. Alcune componenti ambientali quell'anno mi hanno un fatto capire che stavamo toccando interessi che andavano ben oltre le nostre possibilità, in particolare quelle di un Corpo forestale che non gode di protezioni di servizi o di altri apparati dello Stato, perché fra le cinque Forze di polizia è la struttura più debole da questo punto di vista.
        Si sono verificate situazioni delicate come i controlli cui siamo stati oggetto durante l'attività investigativa, ma si percepiva tutti i giorni un'atmosfera molto difficile e delicata.»
        Deve, peraltro, essere sottolineata una circostanza che suscita qualche perplessità in ordine alle risposte fornite dal colonnello Martini.
        Lo stesso, invero, venne sentito a sommarie informazioni dal magistrato dottor Neri in data 7 marzo 1996, sempre nell'ambito del procedimento 2114/94 RGNR.
        Alla domanda – subito posta dal magistrato – circa le ragioni che lo avevano indotto a lasciare l'incarico all'interno del Corpo forestale, il colonnello Martini rispose di averlo fatto per motivi personali e «per altri motivi che al momento mi riservo di comunicare in seguito (...) Non appena mi sarà possibile chiarirò eventualmente ed in dettaglio i motivi che mi hanno indotto a lasciare il mio Corpo. Non escludo di poter rientrare nuovamente in servizio» (doc. 681/33).
        È evidente, allora, che vi fossero motivazioni di ordine non personale che – né all'epoca né successivamente – il colonnello Martini ha voluto riferire.

1.3.2 Il decesso del capitano De Grazia.

        Nel tardo pomeriggio del 12 dicembre 1995 il capitano De Grazia partì, unitamente al maresciallo Moschitta e al carabiniere Francaviglia, con autovettura di servizio, alla volta di La Spezia per dare esecuzione alle deleghe di indagine, firmate dal procuratore Scuderi


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e dal sostituto Neri, finalizzate ad acquisire maggiori elementi di conoscenza in merito all'affondamento di alcune navi.
        Durante il viaggio, sul tratto autostradale di Salerno, alle prime ore del 13 dicembre 1995, il capitano De Grazia venne colto da malore e, quindi, trasportato, dall'ambulanza nel frattempo intervenuta, presso il pronto soccorso dell'ospedale di Nocera Inferiore, ove giungeva cadavere.
        In data 22 dicembre 1995 il capitano Antonino Greco, comandante del Reparto operativo-Nucleo operativo CC di Reggio Calabria, rimise al procuratore della Repubblica presso la pretura di Reggio Calabria, dottor Scuderi, le 6 deleghe di indagine datate 11 dicembre 1995 «non potute evadere a causa del decesso del capitano di corvetta De Grazia Natale».

1.3.3 Il pensionamento del maresciallo Moschitta e il trasferimento del carabiniere Francaviglia.

        Il 14 ottobre 1996 (all'età di 44 anni), il Maresciallo Moschitta andò in pensione, su sua domanda avanzata nel giugno 1996, come dallo stesso dichiarato al pubblico ministero Russo, in data 9 aprile 1997.
        Nel corso dell'audizione dell'11 marzo 2010 avanti alla Commissione, il Maresciallo ha spiegato le ragioni della sua scelta:
        «Dopo aver depositato l'ultimo atto in merito alle indagini sui radioattivi, sono andato in pensione. Era il 14 ottobre 1996, due giorni dopo aver depositato l'informativa che avevo promesso alla buonanima di Natale De Grazia. Anche se lui in quel momento non c'era più, gli avevo promesso che, anche se fosse stato l'ultimo atto della mia carriera, avrei portato avanti le sue indagini fino a quando avessi potuto. Dopo la sua morte mi sono sentito male, i miei valori si sono sballati, tanto che successivamente ho avuto un infarto e mi sono stati applicati due by-pass».
        Nella successiva audizione del 10 maggio 2010 il maresciallo Moschitta ha precisato di essere stato collocato in pensione con la dicitura «per massimo periodo previsto» in quanto all'epoca, la normativa prevedeva, quale periodo massimo per il pensionamento, venticinque anni di servizio effettivi, più cinque di abbuono. Il maresciallo si è così espresso:
        «Sarei potuto rimanere, ma mi sentivo stanco. Dopo la morte di De Grazia, i miei valori sono sballati. Non mi sentivo bene, tanto che, a distanza di un anno, ho avuto un infarto e, a distanza di un altro anno, ho dovuto fare un'operazione per impiantare due bypass al cuore. Questa indagine mi ha effettivamente stressato oltre il consentito». L'altro compagno di viaggio del capitano De Grazia, il carabiniere Rosario Francaviglia, ha dichiarato, in sede di audizione avanti alla Commissione, di aver chiesto il trasferimento a Catania, vicino casa, subito dopo la morte del capitano. Ha specificato che già in precedenza aveva avanzato diverse richieste di trasferimento, ma tutte avevano avuto esito negativo. Secondo quanto riferito, per l'ultima domanda «stavano ritardando il trasferimento proprio perché


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avevamo l'indagine in corso. Mi era già arrivato esito negativo, dopodiché ho ripresentato domanda e il trasferimento è avvenuto nel 1996».
        La Commissione ha domandato al carabiniere Francaviglia cosa avesse fatto successivamente e lui ha risposto:
        «Ho smesso, anzitutto perché l'indagine era passata al dottor Cisterna, se non erro, in procura. Ero stato interpellato per continuare a partecipare all'indagine e ho rifiutato, perché non ne avevo più intenzione, non ero più interessato. Avevo perso interesse per quell'indagine, non so se a causa di quell'episodio».

1.3.4 La cessata collaborazione da parte dell'Ispettore Superiore del Corpo forestale dello Stato Claudio Tassi.

        Nel corso dell'audizione avanti alla Commissione avvenuta in data 24 febbraio 2010, l'ispettore Tassi (il quale aveva avuto un ruolo importante nelle indagini, soprattutto per i suoi contatti con la fonte confidenziale «Pinocchio») ha confermato la circostanza di non essersi più occupato delle indagini dopo qualche mese dal decesso del capitano De Grazia. Alla domanda se si fosse trattato di una sua iniziativa, l'ispettore ha risposto negativamente. Testualmente, ha dichiarato (pag. 6): «non posso dire di essere stato escluso dall'attività investigativa, ma era un filone di Brescia, quindi può anche darsi che chi seguiva quel filone abbia deciso di proseguire da solo».

1.3.5 La trasmissione del procedimento n. 2114/94 per competenza alla procura della Repubblica presso il tribunale di Reggio Calabria.

        In data 27 giugno 1996 il dottor Francesco Neri trasmise alla procura della Repubblica presso il tribunale di Reggio Calabria il procedimento penale n. 2114/94 iscritto a carico di Giorgio Comerio + altri, ipotizzando la sussistenza dei reati di competenza del tribunale di cui agli artt. 110, 428 cp e 110, 434 cp.
        Dal procedimento trasmesso nacquero, presso la procura presso il tribunale di Reggio Calabria, i seguenti procedimenti, affidati entrambi al dottor Alberto Cisterna:
            il primo, recante il n. 100/1995 R.G.N.R., volto a verificare l'ipotesi di traffico armi;
            il secondo, recante il n. 1680/96 R.G.N.R., volto a verificare l'ipotesi del traffico di rifiuti radioattivi tramite affondamenti di navi (in particolare la Rigel e la Rosso) nonché la riconducibilità di tali azioni a Comerio Giorgio ed altri indagati.
        In data 9 ottobre 1996 venne depositata l'informativa riassuntiva delle indagini sino a quel momento svolte dalla procura circondariale di Reggio Calabria, informativa firmata dal comandante Greco, ma redatta dal maresciallo Nicolò Moschitta pochi giorni prima del suo pensionamento (doc. 319/1).


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        Entrambi i procedimenti menzionati, furono definiti con decreto di archiviazione. Nel procedimento n. 1680/96, peraltro, alcune ipotesi di reato non furono archiviate ed i relativi atti vennero trasmessi alle procure di La Spezia e di Lamezia Terme, ritenute competenti territorialmente.

2. Le cause della morte del capitano De Grazia e l'inchiesta della magistratura.

2.1 Il decesso del capitano De Grazia.

        Il 13 dicembre 1995, a soli 39 anni, il capitano Natale De Grazia è deceduto per cause che a molti, compresi i pubblici ministeri titolari dell'indagine allora in corso, apparvero quanto meno sospette e che ancora oggi, a distanza di anni, continuano ad essere considerate tali (in questi termini si sono espressi sia il dottor Neri che il dottor Pace nel corso dell'audizione innanzi a questa Commissione parlamentare).
        Il dottor Pace, in particolare, nell'audizione del giorno 20 gennaio 2010, ha dichiarato: «Quando è giunta la notizia della morte di De Grazia io, Neri ed altri non abbiamo avuto dubbi sul fatto che quella morte non fosse dovuta a un evento naturale. Avevo sentito De Grazia alle 10,30 di quella mattina, mi aveva detto che con una delega di Neri si sarebbe recato prima a Massa Marittima e poi a la Spezia, mi avrebbe aspettato a Reggio Calabria per portarmi con una nave sul punto esatto in cui è affondata la Rigel. Alle 10,30 del 13 dicembre, giorno in cui è morto, ricevetti questa sua telefonata in ufficio, ma non sono in grado di fornire elementi obiettivi».
        Cosa accadde quel giorno? Ciò che accadde è stato ricostruito dagli inquirenti esclusivamente sulla base della relazione di servizio e delle testimonianze rese dal maresciallo Nicolò Moschitta e dal carabiniere Rosario Francaviglia, i quali il 12 dicembre 1995 si trovavano con il capitano De Grazia, diretti al porto di La Spezia, ove avrebbero dovuto dare esecuzione ad alcune deleghe dell'autorità giudiziaria cui si è fatto riferimento nei paragrafi precedenti.
        Si trattava di un'attività alla quale avrebbe dovuto necessariamente partecipare il capitano De Grazia, in ragione di una competenza specifica nella materia marittima, tale da renderlo elemento insostituibile nello svolgimento delle indagini.
        Sono state acquisite dalla Commissione le copie delle deleghe di indagini emesse dal magistrati di Reggio Calabria in data 11 dicembre 1995 (di cui si è trattato nella parte prima, capitolo 1, paragrafo 1.1.10).
        Dunque, il capitano De Grazia partì, unitamente al maresciallo Moschitta e al carabiniere Francaviglia, alla volta di La Spezia, in data 12 dicembre 1995, nel tardo pomeriggio.
        Secondo quanto emerso dalle indagini, durante il viaggio, sul tratto autostradale di Salerno, alle prime ore del 13 dicembre 1995 il capitano venne colto da malore e, quindi, trasportato in ambulanza presso l'Ospedale civile di Nocera Inferiore, ove giunse cadavere.
        Come già evidenziato, il decesso del capitano De Grazia ha coinciso con una fase di rallentamento (e successivamente) di vero e proprio arresto delle indagini che lo stesso stava portando avanti.


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        Dal momento della sua morte in poi vi è stato un progressivo sfaldamento dell'attività investigativa concomitante a quello del pool che fino ad allora aveva profuso impegno ed energie negli accertamenti connessi al traffico di rifiuti radioattivi. La Commissione ha ritenuto opportuno approfondire le cause che portarono alla morte del capitano De Grazia attraverso una indagine che si è conclusa con l'approvazione di una apposita relazione (Doc. XXIII n. 18).

2.1.1 Il procedimento aperto presso la procura della Repubblica di Nocera Inferiore.

        A seguito del decesso del capitano De Grazia venne aperto un procedimento dalla procura della Repubblica di Nocera Inferiore, territorialmente competente in relazione al luogo del decesso.
        Gli atti del procedimento sono stati acquisiti in copia dalla Commissione (doc. 321/1 e 321/2).
        È importante seguire la scansione temporale degli atti procedimentali compiuti nell'ambito della suddetta indagine, per poi entrare nel merito delle risultanze processuali.
        In sostanza, le indagini si sono articolate in due fasi:
            1) la prima fase è consistita essenzialmente nell'espletamento dell'autopsia sul corpo del capitano De Grazia (effettuata per rogatoria dalla procura di Reggio Calabria) nonché nell'acquisizione dell'annotazione redatta dai carabinieri di Nocera Inferiore intervenuti sul posto e della relazione di servizio redatta dal maresciallo Moschitta e dal carabiniere Francavilla nei giorni successivi al decesso.
        In questa fase non sono stati svolti ulteriori accertamenti né presso il ristorante «Da Mario», ove il capitano De Grazia cenò per l'ultima volta unitamente ai suoi compagni di viaggio, né presso altri luoghi. E neppure sono state sentite a sommarie informazioni le persone che avevano assistito ai fatti, come il maresciallo maresciallo Moschitta, il carabiniere Francaviglia, i medici del pronto soccorso, il personale dell'ambulanza e gli appartenenti al nucleo mobile della stazione Carabinieri intervenuti sul posto.
        Nessuna informazione dettagliata è stata, poi, acquisita formalmente in merito alle indagini che il capitano De Grazia si accingeva a svolgere a La Spezia.
        Sulla base, dunque, dei risultati dell'autopsia contenuti nella relazione depositata nel marzo 1996 dal medico legale nominato dal pubblico ministero è stata richiesta ed ottenuta l'archiviazione del procedimento.
        La seconda fase del procedimento è stata avviata un anno dopo, a seguito della istanza di riapertura delle indagini presentata dai congiunti del capitano De Grazia.
        Seguendo in parte le indicazioni contenute in detta istanza, il pubblico ministero titolare del procedimento (sostituto procuratore Giancarlo Russo) si recò a Reggio Calabria per sentire personalmente a sommarie informazioni il sostituto Francesco Neri, i carabinieri Moschitta e Francaviglia, la signora Vespia e il signor Pontorino (rispettivamente moglie e cognato del capitano De Grazia) ed, infine, il dottor Asmundo (consulente medico legale di parte) e la dottoressa Del Vecchio.


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        Dispose, quindi, una nuova consulenza medico legale, affidandosi allo stesso consulente che aveva espletato la prima, ossia alla dottoressa Simona Del Vecchio, successivamente risentita a sommarie informazioni dal magistrato.
        Delegò, infine, i Carabinieri per effettuare accertamenti presso il ristorante «Da Mario».
        Anche in questa seconda fase delle indagini si è rivelata dirimente, ai fini della successiva archiviazione, la relazione di consulenza tecnica medico legale con la quale si è ribadito che il decesso era riconducibile a cause naturali, non essendo state riscontrate anomalie neanche a seguito degli ulteriori esami tossicologici e istologici effettuati sui tessuti prelevati.

2.1.2 Gli atti del procedimento.

        Si riporta, di seguito, la cronologia degli atti contenuti nel fascicolo aperto dalla procura di Nocera inferiore, utili alla ricostruzione degli eventi e delle indagini che furono compiute.
        Prima fase:
            alle ore 00:15 del 13 dicembre 1995 la centrale operativa dei Carabinieri ordinò all'aliquota radiomobile della Compagnia di Nocera Inferiore di recarsi presso l'autostrada A/30, un chilometro prima della barriera autostradale di Mercato San Severino (SA), in quanto all'uscita di una galleria vi era un'autovettura con a bordo persona colta da malore. Contestualmente venne allertata l'autombulanza.
            dall'annotazione di servizio redatta in data 13 dicembre 1995 alle ore 6:30 dai carabinieri dell'aliquota radiomobile risulta che i carabinieri e l'autombulanza arrivarono contemporaneamente sul posto ove trovarono sulla corsia di emergenza, di fianco allo sportello posteriore destro di una Fiat tipo, un uomo (poi identificato con il capitano De Grazia) posto sul manto stradale, in posizione supina, subito soccorso e trasportato presso l'ospedale di Nocera Inferiore. Giunti presso il nosocomio, i militari appurarono, tramite il sanitario di guardia, dottor Amodio, che il capitano era deceduto durante il tragitto verso l'ospedale (come da referto 2618 del 13 dicembre 1995). Vennero avvisati i familiari. La borsa e gli effetti personali del capitano De Grazia vennero consegnati ad un militare in caserma, mentre la valigetta 24 ore contenente gli atti di cui al procedimento n. 2114/94 R.G.N.R. venne consegnata al maresciallo Moschitta;
            alle ore 11.40 del 13 dicembre 1995, i carabinieri della Stazione CC Nocera Inferiore trasmisero un fax alla locale procura della Repubblica, comunicando che alle ore 0.50 era giunto, presso il Pronto soccorso dell'Ospedale civile di Nocera Inferiore, il corpo del capitano De Grazia e che il medico di guardia aveva accertato come causa della morte «Infarto del miocardio» con conseguente arresto cardio-circolatorio;
            il referto 2618 del 13 dicembre 1995, sottoscritto dal medico di guardia dottor Amodio, risulta acquisito dai CC di Nocera Inferiore: in esso si attesta che il Capitanto giunse cadavere al pronto soccorso (doc. 1245/3);


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            venne iscritto, presso la procura circondariale di Reggio Calabria, il procedimento modello 45 (da riferire ad atti non costituenti notizia di reato) avente n. 1611/95;
            sempre in data 13 dicembre 1995 venne rilasciato dal pubblico ministero titolare del procedimento, dottor Giancarlo Russo, il nulla osta al seppellimento, ove venne indicata, quale causa della morte, «infarto miocardico – arresto cardiocircolatorio» e, quale medico legale intervenuto, il dottor Contaldo;


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            il giorno seguente, il procuratore capo della procura circondariale di Reggio Calabria, dottor Scuderi segnalò, con una nota scritta alla procura di Nocera Inferiore, l'opportunità di disporre l'esame autoptico sulla salma del capitano De Grazia;
            a seguito di tale nota, il 15 dicembre 1995 il pubblico ministero di Nocera Inferiore delegò la procura della Repubblica di Reggio Calabria ad effettuare per rogatoria il disseppellimento del cadavere, nel frattempo trasportato a Reggio Calabria, e l'esame autoptico; nella medesima delega, il pubblico ministero Russo segnalò, inoltre, l'opportunità di escutere a sommarie informazioni testimoniali i carabinieri che avevano viaggiato con il capitano e ogni altra persona (familiari, investigatori) in grado di riferire circostanze utili alle indagini «volte a chiarire con certezza la causalità del decesso»;
            nella stessa data il pubblico ministero della procura di Reggio Calabria (dottoressa Apicella) dispose il disseppellimento del cadavere del capitano De Grazia;
            il 18 dicembre 1995 Vespia Anna Maria (moglie del capitano De Grazia) nominò consulente tecnico di parte il dottor Asmundo, primario presso l'Istituto di medicina legale dell'Università di Messina.
            il 19 dicembre 1995 venne conferito l'incarico alla dottoressa Del Vecchio per effettuare l'autopsia nonché l'esame istologico e chimico tossicologico dei tessuti;
            il 22 dicembre 1995 il comandante del Reparto operativo – Nucleo operativo dei Carabinieri di Reggio Calabria, Antonino Greco, trasmise al procuratore capo della procura circondariale di Reggio Calabria, dottor Scuderi, una nota con la quale restituiva le sei deleghe ricevute e non potute evadere in ragione del decesso del capitano De Grazia, allegando la relazione redatta dal maresciallo Moschitta e dal carabiniere Francaviglia in merito ai fatti occorsi in data 12 e 13 dicembre 1995, nonché la relazione di servizio redatta dal nucleo radiomobile dei carabinieri di Nocera Inferiore intervenuti sull'autostrada su richiesta del maresciallo Moschitta. Nella nota di trasmissione il comandante Greco specificò che la valigetta che De Grazia aveva a con sé il giorno del decesso, consegnata al maresciallo Moschitta dai carabinieri di Nocera inferiore intervenuti, era stata riconsegnata al dottor Neri il giorno 21 dicembre 1995;
            in data 8 gennaio 1996 la nota e le relazioni allegate furono trasmesse via fax dal procuratore Scuderi al sostituto procuratore Giancarlo Russo;
            il 12 marzo 1996 il medico legale, dottoressa Del Vecchio, depositò la relazione di consulenza tecnica: il decesso del capitano venne ricondotto «ad una morte di tipo naturale, conseguente ad una insufficienza cardiaca acuta, inquadrabile più specificatamente nella fattispecie della morte improvvisa»;
            vennero, quindi, trasmessi gli atti alla procura della Repubblica di Nocera Inferiore;

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            il 9 luglio 1996 il sostituto procuratore dottor Russo richiese l'archiviazione, accolta dal Gip il successivo 28 settembre 1996;
            nessuna altra indagine venne svolta in questa fase: in sostanza, l'archiviazione venne chiesta e disposta sulla base della relazione redatta dai carabinieri Moschitta e Francaviglia e dei risultati dell'autopsia, mentre non ebbero seguito le ulteriori (e pur generiche) attività investigative di cui alla delega del pubblico ministero Russo del 15 dicembre 1995.
        Seconda fase:
            In data 8 marzo 1997 i prossimi congiunti del capitano De Grazia chiesero la riapertura delle indagini (allegando la consulenza tecnica di parte, redatta dal dottor Asmundo, che fino a quel momento non risultava essere stata depositata) sulla base di una serie di considerazioni: la necessità di chiarire per quale motivo i due consulenti (quello d'ufficio e quello di parte) fossero giunti a conclusioni diverse; la necessità di sentire altre persone informate sui fatti (parenti, ufficiali di polizia giudiziaria, magistrati) nonché di identificare gli ufficiali del S.I.O.S. della marina militare con cui De Grazia avrebbe avuto contatti prima a Messina e poi a Roma;
            negli atti trasmessi alla Commissione non vi è traccia del provvedimento di riapertura delle indagini; in ogni caso, dagli stessi si ricava che venne iscritto un procedimento a carico di ignoti (proc. pen. n. 251/97, mod. 44) per il reato di cui all'articolo 575 del codice penale (omicidio);
            in data 1o aprile 1997 il pubblico ministero conferì una delega ai CC per accertamenti in merito al ristorante «da Mario», ove si fermarono a cenare De Grazia, Moschitta e Francaviglia;
            l'esito delle indagini, per la verità poco produttive perchè disposte a distanza di tempo dai fatti, venne trasmesso in data 8 aprile 1997;
            in data 8 e 9 aprile 1997 vennero sentiti personalmente dal Pubblico Ministero di Nocera Inferiore le seguenti persone: il maresciallo Moschitta e il maresciallo Francaviglia Rosario, il dottor Neri, Francesco Postorino (cognato di De Grazia), il dottor Asmundo, Vespia Anna Maria (moglie del capitano De Grazia);
            il 23 aprile 1997 il pubblico ministero dottor Russo sentì a chiarimenti la dottoressa Del Vecchio in merito alle osservazioni formulate dal consulente tecnico di parte dottor Asmundo nonché in merito agli ulteriori possibili accertamenti tossicologici;
            in data 12 giugno 1997 il pubblico ministero dispose il disseppellimento del cadavere del capitano De Grazia;
            il 18 giugno 1997 venne conferito nuovo incarico alla dottoressa Del Vecchio al fine di effettuare ulteriori accertamenti chimico-tossicologici;
            In data 11 dicembre 1997 venne depositata la consulenza medico legale e, nello stesso giorno, fu sentita a chiarimenti la dottoressa Del Vecchio;

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            In data 28 luglio 1998 venne nuovamente formulata richiesta di archiviazione, accolta dal Gip a quattro anni di distanza con provvedimento consistente nell'apposizione, in calce alla richiesta di archiviazione, di un timbro recante, in luogo della parte motiva del provvedimento, la dicitura prestampata «letti gli atti, condivisa la richiesta del pubblico ministero». Il timbro reca la sottoscrizione del Gip, dottoressa Raffaella Caccavela e la data di deposito 26 novembre 2002 (doc. 1276/3).


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2.1.3 Gli elementi emersi nel corso delle indagini.

            a) La relazione di servizio e le dichiarazioni del maresciallo Moschitta e del carabiniere Francaviglia
        I militari che si trovavano con il capitano De Grazia al momento dell'evento redassero una relazione di servizio il 22 dicembre successivo, descrivendo analiticamente il viaggio, le tappe effettuate e le circostanze che accompagnarono il decesso del loro collega.
        Nell'aprile 1997 gli stessi vennero sentiti a sommarie informazioni dal pubblico ministero Russo.
        Dalla relazione e dalle loro dichiarazioni risulta quanto segue: i militari partirono da Reggio Calabria alle ore 18.50 del 12 dicembre 1995 a bordo di autovettura di servizio, una Fiat Tipo con targa di copertura, appartenente al Reparto operativo del comando provinciale dei Carabinieri di Reggio Calabria e nel corso del viaggio vennero effettuate quattro soste:
            la prima, presso l'autogrill di Villa San Giovanni, ove scese dal mezzo solo il capitano De Grazia per acquistare delle sigarette;
            la seconda, presso l'autogrill di Cosenza, ove scesero il maresciallo Moschitta e il carabiniere Francaviglia; - la terza, presso l'autogrill di Lauria, ove venne effettuato rifornimento di carburante (nessuno scese dall'auto);
            la quarta, in località Campagna, dove i militari decisero di fermarsi intorno alle ore 22.30 per recarsi presso il ristorante «Da Mario». A detta dei militari, quest'ultima tappa non era stata programmata.


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        Dalla relazione di servizio risulta che i tre militari non furono avvicinati da alcuno durante le soste.
        Nel ristorante, a parte il cameriere e il titolare, c'erano solo altre due persone che stavano per ultimare la loro cena e che, dopo poco, andarono via salutando il titolare del ristorante amichevolmente (in modo tale da potersi dedurre che ci fosse tra loro un rapporto di pregressa conoscenza o familiarità).
        Secondo il racconto conforme dei due carabinieri, presso il ristorante mangiarono tutti le stesse cose, a parte una fetta di torta che fu ordinata solo dal capitano De Grazia, bevvero tutti un po’ di vino e del limoncello e intorno alle 23.30 ripresero il viaggio.
        Alla guida dell'autovettura si pose il carabiniere Francaviglia, sul sedile lato passeggero si sedette il capitano De Grazia e sui sedili posteriori il maresciallo Moschitta.
        Il capitano si addormentò e iniziò a russare rumorosamente.
        Quando giunsero nei pressi del casello autostradale Caserta-Roma, il capitano chinò la testa in modo anomalo (erano le ore 24:00 circa), tanto che gli altri occupanti dell'autovettura cercarono di svegliarlo; quando gli toccarono il volto si resero conto che era freddo e sudato; quindi, superata la galleria in cui si trovavano, si fermarono nella corsia di emergenza.
        Il maresciallo Moschitta, resosi conto della gravità della situazione, chiamò il 112 affinché venisse inviata un'ambulanza.
        Rispose un operatore del 112 di Napoli che allertò – alle 00:15 – i Carabinieri di Nocera Inferiore (come risulta dall'annotazione di servizio da questi ultimi redatta).
        Nel frattempo il carabiniere Francaviglia provò ad effettuare una serie di massaggi cardiaci e la respirazione bocca a bocca, ciò che determinò una parziale fuoriuscita di cibo dallo stomaco del capitano De Grazia.
        Dopo circa venti minuti dalla chiamata giunse un'autoradio dei carabinieri del nucleo radiomobile di Nocera Inferiore unitamente ad un'ambulanza che trasportò il capitano presso il pronto soccorso dell'ospedale civile di Nocera Inferiore.
        Dall'annotazione di servizio redatta dai CC di Nocera Inferiore intervenuti sul posto risulta che, non appena giunsero presso il pronto soccorso (circa alle 00:50), vennero informati dal sanitario di guardia, dottor Amodio, che il capitano era deceduto durante il trasporto verso l'ospedale. I militari riferirono tale notizia ai loro superiori.
        Nell'annotazione si dà atto che vennero informati i familiari del capitano e che la valigetta 24 ore appartenente al capitano De Grazia fu consegnata al maresciallo Moschitta.
        Solo il mattino seguente il corpo venne esaminato tramite visita esterna dal medico legale dell'Ospedale, dottor Contaldo, il quale diagnosticò la morte del capitano De Grazia per «Infarto miocardico».
        Il maresciallo Moschitta ha riferito di aver sottolineato subito l'opportunità di sottoporre il cadavere ad esame autoptico, circostanza che indusse il medico legale ad interpellare il magistrato di turno, dottor Russo. Questi, peraltro, sentito il parere del medico circa la causa naturale della morte, decise di non disporre l'autopsia, concedendo, poche ore più tardi, il nulla osta al seppellimento.

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        In proposito va evidenziato che – secondo quanto invece riferito al pubblico ministero Russo da Francesco Postorino (cognato del capitano De Grazia, intervenuto presso l'ospedale) – né il maresciallo Moschitta né i congiunti stessi del capitano avanzarono richieste affinché fosse disposto l'esame autoptico.
        Va rilevato che non c’è nessuna testimonianza in ordine a ciò che accadde dal momento dell'arrivo al Pronto Soccorso fino al mattino successivo, allorquando giunse il medico legale.
        Si riporta, di seguito, la relazione di servizio citata, redatta il 22 dicembre 1995, firmata dal maresciallo Moschitta e dal carabiniere Francaviglia e vistata dal comandante del Nucleo operativo A. Greco (doc. 319/1):


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            b) La decisione di procedere all'accertamento autoptico. L'incarico al medico legale dottoressa Del Vecchio.
        Come detto, della morte del capitano fu informato anche il procuratore Capo della procura circondariale di Reggio Calabria, dottor Scuderi, il quale, venuto a conoscenza del fatto che il pubblico ministero di Nocera Inferiore aveva dato il nulla osta al seppellimento, inviò, in data 14 dicembre 1995, una nota alla procura della Repubblica di Nocera Inferiore sottolineando l'opportunità di far eseguire l'esame autoptico sulla salma, al fine di sgomberare il campo da ogni sospetto circa le cause della morte.
        Il procuratore Scuderi motivava la richiesta in ragione delle delicate e complesse indagini che stava seguendo il capitano De Grazia tendenti ad accertare se dietro il naufragio di vecchie navi si celassero episodi di illecito smaltimento di rifiuti radioattivi. Sottolineava, in particolare, «l'enorme rilevanza degli interessi in gioco, l'accertato coinvolgimento di governi, istituzioni, personalità influenti nel campo politico ed economico, il fatto che in passato le attività degli inquirenti hanno registrato inquietanti presenze (pedinamenti) sulle quali ai distanza di mesi, per quanto a conoscenza di questo ufficio, non si è fatta luce, la circostanza che l'attività di indagine che il cap. De Grazia si accingeva a svolgere poteva essere decisiva per l'individuazione di fatti-reato e responsabilità, le gravi conseguenze che sul piano investgativo provocherà il venir meno del contributo della elevatissima professionalità del succitato ufficiale» (doc. 681/87).
        Dunque, i primi sospetti circa un eventuale collegamento tra la morte del capitano e le indagini che lo stesso stava portando avanti furono sollevati proprio dai titolari dell'indagine sulle cd navi a perdere.
        La richiesta del procuratore Scuderi venne recepita dal pubblico ministero Russo il quale, il giorno successivo, delegò la procura della Repubblica di Reggio Calabria affinché venisse disposto il disseppellimento del cadavere (nel frattempo trasportato a Reggio Calabria) ed espletato l'esame autoptico; nella delega il pubblico ministero segnalò, inoltre, l'opportunità di escutere a sommarie informazioni testimoniali i carabinieri che accompagnavano il capitano e ogni altra persona (familiari, investigatori) in grado di riferire circostanze utili alle indagini «volte a chiarire con certezza la causalità del decesso».
        L'autorità giudiziaria delegata (nella persona del pubblico ministero presso il tribunale di Reggio Calabria, dottoressa Apicella) dispose, quindi, il disseppellimento del cadavere che avvenne lo stesso 15 dicembre 1995, alla presenza del sanitario di polizia mortuaria dell'USL 11 nonché del maresciallo Scimone Domenico atteso che la dottoressa Apicella aveva delegato per il controllo della regolarità delle operazioni proprio gli ufficiali della sezione di polizia giudiziaria dei CC della procura presso il tribunale di Reggio Calabria, sezione alla quale apparteneva appunto il maresciallo Scimone.
        L'incarico di eseguire l'autopsia e gli esami tossicologici venne affidato alla dottoressa Simona Del Vecchio (in proposito, il dottor Russo, sentito da questa Commissione in data 22 febbraio 2011, ha precisato che era stata la dottoressa Apicella, pubblico ministero


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presso il tribunale di Reggio Calabria, a scegliere la dottoressa Del Vecchio quale consulente).
        Anche i familiari del capitano nominarono un consulente medico legale (il dottor Alessio Asmundo).
        La scelta del dottor Asmundo avvenne su indicazione del dottor Neri, al quale la famiglia di De Grazia aveva chiesto consiglio. Il dottor Neri, sentito su questa circostanza nell'aprile 1997 dal pubblico ministero Russo, ha dichiarato: «Effettivamente i familiari del capitano De Grazia mi chiesero a chi avrebbero potuto rivolgersi per una consulenza medico-legale di parte ed io indicai che noi di solito ci rivolgevamo all'Istituto di medicina legale di Messina presso il professore Aragona o il professor Asmundo, periti di ottima preparazione».
        Va evidenziato che le indagini preliminari si sostanziarono, in questa fase, esclusivamente nel conferimento dell'incarico di consulenza tecnica per l'espletamento dell'autopsia e nell'acquisizione della relazione di servizio redatta dai carabinieri Moschitta e Francaviglia.
        Il 19 dicembre 1995 la dottoressa Apicella, pubblico ministero presso la procura di Reggio Calabria, conferì incarico di consulenza tecnica alla dottoressa Del Vecchio in merito ai seguenti quesiti:
            accerti il consulente, previo esame autoptico della salma del capitano De Grazia la natura, le modalità e i mezzi che ne hanno cagionato il decesso;
            accerti, mediante esame istologico e chimico-tossicologico, l'eventuale presenza di sostanze tossiche o con analoghe caratteristiche, che abbiano cagionato il decesso di cui sopra.
        Le operazioni di consulenza si svolsero presso la camera mortuaria dell'ospedale di Reggio Calabria, alla presenza del dottor Asmundo.
        La dottoressa Del Vecchio, nella sua relazione depositata il 12 marzo 1996, concluse nel senso che la morte del capitano De Grazia doveva ricondursi alla cosiddetta «morte improvvisa dell'adulto, che trova origine per lo più in un'ischemia del miocardio con successive gravi turbe del ritmo cardiaco, che si manifestano anche in assenza di segni premonitori e che, dal punto di vista anatomopatologico, addirittura nella metà dei casi circa, sono caratterizzati dall'assenza di segni specifici, non solo macroscopici, ma anche microscopici e ultramicroscopici».
        La morte improvvisa viene definita nella relazione come un evento repentino e inatteso caratterizzato dal fatto che il soggetto passa da una condizione di completo benessere o, almeno, di assenza di sintomi, alla morte in un arco di tempo inferiore alle 24 ore. La causa scatenante può essere determinata (oltre che da uno sforzo fisico) anche da una condizione di permanente tensione emotiva e di allarme conseguente all'espletamento di attività professionali particolarmente impegnative, delicate e rischiose, fonte di enormi responsabilità (come nel caso del capitano De Grazia) che possono determinare una condizione di stress continuo che alla fine precipita la situazione cardiaca.

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            c) La relazione del consulente di parte. Differenze rispetto alla relazione del consulente del pubblico ministero.
        La consulenza tecnica del 18 giugno 1996 redatta dal dottor Alessio Asmundo contiene conclusioni analoghe a quelle della dottoressa De Vecchio per quanto concerne l'individuazione della natura cardiaca della morte.
        Se ne differenzia, invece, quanto alla descrizione dei reperti obiettivi:
            il consulente d'ufficio aveva descritto «un cuore di forma normale e volume diminuito», mentre il consulente tecnico di parte lo descrive come un cuore leggermente globoso, con punta formata dal ventricolo sinistro e maggiore prevalenza del destro rispetto alla norma;
            il consulente d'ufficio aveva descritto «il tessuto adiposo sottoepicardico molto rappresentato con colorito grigiastro ed aspetto translucido... il tessuto adiposo si approfondisce a tratti financo nei piani muscolari; il ct di parte definisce, invece, il tessuto adiposo subepicardico quantitativamente e qualitativamente normo-rappresentato;
            il consulente d'ufficio aveva evidenziato un'evidente sofferenza delle arterie di piccolo e medio calibro, che presentano ispessimento sia avventiziale che intimale, con lumi ristretti; mentre il consulente tecnico di parte afferma che le coronarie sono apparse esenti da alterazioni di natura aterosclerotica.
        In merito poi alle cause della morte, il consulente tecnico di parte conclude nel senso che «la morte di De Grazia Natale rappresenta caratteristico accidente cardiaco improvviso per insufficienza miocardica acuta da miocitosi coagulativa da superlavoro in soggetto affetto da cardiomiopatia dilatativa».
        Il dottor Asmundo è stato sentito a sommarie informazioni dal pubblico ministero dottor Russo al fine di fornire chiarimenti in merito alla sua relazione ed, in tale occasione, ha sostenuto che:
            il capitano De Grazia era morto per una causa patologica naturale essendo affetto da cardiomiopatia dilatativa da catecolamine;
            non condivideva quanto sostenuto dalla dottoressa Del Vecchio in merito al volume del cuore ed all'eccesso di grasso, non avendo riscontrato tali anomalie;
            si era trattato, quindi, di una morte improvvisa da causa cardiaca, che però il consulente tecnico d'ufficio ricollegava ad un meccanismo patogenetico diverso, connesso a problemi di trasmissione dell'impulso cardiaco.
        Il dottor Asmundo, pur non avendo partecipato agli esami tossicologici per non essere stato avvisato, a suo dire, dalla collega, ha però affermato che erano stati effettuati tutti gli accertamenti tossicologici in merito all'eventuale ingestione di sostanze venefiche.

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            d) Gli ulteriori accertamenti disposti su richiesta dei familiari del capitano De Grazia
        A seguito del deposito della relazione da parte del consulente tecnico di parte, i familiari della vittima depositarono – nel marzo 1997 – una richiesta di riapertura indagini.
        In sostanza, lamentavano le carenze investigative dell'inchiesta svolta, non essendo state ascoltate le persone che avrebbero potuto fornire maggiori informazioni sulle circostanze particolari del decesso (ad esempio i carabinieri che viaggiavano con il capitano De Grazia, il dottor Neri, il maresciallo Scimone) e non essendo stato effettuato alcun accertamento in merito al ristorante ove il capitano aveva presumibilmente mangiato il 12 gennaio 1995.
        Vennero, quindi, effettuati gli ulteriori approfondimenti richiesti a distanza di un anno e mezzo dai fatti. Si accertò che effettivamente in località Campagna era attivo (anche all'epoca dei fatti) il ristorante «Da Mario», gestito dal titolare D'Ambrosio Desiderio, dalla madre Adelizzi Antonina e dalla convivente D'Elia Antonina, tutti esenti da pregiudizi penali. Si accertò che la conduzione era di tipo familiare e che i titolari si avvalevano di personale esterno solo in occasione di banchetti o cerimonie.
        Deve, peraltro, rilevarsi che non furono mai sentiti i gestori del ristorante né fu mai effettuato un sopralluogo.
        Vennero, invece, sentiti a sommarie informazioni i congiunti del capitano De Grazia, il consulente tecnico di parte dottor Asmundo, il sostituto procuratore dottor Neri e i carabinieri Moschitta e Francaviglia, ma non il maresciallo Scimone.
        Per primo, in data 8 aprile 1997 venne sentito Francesco Postorino, cognato del capitano De Grazia, il quale, oltre a riferire in merito alle preoccupazioni che il capitano aveva per la sua incolumità in relazione alle indagini che stava svolgendo (preoccupazioni che aveva confidato al cognato), parlò dei sospetti che il capitano nutriva sul Maresciallo Scimone.
        Il signor Postorino si espresse in questi termini:
        «Posso dirle che mio cognato mi ha riferito in qualche occasione di un comportamento strano del maresciallo Scimone del nucleo operativo dei carabinieri di Reggio il quale faceva parte dello stesso gruppo investigativo coordinato dal dottor Neri. In particolare si riferì ad una strana condotta del maresciallo Scimone durante una certa perquisizione o un sopralluogo in Roma o nelle vicinanze senza però chiarirmi altro. Mi disse che in quella occasione la persona che si trovava in casa gli riferiva di essere amico di ammiragli e persone influenti, senza però chiarirmi altro. Qualche giorno prima della morte, sicuramente tra il giorno dell'Immacolata ed il 12 dicembre mi confessò in modo esplicito di essersi accorto che un suo collaboratore nelle indagini passava informazioni riservate ai servizi segreti deviati. Quando sulla base di quei sospetti da lui esplicitati in precedenza io gli feci il nome del maresciallo Scimone lui mi confermò facendo un cenno di assenso. Oltre questo non mi ha mai detto nient'altro che possa essere utile alle indagini. ADR: mio cognato mi ha anche ritento in più di una occasione di aver subito pressioni ma non ha specificato

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da parte di chi, so soltanto che una volta mi disse che se voleva poteva essere già ammiraglio. Presumo pertanto che lui facesse riferimento a pressioni che in qualche modo riceveva per le indagini che andava svolgendo da ambienti interni alla Marina o ad altri organismi statali (...) ricordo che mio cognato mi riferì, dopo l'inizio della sua partecipazione alle indagini, che era stato chiamato presso lo Stato maggiore della Marina a Roma per riferire sulle indagini. All'inizio delle indagini mi disse che doveva andare a Messina per incontrarsi con una persona dei servizi segreti della Marina, come da sua richiesta, proprio in relazione alle indagini che avrebbe compiuto».
        In data 8 aprile 1997 venne sentita anche la moglie del capitano De Grazia, Vespia Anna Maria. La stessa riferì, in sintesi:
            che era a conoscenza delle delicate indagini condotte dal marito sui rifiuti radioattivi, per le quali lo stesso appariva pensieroso e preoccupato;
            che il marito non le aveva mai riferito di aver ricevuto minacce, seppur le aveva fatto capire la delicatezza delle indagini;
            che le sembrava strano il fatto che i carabinieri che accompagnavano il marito, invece di portarlo subito in ospedale, si fossero fermati sulla strada in attesa dei soccorsi;
            che il marito aveva posticipato la partenza per la Spezia di un giorno in quanto lei aveva la febbre;
            che nutriva dei dubbi sulla «causa naturale» della morte del marito, il quale aveva sempre goduto di ottima salute e si sottoponeva, come membro della Marina, ad analisi periodiche (ogni due anni);
            che il maresciallo Moschitta si era contraddetto in quanto da un lato le aveva parlato dei rapporti informali ed amichevoli che lo legavano a suo marito, dall'altro aveva scritto nella relazione di aver fatto accomodare suo marito sul sedile anteriore dell'autovettura per una questione di rispetto;
            che il marito era solito addormentarsi dopo i pasti ed amava mangiare con tranquillità.
        Il 9 aprile 1997 venne sentito dal pubblico ministero Russo il maresciallo Moschitta. Dal verbale risulta che l'escussione si svolse presso la procura di Reggio Calabria alla sola presenza del magistrato. Moschitta confermò la relazione fatta a suo tempo. Aggiunse che la cena presso il ristorante «Da Mario» non era stata programmata e che era stato proprio il capitano De Grazia a proporre di mangiare con calma e non fugacemente presso un autogrill. Per questo Moschitta aveva proposto di cenare in quel ristorante, presso il quale aveva pranzato già altre volte.
        Il ristoratore, al termine della cena, aveva rilasciato regolare ricevuta fiscale.
        Il maresciallo Moschitta precisò che «L'unico cibo che fu ingerito dal capitano De Grazia e non da noi fu un pezzettino di torta, una specie di crostata, che era su un carrello esposto nella sala e che lui stesso richiese e scelse spontaneamente».

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        Con riferimento al momento in cui lui e il carabiniere Francaviglia si accorsero che il capitano russava in modo insolito e che era freddo e sudato, il maresciallo Moschitta disse al dottor Russo:
        «All'altezza del casello, credo di Mercato San Severino, la testa si è di nuovo abbassata sulla sinistra, io gli ho dato la solita pacca ma mi sono accorto che era freddo e sudato, mentre Francaviglia trovava lo scontrino. Mi sono allarmato dicendo al Francaviglia che non mi rispondeva. Abbiamo subito capito a quel punto che avesse avuto un malore ed ho detto a Francaviglia di superare la galleria fermarsi subito dopo per prestare i soccorsi del caso, anche perché non conoscevamo i luoghi. Telefonai subito col mio cellullare al 112 e chiesi soccorso immediatamente. Lo abbiamo tirato fuori dall'auto e lo abbiamo disteso per terra prima col dorso a terra, allorché Francaviglia ha tentato di rianimarlo con una respirazione bocca a bocca. Per effetto di questa operazione vedevamo ritornare fuori l'aria e notavamo per ciò un movimento delle labbra che a noi profani sembrò un sintomo di vitalità, il che ci spinse a continuare nella respirazione, notando tra l'altro un rigurgito del cibo ingerito in precedenza. A quel punto lo abbiamo preso e curvato sul guardarail cercando di farlo vomitare pensando che vi fosse una ostruzione alle vie respiratorie a causa del cibo rigurgitato ma il capitano non ha dato segni di vita. Nel frattempo infuriava un temporale con una forte pioggia. È arrivata dopo circa 20 minuti l'autoambulanza e l'abbiamo seguita all'ospedale. Ricordo che all'ospedale un infermiere uscendo dalla sala di rianimazione disse che era morto sul colpo per un infarto fulminante. Credo che le escoriazioni sul petto siano state causate dal fatto che lo avevamo messo riverso sul guardarail cercando di trattenerlo ovviamente».
        Riguardo alle indagini che stava svolgendo insieme al capitano De Grazia, il maresciallo Moschitta asserì che, pur non avendo (né lui né il capitano) mai ricevuto minacce, tuttavia, sin dall'inizio delle indagini, avevano avuto la sensazione di essere controllati; in particolare avevano notato pedinamenti o strani episodi che li avevano allarmati, spingendoli ad adottare sempre maggiori cautele.
        Aggiunse che il capitano gli aveva fatto capire di avere incontrato «difficoltà di movimento all'interno della Capitaneria di Reggio», in quanto «i superiori non vedevano di buon occhio questa indagine, capiva dunque di non essere appoggiato dalla gerarchia e di dover in sostanza lottare su due fronti».
        Immediatamente dopo l'escussione del maresciallo Moschitta (il 9 aprile 1997 alle ore 12:22), il pubblico ministero Russo sentì il carabiniere Francaviglia. Le dichiarazioni di quest'ultimo combaciano con quella rese dal collega.
        Lo stesso giorno venne sentito dal pubblico ministero Russo anche il sostituto procuratore Francesco Neri.
        Il dottor Neri espose in breve l'oggetto delle indagini di cui al procedimento penale n. 2114/94 RGNR, nelle quali era impegnato il De Grazia.
        Ha, poi, dichiarato:
        «Unitamente al collega Pace della procura circondariale di Matera comunicammo al Capo dello Stato che le indagini potevano coinvolgere

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la sicurezza nazionale, inoltre poiché fatti di questo tipo potevano essere a conoscenza del Sismi ancor prima dell'ingresso del capitano De Grazia nelle indagini chiese al direttore del servizio di trasmettermi copia di tutti gli atti che potevano riguardare il traffico clandestino di rifiuti radioattivi con navi. A dire il vero il Servizio molto correttamente mi trasmise degli atti tramite la polizia giudiziaria. In particolare il passaggio degli atti avvenne tramite il maresciallo Scimone appositamente delegato a ciò da me. Il maresciallo Scimone faceva parte del gruppo investigativo da me diretto e teneva i contatti con il Sismi. Il capitano De Grazia era a conoscenza di ciò, cioè sapeva dei contatti istituzionali di Scimone con il Sismi per la acquisizione delle notizie che chiedevamo. Ogni attività di rapporto con il Sismi è formalizzata in specifici atti reperibili nel processo. (...)
        Il capitano De Grazia era ovviamente molto preoccupato per le indagini come tutti noi, in considerazione della enormità e particolarità delle vicende che emergevano e per le persone ed istituzioni coinvolti a livello internazionale. A parte gli episodi a cui ho fatto cenno in precedenza e di cui alle relazioni predette il capitano non mi ha mai parlato di altre minacce esplicite o intimidazioni fatte personalmente a lui. Lui era preoccupato molto dell'episodio accaduto a Roma nel corso della perquisizione al Viccica. A volte per scherzare e sdrammatizzare mi diceva che comunque prima avrebbero ammazzato me e poi forse lui, senza con ciò smorzare il suo ammirevole ed encomiabile sforzo per le indagini che lo ha distinto fino alla fine.»
        Questa è stata, dunque, l'attività integrativa svolta dal pubblico ministero con riferimento all'acquisizione di informazioni.
        Con riferimento, poi, all'aspetto medico legale, le differenze tra le due relazioni depositate, poste in luce dai familiari del capitano De Grazia nella richiesta di riapertura delle indagini, spinsero il pubblico ministero Russo, dapprima, a sentire li consulenti tecnici a chiarimenti e, successivamente, a conferire alla dottoressa Del Vecchio ulteriore incarico, previa riesumazione del cadavere.
        Dunque, il 23 aprile 1997, la dottoressa Del Vecchio precisò al pubblico ministero che le sue valutazioni conclusive finali coincidevano con quelle espresse dal consulente di parte dottor Asmundo e che, in ogni caso, le valutazioni parzialmente diverse su aspetti anatomoistopatologici non avevano influito minimamente sulla diagnosi causale della morte.
        La dottoressa chiarì, poi, che gli accertamenti tossicologici già effettuati avevano escluso la presenza di sostanze tossiche e stupefacenti, in particolare l'alcool, gli oppiacei, la cocaina, i barbiturici, le benzodiazepine, le anfetamine, i cannabinoidi e tutte le altre T.L.C, evidenziando che il materiale prelevato per tali accertamenti (bile e sangue) non era in quantitativo tale da rendere possibile una ripetizione di queste analisi, mentre avrebbero potuto essere effettuate analisi tossicologiche più mirate mediante prelievo di capelli, ossa, quote parte di organi di accumulo «per verificare fino in fondo per quanto possibile l'esistenza di eventuali sostanza tossiche e velenose diverse, in particolare la ricerca potrebbe riguardare i veleni metallici».

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        Le illustrate nuove indagini medico legali furono, pertanto, oggetto del secondo incarico affidato alla dottoressa del Vecchio da parte del pubblico ministero Russo, il quale, in data 18 giugno 1997, le pose i seguenti quesiti:
        «ad integrazione ed approfondimento della consulenza medico-legale già espletata con riferimento al decesso del cap. De Grazia Natale, esegua il CT ulteriori accertamenti chimico-tossicologici per la ricerca di sostanze tossiche e velenose, nonché approfondisca, con l'allestimento di ulteriori preparati, l'aspetto istologico. Accerti ed approfondisca altresì quant'altro utile ai fini delle indagini volte a verificare la causa del decesso, anche tenendo conto di quanto emerge dagli atti e dalla consulenza di parte depositata».
        La dottoressa Del Vecchio, in questa occasione, si avvalse della collaborazione di consulenti tecnici chimici nelle persone del professore Enrico Cardarelli, della facoltà di Scienze matematiche fisiche e nucleari dell'Università degli Studi di Roma «La Sapienza», e della dottoressa Luisa Costamagna, dell'Istituto di medicina legale e delle assicurazioni della medesima Università.
        Gli ulteriori accertamenti svolti non portarono, peraltro, a risultati diversi da quelli già acquisiti.
        Nella seconda relazione depositata il consulente ha evidenziato che gli ulteriori esami chimici hanno escluso la presenza di sostanze tossiche di natura esogena nei campioni esaminati. La ricerca era stata condotta con particolare riferimento alle sostanze che possono portare alla morte in tempi brevi con sintomatologie quali quelle descritte (ipnotici, farmaci cardiaci, depressori del sistema nervoso centrale, cianuri). È stata inoltre effettuata una ricerca di arsenico nei capelli e nel fegato e la ricerca è risultata negativa.
        Il mancato rilevamento di tracce di alcool etilico nel sangue (sebbene, secondo quanto dichiarato dai testi, il capitano avesse bevuto un bicchiere di vino e del limoncello) era giustificabile, a detta del consulente, per il fatto che il decesso era avvenuto a poco più di un'ora dall'ingestione dei cibi, e quindi l'alcool non aveva avuto il tempo sufficiente per entrare in circolo e, peraltro, risulta che il capitano De Grazia avesse rigurgitato parte del cibo durante le manovre di rianimazione messe in atto dal maresciallo Moschitta e Francaviglia.
        La dottoressa Del Vecchio, in data 11 dicembre 1997, venne nuovamente sentita a chiarimenti dal dottor Russo, in occasione del deposito della relazione relativa al secondo esame autoptico effettuato (cfr. il prossimo paragrafo 2.3.2).
            e) I provvedimenti di archiviazione
        Il procedimento avviato in merito alla morte del capitano De Grazia si è concluso, nella prima fase, con un provvedimento di archiviazione emesso il 28 settembre 1996, su richiesta del pubblico ministero del 9 marzo 1996, e basato sui risultati della prima autopsia che riconduceva il decesso ad un evento naturale. (doc. 1276/2).
        La seconda fase si è conclusa un provvedimento di archiviazione emesso il 26 novembre 2002 dal Gip dottoressa Raffaella Caccavela su

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richiesta del pubblico ministero formulata nel luglio 1998 sulla base delle seguenti considerazioni (doc. 1276/3):
            il decesso del capitano De Grazia era da ricondurre, secondo quanto accertato dalla consulenza medico legale e autoptica, ad un evento naturale del tipo «morte improvvisa dell'adulto»;
            gli ulteriori esami chimici disposti a seguito della riesumazione della salma avevano escluso la presenza di sostanze tossiche di natura esogena;
            la presunta incompatibilità tra il dato laboratoristico relativo alla negatività per la presenza di alcool etilico nel sangue e la circostanza (acquisita sulla base delle testimonianze assunte) della assunzione di vino e limoncello, appariva spiegata dalle considerazioni medico-legali evidenziate nel verbale di sit dell'undici dicembre 1997.

2.2 Gli elementi acquisiti dalla Commissione.

        La Commissione ha approfondito la vicenda relativa alla morte del capitano De Grazia sia attraverso l'acquisizione di copia degli atti del procedimento aperto presso la procura della Repubblica di Nocera Inferiore sia attraverso numerose audizioni.
        Sono stati, in particolare, ascoltati:
            i magistrati Francesco Neri, Nicola Maria Pace, Francesco Greco che si occuparono delle inchieste sulle navi a perdere;
            il magistrato che condusse le indagini sulla morte del capitano, Giancarlo Russo;
            il cognato del capitano, signor Francesco Postorino;
            il maresciallo Niccolò Moschitta, il carabiniere Rosario Francaviglia, il maresciallo Domenico Scimone, facenti parte, unitamente al capitano, del gruppo investigativo creato dal dottor Neri;
            i carabinieri Angelantonio Caiazza e Sandro Totaro, appartenenti al nucelo mobile della Stazione CC di Nocera inferiore, intervenuti al momento del decesso del capitano.
        Sono stati anche ascoltati:
            l'ex colonnello del Corpo forestale dello Stato di Brescia Rino Martini;
            il brigadiere del Corpo forestale dello Stato di Brescia Gianni De Podestà;
            il vice ispettore del Corpo forestale dello Stato Claudio Tassi;
            l'ex collaboratore di giustizia Francesco Fonti;
            il comandante in seconda, ufficiale presso la Capitaneria di porto di Vibo Valentia, Giuseppe Bellantone.


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        Si è, poi, ritenuto, di approfondire anche l'aspetto medico legale, sia attraverso l'audizione dei medici che, all'epoca delle indagini, eseguirono gli accertamenti autoptici (dottoressa Del Vecchio e dottor Asmundo) sia affidando al professore dottor Giovanni Arcudi (direttore dell'Istituto di Medicina legale nella Facoltà medica dell'Università di Roma «Tor Vergata» nonchè consulente medico legale della Commissione), l'incarico di valutare gli accertamenti medico legali compiuti dai predetti consulenti, al fine di acquisire un parere tecnico anche sotto questo profilo.

2.2.1 Le dichiarazioni rese alla Commissione dal Maresciallo Domenico Scimone.

        In data 18 gennaio 2011 è stato audito dalla Commissione il Maresciallo Domenico Scimone.
        Lo stesso, dopo aver specificato di aver preso parte attivamente alle indagini condotte dal sostituto Neri, fin dal loro inizio, insieme al capitano De Grazia, ha parlato anche dei rapporti con quest'ultimo, definendolo amico d'infanzia e compagno di regate.
        In merito al giorno della morte del capitano, ha dichiarato:
        «Il giorno della morte di De Grazia che è la cosa più grave ci eravamo visti di mattina, alle 9.00, con De Grazia e Moschitta. Il programma era il seguente: io dovevo andare a La Spezia con Moschitta per acquisire documentazione presso la dogana, De Grazia con la mia macchina della sezione della polizia giudiziaria insieme al mio autista avrebbe dovuto recarsi a Crotone per sentire il signor Cannavale, quello che ha demolito la nave Jolly Rosso. Si doveva quindi occupare della ricostruzione della Jolly Rosso, mettendo a verbale le dichiarazioni di questo signore.
        Alle 10.30-11.00 mi telefona De Grazia dicendomi che visto che si trattava di un atto di polizia giudiziaria in cui non era ferrato come me che ne facevo tutti i giorni, preferiva andare con Moschitta perché avendo navigato per tanti anni sapeva dove mettere le mani nelle dogane e leggere le polizze di carico.
        Ho risposto che non c'erano problemi: lui sarebbe andato a La Spezia mentre io mi sarei recato a Crotone. Intendevo partire verso le cinque del mattino per andare verso Crotone, mentre non so per quale motivo De Grazia decise di partire quella sera, nonostante avessi consigliato loro di partire presto la mattina seguente, arrivando con calma, senza partire di notte.
        Avevano però ribattuto che tanto avrebbe guidato l'autista, che si sarebbe riposato dopo mentre loro visionavano gli atti. Alle 19.00 ho sentito Moschitta: mi ha detto che stavano partendo e che era tutto a posto.
        La mattina alle 5.00 sono partito per Crotone. Mentre stavo mettendo a verbale, verso le 8.30-9.00, mi ha chiamato un collega della sezione di polizia giudiziaria di cui facevo parte, che mi chiede: «che è successo a De Grazia, è morto?».
        Ho pensato a un incidente stradale e ho subito chiamato al telefono. Quando mi ha risposto Moschitta ho sperato che fosse un'invenzione. Ho chiesto se De Grazia fosse morto e lui mi ha chiesto chi me lo avesse detto e mi raccomandò di non preoccuparmi.


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        Continuai quel verbale nonostante ciò e, finito il verbale verso le 19.00, partimmo con la macchina e scoppiò una gomma, per cui alle 19.30 feci aprire un garage per aggiustarla. Partiti da Crotone e arrivati all'autostrada di Lamezia Terme, mi vidi passare davanti il carro funebre e dietro l'autovettura Ritmo del reparto operativo.
        Avendo riconosciuto la macchina, mi sono messo dietro e siamo andati ad accompagnarlo fino a casa. Questa è la realtà dei fatti. Nessuno poteva conoscere il programma di De Grazia: ha deciso lui quando partire, dove fermarsi a mangiare, per cui non c’è un mistero: è morto, su questo ci sono dubbi, quale sia la causa della morte non lo so perché ho assistito anche all'autopsia effettuata a Reggio Calabria e per un attimo quando hanno aperto la bara non era lui, poi mi sono reso conto che era lui.
        Questa è la realtà dei fatti.»
        Riguardo alla partecipazione del maresciallo Scimone alle operazioni autoptiche, è stato già evidenziato che lo stesso era stato autorizzato a presenziare alle operazioni di disseppellimento dal pubblico ministero dottoressa Apicella.
        Tuttavia il maresciallo Scimone ha dichiarato alla Commissione di aver partecipato proprio all'autopsia, che sarebbe stata effettuata dal dottor Aldo Barbaro:
        «l'autopsia non è stata in grado di stabilire nemmeno la causa della morte. (...) è stata fatta a Reggio Calabria dal dottor Aldo Barbaro. (...) Quando poi la salma è arrivata a Reggio Calabria l'ho portata io in camera mortuaria e ho assistito all'autopsia del dottor Aldo Barbaro».
        Tuttavia, da nessun atto processuale emerge che il dottor Barbaro abbia partecipato alle operazioni autoptiche, effettuate solo dalla dottoressa Del Vecchio e dal consulente di parte dottor Asmundo.
        Le dichiarazioni del maresciallo Scimone destano qualche perplessità sotto vari profili. In primo luogo, come detto, il maresciallo Scimone è l'unico che ha riferito in merito al cambio di programma, avvenuto – a suo dire – all'ultimo minuto, per cui il capitano De Grazia decise solo la mattina del 12 dicembre di non andare più a Crotone, ma di recarsi a La Spezia. Nessun'altro tra gli inquirenti ha, infatti, accennato a tale circostanza, che peraltro sembrerebbe smentita dalle dichiarazioni della moglie del capitano Anna Maria Vespia.
        Ulteriore motivo di perpelssità riguarda l'indicazione del dottor Barbaro quale medico legale che avrebbe effettuato l'autopsia, dato che contrasta con le emergenze processuali e con gli esiti degli ulteriori approfondimenti effettuati dalla Commissione.

2.2.2 Le dichiarazioni del maresciallo Moschitta.

        Il Maresciallo Niccolò Moschitta è stato audito in due diverse occasioni. La prima, in data 11 marzo 2010 e la seconda in data 2010.
        Nel corso della prima audizione, lo stesso ha fornito indicazioni in merito al motivo della missione a La Spezia, affermando:
        «Stavamo andando a La Spezia ad acquisire la documentazione in merito alla Rigel, la nave affondata a Capo Spartivento. Tale


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documentazione era di interesse perché il processo di La Spezia aveva sancito che sul trasporto di quella nave erano state pagate dazioni ed era stato coinvolto personale della dogana e della Rigel circa il carico. Era necessario e importante avere con noi questi documenti per poi proseguire, se non erro, per Como o per un'altra destinazione per sentire altri eventuali testimoni, con tanto di delega del magistrato».
        Quanto alle circostanze specifiche del decesso del capitano De Grazia, il maresciallo Moschitta, ha rappresentato quanto segue:
        «Partiamo poco dopo le 19 con la macchina di servizio, con alla guida il carabiniere. Io ero seduto davanti e il capitano dietro. Ci siamo fermati 2 o 3 volte per fare benzina, per prenderci qualcosa, neanche il caffè. Erano soste di servizio senza alcun problema, fino ad arrivare nella zona prima di Salerno.
        Ormai era tardi, intorno alle 22.30, quando Natale ci propose di fermarci per mangiare. Gli dissi che più avanti c'era l'autogrill di Salerno; avremmo potuto fermarci là, eventualmente mangiare un pasto leggero e proseguire. De Grazia insistette che voleva mangiare, che aveva fame.
        Eravamo proprio presso lo svincolo di Campagna. In passato, insieme a molti altri colleghi, mi sono occupato anche di Tangentopoli a Reggio Calabria, quindi mi è capitato di recarmi spesso a Roma presso i differenti ministeri ad acquisire documenti. Arrivati verso Campagna, gli indicai che c'era un ristorante a due passi (...) Lui si è seduto davanti in macchina. Erano più o meno le 23.30 e abbiamo cominciato a dirigerci verso Salerno. Volle sedersi davanti perché voleva distendere le gambe e cercare di dormire un po’. Allora io mi misi dietro. Cercavo di dare da parlare il più possibile all'autista perché con lo stomaco pieno temevo potesse venirgli un colpo di sonno.
        A un certo punto, il capitano cominciò a russare, almeno a me sembrò che russasse. Invece poi scoprii che erano rantoli. Gli sistemai la testa e ripresi a parlare con l'autista.
        Quando siamo arrivati al casello di Salerno, il capitano abbassò di nuovo la testa, ma siamo andati avanti. Alla prima galleria illuminata, lo toccai ed era sudato freddo. Dissi al collega di guardarlo in faccia, visto che era davanti, perché era sudato freddo e non mi rispondeva; lo volevo svegliare. Lui mi rispose che aveva gli occhi storti. Gli dissi di fermarsi alla prima piazzola non appena usciti dalla galleria; poi, in realtà, ci fermammo sulla corsia di emergenza perché non c'era piazzola. Nel frattempo, si scatenò un temporale incredibile e si mise a piovere».
        Le altre dichiarazioni rese dal Moschitta alla Commissione hanno riguardato prevalentemente gli elementi raccolti nel corso dell'indagine sulle navi a perdere, compediati nell'informativa finale dallo stesso redatta e depositata nell'ottobre 1996.

2.2.3 Le dichiarazioni del carabiniere Rosario Francaviglia.

        La Commissione ha ritenuto di dover ascoltare anche il carabiniere Francaviglia, il quale, pur avendo preso parte alle indagini e alla


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missione durante la quale perse la vita il capitano De Grazia, fu ascoltato in un'unica occasione dal dottor Russo, rendendo dichiarazioni sostanzialmente identiche a quelle del suo collega Moschitta e verbalizzate nello stesso modo.
        Nel corso dell'audizione avanti alla Commissione, avvenuta in data 1o agosto 2012, il carabiniere Francaviglia ha aggiunto alcuni elementi utili a ricostruire più nel dettaglio i drammatici momenti in cui si accorse, unitamente al maresciallo Moschitta, che il capitano De Grazia non stava bene.
        Si riportano i passaggi dell'audizione di maggiore interesse:
        «Quando sono arrivato nei pressi dell'autostrada, al casello autostradale per Salerno, forse nei pressi di Nocera (ma non ricordo bene), il maresciallo Moschitta si è accorto che il capitano aveva fatto un movimento strano con la testa e lo ha chiamato; non ha ottenuto risposta e lo ha toccato in viso per cercare di svegliarlo mentre io, nel frattempo, ripartivo. A quel punto il maresciallo mi ha detto che qualcosa non andava perché il capitano non rispondeva; mi sono girato, l'ho guardato negli occhi e ho visto che aveva lo sguardo assente. Spento (...) Lo sguardo non c'era, non era vivo (...) Si era addormentato prima, quando siamo partiti. Durante il tragitto, ogni tanto si sentiva brontolare, cioè russare, a seconda di com'era seduto. Poco prima di fermarci, ho notato che si era come aggiustato nel sedile, ma non abbiamo notato nulla di strano; quando sono ripartito dai caselli ed ero arrivato quasi sotto la galleria, il maresciallo mi ha avvertito che Natale non stava bene ed era sudato. Mi sono girato per guardarlo in viso e siccome era rivolto verso di me, ho visto che aveva gli occhi semichiusi, ma lo sguardo non era quello di una persona viva; non so come altro spiegarlo. L'ho guardato e c'era qualcosa che non andava; chiaramente, siamo usciti dalla galleria e ci siamo fermati; abbiamo cercato di fare qualcosa, convinti che stesse male ma che la situazione non fosse così drammatica. Lo abbiamo tirato fuori dalla macchina e gli ho praticato massaggio cardiaco e respirazione.(...) La cosa strana, però, è che gli veniva fuori il cibo da solo e mi arrivava in bocca mentre, nella disperazione, continuavo a praticargli la respirazione. Nel frattempo si era messo pure a piovere e pensando che fosse un problema dovuto a qualcosa lo abbiamo piegato sul guardrail per cercare di fargli liberare l'esofago. Nel frattempo, il maresciallo Moschitta aveva chiamato soccorso ed è arrivata l'autoambulanza, ma era già...»
        Il carabiniere Francaviglia ha fornito, poi, una serie di precisazioni, affermando che:
            verso le 23:30, al termine della cena, tutti e tre ripartirono e che il capitano De Grazia non disse alcunchè, addormentandosi immediatamente;
            sentirono il capitano brontolare o russare;
            ad un certo punto il c.re Francaviglia notò che il capitano si era raddrizzato sul sedile, come a volersi sistemare meglio. Contemporaneamente, il russare apparì diverso, strano. Ciò accadeva qualche minuto prima del momento in cui il maresciallo Moschitta si accorse che De Grazia stava male;

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            quando il maresciallo Moschitta lo toccò, lo trovò freddo e sudato;
            tra l'uscita dal ristorante ed il momento in cui si accorsero dello stato del capitano passò circa mezz'ora;
            appena notarono lo stato del capitano, accostarono l'auto sul ciglio della strada;
            il maresciallo Moschitta chiamò i soccorsi, che arrivarono in circa 10 minuti (sia ambulanza che auto dei carabinieri);
            il personale dell'ambulanza che visitò il capitano fece un cenno, come a dire che non c'era più niente da fare;
            giunti in ospedale, dopo che il medico comunicò il decesso del capitano, il maresciallo Moschitta insistette affinchè venisse eseguito l'esame autoptico;
            venne chiamato al telefono anche il magistrato di turno, che parlò con il medico e convenne con questo che non era necessario eseguire alcuna autopsia.

2.2.4 Le dichiarazioni dei carabinieri intervenuti sul posto, Angelantonio Caiazza e Sandro Totaro.

        Al fine di acquisire ogni notizia di specifica relativa a quanto accadde la notte in cui il capitano De Grazia perse la vita, la Commissione ha audito i componenti dell'equipaggio dell'aliquota radiomobile dei CC della Stazione di Nocera Inferiore intervenuti sul posto, peraltro mai ascoltati dai magistrati che indagarono sui fatti.
        Entrambi sono stati auditi nel luglio 2012. Per primo è stato audito il carabiniere Caiazza, il quale ha dichiarato:
        «Quella notte avevamo appena intrapreso il servizio di un turno 00.00-06.00, un turno notturno, e fummo informati dalla centrale operativa che sull'autostrada, a bordo di un'autovettura – una Tipo o una Punto – una persona era stata colta da malore. Ci recammo sul posto unitamente a un'unità sanitaria e trovammo una persona riversa supina tra lo sportello posteriore dell'auto e l'asfalto. Intervennero i sanitari, mentre noi provvedemmo a identificare gli altri militari presenti, che gli praticarono un massaggio cardiaco e lo portarono in ospedale, dove ci consegnarono una borsa contenente gli effetti del povero De Grazia, che fu identificato pure da noi. (...) Abbiamo ritirato anche un borsone contenente una valigia ventiquattrore, che fu consegnata al maresciallo Moschitta su sua richiesta (....) L'unità sanitaria intervenne mentre noi provvedemmo a identificare gli altri due militari. In ogni caso, credo fosse ancora vivo perché gli stavano praticando un messaggio cardiaco. (...) Lì (in ospedale) abbiamo ritirato il referto stilato dal medico. Sembra che fosse morto per arresto cardiaco. Poi abbiamo ritirato gli effetti personali.(....) Il borsone ci è stato consegnato dai colleghi del nucleo operativo. Della destinazione sapevamo solo che stavano transitando sulla A30, direzione


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nord, la Caserta-Roma. (...) Una volta ritirato il referto, siamo tornati in caserma e abbiamo stilato gli atti».
        Il carabiniere Caiazza ha poi specificato di non essere stato mai sentito da alcun magistrato in merito ai fatti.
        Le dichiarazioni dell'appuntato scelto Sergio Totaro combaciano sostanzialmente con quelle del suo collega. Si riportano i passaggi più significativi:
        «La vettura in questione l'abbiamo trovata all'uscita della prima galleria dell'autostrada A30, barriera Salerno-Mercato San Severino, direzione nord. (...) C'erano una persona supina sull'asfalto e due persone in abiti civili accanto, che poi abbiamo identificatocome un maresciallo e un appuntato dell'Arma. (...) È stata chiamata, contestualmente, anche l'ambulanza. Dal momento che il comando dei carabinieri si trova 100 metri prima dell'ospedale siamo intervenuti contemporaneamente. (...) C'era una persona supina, sdraiata sull'asfalto, e due persone in abiti civili accanto, che si sono poi presentati per un maresciallo e un collega dell'Arma. Mentre li stavamo identificando i signori dell'ambulanza prestavano soccorso alla persona in terra. (...) Penso che abbiano tentato i primi interventi per rianimarlo. Quella in cui siamo arrivati era una fase un po’ concitata, tanto è vero che subito dopo l'hanno messo in ambulanza e siamo andati direttamente all'ospedale Umberto I, loro davanti e noi dietro, che era a circa due chilometri di distanza. (...).
        Con riferimento alla valigetta 24 ore che il capitano De Grazia portava con sé, il carabiniere Totaro ha riferito che:
        «Gli effetti personali del capitano De Grazia furono consegnati al militare di servizio alla caserma in quanto andavano consegnati ai parenti. Inoltre, c'era la classica busta di colore nero in cui l'ospedale mette gli ambiti che la persona indossa al momento. C'era anche un borsone di colore blu del capitano De Grazia che mi pare contenesse una valigetta e una macchina fotografica. Mi pare che il tutto fu consegnato, su sua richiesta, al maresciallo Moschitta con ricevuta».
        Il carabiniere ha specificato di non avere controllato il contenuto della valigetta e che la stessa fu restituita, senza essere stata aperta, al maresciallo Moschitta, il quale la richiese espressamente:
        «No, ci fu chiesta. Ci dissero che conteneva materiale che dovevano portare via, con cui dovevano continuare. Ci fu chiesta proprio, se non erro, dal maresciallo Moschitta. Ci disse cortesemente che c'erano dei fascicoli. Abbiamo menzionato di proposito nell'annotazione «che veniva consegnata, previa richiesta, a Tizio e Caio per il prosieguo dell'operazione».
        Il carabiniere ha poi specificato la tempistica della restituzione degli effetti personali e della valigetta: dopo essere stati in ospedale, i militari andarono in caserma per formalizzare gli atti, unitamente al maresciallo Moschitta e al carabiniere Francaviglia,
        «il maresciallo disse che a loro occorreva la valigetta con gli atti perché dovevano proseguire per il loro viaggio. A quel punto consegnammo a lui quel materiale (...) Presumo che il tutto sia avvenuto in ufficio davanti a noi o che il maresciallo abbia detto che conteneva fascicoli processuali. Se l'abbiamo scritto, qualcuno ce lo

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avrà detto o l'ha aperta davanti a noi. Si tratta di tanti anni fa, ricordo la sera, ma non tutti i dettagli. Fu una fase concitata, in mezz'ora una semplice richiesta d'aiuto diventò una morte. Il nostro intervento è terminato proprio in ospedale».
        La Commissione ha formulato numerose domande volte a comprendere quale fosse il contenuto della valigetta e se questo fosse stato in qualche modo verificato, anche per capire le ragioni della restituzione della valigetta al maresciallo Moschitta.
        In particolare, alla domanda della Commissione sul motivo per il quale, nonostante la valigetta non fosse stata aperta, fosse stato redatto un verbale nel quale si dava conto del numero di procedimento penale cui si riferivano gli atti contenuti nella valigetta stessa, il carabiniere ha risposto:
        «Personalmente, non ricordo. Eravamo in due e forse l'avrà letto il brigadiere, poi abbiamo firmato in due. Materialmente, però, non ho visto il fascicolo. In genere, uno di noi scrive e alla fine sottoscriviamo, ma io non ho visto quel fascicolo e, se l'avessi visto, non lo ricordo»
        Sul punto è stato interpellato anche il carabiniere Caiazza, il quale ha riferito, che se era stato riportata a verbale che nella valigetta era contenuto un fascicolo riferito al procedimento penale n. 2114/94 RGNR, evidentemente doveva aver visionato il fascicolo stesso, pur non potendo confermare la circostanza non ricordando più tale particolare.

2.2.5 Le dichiarazioni di Francesco Fonti in merito alla morte del capitano De Grazia.

        Per completezza di trattazione si ritiene di dover dare conto anche delle informazioni acquisite nel corso dell'inquiesta dall'ex collaboratore di giustizia Francesco Fonti, già appartenente alla ’ndrangheta calabrese, audito dalla Commissione in data 5 novembre 2009 nel corso della missione effettuata a Bologna.
        Deve essere subito chiarito che la Commissione ritiene inattendibile Francesco Fonti rispetto alle dichiarazioni che in varie sedi ha reso sul tema del traffico di rifiuti radioattivi o comunque tossici da parte della ’ndrangeta calabrese. Si tratta di un'inattendibilità intrinseca in quanto più volte Fonti si è contradetto e ha fornito versioni diverse rispetto ad elementi essenziali della narrazione nonché di un'inattendibilità estrinseca in quanto non sono stati fornite indicazioni adeguate per riscontrae le dichiarazioni da lui rese.
        Fonti è stato interpellato anche con riferimento al decesso del capitano De Grazia. Sul punto, ha dichiarato di avere sentito dire, all'interno dell'organizzazione criminale cui era legato, che il capitano Natale De Grazia era stato ucciso.
        Ha aggiunto, poi, che i servizi segreti facevano sparire sia i rifiuti sia le persone che potevano rappresentare un concreto ostacolo alla prosecuzione dei traffici illeciti: l'ipotesi era, quindi, quella che il capitano fosse stato eliminato perché stava scoprendo cose che avrebbero dovuto restare segrete.


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        In realtà, Fonti ha precisato che si trattava di notizie non certe ed acquisite da altre persone.
        La Commissione ha chiesto al Fonti chiarimenti in merito alle dichiarazioni dallo stesso rese nel corso di una trasmissione radiofonica sull'emittente «Radio anch'io», andata in onda nella seconda metà del 2009. In tale trasmissione il Fonti aveva dichiarato che il comandante De Grazia sarebbe stato ucciso dai servizi.
        Alla domanda se tale affermazione fosse supportata da elementi di riscontro o meno il Fonti ha risposto:
        «Sono chiacchiere, cose che ho sentito dire. Sicuramente sono considerazioni svolte da altre persone come me. (...) Le chiacchiere si facevano anche fra di noi. Quando ci si trovava per riunioni ufficiali, concordate, oppure anche per caso, fra le famiglie c'era sempre un certo antagonismo: io so di più, faccio di più, ho fatto questo traffico, tu non l'hai fatto, io ho preso questi miliardi, tu li hai presi. Vi era la megalomania di poter fare di più di un'altra famiglia».
        Il Fonti ha poi specificato di aver sentito tali chiacchere all'interno della sua organizzazione.
        Data la delicatezza delle affermazioni effettuate, si ritiene di riportare il passaggio dell'audizione sul punto:
        «PRESIDENTE. Sulla base di che cosa davano queste notizie?
        FRANCESCO FONTI. Con i rifiuti si trattava con i servizi segreti, e, se qualcosa non va, questi decidevano di far sparire anche le persone. L'ipotesi era quella che anche il capitano fosse stato eliminato, perché stava andando a scoprire qualcosa che non doveva emergere
        PRESIDENTE. Lei non parlò mai con Pino (soggetto non meglio identificato, già indicato da Fonti come appartenente ai servizi segreti ed elemento di collegamento con il Fonti e con la ’ndrangheta) di questa vicenda?
        FRANCESCO FONTI. No.
        PRESIDENTE. Poiché nella trasmissione, che anch'io ho sentito, lei dava come una notizia importante, quasi certa, il fatto che fosse stato ucciso...
        FRANCESCO FONTI. Non penso, non era questa la mia intenzione, anche perché è una vicenda che non ho vissuto».
        Con riferimento alle dichiarazioni di Fonti, indipendentemente dall'attendibilità di base o meno del personaggio, è evidente che, in questo caso, la loro assoluta genericità unita al fatto di essere dichiarazioni cosiddette de relato (ossia non apprese direttamente, ma riferite da altre persone, tra l'altro mai indicate nominativamente), impedisce di prenderle seriamente in considerazione. Tanto più che lo stesso Fonti, richiesto sul punto, le ha definite «chiacchere».

2.3 Gli approfondimenti svolti dalla Commissione in ordine alle consulenze medico legali.

        Un capitolo a parte la Commissione ha inteso dedicarlo agli approfondimenti medico legali svolti nel procedimento aperto presso


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la procura di Nocera Inferiore e, quindi, in merito agli esami autoptici effettuati sulla salma del capitano De Grazia.
        Si tratta di uno snodo centrale della vicenda e delle indagini, in quanto di fatto le consulenze tecniche espletate hanno individuato quale causa del decesso un fenomeno definito nella letteratura scientifica come «morte improvvisa dell'adulto» che, secondo quanto precisato dal consulente della Commissione, professor Arcudi, può essere individuato solo allorquando siano state esluse tutte le possibili ipotesi alternative.
        Le consulenze hanno costituito poi l'elemento fondante sia delle richieste di archiviazione sia dei relativi conformi provvedimenti del Gip.

2.3.1 Le conclusioni dei consulenti medico legali nominati nell'ambito del procedimento avviato dalla procura di Nocera Inferiore.

        Come già evidenziato, la dottoressa Del Vecchio, consulente del pubblico ministero, effettuò due consulenze tecniche, la seconda delle quali finalizzata ad accertare mediante esame istologico e chimico-tossicologico l'eventuale presenza di sostanze tossiche o con analoghe caratteristiche, che avessero cagionato il decesso.
        Si riportano, di seguito, le conclusioni della dottoressa Del Vecchio, di cui alla prima relazione di consulenza, depositata il 12 marzo 1996:
        «La morte di De Grazia Natale, constatata l'assenza di lesività traumatica con caratteristiche di vitalità e accertata la negatività degli esami chimico-tossicologici, considerati i dati macroscopici rilevati all'esame autoptico (cuore di volume diminuito, si acquatta sul tavolo anatomico; il tessuto adiposo sottoepicardico è molto rappresentato e mostra colorito grigiastro e aspetto translucido; miocardio torbido, grigiastro, assottigliato, diminuito di consistenza; coronarie serpiginose, specillagli, con intima interessata da diffuse deposizioni ateromasiche intimali) e quelli microscopici forniti dall'esame istologico (è presente miocitolisi coagulativa, ma i preparati sono abbastanza ben conservati. In alcuni campi si osserva aumento del grasso subepicardico; il tessuto adiposo si approfonda, a tratti, financo nei piani muscolari. È presente notevolissima frammentazione terminale delle miocellule che risultano rigonfie, torbide, con nuclei ipocromici ed acromici. Evidente sofferenza delle arterie di piccolo e medio calibro, che presentano ispessimento sia avventiziale che intimale, con lumi ristretti. Si nota, inoltre, incremento degli spazi fra le fibre muscolari, dove la quota connettivale presenta caratteri di fibrosi interstiziale che in qualche campo sostituisce la struttura -miocardioangiosclerosi-, può ricondursi per sua natura ad una morte di tipo naturale, conseguente ad una insufficienza cardiaca acuta, inquadrabile più specificatamente nella fattispecie della morte improvvisa. La morte improvvisa è un evento repentino ed inatteso caratterizzato dal fatto che il soggetto passa da una condizione di completo benessere o almeno di assenza di sintomi alla morte in un arco di tempo inferiore alle 24 ore. La definizione di morte improvvisa secondo l'Organizzazione


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mondiale della sanità è la seguente: «morte naturale avvenuta in presenza o in assenza di testimoni e dovuta ad arresto cardiaco improvviso, verificatosi inaspettatamente in un soggetto che fino a sei ore prima godeva di buona salute». La classica impostazione medico legale del Borri prevede ai fini della classificazione di un evento letale come morte improvvisa, che questo soddisfi i seguenti requisiti: assenza di una eventuale azione violenta esteriore; rapidità del decesso; esistenza di uno stato di buona salute o di apparente buona salute, o comunque di una malattia che non minacci un'evoluzione letale. Molte sono le cause di questo tipo di decesso, ma tra quelle cardiache un posto preminente è occupato dalla patologia cardiaca (coronarica e miocardica) che costituisce la causa di gran lunga più frequente di questo genere di morti (Puccini C. Istituzioni di medicina legale, Ambrosiana, Milano, 1995). L’exitus è provocato, solitamente, da gravi turbe del ritmo culminanti in fibrillazione ventricolare. L'evento scatenante è di natura ischemica ma solo in meno della metà dei casi si riscontra una trombosi coronarica occlusiva o ad esempio un infarto recente, perché negli altri casi le alterazioni elettriche sono precipitate da altre cause ischemiche. Il meccanismo di molte morti improvvise cardiache è costituito da uno stato di instabilità elettrica da ipossia cronica, cosicché un aumento delle richieste metaboliche del cuore, in conseguenza di uno sforzo fisico ovvero di un'intensa emozione, ma anche una condizione di permanente tensione emotiva e di allarme conseguente all'espletamento di attività professionali particolarmente impegnative, delicate e rischiose, fonte di enormi responsabilità, (come nel nostro caso) può determinare uno stato di stress continuo che alla fine precipita la situazione cardiaca. La fibrosi miocardica (presenta nel nostro caso), inoltre, determina un rischio aggiuntivo di interruzione della continuità del sistema di conduzione, che può determinare vari gradi di blocco o di difetto di propagazione del'impulso contrattile, rendendo il cuore più sensibile all'ischemia ed all'arresto (Umani Ronchi G., Botino G., Grande A., Mannelli E.: Patologia Forense. Giuffrè, Milano, 1995). Inoltre, come dalle risultanze dell'esame istologico da noi eseguito, l'infiltrazione di tessuto adiposo che dalla consueta sede subepicardica si insinua in profondità fino ad interessare la parete miocardica, dissociando i fasci muscolari, è tipica anche della cosidetta displasia aritmogena, condizione caratterizzata da aritmie e spesso da morte improvvisa. Pertanto, la morte del capitano De Grazia, sembra possa riconoscere una dinamica di tipo naturale e più precisamente della cosidetta «morte improvvisa dell'adulto», che trova origine per lo più in una ischemia del miocardio con successive gravi turbe del ritmo cardiaco, che si manifestano anche in assenza di segni premonitori e che, dal punto di vista anatomopatologico, addirittura nella metà dei casi circa, sono caratterizzati dall'assenza di segni specifici, non solo macroscopici, ma anche microscopici e ultramicroscopici».
        Parzialmente diverse, nella parte descrittiva degli organi e dei tessuti, appaiono le conclusioni del dottor Asmundo nella relazione depositata otto mesi dopo quella del consulente del pubblico ministero. Il dottor Asmundo, pur riconoscendo la natura cardiaca della morte improvvisa del De Grazia, la riconduce a «accidente cardiaco

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improvviso per insufficienza miocardica acuta da miocitolisi coagulativa da superlavoro in soggetto affetto, appunto, da cardiomiopatia (dilatativa) da catecolamine»:


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        A seguito della richiesta di riapertura indagini, vennero risentiti i due consulenti, del pubblico ministero e di parte. Entrambi convennero sulla possibilità di effettuare ulteriori accertamenti, in particolare per verificare la presenza di veleni.
        La dottoressa De Vecchio chiarì al pubblico ministero Russo che gli accertamenti tossicologici già effettuati avevano escluso la presenza di sostanze tossiche e stupefacenti, in particolare l'alcool, gli oppiacei, la cocaina, i barbiturici, le benzodiazepine, le anfetamine, i cannabinoidi e tutte le altre T.L.C, evidenziando che il materiale prelevato per tali accertamenti (bile e sangue) non era in quantitativo tale da rendere possibile una ripetizione di queste analisi, mentre avrebbero potuto essere effettuate analisi tossicologiche più mirate mediante prelievo di capelli, ossa, quote parte di organi di accumulo «per verificare fino in fondo per quanto possibile l'esistenza di eventuali sostanza tossiche e velenose diverse, in particolare la ricerca potrebbe riguardare i veleni metallici».
        Si riportano, di seguito, i verbali delle dichiarazioni rese dai due consulenti:


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2.3.2 La seconda consulenza tecnica espletata su incarico del pubblico ministero.

        In data 18 giugno 1997, il pubblico ministero Giancarlo Russo affidò, quindi, un secondo incarico alla dottoressa Del Vecchio sottoponendole ulteriori quesiti:
        «ad integrazione ed approfondimento della consulenza medico-legale già espletata con riferimento al decesso del capitano De Grazia Natale, esegua il CT ulteriori accertamenti chimico-tossicologici per la ricerca di sostanze tossiche e velenose, nonché approfondisca, con l'allestimento di ulteriori preparati, l'aspetto istologico. Accerti ed approfondisca altresì quant'altro utile ai fini delle indagini volte a verificare la causa del decesso, anche tenendo conto di quanto emerge dagli atti e dalla consulenza di parte depositata».
        Venne dunque effettuato un secondo accertamento sul cadavere del capitano De Grazia, in esito al quale vennero rassegnate dalla dottorssa De Vecchio le seguenti conclusioni:
        «La riesumazione del cadavere del capitano De Grazia Natale, ci ha permesso di eseguire ulteriori prelievi da utilizzare per gli accertamenti chimico-tossicologici e per l'approfondimento delle indagini di consulenza tecnica.
        A tal fine gli ulteriori esami chimici eseguiti hanno escluso la presenza di sostanze tossiche di natura esogena nei campioni esaminati. La ricerca è stata compiuta con particolare riferimento alle sostanze che possono portare a morte in tempi brevi, con sintomatologie quali quelle descritte (ipnotici, farmaci cardiaci, depressori del sistema nervoso centrale, cianuri).
        Per completezza è stata effettuata anche la ricerca dell'arsenico nei capelli (perla verifica di un'eventuale intossicazione cronica) e nel fegato (perla verifica di eventuale intossicazione acuta). La ricerca è risultata negativa.
        La negatività per la presenza di alcool etilico nel sangue ottenuta con il prelievo del medesimo eseguito in sede di autopsia (19 dicembre 1995) anche se sembra contrastare con le notizie di specifica (vien riferito nella relazione di servizio redatta da Moschitta Nicolo e carabiniere Francaviglia Rosario che il De Grazia si fermava durante il viaggio per la cena alle ore 22.30, consumava abbondanti quantitativi di carboidrati e proteine assumendo contemporaneamente quantitativi non riportati di vino e un bicchierino di liquore denominato limoncello), non desta perplessità, in quanto è noto che la curva di assorbimento dell'alcool etilico a stomaco pieno (soprattutto quando sono stati assunti abbondanti quantitativi di carboidrati), si appiattisce determinando valori di alcoolemia non rilevabili nel tempo immediatamente successivo all'assunzione. Poiché il decesso si è verificato poco più di un'ora dall'ingestione dei cibi e delle bevande l'alcool presente nello stomaco non aveva avuto il tempo sufficiente per entrare in circolo. Era presente, infatti, in quantità non dosabile.
        Inoltre viene riferito sempre nella relazione di servizio che durante le manovre rianimatorie il De Grazia rigurgitava parte di quanto introdotto nello stomaco durante la cena. All'esame autoptico il materiale alimentare fu rinvenuto in quantità tale da sembrare in


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contrasto con l'abbondante pasto riferito, ma ciò è invece facilmente spiegabile se confrontato con le testimonianze acquisite agli atti.
        Per quanto attiene all'esame istologico, invece, la visione preliminare di organi già esaminati, conferma i reperti impressi, in particolare riguardo per l'aumento, in alcuni campi, del grasso subepicardico. Per le ulteriori colorazioni tricromiche allestite sul cuore, quella di Gomori da conferma della presenza di microaree di sostituzione connettivale non recenti, mentre il PTH, nei limiti di lettura a causa della cattiva conservazione dell'organo, non sembra mettere in evidenza alterazioni cromatiche riferibili a presenza di fibrina recentemente neoformatasi, nell'insieme, il diagnostico sembra dunque essere quello di una miocardioangiosclerosi diffusa senza apprezzabili fenomeni di necrosi recentissima o recente di tipo focale anche se anche se l'ultima osservazione (su quote parte di cuore riesumato) deve prudenzialmente tenere conto dello stato di conservazione dell'organo (ormai preda di avanzati fenomeni putrefattivi).
        Pertanto si ritiene, anche alla luce delle ulteriori indagini di laboratorio eseguite, che la causa della morte del capitano De Grazia Natale sia da ricondurre ad un evento naturale tipo «morte improvvisa dell'adulto», come già ci esprimemmo in merito nella precedente relazione di consulenza tecnica medico-legale affidataci».
        La dottoressa Del Vecchio, allorquando depositò le conclusioni della seconda consulenza tecnica espletata, venne risentita dal pubblico ministero Russo a chiarimenti. In tale occasione confermò in pieno i risultati cui era pervenuta con la prima consulenza. Si riporta il verbale all'epoca redatto:

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2.3.3 Le audizioni in Commissione dei consulenti tecnici.

        La Commissione ha ritenuto di dover risentire entrambi i consulenti medico legali al fine di chiarire alcuni aspetti legati soprattutto al fatto che nel corso della prima autopsia non furono eseguiti tutti gli accertamenti possibili per la ricerca di sostanze tossiche o assimilate, tanto che fu disposta un'integrazione degli accertamenti stessi, limitata peraltro a quelli ancora possibili nonostante il tempo trascorso.
        Il 12 gennaio 2011 sono stati, pertanto, auditi sia la dottoressa Del Vecchio che il dottor Asmundo.
        La dottoressa ha affermato che:
            non aveva esaminato le precedenti risultanze e cartelle cliniche del capitano De Grazia per verificare se vi fossero tracce di patologie pregresse, precisando che all'epoca si facevano comunque esami che non potevano essere rivelatori di uno stato così fine di patologia che invece adesso viene valutato, come è obbligo dal 31 dicembre scorso;
            in occasione della prima autopsia le analisi tossicologiche furono limitate alla ricerca di sostanze stupefacenti, alcooliche e psicotrope, mentre la ricerca non fu estesa ai veleni, per i quali generalmente vi è una richiesta specifica da parte del magistrato;
            il quesito riguardante la ricerca di sostanze tossicologiche o simili non comprende generalmente anche la ricerca dei veleni. Questo perché per i veleni, data anche la quantità e varietà delle sostanze velenose, occorrono indagini diverse e più ampie e, dunque, quesiti più specifici;
            la maggior parte delle sostanze velenose non è rilevabile a distanza di tempo, salvo alcune sostanze, come l'arsenico;
        Si riportano i passaggi più significativi dell'audizione in parola:
        «L'autopsia è stata svolta in perfetta regola, come da circolare Fani, per cui non solo ho svolto l'autopsia, ma ho anche prelevato parte di tessuto e di organo e tutti i liquidi biologici che potevo prelevare, quindi sangue e bile (non l'urina perché la vescica era vuota) e una quota di visceri per fare l'esame chimico tossicologico (...) non ho dubbi e anzi forse potrei fare un'aggiunta per sviare altri dubbi: come ho potuto vedere perché avevamo colorato questi tessuti con colorazioni particolari che mettono in risalto aree di cicatrizzazione in cui il normale tessuto cardiaco viene sostituito quando ha degli insulti, purtroppo il cuore del capitano De Grazia era soggetto a ipossia cronica (...) a mio parere – più forte oggi di ieri – è morto per un arresto cardiocircolatorio o per insufficienza cardiaca acuta che è la stessa identica cosa per uno stress miocardico, un insulto di ipossia cronica. Lo si vedeva nel cuore, nei reni e addirittura in alcune aree del cervello in cui c'erano le cellule del famoso neurone rosso, che sono un segno di ipossia cronica.


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        (...) Tutti noi possiamo andare incontro a questo e io stessa ho una cardiopatia ipertensiva perché il problema è quello dell'impegno lavorativo, che non fa dormire la notte e impone responsabilità, laddove quelle del capitano erano certamente maggiori delle mie e forse anche delle vostre.
        Per quanto riguarda invece i veleni, quando facemmo la riesumazione l'unico veleno su cui potevamo indagare era l'arsenico perché è l'unico che rimane, e questo si è rivelato negativo, perché in chimica clinica abbiamo fatto lo spettrofotometro ad assorbimento atomico che ha dato esito negativo.
        In assenza di lesività traumatica si pensa al veleno, ma chiaramente tutti gli altri veleni come il cianuro, il bromuro, il potassio danno sintomatologie particolari. La stricnina provoca contrazioni, il bromuro provoca vomito, sintomatologie molto pesanti che non possono passare inosservate né essere confuse con un malore.
        Si tratta di qualcosa di cui ci si accorge e che qualcuno comunque deve somministrare. Non abbiamo trovato neppure l'anidride arseniosa, che forse ha minore sintomatologie e si può mescolare nei cibi ed essere ingerita senza essere percepita.
        Tutti gli esami per i derivati della morfina e degli oppiacei non come sostanza stupefacente a sé stante, ma anche per i derivati farmacologici della codeina, cocaina e così via, le benzodiazepine sono stati effettuati in prima battuta, quando fu effettuata l'autopsia, per cui posso affermare che purtroppo la morte del capitano De Grazia è stato un evento naturale stress...».
        Nel corso della medesima audizione è intervenuto anche il dottor Asmundo il quale, richiesto di chiarire se vi fossero elementi di dissenso rispetto alle conclusioni cui era giunta la dottoressa De Vecchio, ha dichiarato:
        «No, dissenso rispetto alla definizione della causa di morte no, ma ci sono alcuni aspetti che riguardano comunque la morte improvvisa da causa patologica naturale cardiaca che dal punto di vista tecnico-scientifico mi sentirei di definire in altro modo. Non ho però dubbi che si sia trattato di una morte improvvisa da causa patologica naturale cardiaca da superlavoro rispetto alle analisi condotte, alle circostanze che ci furono riferite e all'esclusione di altre cause che non sono emerse nel corso delle indagini eseguite dalla dottoressa. (...) Elementi di dissenso soltanto dal punto di vista tecnico-scientifico. Ho partecipato all'indagine autoptica e ho esaminato i preparati istologici allestiti da frammenti di visceri di cadavere e segnatamente del cuore.
        Più che presentare una patologia di tipo aterosclerotico, il cuore è danneggiato da un'iperincrezione catecolaminica cioè degli ormoni dello stress, che hanno cronicamente intossicato la cellula miocardica, producendo un quadro che non è del tutto sovrapponibile a quello da causa ischemica e quindi ipossica, ma che deriva proprio dall'azione diretta di questi ormoni sulla cellula cardiaca che la danneggia.
        Ci sono evidenti reperti, focolai e aree anche abbastanza estese della cosiddetta «miocitolisi coagulativa» nel 1995, che oggi definiamo «necrosi a bande di contrazione».

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        È quindi sostanzialmente condivisibile il terminale fisiopatologico, ma non esattamente in senso eziologico, nel senso che le coronarie, che sono i vasi che portano il sangue ossigenato al cuore per farlo ben lavorare, erano pressoché integre e non presentavano i segni tipici del soggetto cardiopatico ischemico, dell'infartuato, che presenta placche che ostruiscono la circolazione arteriosa coronarica e quindi danneggiano le cellule miocardiche non essendo apportato ossigeno.
        Qui il discorso è ben diverso e deriva proprio dall'iperincrezione catecolaminica, che caratteristicamente produce questo danno della cellula miocardica a focolai, che nel tempo possono arrivare a produrre una cardiopatia dilatativa se non interviene una causa aritmogena, cioè se il disarrangiamento dell'architettura del tessuto muscolare cardiaco non produce una desincronizzazione dell'attività cardiaca stessa tanto in senso elettrico quanto in senso meccanico, producendo quanto è accaduto al capitano De Grazia, cioè la morte improvvisa probabilmente da causa elettrica su base miocitolitica coagulativa (...) Le fibrocellule cardiache sono interconnesse tra loro e subiscono effetti che derivano da un impulso sostanzialmente elettrico, che deriva da una differenza di potenziale a livello della membrana cellulare per il passaggio di ioni dall'interno all'esterno della cellula, che attivano un meccanismo biochimico che fa contrarre la cellula.
        Se gruppi di cellule muoiono, evidentemente le interconnessioni non funzionano più e quindi la continuità dell'impulso elettrico non è garantita. Se i focolai sono multipli a livello del tessuto miocardico come in questi soggetti soprattutto la parete ventricolare sinistra, che è la parte più nobile del cuore, quella che pompa il sangue nella circolazione sistemica, in quella cerebrale fondamentalmente, questo può comportare in un altro momento, indipendentemente da una causa scatenante, una desincronizzazione dell'attività elettrica e quindi meccanica di pompa del cuore.
        Questo comporta un improvviso arresto cardiaco che può essere chiamato sincope o arresto cardiaco elettrico, che può comportare una fibrillazione ventricolare non conducente alla contrazione per il pompaggio del sangue e, in definitiva, a uno stupore e quindi a uno stop dell'attività cardiaca, che determina la morte improvvisa (...) Sono stati effettuati studi molto particolari su soggetti per i quali è stato percepito il «clic» nel senso dell'accensione del momento emozionale, sui quali si è dimostrato un rapporto sostanzialmente diretto. Ci sono però soggetti che come il De Grazia muoiono nel sonno probabilmente perché hanno anche una predisposizione – è difficile dirlo oggi – su base genetica.
        Negli ultimi 5-7 anni si è svolta una grande ricerca sulla genetica dei recettori cioè di quelle zone della cellula cardiaca che servono per l'attacco dell'adrenalina e della noradrenalina, gli ormoni dello stress, per l'attivazione della cellula. Alcuni soggetti hanno questi recettori alterati o comunque non perfetti e quindi in loro una situazione di stress può comportare molto facilmente una desincronizzazione dell'attività e quindi una morte elettrica».
        La dottoressa De Vecchio ha sottolineato, poi, che in assenza di lesività esterna (De Grazia non aveva segni traumatici da arma da

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fuoco, armi bianche o colpi contusivi, non era politraumatizzato, non era caduto da una finestra) il medico legale indaga sulle cause della morte (semplice ictus, attacco di cuore o qualsiasi altra cosa) cercando eventuali sostanze:
        «In questo caso non avevamo neanche le urine, ma abbiamo attentamente indagato nel sangue, nella bile, nei visceri, come sempre facciamo per verificare se un soggetto abbia ingerito un farmaco, sia rimasto vittima di un'allergia o – non è il caso del capitano – abbia fatto uso di sostanze stupefacenti. Il caso dei veleni è più particolare, perché il pubblico ministero, il giudice che assegna l'incarico dovrebbe quantomeno indirizzare il perito verso una ricerca perché alla luce della gamma dei veleni possibili un'indagine del genere può avere per lo Stato un costo incredibile. Io sarei molto favorevole a effettuare un'indagine del genere su tutti i morti per morte naturale...».
        La dottoressa Del Vecchio ha, quindi, ribadito le sue conclusioni, dopo aver descritto gli effetti delle sostanze velenose:
        «Una delle sostanze con cui le persone vengono anche curate e che si possono assumere anche a piccole dosi fino a intossicazione è proprio l'arsenico, che infatti era negativo, perché alle altre sostanze si diventa assuefatti. Con il potassio, che deve essere iniettato, si muore immediatamente. (...) Con «immediatamente» s'intende che non si riesce a rientrare in macchina. Altre sostanze come la stricnina provocano convulsioni, particolari che qualcuno avrebbe dovuto riferire».
        Allo stesso modo il dottor Asmundo ha confermato il suo giudizio, affermando:
        «Il reperto tossicologico non è mai lontano dal reperto anatomopatologico. Se infatti una sostanza altera l'organismo in modo tale da ucciderlo, evidentemente a livello polmonare, epatico e renale, organi deputati alla detossificazione dell'organismo, si rileva un'alterazione. Noi non abbiamo un reperto anatomopatologico che ci possa consentire tecnicamente di affermare una cosa simile. A fronte di un reperto patologico cardiaco di una consistenza più che discreta, l'orientamento nel senso dell'epicrisi non può che essere quello».
        Riguardo alla prima autopsia effettuata, la dottoressa ha chiarito di aver eseguito alcuni esami tossicologici («avevamo il sangue, i visceri, la bile, che sono indagini istologiche di tessuti. Abbiamo utilizzato il metodo RYE, metodica che si usa per analizzare questi reperti, abbiamo visto l'alcol (l'etanolo) che era negativo, tutti i derivati della morfina e degli oppiacei, della cocaina, codeina e quant'altro»), ma di non aver indagato sui veleni, affermando che ciascun veleno richiede uno studio a parte, per cui l'indagine in tal senso sarebbe stata eseguita se vi fosse stato il sospetto della presenza di un veleno.

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        Alle richieste di chiarimenti avanzate dei componenti della Commissione, l'audita ha risposto, così come riportato nel resoconto stenografico:
        «ALESSANDRO BRATTI. Si può escludere categoricamente che non sia stato avvelenato o, dato che per tutta una serie di motivi non si è ipotizzata la presenza di determinati veleni, si fa fatica ad andarli a cercare? Questa è una domanda importante, perché si può escludere totalmente qualsiasi tipo di veleno oppure ammettere questa eventualità.
        SIMONA DEL VECCHIO. In base alla mia esperienza ritengo che l'unico veleno che potesse uccidere una persona così giovane e sana potesse essere appunto l'arsenico, che infatti dopo siamo andati a ricercare e non c'era. È l'unico che si può cercare e trovare anche dopo tranquillamente perché è l'unico che non senti: o viene iniettato, ma non c'erano segni di agopuntura...
        ALESSANDRO BRATTI. Avendo bevuto e mangiato magari poteva anche sentire un sapore strano. Chiaramente, voi siete esperti e lo sapete...
        SIMONA DEL VECCHIO. Le assicuro che le quantità dovrebbero essere minime, non in grado di far morire una persona.
        PRESIDENTE. Per chiarire fino in fondo il nostro problema, noi abbiamo una serie di indizi esterni quali il fatto che sia stato completamente disfatto tutto il gruppo che stava svolgendo un'indagine particolarmente importante sulla presenza di sostanze tossiche (noi abbiamo anche accertato ulteriori elementi di particolare importanza di quello specifico viaggio). Se quindi voi ci dite che al cento per cento era assolutamente impossibile che nel momento in cui è morto ci fosse una causa o una concausa diversa dal fatto che il cuore non ha più funzionato perché non sono arrivati gli impulsi elettrici e ha avuto quello che comunemente si definisce un infarto, interpretiamo quegli indizi in un senso. È invece diverso se ci dite che a voi risulta questo, però ad esempio avete fatto un'indagine accuratissima sulla presenza di una possibile puntura...
        SIMONA DEL VECCHIO. Posso assicurare che quello lo effettuo su tutti, anche su chi non fa il lavoro del capitano De Grazia, per cui glielo assicuro personalmente anche se non c’è nella relazione. Il collega era presente, abbiamo fatto le foto del corpo e addirittura, riscontrando un'escoriazione sul lato sinistro, ho prelevato quel pezzetto di cute perché preferivo analizzare anche questo tessuto. Non era nulla, perché evidentemente hanno tentato di rianimarlo e si trattava dei segni della rianimazione.
        ALESSANDRO BRATTI. Escludete comunque l'avvelenamento per ingestione a meno che non sia quella sostanza.
        SIMONA DEL VECCHIO. Sì, perché dovrebbe essere troppa la sostanza somministrata a una persona per ottenere quell'effetto.
        PRESIDENTE. Vorrei sapere se sia stato analizzato il cibo che aveva ingerito, per sapere che tipo di cibo fosse e a che livello di digestione fosse.
        SIMONA DEL VECCHIO. No, perché il cibo era già a uno stadio avanzato come l'alcol prima, perché non è morto subito: aveva già cominciato la sua digestione, c'era del liquame.

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        ALESSANDRO BRATTI. Nonostante avesse già cominciato la digestione, le tracce di alcol...
        SIMONA DEL VECCHIO. Perché l'alcol si assorbe prima, ecco perché si raccomanda di aspettare mezz'ora dopo mangiato per evitare l'eventuale ritiro della patente, qualora si sia fermati. Il capitano non è morto subito, per cui oltre il liquame non potevamo vedere più nulla. Occorrono tre ore per svuotare uno stomaco.
        PRESIDENTE. Quanto tempo occorre perché il cibo si trasformi in liquame?
        SIMONA DEL VECCHIO. Al massimo tre ore, ma anche di meno: dipende da cosa e quanto abbiamo mangiato.
        ALESSANDRO BRATTI. Uno shock anafilattico si vedrebbe chiaramente dall'autopsia?
        SIMONA DEL VECCHIO. Sì, come diceva il collega prima il fegato e la milza, organi in cui passa tutto il circolo refluo, avrebbero subìto effetti allucinanti. Tutti i veleni che provocano l'atrofia giallo-acuta avrebbero dato quadri epatici disastrosi, mentre mi pare che il fegato fosse l'organo in assoluto più tranquillo perché si trattava di una persona giovane, attenta a quanto mangiava e beveva.
        PRESIDENTE. Avrei ancora alcune cose da chiarire per arrivare sino in fondo. Per quanto riguarda i polmoni, qui si dichiara che «è presente intensissima congestione con abbondanti travasi emorragici endoalveolari». Vorrei sapere quale origine possa avere la congestione.
        SIMONA DEL VECCHIO. La morte di tipo asfittico e cioè tutte le morti che avvengono per mancanza d'aria, quindi la morte cardiaca o per strangolamento.
        PRESIDENTE. La morte cardiaca è contemporanea, cioè nel momento in cui il cuore si ferma...
        SIMONA DEL VECCHIO. No, non è detto che si fermi subito: si può avere un malore che può avere un suo decorso.
        PRESIDENTE. Se invece fosse una morte per asfissia?
        SIMONA DEL VECCHIO. Ci sarebbero stati segni di asfissia, che in questo caso mancano. È il meccanismo della morte: in questo caso parlo della mancanza di aria negli organi interni, non della morte per asfissia. Prima ho precisato che non c'erano segni di lesività traumatica di alcun genere.
        PRESIDENTE. Parliamo dei polmoni.
        SIMONA DEL VECCHIO. La congestione è tipica di una morte cardiaca.
        PRESIDENTE. Ma può essere anche tipica di un soffocamento?
        SIMONA DEL VECCHIO. Di tantissime altre morti, anche di un soffocamento, ma un uomo di 39 anni come il capitano De Grazia non si sarebbe fatto soffocare senza reagire. Questo è doveroso dirlo.».

2.3.4 La consulenza del professor Arcudi.

        Come già evidenziato, la Commissione ha ritenuto di voler approfondire l'aspetto medico legale legato alla morte del capitano De Grazia.


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        A tal fine, dopo avere audito i consulenti medico legali che effettuarono le operazioni peritali nel corso dell'indagine condotta dalla procura della Repubblica di Nocera Inferiore, ha affidato, in data 16 maggio 2012, al professor dottor Giovanni Arcudi (direttore dell'Istituto di medicina legale nella Facoltà medica dell'Università di Roma «Tor Vergata» nonchè consulente medico legale della Commissione) l'incarico di esaminare gli atti acquisiti e le consulenze tecniche medico legali effettuate dalla dottoressa Del Vecchio e dal dottor Asmundo nonché di eseguire gli esami di natura ripetibile, ritenuti utili, sui preparati istologici e le relative inclusioni in paraffina eventualmente ancora custoditi presso il laboratorio di istologia dell'Istituto di medicina legale – Università La Sapienza di Roma.
        In data 10 dicembre 2012, il professor Arcudi ha depositato una relazione nella quale sono esposti i risultati della sua consulenza.
        Si ritiene di riportare integralmente il testo della relazione depositata in ragione del tecnicismo della materia e delle conclusioni, non coincidenti per diversi aspetti ripetto a quelle cui pervennero la dottoressa Del Vecchio e il dottor Asmundo:
        «Gli accertamenti medico legali sono stati effettuati da una parte sulla base della documentazione acquisita agli atti e, dall'altra, sulla revisione dei preparati istologici a suo tempo allestiti su frammenti di visceri prelevati in occasione della autopsia effettuata sul cadavere del De Grazia e della successiva esumazione.
        Nulla è stato possibile fare sul versante delle indagini tossicologiche forensi poiché non risulta che siano state conservate parte dei prelievi di liquidi biologici e di visceri che sembrerebbe siano stati fatti nel corso degli accertamenti necroscopici e utilizzati, all'epoca, per esami chimico tossicologici forensi
        Quindi sulla scorta del predetto materiale che avevo a disposizione ho svolto gli accertamenti medico legali all'esito dei quali posso proporre le seguenti considerazioni.
        Preliminarmente è opportuna una osservazione sugli accertamenti effettuati all'epoca della morte del capitano De Grazia, disposti dapprima dalla procura della Repubblica di Reggio Calabria in data 19 dicembre 1995 e quindi dalla procura della Repubblica di Nocera Inferiore in data 23 aprile 1997.
        Come ho avuto modo di anticipare nella mia relazione preliminare, non posso che ribadire, ora, come gli accertamenti di natura medico legale, allora disposti, risultino condotti in maniera piuttosto superficiale con incomprensibili carenze e contraddizioni che rendono i risultati tutti incerti, poco affidabili e quindi non concretamente utilizzabili per gli scopi per i quali erano stati disposti. Scopi che erano stati indicati nella serie di quesiti posti al perito, sempre lo stesso nel primo e nel secondo accertamento, e che erano tutti finalizzati a chiarire, anche con l'ausilio della indagine tossicologica, la causa della morte del De Grazia.
        Più in particolare deve essere evidenziata la piuttosto evidente difformità tra il verbale di autopsia del CT del pubblico ministero e quello del consulente della parte: nel primo il contenuto gastrico è riferito come costituito da alcuni cc di liquame blunastro mentre il CT della parte parla di un abbondante quantità di materiale alimentare

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parzialmente digerito, ed è evidente che sia più veritiera quest'ultima versione, essendo inconcludente l'affermazione della dottoressa Del Vecchio che lo stomaco era vuoto perché il capitano De Grazia aveva vomitato poco prima della morte.; la CT del pubblico ministero dice di un cuore con coronarie serpinginose, specillabili, con intima interessata da diffuse deposizioni ateromasiche intimali, mentre il CT della parte dice che nulla c’è alle coronarie, e probabilmente ha ragione lui visti gli esami istologici.
        E poi c’è, nella descrizione della seconda autopsia su cadavere esumato, la non attendibilità di un dato relativo ai prelievi di parti di visceri che verosimilmente dovevano essere putrefatti e, più sorprendentemente, di sangue che non poteva più esserci dopo una prima autopsia e dopo che erano trascorsi circa sedici mesi da quest'ultima. E tante altre cose ancora.
        Insomma si trae quasi l'impressione che in questa indagine medico legale si sia badato più alla forma di particolari processuali privi di valore che invece alla sostanza della indagine in patologia forense che sembra del tutto trascurata nel rigorismo obiettivo e nella valutazione del significato patologico dei quadri autoptici.
        E questo per quanto riguarda gli accertamenti autoptici ed istologici. Altro capitolo è quello degli accertamenti tossicologici per i quali non posso che riproporre le stesse considerazioni, condivise dal tossicologo forense della medicina Legale di «Tor Vergata», già fatte pervenire con la relazione preliminare che ora possono essere ritenute definitive.
        Sono state prese in esame le indagini chimico tossicologiche che, secondo l'allora CT del pubblico ministero, dottoressa Del Vecchio, sono state eseguite in due riprese: una in occasione della prima autopsia eseguita in data 19 dicembre 1995 con contestuali prelievi; un'altra quando è stata fatta la esumazione del cadavere del De Grazia in data 23 aprile 1997.
        Prima ancora di entrare nel merito, appare opportuno segnalare una macroscopica contraddizione tra quanto riportato nelle tre relazioni di consulenza, riguardo al contenuto dello stomaco.
        Nella prima relazione della dottoressa Del Vecchio, relativa all'esame autoptico da lei eseguito in data 19 dicembre 1995, si legge: «...Stomaco contenente alcuni cc di liquame brunastro...», mentre nella relazione di consulenza di parte, il dottor Asmundo, presente all'esame autoptico, scrive: «....Nello stomaco abbondante quantità di materiale alimentare parzialmente digerito, d'aspetto cremoso e colorito giallastro-roseo nel quale sono riconoscibili frammenti di formaggio biancastro e carnei rosei-scuri...». Nella seconda relazione, infine, relativa all'autopsia del 19 giugno 1997 (30 mesi dopo la prima !) la dottoressa Del Vecchio riporta che «....si poteva procedere al prelievo di quota parte di visceri (fegato, reni, polmoni, cuore milza, stomaco) di muscolo, di osso (vertebra, osso del bacino e costa) e di sangue per gli ulteriori esami di laboratorio...».
        Anche se le quantità di materiale biologico prelevato non vengono mai riportate, si deve ragionevolmente ritenere che il contenuto dello stomaco rinvenuto all'autopsia del 1997 non dovesse essere costituito solo da alcuni cc di liquame, come affermato nella relazione del 1995, perché su tale materiale sono state effettuati una serie di accertamenti

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chimico-tossicologici – ricerca dell'alcool etilico, ricerca dei cianuri, ricerca di altre sostanze ad azione farmacologica (barbiturici, benzodiazepine, antidepressivi, ipnotici e tranquillanti) – che necessitano di quantitativi di materiale non esigui.
        Anche se solo parzialmente compreso nelle competenze tossicologico-forensi appare doveroso ricordare qui l'importanza del dato della presenza di cibo nello stomaco, in funzione, non solo delle valutazioni tanato-cronologiche, ma anche nell'identificazione del materiale ingerito, per un possibile riscontro con quanto dichiarato da eventuali testimoni.
        In quest'ottica, purtroppo, nessun prelievo e nessun accertamento è stato effettuato nel corso della prima autopsia e quelli relativi alla seconda hanno sicuramente scarso rilievo tossicologico in quanto, dato il tempo trascorso (30 mesi) sicuramente il materiale era interessato da profonde trasformazioni putrefattive.
        Entrando nello specifico delle problematiche tossicologico-forensi, sul contenuto dello stomaco sono state effettuate analisi per la ricerca dell'alcol etilico, che, come è noto, è una sostanza particolarmente volatile. Appare pertanto sorprendente che, in un campione prelevato 30 mesi dopo il decesso, in uno stomaco che era stato aperto dopo la prima autopsia (il medico legale aveva visto pochi cc di liquame brunastro!) vi sia ancora la presenza, seppur in quantità esigua ma significativa (0,3 g/litro), di alcool etilico.
        E tale dato è ancora più sorprendente se viene paragonato all'esito dello stesso accertamento effettuato sul sangue, sia quello prelevato nel corso dell'autopsia del 1995, sia quello (!!) prelevato nel 1997: in entrambi i campioni l'analisi da esito negativo (anche se nel campione del 1997 viene utilizzata la dicitura «non dosabile»).
        Alla luce di tali risultati è verosimile che il consulente abbia confuso per alcol etilico il picco cromatografico di sostanze volatili di origine putrefattiva ovvero che l'alcol riscontrato sia esso stesso di origine putrefattiva. In questa seconda ipotesi, tuttavia, tracce di alcol sarebbero dovute essere presenti anche nel sangue.
        Nel contenuto dello stomaco è stato effettuato anche un saggio colorimetrico per la ricerca della eventuale presenza di cianuri. Anche per questa sostanza vale quanto già detto per l'alcol etilico. Nello stomaco, in presenza di acido cloridrico, i cianuri si trasformano in acido cianidrico, sostanza particolarmente volatile e, come ricavabile dalla letteratura, se le analisi non vengono eseguite tempestivamente, è molto improbabile che possano essere rilevati.
        Focalizzando l'attenzione sulle indagini chimico-tossicologiche relative ai prelievi effettuati nel corso dell'autopsia del 1995, così come desunte dalla relazione si può osservare quanto segue.
        Le analisi descritte, ad eccezione della determinazione dell'alcol etilico, appaiono molto generiche e non in grado di determinare la presenza di eventuali sostanze tossiche, soprattutto se presenti in concentrazione non particolarmente elevate. L'unica tecnica impiegata dotata di qualche validità scientifica e quella RIA (radio immuno assay) impiegata per la ricerca di oppiacei e cocaina. Avendo fornito esito negativo è possibile escludere la presenza nel sangue e nella bile di oppiacei (particolarmente morfina) e cocaina.

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        Tutte le altre tecniche descritte – la spettrofotometria UV, cromatografia su strato sottile (TLC), l'estrazione secondo la tecnica di Stass-Otto, il metodo di Felby per la ricerca degli oppiacei – sono (e lo erano anche nel 1995) tecniche obsolete, dotate di scarsa o nulla specificità e/o sensibilità e che nessun tossicologo applicherebbe per l'accertamento di una eventuale intossicazione o avvelenamento.
        Sui liquidi biologici prelevati nel corso della prima autopsia non sono stati effettuati accertamenti per la ricerca dei principali veleni metallici (arsenico, tallio, ecc.) né di altre possibili sostanze tossiche, soprattutto quelle che possano agire a piccole dosi (cianuri, esteri fosforici, digitale, ecc.).
        Sulla base di quanto sopra detto appare di tutta evidenza come le indagine sono state del tutto inappropriate dovendosi, per questo, concludere che, ai fini di chiarire se nel caso in discussione si è trattato di una intossicazione o un avvelenamento, le analisi allora effettuate sono del tutto inutilizzabili, restando insoluto l'interrogativo circa l'influenza di fatto tossico nel determinismo della morte.
        Per quanto concerne le analisi effettuate sui liquidi biologici prelevati nel corso della seconda autopsia (1997), preliminarmente è doveroso evidenziare che, a causa del tempo trascorso dal decesso, il materiale era sicuramente interessato da gravi fenomeni trasformativi dovuti allo stato di putrefazione. In tali condizioni, qualsiasi accertamento risulta sicuramente compromesso dallo stato del materiale biologico che rende assai difficile l'identificazione di eventuali sostanze tossiche esogene.
        Entrando nello specifico delle analisi eseguite, nonostante il quesito del magistrato richiedesse «ulteriori» accertamenti chimico-tossicologici, in pratica i consulenti si sono limitati a ripetere analisi già effettuate, e non si comprende se sui prelievi della prima autopsia o su quelli, del tutto improbabili, della esumazione.
        Ancora una volta sono state utilizzate tecniche obsolete e generiche (spettrofotometria UV, cromatografia su strato sottile, saggi colorimetrici); la gascromatografia con rivelatore di massa, indispensabile in un laboratorio di tossicologia forense, è stata utilizzata solo per l'analisi del contenuto dello stomaco e di un omogeneizzato di visceri, trascurando gli altri campioni biologici. I tracciati relativi alle analisi mediante gascromatografia con rivelatore di massa non sono stati allegati alle relazioni peritali e, pertanto, non possono essere commentati.
        In queste analisi, inoltre, le perplessità maggiori sono fornite dalle tecniche utilizzate per estrarre le eventuali sostanze tossiche dal materiale biologico: la tecnica è specifica e sensibile ma se l'estrazione non lo è altrettanto, l'analisi diventa inutile. Infine, l'abitudine ad analizzare omogenati di organi mescolati tra loro è assolutamente da censurare: un tossico presente in un solo organo viene «diluito» nella massa complessiva e può essere non più rilevabile (concentrazione inferiore al limite di rilevabilità del metodo).
        Anche sul materiale prelevato (?) dal cadavere esumato sono state eseguite indagini mediante tecniche immunochimiche (RIA) focalizzate sulle due principali sostanze stupefacenti (oppiacei e cocaina). Ma se i liquidi biologici sono stati prelevati in tempi diversi ma dallo stesso

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cadavere, perché ripetere le stesse analisi che avevano già dato esito negativo?
        L'analisi del materiale pilifero è superflua in quanto, nel caso in cui si fosse trattato di una intossicazione acuta (ad es. un avvelenamento), la morte sopravvenuta rapidamente avrebbe comunque impedito al tossico di raggiungere la matrice cheratinica. Affinchè una sostanza dal sangue raggiunga il bulbo pilifero, venga inglobata nel capello nel momento in cui si sta formando, il capello fuoriesca dal cuoio capelluto e cresca quel tanto che basta per consentirne il taglio con forbici (in genere non si usa, se non per esperimenti scientifici, di rasare i capelli), è necessario un periodo temporale che può essere calcolato tra 15 e 30 giorni, periodo temporale incompatibile con l'ipotesi di una intossicazione acuta.
        Nelle analisi su materiale pilifero, l'identificazione delle sostanze è possibile solo in caso di assunzioni ripetute, abituali o croniche quando le quantità presenti sono compatibili con la sensibilità della strumentazione utilizzata.
        Anche per quanto attiene a questo secondo gruppo di analisi si deve ripetere quanto sopra detto a proposito delle prime, e cioè che sono del tutto inutilizzabili.
        Premesso quanto sopra, e preso atto della scarsa affidabilità degli accertamenti a suo tempo esperiti, ho ritenuto utile in questa sede un tentativo di approfondimento in ambito istopatologico essendo le inclusioni in paraffina e gli allestimenti dei vetrini l'unico reperto che è pervenuto utilizzabile dai precedenti accertamenti medico legali.
        Ho provveduto, pertanto, con l'assistenza della Anatomia ed istologia patologica dell'Università di Roma «Tor Vergata alla revisione dei preparati istologici che ho acquisito nella sezione di Istologia dell'Istituto di medicina legale dell'Università di Roma «La Sapienza» e ad un ulteriore allestimento di vetrini anche con nuove e più specifiche tecniche di colorazione.
        La lettura dei preparati così ottenuti ha permesso di obiettivare quanto segue:
        Cuore
        Presenza di aspetti isolati in cui i miocardiociti assumono aspetto ondulato ed allungato («a dune di sabbia»), talora con ipereosinofilia del citoplasma (miocitolisi coagulativa) come da processo coagulativo microfocale delle proteine e con quadri morfologici compatibili con bande da ipercontrazione, peraltro molto limitati e ristretti a piccoli segmenti.
        Presenza di aspetti non conclusivi ma suggestivi per edema interstiziale
        Presenza di congestione acuta vascolare
        Presenza di modificazioni morfologiche dei miocardiociti riconducibili a fenomeni postmortali
        La valutazione immunofenotipica (LCA, CD3) non ha evidenziato un aumento dell'infiltrato infiammatorio intramiocardico, come segnalato in letteratura nelle condizioni di morte improvvisa di tipo cardiaco, nella maggior parte dei pazienti

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        Assenza di alterazioni significative dei vasi presenti nei vetrini esaminati
        NON si osservano, nei vetrini in esame:
frammentazione terminale delle miocellule, anomalie nucleari riconducibili ad un danno ischemico, fibrosi interstiziale significativa, miocardioagiosclerosi, («evidente sofferenza delle arterie di piccolo e medio calibro»...), aumento del grasso periviscerale (che appare nella norma laddove valutabile in maniera adeguata) significativo per patologia cardiaca congenita.
        Si concorda con la valutazione istologica per gli altri organi, in particolare per l'intenso e diffuso edema polmonare e per l'altrettanto marcata congestione vascolare. La maggior parte delle alterazioni a livello dei vari organi sono peraltro di verosimile natura putrefattiva, fatta eccezione per la congestione vascolare.
        Dalla lettura di questi preparati istologici, in confronto con gli esami istologici fatti dal CT dottoressa Del Vecchio si possono trarre queste conclusioni:
        Il quadro macroscopico descritto a livello del cuore esclude l'ipotesi di displasia aritmogena, tipica del ventricolo destro del cuore, non del sinistro
        NON è presente fibrosi interstiziale nel cuore
        NON è documentata in maniera certa una significativa coronarosclerosi che potrebbe giustificare una morte cardiaca improvvisa su base ischemica
        La descrizione macroscopica del cuore sembra indicare una degenerazione bruna del miocardio di tipo terminale, la cui genesi è riconducibile a svariate cause, non ultima il cuore polmonare acuto.

Conclusioni

        Al termine delle indagine di consulenza tecnica che mi era stata affidata da Cotesta Commissione posso rilevare quanto segue.
        Innanzitutto i limiti della presente indagine sono apparsi subito evidenti al momento in cui ci si è resi conto che, ad eccezione del materiale istologico, nessun reperto dei precedenti accertamenti era più disponibile per poter ripetere le analisi e magari per approfondirle in un’ ottica più indirizzata ad individuare con sufficiente certezza la causa della morte del capitano Natale De Grazia.
        Allo stato non è possibile reperire nuovi reperti da utilizzare con profitto dovendosi escludere che una eventuale, rinnovata esumazione della salma possa dare la possibilità di indagare sui temi che qui interessano e cioè quelli della causa della morte con particolare riferimento alla presenza di sostanze tossiche.
        Non rimane che fare delle deduzioni sostenute dai pochi elementi di certa obiettività desunti dagli atti, tenendo anche conto di quanto acquisito nel corso delle audizioni delle persone che in qualche modo ebbero ad assistere nella circostanza della morte del capitano De Grazia.
        Bisogna subito sgombrare il campo da un equivoco che sembra essersi creato nel percorso investigativo sulle cause della morte.


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        L'indagine medico legale condotta dalla dottoressa Del Vecchio si è conclusa con una diagnosi di morte improvvisa dell'adulto, facendo intendere che vi fossero in quel quadro anatomo ed istopatologico elementi concreti che potevano ben sostenere detta diagnosi. Questo non corrisponde alla verità scientifica.
        Ho poco sopra evidenziato come la lettura dei preparati istologici effettuata in questa sede smentisca quella della dottoressa Del Vecchio, la quale ha ritenuto di cogliere, nella sua indagine anatomo ed istopatologica, elementi deponenti per un preesistente danno miocardico di cui sarebbe stato portatore il capitano De Grazia; danno che poi è stato utilizzato per sostenere la morte improvvisa dell'adulto.
        Questo significa che, allo stato, non c’è nell'intera indagine alcun dato certo che possa supportare la morte improvvisa dell'adulto; diagnosi causale di morte, questa, che deve essere ritenuta non provata e nemmeno connotata da apprezzabili probabilità.
        Se noi qui dobbiamo fare una conclusione al termine di questa indagine dobbiamo dire che il capitano De Grazia non è morto di morte improvvisa mancando qualsivoglia elemento che possa in qualche modo rappresentare fattore di rischio per il verificarsi di tale evento. Si trattava infatti di soggetto in giovane età, in buona salute, senza precedenti anamnestici deponenti per patologie pregresse, che conduceva una vita attiva e, come militare in servizio, era sottoposto alle periodiche visite di controllo dalle quali non sembra siano emersi trascorsi patologici. E per altri versi l'esame necroscopico, al contrario di quanto è stato prospettato attraverso una analisi non attenta e piuttosto superficiale dei reperti anatomo ed istopatologici, non ha evidenziato nessuna situazione organo funzionale che potesse costituire potenziale elemento di rischio di morte improvvisa.
        E nemmeno quanto riferito dalle persone che erano presenti alla morte e che ne seguirono le fasi immediatamente precedenti, si accorda con una ipotesi di morte cardiaca improvvisa.
        Si sa infatti che il capitano De Grazia, subito dopo aver mangiato e messosi in macchina ha cominciato a dormire e quindi a russare in modo strano; ad un certo punto reclina la testa sulla spalla e per questo viene scosso dall'occupante il sedile posteriore dell'autovettura; a questa sollecitazione egli reagisce sollevando il capo ma non svegliandosi e senza dire alcunchè se non emettendo un suono indefinito; quindi poco dopo reclina definitivamente la testa e non risponde più alle sollecitazioni.
        Bene, mi risulta difficile avvalorare l'ipotesi di una morte cardiaca da ischemia miocardica su base aterosclerotica senza manifestazioni anginose, senza dolore che si sarebbe dovuto manifestare specie in quel momento in cui il capitano De Grazia è stato scosso ed ha avuto in momento di reazione seppure, come è stato riferito, in una specie di dormiveglia.
        Piuttosto, se si volesse proporre una ipotesi di causa di morte diversa da quella sopradetta, sembrerebbe più trattarsi di morte cardiaca secondaria a insufficienza respiratoria da depressione del sistema nervoso centrale, come suggestivamente depone il quadro di edema polmonare così massivo, incompatibile quasi con un arresto cardiaco improvviso del tutto asintomatico; come suggestivamente depongono le manifestazioni sintomatologiche riferite da chi ha potuto

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osservare il sonno precoce, il russare rumoroso, quasi un brontolo, la risposta allo stimolo come in dormiveglia, il vomito; tutte manifestazioni queste che, anche se non patognomoniche, ben si accordano con una progressiva depressione delle funzioni del sistema nervoso centrale.
        Quest'ultima, in carenza di incidenti cerebrovascolari, esclusi dall'autopsia, può riconoscere solo la causa tossica. Quale essa potrà essere stata, e se c’è stata, non lo si potrà più accertare.
        Purtroppo è stata irreversibilmente dispersa la possibilità di indagare seriamente sul versante tossicologico, da una parte per superficialità e forse inesperienza di chi aveva posto i quesiti con scarsa puntualità e poco finalizzati; dall'altra per l'insipienza della indagine medico legale che ha ritenuto trovarsi di fronte ad una banale morte naturale ed inopinatamente si è subito indirizzata, trascurando l'indagine globale, alla esclusiva ricerca di droghe di abuso in un caso nel quale, se c'era una ipotesi se non da scartare subito almeno da considerare per ultima, era proprio quella di una morte per abuso di sostanze stupefacenti; e pervicacemente ha insistito sulla stessa linea anche nella seconda indagine necroscopica.
        Oramai l'indagine tossicologica non è più ripetibile, neppure, come sopra accennato, con l'esumazione del cadavere, e quindi il caso, dal punto di vista medico legale deve essere, ad avviso del sottoscritto, considerato chiuso.».
        La Commissione, non avendo avuto la possibilità di audire nuovamente la dottorssa Del Vecchio in ragione della cessazione delle attività d'inchiesta dovuta allo scioglimento anticipato delle Camere, ha comunque ritenuto opportuno inviare alla stessa una copia delle consulenza depositata dal professor Arcudi. La dottorssa Del Vecchio ha fatto pervenire alla Commissione una nota di cui si ritiene doveroso dar conto perché in essa sono in qualche modo contenute le sue controdeduzioni rispetto ai rilievi effettuati dal professor Arcudi.

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3. Il proseguimento delle indagini dopo la morte del capitano De Grazia.

        Premessa

        Dopo la morte del capitano De Grazia e l'abbandono da parte del col. Martini, le indagini proseguirono, da parte della procura circondariale di Reggio Calabria, sostanzialmente con il conferimento – da parte del pubblico ministero Neri – di una consulenza tecnica al dottor Mario Scaramella
        Vennero anche risentite alcune delle persone che avevano testimoniato nel processo di La Spezia, con particolare riferimento alle operazioni di carico della motonave Rigel.
        Al consulente tecnico dottor Scaramella venne chiesto, tra i vari quesiti, di acquisire notizie in ordine all'affondamento nel mare mediterraneo di navi con carichi di materiale radioattivo nonché di individuare gli strumenti tecnologicamente più idonei per la ricerca e la localizzazione di navi contenenti scorie radioattive affondate nel mare mediterraneo ed in particolare in prossimità della Regione Calabria, indicando altresì le persone e gli enti in grado di svolgere tale ricerca.

3.1 La consulenza conferita al dottor Scaramella e gli approfondimenti della Commissione.

        Il 29 gennaio 1996 il dottor Neri conferì incarico di consulente tecnico al dottor Mario Scaramella ponendo i seguenti quesiti:
        A. indichi il Consulente le fonti normative internazionali fornendo, se del caso, gli opportuni chiarimenti in relazione agli eventuali riferimentio di carattere tecnico scientifico in materia di traffico e dumping di scorie nucleari nei mari ricadenti nella fascia E.E.Z;
        B. individui i soggetti internazionali e non che, con riferimento al problema de quo e conformemente alla normativa di cui al quesito


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sub A, possano collaborare alla predisposizione e realizzazione di un piano di intervento, acquisendo le opportune informazioni presso gli stessi;
        C. svolga ogni ricerca che possa condurre alla acquisizione di notizie in ordine all'affondamento nel mare mediterraneo di navi con carichi di materiale radioattivo;
        D. individui gli strumenti tecnologicamente più idonei per la ricerca e la localizzazione di navi contenenti scorie radioattive affondate nel mare mediterraneo ed in particolare in prossimità della Regione Calabria, indicando altresì le persone e gli enti in grado di svolgere tale ricerca, nonché predisponendo un programma di massima e, ove possibile, un preventivo di spesa;
        E. offra ogni altro elemento di conoscenza utile alle indagini.
        La relazione di consulenza fu depositata nel marzo 1996 (doc. 120/4).
        Nella stessa si evidenziava che nei fondali antistanti Capo Spartivento l'elemento morfologico significativo era rappresentato dalla presenza di testate di canyons subacquei: in tali siti vi era la probabilità di fenomeni cosiddetti di torbida (torrenti torbiditiche di materiale deposto attraverso una nuvola di torbida caratterizzata dalla presenza di alternanze a piccola scaola di sedimenti silico-clastici). Tali eventi erano da tenere in considerazione per la specifica ricerca, a causa della probabilità che le navi affondate fossero state sepolte da sedimenti, trascinate o addirittura smembrate con conseguenze imprevedibili e gravissime dal punto di vista ecologico e ambientale.
        Il consulente poi forniva una serie di spunti investigativi che si riportano testualmente: «È opportuno segnalare che la scelta di un tale sito anomalo (Capo Spartivento) per il presunto affondamento doloso di navi con scorie radioattive per il quale si indaga, per geomorfologia di fondo, torbidi e correnti sembrerebbe portare la firma di Giorgio Comerio: in una nota a firma Comerio del 26 maggio 1995 si descrive nel punto 1.3 il tipo ideale di fondale marino «formato da strati di detriti torbidici o sedimenti terrigeni» per l'inabissamento di scorie nucleari; nel punto 1.5 si prevede come indispensabile, preliminarmente alla sistemazione di scorie sui fondali di Cape Town, una ricerca finalizzata al rilevamento di torbiditi o sedimenti terrigeni in profondità tra i 500 e i 5000 m.»
        In merito all'individuazione delle navi oggetto delle indagini sui fondali marini, il consulente tecnico evidenziava che ogni consistente carico di materiale radioattivo in movimento sia su terra che su mare era sotto una rete di monitoraggio satellitare precisissima che, sfruttando le particolarissime emissioni di materiale nucleare, aveva certamente censito movimenti ed eventuali affondamenti di carichi.
        Per quanto poi concerneva le tecniche di monitoraggio dei fondali marini esistevano sistemi radar subacquei a bassissime frequenze attivabili da satelliti spia nonché da navi ed aerei militari. Si trattava della tecnologia più segreta ma che il governo USA – l'unico probabilmente in possesso di tale Know how- aveva ad esempio

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recentemente ufficialmente dimostrato, in occasione di una emergenza di protezione civile, di poter disporre di un sistema satellitare di monitoraggio dei fondali marini precisissimo.

3.1.1 Approfondimenti della Commissione.

        La Commissione ha avvertito la necessità di sentire in sede di audizione il dottor Scaramella per avere chiarimenti in merito ad alcuni passaggi della consulenza tecnica particolarmente importanti, ma non sufficientemente sviluppati nel corpo della relazione.
        Di sicuro primario interesse era l'affermazione per la quale da una serie di elementi indiziari gravi, precisi e concordanti acquisiti direttamente dal consulente tecnico, appariva che nel Mediterraneo fossero state affondate navi con carico radioattivo da smaltire.
        A fronte di un'affermazione così importante e perentoria, non sono seguiti però ulteriori precisazioni in merito alle navi affondate, i luoghi di affondamento, i periodi in cui si sarebbero inabissate in mare, la tipologia del carico, la provenienza del carico, e comunque non sono stati neppure forniti degli spunti investigativi suscettibili di ulteriori approfondimenti.
        Il dottor Scaramella è stato quindi sentito il 17 febbraio 2010 nel corso della missione che la Commissione ha effettuato a Bologna. In quella sede il Presidente ha più volte chiesto chiarimenti in merito a quali fossero specificatamente gli elementi indiziari gravi precisi e concordanti cui il consulente faceva riferimento nella relazione.
        In realtà, nel corso dell'audizione il consulente non ha in alcun modo precisato quali fossero gli indizi, né a quali navi si riferissero. Ha semplicemente fatto riferimento alla nave Rigel (per la quale era stata già emessa una sentenza di condanna in merito all'affondamento doloso per lucrare il premio assicurativo) per la quale vi era il sospetto che fosse stata caricata anche di rifiuti radioattivi, sospetto che nasceva dal fatto che risultava essere stato corrotto il funzionario doganale: «con riferimento alla Righel nel fascicolo che mi fu affidato risultava che vi fosse a monte, al momento dell'imbarco, una provata corruzione del funzionario doganale addetto al controllo dell'imbarco. Questo elemento fu, a livello indiziario, considerato molto rilevante: il fatto di corrompere il funzionario doganale chiaramente lasciava immaginare un carico illecito. Siccome questa nave affondò, le ipotesi rimanevano quella dell'utilizzo della nave per scopi bellici o, soprattutto, del carico di telemine a cui ho fatto riferimento oppure allo smaltimenti....»
        In realtà il carico della Righel non fui mai accertato (e peraltro non è stata mai trovata la nave), e non è stato mai neppure ipotizzato che la Righel potesse trasportare telemine.
        Il consulente dottor Scaramella, il quale pure ha fatto riferimento a documenti presenti nel fascicolo del pubblico ministero da cui poteva desumersi che il carico della Righel fosse costituito da telemine, in realtà ha evidenziato un dato assolutamente non emerso dagli atti di indagine.
        Vero è che Giorgio Comerio (che era ritenuto coinvolto nell'affondamento della Rigel), aveva progettato di realizzare telemine


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utilizzando navi RO-RO, ma si tratta di una vicenda separata e diversa rispetto alla questione dei presunti affondamenti di navi con carico radioattivo.
Gli elementi indiziari rispetto al carico della Rigel acquisiti nel corso delle indagini nascevano dalle dichiarazioni rese da coloro che avevano materialmente effettuato il carico, e che avevano fatto riferimento a blocchi di cemento ed a granulato di marmo (normalmente utilizzati per isolare il materiale radioattivo).
        In sostanza, i punti interrogativi lasciati aperti dalla lettura della relazione del dottor Scaramella e soprattutto dal passaggio importantissimo in cui faceva riferimento agli elementi indiziari gravi precisi e concordanti circa l'affondamento di navi con rifiuti radioattivi nel mediterraneo non hanno avuto alcun chiarimento.
        Probabilmente il consulente ha utilizzato in modo decisamente improprio l'espressione «elementi indiziari gravi, precisi e concordanti».
        È nota la definizione di indizio come «fatto noto da cui si deduce, attraverso un procedimento logico basato su massime di esperienza, un ulteriore fatto altrimenti ignoto»; ebbene, premesso che ogni circostanza può assumere il valore di indizio, requisiti indispensabili dello stesso sono la certezza (che deve riguardare il fatto noto e quindi la premessa maggiore del percorso logico-deduttivo) e la univocità, intesa nel senso che l'applicabilità della massima di esperienza al fatto noto deve portare a dedurre l'esistenza del fatto che si vuole dimostrare e solo di quello, senza possibilità di soluzioni alternative.
        Nel caso di specie non sono stati in alcun modo precisati né nella relazione né in sede di audizione i dati certi e univoci nel senso sopra specificato, da cui potere indurre l'esistenza di indizi gravi, precisi e concordanti rispetto all'affondamento di navi cariche di materiale radioattivo nel mediterraneo.
        Peraltro lo stesso dottor Scaramella, proprio all'inizio dell'audizione, ha precisato di avere appreso la formula «indizi gravi, precisi e concordanti» nel periodo trascorso presso l'Alto Commissario antimafia e si trattava degli indizi che servivano per proporre le misure di prevenzione antimafia, non prove, ma indizi. In realtà, per proporre le misure di prevenzione antimafia la categoria probatoria che viene richiamata è costituita dagli elementi di sospetto, mentre gli indizi gravi, precisi e concordanti hanno valore di prova. Gli indizi non hanno minore valenza probatoria della prova diretta, sempre che il procedimento logico deduttivo seguito sia stato seguito e che i requisiti di certezza ed univocità siano stati rispettati.
        Si è accertato che l'espressione è quindi stata utilizzata in modo improprio.

3.2 L'indagine del dottor Cisterna.

        Il dottor Neri, con nota del 27 giugno 1996, trasmise gli atti del procedimento n. 2114/94 alla procura della Repubblica presso il tribunale di Reggio Calabria.


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        Precedentemente, il 31 luglio 2005, parte degli atti, precisamente quelli relativi al traffico d'armi, erano stati già inviati alla procura presso il tribunale, previo stralcio.
        Dunque presso la procura tribunale vennero aperti due procedimenti, affidati entrambi al sostituto procuratore dottor Alberto Cisterna:
            il primo, recante il n. 100/1995 R.G.N.R., volto a verificare le ipotesi di reato attinenti al traffico illecito di armi;
            il secondo, recante il n. 1680/96 R.G.N.R., volto a verificare le ipotesi di reato concernenti il traffico di rifiuti radioattivi tramite affondamenti di navi, in particolare la Rigel e la Rosso, nonché la riconducibilità di tali azioni a Giorgio Comerio e ad altri indagati.
        In data 9 ottobre 1996 venne depositata l'informativa riassuntiva delle indagini sino a quel momento svolte dalla procura circondariale, informativa firmata dal comandante Greco, ma redatta dal maresciallo Nicolò Moschitta pochi giorni prima del suo pensionamento (doc. 319/1).
        Sin d'ora si vuole precisare che il maresciallo Moschitta ha dichiarato alla Commissione di avere redatto l'informativa conclusiva, sebbene molto provato dagli accadimenti fino a quel momento verificatesi, per mantenere una promessa che aveva fatto al capitano De Grazia. In particolare, si trattava della promessa di portare a compimento l'indagine, circostanza quantomeno singolare in quanto non è di certo usuale che nell'ambito di attività investigative si effettuino promesse di tal sorta se non quando si percepisca l'esistenza di un pericolo imminente per le indagini medesime.
        Entrambi i procedimenti sopra menzionati furono definiti in parte con decreto di archiviazione ed in parte con provvedimento di trasmissione degli atti alle procure di La Spezia e di Lamezia Terme, ritenute competenti territorialmente.
        Furono seguiti, dunque, due distinti iter processuali, come chiarito dal dottor Cisterna a questa Commissione nel corso dell'audizione del 9 dicembre 2009:
        «Gli atti furono trasmessi, dal 1995 in poi, ma sostanzialmente nel 1995, ipotizzando una competenza della procura superiore, quella presso il tribunale, in relazione ad alcune vicende che riguardavano, da una parte, l'affondamento al largo delle coste calabresi di alcune motonavi sospettate di avere carichi di rifiuti radioattivi e, dall'altra parte, immaginando che ci fosse, parallelamente a questo traffico di rifiuti, un coinvolgimento della criminalità organizzata calabrese in un traffico d'armi che avrebbe seguito parallelamente le rotte dei traffici dei rifiuti. Entrambe le ipotesi accusatorie, naturalmente, sono state sviluppate con procedimenti separati. A un certo punto, è stato necessario distinguere le due ipotesi criminose e procedere separatamente: per quanto riguarda i procedimenti DDA, si è proceduto a una verifica del coinvolgimento della criminalità organizzata (procedimento n. 100/95), dall'altra parte a una verifica della reale esistenza di una responsabilità rispetto agli affondamenti di una serie di motonavi. Gli episodi riguardavano, in realtà, solamente due motonavi:

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la Rigel e la Jolly Rosso. La seconda, come è noto alla Commissione, non fu affondata, ma solamente spiaggiata, dunque in qualche modo è stata recuperata e ha seguito l'iter noto, ovvero è stata smontata e portata via, quindi non più recuperata per la navigazione.»
        Nel procedimento n. 100/1995 la richiesta di archiviazione fu inoltrata in data 25 novembre 1998 e accolta dal dottor Giampaolo Boninsegna, in data 12 dicembre 1998 (doc. 120/3).
        In sintesi, i magistrati arrivarono a queste conclusioni:
            l'informativa del 25 maggio 1995 del Nucleo operativo dei Carabinieri di Reggio Calabria non offriva alcun elemento che potesse comprovare l'esistenza di un traffico di armi gestito da soggetti nominativamente indicati appartenenti ad altrettanto individuate cosche della ndrangheta; si trattava di una mera deduzione investigativa;
            analoghe considerazioni dovevano essere svolte con riferimento all'informativa dell'otto giugno 1995;
            la posizione di Molaschi Raffaele doveva essere esaminata, per ragioni di competenza territoriale, dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Milano;
            assolutamente vaghe (e, pertanto, non utili) dovevano essere considerate le dichiarazioni rese da Ganzerla Marino;
            pure poco credibili e generiche le dichiarazioni rese da Aldo Anghessa al pubblico ministero circondariale in data 10 luglio 1995;
            quanto alla posizione di Cranendonk Theodor sussisteva altro procedimento penale pendente innanzi all'autorità giudiziaria di Milano nell'ambito di indagini aventi ad oggetto il traffico di armi destinate ai Di Giovine, conclusosi in primo grado con la condanna di detto soggetto;
            gli elementi contenuti nelle informative trasmesse non consentivano di sostenere l'accusa in giudizio.
        Con riferimento al procedimento n. 1680/96 RGNR, la principale attività di indagine compiuta dal dottor Cisterna fu quella di tentare il recupero della motonave Rigel, rispetto alla quale esisteva un elemento di prova sostanziale costituito da un appunto trovato sull'agenda di Comerio (l'annotazione in lingua inglese attinente ad una nave e riportata sulla pagina dell'agenda corrispondente al giorno di affondamento della Rigel).
        Deve essere, peraltro, sottolineato che il magistrato, nel corso dell'audizione avanti alla Commissione, ha riferito che vi era un clima di grave preoccupazione dovuta anche alla morte del capitano De Grazia:
        «Ricordo che si temeva di essere in qualche modo sorvegliati o intercettati. Vennero fatte delle bonifiche negli uffici che si trovavano

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distanti dai nostri proprio per questo motivo. Non eravamo nello stesso plesso giudiziario».
        Nell'ambito del procedimento n. 1680/96 RGNR vennero quindi subito avviate dal dottor Cisterna le ricerche della motonave Rigel, affidate alla Impresub Srl, sotto la vigilanza dell'Anpa (Agenzia nazionale per la protezione dell'ambiente).
        Naturalmente il problema principale era di individuare lo specchio d'acqua entro il quale effettuare le ricerche; sul punto il dottor Cisterna ha dichiarato:
        «Ora si poneva il problema di dove cercare la nave. Avevamo un unico dato disponibile, quello dell'affondamento registrato negli atti giudiziari che erano stati fino a quel momento raccolti. Vi erano delle coordinate, le quali sono state consegnate alla ditta; contemporaneamente – questo è un dato che mi ostino a ripetere in questa vicenda, perché a mio avviso è tecnicamente non secondario – un altro problema consisteva nel trovare la prova che questa nave trasportasse sostanze radioattive. Dunque, ci rivolgemmo a una struttura dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica, che aveva già curato un'attività di questo tipo nel mar Baltico: la ricerca di sommergibili nucleari russi affondati, per conto di vari Governi del Baltico preoccupati da questi affondamenti.
        In questo caso, l'ente pubblico internazionale arrivò alla riunione organizzativa nel mio ufficio – tenete presente che stiamo parlando di 13 o 14 anni fa – presentando degli strumenti per la rilevazione di radioattività e di elementi radioattivi a profondità di certo inferiori a quelle del mar Ionio (il mar Baltico è notoriamente un mare di scarsa profondità).
        A quel punto, dopo aver aperto le carte, svelai il luogo, perché naturalmente fino a quel momento non avevo detto dove si trovasse l'imbarcazione, per evitare problematiche di vario genere. Il clima non era sereno e poteva succedere qualunque cosa. Mostrai dunque le coordinate e i dati rilevati. A quel punto, la società incaricata del ritrovamento, l'Impresub, obiettò che i dati erano sbagliati, nel senso che le coordinate segnalate rispetto alla distanza e all'orientamento dalla costa non corrispondevano.
        Naturalmente si creò una situazione di imbarazzo, poiché, quando tutti erano pronti per avviare la ricerca, indubbiamente non era facile spiegare che esisteva un problema di questo genere, ovvero che i dati che provenivano dall'inchiesta e che sembravano certi perché segnalati anche ai Lloyd's di Londra, e comunque recuperati attraverso una consultazione di pubblici registri, non erano veridici».
        Per risolvere il problema venne tracciata una sorta di zona operativa, che è stata interamente battuta per un paio di settimane – con a bordo i carabinieri – ma non fu trovato assolutamente nulla.
        Le attività operative svolte durante la ricerca del relitto e gli esiti delle stesse sono riportati nel Rapporto finale Anpa redatto il 20 febbraio 1998 (doc. 118/6), nel quale si legge:
        «le attività in mare prevedevano, come da contratto siglato tra l'Anpa e la Impresub Srl, la ricerca per l'individuazione del relitto della motonave Rigel con mezzo di ricerca tipo Side Scan Sonar (SSS)

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ed eventualmente la sua identificazione tramite l'utilizzo di apparecchiature televisive subacquee filoguidate tipo ROV».
        «La ricerca con SSS si è svolta regolarmente senza particolari inconvenienti, se si eccettuano due periodi di fermo per condizioni meteomare della durata totale di 42:40 ore (pari a gg. 1.778) e di un periodo di fermo per guasto (perdita e recupero «pesce» SSS a causa delle pessime condizioni meteomare) di 16 ore.
        La tecnologia delle attrezzature utilizzate per questa ricerca e le modalità operative (griglia di ricerca della zona 10 x 10 miglia con interasse di 500 metri delle linee di avanzamento pesce SSS) sono stati perfettamente in linea con gli obblighi contrattuali, ed hanno dimostrato un alto grado di efficienza e precisione (per ulteriori dettagli vedere Rapporto Tecnico Impresub Sez. 5.0).
        Si può pertanto affermare che la ricerca con SSS effettuata dalla Impresub Sri è stata altamente affidabile ed i risultati ottenuti, e chiaramente indicati nel Rapporto Tecnico Impresub, sono da considerarsi attendibili al 100 per cento».
        «La ricerca SSS ha evidenziato che nessun relitto di nave o parte di nave è stato individuato nella zona di 10 per 10 miglia esplorata dal SSS. Di conseguenza non è stato utilizzato il sistema ROV per l'identificazione di eventuali relitti.
        In definitiva il risultato della ricerca è che nella zona di 10 per 10 miglia, con il lato nord centrato sul punto di coordinate 37o58’ nord- 016o49’ Est lungo il relativo parallelo, non esiste né il relitto della M/N Rigel o parti di esso né alcun altro relitto di nave affondata».
        Il mancato rinvenimento della nave è stato un elemento determinante ai fini della chiusura delle indagini, in quanto non si era raggiunta la prova in merito alla tipologia del carico presente sulla nave al momento dell'affondamento.
        Con riferimento alla vicenda Jolly Rosso le indagini ebbero uno sviluppo investigativo più importante, in quanto vennero individuati tutti i membri dell'equipaggio al fine, come precisato dal dottor Cisterna, di scoprire chi avesse disposto l'abbandono della nave e chi avesse deciso quella sera che la stessa non fosse in condizioni di navigare e quindi dovesse essere abbandonata.
        Ed, in effetti, con specifico riferimento alla vicenda della motonave Rosso il dottor Cisterna non dispose l'archiviazione, ma trasmise gli atti alla procura ritenuta territorialmente competente in ragione del luogo dello spiaggiamento.

3.2.1 Il provvedimento di archiviazione e la trasmissione degli atti alle procure della Repubblica di Lamezia Terme e di La Spezia.

        Le indagini condotte dal dottor Cisterna per le ipotesi di reato di cui agli artt. 428 e 434 c.p. si conclusero con una richiesta di archiviazione inoltrata dal pubblico ministero, in data 25 maggio 1999 e accolta dal GIP, dottoressa Adriana Costabile, il 14 novembre 2000 (doc. 118/11).


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        Le motivazioni sottostanti la richiesta possono così sintetizzarsi:
        quanto alla Rigel:
            gli elementi a carico di Comerio erano meramente indiziari e peraltro, anche a volere considerare provato che il Comerio avesse partecipato all'affondamento della nave, comunque non vi era prova che il carico fosse costituito da rifiuti radioattivi. Invero, sulla questione relativa al carico gli unici elementi (se così possono essere definiti) erano rappresentati dalle dichiarazioni rilasciate dalla fonte confidenziale Pinocchio e da Marino Ganzerla (in entrambi i casi si trattava di dichiarazioni generiche e de relato);
            il relitto della Rigel non era stato ritrovato. Il luogo di affondamento era stato indicato a 20 miglia SE al largo di capo Spartivento, 37o58’ Lat. N, 16o49’ Long E. Questi dati si erano rivelati sbagliati, in quanto le coordinate geografiche corrispondevano ad un punto sito a 36 miglia da capo Spartivento in direzione E-N-E a 86o. Nonostante l'impegno profuso dagli investigatori e, in primo luogo dall'Anpa, per procedere alla localizzazione ed al recupero della motonave, l'accertamento operato a cura e spese del Ministero dell'ambiente e, sotto la vigilanza del Noe, da parte della Impresub Diving & Marine Contractor aveva preso le mosse da un dato sbagliato. L'individuazione del luogo di affondamento sulla scorta dei dati forniti dal Lloyds era erroneo;
            sebbene non apparisse inverosimile l'ipotesi individuata dal Comando di Brescia del Corpo forestale dello Stato nella nota del 19 maggio 1995, tuttavia non vi erano elementi di riscontro idonei che abilitassero ad un'ulteriore attività investigativa sulla scorta dei soli dati compendiati nella nota di trasmissione del 27 giugno 1996 e concernenti Comerio.
        quanto alla Rosso:
            appariva documentato l'interesse di Giorgio Comerio per la Rosso (nel corso della perquisizione presso il suo appartamento erano stati ritrovati documenti relativi alla motonave, giustificati dal Comerio con un suo presunto interessamento all'acquisto della nave che avrebbe dovuto utilizzata per la costruzione di telemine);
            era stato accertato che il comandante Bellantone aveva notato a bordo della nave, e precisamente sulla plancia, le mappe dei siti di affondamento predisposte da Comerio in relazione all'inabissamento dei penetratori;
            il carico di stiva era diverso da quello dichiarato (anche se non si era accertato quale in effetti fosse);
            la Rosso era evidentemente una nave destinata al suo ultimo viaggio, tenuto conto dello stato di grave deterioramento in cui si trovava al momento del naufragio;
            non erano state, tuttavia, accertate in modo esaustivo le modalità e le cause del naufragio e, in particolare, se la falla esistente sul lato sinistro della Rosso fosse stata cagionata dallo sganciamento nella stiva di un container o dall'urto di un corpo estraneo;

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            non era stato accertato che la Smit Tak fosse stata impegnata in precedenti recuperi di relitti radioattivi;
            non era stato accertato il carico della nave né un eventuale collegamento con Comerio.
        In riferimento alla consulenza redatta dal consulente tecnico Scaramella si legge nella richiesta di archiviazione:
        «non pare ragionevole l'affidamento riposto dal pubblico ministero remittente nelle considerazioni «tecniche» espresse da tal dottor Mario Scaramella il quale (quasi a giustificare in via anticipata il mancato ritrovamento della Rigel) menziona fenomeni di alterazione del fondo marino al largo di Capo Spartivento che, a sommesso avviso dello scrivente, sono prive di ogni fondamento (correnti di torbida?) se è vero che l'Impresub ha focalizzato in fondo alla porzione di mar Ionio scandagliato persino una bottiglia di birra.».
        Il Gip, condividendo le argomentazioni del pubblico ministero, dispose in conformità con decreto del 14 novembre 2000 affermando: «certamente vi è traccia in atti dello scellerato disegno criminale di smaltimento in mare di rifiuti radioattivi ordito da Comerio Giorgio e dai suoi complici, tutti soci della Holding ODM, ma mancano elementi che consentano di ricondurre in tale programma l'affondamento delle due anzidette navi Rigel e Rosso, non essendo emerso, allo stato, che le stesse trasportassero rifiuti radioattivi (anche Zannello, primo ufficiale di coperta, testimonia di aver avuto contezza del trasporto di un carico difforme da quello dichiarato, ma non che fosse di natura radioattiva); pertanto, appare evidente come tali elementi siano inidonei a sorreggere l'originario impianto accusatorio e che vanno solo trasmessi gli atti alle competenti procure di La Spezia e Lamezia Terme per gli eventuali approfondimenti del caso, per quanto evidenziato dal pubblico ministero».
        Con la richiesta di archiviazione vennero, dunque, trasmessi gli atti relativi alla vicenda della motonave Rigel alla procura della Repubblica di La Spezia e quelli relativi alla motonave Rosso alla procura della Repubblica di Lamezia Terme.
        Quest'ultima, a sua volta, non riconoscendo la propria competenza territoriale, trasmise gli atti alla procura Repubblica di Paola, peraltro solo nel maggio del 2003. Il procedimento venne assegnato al pubblico ministero dottor Francesco Greco, il quale, pur con le difficoltà insite in un'indagine condotta a distanza di circa quindici anni dagli eventi, svolse una serie di accertamenti di cui si darà conto nel capitolo che segue.

3.2.2 L'audizione del sostituto procuratore dottor Alberto Cisterna da parte della Commissione.

        In data 9 dicembre 2009 la Commissione ha audito il dottor Alberto Cisterna, sostituto procuratore nazionale antimafia presso la direzione nazionale antimafia, già sostituto presso la procura della Repubblica di Reggio Calabria.


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        Nel corso dell'audizione il magistrato ha dapprima esposto le indagini effettuate in relazione alla motonave Rigel, con particolare riferimento alle ricerche in mare del relitto:
        «(...) Le indagini, che erano state avviate presso la pretura circondariale di Reggio Calabria, furono seguite dal dottor Francesco Neri, sostituto presso la procura circondariale di Reggio Calabria. (...) Devo dire che lo scenario era costituito da fonti probatorie abbastanza eterogenee e non sempre particolarmente affidabili. (...) Ad esempio, esiste una fonte costituita da Aldo Anghessa – personaggio plurinoto e pluricoinvolto in tante vicende in questo Paese – il quale, sulla base di alcune sue cognizioni de relato, affermava di sapere alcunché a proposito di questi traffici e di questi affondamenti. (...) In questo quadro, la scelta – come tale la rivendico sempre – è stata quella di tentare il recupero della motonave Rigel affondata, rispetto alla quale esisteva un elemento di prova sostanziale costituito da un appunto trovato sull'agenda di Comerio, (...) La scelta fu quella di recuperare la nave e mi venne detto che esisteva la possibilità di contattare l'Agenzia nazionale per la protezione dell'ambiente (ANPA) la quale aveva mostrato, tramite il ministro dell'epoca, una certa disponibilità a effettuare queste ricerche. Contattai l'ANPA a Roma e parlai con il presidente o un direttore generale, comunque una figura apicale, il quale mi disse che avrebbero messo a disposizione fondi consistenti – credo quasi un decimo del budget di cui l'ANPA disponeva, quindi un impegno sostanzioso – purché questa questione venisse approfondita e in qualche modo affrontata. La speranza era quella di arrivare a un punto definitivo. I soldi, quindi, vennero stanziati, ma si pose il problema di come procedere. Si dovette trovare una soluzione, in quanto diversamente si sarebbe dovuta bandire una gara a livello europeo, vista la consistenza degli importi. Questo, però, era del tutto incompatibile con le esigenze di riservatezza e, naturalmente, di sicurezza nazionale connesse a un problema di questa delicatezza. Non si sapeva, infatti, chi avrebbe condotto la ricerca ed era pendente – riprenderò il discorso – la questione della Smit Tak, ovvero della ditta che si era occupata della motonave spiaggiata Jolly Rosso. Venne trovata, dunque, una soluzione. Ricordo che il prefetto di Reggio Calabria – se vi è qualche imprecisione è dovuta al fatto che sono passati tanti anni – segretò la gara per ragioni di sicurezza e di riservatezza. Questa gara venne affidata a una società – individuata dopo una ricerca della quale mi occupai anch'io – che in quel momento sembrò essere, sullo scenario, la più affidabile. Si trattava di una società che aveva effettuato il ritrovamento e il recupero di un'imbarcazione speronata dalla nave Sibilla della Marina militare italiana, nelle acque dell'Adriatico. (...) Il collega mi disse che, avendo la ditta curato il ritrovamento di un'imbarcazione in un processo in cui era impegnata la Marina militare, sicuramente doveva considerarsi una ditta super partes. (...) Ora si poneva il problema di dove cercare la nave. Avevamo un unico dato disponibile, quello dell'affondamento registrato negli atti giudiziari che erano stati fino a quel momento raccolti. Vi erano delle coordinate, le quali sono state consegnate alla ditta; contemporaneamente – questo è un dato che mi ostino a ripetere in questa vicenda, perché a mio avviso è tecnicamente non secondario – un altro problema consisteva nel trovare la prova che

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questa nave trasportasse sostanze radioattive. Dunque, ci rivolgemmo a una struttura dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica, (...) Mostrai dunque le coordinate e i dati rilevati. A quel punto, la società incaricata del ritrovamento, l'Impresub, obiettò che i dati erano sbagliati, nel senso che le coordinate segnalate rispetto alla distanza e all'orientamento dalla costa non corrispondevano. Naturalmente si creò una situazione di imbarazzo, poiché, quando tutti erano pronti per avviare la ricerca, indubbiamente non era facile spiegare che esisteva un problema di questo genere, ovvero che i dati che provenivano dall'inchiesta e che sembravano certi perché segnalati anche ai Lloyd's di Londra, e comunque recuperati attraverso una consultazione di pubblici registri, non erano veridici. Ciò nonostante, pensai di risolvere la questione spiegando che con il rilevatore di radioattività avremmo potuto trovare quello che cercavamo. Questa mia idea fece sorridere i miei interlocutori, i quali obiettarono che l'acqua è il luogo più sicuro dove tenere materiale radioattivo, poiché evita dispersione. Dunque, a quella profondità, non si sarebbe potuto rilevare la presenza della nave carica di rifiuti se non arrivando esattamente sopra di essa. Se vi è una perdita di radioattività, infatti, questa si deposita sul fondo distruggendo naturalmente, col passare del tempo, tutta la fauna e la flora circostante, ma non si può disperdere come nell'aria. (...) Tracciammo così un quadrilatero entro il quale effettuare le ricerche nella speranza, tra i due punti, cioè tra le coordinate e il punto nave, di tracciare una sorta di zona operativa, che è stata interamente battuta forse per un paio di settimane – con a bordo i carabinieri – ma non è stato trovato assolutamente nulla. La ricerca fu condotta in maniera molto accurata. Rileggendo il decreto di archiviazione, in vista di questa audizione, ho trovato che a quella profondità, malgrado tutto, era stata trovata persino una bottiglia di birra. Ricordo di averlo riferito per sottolineare l'accuratezza della ricerca. (...) Questo naturalmente è stato un colpo per l'indagine, perché senza una prova importante – che ancora, a distanza di anni, non si trova – e senza il corpo del reato è molto difficile discutere di dichiarazioni, dunque mancava un riscontro importante».
        Con riferimento alle indagini compiute in merito allo spiaggiamento della motonave Rosso, il dottor Cisterna ha, poi, dichiarato:
        «La vicenda Jolly Rosso, invece, ha avuto uno sviluppo investigativo più importante, nel senso che è stato rintracciato tutto l'equipaggio, elemento per elemento, per scoprire chi avesse disposto l'abbandono della nave e chi avesse decretato quella sera che la stessa non era in condizioni di navigare e quindi doveva essere abbandonata. Tutto l'equipaggio è stato rintracciato, sono stati trovati tutti i marinai. Alla fine, tutto si è concentrato su un paio di persone che quella notte erano di turno. L'abbandono della nave – lo troverà scritto dettagliatamente nella richiesta di archiviazione – è avvenuto per un presunto spostamento di carico che avrebbe presuntivamente alterato la stabilità della nave e la sua navigabilità. Lo spiaggiamento della nave, dunque, risale a molto tempo prima dell'indagine. Non vi sono state evidenze, se non il fatto, documentato dalle foto e dai filmati, che la nave era intatta e che venne poi smontata da questa società di nome Smit Tak, che cercammo di rintracciare con una rogatoria

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internazionale fatta alle autorità olandesi, se non sbaglio, che però non ebbe alcun seguito, anche per sapere da loro quanto fosse costata questa operazione di smantellamento che sembrava molto onerosa. Il primo dato evidente, infatti, rivelava che costava molto meno trainarla con un rimorchiatore fuori dalla secca piuttosto che smontarla per intero. (...)».
        Sempre con riferimento alle indagini concernenti la Rosso, il dottor Cisterna ha precisato di avere acquisito elementi non tranquillizzanti in merito all'effettiva incidentalità dei fatti:
        «Per quanto riguarda la motonave Jolly Rosso ci sono delle fonti testimoniali non tranquillizzanti e deposizioni importanti che mi sembrano, poi, il cuore della vicenda: ad esempio, il teste Zanello, il marinaio che sbarca e che non vuole proseguire il viaggio, il problema di questo smontaggio della nave non giustificato – a mio avviso non comprensibile, neanche economicamente – e l'esito che ha avuto il carico. In realtà, entrambe le navi erano preoccupanti dal punto di vista investigativo. La questione della motonave Jolly Rosso si è conclusa per ragioni di competenza inevitabile: non vi era la possibilità di fare altro. Ricordo che, anche con una certa comprensione da parte del GIP, venni autorizzato a fare intercettazioni ogni qualvolta interrogavo i testimoni, (...) Dal periodo dalla convocazione, quindi, a subito dopo l'audizione, li intercettavo per vedere se ci fosse qualche contatto. Nessuno ha chiamato nessuno per telefono. (...) La richiesta di archiviazione non archivia le due vicende. Per quanto riguarda l'affondamento della motonave Rigel, ritenuto doloso per le modalità, il luogo e la mancata richiesta di soccorso, gli atti sono stati trasmessi a La Spezia, ossia alla procura competente. Si trattava, infatti, di acque internazionali e La Spezia era il luogo in cui era immatricolata la nave, quindi dove il reato di affondamento doloso si è consumato (mi pare ci sia una sentenza a proposito). Gli atti relativi alla Jolly Rosso, invece, sono stati mandati a Lamezia Terme. Dico questo giustificando un errore: la competenza, infatti, spettava a Paola, perché il territorio è a cavallo tra le due procure; (...)».
        Infine, il magistato ha posto ulteriormente in luce l'incongruenza emersa in ordine alla decisione assunta in un secondo momento di demolire la nave, nonostante fosse stato dapprima incaricata la Smit Tak per il recupero della stessa:
        «(...) Ho un riferimento proprio a pagina 7 del provvedimento, che mi ha aiutato a ricordare alcune circostanze. Ho scritto: «La commissione rogatoria espletata in Olanda, al fine di escutere i rappresentanti della Smit Tak, non ha dato alcun esito soddisfacente. In proposito, può essere sufficiente un richiamo al verbale della dichiarazione resa alla polizia di Rotterdam da un tale Bert Martin Kleliwegt, ispettore addetto al recupero della Rosso, il quale ha affermato che la decisione di rottamare la nave venne assunta in accordo con la società armatrice Messina, dopo aver constatato il successivo deteriorarsi dell'imbarcazione per effetto delle mareggiate. Affermazione questa del tutto incongrua, ove si consideri che il compito della Smit Tak era, per l'appunto, quello di recuperare la nave, evitando ogni ulteriore danno, comunque non utilizzandola oltre». Tecnicamente hanno sempre giustificato la scelta della Smit

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Tak, dicendo che era una società che avrebbe svolto questo compito. Credo che, anche da reperti fotografici, emerga che la nave è stata sezionata, tagliata a pezzi e portata via. La Guardia costiera, la Guardia di finanza e il NOE, all'epoca, mi hanno riferito che questa operazione è costata una somma considerevole, sebbene la nave in realtà fosse intatta, tranne uno squarcio, e sarebbe stata dunque riparabile. Ad ogni modo, che per la nave quello fosse l'ultimo viaggio emerge da tutte le testimonianze. Per averlo scritto, significa che ne ero anche intimamente molto convinto, avendo io direttamente escusso i testi su questo punto. Come scrivo, forse non vi era un carico radioattivo, ma un carico di mine, perché esisterebbe un riferimento a un probabile trasferimento di mine. Tuttavia, è chiaro che la Jolly Rosso affrontava una sorta di ultimo viaggio, nella consapevolezza quanto meno di alcuni dei presenti. Non credo che fosse già preordinata la scelta della Smit Tak, perché la nave fu abbandonata nella consapevolezza che sarebbe affondata. Essa, però, non affondò, per ragioni che attengono alla sua galleggiabilità, e abbandonata spiaggiò nel luogo in cui è stata ritrovata.».

3.3 La Jolly Rosso.

3.3.1 La storia della Jolly Rosso.

        Dalla relazione «Navi affondate – approfondimento sulla M/N Rosso», redatta nel marzo 2010 dalla Direzione marittima di Reggio Calabria del Ministero delle infrastrutture e trasporti, trasmessa alla Commissione (doc. 331/2), risulta che la motonave Rosso, ex Jolly Rosso, di proprietà ed armamento della Ignazio Messina & C. SpA, rimase in disarmo nel porto di La Spezia dal 18 gennaio 1989 al 7 dicembre 1990, data in cui venne riarmata per l'inizio della caricazione per il viaggio da La Spezia a Malta e ritorno.
        La nave, precedentemente, era stata utilizzata per il trasporto di rifiuti tossici industriali dal Libano al porto di La Spezia, rifiuti provenienti da aziende italiane.
        La Commissione ha ritenuto necessario approfondire il tema del precedente utilizzo della montonave Jolly Rosso e, più in generale, del trasporto di rifiuti pericolosi.
        Nell'ambito di tale approfondimento ha audito in due occasioni la dottoressa Cesarina Ferruzzi, ex consigliere delegato della Sadi Servizi Industriali SpA, acquisendo dalla stessa anche un documento che ripercorre una parte della storia della motonave, allorquando fu utilizzata dal nostro governo per riportare in Italia rifiuti pericolosi, precedentemente «esportati» all'estero.
        Nel corso della prima audizione della dottoressa Ferruzzi, tenutasi in data 15 dicembre 2010, la stessa ha parlato dell'attività di trasporto di rifiuti pericolosi effettuata nell'anno 1988 dalla Monteco (società del gruppo Montedison per la quale la dottoressa all'epoca lavorava).
        Tale attività fu svolta per mezzo della motonave Jolly Rosso, in esecuzione del contratto stipulato, in esito a trattativa privata, tra la predetta Monteco e la Cooperazione allo sviluppo economico, legata al Ministero degli affari esteri.


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        In sostanza, secondo il contratto, la Monteco avrebbe dovuto riportare in Italia i rifiuti industriali che il nostro paese aveva spedito in Venezuela e che erano approdati in Libano.
        La dottorssa Ferruzzi è stata audita una seconda volta, il 9 novembre 2011, nel corso della missione che la Commissione ha effettuato a Mantova e, in tale occasione, ha consegnato diverse fotografie raffiguranti le operazioni di carico dei rifiuti sulla motonave Jolly Rosso, ormeggiata presso il porto di Beirut.
        In data 14 febbraio 2011, la dottorssa Ferruzzi ha trasmesso alla Commissione un documento, datato 9 febbraio 2011, nel quale sono state ulteriormente precisate le informazioni già fornite alla Commissione nel corso delle audizioni, relativamente alla motonave Jolly Rosso nonché alle tre navi Cunsky, Ivonne A. e Voriais Sporadais, anch'esse ormeggiate presso il porto di Beirut (doc. 659/1 e 659/2).
        Occorre subito evidenziare che le informazioni fornite dalla dottoressa Ferruzzi appaiono di estrema rilevanza in quanto offrono uno spaccato riguardo alle modalità con le quali, negli anni passati, fu affrontato nel nostro Paese, da parte degli organi istituzionali, il problema dello smaltimento dei rifiuti industriali.
        In sintesi, secondo le informazioni acquisite dalla dottoressa Ferruzzi, sembra che l'Italia avesse organizzato la spedizione all'estero, tramite una nave, di rifiuti industriali provenienti da aziende italiane.
        La nave avrebbe dovuto scaricare i rifiuti in Venezuela. Tuttavia, le autorità locali ne impedirono l'attracco. Dopo lungo peregrinare, la nave giunse in Libano, ormeggiandosi presso il porto di Beirut. I rifiuti vennero scaricati e trasferiti in aree/cave abusive.
        Successivamente, a seguito di denunce da parte della stampa, i rifiuti vennero ricaricati su tre navi greche – la Cunsky, la Ivonne A. e la Voriais Sporadais – ormeggiate al porto di Beirut.
        La società Monteco del Gruppo Montedison, a partire da settembre 1988, in ossequio agli accordi sottoscritti con le autorità italiane, si occupò di riconfezionare i rifiuti stipati alla rinfusa all'interno delle tre navi menzionate, di scaricarli a terra per poi nuovamente caricarli sulla motonave Jolly Rosso, appositamente noleggiata e nel frattempo giunta in Libano da La Spezia. Ciò in quanto il Libano aveva chiesto espressamente al nostro paese di riprendersi i rifiuti prodotti dalle aziende italiane.
        L'attività svolta dalla Monteco portò al riconfezionamento di circa 10.000 fusti tra liquidi e solidi, e di una trentina di containers, riempiti di terreni di decorticazione delle aree ove i rifiuti erano stati depositati.
        Le navi Cunsky, Ivonne A. e Voriais Sporadais furono interamente svuotate e bonificate dalla Monteco e, quindi, consegnate alle autorità libanesi (novembre 1988).
        Le operazioni di carico sulla motonave Jolly Rosso avvennero nel gennaio 1989.
        Tutte le operazioni in Libano avvennero sotto il controllo dell'Ambasciata italiana.
        Nel gennaio 1989 la motonave Jolly Rosso, con tutto il suo carico, ripartì alla volta di La Spezia, ove arrivò dopo pochi giorni, senza effettuare alcuna sosta intermedia.

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        Arrivata presso il porto, peraltro, a causa di proteste da parte della popolazione, non fu fatta ormeggiare e rimase in rada per diversi mesi prima di attraccare, in attesa di autorizzazione allo scarico.
        Una volta attraccata, ci vollero quasi due anni per scaricare i rifiuti in attesa della definizione degli accordi relativi ai luoghi ove i rifiuti trasportati sarebbero stati smaltiti. Ed, infatti, nessuno voleva prendersi in carico i rifiuti. Alla fine venne identificato un sito nel Veneto per i rifiuti liquidi infiammabili che viaggiavano in coperta, a Porto Marghera, ove vi era un impianto dell'allora Monteco autorizzato a bruciare rifiuti liquidi.
        La parte solida, invece, per l'80-90 per cento venne portata presso impianti in Inghilterra e in Francia.
        Si riportano, di seguito, i passi più significativi delle audizioni citate nonché del documento trasmesso nel febbraio 2011.
        Audizione del 15 dicembre 2010:
        «CESARINA FERRUZZI: .... Abbiamo preparato un dossier, che lascio agli atti, (...) nel 1988 lavoravo presso la Monteco, ossia la Montedison Ecologia, allora società della Montedison. In quel periodo si era verificato un problema nazionale di invio all'estero di rifiuti su alcune navi, che la popolazione aveva definito le «navi dei veleni. Queste navi, non solo quelle di cui mi sono occupata direttamente, avevano vagato un po’ in tutto il mondo.... Mi sono occupata direttamente di una nave, che ha poi portato i rifiuti in Italia, con il nome di Jolly Rosso, ma le navi che erano in Libia e che ospitavano questi rifiuti erano tre: la Cunski, la Yvonne A e la Voriais Sporadais. La Jolly Rosso, partita dall'Italia, aveva navigato per non so quanti oceani. Forse era arrivata anche in America latina e poi era tornata indietro verso l'Africa e alla fine era approdata in Libano. In Libano questi rifiuti erano stati collocati in diversi punti della città, in diverse dimore. Chiedo scusa, è il Libano. La Libia non c'entra. (...) i rifiuti portati nel Libano sono poi stati raccolti e stivati dentro tre navi battenti bandiera greca. (...)».
        La dottorssa Ferruzzi ha specificato che i rifiuti in questione provenivano tutti da aziende italiane, affermando:
        «(...) non esisteva una normativa che proibisse un'esportazione di rifiuti tanto selvaggia. (...) non era né la prima, né l'ultima nave del mondo che allora circolava. L'America ha sempre mandato rifiuti nel Messico o in altri Stati. Evidentemente noi italiani abbiamo caricato tre o quattro navi, penso, e non di più: c'erano la Karin B, la Deep Sea Carrier e un'altra ancora, di cui non ricordo il nome. Erano tre navi più la Jolly Rosso, che hanno rappresentato l'epopea delle navi. (...) Quando abbiamo trovato la nave per portare i rifiuti in Italia, ne abbiamo usata una della linea Messina, che si chiamava Jolly Rosso. (...) Quando i libanesi hanno trovato i rifiuti, hanno preso in ostaggio le tre navi greche (...) e le hanno riempite dei rifiuti che hanno trovato in giro».
        In merito alla Jolly Rosso e alle operazioni compiute dalla Monteco in Libano, sotto la vigilanza delle autorità italiane, la dottorssa Ferruzzi ha specificato:
        «È stata (la Jolly Rosso) la nave noleggiata per il trasporto dei rifiuti trovati su queste tre navi. Essi sono stati scaricati da queste

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navi, sono stati riconfezionati e suddivisi, per quanto possibile e compatibile, per classi omogenee e sono stati ripreparati tutti i fusti, in modo che potessero essere ritrasportati verso l'Italia, perché l'Italia se li riprendeva in carico. Questo avveniva per accordo del Ministero degli affari esteri col ministero del Libano. (...) Avevamo la protezione militare dei carabinieri, l'arma locale al Ministero dell'ambiente e all'ambasciata, che ci scortavano tutte le mattine e tutti i pomeriggi con le persone che lavoravano a questa attività. Avevamo tesserini specifici per il riconoscimento e comunque eravamo sempre sotto scorta dalla sera alla mattina. Qualsiasi passo compissimo, dovevamo essere scortati, perché esisteva il rischio di essere rapiti dalla parte dei musulmani, essendo noi sul posto più in veste di cristiani che di musulmani. (...) Le quantità erano di oltre 10 mila fusti; si parla di migliaia e migliaia di tonnellate. (...) È arrivata anche una Commissione di collaudo inviata dal Ministro dell'ambiente con diversi personaggi in rappresentanza dello stesso ministero dell'ambiente, di quello degli esteri e di quello dello sviluppo economico (...) A quel punto il Ministero degli affari esteri, sempre tramite la Cooperazione, ha definito un secondo contratto con la Monteco per il trasporto di questi rifiuti fino al porto di La Spezia. Non chiedetemi perché era stato scelto quel porto; a me l'hanno solo comunicato. Abbiamo noleggiato una nave della linea Messina, la Jolly Rosso, che compiva già anche una linea dal Libano alla Spezia e che è arrivata in Libano. Tutti i rifiuti sono stati caricati, sempre sotto il controllo dei carabinieri, (...). La nave, una volta carica di rifiuti, è salpata per il porto di La Spezia. Il tragitto della nave sarà durato 10-15 giorni al massimo, ma al porto di La Spezia la nave non ha potuto attraccare, perché la città non era d'accordo. (...) è rimasta in rada per non so quanto tempo, comunque per parecchi mesi, (...) era stato previsto da un accordo del ministero con le diverse regioni che la nave sarebbe attraccata a La Spezia e che poi i rifiuti scaricati sarebbero dovuti andare in parte nel Veneto e in parte in Piemonte. (...) La nave è rimasta in rada molti mesi prima di poter attraccare, poi è stato nominato un commissario ad acta, che era il presidente della regione Liguria di allora. Dopodiché, la nave, una volta attraccata, ha impiegato quasi due anni per essere scaricata. Nel frattempo stava alla banchina del porto di La Spezia. Sono occorsi due anni perché le regioni non volevano i rifiuti nei siti identificati e nessuno voleva prendersi in carico questi rifiuti. All'armatore venivano pagate giornalmente le cosiddette controstallie, perché, se la nave non scarica, occorre comunque pagarla. Alla fine è stato identificato un sito nel Veneto per i rifiuti liquidi infiammabili che viaggiavano in coperta, un impianto dell'allora Monteco, a Porto Marghera, che bruciava liquidi. Con un contratto a parte, non più con il Ministero per lo sviluppo economico, ma col commissario ad acta, è stata definita la presa in carico di questi rifiuti, solo quelli liquidi, per essere bruciati nell'impianto di Porto Marghera, costruendo però prima uno stoccaggio ad hoc nella stessa area di Porto Marghera, (...) La parte liquida e infiammabile, (...) fu la prima a essere rimossa, anche perché era in coperta, e fu portata all'impianto di Porto Marghera, che allora era un impianto autorizzato per rifiuti liquidi. (...). La parte solida, invece, per l'80-90 per cento è andata tutta a finire negli impianti esteri, dove

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allora si lavorava in termini generali. C'erano impianti in Inghilterra e in Francia, dove venivano conferiti questi rifiuti, ma con notevolissimi problemi, perché i problemi di oggi erano quelli di allora: nessuno voleva ricevere i rifiuti delle navi dei veleni, perché erano rifiuti italiani ed erano le navi dei veleni. (...) ».
        Con riferimento alle ragioni per le quali la Cooperazione internazionale si prese carico di pagare le operazioni riferite al trasporto e allo smaltimento dei rifiuti industriali di imprese private, la dottorssa Ferruzzi ha semplicemente ipotizzato un'eventuale azione di rivalsa da parte del Ministero dell'ambiente nei confronti delle imprese italiane, evidenziando, in ogni caso, le difficoltà legate all'individuazione del soggetto preciso cui ricondurre i diversi rifiuti:
        «È intervenuto, quindi, il ministero, che poi si è rivalso sulle singole imprese, perché per i rifiuti diventa molto difficile trovare chi ne sia l'artefice o meno, in quanto la promiscuità era totale. Io potevo identificare la famiglia, vernici piuttosto che farmaci, però stabilire se fossero vernici MaxMayer o farmaci Carlo Erba era un po’ complicato (...) non esistevano i registri di carico e scarico di oggi. Non c'era la stessa normativa. Questa è stata una nave, perché complessivamente ne sono state fatte quattro, non una. (...) Delle altre navi, che avevano a loro volta vagato per il mondo, una era andata a finire a Genova. Non mi ricordo il nome, ma se n'era occupata la società Castalia, una era andata a finire invece a Livorno e se ne era occupato, costruendo stoccaggi ad hoc, il porto di Livorno con le maestranze locali. (...) Un'altra nave, la Karin B, era andata a finire in diversi stoccaggi dell'Emilia-Romagna costruiti ad hoc, uno a Ravenna, uno a Parma, uno a Piacenza e uno a Modena. (...)».
        La dottorssa Ferruzzi ha, poi, evidenziato come, successivamente, gli accordi internazionali vietarono di inviare rifiuti all'estero o di bruciarli durante il tragitto (come accadeva per la cosiddetta nave vulcano, che partendo dall'Inghilterra verso l'America, bruciava i rifiuti durante il tragitto).
        Sulle tre navi, Cunski, Yvonne A e Voriais Sporadais, e sui motivi per i quali sulle stesse vennero caricati i rifiuti italiani, l'audita ha dichiarato:
        «Ho trovato queste tre navi al porto di Beirut piene di rifiuti. Da quanto mi è stato riferito localmente anche a livello degli interlocutori dell'ambasciata, non erano proprio le navi che avevano portato i rifiuti. Avevano il sospetto che lo fossero, ma non la certezza. Si pensava che fosse stata un'unica nave, probabilmente con battente greco. Proprio perché era greco – così mi riferirono allora in Libano – avevano richiamato queste tre navi dello stesso armatore e le avevano obbligate a rimanere nel porto di Beirut. Praticamente le avevano prese in ostaggio per imporre di riparare il danno. (...). Tali navi, però, sono state poi completamente vuotate e bonificate. Esiste tutta la rassegna fotografica, tutta la storia, tutta la documentazione, ivi compresa quella della Commissione che è stata mandata dal nostro Governo italiano, cioè la Commissione di collaudo che ha controllato e verificato tutti i passaggi: bonifiche delle navi, pulizia delle aree, sospetti di dove potessero essere stati contenuti i rifiuti e verifica che tali rifiuti fossero in condizioni idonee per il trasporto. Non me ne

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sono più occupata come Monteco, perché dovevo compiere un determinato lavoro di rimpacchettamento e spedire questi rifiuti in Italia, ma abbiamo pulito e bonificato le navi. Che cosa ne abbia fatto dopo il Governo libanese con il Governo greco o con qualcun altro sinceramente non mi è noto. È certo, però, che le navi sono state riconsegnate pulite e bonificate. Rifiuti non ce n'erano più. (...). L'attività è andata avanti dal settembre-ottobre del 1989 fino all'anno successivo, il 1990, però sono tutte date che posso verificare. Si è svolta intorno a questi due anni, 1989-1990. (...)».
        Documento trasmesso in data 14 febbraio 2011 dalla dottorssa Cesarina Ferruzzi (doc. 659/1 e 659/2), di cui si riportano i passi di maggior interesse:
        «Da informazioni di stampa assunte, i rifiuti industriali furono caricati in Italia, a Marina di Carrara, su una nave (forse Radhost) per essere scaricati in centro America, in Venezuela.
        Dal Venezuela, poiché le Autorità ne impedirono lo scarico, la nave, dopo lungo peregrinare, approdò in Libano, nel porto di Beyrouth per tramite, pare, delle Forze Libanesi, un gruppo militare coinvolto nella guerra civile.
        L'attività di riconfezionamento e carico dei rifiuti giacenti in Libano, rispediti poi in Italia con la motonave Jolly Rosso, furono organizzati dalla allora società Monteco – Gruppo Montedison – a partire da settembre 1988.
        Fu definito un contratto con il Ministero degli affari esteri, in particolare con la Cooperazione allo sviluppo economico.
        Il primo sopralluogo fu fatto nel luglio del 1988 per verificare lo stato della situazione. I rifiuti oggetto di intervento erano stivati alla rinfusa all'interno delle stive di tre navi che erano state bloccate nel porto di Beyrouth dalle autorità libanesi, forse dalle stesse forze armate libanesi che avevano fatto entrare, pare, i rifiuti in Libano. I rifiuti si presentavano quali fusti ammalorati, rotti, accatastati, un mix di varie tipologie di rifiuti: solidi, liquidi, solventi infiammabili, un cocktail esplosivo!
        Le tre navi i cui nomi, se ben ricordo, erano Cunsky, Ivonne A. e Voriais Sporadais, erano ormeggiate al porto di Beyrouth, 5o bacino, come da foto in visione (blocchi n. 2 e n. 4 in visione).
        L'operazione consisteva nello svuotare completamente le stive dai rifiuti, ri-imballarli in contenitori (fusti, containers, ecc.) idonei al trasporto marittimo, separandone le tipologie per famiglie omogenee, fra di loro compatibili.
        Prima dell'inizio di dette operazioni – a fine agosto 1988 – venne noleggiata una nave che partì dal porto di Venezia, e trasportò a Beyrouth il materiale necessario per effettuare la bonifica dei rifiuti (fusti vuoti, pallets, gru e mezzi d'opera, trituratore, kit di laboratorio, generatori di corrente, cisterne per acqua, containers, pezzi di ricambio, ecc.) in quanto il cantiere doveva essere completamente autonomo (blocchi n. 1A e 1B in visione).
        Le operazioni di scarico dei rifiuti stivati nelle tre navi di cui sopra cominciarono all'incirca nel mese di settembre 1988. (...)
        Da informazioni a suo tempo avute localmente questi rifiuti, una volta scaricati dalla nave che li aveva lì trasportati, furono trasferiti in aree/cave abusive (tipo area Chnamir).

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        A seguito dello scandalo, ormai denunciato anche dagli organi di stampa, i vari rifiuti rinvenuti nelle aree/cave abusive furono ricaricati sulle tre navi di cui sopra, (...).
        Furono riconfezionati circa 10.000 fusti tra liquidi e solidi, oltre ad una trentina di containers circa, riempiti di terreni di decorticazione delle aree.
(...) Al termine dello svuotamento delle tre navi, le stive furono completamente bonificate (...), le acque di lavaggio furono raccolte in apposite cisterne e/o fusti, riportati poi in Italia assieme agli altri rifiuti riconfezionati. Le navi interamente svuotate e bonificate furono consegnate alle autorità libanesi (novembre 1988).
        I rifiuti rimasero per oltre un mese in attesa dell'arrivo della nave noleggiata per il loro trasporto in Italia. (...). Le operazioni di carico sulla motonave Jolly Rosso avvennero nel gennaio 1989 (...). Era stata nominata dal Ministero affari esteri / Cooperazione allo sviluppo economico una Commissione di collaudo costituita da 3 esperti ed in particolare: dottor Suriano del Ministero dell'ambiente, ingegner Fortunati, esperto e consulente esterno, e dottor Bisegna del Ministero degli affari esteri).
        La Commissione così nominata prese atto delle attività svolte dalla società Mont.Eco in ottemperanza al contratto in essere con il Ministero degli affari esteri. Tutti i rifiuti stivati nelle tre navi Cunsky, Ivonne A. e Voriais Sporadais furono riportati in Italia tramite la motonave Jolly Rosso.
        Tutte le operazioni in Libano avvennero sotto il controllo dell'Ambasciata italiana, nella persona dell'allora ambasciatore, del primo consigliere e di tutti i funzionari preposti.
        La motonave Jolly Rosso partì da Beyrouth intorno all'11 gennaio 1989 ed arrivò direttamente al porto di La Spezia pochi giorni dopo, senza soste intermedie.
        La motonave Jolly Rosso rimase in rada presso il porto di La Spezia per alcuni mesi prima di attraccare, in attesa di autorizzazione allo scarico».
        Al documento riportato, trasmesso alla Commissione, sono allegate diverse fotografie, raffiguranti le operazioni effettuate presso il porto di Beirut, descritte dalla dottoressa Ferruzzi:

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        Dalle informazioni acquisite appare, dunque, possibile stabilire che la motonave Jolly Rosso tornò dal Libano nel gennaio 1989 carica di rifiuti per ancorarsi presso il porto di La Spezia. I rifiuti vennero scaricati nel due anni successivi.
        Prima del viaggio in Libano (secondo quanto riferito da Ignazio Messina alla Commissione sul ciclo dei rifiuti della XIV legislatura il 16 dicembre 2004 – doc. 334/5) la nave era stata utilizzata per normali servizi di linea. Di ritorno dal Libano era rimasta in disarmo a La Spezia per lungo tempo.
        Di sicuro interesse sono anche le vicende che seguirono, in quanto risulta che la motonave, che nel frattempo aveva assunto la denominazione «Rosso», in data 7 dicembre 1990, partì dal porto di La Spezia diretta a Malta. Al comando della nave si trovava il comandante Luigi Pestarino.
        Dopo aver effettuato un carico presso il porto de La Valletta, durante il viaggio di ritorno, che non prevedeva alcuna sosta, la nave si arenò, verso le ore 14 del 14 dicembre 1990, al largo di Capo Suvero.
        Il comandante del nucleo operativo e radiomobile dei carabinieri della Compagnia di Lamezia Terme, in data 15 dicembre 1990, trasmise alla procura di Lamezia Terme una CNR (comunicazione notizia di reato) relativa al naufragio della motonave Jolly Rosso (doc. 695/21 p 22). Nella stessa si rappresentava che il giorno prima il pronto soccorso del locale ospedale civile avvertiva i carabinieri dell'arrivo di alcuni marinai, tratti in salvo in mare da elicotteri. Dai primi accertamenti risultava che il comandante della motonave Rosso aveva lanciato S.O.S. di abbandono della nave che stava affondando in quanto imbarcava acqua dalla stiva. L'equipaggio si componeva di 16 unità compreso il comandante. Tutti i componenti erano risultati in lieve stato di shock ed erano stati dimessi nella stessa giornata. La nave si era arenata sulla spiaggia antistante il centro abitato di Campora San Giovanni (CS), vigilata dalla Capitaneria di porto e dalla Guardia di finanza.
        Sul sinistro occorso alla motonave Rosso fu redatto un rapporto riassuntivo da parte della Capitaneria di porto Vibo Valentia doc n. 683/001 e, successivamente, indagini giudiziarie prima da parte della procura di reggio Calabria e, poi, da parte della procura di Paola.

3.3.2 L'indagine della procura della Repubblica presso il tribunale di Paola sulla Jolly Rosso.

        Come già evidenziato, la parte di procedimento trasmessa dal dottor Cisterna alla procura della Repubblica di Lamezia Terme dopo tre anni – precisamente il 10 maggio 2003 – venne inoltrata per competenza alla procura della Repubblica presso il tribunale di Paola, ove venne iscritto un fascicolo assegnato al sostituto procuratore dottor Francesco Greco (procedimento n. 5085/03 a carico di Messina Gianfranco Ubaldo + 3, in relazione ai reati di cui agli articoli 56- 428 (naufragio doloso) e 640 c.p. – doc. 695).


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        Prima di parlare delle indagini svolte dal dottor Greco nell'anno 2003, occorre sottolineare una circostanza che può essere definita perlomeno singolare, relativa al fatto che negli archivi della procura di Paola non sono stati rinvenuti procedimenti riguardanti la Jolly Rosso antecedenti al 2002.
        È evidente infatti che le notizie di reato vengano iscritte negli uffici di procura contestualmente o quasi all'acquisizione della notizia medesima.
        Come si evince dall'annotazione di polizia giudiziaria trasmessa al procuratore Greco nel marzo 2004, infatti, l'unico fascicolo rinvenuto sul caso fu quello riportante il n. 4053/02 RGNR, dunque, iscritto a dodici anni dal fatto, conclusosi con provvedimento di archiviazione ed acquisito in copia dal dottor Greco.
        Nella nota citata, testualmente, si legge (doc. 695/41):
        « (...) dopo una serie di controlli in archivio di pretura e procura in sede (...) sulla vicenda del Naufragio della M/N Rosso avvenuto in Amantea (CS) il 14/12/1990, è stato reperito un solo fascicolo il 4053/02 (...) Nonostante ulteriori ricerche non si è riusciti ad acquisire ulteriori atti in archivio, anche se, per come si evince dai documenti contenuti nel fascicolo 5085/03, nel 1991 vennero trasmessi una serie di atti alla procura della Repubblica di Paola (CS)».
        Nell'annotazione di polizia giudiziaria, sempre a firma dell'ispettore Osso, datata 3 febbraio 2004, tuttavia si dà atto dell'esistenza di un procedimento, evidentemente iscritto all'epoca dei fatti, assegnato al pubblico ministero dottor Fiordalisi e nel quale il coordinamento delle indagini risultavano affidate al comandante Bellantone. Tale procedimento, peraltro, non fu rintracciato negli archivi.
        La Commissione ha acquisito in copia gli atti più significativi del procedimento penale concernente lo spiaggiamento della Jolly Rosso, conclusosi con una richiesta di archiviazione inoltrata al Gip nell'anno 2008.
        Le fasi del procedimento possono così sintetizzarsi:
            la motonave Rosso, della compagnia di Ignazio Messina, naufragò al largo di Capo Suvero, in Calabria, il data 14 dicembre 1990 (con immediato abbandono della stessa da parte di tutto l'equipaggio), per arenarsi sulla costa di Amantea (CS) nella stessa giornata (doc. 695/1). Sullo spiaggiamento, inzialmente, non venne avviata alcuna indagine di carattere penale, ma solo un'indagine amministrativa da parte della compagnia di assicurazione;
            nel 1994, a quattro anni di distanza dai fatti, la vicenda della Rosso fu oggetto di approfondimento nell'ambito dell'indagine condotta dalla procura circondariale di Reggio Calabria, affidata al dottor Francesco Neri (della quale si è ampiamente dato conto nella prima parte della relazione);
            nel 1996 fascicolo venne trasmesso alla procura presso il tribunale di Reggio Calabria: in tale occasione il dottor Cisterna effettuò ulteriori accertamenti investigativi in merito allo spiaggiamento e, pur rilevando una serie di elementi poco chiari, come sopra

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analiticamente riportato, inviò il fascicolo alla procura dellla Repubblica presso il tribunale di Lamezia Terme;
            per tre anni, presso la procura di Lamezia Terme, il fascicolo rimase fermo senza alcuna attività investigativa, fino a quando il magistrato titolare si accorse di non essere territorialmente competente, inviando così gli atti alla procura della Repubblica presso il tribunale di Paola;
            il pubblico Ministero presso il tribunale di Paola, dottor Francesco Greco, dopo avere effettuato ulteriori indagini, il 26 febbraio 2009 chiese l'archiviazione del procedimento, peraltro evidenziando i dubbi e le ombre già sottolineati dal dottor Cisterna.

3.3.3 La richiesta di archiviazione avanzata dal dottor Greco al Gip.

        Nella prima parte della richiesta di archiviazione avanzata dal dottor Greco (doc. 252/3) venne sommariamente descritta la storia dello spiaggiamento. Nel prosieguo vennero evidenziati una serie di elementi di sospetto in merito alla vicenda della motonave Jolly Rosso ed all'interramento di rifiuti radioattivi in località Foresta, agro di Serra d'Aiello, nel bacino fluviale del fiume Oliva.
        In particolare, dal provvedimento in esame emerge quanto segue:
            non erano state accertate con chiarezza le cause dello spiaggiamento della Rosso. Riprese video amatoriali acquisite agli atti del procedimento documentavano che: la motonave non presentava alcuna falla nel momento in cui si era arenata (solo in una fase successiva la nave presentava una notevole apertura sulla fiancata sinistra, praticata dalla società Smit Tak); nel periodo compreso tra lo spiaggiamento della motonave e il 12 dicembre 1990 erano in funzione delle pompe che immettevano acqua marina nelle stive della Rosso e non viceversa, il tutto finalizzato a dimostrare l'entrata di acque nelle stive a seguito della presenza di una falla;
            non era stato accertato quale fosse il carico della Rosso, che comunque era diverso da quello dichiarato. Il proprietario della nave nel 1991 era stato autorizzato dalla dogana di Paola ad interrare, nella discarica comunale sita in località Grassullo del comune di Amantea, parte del carico ufficiale di bordo, effettivamente smaltito il 4 luglio 1991; nel medesimo sito, nei mesi di gennaio e febbraio 1991, in orari notturni, erano stati però effettuati ulteriori smaltimenti di rifiuti provenienti dalla Rosso non autorizzati;
            gli scavi e i conseguenti reinterri erano avvenuti anche in località non autorizzate e specificatamente in località Foresta agro di Serra d'Aiello nel bacino fluviale del fiume Oliva. Gli accertamenti eseguiti sul posto, realizzzati effettuando scavi alla profondità di otto metri, avevano evidenziato al presenza di fanghi industriali e di polvere di marmo. Le analisi dei campioni avevano altresì evidenziato la presenza di diossine, pcb e metalli pesanti, del tutto estranei alla realtà industriale e produttiva del comune di Amantea;


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            un funzionario del Genio civile di Cosenza aveva affermato di avere visto, in occasione di lavori idraulici di brigliatura sulla sponda del fiume Oliva un bidone di colore giallo sigillato.
        In sostanza, nonostante la rappresentazione nel provvedimento testè citato di una serie di elementi di sospetto in merito alle cause della spiaggiamento della Rosso, al carico trasportato dalla motonave ed, infine, all'interramento di parte di esso nella zona del fiume Oliva, il pubblico ministero procedente ritenne che gli elementi acquisiti, da un lato, non permettessero di dimostrare il naufragio doloso ai danni della compagnia assicurativa (la quale, peraltro, corrispose un premio assicurativo pari a due miliardi e mezzo di lire nel mese di giugno del 1991), dall'altro non consentissero di affermare l'esistenza un chiaro collegamento tra il rinvenimento di materiali trovati in località Foresta (diossina, pbc e metalli pesanti) e la motonave Rosso.
        Ciò che appare lampante, dalla lettura del provvedimento, è che sebbene non fossero stati raccolti elementi sufficienti per una ricostruzione delle cause dello spiaggiamento in termini diversi da quelli ufficiali, tuttavia, vi erano indubbiamente una serie di circostanze sospette, che, pur dopo i dovuti approfondimenti, erano rimaste tali.
        Si riporta un passo della richiesta di archiviazione in parola:
        «Di certo – la presenza della Smit Tak – i lavori notturni – lo smaltimento dei materiali nella discarica di Grassullo nelle ore notturne – la immediata attività di rilevazione della radioattività nelle aree limitrofe alla località Formiciche ove avvenuto lo spiaggiamento della M/n Rosso – ma non all'interno della stessa – l'impellente necessità di dirigenti della Ignazio Messina e del comandante Pestarino di salire con urgenza sulla M/n, così come poi è avvenuto nella mattinata del 15.12.90 unitamente a militari della Capitaneria di porto di Vibo Valentia Marina ed altre persone non identificate (vedasi SII dei CC della Stazione di Amantea presenti sul posto dalle ore 05.00 del 15.12.90 e SII di funzionario della Ignazio Messina) al fine di asportare documenti di straordinaria importanza dalla cassaforte disegnano un quadro nebuloso che gli accertamenti effettuati non hanno chiarito» (doc. 117/31).
        La richiesta di archiviazione formulata dal pubblico ministero Greco fu accolta dal Gip Salvatore Carpino con provvedimento del 12 maggio 2009.
        Se ne riportano i passaggi salienti (doc. 334/3 trasmesso alla Commissione da Ignazio Messina):
        «La richiesta di archiviazione merita di essere accolta, conformemente a quanto sostenuto dal Pubblico Ministero, alla luce delle risultanze delle indagini eseguite.
        Il procedimento de quo nasce a seguito dello «spiaggiamento» della motonave Rosso (...) Tale vicenda, dopo una serie di provvedimenti riguardanti l'individuazione dell'Ufficio inquirente competente per territorio, perveniva, in data 10.05.2003, all'attenzione della

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procura della Repubblica di Paola, che, dopo una serie di accertamenti preliminari, ipotizzava quanto segue:
            la motonave trasportava verosimilmente rifiuti tossici e/o radioattivi;
            il naufragio della nave era staio cagionato volontariamente per smaltire i rifiuti chimici e per frodare la compagnia di assicurazione».
        Questo «alone di intollerabile sospetto», come riportato testualmente dalla relazione finale della Commissione parlamentare d'inchiesta istituita nella XIV legislatura, era altresì alimentato dalle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, proveniente dalla criminalità organizzata calabrese, che riferiva dell'esistenza di un pactum sceleris fra le cosche della ’ndrangheta ed imprenditori del settore dei rifiuti, in virtù del quale venivano programmati e realizzati numerosi «affondamenti» di navi cariche di rifiuti tossici nei tratti marini calabresi (...) .
        Ebbene, dopo anni di indagine, oggettivamente complesse e rese ancona più difficili dal notevole lasso di tempo, trascorso dal sinistro marittimo, la procura di Paola non è riuscita a determinare con certezza né la dinamica del naufragio e, in particolare, l'aertura volontaria delle falle preordinate all'affondamento doloso della nave (...) né, ancor prima, la natura del carico (rifiuti tossici e/o radioattivi) trasportato dalla motonave, non essendo sufficiente, a tal fine, l'invocato intervento della società olandese «Smit Tak», specializzata in recuperi e salvataggi marittimi, compresi quelli aventi ad oggetto materiale radioattivo.
        D'altra parte, sul ruolo effettivamente svolto dalla predetta società olandese (il pubblico ministero afferma che la «stessa Smit Tak praticava una vasta apertura per far uscire materiali di grosse dimensioni....dopo circa venti giorni rinunciava al tentativo di rimettere in mare la Rosso») pesano le dichiarazioni rese alla polizia di Rotterdam da Beri Kleliwegt, ispettore addetto al recupero della motonave, secondo cui la decisione di rottamare la nave fu assunta, dopo aver constatato il successivo deteriorarsi dell'imbarcazione per effetto di mareggiate. Non emerge, in sostanza, alcun elemento idoneo a mettere in dubbio la correttezza dell'operato della società Smit Tak.
        Per quanto attiene al rinvenimento in località Foresta di Serra d'Aiello, nel bacino fluviale del fiume Oliva, di rifiuti industriali e di sostanze chimiche «di origine sconosciuta», appare veramente arduo sostenere la riconducibilità di detto materiale al carico trasportato dalla motonave Rosso, atteso che trattasi di rilevazioni effettuate a distanza di anni dal sinistro marittimo, in assenza, altresì, di validi elementi di supporto.
        Tali non sono né l'avvistamento di un non meglio identificalo «bidone di colore giallo» sulla sponda del fiume Oliva né le pretese «segnalazioni» (assolutamente generiche) su presunti e misteriosi viaggi notturni da e verso la motonave, diretti all'occultamento di «materiali». Non può sottacersi, in proposito, che, sin dal momento del suo spiaggiamento, la nave, per evitare possibili rischi di inquinamento, è stata oggetto di costanti e monitorati controlli da parte delle varie forze di polizia.

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        In conclusione, dagli esami degli atti contenuti nel fascicolo non emergono elementi idonei a sostenere proficuamente l'accusa in un eventuale giudizio, posto che gli stessi non appaiono, allo stato, suscettibili di ulteriori sviluppi.
        D'altra parte, i fatti di cui al presente procedimento sono avvenuti nell'ormai lontano 1990, con conseguente estinzione dei reati ipotizzati per intervenuta prescrizione (...)».

3.3.4 L'audizione del sostituto procuratore dottor Francesco Greco.

        Il sostituto procuratore Francesco Greco è stato ascoltato dalla Commissione di inchiesta in data 12 gennaio 2010 (precedentemente era stato audito anche dalla Commissione paralamentare di inchiesta che indagava sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, in data 18 gennaio 2005. Tale audizione, peraltro, è coperta da segreto).
        Nel corso dell'audizione del 12 gennaio 2010, dedicata in modo specifico allo spiaggiamento della motonave Rosso, il magistrato ha precisato che:
            il procedimento gli era pervenuto quando ormai tutte le teoriche ipotesi di reato erano prescritte;
            nonostante ciò, aveva ripercorso le indagini a 360 gradi, tenuto conto dell'allarme sociale che continuava a creare la vicenda dello spiaggiamento della motonave Rosso;
            l'indagine era stata particolarmente complessa tenuto conto del lungo lasso di tempo intercorso tra il momento dei fatti e la fase investigativa presso la procura di Paola.
        La Commissione ha ritenuto necessario audire il magistrato in quanto la lettura della richiesta di archiviazione presentava evidentemente l'elencazione di una serie di elementi di sospetto in merito a diversi aspetti dello spiaggiamento e delle fasi successive che era necessario chiarire con il magistrato.
        L'audizione per la verità non è valsa a dipanare del tutto i passaggi più problematici del provvedimento.
        Appare utile riportare, al riguardo, i passi dell'audizione relativi alle questioni di maggiore interesse.
        Riguardo gli accertamenti effettuati in merito al carico della Jolly Rosso ed alle modalità di smaltimento, il dottor Greco ha dichiarato:
        «(...) Siamo partiti, da un punto di vista investigativo, dall'intervento della Smit Tak, una società specializzata anche nel recupero di rifiuti nucleari. L'anomalia dell'intervento alla quale non abbiamo saputo dare una risposta è che questa nave interviene con lo scopo ufficiale di voler rimettere in mare la Jolly Rosso e rimane venti giorni a operare. A un certo punto, la società decide per la demolizione della nave, per cui si procede allo smaltimento di tutto ciò che si trovava a bordo. Hanno chiesto e ottenuto un'autorizzazione a smaltire quello che ufficialmente risultava dal carico, ossia liofilizzati, tabacchi ed altro. (...). Ho quindi disposto che si scavasse nella discarica di Amantea e abbiamo riscontrato che effettivamente c'erano liofilizzati, tabacchi, eccetera.


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        Si è proceduto ad un esame della documentazione di carico, nel quale abbiamo rilevato delle anomalie che abbiamo ritenuto rientrassero in una sorta di normalità, anche perché non avevamo la nave, né altro. La nave era stata demolita ben dodici anni prima, quindi sostanzialmente abbiamo lavorato sulle carte.
        Nel contempo, nell'ambito dell'attività di indagine – ovviamente lavorare su questo tipo di attività comporta necessariamente l'utilizzo delle fonti informali –, venni a sapere che c'era un movimento di camion, di notte, verso l'area del fiume Oliva, una zona vicino Amantea. (...)
        In primo luogo, si parlava della presenza di alcuni bidoni vicino a una griglia, di cui sicuramente vi siete occupati e, in secondo luogo, del fatto che dei camion di notte andavano a scaricare in questa zona. Ovviamente – questo lo dico per la Commissione –, in un paese quale Amantea – conosco molto bene la Calabria, per essere calabrese – basta che si accenda un fiammifero, perché a ruota libera si racconti di tutto. Di conseguenza, ogni dichiarazione non va vista solo come spunto di indagine, ma va collocata nel luogo e ricondotta a chi la fa. Sostanzialmente, avevo percepito che c'era una sorta di astio nei confronti di una ditta che tratta marmi.
        Quando siamo andati a scavare, ho fatto fare degli accertamenti tesi a rilevare la radioattività. Ottengo un certo valore, che all'inizio sembrava preoccupante sotto un duplice aspetto: per l'entità e per il fatto che questa radioattività veniva riscontrata non solo superficialmente, il che è normale – come appurato a seguito dell'avvento della nube di Chernobyl –, ma anche a una profondità di otto metri. Tecnici e specialisti in materia asseriscono che non è possibile ritrovare la radioattività a otto metri di profondità.
        Procedemmo a un carotaggio. Nominai un consulente di Bologna specialista della materia, il quale mi tranquillizzò (...). Giustificò l'anomalia della presenza di radioattività a otto metri di profondità – e ritengo che sia esatto – ricollegandola al fatto che il terreno fu rivoltato, per effetto della costruzione della briglia. Siamo infatti nelle immediate vicinanze. In questo modo si giustifica la circostanza che a otto metri di profondità si riscontri quel tipo di valore, sia pure nei limiti. Come ho già detto neanche per effetto delle acque di dilavamento dovrebbe essere possibile una penetrazione ad una profondità di otto metri.
        L'unica cosa che non si giustificava dal punto di vista della normalità erano i valori del cesio, abbastanza preoccupanti, e il fatto che vi era della polvere di marmo. (...). Quindi, scavammo nuovamente. Ricordo che trovammo un pezzo di carta recante il nome di una ditta. Effettuammo una ricerca ed emerse che si trattava di una ditta del nord.
        Quel tipo di accertamenti, infatti, non era compatibile con la realtà industriale calabrese. Intendo dire che, pur trattandosi in effetti di rifiuti tossici, non potevano essere della Calabria, perché lì non si produce quel tipo di materiali.
        (...) Feci eseguire un accertamento sulla ditta, per sapere se avesse mai avuto rapporti commerciali con la Calabria ed emerse che aveva tali rapporti con la ditta di marmo precedentemente citata, da cui si spiegò la presenza della polvere di marmo. Tale polvere determina

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grande curiosità e fantasia, perché viene utilizzata per schermare i rifiuti nucleari».
        Il magistato ha, comunque, precisato che nessun accertamento fu fatto per verificare se la ditta di di Amantea in questione avesse effettivamente scaricato in quel luogo («Lui nega di aver scaricato. Ovviamente, trattandosi di fatti risalenti a 15-20 anni fa, non mi azzardo nemmeno a fare una contestazione perché è già lettera morta.»).
        Riguardo alle operazioni svolte dalla Smit Tak il dottor Greco ha precisato che le stesse durarono 18-19 giorni e che erano finalizzate a tentare di salvare la nave, senza risultato («Ufficialmente, hanno provveduto a scaricare, creando la falla sulla parte verso il mare, dove poi la Spartaco, con un mezzo che veniva da Lamezia, ha caricato i container»).
        Su domanda della Commissione, il magistrato ha, peraltro, specificato che gli interessati, appartenenti alla società, non furono mai sentiti e interrogati sul tipo di operazioni effettuate.
        Riguardo al presunto smaltimento in orario notturno di rifiuti provenienti dalla Jolly Rosso c’è un passaggio nella richiesta di archiviazione in cui si fa riferimento ad un movimento notturno di camion che scaricavano nei pressi del fiume Oliva al di fuori di ogni autorizzazione. Anche su questo punto la Commissione ha chiesto chiarimenti al magistrato in quanto dalla lettura del provvedimento era lecito ritenere che fosse un dato acquisito probatoriamente.
        Il dottor Greco ha chiarito che l'espressione utilizzata «nel medesimo sito, erano stati effettuati smaltimenti di rifiuti provenienti dalla motonave Rosso in orari notturni, nei mesi di gennaio e febbraio mai autorizzati» in realtà si basava non su dati probatori ma su informazioni fornite da una fonte confidenziale non riscontrata da altre dichiarazioni. Addirittura vi era stata una smentita da parte del custode, il quale, sentito a sommarie informazioni, aveva negato che di notte il personale della Jolly Rosso andasse a scaricare nella discarica summenzionata.
        Sul punto, si deve dare conto che tra gli atti acquisiti dalla Commissione risulta un verbale di sommarie informazioni rese da tale Bossio Gaspare, custode all'epoca dei fatti della discarica Grassullo, nel quale questi ha dichiarato:
        «(...) All'epoca dello spiaggiamento della motonave Jolly Rosso, avvenuta in località Corica di Amantea, già lavoravo presso la discarica di Grassullo. Dopo circa 2-3 mesi che la motonave si arenò hanno conferito presso la discarica alcuni carichi di rifiuti, trasportati da ditte di Amantea di cui non ricordo i nomi, scortati da personale della Guardia di finanza e dei Vigili urbani. Questi conferimenti sono avvenuti senza autorizzazione scritta ma chiaramente essendo scortati dai predetti organi di polizia ho ritenuto che fossero autorizzati. (...) I rifiuti che conferivano alla discarica, che io ho visto, erano principalmente costituiti da tavole in legno, rottami metallici, scatolette di tipo alimentare, questo è quello, che io ho accertato però non escludo che ci possa essere stato anche altro materiale poiché era una grande quantità, che veniva scaricato in una fossa molto profonda. Il materiale veniva trasportato da camion a tre assi marca «Astra», con ribaltabile, presumibilmente delle ditte «Osso» o «Coccimiglio» di

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Amantea, più probabilmente della ditta Osso perché forniva già i mezzi meccanici operanti in discarica.
        Preciso che nello stesso periodo, per due notti di seguito, ho visto scaricare 6-7 viaggi di camion in piena notte di cui io non sono in grado di dire cosa hanno scaricato. Il materiale poi la mattina seguente, come prassi, fu spostato con la ruspa operante nella discarica, della ditta Osso, in una buca e successivamente ricoperto. (...) Preciso che tutt'oggi sono in grado di indicare il punto preciso della discarica dove è stato sotterrato il materiale trasportato nei viaggi notturni. Lo stesso attualmente si troverebbe ad una profondità di circa 40 metri. (...)
        A.D.R.: All'epoca dello scarico dei rifiuti della motonave Jolly Rosso, la discarica comunale di Amantea non era provvista di alcuna rete di recinzione, perciò di facile accesso a chiunque (...)» (doc. 695/24, p. 15 e 16).
        Riguardo alla presenza di bidoni sui luoghi in esame, il dottor Greco ha dichiarato che, in base agli accertamenti svolti, emerse che un dirigente del Genio civile notò un bidone con una raffigurazione di un teschio, senza peraltro conoscerne né il contenuto né il luogo ove lo stesso potesse essere finito:
        «(...) Mi parlarono – sempre informalmente – di 10-20 bidoni con il teschio sopra e mi dissero che il dirigente del Genio civile li aveva visti. Richiamai il dirigente per sapere se effettivamente fosse vero e lui ovviamente negò. Probabilmente, ho usato un tono duro, mi sono fatto capire in maniera diversa e, alla fine, ha ammesso che c'era un bidone, di che cosa non me lo ha saputo dire. Comunque, effettivamente, ha ammesso di aver visto un bidone e lo ha riconosciuto. Tuttavia, non abbiamo trovato nient'altro. (...) nelle immediate vicinanze c'era una fabbrica di polli. Andammo a comprare un pollo venduto al supermercato ed eseguimmo delle analisi. Da queste, risultò una concentrazione incredibile di ferro, forse quaranta volte superiore al limite di sopportazione. Sequestrammo quindi la fabbrica e cercammo di capire le ragioni della presenza di questa concentrazione di ferro nei polli e venne fuori che era dovuta all'acqua. Abbiamo cercato di risalire alla causa, ma al termine dell'indagine dalle analisi è risultata essere una conformazione naturale dell'acqua e del terreno, quindi non dipendente da nulla. È stato posto pertanto il divieto di utilizzare quell'acqua e il discorso finisce qua. Successivamente, sono stato in un certo qual modo coadiuvato, se non esautorato, nell'indagine – perché stavo per andare via – dal procuratore che ha preso servizio.
        Erano rimaste in sospeso due attività. La prima consisteva nel verificare congiuntamente all'Unical della Calabria, attraverso il satellite, le variazioni termiche che i rifiuti dovrebbero determinare. Effettivamente, si registrava una variazione termica di due gradi superiori al normale. Questo non esclude, tuttavia, che la causa possa essere ricondotta a una conformazione del terreno. Per quello che so il satellite ha dato riscontro a questa variazione di due gradi.
        In ogni caso, ero in procinto di bucare la briglia. Volevo procedere a tale azione, nonostante tutti gli accertamenti mi dicevano di andare

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via, perché la briglia, la conformazione – stando a quanto mi dicevano i tecnici – era un ammasso di cemento che non si giustificava da un punto di vista tecnico.
        Rimaneva solo da realizzare un buco di 5-6 metri con una trivella. Tuttavia, non l'ho fatto perché sono andato via. Non conosco i risultati».
        Le questioni che hanno destato maggiori perplessità sono, senza dubbio:
            la circostanza che lo scafo della motonave risultasse sfondato dall'interno;
            il fatto che, secondo alcuni documenti video (film amatoriali) la rottura dello scafo non sembrava presente al momento dello spiaggiamento e, dunque, sarebbe avvenuta necessariamente dopo;
            il fatto che, dopo lo spiaggiamento, fosse stata pompata acqua all'interno della nave e non viceversa.
        Si riporta il relativo passo dell'audizione:
        «FRANCESCO GRECO: È stato detto che la nave era fatta a paratie. Sostanzialmente, abbiamo ricostruito il fatto per effetto di un carrello che si è liberato e ha bucato a causa della corsa...
        PRESIDENTE. Questo, però, nella sua richiesta di archiviazione non c’è. Anzi lo indica come un elemento di sospetto. Non dice che è stato superato dal carrello. (...) A parte che un carrello riesca a sfondare una nave...
        FRANCESCO GRECO: Con il mare a una certa forza penso che sia possibile. L'ho lasciato come elemento di sospetto...
        PRESIDENTE. Stando alla sua richiesta di archiviazione risulterebbe, da film amatoriali, che questa rottura non c'era al momento dello spiaggiamento.
        FRANCESCO GRECO. L'apertura non c'era.
        PRESIDENTE. L'apertura è stata fatta dopo e anche su questo volevo chiederle qualcosa. In merito alla rottura, gli inquirenti avrebbero accertato che l'acqua veniva buttata all'interno, anziché essere pompata dall'interno. L'acqua veniva buttata all'interno, quasi che si volesse far risultare che vi era stato un rischio di affondamento. L'acqua veniva quindi prelevata dal mare e buttata all'interno della nave, anziché essere tolta dalla nave e buttata fuori. Questo lavoro strano e singolare chi lo stava facendo? (...)
        FRANCESCO GRECO: Non riesco a fare mente locale su chi mi dà l'affermazione.
        PRESIDENTE. Leggo: «Le stesse riprese amatoriali e gli atti refertivi evidenziano che nel periodo compreso tra lo spiaggiamento della motonave e la data del 20 dicembre 1990, erano in funzione delle pompe che immettevano acqua marina nelle stive della Rosso e non viceversa, come sarebbe stato logico attendersi; il tutto finalizzato a dimostrare l'entrata di acqua nelle stive a seguito della presenza di una falla».
        FRANCESCO GRECO: Questo sostanzialmente per avvalorare l'idea dell'affondamento... (...) Mi pare che la motivazione che diedero

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fosse che l'acqua veniva immessa per poi aspirarla e pulire, in seguito a una perdita di gasolio che si era verificata all'interno della nave. Quindi, veniva buttata dell'acqua e poi riaspirata per recuperare tutto quello che si era perso sul fondo.
        PRESIDENTE. Questo deriva sempre dagli atti del processo, perché questa spiegazione nella sua richiesta di archiviazione non c’è, per la verità.
        FRANCESCO GRECO. È una delle spiegazioni che posso ricordare che mi è stata data.
        PRESIDENTE. Volevo sapere se è stata interrogata la ditta che stava facendo questo lavoro.
        FRANCESCO GRECO,. Sicuramente deve essere stato fatto.
        PRESIDENTE. (...) Ci ha colpito un ulteriore elemento rispetto alla singolarità di questa vicenda. Sempre nella sua richiesta di archiviazione, si dice che chiudendo le paratie stagne non ci sarebbe stato nessun problema a salvare la nave.
        FRANCESCO GRECO: Sì.
        PRESIDENTE. Il comandante ha spiegato come mai non sono state chiuse le paratie stagne?
        FRANCESCO GRECO. Da quel che ricordo questa nave è fatta a paratie. Quindi, anche se entra l'acqua si riempie una parte, ma non l'altra.
        PRESIDENTE. Sono fatte apposta le paratie. Il comandante non ha spiegato come mai non hanno fatto ricorso alla soluzione più ovvia, ossia chiudere le paratie esterne?
        FRANCESCO GRECO. Per quel che ricordo, credo che siano stati presi dal panico e quindi abbiano voluto abbandonare la nave».
        Il dottor Greco ha confermato la circostanza relativa all'avvenuta riscossione del premio assicurativo («Era assicurata e ha riscosso il premio di un miliardo e mezzo o due. Ebbene, se ha riscosso il premio, è giocoforza che abbia esibito l'inchiesta amministrativa, altrimenti l'assicurazione non avrebbe pagato (....) La Smit Tak ha preso ben 800 milioni, se ricordo bene. Loro hanno preso un miliardo e mezzo, come lei mi ha detto. Parliamo del 1993-1994»).

3.4 Gli ulteriori approfondimenti svolti dalla Commissione.

        La Commissione ha ritenuto fondamentale approfondire taluni aspetti della vicenda relativa allo spiaggiamento della Jolly Rosso, sebbene rispetto ad essa vi siano state indagini penali che si sono protratte per oltre dieci anni e sebbene siano stati effettuati già approfondimenti da parte di precedenti commissioni di inchiesta: in particolare, se ne sono occupate, nel corso della XIV legislatura, sia la Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti presieduta dall'onorevole Russo sia la Commissione parlamentare d'inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, presieduta dall'onorevole Taormina, seppur limitatamente quest'ultima alle questioni eventualmente attinenti con la morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.
        Pertanto la Commissione, oltre ad acquisire la documentazione, in particolare atti processuali, necessaria per la ricostruzione delle


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vicende in esame ed a sentire in sede di audizione i Pubblici ministeri titolari delle indagini, ha ritenuto di audire, tra le altre, le seguenti persone, i rappresentanti della società Ignazio Messina, il comandante Bellantone, l'ispettore di polizia municipale Emilio Osso applicato presso la procura delle Repubblica di Paola, i rappresentanti dei servizi di sicurezza Aisi ed Aise.
        Nel prosieguo, gli elementi raccolti verranno illustrati in relazione agli aspetti della vicenda sui quali tuttora, nonostante la grande mole di accertamenti svolti, non si è riusciti a raggiungere un grado soddisfacente di certezza.
        Prima di far ciò appare opportuno, peraltro, riportare quanto risulta dalla relazione «Navi affondate – approfondimento sulla M/N Rosso» redatta nel marzo 2010 dalla Direzione marittima di Reggio Calabria del Ministero delle infrastrutture e trasporti, trasmessa su richiesta della Commissione (doc. 331/2):
        «La M/N Rosso è partita dal porto di Malta in data 13.12.1990, alle ore 09.00, con destinazione La Spezia. Nel porto di Malta sono state effettuate le operazioni di imbarco e sbarco di containers e precisamente è stato sbarcato un carico completo di contenitori provenienti da La Spezia e Napoli ed è stato imbarcato un carico parziale (n. 9 contenitori pieni e 25 vuoti) con destinazione La Spezia. I manifesti di carico e le polizze di carico della merce trasportata risultano acquisiti agli atti della Capitaneria di Vibo Valentia.
        Nei 9 containers pieni era presente il seguente carico:
            n. 1 per tons 23,325 di nailon;
            n. 4 per tons 75,465 di tabacco;
            n. 4 per tons 70 di prodotti per bevande.
        A bordo erano anche presenti n. 25 contenitori vuoti, nonché rimorchi e mezzi per la movimentazione del carico. Le persone a bordo erano 16, durante il viaggio di andata sbarcava a Napoli il marinaio Borrelli Giovanni, ed imbarcava a Malta il marinaio Raiola Gaetano.
        Dopo la partenza da Malta, la nave si imbatteva in una burrasca da Ovest Sud Ovest forza 8. Alle ore 23.30 del 13.12.90 dirigeva per lo stretto di Messina. In serata veniva verificato un cedimento del rizzaggio dei containers nella stiva poppiera. Dalle ore 03.30 alle ore 04.00 del 14.12.90 la nave attraversava lo stretto di Messina dirigendo verso nord. A causa della burrasca ancora in corso, l'unità alle ore 07.55, lanciava il segnale di soccorso a causa del movimento del carico e conseguente via d'acqua nella stiva poppiera che ne provocava lo sbandamento di 20o sulla sinistra. Alle ore 08.25 venivano arrestati i motori ed alle 10.30 gli elicotteri della Marina Militare effettuavano il recupero di tutto l'equipaggio.
        Alle ore 14.00 del 14.12.90 la nave si arenava sulla spiaggia di località «Formiciche» del comune di Amantea e precisamente nel punto di coordinate Lat: 39o05'N Long: 016o05'E. La nave al momento dell'arenamento presentava la prora in direzione Nord e lo scafo era inclinato di 30o sul lato sinistro.

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        L'inchiesta sommaria si concluse evidenziando che il sinistro si era verificato per causa di forza maggiore, attribuibile a verosimile rottura delle rizze del carico che provocarono vie d'acqua e successivo allagamento dello scafo con compromissione dell'assetto e mancanza di governabilità»
        Gli avvenimenti successivi allo spiaggiamento.
        La nave spiaggiata è stata oggetto di servizi di vigilanza da parte delle forze di polizia. In particolare la Guardia di finanza ha mantenuto un servizio di vigilanza continuativa fino al 24.12.1990 (come si evince dall'informativa n. 6409/51 del Comando stazione navale della Guardia di finanza di Vibo Valentia).
        Con particolare riguardo alle prime ore dopo lo spiaggiamento, alle ore 20.30 del 14/12/1990, il maggiore Rupia della Guardia di finanza forniva assicurazione alla sala operativa della Capitaneria di porto di Vibo Valentia, che la nave sarebbe stata pattugliata dal proprio personale fino alle ore 05.00 del mattino successivo. Anche i Carabinieri di Paola diedero la medesima disponibilità a vigilare sullo scafo fino al mattino (registro dell'ufficiale di guardia del giorno 14.12.1990 presso la Capitaneria di porto di Vibo Valentia Marina).
        A partire dal 15.12.1990 si sono recati presso il relitto rappresentanti della società armatoriale allo scopo di verificare i danni alla nave ed al carico. In data 15.12.1990 personale del comando provinciale VV.F. di Catanzaro ha effettuato nell'area dell'arenamento una misurazione della eventuale radioattività presente sui siti circostanti la nave. Dalle citate misurazioni, non è emersa alcuna contaminazione a livello del suolo. Nel rapporto riassuntivo d'inchiesta sommaria, viene evidenziato che l'intervento era stato richiesto dalla Capitaneria di porto a seguito dell'allarmismo diffusosi tra la popolazione locale, rispetto al fatto che la motonave Rosso (ex Jolly Rosso) era stata interessata in passato da presunti traffici di materiale radioattivo e/o nocivo (msg. nr. 17486 in data 15.12.90 del Comando Prov.le VV.F. di Catanzaro).
        In data 15.12.90 la nave è stata, altresì, ispezionata da un perito incaricato della Siat di Genova assicuratrice di scafo e macchina della Rosso. La successiva pratica di risarcimento si concluse con l'erogazione alla società Messina di lire 2.500.000.000.
        In data 16.12.1990 la nave è stata ispezionata da personale della Capitaneria di porto di Vibo Valentia e della Guardia di finanza, unitamente a rappresentanti dell'armatore e della società assicuratrice. Oltre ai locali macchina e garage, il sopralluogo ha interessato il ponte comando e le cabine del comandante e del direttore di macchina ove sono state prelevate le pubblicazioni riservate e documenti di bordo.
        A far data dal 18.12.1990 e fino al 29.01.1991 si sono svolte le operazioni di rimozione del carburante e residui oleosi presenti a bordo, da parte delle ditte Siciliana off-shore Srl e Calabria navigazione Srl. Una volta eliminati i residui oleosi, l'armatore Messina ha dato mandato alla società olandese Smit Tak di rimettere in galleggiamento la nave. La Smit Tak ha operato dal 09.02.91 al 02.03.91, data in cui, d'accordo con l'armatore, ha rinunciato all'incarico rivelatosi troppo difficoltoso o probabilmente poco conveniente.

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        Circa dopo una settimana dall'inizio dei lavori della Smit Tak, si sono abbattute sulla costa ove era arenata la Rosso, violente mareggiate che hanno danneggiato la nave sul fianco sinistro. In particolare in questo periodo è apparso sulla fiancata sinistra un grosso squarcio dal quale sono fuoriusciti e caduti in mare un rimorchio, 2 containers, cavi di acciaio e rottami vari che sono stati recuperati.
        Con riguardo alle aperture presenti nella struttura della nave, rilevante è la dichiarazione di Sergi Domenico della società Calabria di Navigazione Srl che, sentito di recente a sommarie informazionit. in data 27.01.10, dichiara che, al momento del suo primo intervento in sito e durante i lavori di recupero del combustibile presente a bordo, non vi erano squarci ed aperture a fasciame, ad eccezione di un'unica fessura visibile sul lato di sinistra, all'altezza della paratia tra il locale macchine ed il garage. Tale fessura si estendeva per circa due metri, per una larghezza di qualche centimetro. Al contrario per eseguire i lavori di recupero del carburante, veniva eseguita, sotto la vigilanza dell'Autorità Marittima e del R.i.na. nonché del Chimico di Porto dottor G.Recupero di Messina, un'apertura a fasciame sul lato di dritta della nave di circa 40 cm per 200 cm – tale apertura veniva successivamente chiusa dalla stessa soc. «Calabria di Navigazione», con apposita saldatura, controllata e certificata dal R.i.na.
        Successivamente la nave è stata venduta alla soc. «Mosmode» di Cannavate Nunziante & C. Sas di Crotone che ha avviato i lavori di demolizione. Gli stessi si concluderanno in data 17.01.92. Tuttavia nel 2005, a seguito di sopralluogo effettuato dal CTU subacqueo incaricato dalla procura della Repubblica di Paola, veniva evidenziata la presenza di numerosi materiali, rottami e parti residuali del relitto nei fondali antistanti il luogo della demolizione. La rimozione e lo smaltimento definitivo delle rimanenti componenti strutturali della motonave «Rosso» venivano effettuati sempre dalla Ditta «MOSMODE» di Crotone, nel mese di maggio 2005, con il trasferimento del materiale presso il proprio sito di stoccaggio regolarmente autorizzato».

3.4.1 L'audizione del rappresentante della Ignazio Messina SpA e le problematiche affrontate.

        In data 30 marzo 2010 è stato audito dalla Commissione il dottor Andrea Gais, amministratore delegato della Ignazio Messina SpA.
        L'audizione è stata disposta su sua stessa richiesta, e ciò, per quanto dallo stesso dichiarato, a seguito del rinnovato interesse da parte dell'opinione pubblica sulla Jolly Rosso in ragione delle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Francesco Fonti in merito al fenomeno cosiddetto delle «navi a perdere».
        Le dichiarazioni rese in sede di audizione possono essere riportate per temi:
        La storia della Jolly Rosso prima dell'ultimo viaggio:
            sul punto il dottor Gais ha dichiarato: «Nel 1988, il Jolly Rosso è stato da noi noleggiato con regolare contratto di noleggio. (...) All'epoca il Governo italiano aveva ricevuto pressioni da alcuni Paesi,


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fra i quali il Libano, in quanto era emerso che alcune società industriali italiane avevano smaltito in modo irregolare rifiuti tossico e/o nocivi e/o radioattivi in Paesi del terzo mondo. In quell'occasione, così come è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, il Governo italiano aveva indetto una gara per aggiudicare il bando per lo smaltimento di questi rifiuti. La gara era stata vinta dalla società Monteco, che, per adempiere al suo mandato, doveva in primis recuperare dal Libano tutta questa quantità di rifiuti tossico-nocivi, riportarla in Italia e procedere allo smaltimento. Per fare questo, era evidentemente necessaria una nave. Ci risulta che, dopo una prima ricerca di mercato, nessuna nave fosse stata considerata idonea per questo tipo di trasporto. In effetti, ci era stato richiesto se fossimo disponibili a noleggiare una delle nostre navi, ma in prima battuta avevamo risposto che non eravamo interessati in quanto tutte avevano i loro servizi da gestire. Abbiamo avuto un ripensamento quando ci sono state fatte un po’ di pressioni assolutamente lecite, perché ci sembrava quasi di fare un torto al Governo italiano non mettendoci a disposizione per trovare una forma di soluzione. Solo a quel punto abbiamo noleggiato la Jolly Rosso alla Monteco, che ha effettuato quindi il trasporto di questi rifiuti. (...) Noi abbiamo noleggiato la nostra nave a una società terza, la Monteco. Evidentemente, la nave era a scafo armato e quindi l'equipaggio era quello della Messina e ovviamente abbiamo seguito il trasporto in quanto la nave, seppur noleggiata, era di nostra proprietà. Indubbiamente, quando è arrivata a La Spezia la nave ha avuto una fase di sbarco molto lenta, in quanto, essendo carica di rifiuti tossico-nocivi e/o radioattivi, la popolazione locale e i movimenti ambientalisti non volevano che questi rifiuti venissero sbarcati nel territorio italiano, per cui il noleggio della nave, che era previsto per un certo periodo, ha subìto un ritardo nella consegna, in quanto la nave è rimasta parecchio tempo ferma con la merce in primis a bordo e poi scaricata lentamente».
        La ricostruzione fornita dall'amministratore della Ignazio Messina effettivamente combacia con i dati acquisiti dalla Commissione in merito all'utilizzo della Jolly Rosso per il trasporto di rifiuti nocivi dal Libano a La Spezia. Si tratta, peraltro, di un dato pacifico nel senso che le polemiche che seguirono all'arrivo della motonave presso il porto di La Spezia erano state determinate proprio dalla consapevolezza dell'opinione pubblica in merito al carico della nave.
        La fase del naufragio:
        In merito alle modalità dello spiaggiamento ed alla formazione della falla sulla fiancata della nave, l'audito, dopo avere evidenziato le condizioni avverse del mare ha precisato:
        «(...) È successo che all'interno della Rosso, un carrello, un trailer di quelli che utilizziamo sia per trasportare le merci, sia per trasportare da bordo a terra e viceversa i carichi rompeva le rizze e il timone di questo carrello, che è la parte triangolare di ferro che viene collegata al camion che la tira, a causa degli sbandamenti della nave ha iniziato a picchiare lungo la murata, lungo lo scafo e quindi a praticare in più punti alcuni buchi dai quali è iniziata a entrare

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l'acqua. La Rosso era una nave Ro-Ro, quindi a caricazione orizzontale tramite una rampa di poppa. Roll on/roll off significa che la merce viene caricata orizzontale, quindi rotolando di fatto perché trainata viene imbarcata a bordo. Non è una nave che viene caricata dall'alto, quindi la struttura della nave comprendeva un piano garage e due piccole stive sottostanti a livello del piano garage. Non c'erano quindi paratie di separazione. Nel garage sul traghetto per andare in Sardegna c’è una rampa che sale e una che scende, ma tutto il piano garage va da una murata all'altra della nave. Nel caso specifico, la grossa quantità d'acqua, che è iniziata ad affluire dalle falle che si erano create anche a causa del mare particolarmente grosso, spostandosi da una parte all'altra rischiava di far capovolgere la nave. Quando il comandante si è reso conto che la nave non rispondeva più al timone e che le condizioni del mare erano proibitive, prima che potesse rovesciarsi ha preferito mettere in salvo l'equipaggio. Le falle ci sono, sono state documentate a tutti gli effetti. Vorrei precisare che evidentemente non potevano che essere dall'interno verso l'esterno, in quanto il corpo che le ha create era all'interno della nave e in funzione del rollio della stessa bucava lo scafo dall'interno verso l'esterno. Francamente, siamo rimasti perplessi, stupiti e anche un po’ amareggiati quando inizialmente veniva negata l'esistenza delle falle, rifacendosi a film amatoriali che avevano ripreso la nave nelle ultime fasi prima dello spiaggiamento, per cui veniva sostenuto che lo scafo fosse integro e non vi fossero falle. È ovvio che non si potessero vedere, perché, se la falla fosse stata al di sopra della linea di galleggiamento, non si sarebbe imbarcata acqua e questa non avrebbe creato un pregiudizio così grave per la nave. Ovviamente, rimanendo al di sotto perché si tratta addirittura della stiva al di sotto del piano garage, le falle non potevano assolutamente essere viste, così come non si sono viste neanche quando poi la nave si è spiaggiata, in quanto le falle sul lato sinistro e la nave appoggiata sul lato sinistro rimanevano a quattro metri di profondità nella battigia e quindi non potevano essere immediatamente visibili».
        Le condizioni in cui si trovava la motonave al momento della partenza furono oggetto di accertamento da parte della Capitaneria di porto di La Spezia che, a seguito di ispezione, riscontrò una serie di deficienze in ordine all'abitabilità e alla sicurezza esprimendo, con nota del 6 dicembre 1990, parere sfavorevole al rinnovo delle relative certificazioni (doc. 695/1).
        Il dottor Greco, nel corso dell'audizione avanti alla Commissione del 12 gennaio 2010, ha affermato che la nave non era idonea alla navigazione e che, nonostante ciò, ottenne in modo frettoloso e sospetto, l'autorizzazione alla navigabilità:
        «La nave parte da La Spezia, dopo un periodo in cui era rimasta ormeggiata, quindi quasi non idonea alla navigazione. Poi, di punto in bianco, in maniera molto veloce e frettolosa, ottiene l'autorizzazione , previi aggiustamenti... (...) Alla navigabilità. Questo è un fatto accertato.»
        Il 7 dicembre 1990 la società Ignazio Messina comunicò alla Capitaneria di porto di La Spezia che tutte le deficienze riscontrate

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erano state eliminate, insistendo per il rinnovo delle certificazioni in ragione dell'ugente necessità di salpare.
        Nella stessa giornata, la medesima autorità che il giorno prima aveva espresso il parere sfavorevole di cui si è detto, risulta aver effettuato un'ispezione tecnico sanitaria in conseguenza della quale venne rilasciato il richiesto certificato datato appunto 7 dicembre 1990.
        Le attività di recupero della nave
        Con riferimento alle attività di recupero della nave, il dottor Gais, sempre nel coraso dell'audizione del 30 marzo 2010 ha dichiarato:
        «nel momento in cui la nostra nave ha spiaggiato senza danni eccessivi che inducessero a richiederne la demolizione, come proprietari della nave volevamo assolutamente recuperarla. Per riuscire in questo intento, abbiamo ritenuto di affidarci alla prima società di salvataggio al mondo, che tramite proprie agenzie è presente anche in Italia, per centrare l'obiettivo nel minor tempo possibile.
        (...) abbiamo sottoscritto un contratto. (...) Purtroppo, era inverno e la nave era rimasta spiaggiata. Si era scavata sulla battigia una sorta di letto e quindi era ormai piantata. Ci sono state violente mareggiate, una delle quali è stata fatale per la motonave Rosso, in quanto in un mese e mezzo la parte esposta alle onde, la murata della nave è stata praticamente distrutta e a quel punto anche la sala macchine è stata invasa dall'acqua. Abbiamo cercato di dimostrare anche con qualche fotografia che a quel punto purtroppo, seppure la Rosso avesse soltanto ventidue anni, non era più possibile salvarla e riutilizzarla. Non rimaneva quindi che effettuare la demolizione in loco, come peraltro a un certo punto ci era stato anche sollecitato dalle autorità marittime competenti. Con la Smit Tak abbiamo interrotto i rapporti, perché purtroppo non si poteva più raggiungere l'obiettivo. (...) Per demolire in loco un'imbarcazione, non aveva più senso rivolgersi alla Smit Tak, che è una società di salvataggio, ma era più giusto rivolgersi a società di demolizione a tutti gli effetti.»
        Analoghe dichiarazioni erano state fatte da Ignazio Messina alla Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse istituita nel corso della XIV legislatura il 16 dicembre 2004 (doc. 334/5).
        Su questi temi si è espresso anche l'ispettore della polizia municipale Emilio Osso, in servizio presso la procura della Repubblica di Paola e audito dalla Commissione in data 18 dicembre 2012:
        «Come asserito dalla Ignazio Messina, il 16, 17 e 18 dicembre ci fu una forte mareggiata e la paratia lato mare, cioè la paratia di sinistra, venne distrutta. Si aprì, quindi, uno squarcio enorme. In realtà, dalle testimonianze di Corrado Spagnoletti, comandante di un pontone che intervenne, ma anche di altre testimonianze, tale squarcio era un taglio perfetto. Spagnoletti asserì che era stato realizzato con la fiamma ossidrica. Posso riferire per testimonianza diretta, e non dalla lettura, che molti anni dopo noi trovammo i resti della Rosso in mare e io fui delegato dal magistrato a seguire tutte le operazioni. Estraemmo dai fondali, che erano bassi due o tre metri, questa

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paratia, con le costole di 14 metri per 4. Chiesi spiegazioni alla ditta, la quale mi rispose che si trattava della famosa paratia lato mare che era stata fatta cadere in acqua. All'epoca, il 12-13 maggio 2005, notai che era un taglio perfetto. Tutte le testimonianze, comunque, riconducevano a un intervento di taglio ben preciso. La Guardia di finanza evidenziò che lo scopo era l'asporto di un oggetto di grosse dimensioni. In quello stesso periodo intervenne il citato pontone, il pontone Spartaco. Per compiere la movimentazione la Rosso avrebbe dovuto usare il portellone posteriore, che, però, era occluso, ragion per cui non si poteva uscire e nessun movimento poteva avvenire. Intervenne, pertanto, questo pontone, che avrebbe dovuto togliere la sabbia e favorire la rimessa in mare della nave. Se la Ignazio Messina evidenzia che ci fu un fortunale il 17 febbraio, che squarciò la nave, che senso aveva poi far venire una settimana dopo un pontone per cercare di rimetterla in mare? Ho svolto questa riflessione. In base alle sommarie informazioni in nostro possesso sappiamo che un operaio – è agli atti – che faceva la guardiania durante quel periodo, il guardiano che aveva assoldato la Smit Tak, affermò che un giorno arrivò questo pontone, prese alcuni ferri e li depositò sulla spiaggia. Il pontone, stando a quanto ho capito, poteva sbrecciare sulla spiaggia e si allontanò verso Vibo con il piano di carico vuoto, come se avesse lavorato e sbrecciato del materiale sulla spiaggia. Io ho collegato il fatto anche alla testimonianza del comandante Bellantone, nel momento in cui riferisce che la Smit Tak lavorò per la rimozione dei container e li collocò su mezzi terrestri. È una mia deduzione: se la Smit Tak ha lavorato nello stesso periodo del pontone e colui che aveva assoldato la Smit Tak per controllare riferì che sbarcò sulla spiaggia della ferraglia, avrebbe potuto tranquillamente anche sbracciare alcuni container.»
        I documenti reperiti a bordo della nave:
            uno dei documenti maggiormente citati nel corso degli approfondimenti sullo spiaggiamento della Jolly Rosso è quello definito, in una prima fase, dal comandante Bellantone come un documento raffigurante una sorta di «battaglia navale» sul quale era riportato il simbolo della società di Giorgio Comerio ODM.
        I dati certi su questo aspetto possono essere così sintetizzati:
            tale documento non è stato mai sequestrato, nè è stato mai reperito nel corso delle varie inchieste;
            il comandante Bellantone che, nel corso del verbale di sommarie informazioni innanzi al dottor Neri, aveva confermato quanto già informalmente dichiarato al capitano De Grazia circa il rinvenimento di quel documento, ha poi reso versioni discordanti sì da togliere valore alle originarie deposizioni.
        Anche in merito a questo aspetto non possono che registrarsi aspetti a dir poco inspiegabili. Non è dato comprendere come un comandante di capitaneria di Porto abbia potuto essere così generico e atecnico nel descrivere un documento che, se fosse stato davvero un documento nautico, sarebbe stato facilmente identificato e correttamente

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definito. Possono trarsi due deduzioni in alternativa: o il comandante ha visto davvero un documento incomprensibile e verosimilmente riconducibile ai progetti di Comerio, ovvero sin dai primi colloqui con il capitano De Grazia ha mentito, ma sfuggono le ragioni di una simile menzogna, successivamente ritrattata.
        Di certo nessun interesse poteva avere il comandante Bellantone nel dichiarare di avere visto un documento che in realtà non aveva visto.
        Di esso, però, non vi è traccia documentale, sicchè le uniche fonti di informazione sul punto sono costituite dall'annotazione di servizio a firma Capitano De Grazia, nella quale è stato riportato quanto dichiarato nell'immediatezza da Bellantone, e il verbale di sommarie informazioni reso innanzi al dottor Neri nell'ambito dell'indagine condotta dalla procura circondariale di Reggio Calabria.
        Sul punto, l'audizione del dottor Gais si è sviluppata nei seguenti termini:
        «PRESIDENTE. Il comandante della Capitaneria di porto di Vibo Valentia ha riferito che in alcuni documenti reperiti a bordo della nave vi erano strani cenni a materiale radioattivo. Inoltre, aveva visto documentazione che non aveva saputo interpretare e che gli sembrava un piano di battaglia navale che poi aveva riconosciuto nei progetti ODM sequestrati presso l'abitazione di Comerio. Questo aspetto deve essere chiarito, perché credo che il comandante della Capitaneria di porto di Vibo Valentia sia in grado di leggere e interpretare le carte nautiche, mentre qui avrebbe individuato non solo questi cenni a materiale radioattivo, che non sono meglio precisati, ma soprattutto queste figure che si troverebbero poi nei piani della ODM, i progetti di Comerio per interrare nel mare i rifiuti radioattivi.
        ANDREA GAIS: Il comandante Bellantone ha espletato l'inchiesta sommaria che vi abbiamo allegato e che quindi ha analizzato tutta la vicenda della Rosso. Credevamo che le carte nautiche che aveva definito battaglie navali non avessero nessuna rilevante importanza, visto che erano le carte nautiche che si trovavano in plancia, dove il comandante con frequenza abbastanza assidua, navigando sotto costa, deve per legge fare il punto nave. Abbiamo poi letto di richiami all'ODM, che però è stata fondata tre anni dopo lo spiaggiamento della Rosso, così come abbiamo letto che su quella carta nautica sarebbero indicati i siti di affondamenti di navi a perdere, che comunque sarebbero avvenuti successivamente all'affondamento della Jolly Rosso. Abbiamo indubbiamente letto molte dichiarazioni contraddittorie. (...) abbiamo allegato tutto quello che era riferito al viaggio, quindi documentazione ufficiale, manifesti, polizze di carico, merce, contenitori vuoti, contenitori pieni, diario di bordo, dichiarazione di evento straordinario, richiesta sommaria da parte delle autorità competenti. Abbiamo allegato e inserito nel nostro memoriale tutto quello che avevamo. Non siamo però riusciti ad avere la famosa carta nautica, che era però una di quelle dell'Istituto idrografico della Marina di Genova in funzione della zona di navigazione»;
        i rapporti con Giorgio Comerio:
        Dalla relazione «Navi affondate – approfondimento sulla M/N Rosso» redatta nel marzo 2010 dalla Direzione marittima di Reggio

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Calabria del Ministero delle infrastrutture e trasporti, trasmessa alla Commissione, (doc. 331/2) risulta che:
        «Nel periodo compreso tra il 09.03.88 e il 03.06.88 si è svolta una trattativa tra la Comerio Industry of Malta e la società Messina per l'acquisto della Jolly Rosso per un valore di lire 1.050.000.000. La documentazione relativa è stata acquisita dalla Guardia di finanza che ha accertato che la trattativa non ha avuto buon fine.
        Altro riferimento al Comerio si desume dalle dichiarazioni del C.F. Bellantone (all'epoca comandante della Capitaneria di porto di Vibo Valentia) che, nell'ambito delle indagini svolte dalla procura della Repubblica di Reggio Calabria negli anni 1994 e 1995 (proc. 2114/94, p.m. dottor Neri) riferisce di aver visto sulla nave documentazione che inizialmente non aveva saputo interpretare ma che successivamente ha riconosciuto come i progetti ODM del Comerio. Peraltro, tali documenti non sono stati mai acquisiti in atti (in merito si rimanda a quanto esposto nel precedente paragrafo nonchè nella parte prima par. 1.8). Inoltre, la citata indagine della procura di Reggio Calabria relativa agli affondamenti delle navi Rigel e Rosso si è conclusa con decreto di archiviazione in data 14.11.00 nel quale si evidenzia che non si è raggiunta alcuna prova dello smaltimento di sostanze nocive né del collegamento col Comerio».
        Il dato relativo all'interessamento di Giorgio Comerio per la Jolly Rosso era emerso già nel corso dell'indagine del dottor Neri allorquando, a seguito di perquisizioni venne trovata documentazione attinente alla nave, sia presso l'abitazione di Giorgio Comerio sia presso l'abitazione di tale Molaschi Raffaele (anch'egli indagato). Nell'informativa CC del nucleo operativo di Reggio Calabria del 25 maggio 1995 (doc. 695/2), p. 9 si riferisce:
        «Nel contesto ODM, non vanno dimenticate le vicende delle navi utilizzate come veicoli per l'inabissamento dei rifiuti radioattivi in mare e anche il Molaschisembra essere coinvolto in tale illecita attività se è vero, come è vero, che presso la sua abitazione questo Comando ha rinvenuto fotocopia della documentazione della motonave «Jolly Rosso», spiaggiata, per come è noto alla S.V., sul litorale di Capo Vaticano (Vibo Valentia), sulla quale sono ancora in corso accertamenti da parte della Capitaneria di porto di Reggio Calabria, in collaborazione conquest'Arma. La «Jolly Rosso» è così importante anche per Molaschi che di essa se ne trova traccia anche nella sua agenda del 1992 e precisamente nel giorno indicante il 31 marzo. Il nominativo di detta nave era accomunato a quello della «Zanubia» e «Caren B» ed a fianco ad ognuno di essi, rispettivamente, vi era indicata una società’: per la «Jolly Rosso», Acqua ;per la «Zanubia», Castalia e per la «Caren B», Eco-Servizi».
        Il Molaschi, sentito dal dottor Greco, ha dichiarato:
        «Il Comerio mi disse che aveva necessità di acquistare delle navi con portellone a poppa tipo Jolly Rosso o Danubio al fine di permettere ai penetratori di scivolare facilmente in acqua dal bordo. Pertanto io contattai a Genova il signor Dallaggio che era direttore del porto petroli, che ho conosciuto in quanto ho fatto diversi lavori con la Snam nel porto petroli. Il Dallaggio mi disse che la Rosso era quasi

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demolita in quanto naufragata in Calabria, pertanto riferì la situazione al Comerio e non mi interessai di altre trattative.»
        Secondo quanto riferito da Ignazio Messina alla Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse istituita nel corso della XIV legislatura il 16 dicembre 2004 (doc. 334/5) in merito alle trattative in corso per vendere la nave Jolly Rosso a Giorgio Comerio:
            nel 1988 era stato manifestato interesse ad acquistare la nave da parte di una società, la Navermar Srl, e i contatti erano stati tenuti con un certo comandante Bertone. Solo successivamente ad un articolo apparso l'estate precedente (probabilmente si trattava dell'articolo sull'Espresso «Intrigo Rosso») avevano appreso che la società era in qualche modo legata a Giorgio Comerio. In realtà si erano poi accorti che su uno dei telex da loro allegati vi era il nome di Comerio, ma non se ne erano accorti.
            La trattativa era per il prezzo di un miliardo e duecento milioni di lire circa.
        Tali circostanze sono state ribadite dal dottor Gais nel corso dell'audizione innanzi a questa Commissione:
        «In occasione di un'intervista rilasciata all’Espresso, Riccardo Bocca ci aveva chiesto se conoscessimo l'ingegner Comerio e noi avevamo risposto nella maniera più assoluta che non avevamo mai avuto occasione di incontrarlo. Poi, guardando la nostra documentazione, è emerso che invece una società e un incaricato dell'ingegner Comerio in effetti aveva avvicinato il nostro comandante Cervetto per una valutazione di acquisto della Jolly Rosso. Pur non avendolo personalmente mai conosciuto, ma essendoci stato questo tipo di contatto, a scanso di equivoci abbiamo voluto precisare che in effetti c'era stato. Si è trattato però di un contatto per l'acquisto della nave, che non si è neanche trasformato in vera trattativa, quindi di un contatto come tanti altri. (...)
        Vorrei chiudere, se mi consente, con una battuta: ammesso e non concesso che questa nave che è diventata l'emblema delle navi a perdere avesse avuto realmente questi rifiuti, non è proprio materialmente possibile. È diventata l'emblema di navi che sono sparite dall'oggi al domani, di armatori e di bandiere ombra, di one ship company sparite senza lanciare l'SOS, di equipaggi che si sono volatilizzati. La nostra nave invece ha lanciato l'SOS, i marinai sono stati salvati dalle autorità competenti, tutti i nostri marinai sono stati ripetutamente ascoltati, sono state effettuate indagini, inchieste, la nave era materialmente sulla spiaggia, tutti hanno potuto vederla, tutti hanno potuto rendersi conto di quello che c'era a bordo, di dove è stato smaltito, c’è tutta la documentazione. Nonostante questo, deve essere l'emblema di tutte quelle che hanno avuto una sorte assolutamente contraria. Nel ribadire di essere disponibili a offrire la nostra collaborazione per qualsiasi vostra esigenza di chiarimenti, teniamo a sottolineare che siamo una società italiana di Genova, che riteniamo la nostra società un orgoglio della marineria italiana. Ci dispiace

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purtroppo constatare come spesso e volentieri questo non venga riconosciuto. Se veramente questa nave avesse dovuto essere affondata, visto che era a Malta, sarebbe stato più semplice prevedere un viaggio che andasse verso il nord Africa. Purtroppo, la nave doveva rientrare e questo è un classico evento di mare e nulla di più».
        Sostanzialmente il dottor Gais ha confermato quanto sostenuto precedentemente anche attraverso la produzione di memorie e documenti presentati all'autorità giudiziaria.

3.4.2 L'audizione dell'Ispettore di polizia municipale Emilio Osso.

        In data 18 dicembre 2012 la Commissione ha audito Emilio Osso, ispettore di polizia municipale applicato, anche all'epoca dello spiaggiamento della Rosso, presso la procura della Repubblica di Paola.
        Lo stesso ha riferito in merito ad alcuni aspetti della vicenda che avevano attirato l'attenzione degli investigatori e che, sostanzialmente, non sono stati chiariti nonostante le indagini effettuate.
        In particolare, l'ispettore Osso ha evidenziato che non vi sono riscontri ufficiali in ordine a quanto accaduto il giorno 15:
        «La nave è rimasta spiaggiata il 14 dicembre 1990. I primi atti in cui si riporta che qualcuno è salito sulla nave sono del 16. Vi è, dunque, un buco per il 15. (...) Dalla visione di una videocassetta, dalle testimonianze e dalle relazioni, risulta che il 15 in giornata salirono sulla nave alcune persone. Noi abbiamo acquisito un video in cui ciò si vede benissimo. (...) ho rivisto più volte questa videocassetta riferita al 15. Della salita a bordo di questa nave spiaggiata da parte di queste persone nei verbali, però, non c’è traccia. (...). Dal video si evince che, tramite una ruspa munita di scala, appartenente alla ditta Coccimiglio, salirono a bordo della Rosso intorno alle ore 13.00 del 15 dicembre, due o tre persone. Da quanto ho potuto capire, in base alle testimonianze del vicecomandante della polizia municipale Amerigo Spinelli di Amantea, una sarebbe stata un uomo con i baffi alto, che dovrebbe essere il comandante De Caro della Ignazio Messina. Compiendo un incrocio tra tutti questi dati, ritengo che un'altra persona fosse un tale Domenico De Gioia (...) tecnico della Ignazio Messina. (...) presente sulla nave anche quando si chiamava Jolly Rosso, durante il viaggio che compì dal Libano a La Spezia. (...). C'era poi una terza persona, che non vi so riferire chi potesse essere. (...) Io ho chiesto proprio specificatamente al comandante Bellantone, che è stato sentito, se le persone, per salire a bordo di una nave, dovessero avere l'autorizzazione dell'autorità marittima. Negli atti – può darsi che mi sia sbagliato io – non ho mai trovato tale autorizzazione. Il primo riferimento riguarda il 16 dicembre, domenica. Nel verbale del 16 della Capitaneria di porto c’è un inciso che recita: «per quanto riferitomi dal personale della Messina, che è salito nella mattinata del sabato sulla nave...» Sicuramente, dunque, personale della Ignazio Messina salì a bordo il sabato, cioè il giorno 15 dicembre 1990. Non so che cosa abbia preso o fatto, ma esiste un buco di ventiquattr'ore. Nessuno parla di questi fatti riferiti all'intera giornata del 15. (...) Sempre secondo gli atti, il 15 mattina era di vigilanza una pattuglia


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dei Carabinieri della stazione di Amantea, che venne allontanata dalla zona fino alle ore 14.30 a causa di un incidente. Abbiamo verificato che questo incidente non era mai avvenuto. (...) La pattuglia dei Carabinieri non era, dunque, più presente in zona».

3.4.3 Il presunto interessamento di personale appartenente ai servizi segreti alla vicenda della Jolly Rosso.

        La Commissione ha ritenuto di approfondire alcune circostanze emerse nell'ambito delle indagini giudiziarie ed attinenti ad un presunto interessamento dei servizi segreti italiani, o comunque di personale riconducibile ai servizi segreti, nella vicenda in oggetto.
        La ragione di tale approfondimento nasce dalle dichiarazioni rese al procuratore della Repubblica di Reggio Calabria Francesco Scuderi e al sostituto Francesco Neri dal comandante in seconda presso la Capitaneria di porto di Vibo Valentia Giuseppe Bellantone.
        Questi, invero, sentito all'epoca dai magistrati nel corso dell'inchiesta che gli stessi stavano svolgendo sulle cd navi a perdere, dichiarò testualmente:
        «ricordo che destò la mia curiosità la circostanza riferitami di un continuo andirivieni di persone e di mezzi in particolare nelle ore notturne.
        ADR: Effettivamente mi venne riferito che si erano recati a bordo militari dell'Arma dei carabinieri nonché agenti dei servizi segreti». (cfr. verbale di sommarie informazioni del 29 febbraio 1996 – doc 695/7).
        Proprio al fine di chiarire questi aspetti la Commissione, in data 8 marzo 2011, ha audito l'ex comandante Giuseppe Bellantone. In tale occasione lo stesso ha, peraltro, rilasciato dichiarazioni in parte diverse, ridimensionando il significato delle espressioni usate all'epoca della sua escussione da parte dei magistrati di Reggio Calabria:
        «Io voglio precisare che non ho mai detto che ci fossero agenti dei servizi segreti. Ho detto che ho avuto l'impressione che ci fossero dei rappresentanti dei servizi segreti, a causa del modo di fare che questi soggetti avevano, del loro modo di presentarsi, girare attorno e guardare (...) io avevo il mio personale che andava a bordo, che girava e guardava. Il personale della Guardia di finanza controllava allo stesso modo. Qualcuno mi diede questa notizia, ma io non la approfondii. Ho avuto anch'io l'impressione che ci fosse qualcosa, ma non ho approfondito la questione. Mi sarà stato riferito da qualcuno dei miei uomini, oppure da qualcuno della Guardia di finanza o dei Carabinieri che erano lì sul posto, ma non saprei dirvi con precisione chi mi ha detto quelle cose (...) Qualcuno me lo ha riferito, però se lei mi chiede di chi si trattava, non so risponderle. Non posso ricordarmelo. Se lo avessi ricordato, lo avrei detto anche al magistrato. Del resto, nella vicenda della nave Jolly Rosso, una questione sulla quale sono stato sempre pressato era quella dell'inquinamento da idrocarburi e dell'erosione della costa. Mai nessuno mi ha chiesto dei possibili problemi di radioattività. Sono stato io a chiamare i vigili del fuoco per fare dei rilievi, dal momento che la gente diceva che


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potevano esserci delle radiazioni. Così ho fatto fare un rilievo. Io ho comunicato a tutti, alle procure e a tutti gli enti interessati, ma mai nessuno mi ha detto di controllare per problemi particolari. Dovevo procedere ad un'inchiesta sommaria e l'ho fatta. Il mio compito finiva là».
        Alla contestazione mossa dal Presidente della Commissione: «Vorrei solo dirle che non si tratta di un dubbio, ma di una notizia sicura, perché a lei è stato riferito che c'erano agenti dei servizi segreti. Non si è trattato – come ha detto all'inizio – di un sospetto dovuto a come queste persone si muovevano e camminavano, o ad altri aspetti esterni. Lei ha proprio avuto notizia certa della presenza dei servizi segreti a bordo. Questo è il dato che emerge dalle sue dichiarazioni», Giuseppe Bellantone ha, però, poi risposto:
        «È così, solo che non abbiamo individuato queste persone, né chiesto loro le generalità».
        L'audito ha anche specificato che non vi era un controllo efficace delle persone che salivano a bordo, nel senso che queste non venivano identificate.
        Non può non osservarsi come questa mancanza di controllo contrasti fortemente con le notizie che lo stesso Bellantone dichiarò di aver appreso in quelle circostanze. Nel verbale di sommarie informazioni rese avanti al sostituto procuratore Francesco Neri, sopra richiamato infatti, Bellantone aveva affermato che il comportamento dell'equipaggio, che dette a vedere di non volerne più sapere di tornare a bordo e di volersi allontanare da quel luogo prima possibile, sollecitò l'intervento per la misurazione della radioattività ambientale. Dunque, appare singolare che in tale situazione di particolare allarme, non fu sentita la necessità di controllare tutti coloro che salivano a bordo della nave.
        Lo stesso Bellantone, del resto, sentito anche dal dottor Greco, in data 15 luglio 2004, aveva affermato che «per legge, nessuno può salire a bordo di navi arenate, senza la preventiva autorizzazione dell'autorità marittima».
        Se ne ricava, evidentemente, che non poteva ragionevolmente omettersi un accurato controllo dei coloro che intendessero salire a bordo, tenuto conto anche della straordinarietà dell'evento.
        Altro dato che ha spinto la Commissione ad approfondire la notizia circa un presunto interessamento dei servizi segreti alla vicenda della motonave Rosso emerge dall'audizione dell'armatore Ignazio Messina avanti alla Commissione Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse istituita nel corso della XIV legislatura, allorquando il predetto accennò genericamente a rapporti di collaborazione tra la società e i servizi segreti che indagavano sul traffico delle auto rubate.
        Sul punto, peraltro, l'amministratore delegato della Ignazio Messina SpA, Andrea Gais, il quale già nel 2004 sentito unitamente a Ignazio Messina aveva negato l'esistenza di tali rapporti, ha ribadito:
        «Abbiamo letto che a un certo punto si riferiva che i servizi segreti fossero coinvolti, fossero presenti o fossero saliti a bordo. A noi personalmente questo non risultava affatto, ma abbiamo potuto appurare – eventualmente, avvocato mi corregga – che in una risposta

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a un'interrogazione parlamentare Cosimo Ventucci aveva smentito che ci fossero stati interessamenti da parte dei servizi segreti alla vicenda della Rosso.(...) Non mi risultano rapporti con i servizi segreti. (...)
        Mio cugino si è espresso male, nel senso che come compagnia di navigazione abbiamo avuto dei contatti, in quanto, avendo un nostro porto in quanto operiamo in un terminal privato dedicato alla nostra attività, siamo stati avvicinati da alcuni reparti sia dei Carabinieri che della Guardia di finanza che ci avevano chiesto di segnalare loro se avessimo visto o notato qualcosa di strano. Spesso, ci avevano chiesto ragguagli in merito a nominativi di cittadini extracomunitari, giacché, essendo coinvolti con i Paesi del nord Africa, tramite i nostri canali cercavamo di fornire risposte o informazioni. Non parliamo quindi di servizi segreti a tutti gli effetti, ma di una sorta di collaborazione con questi reparti degli uffici della Finanza e dei Carabinieri.
(...) Abbiamo avuto parte di questi rapporti con un reparto della Guardia di finanza così come con un reparto dei Carabinieri di Genova. Con il tempo, si è creata una sorta di cordiale conoscenza e spesso abbiamo chiesto loro informazioni in merito a personaggi extracomunitari. C'era uno scambio di collaborazione di questo tipo. Credo che definirli servizi segreti nel vero senso della parola sia troppo.
        Certo pare strano, e questo è un dato indiscutibile, che a livello espressivo si sia potuta fare confusione tra le forze di polizia e i servizi segreti; sarebbe stato comprensibile confondere una forza di polizia con un'altra (Guardia di finanza piuttosto che Carabinieri), ma il riferimento ai servizi segreti pare più «una voce dal sen fuggita».
        A parlare dell'interessamento dei servizi segreti è stato anche il dottor Cisterna, nel corso dell'audizione avanti alla Commissione, avvenuta in data 9 dicembre 2009. Lo stesso, come detto, si occupò in una certa fase delle indagini concernenti la motonave Rosso.
        Secondo quanto riferito dal magistrato i servizi gli chiesero espressamente di proseguire quella collaborazione che già avevano prestato allorquando le indagini erano coordinate dal sostituto procuratore circondariale Francesco Neri.
        Si riporta il passo dell'audizione sul punto:
        «Va detto che in quel processo comparivano tante carte e non erano ben chiare le fonti; questo si collega a quella vicenda su cui ho mantenuto una posizione precisa, ossia quando il servizio segreto militare offrì, nel cambio di titolarità, di proseguire nell'attività di collaborazione. Ricordo a mente che fosse una prosecuzione, ma comunque vedo in una nota di una dichiarazione alla stampa del collega Neri confermare il dato che il Sismi avesse collaborato nella prima parte. Questa lettera arrivò in una doppia busta chiusa, cosa per me ignota. Ero stato giudice fino allora e, quindi, avevo poca esperienza di contatti che, per carità, magari sono anche normali. Operativamente anche in quegli anni si è lavorato con i servizi, nella misura in cui offrivano ausilio informativo, fino alla circolare Frattini, che fece divieto di queste forme di contatto. Non era il dato in sé che preoccupava, quanto il fatto che non fosse chiaro in che cosa si dovesse estrinsecare questa collaborazione. D'accordo con il procuratore,

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la lettera venne cestinata e messa da parte, decidendo di non rispondere e di andare avanti per conto nostro».

3.4.4 Gli accertamenti compiuti dalla procura militare di Napoli.

        Dopo lo spiaggiamento della Rosso e la morte del capitano De Grazia la procura militare di Napoli ha condotto un'indagine contro ignoti numero 45/05 del Registro Mod. 44 – per il reato di alto tradimento (articolo 77 c. 1 C.p.m.p.) in relazione alla devastazione (articolo 285 Cp.) e all'attentato contro organi costituzionali e contro le assemblee regionali (articolo 289 cie 2 Cp.) a carico di ignoti militari.
        Ha concluso con un'archiviazione del 7 maggio 2008 (accolta dal Gip in data 26 maggio 2008) per mancanza di prove (doc. 724/1):
        «l'ipotesi a cui ha inteso lavorare questo pubblico ministero concernerebbe un possibile ma non provato intervento, all'atto dello spiaggiamento, da parte di militari onde consentire lo smaltimento abusivo del carico della motonave. Nel che si sarebbe compendiata la devastazione oggetto di approfondimento nel procedimento che ci occupa. Il problema è che non è provato, al di là di ogni ragionevole dubbio, che all'atto dello spiaggiamento la motonave imbarcasse rifiuti radioattivi o comunque scorie nucleari. La mancata dimostrazione della sussistenza reale del carico sospetto (sia perché non ne è stato provato l'imbarco alla Spezia, sia perché all'atto del paventato affondamento della Rosso essa avrebbe potuto essersi liberata in precedenza dello stesso in occasione di precedenti scali), ne inferisce altresì la mancata dimostrazione dell'avvenuto illecito smaltimento di rifiuti. Di conseguenza non può apparire provato il coinvolgimento di militari in operazioni di illecito smaltimento di rifiuti radioattivi, ma soprattutto appare come una vera e propria probatio diabolica la dimostrazione che, anche ove l'illecito smaltimento fosse avvenuto o comunque provato, i presunti militari, ad oggi non identificati, avrebbero agito con il dolo ben più pregnante (rispetto a quello dell'illecito smaltimento di rifiuti) dell'alto tradimento, unica fattispecie criminosa – seppure astrattamente- ipotizzabile nell'ambito di questa giurisdizione militare. Quanto precede impedisce a questo pubblico ministero di svolgere ulteriori approfondimenti, dato lo scontato esito che essi produrrebbero sul procedimento de quo ed in riferimento alla fattispecie penale ipotizzata. Rimane in piedi (e vi è auspicio in tal senso) la possibilità di approfondire tutti i fatti in questione che invece possono assumere una rilevanza penale di competenza dell'AGO.»

4. Le indagini condotte dalla procura di Asti sui presunti traffici di rifiuti tossici in Somalia.

        Il dottor Tarditi è stato audito dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti presieduta dall'on. Paolo Russo in data 18 novembre 2003.


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        All'epoca era sostituto procuratore presso il tribunale di Asti e, negli anni precedenti, si era occupato di un'indagine sul traffico dei rifiuti in Somalia, traffico presuntivamente gestito da Ezio Scaglione e Giancarlo Marocchino. L'indagine in qualche modo si era intersecata con quella condotta dalla procura di Roma (pubblico ministero Ionta) relativa alla morte di Ilaria Alpi, nel senso che dalle intercettazioni telefoniche in corso era stato acquisito un commento di Giancarlo Marocchino in merito all'arresto del presunto assassino di Ilaria Alpi, ed in particolare era stata captata una conversazione nella quale Giancarlo Marocchino aveva detto al suo interlocutore che quell'arresto era una bufala.
        Nel corso dell'audizione del 18 novembre 2003, il dottor Tarditi ha dichiarato che:
            sin dal 1997 la procura della Repubblica presso il tribunale di Asti stava svolgendo indagini che riguardavano i traffici di rifiuti radioattivi, o comunque tossico/nocivi, diretti in Somalia;
            il procedimento si era radicato ad Asti in quanto un imprenditore lombardo era stato contattato da Ezio Scaglione, di Alessandria, per l'esportazione di rifiuti tossico nocivi e radioattivi in Somalia. L'imprenditore si era quindi messo in contatto con il Corpo forestale dello Stato denunciando l'accaduto;
            venne quindi avviato un procedimento penale e la polizia giudiziaria, con l'avallo del pubblico ministero, impostò l'indagine nel seguente modo: gli investigatori dissero all'imprenditore lombardo di suggerire allo Scaglione di contattare un imprenditore astigiano (di loro fiducia), in modo da potere seguire le attività illecite di Ezio Scaglione;
            contemporaneamente furono avviate le intercettazioni telefoniche, e le conversazioni captate riguardavano ovviamente anche l'utenza in uso all'imprenditore astigiano, apparentemente disponibile a partecipare al traffico di rifiuti proposto dalla Scaglione, ma in realtà d'accordo con la polizia giudiziaria;
            dalle intercettazioni emerse che Scaglione era in stretto contatto con Giancarlo Marocchino, operatore tuttofare che viveva in Somalia, il quale lo incitava a spedire in tutta fretta, nelle more di operazioni più consistenti, 2000 o 3000 fusti da collocare in qualche sito;
            dalle conversazioni di Giancarlo Marocchino emergeva, inoltre, che erano in fase di avanzata autorizzazione le concessioni del capo clan che controllava la zona, Alì Madhi, per la realizzazione di una discarica di tipo c per i materiali più pericolosi. Il tutto sarebbe stato giustificato con la futura presunta realizzazione di un inceneritore per rifiuti urbani, al fine di tacitare la popolazione locale, che avrebbe quindi accettato meglio la realizzazione della discarica;
            Marocchino diceva anche che bisognava assicurare in fretta l'arrivo in Somalia del materiale pericoloso da «smaltire»;
            lo Scaglione, per spiegare al suo interlocutore (imprenditore astigiano) le modalità attraverso cui si sarebbe svolto il traffico, gli fece il nome di uno spedizioniere di Livorno, tale Nesi, soggetto che

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poi le indagini hanno confermato essere strettamente collegato con la Somalia;
            le indagini, a seguito di questi ulteriori sviluppi, vennero focalizzate sulla figura di Giancarlo Marocchino, che gestiva una serie di traffici e di attività a Mogadiscio. (il dottor Tarditi ha definito Marocchino come un soggetto che in Somalia aveva una fortissima organizzazione economica e militare «tant’è che chiunque voglia andare in Somalia e rimanere vivo, segnatamente a Mogadiscio, deve farsi proteggere da lui»);
            nel corso delle intercettazioni si udì Marocchino dire che l'arresto del presunto assassino di Ilaria Alpi era stato una «bufala». La conversazione venne ritenuta rilevante, fu stralciata e inviata al pubblico ministero Ionta che indagava sulla morte di Ilaria Alpi (fu omissato il nome dell'interlocutore di Marocchino per ragioni di segreto investigativo);
            di lì a poco l'indagine si sarebbe «bruciata». Dalle intercettazioni gli investigatori capirono che gli indagati erano a conoscenza dell'indagine: si sentì infatti il legale di Marocchino, Menicacci, il quale telefonava a tale Roghi dicendogli che aveva letto degli atti che provenivano dalla procura di Asti e che lui era a sua disposizione per difendere l'interlocutore (telefonata del 30 gennaio 1998);
            in sostanza l'indagine in corso si era svelata e dunque era compromessa. Venne effettuata un'ultima attività di perquisizione con riferimento al filone investigativo concernente la truffa consumata tramite il collocamento di titoli atipici e privi di valore;
            non furono individuate navi in partenza con carichi di rifiuti;
            il dottor Tarditi, nel corso dell'audizione, ha fatto riferimento ad una suddivisione delle intercettazioni: «tornando alla suddivisione delle intercettazioni, vi sono poi i rapporti con i servizi e le telefonate riguardanti Ilaria Alpi».
        Il 30 marzo 2011 il dottor Tarditi è stato audito dall'attuale Commissione di inchiesta.
        In tale occassione lo stesso ha specificato alcuni aspetti relativi all'indagine svolta ad Asti. Un primo aspetto ha riguardato i rapporti tra l'Italia e la Somalia e la vicinanza tra lo spedizioniere di Livorno Nesi e la figlia del dell'allora generale Aidid, quest'ultima seguita e attenzionata da personale del Sismi. È stato inoltre rappresentato uno scenario inquietante, emergente dalle operazioni di intercettazione telefonica, circa l'utilizzo di zone somale per lo smaltimento di rifiuti tossici:
        «Una circostanza molto importante è che intercettando l'utenza di Nesi a un certo punto si intercettò la figlia dell'allora generale Aidid, che affermava di essere, poi risultò tale, molto amica di Nesi, al punto da disporre di cellulari che lui le metteva a disposizione.
        La Aidid era a Milano da tempo nell'ambito di rapporti di cooperazione tra l'Italia e la Somalia e risultò essere la figlia di uno dei più importanti signori della guerra. (...) Essendo la Aidid esponente

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di un mondo politico significativo e in un contesto nel quale l'Italia aveva avuto e probabilmente ha conservato a lungo la presenza storica e poi politica di oltre un secolo, era seguìta e attenzionata istituzionalmente da personale del Sismi, che spesso dialogava con lei per contatti che ci confermavano questo tipo di relazioni.
        (...) Emerse anche che il Nesi era in contatto anche con un altro operatore economico e commerciale, un certo Roghi, che gestiva assieme alla moglie numerose società con sedi a Londra e in altri luoghi e aveva rapporti sia con Nesi sia con Marocchino per effettuare trasporti di merce in Somalia.
        (...) l'interlocutore di Scaglione, Marocchino, da decenni operante con buon successo a quanto pare in Somalia, una realtà difficile nella quale credo che si debba essere bravi a operare, ma anche ad avere qualche forma di copertura istituzionale, sopravviveva benissimo. (...) Questo signore, in quel periodo e a mano a mano nel corso di quell'anno o due che seguimmo l'indagine, portava avanti la costruzione di un suo porto nella zona di El Man che avveniva sotto gli occhi di tutti in una zona che aveva poche insenature naturali, una costa abbastanza piatta, formata a un certo punto da un serie di moli. I container erano posizionati tatticamente in modo perpendicolare alla linea litoranea di spiaggia, riempiti, si dice, con inerti e protetti dall'erosione e dalla furia del mare, da montagne di macigni posti intorno.
        Questo, accompagnato a una certa disinvoltura che ci sembrava emergere dalle intercettazioni, apriva scenari abbastanza inquietanti e comunque degni di approfondimento, per esempio, su cosa ci fosse in concreto in quei container. Che essi fossero tali è documentato da innumerevoli fotografie che le persone che abbiamo sentito, chi volontariamente, chi meno volontariamente comunque ci ha posto a disposizione: si vedono gru che insabbiano i container e formano questo posto.
        Questo è il profilo che io ritengo più importante nell'ambito di questa vicenda, (...)
        Nel corso delle telefonate (Marocchino) aveva affermato che gli avevano lasciato dei container, esaminando i quali c'era da far saltare il Ministero degli esteri, «fin la Madonna» disse. Magari esagerava, le sparava grosse, non lo so, ma di certo dichiarò che tra quelle carte c'era documentazione che afferiva, e probabilmente era vero, alla «malacooperazione», sostanzialmente un flusso costante di veicoli, materiali pregiati per le costruzioni delle abitazioni di notabili del posto che venivano contrabbandati in vario modo: come aiuti alla popolazione o come materiali funzionali all'esecuzione di lavori nell'ambito del fondo per gli aiuti italiani, strade, pozzi e simili. In realtà, poco avevano a che fare le berline Mercedes, non i fuoristrada magari, o i marmi pregiati per le ville dei notabili con gli aiuti. Per la verità, facemmo la contestazione perché le dichiarazioni risalgono proprio al periodo di tempo in cui Marocchino era sotto intercettazione.
        Vi erano stati parecchi processi pendenti in Italia sulla mala cooperazione e per quel che riguarda quella con la Somalia, acquisii la notizia dalla stampa, ma credo anche dalla comunicazione del Parlamento, mi pare del Ministro degli esteri, che segnalava che gli

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archivi della cooperazione italiana non si trovavano a Roma, bensì a Mogadiscio. Facemmo due più due, e ci chiedemmo se non si trattasse di quelli cui si faceva riferimento in quelle conversazioni. Marocchino sostenne di no e noi non abbiamo potuto dimostrare il contrario, per cui la vicenda si è chiusa così».
Nel corso dell'audizione sono state poste domande in merito ad eventuali ingerenze dei servizi segreti nelle indagini in questione e quale ruolo avesse il porto di La Spezia nei traffici di rifiuti. Si riportano le risposte fornite dal magistrato:
        «Posso dire con tranquilla sicurezza che tra gli elementi che ho acquisito non ho trovato un rapporto qualsiasi di causalità tra servizi e rifiuti. Feci un'osservazione relativamente alla vicenda Alpi, che purtroppo si incrociava in quel periodo temporale. Tuttavia, nell'ambito di vicende che sono state oggetto di trattazione da parte della Commissione Alpi, mi stupì sempre molto che i servizi asserissero non sapere nulla neanche a livello di vociferazioni sui possibili autori del fatto che portò a morte la Alpi e Hrovatin. A mio avviso, è impensabile che, senza avere in tasca la verità assoluta, si trincerassero semplicemente dietro un «non sappiamo». Se non avessero saputo, come dicevano di non sapere, la circostanza era molto grave perché c'era da chiedersi cosa ci stessero a fare visti i 120 anni di addestramenti della Somalia di tutti i gradi delle Forze armate – Barre era maresciallo dei carabinieri in sostanza – con successiva scalata della presenza commerciale, economica ed infine politica prima con regimi vari, successivamente sotto l'amministrazione fiduciaria dell'ONU fino al 1960 e dopo con lo Stato indipendente. Con riferimento, invece, alle vicende delle intercettazioni cui sottoponemmo con grande attenzione Marocchino, che le cose le sa, collegate a interventi dei servizi sui rifiuti e segnatamente al rapporto servizi/rifiuti in Somalia, i servizi non avrebbero saputo niente.
        Emerge il ruolo di Marocchino per i suoi contatti con i militari, ma d'altronde, da un certo punto di vista, non vedo cosa ci fosse da scandalizzarsi per il fatto che una presenza di tale calibro, quella oggi rappresentata, fosse messa a disposizione di un intervento che comporta una logistica importante, informazioni, rapporti, relazioni e diatribe tra clan. Come è a tutti noto, in molti Paesi dell'Africa le linee tracciate dalle cancellerie sono geometriche, ma non rispettano le realtà claniche, di cui la Somalia è un esempio precipuo. Ho l'impressione forte, oltretutto, che da questa situazione di controllo si sia allargato un pochino e abbia giustificato determinate indagini e sospetti sulla sua attività».
        Chiarimenti sono stati chiesti al magistrato in merito alla circostanza che la cooperazione tra l'Italia e la Somalia si fosse occupata anche di smaltimento di rifiuti e al ruolo rivestito da Marocchino:
        In magistrato ha richiamato le dichiarazioni rese da Marocchino:
        «Lui asserì di occuparsi di logistica. Aveva contatti da molto tempo e la sua mediazione era preziosa. Probabilmente su questo punto ha ragione, ma ripeto che di questa vicenda l'unico diretto, importante, secondo me insuperabile storicamente – processualmente è tutto un altro paio di maniche – è il passaggio in cui diffusamente spiega nei suoi contatti con Scaglione come si deve fare, quello che

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necessita, l'esigenza di fare in fretta e descrive una metodica operativa nel presentare questi immensi depositi di robaccia come una risorsa per il territorio. Ci sono i noti riferimenti, dice che devono muoversi bene perché l'autorità locale deve rappresentare che si tratta di inceneritori per fabbricare energia elettrica e così via e che Dio non voglia che di queste cose venga a conoscenza qualche giornalista».
        Secondo quanto dichiarato dal procuratore Tarditi i limiti dell'indagine, nonostante la mole di informazioni acquisite erano costituiti dalla difficoltà di radicare la competenza territoriale presso al procura di Asti:
        « Noi operiamo – poi le decisioni dei giudici possono essere varie – ma sicuramente posso assicurarle che sarebbe poi stato sempre difficile di fronte alla corte sostenere che era competente Asti relativamente a un'individuata attività di smaltimento rifiuti. Questa, infatti, aveva sì avuto il suo incipit in agganci che avevano coinvolto anche un imprenditore di Asti, ma si articolava lungo altre linee. Io posso, quindi gestire l'indagine preliminare, portarla avanti come so e posso, formulare un capo di imputazione, ma poi, a seconda del tipo di reato, si passa – rappresento che in materia ambientale all'epoca non avremmo fatto molta strada, siamo nel 1994... (...) Sì, bisognava avere i documenti sotto mano. Da Roma ci dicevano che si trovavano in Somalia, e a Mogadiscio non riuscivamo ad andare. Per grandi movimenti lato sensu strategici – se ha un qualche fondamento l'assioma rifiuti/armi –, è ben raro che si possano svolgere impunemente traffici senza che in nessun modo strutture dello Stato ne vengano a conoscenza. Si può portare via una cassa di fucili o di mitragliatori ed è già il massimo, ma con le norme feroci che esistono in materia di armi per quel che riguarda i privati cittadini, movimentazioni così importanti, che coinvolgono aree portuali e doganali e che possa avere una certa articolazione – io non so se questa l'avesse o meno – è difficile che possano svolgersi senza che ci sia una copertura magari assolutamente istituzionale. I servizi sono preposti anche, salvo che non commettano reati, ma questo è un altro paio di maniche e va accertato, a garantire questi viaggi di armi».

5. Le indagini conseguenti alle dichiarazioni di Francesco Fonti.

        La questione attinente ai presunti traffici di rifiuti radioattivi o comunque tossici tramite l'affondamento di navi o l'interamento dei rifiuti stessi in zone disabitate è riemersa a partire dall'anno 2003 allorquando l'ex collaboratore di giustizia Francesco Fonti, recentemente deceduto, in sede di colloqui investigativi con magistrati della direzione distrettuale antimafia fece riferimento ad una presunta partecipazione delle criminalità organizzata calabrese nel traffico illecito di rifiuti tossici.
        Quelle prime dichiarazioni furono poi seguite da un memoriale scritto inviato alla direzione nazionale antimafia nell'anno 2005 nel quale erano descritte in maniera dettagliata alcune operazioni di illecito smaltimento di rifiuti radioattivi alle quali Fonti stesso avrebbe partecipato.


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        Il contenuto del memoriale fu, inoltre, riportato nell'ambito di un'articolo pubblicato sul settimanale L'Espresso a firma del giornalista Riccardo Bocca.
        A seguito della presentazione del memoriale furono avviate nuove indagini da parte delle procure territorialmente competenti in ragione dei luoghi, ove sarebbero state consumate le attività delittuose, secondo le indicazioni di Fonti. E, dunque, vennero aperti fascicoli in numerose procure italiane. Tra queste le procure distrettuali antimafia di Catanzaro e di Potenza.
        Già nella premessa va sottolineato che Fonti iniziò a parlare con i pubblici ministeri del traffico di rifiuti radioattivi testè indicato a distanza di diversi anni rispetto all'iniziale collaborazione prestata all'autorità giudiziaria, risalente al 1994, che si rivelò peraltro molto utile ai fini della comprensione delle modalità attraverso cui la ’ndrangeta calabrese gestiva il traffico di sostanze stupefacenti nelle regioni del nord Italia (il processo si è concluso con sentenze di condanna).
        Questo dato, attinente alla proficuità della iniziale collaborazione di Fonti, è stato da subito messo in evidenza dal pubblico ministero dottor Vincenzo Macrì che aveva raccolto le dichiarazioni di Fonti nella prima fase, per così dire, della sua collaborazione.

5.1 L'origine della collaborazione di Francesco Fonti in merito al traffico di rifiuti.

        Prima di entrare nel merito delle dichiarazioni rese da Fonti sul traffico dei rifiuti radioattivi è necessario esaminare le varie fasi della sua «collaborazione» nonché la tempistica delle dichiarazioni da lui rese sul traffico dei rifiuti.
        Come anticipato in premessa, Fonti ha iniziato a parlare del traffico dei rifiuti radioattivi solo a partire dai colloqui investigativi effettuati con il dottor Macrì della direzione nazionale antimafia il 16 maggio 2003 e il 9 ottobre 2003.
        Il motivo per il quale si sarebbe determinato a parlare dei rifiuti sarebbe stato l'interesse dimostrato da alcuni giornalisti sull'argomento (questa affermazione è riportata nella nota inviata dal dottor Macrì alla Commissione in data 24 febbraio 2010).
        Nel colloquio del 16 maggio 2003 Fonti ha parlato:
            dei rifiuti tossici interrati in Somalia, trasportati tramite navi e provenienti da una società pubblica con stabilimento a Matera;
            del coinvolgimento di Musitano;
            del trasporto di rifiuti tossici a mezzo di 40 camion fino al porto di Livorno. A questa operazione avrebbe partecipato solo nella fase del carico, non a quella del trasporto.
        A specifica domanda sulle fonti del suo racconto Fonti aveva risposto al magistrato:
        «queste cose qua a me sono state dette da una persona. Alcune....l'inizio lo so, l'inizio del trasporto, perché l'ho vissuto io. Il seguito non l'ho vissuto io ma mi è stato raccontato».


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        Dal contesto del colloquio emergono dati molto incerti e molte contraddizioni rispetto a quello che verrà dichiarato successivamente. A titolo di esempio può evidenziarsi che nel corso del colloquio Fonti ha riferito di non essere andato al porto di Livorno, mentre in successive dichiarazioni lo stesso ha affermato l'esatto contrario.
        Nel colloquio del 9 ottobre del 2003 è stato ripreso l'argomento del traffico dei rifiuti tossici e in quell'occasione Fonti ha prodotto degli appunti consegnandoli al magistrato.
        Nel corso del colloquio ha fornito ulteriori particolari in merito al traffico di rifiuti radioattivi in Somalia, nonché al traffico di armi, e ha dichiarato di avere conosciuto Giancarlo Marocchino a Milano nel 1992.
        Alla domanda del pubblico ministero sul perché non avesse parlato prima di queste vicende, la risposta di Fonti è stata che non se ne era ricordato essendo tantissime le vicende da lui vissute. Successivamente aveva sì ricordato tali fatti, ma non aveva avuto modo di parlarne con nessuno.
        La Commissione ha approfondito molto attentamente tutte le fasi attinenti all'inizion della collaborazione di Fonti sul traffico di rifiuti, esaminando le dichiarazioni che sul punto lo stesso Fonti ha reso. Ed, infatti, in merito all'origine della collaborazione in tema di rifiuti, Fonti ha fornito una versione diversa alla Commissione di inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, dichiarando di non vere mai parlato al dottor Macrì di rifiuti perché nel corso della sua collaborazione si era sentito tradito non dai magistrati, ma dal servizio centrale che gestiva i collaboratori e da cui aveva subìto angherie. Al pertinente rilievo del Presidente Taormina che sottolineò a Fonti come le prime domande sui rifiuti gli furono fatte nel 1995, quando la sua collaborazione era forte e franca e non vi era ragione di fare quel tipo di riflessioni, Fonti ha risposto facendo riferimento ad un episodio specifico accaduto nel 1995, che lo avrebbe determinato a non fornire altre notizie sui traffici della ’ndrangheta ed in particolare sui traffici di rifiuti: Fonti avrebbe dovuto testimoniare in un processo, ma invece di essere accompagnato da una scorta era stato accompagnato da un autista. Per questo litigò con un commissario e venne portato in carcere per quindici giorni.
        Successivamente, anche in sede di audizione innanzi a questa Commissione, Fonti ha dichiarato di non avere parlato di rifiuti perché aveva paura per la sua incolumità personale e perché, anche durante il periodo della collaborazione con i pubblico ministero sul traffico degli stupefacenti, era stato più volte avvicinato da personaggi appartenenti ai servizi segreti, in particolare da tale «Pino» non meglio identificato, che lo avevano dissuaso a parlare di rifiuti, minacciandolo implicitamente, ma in modo inequivoco e grave.
        In seguito, a causa delle sue precarie condizioni di salute, si sarebbe determinato a parlare.
        In realtà, la Commissione ha avuto modo di accertare che Fonti ebbe contatti a partire dalla fine del 2002/inizio 2003 con giornalisti con i quali aveva affrontato il tema dei rapporti tra ’ndrangheta e traffici illeciti di rifiuti.

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5.2 Rapporti tra Fonti Francesco e i giornalisti.

        L'interesse della Commissione in relazione ai rapporti tra Francesco Fonti e alcuni giornalisti (in particolare Riccardo Bocca de L'Espresso e i giornalisti di Famiglia Cristiana Luciano Scalettari, Barbara Carazzolo e Alberto Chiara) è nato dalla necessità di capire quando, come e per quali finalità Fonti iniziò a parlare di traffico di rifiuti radioattivi, e ciò anche al fine di vagliarne l'attendibilità.
        Come evidenziato, infatti, le prime dichiarazioni sul punto vennero rese proprio a giornalisti di Famiglia Cristiana.
        Secondo quanto si legge nella relazione finale della Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, i giornalisti Luciano Scalettari, Barbara Carazzolo e Alberto Chiara, i quali erano stati originariamente consulenti della predetta Commissione parlamentare, da cui avevano rassegnato successivamente le dimissioni, si erano occupati dell'inchiesta giornalistica sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.
        Luciano Scalettari è stato sentito dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin in data 19 ottobre 2005. In quell'occasione, oltre a riferire dettagliatamente il contenuto delle sue inchieste, fornì chiarimenti in merito al suo rapporto con Francesco Fonti, indicato nell'audizione semplicemente come «fonte»:
            verso la fine di novembre e gli inizi di dicembre dell'anno 2002 Scalettari stava curando un'inchiesta per conto del mensile Jesus sui rapporti tra chiesa, ’ndrangheta e mafia ed ebbe un incontro con il collaboratore di giustizia Fonti che si trovava agli arresti domiciliari. In quel contesto Fonti rese dichiarazioni che riguardavano un traffico di armi e di rifiuti che concerneva anche la Somalia; ai colloqui era presente anche Barbara Scalettari;
            ci furono altri incontri, ma il Fonti chiese dei soldi come compenso per le informazioni fornite, per cui i rapporti si interruppero per un po’. Seguirono successivamente altri incontri e i giornalisti chiesero documentazione di riscontro rispetto ad uno degli episodi poi riportati su L'Espresso. Dopo poco Fonti venne arrestato. Intorno al 25 febbraio 2005 venne rilasciato e contattò i giornalisti di Famiglia Cristiana raccontando fatti corrispondenti a quelli che poi sarebbero stati pubblicati su L'Espresso. Il racconto era particolareggiato rispetto agli accenni che aveva fatto prima della sua carcerazione; i giornalisti però si posero due problemi: uno relativo alla necessità di disporre di documenti di supporto e di riscontro rispetto al narrato, l'altro relativo al fatto che Fonti era stato in contatto con Guido Garelli nel carcere di Ivrea per circa 10 giorni e, dunque, le notizie che lo stesso forniva potevano essere derivate dai contatti con tale personaggio;
            i giornalisti notarono che la maggiore precisione dei dettagli forniti da Fonti era, guarda caso, successiva alla sua permanenza in carcere in contatto con Garelli (che peraltro i giornalisti conoscevano molto bene per averlo sentito più volte);


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            l'ultimo incontro con Fonti risaliva al 2 maggio 2005 allorquando lo stesso chiese denaro, quale compenso per i documenti di riscontro richiestigli dai giornalsti, ma questi rifiutarono la proposta
            il 2 giugno 2005 venne pubblicato su L'Espresso il noto articolo contenente il memoriale di Fonti;
            Scalettari non incontrò più la fonte, ma ricevette un suo messaggio sulla segreteria telefonica nel quale il collaboratore diceva che stava per essere sentito dalla commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin e che avrebbe voluto essere richiamato. Scalettari non lo richiamò;
            c'erano delle discrasie tra quanto riportato nell'articolo de L'Espresso e quanto precedentemente dichiarato da Fonti ai giornalisti di Famiglia Cristiana.
        Diversa è la versione fornita da Fonti innanzi alla Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.
        In quel contesto Fonti ha riferito di essere stato cercato dai giornalisti di Famiglia Cristiana i quali sarebbero stati indirizzati da lui su indicazione del magistrato Nicola Gratteri. I giornalisti, il dottor Scalettari e tale Sara, si misero in contatto con il legale di Fonti e si recarono a Milano presso l'indirizzo di quest'ultimo, durante il periodo in cui egli si trovava in detenzione domiciliare dal 28 settembre 2002, per un'intervista sul tema relativo ai rapporti tra ’ndrangheta e Chiesa. Nel corso dell'intervista Scalettari gli fece domande in merito allo smaltimento dei rifiuti ed ai rapporti con la Somalia e Fonti fornì inizialmente informazioni generiche.
        Seguirono numerosi incontri. Fonti aveva chiesto una contropartita economica e si era accordato con i giornalisti nel senso che lo avrebbero messo in contatto con un editore per la pubblicazione, dalla quale avrebbe potuto avviare una trattativa per una somma pari a 25.000 euro circa.
        L'accordo, a detta di Fonti, non fu rispettato e i rapporti si interruppero.
        Fonti avrebbe incontrato nuovamente i giornalisti nel mese di febbraio 2005, dopo la sua scarcerazione, anche per parlare della questione inerente alla pubblicazione del libro. Fonti avrebbe voluto avere garanzie in merito alla pubblicazione che però non gli furono date, sicchè decise di chiudere il rapporto di collaborazione (siamo nel periodo marzo-aprile 2005).
        La Commissione, in data 19 gennaio 2010, ha audito i giornalisti di Famiglia Cristiana Chiara, Scalettari e Carazzolo.
        Secondo quanto riferito dal dottor Chiara, quando i giornalisti incontrarono Fonti erano prticolarmente interessati ai rapporti di cooperazione con la Somalia e in genere con i paesi del Corno d'Africa:
        «Il signor Fonti cominciò a raccontare una serie di viaggi fatti dalla sua cosca. Ci colpirono le segnalazioni di due spedizioni effettuate in Somalia nel 1988 e nel 2003. La prima riguardava scorie nucleari (siamo all'indomani del referendum sul nucleare in Italia) e

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la seconda una nave carica di rifiuti tossico-nocivi, che asseriva essere arrivata a Mogadiscio, oltre a una serie di carichi che avevano come destinazione Paesi africani, la Namibia, o dell'area araba, il Qatar. Chiedemmo a Fonti prove di tali affermazioni, perché intanto sosteneva che l'interessamento della ’ndrangheta risalisse al 1984, a uno degli incontri al Santuario di Polsi, dove ogni anno, contestualmente alla funzione religiosa, si svolgeva una sorta di summit dei rappresentanti delle principali cosche della ’ndrangheta calabrese. Dal 1984 in poi, scoperto il filone redditizio e poco osteggiato dalle norme dell'epoca, diverse ramificazioni della ’ndrangheta si diedero allo smaltimento dei rifiuti. Il signor Fonti sosteneva che il modello fosse mediato dall'intermediazione finanziaria e che quindi per ogni nave vi fosse una società, di aver noleggiato navi in Norvegia e di averne acquistate in Francia e in Olanda, di aver aperto conti che poi finivano in zone notoriamente protette come Svizzera e Austria piuttosto che Bahamas e altri paradisi fiscali. Noi però lo incalzammo chiedendogli prove».
        L'audito ha chiarito che, in una prima fase, Fonti parlò genericamente dei rapporti con la Somalia senza fare riferimento alcuno ad affondamento di navi. In un seconda fase, il racconto di Fonti divenne più dettagliato in ordine ai traffici in Africa. Preannunciò ulteriori informazioni attinenti allo smaltimento di scorie radioattive nel territorio di Potenza. Neanche in questa seconda fase, peraltro, fece riferimento ad affondamenti di navi. Uno degli auditi, infatti, ha dichiarato:
        «Con noi non ha mai parlato di affondamenti al largo della Calabria. A noi parlò degli episodi riferiti da Alberto Chiara, di una vicenda di barre di uranio arrivate in Calabria, ma mai di affondamento, né citò il nome della famosa Cunski».
        In sostanza nel corso dell'audzione è emerso ancora più chiaramente come Fonti, nonostante le diverse sollecitazioni dei giornalisti sul punto, non sia stato mai in grado di fornire documentazione di riscontro, circostanza questa ritenuta dai giornalisti spia di scarsa attendibilità, in quanto gli episodi raccontati erano precisi e laddove Fonti ne avesse avuto una conoscenza diretta avrebbe certamente disposto di elementi di riscontro. Il rapporto, quindi, tra Francesco Fonti e i giornalisti di Famiglia Cristiana si concluse con un «nulla di fatto».
        Riccardo Bocca è il giornalista de L'Espresso che ha scritto il primo articolo nel quale erano riportate le notizie contenute nel memoriale che Fonti aveva inviato alla direzione nazionale antimafia
        Anche rispetto ai suoi contatti con il giornalista Riccardo Bocca Fonti fornisce dichiarazioni contrastanti.
        Nel corso dell'audizione innanzi alla Commissione parlamentare d'inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin (in data 5 luglio 2005), Fonti ha dichiarato di non avere mai conosciuto Riccardo Bocca e di averlo sentito solo una volta per telefono, peraltro lo avrebbe contattato Bocca sul suo telefono cellulare senza che Fonti gli avesse fornito il numero. In sostanza, dopo che Fonti inviò il noto memoriale alla direzione distrettuale antimafia il contenuto del memoriale venne pubblicato su L'Espresso all'insaputa di Fonti, che venne contattato dal giornalista Riccardo Bocca solo dopo la pubblicazione.

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Fonti ha anche dichiarato di avere scritto lui personalmente il memoriale al computer e di non avere ricevuto alcun compenso dal giornale.
        Diversa è la versione che è stata fornita da Fonti, in sede di interrogatorio, ai pubblici ministeri di Reggio Calabria e Catanzaro in data 28 ottobre 2009.
        Il dottor Pignatone, all'epoca procuratore della Repubblica presso la procura di Reggio Calabria, nel corso dell'interrogatorio ha formulato diverse contestazioni in merito alle dichiarazioni contenute nel memoriale in cui Fonti fa preciso riferimento al nome delle navi, al numero dei bidoni in esse contenuto ed al materiale contenuto nei bidoni stessi.
        A fronte di queste contestazioni, Fonti ha risposto che il memoriale venne scritto sul computer di Riccardo Bocca a quattro mani con il giornalista:.
        Una versione ancora diversa ha reso Fonti avanti a questa Commissione nel corso dell'audizione tenutasi in data 5 novembre 2009.
        Lo stesso ha dichiarato che nel 2005 contattò un giornalista de L'Espresso, Gianfranco Dotto, dicendogli che aveva intenzione di incontrarlo per rendere delle dichiarazioni che sarebbero state certamente di suo interesse.
        Dopo questo primo contatto però fu arrestato e, sebbene il giornalista avesse fatto richiesta di poterlo incontrare, tale permesso non gli fu accordato.
        Quando terminò quel periodo di detenzione, Fonti cercò di contattare nuovamente il giornalista Gianfranco Dotto, ma inutilmente, in quanto non lavorava più per L'Espresso, ed entrò in contatto con Riccardo Bocca il quale si era mostrato interessato essendo esperto della materia del traffico dei rifiuti.
        Venne quindi effettuata l'intervista e il giornalista scrisse l'articolo al computer, ma Fonti, prima che venisse pubblicato su L'Espresso, volle che fosse inviato al consigliere Macrì.
        Quindi Fonti trascrisse di pugno l'intervista e la inviò (sempre secondo quanto dichiarato alla Commissione) alla direzione nazionale antimafia, all'attenzione del dottor Macrì, tramite il corriere DHL.
        In sostanza, Fonti alla Commissione non ha parlato propriamente di una rielaborazione di Bocca, ma ha dichiarato di avere inventato alcuni dettagli.
        Il giornalista Riccardo Bocca è stato sentito da questa Commissione il 16 gennaio 2010, ma non ha fornito informazioni precise in merito a come sia avvenuto il contatto con Fonti (se sia stato Fonti a cercare il giornalista o viceversa), né a come sia entrato in possesso del memoriale facendo valere il segreto professionale.

5.3 Il memoriale di Fonti inviato alla direzione nazionale antimafia.

        Il memoriale di Fonti, in una prima parte, tratta delle modalità attraverso cui la ’ndrangheta calabrese entrò nel settore dei rifiuti.


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Quindi, sono descritte le operazioni di affondamento di navi alla quali Fonti avrebbe partecipato.
        Vi sono, infine, numerosi riferimenti a presunti interessamenti dei servizi segreti e della politica al traffico di rifiuti radioattivi.
        Di seguito si riportano sinteticamente e per temi i contenuti del memoriale.
        L'ingresso della ’ndrangheta nel traffico di rifiuti
        L'interesse della ’ndrangheta calabrese per i rifiuti nasce nel 1982 su iniziativa di Giuseppe Nirta che, all'epoca, era il boss del territorio di San Luca e di Mammasantissima.
        Nirta ne parlò con Fonti dicendogli che il Ministro della difesa, Lelio Lagorio, per il tramite dell'ex sottosegretario ai trasporti Nello Vincelli, e l'on. Vito Napoli gli avevano proposto di stoccare bidoni di rifiuti tossici e di occultarli in zone della Calabria da individuare.
        Vi furono sul punto diverse riunioni tra le famiglie di Melito Porto Salvo, rappresentata da Natale Iamonte, di Africo, rappresentata da Giuseppe Morabito, di Platì, rappresentata da Giuseppino Barbaro, di Sinopoli, rappresentata da Salvatore Aquino e di San Luca, rappresentata da Giuseppe Nirta.
        Le famiglie decisero di entrare nell'affare con l'accordo che ogni famiglia avrebbe gestito le attività nel rispetto reciproco, ma per conto proprio. Decisero altresì che i siti per interrare i rifiuti avrebbero dovuto essere cercati nella Basilicata, in quanto terra di nessuno dal punto di vista della malavita, ovvero all'estero. Venne esclusa la Calabria.
        Nella primavera del 1983 Fonti venne mandato a Roma da Sebastiano Romeo, nel frattempo succeduto a Nirta, per incontrare Giorgio De Stefano (cugino del boss Paolo De Stefano della omonima famiglia reggina). Il De Stefano disse a Fonti che il posto ideale per interrare i rifiuti tossici all'estero era la Somalia e gli organizzò un incontro con Pietro Bearzi, allora segretario generale alla camera di commercio per la Somalia, il quale garantì il suo aiuto.
        La prima operazione cui partecipò Fonti Francesco risale al 1986.
        All'epoca il Fonti si trovava in Emilia Romagna per gestire il traffico di droga della famiglia San Luca in Emilia Romagna e in Lombardia. Venne contattato da Musitano Domenico (capo della famiglia Musitano di Platì) il quale si trovava all'epoca a Nova Siri con obbligo di dimora; il Musitano gli disse che dovevano fare sparire 600 fusti contenenti rifiuti tossici e radioattivi provenienti dal centro Enea di Rotondella e che la richiesta proveniva dal dottor Candelieri del medesimo centro. Il Fonti avrebbe dovuto organizzare la fase del trasporto e della collocazione dei fusti, ricevendo in cambio 660 milioni di lire.
        La famiglia Romeo diede il benestare. Successivamente, però, il Musitano venne ucciso dalla ’ndrangheta davanti al tribunale di Reggio Calabria ove era stato convocato per un'udienza.
        L'operazione di illecito smaltimento riprese a partire dal gennaio 1987 (10 e 11 gennaio).
        Vennero utilizzati 40 camion, reperiti anche grazie all'aiuto di Arcadi Giuseppe, genero di Musitano Domenico, e i fusti avrebbero

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dovuto essere portati al porto di Livorno e caricati su una nave chiamata Lynx, di proprietà di una società maltese e noleggiata da una società riconducibile a Renato Pent. Poiché nella stiva della nave entravano solo 500 fusti, si decise di portare e, quindi, nascondere i rimanenti 100 fusti in Basilicata, precisamente nel territorio del comune di Pisticci, in località Coste della Cretagna, lungo l'argine del fiume Vella.
        I 40 camion caricati a Rotondella partirono verso le due di notte: sette o otto camion si diressero al fiume Vella ove furono interrati i bidoni, la buca era stata predisposta da un uomo di Musitano, Agostino Ferrara, mentre gli altri camion si diressero a Livorno ove furono imbarcati i fusti, erano state predisposte da un commercialista di Milano, non meglio identificato, le fatture false per il carico.
        La nave attraccò a Mogadiscio e, con l'appoggio fornito da Pietro Bearzi, allora segretario generale alla camera di commercio per la Somalia, vennero seppelliti presso la foce morta del fiume Uebi Sceseli.
        Il compenso di 600 milioni di lire più le spese sostenute per l'operazione, pari a 260 milioni di lire, fu consegnato in contanti a Fonti da Marino Ganzerla a Lugano. Il denaro proveniva da un conto criptato denominto «whisky» acceso presso la Banca della Svizzera italiana a Lugano.
        L'operazione di smaltimento del 1992 e gli affondamenti di navi
        Nel mese di novembre del 1992 il Fonti contattò di sua iniziativa Candelieri per chiedergli se ci fossero altri affari per la famiglia di San Luca. Candelieri rispose che avrebbero dovuto eliminare mille fusti contenenti rifiuti tossici e radioattivi.
        Fonti, quindi, contattò Mirko Martini, conosciuto alla fine dell'anno 1992, per il tramite di Giuseppe Romeo, fratello di Sebastiano Romeo.
        Mirko Martini era un faccendiere che aveva la residenza sia a Piacenza che a Mogadiscio ed era in affari con Omar Mugne, titolare della Shifco, società proprietaria delle navi che il governo italiano aveva donato al governo somalo. Il Fonti lo incontrò a Milano e il Martini gli disse di far parte dei servizi segreti. Gli disse anche che in Somalia era facile far entrare qualunque cosa.
        Venne quindi organizzato un trasporto simultaneo di rifiuti radioattivi e di armi. Le armi dovevano giungere a Mogadiscio per conto di Ali Mahdi.
        Furono utilizzati due pescherecci di proprietà della Shifco messi a disposizione dal Martini. Fonti si occupò in particolare dei rifiuti tossici che furono caricati presso la centrale Enea di Rotondella, ove si trovava anche il Candelieri a sovraintendere alle operazioni.
        I due pescherecci giunsero presso il porto nuovo di Mogadiscio nel mese di febbraio del 1993. A Mogadiscio le operazioni di carico e trasporto furono effettuate grazie ad uomini e mezzi messi a disposizione di Giancarlo Marocchino.
        I rifiuti furono quindi interrati nei seguenti luoghi: un quarto al chilometro 150 della strada tra Berbera e Sillil, nella zona costiera del Bosaso, un quarto presso la foce del fiume Webi Jubba, vicino al confine con il Kenia, un quarto nel tratto di strada tra Dhurbo e Ceel

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Gaal nel Bosaso, e l'ultimo quarto sotto la strada Garoe Bosaso al chilometro 37,700.
        Candelieri pagò lire 1.200.000.000 ad Abdoullahi Yussuf per la disponibilità del territorio e lire 8.800.000.000 in contanti a Fonti (il quale li ritirò presso la Hellenic Bank di Sarajevo). Il Fonti versò lire 350.000.000 a Mirko Martini e lire 400.000.000 a Giancarlo Marocchino per il tramite di Marino Ganzerla. Inoltre, lire 200.000.000 furono utilizzati per il pagamento del trasporto delle navi e lire 300.000.000 per le spese dell'organizzazione.
        Ci sarebbe stato un accordo tra la famiglia Romeo di San Luca e la società Ignazio Messina in forza del quale la società avrebbe fornito alla famiglia alcune navi per traffici illeciti.
        Nell'anno 1992, nell'arco di due settimane, la ’ndrangheta affondò tre navi indicate dalla società Messina: la Yvonne A, che trasportava 150 bidoni di fanghi, la Cunsky, che trasportava 120 bidoni di scorie radioattive, e la Voriais Sporadais che trasportava 75 bidoni di varie sostanze tossico-nocive.
        La Ignazio Messina contattò Giuseppe Giorgi, genero del boss Sebastiano Romeo, il quale a sua volta informò Fonti Francesco. Il compenso per l'affondamento sarebbe stato di lire 150.000.000 per nave.
        Le navi si trovavano al largo della costa calabrese in corrispondenza di Cetraro.
        Fonti e Giorgi si recarono a Cetraro per contattare la famiglia Muto al fine di ottenere un aiuto logistico, manodopera e mezzi, e si raggiunse un accordo.
        La Yvonne A andò per prima al largo di Maratea, la Cunsky si spostò in acque internazionali in corrispondenza di Cetraro e la Voriais Sporadais fu inviata al largo di Genzano.
        Furono utilizzati tre pescherecci forniti dalla famiglia Muto per portare sulla nave l'esplosivo e per caricare gli equipaggi.
        A parte queste operazioni specifiche alle quali il Fonti ha dichiarato di avere partecipato personalmente, vi sono poi una serie di informazioni relative ai seguenti argomenti.

Giorgio Comerio

        Il Fonti lo definisce come uno dei personaggi più importanti che gli sia capitato di conoscere. Comerio gestiva il progetto ODM (Oceanic Disposal Management) messo a punto dalla Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) e poi gestito in autonomia dal Comerio per sparare in mare attraverso i penetratori i rifiuti radioattivi.
        Fonti conobbe Comerio nel mese di aprile 1993. Il Comerio gli raccontò che, già negli anni ’80 aveva avuto diversi contatti con la ’ndrangheta calabrese ed in particolare con Natale Iamonte, capo dell'omonima famiglia di Melito Porto Salvo. Iamonte lo aveva aiutato nell'affondamento della nave Rigel, carica di rifiuti pericolosi. Il Comerio precisò che con il sistema dell'affondamento di navi cariche di rifiuti si otteneva un duplice guadagno, sia da parte di chi organizzava il trasporto che da parte dell'assicurazione che veniva frodata.


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        Quanto appreso dal Comerio fu poi confermato al Fonti dallo stesso Iamonte, il quale precisò che l'affondamento era avvenuto 25 miglia fuori dalle acque territoriali e che lui stesso aveva fatto partire un motoscafo dalla costa con i candelotti di dinamite per affondare la Rigel.

Servizi segreti ed esponenti politici

        Fonti riferisce che in quel periodo vi furono circa 30 affondamenti di navi organizzati da altre famiglie e di cui non si occupò di persona.
        Le famiglie avevano le coperture necessarie, anche politiche, per non avere fastidi. In particolare la famiglia di San Luca aveva rapporti diretti con esponenti dei servizi segreti.
        Sin dagli anni ’80 il boss Giuseppe Nirta era in contatto con collaboratori del Sismi, Giorgio Giovannini e Giovanni Di Stefano, i quali chiesero alla famiglia di San Luca se fosse disposta a fornire manodopera per trasportare rifiuti tossici e radioattivi in Somalia per conto di aziende italiane. Anche Craxi era al corrente della cosa, che non seguiva però personalmente lasciando che se ne occupassero i servizi segreti. Per l'affare con l'Enea di Rotondella la famiglia Romeo ebbe l'appoggio di Francesco Corneli, vicino al Sisde, il quale fornì le necessarie coperture presso il porto di Livorno e presso il porto di La Spezia.
        Nel 1993 il Corneli, oltre a fornire la protezione presso i porti, chiese a Fonti di caricare sulla nave che partiva da La Spezia per la Somalia alcune casse di armi che dovevano essere recapitate a Giancarlo Marocchino.
        Riferisce inoltre di avere conosciuto bene Gianni De Michelis con il quale parlò di armi e rifiuti. De Michelis disse che i politici avrebbero potuto trasportare qualunque cosa anche senza l'aiuto della ’ndrangheta e che gli uomini della ’ndrangheta venivano usati solo per comodità.
        De Michelis avrebbe poi messo in contatto appartenenti alla famiglia di San Luca con Paolo Pillitteri a Milano, grazie al quale venne acquistato dalla famiglia un bar nella galleria Vittorio Emanuele (poi sequestrato dalla magistratura) nonché ulteriori immobili.

5.4 Le indagini giudiziarie conseguenti all'invio del memoriale.

        Come già evidenziato, a seguito della presentazione del memoriale vennero aperti diversi procedimenti penali, uno dei quali presso la procura distrettuale antimafia di Catanzaro e l'altro presso la procura distrettuale antimafia di Potenza.
        Con riferimento al primo procedimento, la Commissione ha audito il titolare delle indagini Vincenzo Luberto.
        La Commissione ha altresì acquisito copia degli interrogatori resi da Fonti constatando come già da un primo confronto tra il memoriale e le dichiarazioni rese in sede di interrogatorio vi fossero significative ed importanti divergenze (1).


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        Nel corso dell'audizione il procuratore Luberto ha sostanzialmente dichiarato la completa inattendibilità del Fonti, esprimendosi in questi termini:
        «Volevo svolgere una brevissima annotazione sul caso Fonti. La posizione dell'ufficio, per come si è spiegata nell'ultimo tempo, è assolutamente coerente con le valutazioni del tribunale di Paola in merito. Come saprete, l'esame di Fonti si tenne, come attività integrativa di indagine, nell'ambito di un processo che verteva sulla cosca Muto. Ciò è particolarmente importante, perché ritengo che sia stato il primo con costituzione di parte civile da parte della Presidenza del consiglio dei ministri. Lo stesso presidente del tribunale di Paola, presidente di tale collegio, ritenne Fonti inattendibile, in quanto, già nel verbale del 2006 e al di là di ciò che atteneva all'affondamento delle navi – in realtà, in quel verbale parla di una nave affondata e di due propositi di affondarne altre, che sosteneva di non conoscere all'epoca, in quanto era stato riarrestato – riferisce, rispetto a coloro che avrebbero collaborato a inabissare queste due navi, dati piuttosto inattendibili circa i collaboratori del boss Franco Muto. In particolare riferisce, in maniera oggettiva, fatti – ribadisco – piuttosto destituiti di fondamento sul genero di Franco Muto. Abbiamo già una pronuncia giurisdizionale che, non a caso, il nostro ufficio non ha impugnato, proprio perché era un dato oggettivo che egli fosse inattendibile già rispetto all'organigramma della cosca Muto».
        Riguardo ai motivi che avrebbero spinto Fonti a parlare di questi argomenti solo anni dopo l'inizio delle sua collaborazione e alle minacce che avrebbe ricevuto per non parlare, riferite dallo stesso Fonti alla Commissione, il procuratore Luberti ha dichiarato:
        «(...) Le riferisco con molta chiarezza qual è stato il motivo che mi ha spinto ad andare a sentire Fonti. Stavamo tenendo un processo sulla cosca Muto e cercavamo di dimostrare – e ci siamo riusciti – che la ’ndrangheta non fosse un'organizzazione orizzontale, ma che vi fossero organizzazioni che ci consentissero di provare l'esistenza di una struttura semiverticistica, ossia di collegamenti molto forti fra la ’ndrangheta della Calabria settentrionale e quella della Calabria meridionale, in particolare con le cosche di San Luca. Quando L'Espresso pubblicò il memoriale di Fonti, nell'ambito del quale si parlava di collegamenti tra la cosca Romeo e in genere tra le cosche sanlucote con la cosca Muto, andai a sentirlo e trovai una situazione di grande lamento da parte sua, perché era stato, come si suol dire, scaricato; era stato, cioè, capitalizzato e quindi congruamente scaricato, come dicono in gergo i commissari della Commissione di inchiesta sulla gestione dei collaboratori di giustizia.
        In sostanza, una volta esauriti i processi in cui le sue dichiarazioni vengono rese, il collaboratore viene capitalizzato – ove lo chieda, cioè, gli si conferisce un capitale con il quale reimmettersi nella vita di tutti i giorni – e non è più soggetto a particolari tutele.
        Fonti lamentava uno stato di isolamento, di mancanza di tutela, che però egli stesso aveva chiesto. Cominciò, quindi, a parlare del fatto di non essere più tutelato e di essere stato abbandonato, il che era assolutamente congruo con i suoi trascorsi processuali e con le condanne per calunnia che aveva all'epoca riportato.

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        Non parlò apertamente del motivo per cui non avesse riferito dello smaltimento dei rifiuti. Per quanto mi concerneva, sostenne di non aver mai parlato dei rapporti con la cosca Muto, perché nessuno glielo aveva mai chiesto».
         Con riferimento all'indagine aperta dalla procura distrettuale di Potenza, è stata audita la dottoressa Genovese in data 21 ottobre 2009, la stessa era stata già sentita dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti nel mese di gennaio 2005.
        Nel corso dell'audizione la dottoressa Genovese ha precisato che l'indagine pendente presso la procura distrettuale di Potenza rappresentava la prosecuzione dell'indagine già avviata dal dottor Pace presso la procura di Matera. La dottoressa Genovese assunse la direzione del fascicolo nell'anno 2002 e fece espletare una consulenza tecnica in merito al Centro Enea di Rotondella, dalla quale risultò che si erano verificate delle irregolarità nella gestione del centro, in particolare:
            venne rilevata la presenza di plutonio, mentre l'attività autorizzata in quel sito era relativa a lavorazioni di torio ed uranio naturale (La presenza di plutonio era da ricollegarsi alla irregolare attività di riprocessamento di materiale radioattivo, pare avvenuto anche con riferimento ad 84 barre di Elk River, provenienti dagli Stati Uniti);
            venne accertata la mancanza di controlli presso il centro («il dato sicuro che è emerso è che vi era una situazione di difficile comprensione. Sembrava infatti che in un centro Enea, in cui si trattava materiale pericoloso, non ci fossero controlli; che ci fossero contrasti tra la vigilanza e la dirigenza e che non si capisse bene quanto materiale era entrato e quanto materiale era uscito» – dichiarazioni testuali rese dalla dottoressa Genovese);
            la contabilità non era tenuta in modo regolare, e quindi non si poteva accertare quanto materiale fosse entrato e quanto materiale fosse uscito dal centro (questo dato fu rilevato con certezza dalla consulenza tecnica espletata).
        Con riferimento alle dichiarazioni del pentito Francesco Fonti, le indagini hanno consentito di acquisire parziali riscontri solo in relazione al movimento anomalo di camion presso il Centro, ma, come precisato dalla dottoressa Genovese più volte nel corso dell'audizione, si è trattato di un riscontro solo a livello dichiarativo.
        La dottoressa Genovese ha precisato alla Commissione che, a seguito della trasmissione da parte della direzione nazionale antimafia dei colloqui investigativi che Fonti aveva effettuato con procuratore Macrì della direzione nazionale antimafia, Fonti fu interrogato più volte.
        Si riporta, di seguito, il passaggio dell'audizione sul punto:
        «Il collega Macrì ha trasmesso a noi e alla procura della Repubblica di Potenza il verbale del colloquio investigativo. Quindi, è iniziata l'attività di «collaborazione». Quando parliamo di collaborazione

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di personaggi appartenenti alla criminalità organizzata, dobbiamo usare delle virgolette, perché, come sappiamo, i riscontri che cercavamo non sono stati trovati. Fonti è stato ascoltato ripetutamente da me personalmente e, in qualche occasione, anche dalla polizia giudiziaria. Inoltre, ha reso un verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione, perché ha manifestato nuovamente l'intenzione di collaborare, dicendo di non averlo fatto prima – con riferimento ai sotterramenti di rifiuti –, perché, a suo avviso, non era il momento giusto. Inoltre, ha affermato di aver agito in tal senso, anche in considerazione del suo stato di salute, per la verità grave, perché aveva dei problemi cardiaci documentati nella casa circondariale in cui era detenuto e diceva anche di avere dei problemi derivanti da un tumore, delle metastasi mi sembra. Fonti diceva che, a seguito dei suoi problemi di salute, aveva deciso di collaborare nuovamente e di riferire altri fatti a sua conoscenza, in relazione allo smaltimento dei rifiuti in questione, ovviamente illegittimo, in cui era coinvolta la criminalità organizzata e la ’ndrangheta calabrese. Per la verità, Fonti ci ha parlato di diversi trasferimenti di materiale, ma in particolare di uno avvenuto nel 1987. Parliamo sempre di periodi molto lontani nel tempo, risalenti agli anni ’80. Tale trasferimento di materiale sarebbe avvenuto attraverso dei camion che contenevano dei bidoni – Fonti ha parlato di bidoni gialli –, nei quali erano contenuti questi rifiuti che poi, da lui personalmente e da altri appartenenti alla criminalità organizzata calabrese, ossia Arcadi Giuseppe e Musitano Bruno, sarebbero stati portati nei pressi della Basentana, la strada statale 407, in provincia di Matera, e sarebbero stati sotterrati. In sintesi, abbiamo messo in movimento tutti i sistemi possibili per individuare i riscontri a questa dichiarazione. Del resto, l'attività giudiziaria si fonda sui riscontri alle dichiarazioni. Fortunatamente per tutti noi, non basta la parola di un collaboratore di giustizia, se non c’è un riscontro diretto, immediato e oggettivo sui fatti. Quindi, abbiamo effettuato più ispezioni, a una delle quali ho partecipato personalmente, ma soltanto in parte, perché alcune zone erano proprio impervie. Devo dire che avevo dato credibilità a Fonti. Intendo dire che la mia percezione – parliamo di percezioni personali ovviamente, che si differenziano dal riscontro determinato da un'attività giudiziaria piuttosto che da un'altra – è stata quella che dicesse una parte di verità, che lui fosse veramente a conoscenza di qualcosa. Dico questo, perché riferiva dei dati specifici, ci parlava di bidoni gialli, che esistevano veramente presso la Trisaia di Rotondella. Pertanto, ho fatto tutto quello che era nelle mie possibilità per cercare questo riscontro. Abbiamo contattato l'Istituto di geofisica e vulcanologia di Roma, nella persona del dottor Marchetti se non ricordo male, e ci siamo mossi, insieme a Fonti, per fare un sopralluogo. Non mi dilungo nel descrivervi le difficoltà che abbiamo incontrato. Era una giornata caldissima di luglio. Fonti si sentì male a causa del caldo e delle sue condizioni di salute. In conclusione: non abbiamo avuto riscontri. Attraverso il sistema di rilevamento di sostanze presenti nel sottosuolo – in proposito, magari potremo valutare meglio le indicazioni della nota del dottor Marchetti che ho trovato da qualche parte, seppure come appunto –, si era rilevata una massa che poteva destare qualche sospetto. In realtà, però, tale massa è stata ritenuta

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non compatibile – cito le parole utilizzate nel documento – con l'indicazione di Fonti circa la quantità e l'oggetto dei bidoni, che erano poi i rifiuti radioattivi e che si sarebbero dovuti percepire, attraverso questo sistema, in modo molto più forte. Vorrei aggiungere che avevo già presentato una richiesta di protezione per Fonti. Il collaboratore aveva dato prima un'indicazione di luogo e poi di un altro, ma speravo che tali variazioni potessero essere determinate dal fatto che la zona, nel tempo, dal 1987 al 2004-2005 – non ricordo precisamente, ma lo possiamo verificare, il sopralluogo fatto con me credo che risalisse al 2005 – aveva subìto dei mutamenti e che questi rendessero difficile per Fonti individuare il luogo. Tuttavia, se non si fossero create tutte le condizioni necessarie per ottenere una vera collaborazione, o comunque un'indicazione che ci portasse a un risultato, non avremmo potuto procedere. E così è stato. Ho presentato una richiesta di protezione che non ha avuto esito, perché, come dicevo, Fonti aveva già la macchia della revoca del programma di protezione a causa della citata condanna per calunnia. (...) In seguito, presidente – parlo delle attività della procura di Potenza – i sopralluoghi diedero esito negativo e Fonti non riuscì a darci delle indicazioni precise».
        Le indagini successivamente sono state svolte dal sostituto procuratore Basentini (pure audito dalla Commissione). Le stesse non hanno permesso, comunque, di formulare conclusioni diverse da quelle alle quali si era già giunti.
        Il 29 maggio 2009 il dottor Basentini ha depositato richiesta di archiviazione, accolta dal giudice per le indagini preliminari in data 24 dicembre 2009 nei seguenti termini (procedimento penale n. 1180/99/21 RGNR- DDA):
        «Nelle aree sottoposte a indagine magnetometrica si può escludere la presenza di masse ferromagnetiche interrate, con l'unica eccezione per il rilievo eseguito in corrispondenza del torrente dove le anomalie sono da mettere quasi sicuramente in relazione ad una struttura ferrosa di forma allungata. In tutte e quattro le aree investigate si può escludere la presenza di fusti interrati. L'ipotesi investigativa originaria è stata vagliata con particolare scrupolo, data la sua indiscutibile ed oggettiva gravità, sia sotto il profilo penale, sia sotto il profilo della sicurezza pubblica in generale. Le indagini eseguite a seguito dell'ordinanza ex articolo 409, comma 4, del codice penale. (...) sono risultate utili per poter affermare, con ragionevole certezza, che, allo stato, alla luce del materiale investigativo acquisito, le dichiarazioni rese da Fonti e Garelli su presunti interramenti di rifiuti radioattivi nel territorio del metapontino sono prive di riscontro e che, anzi, le indagini tecnico – scientifiche sul territorio presumibilmente interessato (nessuno dei due ha fornito indicazioni precise in tal senso) hanno escluso, allo stato, l'interramento medesimo.
        Quanto agli altri aspetti oggetto di indagini, anche ex articolo 409, comma 4, del codice penale, questo Ufficio condivide le conclusioni rassegnate dalla Sezione di polizia giudiziaria- Aliquota Carabinieri – della procura della Repubblica presso questo tribunale che, nell'informativa del 19.3.09, ha affermato che i fatti analizzati, particolarmente articolati e complessi, non hanno consentito di delineare in

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modo compiuto l'ipotesi del traffico di armi e materiali strategici; (...) La relazione del dr. Bellini su eventuali contaminazioni radioattive nel centro Trisaia di Rotondella hanno, come peraltro evidenziato dal pubblico ministero nella richiesta di archiviazione, del pari, sconfessato l'ipotesi accusatoria sul punto.
        Allo stato, tenuto conto dell'imponente lavoro investigativo effettuato, di alcuni esiti dirimenti per la prospettazione accusatoria, della persistente mancanza di indicazioni precise per approfondire scenari investigativi solo ipotizzati (ma appunto non verificati per l'assenza di riscontri da parte di – presunte – persone informate), dell'epoca di commissione dei fatti (che si colloca tra gli anni ’70 ed ’80), non si profila la necessità di ulteriori indagini. Inoltre, nessuna accusa appare sostenibile in giudizio, mancando elementi idonei al vaglio dibattimentale. Pertanto, la richiesta di archiviazione deve essere accolta».
        Il 18 marzo 2010 è stato audito dalla Commissione il sostituto procuratore della Repubblica della procura distrettuale antimafia di Potenza, dottor Francesco Basentini, in relazione alla questione delle navi a perdere e, più in generale, allo smaltimento di rifiuti tossici o radioattivi. In tale occasione, il dottor Basentini ha chiarito alcuni aspetti in relazione alla richiesta di archiviazione formulata.
        Si riportano, di seguito, i passaggi più significativi dell'audizione del 18 marzo 2010:
        L'ipotesi di reato era legata alle indicazioni fornite da Francesco Fonti, il quale faceva riferimento a un presunto traffico di sostanze o scorie radioattive che venivano trattate anche abusivamente presso il centro Itrec di Rotondella e da lì poi trasportate, altrettanto illecitamente, verso la Somalia. (...) Fonti non ci è stato utile e non ci ha riferito nulla di rilevante; o, perlomeno, nulla di ciò che ha riferito è stato riscontrato. Abbiamo, invece, riscontrato – per certi aspetti, è l'unico elemento, anche piuttosto inquietante – svolgendo una verifica sulla contabilità delle scorie, dei materiali trattati dal centro Itrec, alcune anomalie. Mi spiego meglio. Il centro nasce alla fine degli anni Sessanta e riceve materiale radioattivo – le barre di Elk River e altro materiale dall'Inghilterra – ed era abilitato a lavorare con un determinato ciclo tecnologico, il ciclo uranio-torio. Questo metodo di lavorazione diventa poi obsoleto, ragion per cui il centro Itrec perde la sua valenza strategica; inoltre, si svolge un referendum e l'energia nucleare diventa di scarso interesse. Nel frattempo, però, il centro ovviamente è andato avanti a lavorare, almeno fino al 1987, per quella che era la sua funzione originaria. Ha processato verosimilmente alcune barre e ha trattato materiale radioattivo. Tutto ciò veniva generalmente riportato in un registro contabile, in cui venivano riepilogati gli elementi, le quantità, il lavoro svolto. Nei primi decenni di lavorazione e di attività del centro, la contabilità è stata tenuta in maniera piuttosto approssimativa e soltanto negli ultimi anni essa è stata governata con maggior criterio. Purtroppo, le leggerezze compiute nei primi anni hanno dato vita poi a risultati contabili piuttosto singolari. In particolare – vado a memoria, perché è un dato che mi ha colpito e che cito in maniera

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più precisa nella richiesta di archiviazione – il 1o marzo del 1972 troviamo effettuata una data operazione di lavorazione e processamento delle barre che, alla fine, forniva dati numerici completamente improbabili. Effettuando un semplice calcolo matematico, si arrivava a stabilire che una singola barra avrebbe dovuto pesare circa 22 chilogrammi, un dato decisamente superiore al normale peso di una barra radioattiva. La spiegazione di questa variazione numerica piuttosto evidente può essere la più diversa e molteplice. Non voglio lanciare alcun grido di allarme, ma potrebbe verosimilmente trattarsi, nell'ipotesi peggiore, del metodo contabile adoperato per nascondere – ripeto, è un'ipotesi che lancio solo per assurdo – un quantitativo di materiale che può essere uscito in maniera completamente diversa e differente, non so per quali scopi o finalità. Siamo nel 1972 e tutto poteva essere possibile. Insieme ad alcuni altri elementi, questo è stato l'aspetto di maggiore interesse. Per il resto, abbiamo compiuto accertamenti tecnici, anche ultimi, sul centro Enea e abbiamo svolto anche alcuni rilievi adoperando macchinari in dotazione ai Carabinieri, apparecchiature con la tecnologia MIVIS, per verificare attraverso uno spettrogramma se nel territorio della Trisaia di Rotondella e in quello immediatamente finitimo vi fossero stati eventuali interramenti. Questa tecnologia e i sorvoli, che sono avvenuti solo in parte, ci avrebbero concesso di vedere se effettivamente vi fossero alterazioni nel terreno e se fossero stati effettuati interramenti. Anche questa verifica non ha avuto esito utile, nel senso che non si è verificato alcun evento. Al tempo stesso, abbiamo compiuto una verifica tecnica nel centro, nominando un consulente tecnico, per vedere se all'interno del centro Itrec vi fossero eventuali dispersioni, interramenti o comunque infiltrazioni di materiale radioattivo che avessero contaminato l'area. L'attenzione si è concentrata su un edificio particolare, il laboratorio delle terre rare, perché in un'intercettazione ambientale che facemmo su due dipendenti del centro Enea, che furono convocati davanti al pubblico ministero – credo che si chiamassero Trezza e Massi – parlando tra di loro all'interno della macchina, essi si confidavano che i problemi o le eventuali «porcherie», per citare il termine che adoperavano, potevano essersi verificate proprio in tale laboratorio. Dopo questa intercettazione, vi svolgemmo una consulenza tecnica, in cui il CTU era il dottor Sorbellino, che non evidenziò alcunché di anomalo. Anche le indicazioni acquisite in via ambientale, di fatto, non ebbero riscontro. Questo è, in sostanza, il quadro, ma ho fornito solo alcuni spunti tra i più indicativi dell'indagine. Non so se ci sono altri aspetti particolari che possano interessare alla Commissione».
        Il dottor Basentini ha spiegato che nessun riscontro significativo è stato trovato rispetto alle dichiarazioni di Fonti che riguardano Rotondella:
        «non abbiamo trovato alcun riscontro significativo. Può aver indicato alcuni ricordi, come il nome del direttore del centro, Candelieri, che magari corrispondeva al vero; ma, se parliamo di riscontri su fatti o attività illecite o penalmente rilevanti, tale riscontro non si è verificato.
        (...) venne tentato un riconoscimento fotografico da parte del Fonti sul direttore Candelieri. Esso non ebbe esito positivo, anche

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perché Fonti sosteneva di aver conosciuto questa persona in un giorno molto lontano dal momento in cui veniva interrogato, addirittura di sera e affermava di non avere avuto la possibilità – vado a memoria, adesso – di vedere nel dettaglio i tratti somatici di questo presunto direttore o perlomeno della persona che gli si presentava come tale. Fonti indica il cognome – parla di Candelieri – ma non ricorda e non ebbe modo di effettuare o di darci un riconoscimento».
        Circa il riscontro alle dichiarazioni di Fonti riguardanti le modalità di pagamento alla famiglia Musitano, che si sarebbe occupata dello smaltimento illecito, e alle banche indicate, una parte dei soldi sarebbe arrivata tramite la Cyprus Popular Bank di Nicosia e un'altra tramite la Beogradska sempre di Cipro e successivamente il denaro sarebbe stato versato a Belgrado, il magistrato ha affermato di non aver effettuato accertamenti, avendo dato precedenza ed avendo ritenuto determinanti i risultati delle indagini finalizzate al rinvenimento dei rifiuti presuntivamente interrati.

5.5 Il sopralluogo della Commissione con Francesco Fonti in agro di Pisticci.

        La Commissione ha ritenuto di convocare il collaboratore di giustizia Francesco Fonti in agro di Pisticci, in provincia di Matera, località dal medesimo indicata quale sito in cui sarebbero stati interrati bidoni contenenti rifiuti radioattivi provenienti dal centro Enea di Rotondella, al fine di verificare se lo stesso fosse in grado di individuare con esattezza i luoghi di cui aveva ripetutamente parlato con le autorità.
        Pertanto, in data 9 marzo 2010, è stato effettuato un sopralluogo nella località anzidetta da parte della Commissione, alla presenza di militari della Compagnia dei Carabinieri di Pisticci, del collaboratore suindicato e dell'architetto Tonino D'Onofrio, responsabile del settore tecnico del comune di Craco allo scopo di fornire il suo apporto tecnico per l'individuazione dei luoghi.
        Del sopralluogo è stato redatto apposito processo verbale da parte della Commissione, che di seguito si riporta, e dal quale si evince che nessuno dei luoghi visitati è stato riconosciuto da Fonti quale luogo di interramento dei fusti contenenti rifiuti (doc. 355/1).
        «La Commissione, su indicazione del Fonti, si porta in località Madonna della Stella dove – a suo dire – all'atto del suo passaggio notturno insieme ai camion di rifiuti vi era una statua della Madonna.
        La Commissione constata che in loco insiste una costruzione in pietra datata fine ’800, primi novanta, delle dimensioni di circa 7/8 metri quadrati, all'interno della quale vi è un cratere contenente acqua.
        Il Fonti dichiara: «non riconosco il luogo».
        Proseguendo nella ricerca della statua della Madonna, la Commissione si sposta nel rione Sant'Angelo in Craco, distante a circa 200 metri dalla prima località. La Commissione constata che al centro del rione vi è un piccolo edificio adibito a luogo di culto, costruito negli anni ’60, a seguito del movimento franoso che aveva colpito il centro


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storico – edificio che, a detta dell'architetto Tonino D'Onofrio era adibito a scuola – sulla cui facciata vi è una croce di legno.
        Il Fonti dichiara: «non riconosco il luogo».
        La Commissione d'inchiesta, su indicazione del collaboratore di giustizia, si sposta in località Isca dei Pattini in Craco, attraversata dal torrente Salandrella, al fine di individuare il corso d'acqua attraversato da lui e dai camion contenente i fusti radioattivi.
        Il Fonti, dopo aver guardato con attenzione l'ambiente circostante, dichiara: «non riconosco il luogo e non riconosco l'intera località di Craco».
        Seguendo le indicazioni del Fonti, la Commissione, alle ore 14,15 del 9 marzo 2010, raggiunge la località «Picoco 1» del comune di Bernalda, dal quale dista circa km 8.
        Anche in quest'ultima occasione il Fonti dichiara: «non riconosco il luogo».
        In sostanza, il sopralluogo non ha portato a risultati di sorta se non quello di verificare, ancora una volta, la genericità e la scarsa attendibilità delle dichiarazioni rese da Fonti sul punto.

5.6 Le contraddizioni di Fonti.

        La Commissione ha esaminato le dichiarazioni rese da Fonti in varie occasioni in modo da potere evidenziare le macroscopiche contraddizioni cui si è fatto in precedenza riferimento.
        Data la mole delle dichiarazioni fornite da Fonti, pare opportuno esporre in immediata sequenza le dichiarazioni divergenti rese con riferimento a ogni singolo tema affrontato:
            la prima operazione di smaltimento di rifiuti tossici (gennaio 1987);
            la seconda operazione di smaltimento di rifiuti tossici e l'affondamento delle navi (novembre 1992).
        Primo smaltimento di rifiuti tossici – Basilicata. Centro Trisaia – gennaio 1987
        In estrema sintesi si tratta della prima operazione di smaltimento illecito di 600 fusti provenienti dal Centro Trisaia Enea di Rotondella effettuata, secondo quanto dichiarato da Fonti, tra il 10 e l'11 gennaio 1987. Dei 600 fusti, 100 sarebbero stati interrati in Basilicata e 500 sarebbero stati trasportati in Somalia.
        Contraddizioni tra le varie versioni rese da Fonti.
        In merito al coinvolgimento dei servizi segreti e alla presunta copertura fornita presso il porto di Livorno:
            nel memoriale Fonti ha dichiarato di essersi messo in contatto con tale Francesco Corneli, uomo vicino al Sisde, per il tramite di Giorgio Giovannini (definito come collaboratore del Sismi). Lo contattò prima telefonicamente, poi lo incontrò a Roma al ristorante dell'Hotel Barberini in occasione dell'affare Enea di Rotondella. Corneli garantì la copertura presso il porto di Livorno, dove un suo


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uomo disse che non sarebbero stati disturbati durante le operazioni di carico;
            nel corso dell'audizione innanzi alla Commissione Fonti ha dichiarato di avere avuto assicurazione da parte di un faccendiere di nome Mirko Martini (presentatosi come vicino a diversi elementi dei servizi segreti, non solo italiani ma anche internazionali, come la CIA e i servizi segreti di Germania e Francia) che non vi sarebbe stato nessun controllo presso il porto di Livorno (non fa, quindi, riferimento a Corneli). Mirko Martini aveva molti interessi in Somalia ed aveva la possibilità di usare un lasciapassare nel porto di Livorno dove c'era una base segreta della Marina Militare in cui si incontravano appartenenti ai servizi segreti di diversi governi;
            nel colloquio investigativo del 16 maggio 2003 con il dottor Macrì Fonti ha dichiarato che il trasporto dei fusti dalla Basilicata era stato uno solo, che lui non andò al porto di Livorno ma assistette solo al carico della merce sui quaranta camion (e quindi, evidentemente, non aveva avuto contatti con nessuno presso il porto di Livorno).
        Quanto alla nave utilizzata presso il porto di Livorno per l'imbarco dei 500 fusti, gli altri cento sarebbero stati sotterrati in Basilicata:
            nel memoriale Fonti ha precisato che la nave utilizzata per l'operazione si chiamava Lynx, era di proprietà della società Fyord Tanker Shipping di Malta e il broker era la Fin Chart che aveva sede a Roma ed era legata alla società svizzera Achair & Partners. Entrambe facevano capo alla società Zuana Achire che aveva sede a Singapore e il cui amministratore era il cittadino indonesiano Guarda Ceso. La nave Lynx era stata noleggiata dalla società con sede in Opera Jelly Wax di Renato Pent, al quale Fonti aveva chiesto una copertura dopo che gli era stato segnalato dal segretario generale della Camera di Commercio italo-somala Pietro Bearzi. La nave era diretta a Gibuti ma invece di attraccare a Gibuti raggiunse Mogadiscio;
            in sede di audizione innanzi alla Commissione ha dichiarato invece che l'imbarcazione utilizzata era un peschereccio appartenente alla flotta peschereccia della Somalia, la Shifco, e il nome del peschereccio era Arbi. I rifiuti furono quindi portati a Mogadiscio;
            nell'interrogatorio di fronte al pubblico ministero di Potenza, dottoressa Genovese, del 24 aprile 2004 Fonti ha reso una versione completamente diversa rispetto alle altre due: in merito alle operazioni del gennaio 1987, ha riferito che i 40 camion avevano trasportato i bidoni fino al porto di Livorno, poi lì una parte era stata caricata su una imbarcazione diretta in Somalia, un'altra parte era invece stata trasportata a Marina di Carrara e lì i bidoni erano stati caricati sulla motonave Lynx; il broker di questa nave era la Fin Chart, società con sede a Roma che era collegata con un'altra società con sede a Lugano «Avhair & Partner», entrambe dirette dalla società Zuana Chair con sede in Singapore e amministrata da un cittadino indonesiano chiamato Burdaceso. Solo in questo interrogatorio fa riferimento al fatto che una parte dei bidoni fosse stata caricata su una nave che

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si trovava presso il porto di Carrara. La nave partita da Massa Carrara era diretta a Gibuti dove però non riuscì ad attraccare perché ciò fu impedito dalla polizia francese. Il broker la indirizzò in Venezuela, a Porto Cavello. Il noleggiatore di questa seconda spedizione da Gibuti a Porto Cavello era la Jelly Wax, con sede in Opera ed amministrata da Renato Pent, mentre la società che avrebbe dovuto ricevere il carico a Porto Cavello si chiamava Mercantili Import s.a. che era una società panamense. Quest'ultima società avrebbe dovuto curare lo sbarco dei bidoni per poi affidarli ad una ditta che teoricamente avrebbe dovuto inertizzarli (Jeversion Illeavil). Una volta attraccata la nave, le autorità Venezuelane si opposero a che i rifiuti restassero su quel territorio e quindi il Governo italiano inviò un'altra nave per caricarli, precisamente la nave Machirà, nel mese di settembre 1987, il cui broker era sempre la Fin Charticolo La nave attraccò in Siria a Porto Tarlaso, il carico venne trasferito sulla nave Zenobia, battente bandiera siriana, che attraccò in Somalia. In sintesi: una parte del carico da Livorno sarebbe stato inviato, non è precisato a bordo di quale nave, direttamente in Somalia e sotterrato sotto la strada in costruzione che da Bosaso va a Marca, strada che poi sarebbe stata costruita con i fondi del governo italiano; un'altra parte avrebbe seguito il tortuoso percorso sopra descritto.
        In merito all'apporto logistico per lo scarico e l'interramento dei bidoni in Somalia, nonché in merito al suo viaggio in Somalia:
            nel memoriale Fonti ha dichiarato che il punto di riferimento di questa prima operazione di illecito smaltimento era stato Pietro Bearzi il quale nella sua qualità di segretario generale della Camera di commercio italo-somala, in un primo momento, aveva messo in contatto Fonti con Renato Pent, noleggiatore della Lynx, e, in un secondo momento, aveva organizzato camion e manodopera per l'interramento dei bidoni in Somalia;
            nel corso dell'audizione innanzi alla Commissione Fonti ha dichiarato che l'apporto logistico di uomini e mezzi in Somalia fu fornito da Giancarlo Marocchino, che Fonti conobbe in Somalia (essendo partito in aereo, sotto le false generalità di Michele Sità, contemporaneamente alla partenza della nave) in quei giorni e che gli fu presentato da Mirko Martini;
            nel corso dell'audizione innanzi alla Commissione parlamentare d'inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin Fonti ha invece dichiarato di non essersi recato in Somalia nel 1987, ma di esserci andato solo una volta nel mese di gennaio 1993, partendo con un aereo a Lugano sotto le false generalità di Antonio Codispoti; di avere alloggiato presso l'albergo di Mogadiscio Maka Al Mukarama, unitamente a Giuseppe Maviglia e Giuseppe Cammisa;
            Nel corso del colloquio investigativo con il dottor Macrì del 9 ottobre 2003, Fonti ha dichiarato di essersi recato in Somalia nel mese di febbraio del 1993, per quattro giorni, di avere dormito in un albergo a Mogadiscio, di avere viaggiato con i documenti falsi intestati a Michele Sità rilasciati dal comune di Bovalino, gli stessi documenti erano utilizzati da Giuseppe Cataldo, boss di Locri. In un precedente

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colloquio investigativo con il dottor Macrì aveva invece dichiarato di non essere mai andato in Somalia. Questa circostanza è stata rappresentata anche dal dottor Macrì nel corso dell'audizione innanzi a questa Commissione il 12 novembre 2009.
        In merito alle false fatture predisposte per il carico:
            nel memoriale Fonti ha precisato che le fatture con descrizioni false per imbarcare le scorie tossiche erano state predisposte da un commercialista di Milano che gli era stato presentato dal commercialista Vito Roberto Palazzolo di Terrasini, ed erano intestate alla International Consulting office di Gibuti;
            negli interrogatori innanzi al pubblico ministero di Potenza del 5 dicembre 2003 e del primo aprile 2004 Fonti ha precisato che le false fatturazioni per il trasporto furono predisposte da un commercialista di Milano, tale Bartolini, con studio nella zona Bastioni di Porta Volta. Si trattava di un commercialista contattato da Fonti che aveva collegamenti con un assessore di Desio, nipote di Natale Iamonte;
            Nel corso dell'audizione innanzi alla Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin ha sempre fatto il nome del commercialista Bartolini che avrebbe, però, predisposto le fatture per entrambi i carichi del 1987 e del 1992.
        Per quanto riguarda l'Ingegnere Candelieri del centro Enea di Rotondella, che Fonti ha dichiarato di avere conosciuto personalmente:
            nel corso dell'interrogatorio del 20 marzo 2004 innanzi alla dottorssa Genovese fu sottoposto in visione a Fonti un articolo di giornale sul quale era riportata la foto dell'Ing. Candelieri, ma Fonti ha dichiarato di non conoscere quella persona. Ha dichiarato però di avere sentito il suo nome da Musitano e da Arcadi (sembrerebbe quindi che non lo avesse conosciuto di persona);
            – nel corso dell'audizione innanzi alla CommissioneFonti ha dichiarato di avere conosciuto Candelieri presso l'abitazione di Musitano Domenico a Nova Siri prima che venisse ucciso; di essere poi andato unitamente ad Arcadi Giuseppe presso l'ufficio di Candelieri per organizzare nuovamente il trasporto;
            – nel corso del recente interrogatorio del 31 marzo 2009 innanzi al pubblico ministero Basentini di Potenza, Fonti non è stato in grado di riconoscere fotograficamente l'ingegner Tommaso Candelieri, con ciò, evidentemente dimostrando di non averlo mai visto.
        In merito ai pagamenti (sempre con riferimento alla prima operazione del 1987):
            nel memoriale Fonti ha dichiarato che il compenso concordato era di 660.000.000 di lire a cui furono aggiunti 260.000.000 di spese. Quanto alle modalità di pagamento: 1) la somma di lire 600.000.000 proveniva dal conto «whisky» della Banca della Svizzera italiana di

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Lugano (nei successivi interrogatori lo indica come il conto acceso presso la Banca Svizzera italiana di Mendrisio); 2) ad effettuare il pagamento fu Marino Ganzerla nei primi di febbraio, il quale diede appuntamento a Lugano a Fonti ed effettuò il pagamento in contanti per conto di Candelieri; 3) La cifra fu consegnata in dollari e successivamente Fonti inviò lire 500.000.000 alla famiglia di San Luca;
            Nel corso dell'audizione innanzi alla Commissione Fonti ha dichiarato di essere stato pagato in contanti dall'ing. Candelieri (l'importo oscillava tra 600 e 800 milioni di lire), di avere trattenuto per sé il 20 per cento e di avere consegnato il resto all'organizzazione;
            Nell'interrogatorio del 5 dicembre 2003 reso innanzi al pubblico ministero di Potenza Fonti ha dichiarato che una parte dei soldi, circa la metà, arrivò tramite la Ciprus Popular Bank di Nicosia, circa trecento milioni, e altra parte tramite la Beogradska, entrambe di Cipro. Poi i soldi furono versati a Belgrado presso la Karich Bank e lì furono incassati intorno al mese di agosto del 1987 direttamente da Bruno Musitano (in quel periodo Fonti si trovava agli arresti domiciliari). Il Conto era intestato «Jubba».
            Nell'interrogatorio del 24 aprile 2004 reso innanzi al pubblico ministero di Potenza Fonti ha dichiarato in via generale che, per i pagamenti, veniva utilizzata la Banca della Svizzera Italiana di Mendrisio ove era acceso il conto «whisky», e nella gestione di questo conto era coinvolto un grosso finanziere italiano, Francesco Pazienza;
            Nell'interrogatorio del 13 ottobre del 2004 reso innanzi al pubblico ministero di Potenza Fonti ha dichiarato che, con riferimento alla prima operazione del 1987, i soldi furono ritirati da Bruno Musitano ed Arcadi Giuseppe presso una banca dell'ex Jugoslavia, ove erano stati trasferiti dal conto Whisky acceso presso la Banca della Svizzera Italiana di Mendrisio. Ha inoltre precisato che l'ing. Candelieri utilizzava generalmente un conto acceso presso la Banca di San Marino Agenzia Dogana per le somme ricavate dallo smaltimento illecito di rifiuti presso il Centro Enea di Rotondella. Il referente presso questa banca sarebbe stato il direttore del Borsino, tale Zauri Loris.
        In merito alle operazioni di interramento dei fusti in un luogo della Basilicata (mai individuato):
            nel memoriale Fonti ha dichiarato che furono caricati presso la centrale Enea di Rotondella 40 camion: otto di questi si diressero sull'argine del fiume Vella ove era stata già predisposta una buca grazie ai macchinari messi a disposizione da Agostino Ferrara, uomo di Musitano che abitava a Nova Siri. Dalla centrale Enea impiegarono circa due ore e mezza per raggiungere il luogo dell'interramento. Subito dopo l'interramento in Basilicata, al quale evidentemente prese parte secondo quanto dichiarato nel memoriale, Fonti raggiunse a bordo della sua autovettura, unitamente a Giuseppe Arcadi, gli altri camion che nel frattempo erano partiti in direzione di Livorno;
            Nel corso dell'audizione effettuata innanzi alla Commissione ha dichiarato che le imprese che lavoravano agli argini del fiume Basento

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furono le stesse che si occuparono di scavare le buche in cui interrare i rifiuti. Nel memoriale aveva detto che la fossa in cui interrare i bidoni era stata effettuata con macchinari messi a disposizione da Agostino Ferrara, uomo di Musitano che abitava a Nova Siri, il quale aveva procurato anche i fari per illuminare l'area. Il fiume vicino al quale furono interrati i bidoni era il torrente Vella. Fonti ha inoltre dichiarato di essersi recato personalmente sul posto e di avere partecipato alle operazioni.
            Nel corso dell'interrogatorio reso innanzi al pubblico ministero di Potenza in data 5 dicembre 2003 Fonti ha dichiarato di avere seguito i camion diretti a Livorno, e, dunque, deve dedursi che non partecipò alle operazioni di interramento in Basilicata;
            Nel corso dell'interrogatorio reso innanzi al pubblico ministero di Potenza in data 20 marzo 2004 le dichiarazioni di Fonti sul punto sono ancora più esplicite, nel senso che ad una specifica domanda del pubblico ministero «lei ricorda dove erano sotterrati?» Fonti ha risposto «e no, perché lì io non è che sono andato, io ho seguito i camion che sono andati fino a nord», indicando genericamente la zona di Pisticci quale luogo di interramento dei bidoni;
            Nel successivo interrogatorio innanzi al pubblico ministero di Potenza del primo aprile 2004 Fonti ha descritto il luogo di interramento dei fusti, senza però precisare se vi si fosse recato personalmente o meno.
            Nell'interrogatorio reso innanzi al pubblico ministero di Potenza in data 24 aprile 2004 ha fornito un'ulteriore descrizione del luogo di interramento dei bidoni descrivendo il tragitto percorso come se avesse partecipato alle operazioni.
        Secondo smaltimento rifiuti tossici – Centro Trisaia – operazione del mese di novembre 1992
        Si tratta del trasporto di mille fusti provenienti dalla centrale Enea di Rotondella. Fu Fonti a contattare di sua iniziativa Candelieri nel mese di novembre 1992. I fusti sarebbero stati messi all'interno di containers forniti dalla Merzario Marittima e caricati presso la Centrale Enea del Garigliano su 20 camion messi a disposizione sempre dalla Merzario Marittima.
        Con riferimento all'organizzazione di questa seconda operazione di illecito smaltimento:
            nel memoriale Fonti ha dichiarato di avere preso contatti con Mirko Martini che aveva conosciuto nel 1992 e il cui nome gli era stato fatto da Giuseppe Romeo, fratello del boss Sebastiano Romeo. Incontrò Martini a Milano all'Hotel Hilton e gli chiese appoggio presso il porto di Mogadiscio, dove furono forniti uomini e mezzi da Giancarlo Marocchino, amico di Mirko Martini (nel memoriale non fornisce alcuna precisazione in merito al suo viaggio in Somalia in occasione di questa seconda operazione); quanto alle coperture presso i porti di La Spezia e di Livorno, Fonti ha dichiarato che la protezione presso i porti fu fornita da Corneli, il quale gli chiese se potevano

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essere caricate sui pescherecci anche delle armi che avrebbero dovuto essere recapitate a Giancarlo Marocchino;
            nel corso dell'audizione innanzi alla Commissione Fonti ha dichiarato di non essersi recato in Somalia e di non avere partecipato alle operazioni di carico (avendo preso contatti solo con l'ing. Candelieri a Rotondella). La copertura presso il porto di Livorno sarebbe stata fornita da tale Pino, appartenente ai servizi segreti;
            nel corso dell'audizione innanzi alla Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi, Fonti ha reso dichiarazioni completamente diverse, affermando: 1) di essere andato nel mese di gennaio 1993 a Mogadiscio partendo con un volo da Lugano e sotto le false generalità di Antonio Codispoti. 2) di avere soggiornato presso l'albergo Maka Al Mukarama a Mogadiscio e di essere partito unitamente a due persone, Giuseppe Maviglia e Giuseppe Cammisa; 3) di essere andato in Somalia prima che arrivasse il carico di rifiuti, per concordare gli aspetti logistici della missione unitamente a Giancarlo Marocchino.
        Con specifico riferimento al tema delle navi affondate, mai menzionate da Fonti prima della redazione del memoriale, importanti e insanabili contraddizioni sono emerse tra le diverse versioni rese dall'ex collaboratore di giustizia.
        Un primo aspetto che desta certamente perplessità, e sul quale non sono state fornite indicazioni certe, riguarda il periodo in cui sarebbero avvenute le operazioni.
        Deve infatti tenersi conto del fatto che, a fronte di un'organizzazione certamente complessa ed a fronte di quelle che Fonti ha dichiarato essere attività che ordinariamente compiva personalmente, ossia effettuare prelievi e depositi di denaro in varie banche europee avvalendosi di mezzi messi a disposizione dei servizi segreti, vi sono dati obiettivi attinenti ai periodi di detenzione di Fonti da cui si evince che lo stesso è stato in libertà solo dal 4 ottobre 1992 fino al 24 aprile 1993.
        Fonti colloca nel mese di novembre sia il colloquio con Giorgi e l'organizzazione dell'affondamento delle navi, sia l'incontro con l'ingegner Candelieri presso il centro Enea per organizzare il secondo traffico illecito di rifiuti. Ma molti altri episodi che riferisce non possono collocarsi temporalmente che in questi pochi mesi, il che contribuisce a rendere il racconto inattendibile.
        In merito al soggetto che commissionò l'affondamento delle navi:
            nel memoriale Fonti ha precisato che nei primi anni 80 aveva stretto rapporti con la grande società di navigazione privata Ignazio Messina, di cui aveva incontrato un emissario con il boss Paolo De Stefano di Reggio Calabria. Si erano incontrati in una pasticceria di Viale San Martino a Messina, e in quell'occasione avevano parlato della disponibilità della compagnia Ignazio Messina di fornire alla famiglia di San Luca navi per eventuali traffici illeciti. Successivamente, nel mese di ottobre 1992, la Ignazio Messina contattò la famiglia di San Luca e si accordò con Giuseppe Giorgi che poi

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incontrò a Milano Fonti presso il bar New Mexico di Corso Buenos Aires. Quando le navi furono affondate, Fonti tornò a Milano, mentre Giorgi si fece consegnare dalla Ignazio Messina i centocinquanta milioni per ciascuna nave che erano stati concordati;
            nell'interrogatorio reso al pubblico ministero di Catanzaro nel 2006, Fonti non ha fatto alcun riferimento alla compagnia Ignazio Messina, ed ha invece dichiarato che le navi erano state affidate alla famiglia Romeo da una società norvegese; si trattava di navi che erano state adibite in diverse occasioni al trasporto di fusti radioattivi e che erano state poi acquistate dalla famiglia Romeo;
            nell'interrogatorio reso innanzi ai pubblici ministeri di Catanzaro il 28 ottobre 2009 Fonti ha dichiarato che nel mese di novembre-dicembre del 1992 Peppe «u crapa», Giuseppe Giorgi, si era recato da lui a Milano e gli aveva detto che l'amico di prima li aveva contattati per affondare tre navi in Calabria che avevano dei carichi particolari, ed inoltre il proprietario delle navi avrebbe incassato i soldi dell'assicurazione. L'amico di prima era la persona che Fonti aveva già incontrato unitamente a Giorgi a Messina al bar di viale San Martino prima di essere arrestato, quindi prima del 1987, e per lui era stato fatto un trasporto di fusti diretti in Somalia; questa persona, di cui Fonti non dice il nome, si era presentata come l'emissario dell'armatore Ignazio Messina e gli era stata presentata da Peppe Giorgi;
            nel corso dell'audizione effettuata innanzi alla Commissione Fonti ha, invece, fatto riferimento ad un emissario dell'armatore Messina che aveva commissionato l'affondamento delle navi. Si trattava di una persona che avevano conosciuto a Messina e che gli era stata presentata da De Stefano.
        In merito ai contatti con la cosca Muto di Cetraro e all'apporto logistico fornito dalla famiglia Muto
            nel memoriale Fonti ha precisato di essersi recato a Cetraro unitamente a Giuseppe Giorgi per prendere accordi con un esponente della famiglia di ’ndrangheta Muto, a cui chiesero la manodopera; il clan Muto fornì tre pescherecci per trasportare la dinamite a bordo delle navi (nel memoriale sono riportati pochi dati in merito alle modalità operative degli affondamenti);
            nell'interrogatorio reso al pubblico ministero di Catanzaro nel 2006 Fonti ha dichiarato di avere contattato, insieme a Giuseppe Giorgi, Franco Muto e di averlo incontrato unitamente a tale Marchetti, persona legata a Franco Muto, nel 1993 in un negozio di mobili chiamato Spaccarotelle, si trattava anche del cognome del titolare del negozio. Avevano bisogno di aiuto da parte della famiglia Muto con particolare riferimento ai motoscafi da utilizzare per raggiungere le navi e portarvi l'esplosivo. Il materiale esplosivo fu portato a Cetraro da Fonti che lo caricò a San Luca. L'esplosivo utilizzato era di tipo militare ed era stato portato dalla Germania o dall'Olanda da un altro componente della famiglia Romeo, Fausto

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Giorni. L'esplosivo fu collocato a bordo delle navi da persone del clan Muto, esperte in materia di esplosivi, e non da Fonti;
            Nell'interrogatorio reso ai pubblici ministeri di Catanzaro il 28 ottobre 2009 Fonti ha dichiarato che il clan Muto fornì sia i motoscafi che la dinamite che venne collocata a bordo delle navi dallo stesso Fonti;
            Nel corso dell'audizione innanzi alla Commissione, Fonti ha nuovamente dichiarato che il clan Muto fornì sia i motoscafi che la dinamite, che per loro era facile procurare in quanto si trattava dell'esplosivo utilizzato per le esplosioni nelle cave. Ha dichiarato inoltre di avere sistemato lui stesso l'esplosivo.
        In merito alle modalità di pagamento per l'affondamento delle navi:
            nel memoriale Fonti ha dichiarato che il compenso per l'affondamento era di centocinquanta milioni di lire per nave. Il compenso fu consegnato a Giorgi dalla Ignazio Messina (non vi sono ulteriori precisazioni, neppure rispetto al compenso dato al clan Muto per l'apporto logistico);
            nell'interrogatorio reso al pubblico ministero di Catanzaro nel 2006 Fonti ha dichiarato che il clan Muto fu ricompensato con la somma di 200 milioni di lire che fu consegnata a Marchetti in contanti, il tutto avvenne nei primi mesi del 1993 in quanto il 25 aprile 1993 Fonti venne nuovamente arrestato. La consegna avvenne presso un ristorante di Cirella e fu lo stesso Franco Muto a dire a Fonti che il denaro lo avrebbero dovuto consegnare a Marchetti perché lui non poteva andare. I duecento milioni furono consegnati da Fonti a Marchetti circa due giorni dopo il completamento delle operazioni e fu prelevato a San Luca presso le casse di Sebastiano Romeo. Nell'interrogatorio successivo la versione relativa al pagamento è completamente diversa;
            nell'interrogatorio reso ai pubblici ministeri di Catanzaro il 28 ottobre 2009, Fonti ha dichiarato che soldi li prese Peppe, il quale disse a Fonti che il compenso era di 150 milioni di lire per nave, la metà doveva essere data al capitano che avrebbe pagato poi l'equipaggio. Successivamente Peppe gli disse «vado a ritirare un altro miliardo e 200 milioni che dividiamo noi..... quelli sono per le spese»; di questi soldi una buona parte fu data agli uomini di Cetraro. In sostanza, oltre all'iniziale importo di 150 milioni per nave, fu aggiunta la somma di 400 milioni per nave. Fonti prese 200 milioni;
            Nel corso dell'audizione innanzi alla Commissione Fonti ha dichiarato che il compenso, 150 milioni per nave, fu ritirato da Giorgi, senza ulteriori precisazioni.
        Con riferimento al carico delle navi:
            nel memoriale Fonti ha indicato esattamente non solo il nome delle navi da affondare, ma anche il carico: la Yvonne A, che trasportava 150 bidoni di fanghi, la Cunsky, che trasportava 120

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bidoni di scorie radioattive, e la Voriais Sporadais che trasportava 75 bidoni di varie sostanze tossico-nocive;
            nell'interrogatorio reso innanzi al pubblico ministero di Catanzaro del 21 aprile 2006, Fonti non ha precisato il nome delle navi ed ha fatto riferimento ad un carico di rifiuti tossici o radioattivi;
            nell'interrogatorio reso innanzi al pubblico ministero di Catanzaro del 28 ottobre 2009, Fonti ha dichiarato di non sapere esattamente cosa contenessero i fusti e di avere appreso da Giorgi Giuseppe che si trattava di bidoni con dentro roba molto pericolosa.
        Le contraddizioni analiticamente esposte sono significative ai fini della valutazione delle dichiarazioni dell'ex collaboratore di giustizia in quanto non riguardano aspetti di dettaglio, ma elementi centrali relativi allo svolgimento dei fatti.
        Basti sol pensare alla circostanza relativa al posizionamento della dinamite sulle navi. Si tratta di un dato che non può certo essere oggetto di confusione da parte di chi sostiene di essere stato protagonista della vicenda. Un conto è l'imprecisione nella descrizione dei fatti, altro conto però è la divergenza totale nella descrizione del proprio apporto collaborativo nelle attività che si asserisce avere compiuto.
        Una trattazione a parte meritano le dichiarazioni che Fonti ha reso con riferimento ai suoi presunti rapporti con i servizi segreti italiani e stranieri.

5.7 Fonti, la politica e i servizi segreti.

        Fonti Francesco ha sempre dichiarato, sia pure modificando talvolta versione, che il traffico e lo smaltimento illecito dei rifiuti radioattivi venivano gestiti dalla ’ndrangheta calabrese sulla base delle indicazioni fornite dai politici, i quali rappresentavano, a loro volta, il punto di riferimento delle grosse multinazionali operanti a livello europeo. In sostanza, poiché le grosse imprese non potevano lecitamente smaltire tutti i rifiuti prodotti, in quanto parte del materiale di scarto non era riconducibile alle linee di produzione legittimamente effettuate dalle imprese, l'unica possibilità di smaltimento era attraverso canali illeciti.
        Nel memoriale presentato alla DNA nel mese di giugno 2005 l'esordio è rappresentato proprio dall'esposizione del legame che, nel settore dello smaltimento illecito dei rifiuti, esisteva tra la politica, la massoneria ed i servizi segreti.
        Questa la versione contenuta nel memoriale.
        Intorno al 1982 Peppe Nirta, capobastone della famiglia di San Luca, aveva parlato a Fonti del business dei rifiuti, un business che avrebbe portato nelle casse della ’ndrangheta parecchi soldi.
        Nirta aveva parlato di questo delicato argomento con Fonti, sebbene egli all'epoca si occupasse di solo di estorsioni e non rivestisse un ruolo di rilievo in seno all'organizzazione, in quanto vi erano lontani rapporti di parentela poiché Nirta era cugino della madre di Fonti.


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        In particolare, Nirta avrebbe riferito a Fonti che il ministro della difesa Lelio Lagorio, con il quale aveva avuto rapporti tramite l'ex sottosegretario ai trasporti Nello Vincelli e l'onorevole Vito Napoli, gli aveva proposto di stoccare rifiuti pericolosi in Calabria, in Apromonte o nelle fosse naturali marine esistenti di fronte alla costa Jonica.
        Seguirono una serie di riunioni tra le principali famiglie della ’ndrangheta presso il santuario di Polsi, al fine di deliberare una decisione comune, che in effetti, però, non si raggiunse.
        Fu assunta una sola decisione: i rifiuti non potevano essere stoccati in Calabria, il cui territorio doveva essere salvaguardato, ma in Basilicata, considerata terra di nessuno. Per quanto riguardava i siti all'estero, furono presi contatti con la mafia turca, e precisamente con Mehmet Serdar Alpan.
        Nella parte finale del memoriale Fonti, dopo avere descritto le operazioni di affondamento delle tre navi, ha precisato che in quel periodo la ’ndrangheta calabrese aveva affondato circa trenta navi, e ciò era stato possibile grazie alla copertura dei servizi segreti italiani.
        Prima che Peppe Nirta organizzasse la riunione presso il santuario di Polsi venne avvicinato anche da due collaboratori del Sismi, Giorgio Giovannini e Giovanni Di Stefano, così li definisce Fonti nel memoriale, i quali chiesero alla famiglia di San Luca se potesse fornire manodopera per trasportare i rifiuti tossici e radioattivi in Somalia per conto di aziende italiane che non avevano la possibilità di smaltirli diversamente.
        Bettino Craxi era al corrente di tutto ciò, ma non voleva comparire personalmente e quindi lasciava che se ne occupassero i servizi.
        Giovannini successivamente disse a Nirta che in futuro i contatti sarebbero stati tenuti direttamente da Francesco Corneli, e dal colonnello Stefano Giovannone, entrambi vicini al Sisde. Ed in effetti fu proprio Francesco Corneli che Fonti incontrò, sempre secondo quanto riportato nel memoriale, nel 1987 presso l'hotel Barberini di Roma, in occasione dell'organizzazione del primo traffico illecito dalla centrale Enea di Rotondella: sempre Corneli assicurò la protezione presso il porto di Livorno non solo in occasione del primo traffico del 1987, ma anche in occasione del secondo risalente al 1992/1993. Pare che Corneli avesse dato incarico a Fonti di far caricare delle armi a La Spezia su una nave che avrebbe dovuto raggiungere la Somalia.
        In merito poi ai rapporti tra Fonti e la politica, Fonti ha dichiarato di avere incontrato nel 1992, nel ristorante Villa Luppis a Pasiano di Pordenone, l'ex ministro degli esteri Gianni De Michelis, quest'ultimo in compagnia di un imprenditore del luogo, Attilio Bressan, mentre Fonti era in compagnia di Consolato Ferraro, rappresentante della ’ndrangheta reggina per la Lombardia.
        De Michelis avrebbe detto che la politica non aveva bisogno della ’ndrangheta per portare i rifiuti in Somalia e che lo faceva solo per comodità; disse inoltre che se avessero avuto bisogno di acquistare locali per investire denaro, avrebbero potuto rivolgersi al sindaco Pillitteri.
        Antonio Papalia, rappresentante della ’ndrangheta della zona aspromontana in Lombardia, avrebbe presentato Pillitteri a Francesco Fonti, Giuseppe Giorgi e Stefano Romeo. L'incontro sarebbe avvenuto

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presso lo studio di Pillitteri in piazza Duomo a Milano, e fu grazie a lui che la famiglia di San Luca sarebbe riuscita ad acquistare un bar nella galleria Vittorio Emanuele, successivamente sequestrato dalla magistratura, e un bar in via Fabio Filzi.
        Nel corso dell'audizione innanzi a questa Commissione, svoltasi a Bologna il 5 novembre 2009, Fonti ha reso ulteriori dichiarazioni in merito al presunto coinvolgimento dei servizi segreti e della politica nel traffico di rifiuti radioattivi, o comunque pericolosi, precisando anche in quale modo egli stesso venne coinvolto nei predetti traffici.
        In sintesi ha dichiarato che:
            i rapporti tra la Ndrangheta e la politica di allora erano di due tipi: da un lato, al momento delle elezioni, i politici contattavano gli ’ndranghetisti della zona per acquisire i pacchetti di voti in cambio di beni di varia natura, compresi i buoni della benzina, dall'altro le multinazionali che avevano necessità di smaltire rifiuti pericolosi si rivolgevano ai politici di riferimento i quali, per il tramite di appartenenti ai servizi segreti, commissionavano alla ’ndrangheta calabrese lo smaltimento di tali rifiuti che le multinazionali non avrebbero potuto smaltire legalmente in quanto si trattava di materiale di scarto non riconducibile alle loro linee ufficiali di produzione;
            Nirta aveva inoltre riferito a Fonti che da Roma erano arrivate indicazioni per utilizzare l'Aspromonte come una sorta di pattumiera, in quanto le caverne naturali presenti in Aspromonte avrebbero consentito di occultare facilmente i rifiuti; Nirta però si oppose, e si parlò quindi della Basilicata;
            Fonti ebbe modo di verificare anche successivamente ciò che aveva appreso da Nirta attraverso i colloqui con tale Pino (del quale non aveva parlato nel memoriale), sempre appartenente ai servizi segreti, personaggio che Fonti avrebbe conosciuto alcuni anni prima del 1978, anno del sequestro Moro.
        I contatti con personaggi appartenenti ai servizi segreti non si limitarono peraltro agli anni nei quali Fonti si occupò, secondo quanto da lui stesso narrato, dello smaltimento illecito di rifiuti radioattivi, ma proseguirono, secondo il suo racconto, anche successivamente, soprattutto nel periodo in cui iniziò la sua collaborazione con l'autorità giudiziaria.
        Si riporta integralmente il passaggio delle dichiarazioni di Fonti:
        «Io inizio a fare i verbali con il consigliere Macrì alla Direzione nazionale antimafia, a Roma, verso la fine di gennaio del 1994.
        Ho parlato della mia attività di trafficante di droga, della mia appartenenza alla ’ndrangheta – le ho descritto prima tutte le doti e i passaggi che ci sono al suo interno – e mi sono astenuto dal parlare di altro, innanzitutto perché sapevo che parlare dei magistrati, che non avevo accusato nemmeno nei quattro mesi in cui ero stato a Roma, sarebbe stato un boomerang.
        Del resto, mentre ero allo SCO arrivavano dirigenti di Criminalpol e di questure da tutte le parti, tra cui anche un personaggio che io avevo conosciuto quando ero libero, il quale mi suggerì di parlare di

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droga e ’ndrangheta, ma di non andare oltre, perché altrimenti tutto si sarebbe riversato contro di me.
        PRESIDENTE. Chi era questo personaggio?
        FRANCESCO FONTI. Lo conoscevo come Pino, e apparteneva ai servizi segreti.
        PRESIDENTE. Ebbe contatto con lei in carcere?
        FRANCESCO FONTI. È venuto a trovarmi nel carcere di Volterra, mentre ero allo SCO a tenere dichiarazioni, e a Rovereto quando mi trovavo in località protetta. E non si trattò solo di lui.
        PRESIDENTE. Visto che per noi è importante l'identificazione di questo Pino, lei ricorda più o meno in quali periodi è venuto a trovarla? Presso il carcere se ne dovrebbe trovare traccia.
        FRANCESCO FONTI. Cercherò di essere il più preciso possibile. Allo SCO sono stato da gennaio ad aprile.
        PRESIDENTE. Di che anno?
        FRANCESCO FONTI. Del 1994. Nel carcere di Volterra sono stato – considerato che il processo a Reggio Emilia si è svolto nel 1988 – nel 1989 per 6 o 7 mesi, in seguito ai quali sono partito per l'isola della Gorgona. Il periodo era quindi da giugno a dicembre del 1989. A Rovereto, località protetta, nota solo al Servizio centrale di protezione – non la conoscevano neanche i magistrati – venivano, guarda caso, a trovarmi persone che erano primi dirigenti, colonnelli, anche un generale.
        PRESIDENTE. Oltre a questo Pino, chi venne a trovarla, al di fuori di parenti o avvocati?
        FRANCESCO FONTI. Sono venuti altri personaggi, sia della polizia che dei carabinieri.
        PRESIDENTE. Ricorda alcuni nomi?
        FRANCESCO FONTI. Sì, signor presidente, ma mi astengo dal rispondere, perché non vorrei essere veramente impiccato.»
        Secondo quanto riferito da Fonti, quindi, i suoi rapporti con i servizi segreti proseguirono e in un certo senso si intensificarono, anche dopo l'inizio della sua collaborazione con l'autorità giudiziaria.
        Quando Fonti iniziò a collaborare con la magistratura, nel mese di gennaio 1994, diversi personaggi sia della polizia che dei carabinieri sarebbero andati a trovarlo nei luoghi ove si trovava detenuto per «invitarlo» a non parlare di traffico di rifiuti, ma solo di traffico di sostanze stupefacenti.
        Fonti riferisce che tale «Pino», in più occasioni menzionato da Fonti come personaggio appartenente ai servizi segreti, ma non meglio identificato, era andato a trovarlo nel carcere di Volterra dove egli era stato detenuto dal mese di giugno al mese di dicembre del 1989, presso lo Sco, dove si trovava da gennaio ad aprile 1994, ed a Rovereto presso la località protetta.
        Fonti ha anche riferito che durante il periodo in cui viveva in località protetta a Rovereto veniva ogni sei mesi prelevato e portato in carcere per un mese: le carceri erano quelle di Brescia e Trento («durante i cinque anni in cui sono stato a Rovereto con il programma di protezione, ogni sei mesi, sistematicamente, venivo portato in carcere – non so perché – e, dopo un mese, di nuovo a casa. Il motivo non lo so, sinceramente, però venivo minacciato

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tacitamente, anche se non in modo apparente, venivo preso da casa, portato in carcere.....nel carcere di Brescia e di Trento. Addirittura a Trento non mi volevano perché ero un collaboratore, un pentito. A Brescia ho avuto un infarto e sono stato anche ricoverato nell'ospedale. Non ho mai saputo i motivi per i quali venivo portato un mese in carcere e poi riportato a casa».
        Fonti ha ulteriormente aggiunto nel corso dell'audizione che andavano trovarlo anche personaggi appartenenti alla polizia ed ai carabinieri dei quali non ha fornito i nomi per timore di ritorsioni. In sostanza i presunti personaggi appartenenti ai servizi segreti ricordavano insistentemente a Fonti, durante il periodo della sua collaborazione, di non parlare di rifiuti perché «non gli conveniva», in tal modo minacciandolo implicitamente, ma chiaramente.
        In merito al coinvolgimento dei servizi segreti rispetto al primo smaltimento illecito avvenuto nel mese di gennaio 1987, Fonti ha fornito, come già evidenziato, una versione diversa, nel corso dell'audizione, rispetto a quella contenuta nel memoriale.
        Ha dichiarato infatti che l'apporto logistico venne fornito da Mirko Martini, che Fonti definisce come personaggio vicino ai servizi segreti non solo italiani, ma anche francesi, tedeschi e americani. Presso il porto di Livorno ci sarebbe stata una base segreta della Marina Militare dove si incontravano appartenenti ai servizi segreti di tutto il mondo.
        In merito al coinvolgimento dei servizi segreti rispetto alla seconda operazione di smaltimento illecito di rifiuti radioattivi provenienti dal centro Enea di Rotondella (novembre 1992), Fonti ha fatto riferimento al già menzionato «Pino» il quale si sarebbe occupato di impedire che venissero effettuati controlli presso il porto di Livorno. L'intervento di Pino sarebbe consistito quindi nella possibilità di effettuare il carico senza alcun tipo di controllo.
        Il coinvolgimento dei servizi vi sarebbe stato, secondo quanto dichiarato da Fonti alla Commissione, anche nella fase relativa ai pagamenti per le operazioni di illecito smaltimento.
        A parte le tre operazioni alle quali avrebbe partecipato personalmente e per le quali avrebbe incassato il denaro, Fonti ha dichiarato di avere svolto il compito di cassiere anche per riscuotere danaro per conto della famiglia Romeo, denaro relativo al pagamento di operazioni illecite. Ritirava i soldi dal conto intestato a Michele Sità sul conto Whisky acceso presso la banca UBS agenzia di Mendrisio (non di Lugano come aveva riportato nel memoriale).
        Per ritirare i soldi Fonti si recava in diverse banche sparse in Europa ed utilizzava le autovetture messe a disposizione dal Sismi e precisamente da «Pino» a Roma in via Lanza. In sostanza le autovetture sarebbero state messe a disposizione di Fonti da parte dei servizi segreti per potersi muovere liberamente e senza il pericolo di controlli, tenuto conto del fatto che trasportava ingenti somme di denaro in contanti.
        Nel corso dell'audizione, a seguito di una specifica domanda del Presidente Pecorella, Fonti ha precisato che i numeri delle autovetture

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riferiti anche in altre occasioni (in particolare nel corso di interviste giornalistiche) erano numeri che rilevava dal libretto di circolazione delle macchine segnando la matricola.
        A seguito degli accertamenti effettuati dalla Commissione tramite polizia giudiziaria, è risultato che i numeri indicati da Fonti non corrispondono a nulla, e peraltro anche i servizi interpellati dalla Commissione hanno risposto che non si tratta di autovetture a loro riferibili o nella loro disponibilità.
        Data l'importanza delle informazioni che Fonti ha fornito alla Commissione, essendo certamente dirompenti le dichiarazioni per le quali i servizi segreti sarebbero stati gli interlocutori diretti della ’ndrangheta calabrese per lo smaltimento illecito dei rifiuti, la Commissione ha approfondito le modalità attraverso cui i servizi sarebbero entrati in contatti con Fonti.
        Fonti sul punto ha dichiarato che, all'inizio degli anni 70, fu contattato da Vito Giannettini, un professore universitario, che si presentò come un agente segreto italiano che aveva contatti con tutte le agenzie di servizi segreti di tutto il mondo, compresa la CIA (successivamente Fonti ha precisato che non si trattava di Vito Giannettini, bensì di Guido Giannettini).
        Giannettini gli chiese di avere informazioni sulla ’ndrangheta, informazioni che gli servivano per un suo studio che avrebbe potuto portare anche benefici all'organizzazione. Gli disse inoltre che avrebbe potuto assumerlo nei servizi conferendogli uno stipendio per le informazioni che avrebbe potuto fornire.
        Fonti naturalmente informò la famiglia in Calabria ed ebbe indicazioni nel senso di assecondare le richieste di Giannettini, magari fornendo in qualche caso notizie inesatte, e di acquisire invece a sua volta notizie utili per l'organizzazione criminale.
        Dopo qualche tempo Giannettini presentò a Fonti la persona chiamata «Pino», della quale Fonti non fornirà mai ulteriori elementi di identificazione, con sarebbe stato il suo interlocutore diretto.
        Fonti, come sopra già evidenziato, ha dichiarato di avere incontrato Pino in diverse occasioni, sia quando era in carcere e collaborava, sia quando viveva nella località protetta, sia successivamente.
        Si riportano i passi delle audizioni sul punto:
        Audizione di Fonti del 28 aprile 2010:
        «PRESIDENTE. I servizi perché le fornivano queste notizie, soprattutto in ordine al traffico dei rifiuti, che è quello che ci interessa?
        FRANCESCO FONTI. Devo fare un passo indietro, che risale a prima degli anni Settanta, quando ho conosciuto Guido Giannettini, a Roma.
        PRESIDENTE. Lei lo chiama, nel suo interrogatorio e forse nei suoi appunti, non Guido, ma Vito Giannettini. Come mai?
        FRANCESCO FONTI. Avrò sbagliato...
        PRESIDENTE. Come l'ha conosciuto?
        FRANCESCO FONTI. È stato lui che ha conosciuto me. Io andavo a Roma e alloggiavo in un albergo. Un giorno vedo questo personaggio nella hall, che mi si avvicina e mi dice che lui sapeva chi ero e che gli servivano delle informazioni.

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        Mi disse che era un agente dei servizi segreti.
        PRESIDENTE. Che anno era?
        FRANCESCO FONTI. Prima del 1970. Nel 1970, se non erro, c’è stato quel tentativo di colpo di Stato, da parte di quella organizzazione che faceva capo a Valerio Borghese, che poi non si è realizzato.
        Dunque possiamo dire che qualche anno prima, nel 1968-69, è avvenuto il mio contatto con Giannettini. Lui voleva conoscere i vertici della ’ndrangheta di allora, in quanto mi disse che successivamente ci sarebbero stati dei cambiamenti e a loro serviva conoscere questi personaggi, che avrebbero dovuto aiutarli, e successivamente li avrebbero aiutati a loro volta.
        In effetti, questa è storia, ma una parte di essa io l'ho percorsa insieme. Quando ci doveva essere questo fantomatico colpo di Stato, la ’ndrangheta aveva allertato 1500 uomini per dare man forte a questa organizzazione. Anche la mafia si era mossa, ma non era armata, in quanto molto discorde su questo intervento. Nondimeno, erano di diverso avviso alcune famiglie, ad esempio la famiglia Rimi, che aveva molto interesse, in quanto c'erano ergastoli a carico di alcuni suoi esponenti, ad ottenere qualche beneficio. Quello che il Borghese dava per certo era proprio l'azzeramento degli ergastoli, quindi loro erano molto propensi a partecipare, anche se allora i più forti, ad esempio il boss Stefano Bontade, non erano tanto d'accordo.
        Invece, dopo una riunione svolta a Reggio Calabria, mi sembra nella hall dell'hotel Excelsior, la ’ndrangheta accettò. Attraverso dei camion, arrivarono da Roma delle armi – che furono depositate da qualche parte, ma io non ne ho avuto conoscenza al momento – che dovevano essere usate per fare questa rivolta.
        PRESIDENTE. Ma lei ha partecipato a queste riunioni?
        FRANCESCO FONTI. No, non ho partecipato.
        PRESIDENTE. E da chi ha avuto queste notizie?
        FRANCESCO FONTI. Giuseppe Nirta di San Luca, che allora era il capo, Macrì e Tripodo, e Piromalli dalla parte del Tirreno, erano i quattro capi assoluti del territorio calabrese.
        Peppe Nirta era un parente della defunta mia madre, quindi aveva una sorta di benevolenza nei miei confronti. In effetti, questa benevolenza si è dimostrata al momento della mia affiliazione, del mio «rimpiazzo», che è avvenuto nel 1966; è avvenuto, peraltro, non per opera sua, ma per opera di Antonio Macrì, il boss di Siderno, perché Nirta non voleva che si potesse dire che il mio «rimpiazzo» fosse un favoritismo per la lontana parentela.
        Nirta, allora, contattò Macrì e gli chiese di «rimpiazzarmi» a Siderno, e dopo sarei andato a San Luca. Quando c’è un «rimpiazzo» fuori dal comune dove si è nati, successivamente bisogna che l'affiliato si presenti nel locale e al capo del locale stesso. Bovalino non aveva un locale autonomo – non è mai stato un locale autonomo – ma dipendeva da Platì o da San Luca. In quel periodo dipendeva da San Luca e di conseguenza io, di Bovalino, dovevo presentarmi al capo di San Luca per essere accolto, altrimenti la mia affiliazione poteva non essere riconosciuta. San Luca riconosce tutte le affiliazioni e tutti i passaggi di dote successivi nell'ambito della «carriera» del ’ndranghetista.

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        Io avevo dunque un rapporto privilegiato con Giuseppe Nirta, che oltretutto mi voleva molto bene, come anche Antonio Macrì. Mi dicevano sempre: «Persone che sparano ne abbiamo tante; abbiamo bisogno di persone che usino la testa, che studino, che sappiano muoversi». In più, mio padre aveva una piccola fabbrica di mobili e, in questa sua attività, era in contatto con i ministeri romani: quando si svolgevano gli appalti per la fornitura di arredamenti degli uffici ministeriali, mio padre partecipava a busta chiusa e veniva sempre scelto per queste forniture. Aveva, quindi, una conoscenza, un'amicizia nel giro romano della politica e questo interessava molto alla ’ndrangheta. Essendo io il figlio, pensavano che avessi anche io qualche conoscenza e qualche amicizia.
        Pertanto, anche di questa storia della rivolta che doveva esserci e che non c’è stata fui messo a conoscenza, ma come conseguenza, in quanto sono stato io ad attivare il contatto tra Giannettini e Giuseppe Nirta. Quando si sono incontrati non avevo la facoltà di assistere, in quanto non avevo le loro doti, ero all'inizio. Giuseppe Nirta, però, mi spiegò l'argomento dell'incontro.
        PRESIDENTE. Ma Giannettini si presentò come uomo dei servizi segreti?
        FRANCESCO FONTI. Come uomo dei servizi segreti e consulente per gli Stati Uniti, per la CIA se non erro, di strategia di guerriglia urbana.
        PRESIDENTE. Lei in quel momento non era stato ancora mai arrestato. Come accade che Giannettini si rivolge a lei, considerandolo e indicandolo come un uomo della ’ndrangheta, che avrebbe potuto addirittura stabilire questo collegamento?
        FRANCESCO FONTI. Questo non lo so.
        PRESIDENTE. Lei glielo chiese? Non ha avuto la curiosità?
        FRANCESCO FONTI. Gli ho chiesto come mai fosse arrivato a me e mi ha risposto «sono arrivato», senza darmi spiegazioni. Me lo sono trovato senza cercarlo, perché non sapevo neanche dell'esistenza di questa persona.
        PRESIDENTE. Quindi, lei entra in contatto con Giannettini per questo motivo. Come lei sa, ci interessa il traffico dei rifiuti. Siccome nei suoi appunti – poi li vedremo specificamente – si fa spesso riferimento ai servizi e al ruolo di alcuni soggetti (Pazienza, Comerio eccetera), lei come sviluppò i suoi rapporti con i servizi?
        FRANCESCO FONTI. Sempre tramite Giannettini, c’è stata la presentazione con questo «fantomatico» Pino di cui...
        PRESIDENTE. Perché Giannettini glielo ha presentato?
        FRANCESCO FONTI. Perché doveva essere il collegamento. Se io avessi avuto bisogno, avrei potuto rivolgermi a questo Pino, a Roma, presso un recapito che mi era stato dato allora, e dirgli che avevo bisogno di parlare con Giannettini, il quale mi disse di non essere sempre in Italia, ma in giro. Di conseguenza, la persona che poteva mantenere un eventuale contatto era questo Pino, che conobbi allora e che mi sono portato dietro fino a dopo la collaborazione. L'ultima volta che l'ho visto è stato dopo la mia collaborazione, dopodiché non l'ho più visto».

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        Audizione di Fonti dell'11 novembre 2009:
        «FRANCESCO FONTI. Io ho conosciuto Pino alcuni anni prima del 1978, anno del sequestro dell'onorevole Moro. Lui aveva addirittura presentato Guido Giannettini a Roma.
        PRESIDENTE. Pare che lei, in alcune dichiarazioni, abbia parlato addirittura del 1970: lo può confermare?
        FRANCESCO FONTI. Sì.
        PRESIDENTE. Nirta le spiegava perché si occupava, insieme al Ministro Lagorio o ai servizi, di questo settore?
        FRANCESCO FONTI. La ragione che mi è stata riferita all'inizio, proprio in quel periodo, era che smaltire legalmente determinati rifiuti costava più che pagare la criminalità.
        Un altro punto era che determinate ditte, multinazionali e industrie, non potevano smaltire legalmente tale materiale di scarto, in quanto non risultava nella loro produzione. Non essendo documentato, non poteva essere smaltito legalmente e doveva per forza trovare una collocazione diversa.
        PRESIDENTE. Come entra in ciò l'intervento dei servizi segreti?
        FRANCESCO FONTI. Per quello che posso dire io, che mi è stato riferito o che so, è che i servizi segreti gestivano quest'attività perché i politici di allora non volevano sporcarsi le mani, anche se erano consapevoli e davano il loro avallo. Si servivano di questi personaggi dei servizi per contattare la criminalità, che era la manodopera per queste attività, non il punto di inizio, ma quello finale.
        PRESIDENTE. Vorrei ora passare proprio ai rapporti con i servizi. Da quando ha i primi contatti?
        FRANCESCO FONTI. Negli anni Settanta ho conosciuto a Roma un certo Vito Giannettini, che mi disse di far parte dei servizi italiani e di mezzo mondo. Allora ero piuttosto inesperto e ingenuo e non sapevo chi fosse in realtà; sta di fatto che lui mi chiese informazioni sulla ’ndrangheta e sulla mia famiglia. In poche parole, conosceva la mia collocazione e mi chiese se potessi fornirgli indicazioni sui capi, i sottocapi, il crimine, il contabile, il mastro di giornata, insomma i personaggi che, in quel periodo, avevano una rappresentanza nella mia famiglia e nelle famiglie di ’ndrangheta in generale.
        Mi disse che si trattava di un suo studio, che poteva anche portare benefici all'organizzazione e, che mi avrebbe assunto nei servizi, conferendomi uno stipendio per le informazioni che gli avrei riferito. Non so se poi fosse vero che era un reclutatore di persone per i servizi.
        In seguito ho conosciuto Pino, di cui non ho mai saputo il vero nome e cognome. Ho anche svolto alcune indagini per cercare di scoprirli, ma non sono riuscito ad arrivare a lui e ho continuato sempre a conoscerlo come Pino.
        PRESIDENTE. Lei lo vedeva a Roma?
        FRANCESCO FONTI. Lo vedevo a Roma, l'ho visto nel carcere, quando collaboravo, e, successivamente, anche quando ero sotto protezione. L'ho incontrato in diverse occasioni.
        PRESIDENTE. Quando veniva nel carcere, lei sa a che titolo lo faceva, come si presentava, con quali qualifiche?
        FRANCESCO FONTI. Non lo so, presidente, perché nel carcere di Volterra sono venuti a trovarmi anche alcuni onorevoli. Quando c'era stato il sequestro di un personaggio – una signora, mi pare – a Parma,

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ero nel carcere di Volterra e sono venuti quattro deputati insieme a un rappresentante delle forze dell'ordine che non conoscevo.
        PRESIDENTE. Chi erano?
        FRANCESCO FONTI. Non lo so. Ero in carcere. Mi veniva detto di recarmi nell'ufficio del direttore. Vi venivo accompagnato, entravo e trovavo queste persone. Ero detenuto e non potevo chiedere loro i documenti. Essendo nell'ufficio del direttore, se si presentavano come deputati dovevano esserlo davvero, altrimenti non avrebbero potuto accedervi.
        PRESIDENTE. Forse mi è sfuggito: perché Giannettini le presenta Pino?
        FRANCESCO FONTI. Perché sosteneva che fosse un suo collega e che, poiché Giannettini era anche professore e, quindi, non poteva sempre incontrarmi, anche quando aveva bisogno di un favore, Pino curava di più gli incontri e i contatti.
        PRESIDENTE. Quanto tempo dopo l'inizio della sua conoscenza con Giannettini quest'ultimo le presenta Pino?
        FRANCESCO FONTI. Non mi ricordo.
        PRESIDENTE. Si è trattato di anni, giorni, mesi?
        FRANCESCO FONTI. Stiamo parlando del 1970, signor presidente, non posso ricordare...
        PRESIDENTE. Nel 1970 lei conosce Giannettini. Quanto tempo dopo conosce Pino?
        FRANCESCO FONTI. Sinceramente non me lo ricordo. A volte mi blocco, e lo sa perché? Se non mi ricordo e si insiste nel pormi una domanda e poi riferisco una data non esatta, vengo crocifisso. Me ne sono accorto.»
        Si riportano, inoltre, alcune dichiarazioni che Fonti, sempre con riferimento al ruolo assunto dai servizi segreti italiani e stranieri, ha reso innanzi all'autorità giudiziaria nel corso delle indagini.
        Interrogatorio della dottoressa Genovese del 24 aprile 2004.
        «Sono a conoscenza di traffici con le criminalità Italiana e Russa dirette dai Governi tramite personaggi dei Servizi Segreti. Di questi ricordo Ninetto Luganesi, Malpiga, il Generale Luca Rajola Pescarini, su cui mi riservo di dare tutti i chiarimenti necessari. Sto parlando di fatti avvenuti fino quasi ai nostri giorni.
        Genovese: Ho capito. Per esempio, i personaggi dei servizi segreti che riguardano questa vicenda che ci interessa...
        Fonti: lo posso parlare del... Generale Luganesi...
        Genovese: Come?
        Fonti: Ninetto Luganesi.
        Genovese: Ninetto?
        Fonti: Ninetto Luganesi.
        Genovese: E questi...
        Fonti: Del... dirigente Malpiga... del Generale Luca...
        Genovese: Di questo me ne aveva già parlato, Raiola...
        Fonti: Raiola Pescantini.

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        Genovese: E questi erano...
        Fonti: Che a loro volta avevano i loro uomini che mandavano.
        Genovese: Ho capito. E questi erano in contatto con il governo italiano?
        Fonti: Sì.
        Genovese: Questi fatti...
        Fonti: E non solo con il governo italiano.
        Anche nel libro scritto da Francesco fonti «Navi a perdere», Fonti ha precisato di avere avuto rapporti, il periodo di riferimento è sempre 1987-1993, con Giancarlo Marocchino e Mirko Martini, indicati come personaggi legati ai servizi segreti.
        Ha dichiarato inoltre di avere avuto, sia lui che la famiglia di San Luca, rapporti diretti con alcuni esponenti in vista dei servizi segreti. In particolare aveva avuto rapporti personali con Ibno Hartomo, alto funzionario dei servizi segreti indonesiani, il quale contattava la ’ndrangheta calabrese per smaltire tonnellate di rifiuti tossici prodotti dall'industriale dell'alluminio, il russo Oleg Kovalyov.
        Nel libro sono riportate anche alcune autovetture asseritamente utilizzate da Fonti e messe a disposizione dai servizi segreti italiani:
            Fiat Croma blindata con matricola VL7214A, CD-11-01;
            Mercedes con matricola BG 454-602;
            Audi BG 146-791.
        Ha pure precisato di avere conosciuto Alezander Kuzin, colonnello del KGB, il quale dopo la caduta del muro aveva iniziato a vendere plutonio, aprendo degli uffici di copertura in Europa. A Trieste e a Valence avrebbe operato attraverso uffici Kuzin International, dove aveva posto come referente Marco Affaticato, definito da Fonti «Uomo dell'eversione nera legato a vari servizi segreti».
        Dalle informazioni acquisite risulta che i numeri delle presunte autovetture indicate da Fonti non corrispondono a nulla.
        Le informazioni acquisite dalla Commissione non hanno in alcun modo riscontrato le dichiarazioni di Fonti.

5.8 Gli appunti di Fonti del 2003.

        Un ruolo centrale hanno avuto, nel corso dell'inchiesta, quelli che Fonti stesso definisce suoi «appunti personali», redatti nell'arco di diversi anni e consegnati nel corso di un interrogatorio alla dottoressa Genovese.
        Si tratta di numerosi fogli nei quali sono contenute le annotazioni più varie che si caratterizzano tutte per lo stile sintetico, a volte criptico, per la specificità delle informazioni, per la varietà dei temi trattati, dal traffico di rifiuti al traffico di armi, ai rapporti tra Stati, alla massoneria e via dicendo.
        È talmente un insieme affastellato di informazioni che è impossibile individuare un filo logico. Anche la modalità di redazione delle frasi è tale per cui non sempre è possibile cogliere il significato di ciascuna di esse e la ragione per la quale sono state annotate.


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        Fonti ha dichiarato di avere iniziato a scrivere gli appunti a partire dal 1986-1987. La ragione per la quale li aveva scritti era legata alla salvaguradia della sua incolumità personale, nel senso che si trattava di informazioni riservate che avrebbe svelato ove fosse stato minacciato da qualcuno.
        Si trattava di flash (come li ha definiti lui stesso, che annotava di volta in volta. Fonti riorganizzò, a suo dire, gli appunti a seguito del primo contatto con il giornalista di Famiglia Cristiana, Luciano Scalettari, nell'anno 2002.
        Le informazioni contenute negli appunti sarebbero state acquisite da Francesco Fonti in ambienti politici, presso gli uffici dei servizi segreti o parlando con appartenenti ai servizi stessi, nonchè nell'ambiente della criminalità organizzata. In parte sarebbero anche frutto di registrazioni che Fonti aveva effettuato nel corso di alcuni colloqui con appartenenti ai servizi segreti.
        Secondo quanto da lui precisato, li avrebbe scritti per precostituirsi una sorta di assicurazione sulla vita nel momento in cui avesse deciso di uscire fuori dalle organizzazioni criminali. La sua intenzione era quindi di depositarli presso un notaio e, se appartenenti alla ’ndrangheta lo avessero rintracciato e avessero tentato di ucciderlo, avrebbe potuto utilizzarli come strumento di contrattazione minacciando di diffonderli.
        Nel corso delle audizioni innanzi alla Commissione sono state formulate a Francesco Fonti numerose domande in merito ai suoi appunti.
        Una notizia che ha fornito per la prima volta in sede di audizione innanzi a questa Commissione parlamentare d'inchiesta concerne il fatto di avere avuto accesso per anni presso gli uffici sia del Sismi che del Sisde, dove aveva la possibilità di consultare documentazione. In particolare, avrebbe frequentato gli uffici dei servizi segreti negli anni 1977-1978-1980, quando c'era Sansovito, e la persona che gli consentiva materialmente l'accesso era sempre l'agente denominato Pino. Dopo avere telefonato a Pino, poteva entrare sia negli uffici di via Lanza che a palazzo Braschi.
        Sempre Pino gli avrebbe consentito di copiare i numeri di matricola delle autovetture negli anni 1992, 1993.
        Su sollecitazione della Commissione, poi, Fonti ha fornito una generica descrizione degli uffici del Sisde senza riuscire a fornire alcun elemento di dettaglio.
        Un passaggio degli appunti di Fonti molto importante, a parere della Commissione, è quello relativo alla parte in cui Fonti parla delle tre navi Cunsky, Voriais Sporadais e Yvonne A, che sarebbero state affondate con un carico di fusti di rifiuti tossici con il contributo dello stesso Fonti.
        Ebbene negli appunti è riportata testualmente questa espressione (doc. n. 240/2):
        «I punti di affondamento delle navi «Anna» e «Euroriver», con bandiera maltese, erano affondate nel Mediterraneo (1989 e 1991) nei punti segnati dal bandito progetto ODM, nella voce Aree nazionali Italiane. La «Rosso» si era incagliata all'altezza di Vibo Valentia nel 1990. La «Rosso» altro non era che la «Jolly Rosso» che nel 1989 aveva riportato in Italia i rifiuti mandati a Beirut.

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        La motonave «Radhart» era arrivata a Beirut il 21 settembre 1987 con 15.800 fusti e venti container, ma di tale carico solo 5.500 erano stati rimossi da Beir, e mischiati con sabbia erano stati infustati in 9.500 contenitori arrivati dall'Italia, ma non erano stati caricati solo sulla Jolly Rosso, ma anche sulla Yvonne e sulla Cunsky e sulla Voriais Sporadais.
        Il passaggio è importante perchè, in qualche modo ha natura confessoria sulla estraneità di Fonti al presunto affondamento delle tre navi.
        Ove Fonti avesse partecipato all'affondamento delle tre navi, sempre che si fosse trattato di navi cariche di rifiuti radioattivi fatte affondare dolosamente, l'annotazione avrebbe avuto un contenuto diverso e certamente vi sarebbe stato un cenno all'affondamento.
        Le tre navi sono state invece menzionate unitamente alla Rosso con riferimento ai rifiuti caricati a Beirut.
        Si tratta, in sostanza, di un'annotazione che accenna, peraltro in maniera confusa, alla vicenda realmente accaduta circa l'utilizzo della nave Jolly Rosso per il trasporto di rifiuti tossici italiani già caricati sulle tre navi Yvonne A, Cunsky e Voriais Sporadais (cfr. dichiarazioni rese da Cesarina Ferruzzi).
        È verosimile, dunque, che l'annotazione sia stata tratta da informazioni giornalistiche o acquisite tramite internet, come accertato dalla Commissione con riferimento a numerose notizie riportate negli appunti.
        Quello che si vuole dire è che se Fonti avesse realmente partecipato all'affondamento delle navi o avesse saputo che le tre navi erano state affondate, lo avrebbe scritto nei suoi appunti e non avrebbe trattato l'argomento in modo tanto asettico, soprattutto tenuto conto della funzione che gli appunti, secondo quanto dichiarato da Fonti, avrebbero dovuto svolgere, ossia costituire una sorta di «arma di ricatto» per salvaguardare la propria incolumità e prevenire eventuali aggressioni da parte di chi avesse voluto ucciderlo.
        La Commissione ha svolto una serie di approfondimenti per comprendere se le notizie fornite da Fonti su questi temi corrispondessero, seppur parzialmente, a dati reali.
        Sono state quindi formulate esplicite richieste ai servizi Aisi ed Aise che hanno escluso la veridicità delle circostanze rappresentate da Fonti. La gran parte della documentazione trasmessa dai servizi è coperta da segreto e, pertanto, non se ne può dare analiticamente conto.
        Deve però osservarsi che i servizi, su richiesta della Commissione, hanno inviato documentazione attinente ai temi trattati negli appunti di Fonti ed è stato verificato, almeno sulla base della documentazione trasmessa, che le frasi annotate negli appunti non sono sovrapponibili a quelle contenute nei documenti trasmessi dai servizi.
        Allo stesso modo deve darsi conto del fatto che nomi e circostanze riportate negli appunti sono contenuti anche in numerosi documenti dei servizi. Per ciò che concerne l'indicazione molto analitica contenuta negli appunti circa presunti mezzi aerei e autovetture in uso ai servizi è stato comunicato da questi ultimi alla Commissione che i

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veicoli indicati dal Fonti non corrispondono ad alcun mezzo in dotazione ai servizi medesimi.

5.9 Le attività svolte dalla Commissione per la ricerca di riscontri.

        Nonostante l'inattendibilità di Fonti rispetto al tema del traffico dei rifiuti, più volte affermata dai magistrati che nel corso degli anni hanno raccolto le sue dichiarazioni, la Commissione di inchiesta ha cercato di acquisire taluni elementi di riscontro pur con le obiettive difficoltà legate al decorso del tempo.
        Si deve infatti rilevare che anche l'autorità giudiziaria ha avuto problemi nel ricercare eventuali elementi di riscontro sia per la genericità e contradditorietà delle dichiarazioni di Fonti sia perché già all'epoca delle indagini giudiziarie erano decorsi circa quindici anni dai fatti.
        Il meticoloso lavoro svolto dalla Commissione è consistito non solo nel riesaminare le dichiarazioni di Fonti per individuare gli elementi di riscontro ancora acquisibili, ma nell'effettuare un accurato sopralluogo in località Pisticci, alla presenza di Fonti, di tecnici e della polizia giudiziaria per individuare il presunto luogo ove sarebbero stati interrati i rifiuti indicati dal Fonti.
        La Commissione ha, quindi, svolto direttamente attività di indagine di cui si dà conto nel prospetto che di seguito si allega, rappresentativo delle richieste inoltrate a diverse autorità, enti ed organi di polizia giudiziaria al fine di acquisire documenti e notizie utili a completare il quadro di riferimento in cui si inseriscono le dichiarazioni di Fonti.


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RICHIESTA DOCUMENTAZIONE

Data richiesta

Destinatario

Qualifica del destinatario

Oggetto

Data risposta
22.09.09
aud.
Bruno Giordano procuratore di Paola Elementi utili sulla vicenda della nave rinvenuta nei fondali del mare prospicente Cetraro  
06.10.09 Bruno Giordano procuratore di Paola Documentazione fotografica relativa alla nave affondata 19.10.09
(interlocutoria)
06.10.09 Giuseppe Pignatone procuratore della Repubblica presso il tribunale di Reggio Calabria Informative su nave Righel, foto smantellamento, intervento ditta Smit Tak e note Sismi 19.10.09
07.10.09 Cap. Federico Crescenzi Consulente Notizie su alcune navi; notizia in particolare su nave Lynx 15.10.09
13.11.09 Antonio Vincenzo
Lombardo
procuratore Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro Verbale interrogatori Fonti nonché documentazione indagine «Mare Oceano» – soma Cetraro 18.11.09: ind. Mare Oceano (consegnata da Crescenzi)
13.11.09 Alberto Michele Cisterna Sostituto procuratore nazionale antimafia Atti sulla vicenda delle cosiddette navi a perdere in vista dell'audizione del 24 novembre 09.12.09
19.11.09 Ferdinando Pomarici Sost. Proc. DDA Milano Copia verbale collaborazione Emilio Di Giovine 09.12.09
04.12.09 Maurizio Caivano Giudice per le indagini preliminari tribunale penale di Roma Atti su dichiarazioni maresciallo Moschitta sulla morte del capitano De Grazia 19.01.10
29.12.09 Bruno Giordano procuratore di Paola Provvedimento emesso dal GIP relativo a richiesta archiviazione depositata da pubblico ministero in proc. del 2003 19.01.10
15.01.10 Telespazio   Copia della registrazione della puntata del programma «Perfidia» andata in onda il 30 ottobre 2009 27.01.10
21.01.10 Giuseppe Pignatone procuratore Reggio Calabria Elenco annotazioni varie + verbali vari 09.02.10
23.02.10 Massimo D'Alema Presidente Comitato Sicurezza Copia documentazione inviata dall'AISE al Comitato per la Sicurezza 02.03.10
25.02.10 Gianfranco Izzo procuratore presso tribunale Nocera Inferiore Copia atti procedimento riguardante la morte del capitano Natale De Grazia 18.03.10
18.03.10 Gualtiero Stolfini comandante provinciale Corpo forestale Stato Brescia Atti aventi ad oggetto collaborazione con il Corpo forestale dello Stato dell'informatore noto come Pinocchio 18.03.10
18.03.10 Benito Castiglia comandante provinciale Corpo forestale Stato La Spezia Atti aventi ad oggetto collaborazione con il Corpo forestale dello Stato dell'informatore noto come Pinocchio 12.04.10
30.03.10   Ignazio Messina Co Richiesta in audizione di materiale vario 15.04.10
15.04.10 Gualtiero Stolfini comandante provinciale Corpo forestale Stato Brescia Richiesta copia faldone «Comerio»
Pag. 241
Data richiesta

Destinatario

Qualifica del destinatario

Oggetto

Data risposta
27.04.10 Benito Castiglia comandante provinciale Corpo forestale Stato La Spezia Atti aventi ad oggetto collaborazione con il Corpo forestale dello Stato dell'informatore noto come Pinocchio (2 documenti – Pennacchini) 07.05.10
14.05.10
FONTI
09.10.09 Ferdinando Mulas Direttore Ufficio CED Dipartimento Amministrazione penitenziaria Informazioni su Fonti e Giannettini; certificato carichi pendenti Fonti OK (risposta alla dottorssa Pumo)
08.10.09 Dott.ssa Rosa Pumo Consulente Notizie su autovetture in uso in anni ’80; notizie su Fonti e Giannettini 01.04.10
19.10.09 Stefania Della Pietra Segreteria giuridica PRA – Ufficio provinciale ACI Richiesta informazioni su alcune autovetture 28.10.09
16.11.09
19.10.09 Giancarlo Zuccari Cerimoniale – Autovetture e targhe – Ministero Affari esteri Richiesta informazioni su alcune autovetture  
28.10.09 Pietro Grasso procuratore nazionale antimafia Richiesta verbali e dichiarazioni Francesco Fonti 02.11.09
30.10.09 Giuseppe Pignatone procuratore della Repubblica presso il tribunale di Reggio Calabria Verbale interrogatorio Francesco Fonti  
30.10.09 Antonio Vincenzo Lombardo procuratore della Repubblica DDA Catanzaro Verbale interrogatorio Francesco Fonti; certificato penale 04.11.09
06.11.09 Vincenzo Macrì procuratore nazionale antimafia aggiunto Atti su vicende processuali Francesco Fonti 12.11.09
(aud.)
13.11.09 Ruggero Pesce Presidente Corte Appello di Milano Sentenza Francesco Fonti tribunale di Milano 09.12.09
13.11.09 Giorgio Santacroce Presidente Corte Appello di Roma Sentenza Francesco Fonti tribunale di Roma -09.12.09
-21.01.10
13.11.09 Vincenzo Cimino VQA Polizia di Stato procura Repubblica c/o tribunale RC Certificato carichi pendenti Fonti e Giorgi 30.11.09
19.11.09 Francesco Rutelli Presidente Copasir Verifica dati comunicati da Fonti  
19.11.09 Vincenzo Macrì procuratore nazionale antimafia aggiunto Richiesta osservazioni su appunto Fonti  
30.11.09
(audiz.)
Giuseppe Pignatone procuratore della Repubblica presso il tribunale di Reggio Calabria Memoriale Francesco Fonti e appunti consegnati da Fonti alla DNA 07.01.10
22.12.09 Cap. Angelo Franchi comandante compagnia carabinieri Mantova Acquisizione formale presso domicilio Fonti lettere trasmesse a quest'ultimo da Guido Garelli 22.01.10
22.12.09 Pietro Grasso procuratore nazionale antimafia Documentazione relativa ricevuta consegna memoriale trasmesso da Francesco Fonti nel 2005 al dottor Macrì 22.01.10
27.01.10 Barbara Carazzolo, Alberto Chiara, e Luciano Scalettari Giornalisti Audiocassette contenenti interviste a Fonti; ove possibile appunti relativi ad incontri con Fonti  
04.02.10 Pietro Grasso procuratore nazionale antimafia Sintesi colloqui investigativi aventi ad oggetto traffici illeciti rifiuti svolti da Fonti con il consigliere Macrì 02.03.10
11.02.10 Amm. Bruno Branciforte Direttore AISE Materiale documentale relativo alle «navi a perdere» riguardante Fonti  
19.02.10 Col. Rino Martini   Relazione su attività riscontro svolta in ordine ad autovettura di cui all'audizione 17/02/10 a Bologna 09.03.10
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Data richiesta

Destinatario

Qualifica del destinatario

Oggetto

Data risposta
19.02.10 Dott. Gualtiero Stolfini   Documentazione relativa ad attività di riscontro svolta in ordine ad autovettura di cui all'audizione di Martini del 17/02/10 a Bologna 23.03.10
19.02.10 ispettore Sup. Claudio Tassi Corpo forestale Stato
Comando provinciale La Spezia
Documentazione relativa indagini svolte sotto la direzione del Col. Martini  
23.02.10 Gen. Adriano Santini Direttore AISE Richiesta materiale informativo (riservato) 08.03.10
25.03.10 Andrea Gais Amministratore delegato Ignazio Messina Documentazione richiesta in audizione in Commissione 30 marzo 2010  
15.04.10 Pref. Giorgio Piccirillo Direttore AISI Rapporti tra Fonti e Servizi di Sicurezza 24.06.10
BASILICATA
23.10.09 Giovanni Colangelo procuratore presso tribunale Potenza Richiesta atti processuali Rotondella + verbali Francesco Fonti 09.11.09 (interl.)
12.01.10
13.11.09 Francesco Basentini procuratore Direzione distrettuale antimafia di Potenza Copia documentazione verifiche terreno zona vicino torrenti Vella e Calandrella nonché i verbali di interrogatorio relativi al traffico illecito dei rifiuti 30.11.09
(interl.)
12.01.10
Richiesta verbale Francesco Basentini procuratore Direzione distrettuale antimafia di Potenza Copia verbali dichiarazioni 09.02.10
17.02.10
19.02.10
Richiesta verbale   Corpo forestale Stato Informativa del 9.01.2004 con la quale si è riferito all'autorità giudiziaria sulle attività effettuate nel Centro Enea di Rotondella 09.03.10
30.03.10
19.03.10 Giovanni Colangelo procuratore presso tribunale Potenza Documentazione varia (l'ultima richiesta dell'elenco riguarda la Sogin)  
 
01.10.10 AISI Gen. Giorgio Piccirillo Richiesta documentazione notizie su Fonti 07.12.10
01.10.10 AISE Gen. Adriano Santini Richiesta documentazione notizie su Fonti 01.06.11
22.10.2010 Greenpeace Giannì e Onufrio Documentazione richiesta nel corso dell'audizione del 20 ottobre 2010 23.11.10
15.11.10 Corpo forestale Stato – Asti Livio Iacomuzio Documentazione relazione collaborazione «Pinocchio» e altra fonte 18.11.10
15.11.10 Corpo forestale Stato – La Spezia Benito Castiglia Documentazione relazione collaborazione «Pinocchio» e altra fonte 18.11.10
15.11.10 Corpo forestale Stato – Brescia Gualtiero Stolfini Documentazione relazione collaborazione «Pinocchio» e altra fonte 18.11.10
17.12.10 Dott.ssa Cesarina Ferruzzi   Documentazione richiesta nel corso dell'audizione del 15 dicembre 2010  
03.03.2011 Comando provinciale CC Roma
Nucleo investigativo
  Ricerche su email inoltrata da Giorgio Comerio a www.strill.it  
03.03.2011 Fabio Vaccaro Consulente Commissione Ricerche su dottor Rino Martini, Maresciallo Moschitta, documentazione medica su De Grazia  
03.03.2011 Francesco Pennacchini Consulente Commissione Documentazione dimissioni Martini da CFS  
07.03.11 AISI Gen. Giorgio Piccirillo Richiesta documentazione
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Data richiesta

Destinatario

Qualifica del destinatario

Oggetto

Data risposta
07.03.11 AISE Gen. Adriano Santini Richiesta documentazione  
13.04.11 Dott. Lucio Molinari procuratore militare Napoli Info relative a un procedimento a carico di Giuseppe Bellantone 11.05.11
13.04.11 Dott. Enrico Buttitta procuratore militare Verona Info relative a un procedimento a carico di Francesco Donato 09.06.11
24.05.11 AISE Gen. Adriano Santini Copia atti cui fa riferimento nota Sismi prot. 173118/932/7320  
18.05.11 Dott. Giorgio Vitari procuratore Rep. Asti Copia atti fascicolo n. 395/97  
18.05.11 Aled Williams Presidente Eurojust Documentazione su navi a perdere  
18.05.11 Robert Wainwright Direttore Europol Documentazione su navi a perdere  
27.07.11 ROS Sezione Reggio Calabria   Informativa dal Sisde al Ros del 1994  
28.07.11 Pref. Piccirillo AISI Documentazione
SEGRETO
8.2.12
29.03.12 Direttore SCO Copia frequentazioni Fonti presso Ministero interno 2.05.12
18.06.12
29.03.12 Vittorio Russo procuratore tribunale Lagonegro Copia atti proc. penale affondamento nave costa Maratea 27.04.12
29.03.12 Bruno Giordano procuratore tribunale Paola Relazione procedimento penale inquinamento fiume Oliva 16.04.12
29.03.12 Tommaso Buonanno procuratore tribunale Lecco Copia atti proc. penale 6356/93 RGNR 24.04.12
29.03.12 Giuseppe Quattrocchi procuratore tribunale Firenze Copia atti proc. penale per affondamento navi coste di Livorno e La Spezia 27.04.12
29.03.12
Soll.
31.10.12
Giovanni Tamburino Capo DAP Periodi di detenzione Fonti ed altro  
29.03.12 Direttore Ufficio Centrale Interforze Copia integrale fascicolo relativo a Francesco Fonti 10.05.12
29.03.12
Soll.1.8.12
Vito Riggio Presidente ENAC Richiesta relazione con notizie aeroporto Lugano 25.09.12
29.03.12 comandante Comando provinciale carabinieri Cosenza Informazioni su hotel Cetraro anno 1992 ospitalità Fonti e altri 24.05.12
29.03.12 comandante Compartimento Polizia Stradale Cosenza Notizie relative alle strade di collegamento Cetraro – Maratea 10.05.12
29.03.12   Questore di Matera Richiesta verifica possibile soggiorno Fonti e altri a Nova Siri 2.7.12
29.03.12 Stefania Milione comandante Ufficio circondariale marittimo di Maratea Documentazione fotografica 1992 relativa al porticciolo di Maratea 20.04.12
29.03.12 Basilio Tedesco comandante Delegazione Spiaggia di Melito Porto Salvo Documentazione fotografica 1992 relativa al porticciolo di Melito Porto Salvo 25.09.12
29.03.12 Gabriele Peschiulli comandante Ufficio circondariale Marittimo di Cetraro Documentazione fotografica 1992 relativa al porticciolo di Cetraro 14.05.12
29.03.12
Soll.1.8.12
Soll.
31.10.12
Francesco Tagliente
Fulvio Della Rocca
Questore di Roma Relazione riguardante Hotel Palace e Hotel Cristoforo Colombo relativamente a Fonti e altri 6.11.12
29.03.12 Giovanni Pinto Questore di Modena Verifica soggiorno Fonti e altri presso hotel Raffaello a Modena 18.05.12
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Data richiesta

Destinatario

Qualifica del destinatario

Oggetto

Data risposta
29.03.12 Luciano Scalettari Giornalista Copia cassette audio registrate colloqui Fonti e Garelli 17.05.12
29.03.12 Alberto Chiara Giornalista Copia cassette audio registrate colloqui Fonti e Garelli  
29.03.12 Barbara Carazzolo Giornalista Copia cassette audio registrate colloqui Fonti e Garelli  
20.04.12 Mar. Troiano Consulente Copia fascicolo capitano di fregata Natale De Grazia

18.6.12
(risposta del Dip. Mil. Mar. TA)
22.05.12 comandante stazione Carabinieri Nocera Inferiore Accertamentoidentità militari in servizio notte decesso De Grazia 23.05.12
23.05.12
Soll.
31.10.12
Giuseppe Aulicino comandante Capitaneria di porto La Spezia Notizie motonave Latvia  
23.05.12 Paolo Colombo CFS Brescia Notizie autovettura Sisde di Milano 16.7.12
23.05.12 Maurizio Caporuscio procuratore La Spezia Notizie motonave Rigel e Latvia 2.7.12
23.05.12 Giovanni Francesco Izzo procuratore Nocera Inferiore Notizie decreto archiviazione Gip (De Grazia) 18.06.12
11.07.12
Soll.
31.10.12
comandante Comando Carabinieri Nocera Inferiore Identità personale a bordo ambulanza sera decesso De Grazia  
18.07.12 Dott. Ottavio Sferlazza procuratore Repubblica Reggio Calabria Richiesta e decreto archiviazione p.p rgnr 5799/09 7.8.12
26.07.12 comandante Carabinieri Reggio Calabria Sei deleghe indagine di Scuderi  
1.8.12
Soll.
31.10.12
Dott. Ottavio Sferlazza procuratore Repubblica Reggio Calabria Eventuali procedimenti penali per Palamara 26.10.12
1.8.12   procuratore Repubblica Catanzaro Procedimento penale acque antistanti Cetraro 25.9.12
1.8.12
18.9.12
Giovanni Tamburino Capo DAP Relazione su detenzione Fonti 26.11.12
1.8.12 comandante provinciale Carabinieri Milano Accertamenti su Fabio Bartolini 15.10.12
1.8.12 comandante Carabinieri Cetraro Accertamento esistenza a Cetraro negozio mobili Spaccarotelle 25.9.12
1.8.12 comandante provinciale Carabinieri Parma Accertamento camion utilizzati ditta Fagioli di Parma 20.9.12
1.8.12
Soll.
31.10.12
comandante Carabinieri Santo Stefano Aspromonte Accertamento camion utilizzati impresa Musolino 6.9.12
1.8.12Soll.
31.10.12
Amm. Binelli Mantelli Capo Stato Maggiore Marina Militare Accertamento esistenza struttura intelligence a Livorno  
1.8.12
Soll.
31.10.12
Lorenzo Forcieri Presidente Autorità portuale La Spezia Accertamenti su navi Anni ed Euroriver  
17.10.12 Francesco Tarricone Direzione Persomil Copia scheda e foglio matricolare capitano De Grazia 14.11.12
17.10.12 Cesare Patrone Capo Corpo forestale Stato Relazione procedimenti amministrativi relativi a Rino Martini 12.11.12
19.11.12 Cesare Patrone Capo Corpo forestale Stato procedimenti amministrativi e riammissione Rino Martini 6.12.12
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Data richiesta

Destinatario

Qualifica del destinatario

Oggetto

Data risposta
19.11.12 Cesare Patrone Capo Corpo forestale Stato Procedimento amministrativo trasferimento Tassi 14.01.13
19.11.12 Francesco De Leo procuratore Livorno Procedimento penale presunto affondamento navi a Livorno e La Spezia 14.01.13
19.11.12 Dott. Edmondo Bruti Liberati procuratore Milano Eventuali procedimenti su nave Latvia  
19.11.12 Dott.ssa Laura Triassi procuratore Potenza Atti procedimentom penale n. 576/09/44 RG  
19.11.12 procuratore militare La Spezia   Esito procedimento trasmesso dal dottor Greco della procura di Paola (1990)  
22.11.12 Legione Carabinieri Calabria – Catanzaro comandante Lusi Documentazione integrale pensionamento Moschitta 3.12.12
27.11.12 Mario Paciaroni procuratore La Spezia Relazione su attività svolta dalla procura di RC su motonave Rigel 6.12.12

        Come si evince dal prospetto riportato, sono state approfondite tutte le dichiarazioni di Fonti comprese quelle attinenti a presunti viaggi dallo stesso effettuati in Somalia o alla sua permanenza presso gli alberghi menzionati.
        L'inchiesta ha, però, inevitabilmente scontato l'ineludibile ostacolo rappresentato dal decorso del tempo e dalla distruzione di documentazione da parte degli enti destinatari delle richieste, distruzione avvenuta in epoca molto antecedente alle richieste medesime.
        Tra gli altri, la Commissione ha svolto approfondimenti su quanto da Fonti riferito in merito alle visite asseritamente ricevute durante i periodi in cui era detenuto. Si sarebbe trattato di personaggi vari, non meglio identificati i quali sarebbero andati a trovarlo intimandogli di non parlare delle vicende relative allo smaltimento illecito di rifiuti radioattivi.
        In particolare, la Commissione ha richiesto al Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria di fornire i dati relativi ai periodi in cui il Fonti è stato detenuto nonché ai colloqui effettuati.
        Ebbene, secondo quanto comunicato dal Dipartimento predetto risulta che allorquando Fonti era detenuto nel carcere di Volterra aveva partecipato a due soli colloqui, in data 9 e 10 febbraio 1989, con il padre Fonti Beniamino Antonio. Mentre quando era detenuto a Brescia aveva partecipato a due colloqui, in data 28 giugno 1995 e in data 23 dicembre 1998, con la Signora Barbè Simona, sua convivente dell'epoca (doc. 1419/001, 1419/002 e 1419/003).
        Con riferimento, poi, all'episodio di smaltimento illecito di rifiuti radioattivi asseritamente avvenuto tra la fine del 1986 e l'inizio del 1987, Fonti aveva fornito indicazioni circa la sua presenza presso l'albergo Nova Siri (o Nova Siris) nell'omonima città, utilizzando per la sua permanenza nomi falsi. La questura di Matera, opportunamente interessata dalla Commissione al fine di verificare la descritta circostanza, ha fatto sapere che la documentazione di interesse, risalente agli anni 1986/87, non è più presente essendo stata distrutta.
        In relazione ad analoghe indicazioni ricevute dal Fonti, la Commissione ha richiesto similari accertamenti alle questure di Roma


Pag. 246

e Modena circa la permanenza del Fonti, sotto falso nome, presso note strutture recettive della capitale e del capoluogo di provincia emiliano nel 1978 e 1993. La risposta è stata, anche in questi casi, negativa in quanto il carteggio risultava ormai inviato al macero.
        La Commissione ha poi esaminato gli atti pervenuti dall'autorità giudiziaria con la quale Fonti aveva collaborato o intendeva collaborare. In particolare, in un verbale di interrogatorio (2) reso innanzi all'autorità giudiziaria di Potenza il Fonti spiegava la dinamica di uno smaltimento di rifiuti radioattivi del 1989: il materiale partito da Centro di Ricerca di Rotondella, sarebbe stato trasferito a mezzo camion forniti dalla ditta Fagioli di Parma, e giunto a La Spezia, sarebbe stato inviato in Somalia e Mozambico. Fonti asseriva altresì che per i trasporti dal centro Enea di Rotondella successivamente al 1987 alcuni camion sarebbero stati forniti dalla ditta Musolino di Santo Stefano d'Aspromonte, collegata alla famiglia Papalia di Platì.
        Anche in questo caso la Commissione ha interessato i competenti comandi provinciali dell'Arma, rispettivamente di Parma e Reggio Calabria, al fine di riscontrare la veridicità della notizia fornita.
        Il Comando provinciale Carabinieri di Parma non è stato in grado di fornire riscontro circa la fondatezza della notizia atteso il lasso di tempo trascorso ed ha fatto sapere che effettivamente esiste una ditta con questo nome che però non ha sede in Parma.
        Il Comando provinciale carabinieri di Reggio Calabria ha comunicato di non avere informazioni sul trasporto menzionato dal Fonti, pur precisando che era attiva sin dal 1965 un'impresa di trasporti riconducibile a Musolino Domenico di cui sono fornite le generalità.
        Sempre innanzi all'autorità giudiziaria di Potenza il Fonti aveva dichiarato il coinvolgimento nelle operazioni di smaltimento illecito di rifiuti radioattivi di un commercialista di Milano, indicandone il nominativo, per la predisposizione di fatture di copertura dei trasporti. Il locale Comando provinciale carabinieri, interessato dalla Commissione, ha accertato che presso l'Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili risultano iscritti due dottori commercialisti rispondenti a quel nome ma non risultano interessati da informative di polizia nè censiti presso l'anagrafe di Milano. Lo stesso Comando ha comunicato di non disporre «di elementi utili per affermare che i summenzionati operassero negli anni ’80 è 90 nella città di Milano».
        Con particolare riguardo alle affermazioni di Fonti circa l'affondamento di navi contenenti rifiuti, in questa sede appare opportuno segnalare che la Commissione ha svolto i necessari approfondimenti ed ha richiesto – tra l'altro – alle procure competenti copia degli atti di indagine svolti ed il loro esito. In particolare, per il presunto affondamento della m/n Voriais Sporadis nel mare antistante le coste di Melito Porto Salvo il giudice per le indagini preliminari, su richiesta del pubblico ministero, ha disposto l'archiviazione del procedimento penale. Nella richiesta dell'inquirente si legge che «gli accertamenti svolti dimostrano la totale inattendibilità del Fonti le cui dichiarazioni si sono caratterizzate per l'assoluta mancanza di credibilità e precisione» (doc. 1334/002)

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        Inoltre il pubblico ministero, esaminate e confrontate le dichiarazioni del Fonti circa alcuni aspetti del suo stesso racconto, conclude affermando: «Si tratta, com’è evidente, di particolari non secondari ma indimenticabili, sicché le divergenze sugli stessi appaiono tali da far escludere che quanto riferito dal Fonti si sia effettivamente verificato o che egli vi abbia davvero partecipato.»

5.9.1 Le informazioni fornite alla Commissione dai Servizi segreti.

5.10 La valutazione circa l'attendibilità di Fonti.

5.10.1 Le dichiarazioni rese dai magistrati.

        Riguardo il problema dell'attendibilità dell'ex collaboratore di giustizia Francesco Fonti, la Commissione ha svolto specifici approfondimenti, sentendo direttamente i magistrati che si sono occupati degli illeciti in materia di rifiuti ed, in particolare, di cercare elementi di riscontro alle dichiarazioni rese da Francesco Fonti sull'affondamento delle navi.
        In particolare, tale attività è stata svolta il primo ed il tre dicembre 2009, nel corso della missione effettuata dalla Commissione in Calabria.
        All'esito delle audizioni può affermarsi, in via generale, come i magistrati siano stati concordi nel ritenere fonti non attendibile.
        Si riportano integralmente le dichiarazioni rese sull'argomento dal procuratore distrettuale antimafia di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone:
        «Su Fonti, la situazione è la seguente. Fonti iniziò a collaborare nel 1993-1994 e ha reso alcune dichiarazioni sul traffico di stupefacenti, raccolte dal collega Gratteri, che sono sfociate in condanne. Per questo aspetto certamente, almeno in parte, fu ritenuto attendibile.
        Rese anche dichiarazioni, sempre allora, sulle ipotetiche gravi responsabilità di alcuni magistrati reggini alla procura di Milano, che lo ha incriminato per calunnia. L'autorità giudiziaria di Milano lo ha condannato, peraltro, a una pena estremamente elevata, di tredici anni, per il reato di calunnia. Di lui si sono poi perse le tracce dal punto di vista processuale.
        Nel 2006 rende un interrogatorio al collega Luberti di Catanzaro, che non ha particolare seguito e nel 2009 si fa vivo a seguito del ritrovamento della nave al largo di Cetraro.
        A prescindere da qualsiasi osservazione di tipo generale su tali dichiarazioni, rese dopo dieci anni dalla fine del periodo della collaborazione, abbiamo svolto un interrogatorio, di cui avrete certamente il riassuntivo. (...) vedrete che, a un certo punto, tale interrogatorio diventa anche piuttosto teso, in particolare nei miei confronti. Chiesi infatti a Fonti di chiarire diverse contraddizioni fra le dichiarazioni rese nel 2006, quelle rese in quel momento, il 28 ottobre 2009, quando ancora non si sapeva, o meglio lui non sapeva che il relitto localizzato al largo di Cetraro era il Catania – Fonti pensava soltanto, sulla base di notizie giornalistiche, che si fosse


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accertato che non era la Cunski. Batteva dunque, come vedrete, su questo, mentre la realtà era ancora diversa e più grave sotto il profilo delle sue rivelazioni, ma più tranquillizzante sotto un profilo generale – il contenuto di precedenti indicazioni date da Fonti in un memoriale inviato alla procura nazionale antimafia nel 2005 al dottor Macrì, che poi l'aveva girato alle diverse procure astrattamente competenti, e ancora, in alcuni appunti che lo stesso Fonti aveva mandato, sempre al dottor Macrì, nel 2003 (...). Nel 2005 vi è il memoriale a Macrì, su cui Fonti batte molto. In realtà è soltanto la copia sostanziale e non formale dell'intervista rilasciata nel 2005 a L'Espresso al giornalista Giorgio Bocca. Fonti sostiene di aver rilasciato l'intervista ma che gli sembrava brutto che il dottor Macrì dovesse leggerla sui giornali, ragion per cui gliel'avrebbe mandata.
        Non è chiarissimo che cosa sia avvenuto prima e che cosa dopo, ma non ha alcuna importanza. Sull'intervista de L'Espresso e quindi sul contenuto del memoriale – quando gli contesto il contenuto del memoriale, ribatte che gli contesto l'intervista – Fonti sostiene che alcune delle notizie scritte sono farina del sacco del giornalista.
        Gli appunti precedenti, del 2003, sono quelli che lui chiama flash di memoria, una somma di sue presunte conoscenze, notizie sicuramente lette sui giornali – lo dico perché ce ne sono moltissime successive alla sua scarcerazione – elementi che, invece, conosceva prima e mere deduzioni. Gli appunti contengono, dunque, queste diverse categorie, che bisognerebbe esaminare una per una.
        Ritengo inattendibile Fonti sul problema navi e smaltimento di veleni, al di là del fatto oggettivo che la nave di Cetraro è il Catania e non una nave piena di fusti o di scorie di qualunque tipo, per via delle contraddizioni che gli ho contestato. Cercai di fargli capire che era interesse di tutti che lui le chiarisse, ma Fonti sostenne che avrebbe accettato domande e non contestazioni.
        In merito all'affondamento, in alcuni atti lui sostiene di avere provveduto personalmente a mettere gli esplosivi, mentre in altri riferisce che vi avevano provveduto marinai sconosciuti, forniti di volta in volta dalle cosche mafiose.
        Sui luoghi, prima sostiene che una stessa nave sarebbe stata affondata al largo di Capo Metaponto e poi a Capo Spartivento. Sull'incontro personale con Muto, il mafioso di Cetraro, in un interrogatorio afferma che tale incontro fu diretto, in un altro dice di no. Sul contenuto dei bidoni, nell'interrogatorio giudiziale afferma di non aver conosciuto il contenuto – riferisce che il suo amico Giorgi, detto «Crapa», gli aveva solo detto che vi erano porcherie pericolose e che il mare avrebbe lavato tutto – mentre invece nel memoriale vengono indicati specificatamente per le tre navi tre diversi tipi di rifiuti: per una scorie radioattive, per le altre due rifiuti pericolosi di altro tipo. Sulle modalità di pagamento, non è chiaro se i soldi siano stati riscossi da lui, se li abbia distribuiti, se ne abbia avuto solo una parte, una percentuale o una somma fissa.
        Un dato importante dal punto di vista ’ndranghetistico riguarda la presenza di Paolo De Stefano, uno dei capi storici della ’ndrangheta della provincia di Reggio Calabria, all'incontro di Messina, in cui si sarebbe organizzato l'affondamento delle navi. Se ci fosse o meno l'equivalente di Totò Riina – io torno sempre alle mie origini siciliane,

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peraltro Totò Riina gode di maggior fama rispetto al De Stefano al di fuori della Calabria – non è un dettaglio di poco conto.
        Sui nomi delle navi vi è un aspetto, secondo me, interessante. Nel 2006 Fonti non ne parla, ma quando noi, nel 2009, gli citiamo Cunski, Yvonne A e Voriais Sporadais, sostiene di non aver mai fatto tali nomi.
        Andando a guardare il 2005, cioè il memoriale che corrisponde all'intervista a L'Espresso, si scopre che i nomi vengono citati. Alla specifica contestazione, il signor Fonti dichiara che probabilmente li ha scritti Bocca.
        Negli appunti del 2003, però, nel ripercorrere la storia – secondo me sulla base delle notizie giornalistiche, ma è una mia illazione – di alcune navi usate nel tempo per lo smaltimento dei rifiuti, tra cui la famosa Jolly Rosso, su cui per fortuna Reggio Calabria non è competente, cita proprio tali tre navi.
        La nascita, in carta di Fonti, dei nomi delle tre navi avviene dunque negli appunti del 2003, torna poi nel 2005 e viene meno nel 2009, quando si è scoperto che la Cunski non era la Cunski.
        Altre contraddizioni riguardano il punto, sempre fra memoriale e interrogatorio giudiziario, sull'acquisto di navi da parte della famiglia di San Luca: un po’ sono norvegesi e un po’ di altre nazionalità.
        Poi, naturalmente, ci sono i contatti con i servizi segreti. Quando gli abbiamo chiesto – risulta dal verbale in forma riassuntiva – perché non ne avesse parlato prima, Fonti rispose di aver avuto il veto dai servizi segreti, ma non si sa chi siano tali servizi.
        Aggiungiamo che la DDA di Potenza ha svolto, come certamente la Commissione sa, indagini estremamente approfondite senza alcun risultato. È stata accompagnata da Fonti sul posto dove avrebbero dovuto essere conservati bidoni pieni di materiale di illecita provenienza, ma non ha trovato niente.
        La mia opinione su Fonti per quanto riguarda le navi è questa. C'erano altre contestazioni, ma l'interrogatorio si è interrotto».
        Insieme al procuratore Pignatone è stato audito Nicola Gratteri, procuratore aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Reggio Calabria:
        «Dal novembre del 1993 al gennaio del 2006 ero alla procura di Locri e sono stato applicato alla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria. (...) Fonti nasce come ’ndranghetista, viene battezzato, quando era un giovane studente, nel locale di ’ndrangheta di Siderno, dove viene portato da Pietro Bartolo e da altri giovani ’ndranghetisti dell'epoca e avrebbe dovuto entrare nel locale di ’ndrangheta di Bovalino, dove è residente. Nasce come truffatore di mobili, se non che la famiglia Romeo di San Luca, una delle famiglie di élite della ’ndrangheta, il cui capostipite, Romeo detto «Stacco», classe 1879, che ha retto il crimine di San Luca, lo invitò a San Luca, perché il locale di Bovalino era di serie B o C. La famiglia Romeo Stacco lo delega a distribuire la cocaina nelle province di Bologna e di Modena. Questo è Fonti Francesco. Su questi due aspetti è stato preciso come un orologio svizzero e siamo riusciti a riscontrare tutto ciò che ha riferito.

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        Personalmente, ho iniziato a interrogarlo dopo che il dottor Vincenzo Macrì l'aveva a sua volta interrogato per un anno e tre mesi, nel corso del quale aveva sempre parlato di droga, di affiliati alla ’ndrangheta che si trovavano in Piemonte, dove operò per un periodo, e quindi della ’ndrangheta della provincia di Reggio Calabria. Questo era il triangolo, oltre all'Emilia Romagna.
        Quando ho iniziato a interrogarlo io, presso la squadra mobile di Milano, un giorno siamo saliti col collega Verzera, e Fonti cominciò a parlarci – dopo aver parlato col dottor Macrì, per un anno e tre mesi, solo di 416 bis e di 74 – di magistrati.
        L'ho interrogato almeno per altri cinque o sei anni in numerosi altri processi e lui ha ripetuto quasi sempre gli stessi fatti, ossia droga e 416 bis. Poiché avevamo non più di cinquanta collaboratori di giustizia che potevano parlarne, quando si trattava di famiglie storiche della ’ndrangheta andavamo a cercare i quattro o cinque pentiti che potessero parlarci del locale di riferimento del processo. Nei sei anni in cui io l'ho sentito, Fonti non ha mai parlato di navi.
        Avrò tenuto almeno una trentina di interrogatori – posso anche contarli, forse li ho ancora memorizzati nel computer – e non ha mai parlato di navi. Abbiamo sempre parlato di droga, di associazione a delinquere di stampo mafioso e di associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti.
        A seguito delle sue dichiarazioni, le persone delle quali ha parlato con riferimento agli stupefacenti sono state condannate, sia i Romeo detti Stacco di San Luca, sia i Giorgi, sempre di San Luca, sia altri trafficanti. Nel traffico di droga era molto esperto e aveva una buona dimestichezza con riferimento al dosaggio e ai prezzi. Posso definirlo un esperto in questo campo. Di altro non ha mai parlato.
        Quando col procuratore, ogni volta che tornava da Roma, parlavamo di questi fatti, ero sempre più meravigliato, perché mi domandavo come mai non ne avesse mai parlato con me».
        Alla domanda posta dal Presidente della Commissione, se Fonti gli avesse mai parlato di traffico illecito di rifiuti, il procuratore Gratteri ha risposto:
        «Non che io ricordi. Una volta sola, non ricordo in quale contesto, mi ha riferito un elemento che mi ha colpito, al di fuori della droga e dei 416 bis, ossia che a Matera o a Potenza aveva incontrato Susanna Agnelli e Pesenti in un albergo per parlare con loro. Non ricordo altro, però. Peraltro, a seconda dei gradi all'interno della ’ndrangheta, è impossibile accedere a determinate operazioni. Essendo un trafficante di cocaina, Fonti non aveva un grado alto nella ’ndrangheta, non faceva parte sicuramente dei gradi dalla Santa in su – Santa, Vangelo, Quartino e Trequartino – ma sicuramente era al di sotto. Poteva essere sgarrista o camorrista, ma non di più. Aveva, quindi, un ruolo sostanzialmente esecutivo e non decisionale. Per parlare di temi superiori al traffico di droga o alla commissione di omicidi bisogna avere un grado alto nella ’ndrangheta, altrimenti non vi si può accedere, nemmeno a livello di discussione.
(...) La prima volta che lo interrogai fu nel 1993, a novembre, perché, quando sono arrivato, sono stato applicato alla procura di Reggio Calabria, che era ancora nel palazzo vecchio, a Piazza Castello.

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        Arrivò un'informativa, che era un volume enorme, di 2 mila pagine, dello SCO di Roma e da allora ho incominciato a interrogarlo continuamente. Mi sono recato moltissime volte alla squadra mobile di Milano quando era libero, poi è stato detenuto e sono andato più volte a sentirlo in carcere, poi l'ho interrogato molte volte a Roma in Via Cola di Rienzo, dove c'era la DIA, poi l'ho sentito nel carcere di Milano Opera e in quello di Torino. L'ho ascoltato decine di volte».
        Il procuratore Pignatone ha poi precisato che Fonti iniziò a parlare di navi nell'anno 2006.
        Il procuratore Gratteri ha proseguito delineando il contesto criminale nel quale Fonti era inserito, affermando che lo stesso non aveva, in tale ambito un ruolo elevato:
        «(...) Lui aveva un diploma. Ci sono medici primari che sono santisti, o anche avvocati. Un pentito riferiva anche di magistrati che potevano essere all'orecchio del Gran maestro, incappucciati, che partecipavano a riunioni. Il santista non è un corriere o un trafficante di droga, ma una persona di concetto. Non commette reati materiali, parla, si ascolta e delinea strategie, concetti, filosofia criminale, a livello di struttura apicale, di regia. Non gestisce 30 chili di cocaina a settimana a Modena o a Bologna, come nel caso in specie, in base alle mie conoscenze.
        Sono magistrato da quasi 25 anni e nella vita, anche quando la DDA non esisteva, mi sono occupato solo di 416 bis e 74. Non so fare altro. Conosco, quindi, perfettamente le regole della ’ndrangheta, anche non scritte. Un santista non può nemmeno essere un killer, non può ammazzare».
        «Fonti è di Bovalino, non appartiene a una famiglia mafiosa. Il padre era una persona normale, perbene, un lavoratore. Fonti ha incominciato a diventare ’ndranghetista frequentando il liceo scientifico di Locri insieme a Totò Cordì, Pietro Bartolo e altri. Non è assolutamente di una famiglia ’ndranghetista. Se lo fosse stato, se fosse stato parente di Nirta, sarebbe stato battezzato nel locale di San Luca, perché la famiglia Nirta è una di quelle di élite, storiche, della ’ndrangheta, che discutevano alla pari con Cosa nostra americana, siciliana o con la camorra. Stiamo parlando di gente di altissimo livello, uno dei quali era presente quando fu sequestrato Moro».
        Il procuratore aggiunto di Catanzaro, Giuseppe Borrelli, audito il 3 dicembre 2009, con specifico riferimento alle dichiarazioni rese da Fonti in merito all'affondamento di navi, si è espresso in modo piuttosto netto riguardo la non attendibilità di Fonti dichiarando:
        «Per quanto riguarda Fonti, abbiamo prodotto – sapevamo che interessavano alla Commissione – alcuni atti che possono essere significativi. Ho discusso della questione anche con il collega Pignatone e so che la Commissione gli aveva richiesto alcuni atti, che probabilmente troverete tra quelli che produrremo.
        In particolare, abbiamo prodotto i due verbali di interrogatorio di Fonti, con le relative trascrizioni, sia quello reso al collega Luberto nel 2006, sia quello reso a me e a Pignatone più recentemente. Abbiamo, inoltre, prodotto i report delle attività di ispezione sottomarina realizzate nelle diverse epoche, con riferimento ai due relitti rinvenuti.

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        Bisogna tener presente, infatti, questa circostanza. I relitti che costituiscono oggetto di questo processo sono due: uno viene rinvenuto nel 2006 e identificato piuttosto velocemente come la motonave Federico; successivamente, viene trovato l'altro, che sarà identificato come il Catania.
        Ovviamente non scendo nel dettaglio di quello che già sapete, perché ve ne ha parlato il procuratore in questo momento, nonché il collega Pignatone ieri.
        Vorrei solo aggiungere che, dalla lettura del verbale di interrogatorio di Fonti – non aggiungo molte novità neanche in questo senso – potrete cogliere diversi spunti di inattendibilità. La ricostruzione della vicenda dell'affondamento delle navi, tra il 2006 e il 2009, cambia infatti in punti fondamentali, che non possono essere oggetto di dimenticanza.
        Posso comprendere che il collaboratore erri la collocazione temporale dell'affondamento, parlando nel 2006 dell'ultimo bimestre del 2002 e nel 2009 del primo bimestre del 2003. Si tratta dell'inverno 2002-2003, quindi non è una dimenticanza di particolare conto.
        Nel 2006, però, riferisce che l'esplosivo fu portato da loro da Reggio Calabria, mentre nel 2009 sostiene che fu dato loro dai Muto. Nel 2006 afferma di aver incontrato Franco Muto in un mobilificio, mentre nel 2009 dice di non aver incontrato lui, ma alcuni emissari della famiglia Muto. Erra, inoltre, nella localizzazione dell'affondamento di una delle tre navi, indicando nel memoriale la zona di Metaponto e nel 2009 quella di Melito Porto Salvo.
        Ci sono numerosi punti che non possono essere, di fatto, oggetto di dimenticanza e che sono spiegabili unicamente con la circostanza che l'affondamento non sia avvenuto. Punto e basta. Ne parlo empiricamente, da pubblico ministero».
        Con riferimento ad alcuni appunti consegnati da Francesco Fonti all'autorità giudiziaria di Catanzaro e nei quali sarebbero state annotate le coordinate dei punti di affondamento delle tre navi che Fonti assume di aver affondato, nel corso della medesima audizione del 3 dicembre 2009, il procuratore generale della Corte d'appello di Catanzaro, Dolcino Favi, ha affermato:
        «(...) lui si sarebbe segnato le coordinate dei punti in cui sarebbero state affondate le due navi, sulla base dei riferimenti avuti dal soggetto criminale che gli avrebbe parlato di questo argomento. Tuttavia, prima afferma di averle, poi di non averle, poi di averle a casa. In altri termini, avrebbe segnato le coordinate sulla base di un riferimento».
        Infine, è stato audito Vincenzo Luberto, sostituto procuratore distrettuale antimafia di Catanzaro, il quale ha ulteriormente ribadito la non attendibilità di Fonti ritenuta dall'Ufficio di Catanzaro:
        «Volevo svolgere una brevissima annotazione sul caso Fonti. La posizione dell'ufficio, per come si è spiegata nell'ultimo tempo, è assolutamente coerente con le valutazioni del tribunale di Paola in merito. Come saprete, l'esame di Fonti si tenne, come attività integrativa di indagine, nell'ambito di un processo che verteva sulla cosca Muto. Ciò è particolarmente importante, perché ritengo che sia stato il primo con costituzione di parte civile da parte della Presidenza

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del consiglio dei ministri. Lo stesso presidente del tribunale di Paola, presidente di tale collegio, ritenne Fonti inattendibile, in quanto, già nel verbale del 2006 e al di là di ciò che atteneva all'affondamento delle navi – in realtà, in quel verbale parla di una nave affondata e di due propositi di affondarne altre, che sosteneva di non conoscere all'epoca, in quanto era stato riarrestato – riferisce, rispetto a coloro che avrebbero collaborato a inabissare queste due navi, dati piuttosto inattendibili circa i collaboratori del boss Franco Muto. In particolare riferisce, in maniera oggettiva, fatti – ribadisco – piuttosto destituiti di fondamento sul genero di Franco Muto. Abbiamo già una pronuncia giurisdizionale che, non a caso, il nostro ufficio non ha impugnato, proprio perché era un dato oggettivo che egli fosse inattendibile già rispetto all'organigramma della cosca Muto».
        Riguardo ai motivi che avrebbero spinto Fonti a parlare di questi argomenti solo anni dopo l'inizio delle sua collaborazione e alle minacce che avrebbe ricevuto per non parlare, riferite dallo stesso Fonti alla Commissione, il procuratore Luberti ha dichiarato:
        «(...) Le riferisco con molta chiarezza qual è stato il motivo che mi ha spinto ad andare a sentire Fonti. Stavamo tenendo un processo sulla cosca Muto e cercavamo di dimostrare – e ci siamo riusciti – che la ’ndrangheta non fosse un'organizzazione orizzontale, ma che vi fossero organizzazioni che ci consentissero di provare l'esistenza di una struttura semiverticistica, ossia di collegamenti molto forti fra la ’ndrangheta della Calabria settentrionale e quella della Calabria meridionale, in particolare con le cosche di San Luca. Quando L'Espresso pubblicò il memoriale di Fonti, nell'ambito del quale si parlava di collegamenti tra la cosca Romeo e in genere tra le cosche sanlucote con la cosca Muto, andai a sentirlo e trovai una situazione di grande lamento da parte sua, perché era stato, come si suol dire, scaricato; era stato, cioè, capitalizzato e quindi congruamente scaricato, come dicono in gergo i commissari della Commissione di inchiesta sulla gestione dei collaboratori di giustizia.
        In sostanza, una volta esauriti i processi in cui le sue dichiarazioni vengono rese, il collaboratore viene capitalizzato – ove lo chieda, cioè, gli si conferisce un capitale con il quale reimmettersi nella vita di tutti i giorni – e non è più soggetto a particolari tutele.
        Fonti lamentava uno stato di isolamento, di mancanza di tutela, che però egli stesso aveva chiesto. Cominciò, quindi, a parlare del fatto di non essere più tutelato e di essere stato abbandonato, il che era assolutamente congruo con i suoi trascorsi processuali e con le condanne per calunnia che aveva all'epoca riportato.
        Non parlò apertamente del motivo per cui non avesse riferito dello smaltimento dei rifiuti. Per quanto mi concerneva, sostenne di non aver mai parlato dei rapporti con la cosca Muto, perché nessuno glielo aveva mai chiesto».

5.10.2 Le conclusioni cui è pervenuta la Commissione di inchiesta in merito all'attendibilità di Francesco Fonti.

        La Commissione ha riesaminato tutte le dichiarazioni che Fonti ha reso nel tempo, all'autorità giudiziaria, ai giornalisti e ad altre commissioni parlamentari.


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        Inoltre, ha direttamente ha audito Fonti per due volte ed ha, quindi, avuto un contatto diretto con il dichiarante in ossequio a quel principio di immediatezza nell'acquisizione della prova testimoniale che permea il processo penale e che ha la funzione di garantire che la percezione del teste sia immediata e non filtrata da verbali scritti o da dichiarazioni altrui.
        Il contatto diretto con la fonte di prova ha reso ancora più evidenti le contraddizioni, le reticenze e le parziali verità che da sempre contraddistinguono la narrazione di Fonti, nella quale non è facile comprendere quanto sia oggetto di percezione diretta e quanto invece sia riportato de relato.
        La giustificazione che puntualmente Fonti ha dato alla Commissione nel momento in cui gli venivano chiesti elementi più specifici è stata quella di non essere adeguatamente protetto dalle istituzioni. In sostanza, Fonti avrebbe voluto essere sottoposto nuovamente al programma di protezione e solo in quel caso avrebbe potuto riferire tutto ciò che sapeva.
        A destare le maggiori perplessità circa la genuinità delle dichiarazioni è in primis l'origine della collaborazione di Fonti sulla materia del traffico di rifiuti radiotattivi.
        Le versioni, peraltro diverse, fornite da Fonti in merito alla sua decisione di collaborare sulla materia dei rifiuti, intervenuta solo a partire dall'anno 2003, inficiano la sua credibilità.
        La ricostruzione verosimile dei fatti è che Fonti, una volta cessato il programma di protezione, a seguito del contatto con alcuni giornalisti, si sia reso conto dell'importanza che le dichairazioni su questo tema avrebbero potuto avere per l'opinione pubblica ed i giornali nonché per l'avvio di nuove indagini giudiziare, in relazione alle quali avrebbe potuto ottenere un nuovo programma di protezione.
        Invero, sin dal primo contatto che egli ebbe con l'autorità giudiziaria negli anni 2002/2003, come si evince dalla lettura dei verbali di interrogatorio effettuati innanzi alla dottoressa Genevese, Fonti pose in primo piano l'esigenza di tutela della propria incolumità.
        Allorquando però gli vennero richiesti dati più concreti e riscontrabili proprio al fine di formulare una richiesta di ammissione al programma di protezione, Fonti non fornì elementi che potessero essere riscontrati e che quindi, in quel preciso momento storico, potessero legittimare il pubblico ministero ad inoltrare la richiesta di protezione.
        Che ciò sia dipeso da una strategia di Fonti finalizzata ad ottenere ciò a cui non aveva diritto ovvero che sia dipeso dal suo timore reale di rendere dichairazioni che avrebbero potuto mettere seriamente in pericolo la sua incolumità non è dato sapere.
        Di certo Fonti è stato spesso contraddittorio e, con specifico riferimento, ad esempio, al presunto luogo di interramento di rifiuti in Basilicata non ha mai, sebbene più volte sollecitato anche dalla Commissione, saputo o voluto indicare tale luogo.
        È anche possibile che Fonti non conoscesse affatto questo posto e ciò si desume da uno stralcio di uno degli interrrogatori resi di fronte alla dottorssa Genovese.
        Quest'ultima, infatti, chiese a Fonti di indicare il posto in Basilicata ove erano stati interrati i fusti contenenti rifiuti radioattivi.

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Fonti inizialmente rispose di non saperlo per non avere partecipato direttamente alle operazioni; successivamente, a seguito delle insistenti domande del pubblico ministero, resosi conto dell'importanza che il magistrato dava a quell'informazione, cambiò versione dicendo di conoscere il posto e di essere in grado di indicarlo.
        Si riporta lo stralcio citato, tratto dall'interrogatorio del 20 marzo 2004 (doc. 242/2):


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        Ciò che emerge dall'interrogatorio è emblematico dell'atteggiamento di Fonti sopra descritto, ovverossia l'atteggiamento di chi ha come obiettivo prioritario quello di essere sottoposto a programma di protezione.
        Deve essere sottolineato, inoltre, che anche durante le audizioni di fronte a questa Commissione Fonti si è sempre riservato di fornire indicazioni che poi non ha fornito ovvero di produrre documenti che poi non ha prodotto sostenendo che solo laddove fosse stato sottoposto a programma di protezione avrebbe potuto rendere una deposizione franca e globale in quanto, altrimenti, avrebbe rischiato la propria vita.
        È opinione, quindi, della Commissione che le vicende attinenti al fenomeno delle navi a perdere debbano essere esaminate valorizzando non tanto le dichiarazioni di Fonti, quanto invece altri elementi di carattere giudiziario emersi nel corso dell'inchiesta della Commissione.

6. I traffici di rifiuti radioattivi e i servizi segreti.

        La Commissione ritiene opportuno in un capitolo autonomo le questioni attinenti al presunto interessamento dei servizi segreti rispetto al tema del traffico dei rifiuti radioattivi, o comunque tossici.
        Secondo quanto emerso nel corso dell'inchiesta i servizi segreti si sono occupati della questione sia attraverso la collaborazione con l'autorità giudiziaria di Reggio Calabria sia, per la verità, in epoca antecedente all'avvio dell'indagine giudiziaria attraverso attività di monitoraggio e di informazione in merito a vicende di rilevanza internazionale che concernevano, per l'appunto, le problematiche dei traffici di rifiuti radioattivi e tossici prevalentemente verso paesi in via di sviluppo.
        Le spese sostenute dal Sismi per i settori del traffico di armi e stoccaggio dei rifiuti radioattivi – anno 1994.
        Per le attività che in generale il Sismi svolse nel 1994 in relazione ai temi concernenti i traffici di armi e lo stoccaggio di rifiuti radioattivi furono utilizzati 500 milioni di lire.
        Di ciò si ha contezza dalla lettura della nota con la quale il Sismi ebbe a comunicare al Cesis le spese sostenute nell'anno 1994 per i servizi di intelligence sopra indicati (doc. 294/55).


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        Adriano Santini, direttore dell'Agenzia informazioni e sicurezza esterna (Aise), è stato audito dalla Commissione il 21 giugno 2011 in merito alle attività che i servizi svolgevano e svolgono rispetto alla materia dei traffici illeciti di rifiuti tossici.
        Sono state inoltre chieste precisazioni in merito alle causali giustificative di dettaglio della somma di 500 milioni utilizzata dal Sismi nell'anno 1994 per le attività connesse al traffico di armi e allo stoccaggio di rifiuti radioattivi.
        Al riguardo il direttore ha dichiarato:
            le attività che il Sismi, prima, e l'Aise, attualmente, hanno condotto nel settore dei rifiuti radioattivi e delle cosiddette navi a perdere hanno sempre riguardato il contrasto al traffico dei rifiuti radioattivi;
            con riferimento alla spesa di 500 milioni di lire ha riferito testualmente: «In realtà, si tratta di una segnalazione abbastanza corposa che era conseguente a questa audizione del presidente del Consiglio pro tempore, che riferiva su tre argomenti nel dettaglio: contrasto all'immigrazione clandestina, per cui erano destinate certe risorse, contrasto al traffico d'armi e al traffico illegale dei rifiuti. Per queste due attività erano stati destinati 500 milioni. La cosa è stata posta all'attenzione, si è approfondito l'argomento e entrando nel dettaglio degli allegati cioè della relazione allegata alla lettera si può verificare come intanto il Sismi in quel periodo abbia dedicato una


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forte attenzione al traffico di armi. Solo dal punto di vista della dimensione degli allegati, 11 pagine vengono dedicate a questa attività specifica, mentre il contrasto al traffico dei rifiuti comprende non più di un paio di pagine e rimanda ad una serie di allegati. Gli allegati a questo argomento sono allegati che consistono fondamentalmente in una mappatura delle centrali termonucleari presenti in quel periodo sul territorio europeo – 280 o 290 non ricordo il numero esatto – indicate come potenziale sorgente di rifiuti. Il secondo argomento riguardava il numero, la localizzazione delle navi, il potenziale carico delle stesse – 51 navi – che in qualche modo erano state perse nelle acque di competenza nazionale. C’è un grosso allegato che riporta l'elenco di queste navi con la definizione, il carico che potevano aver trasportato, la localizzazione, l'evento e così via. La terza parte, invece, tratta della sorgente nazionale di potenziali rifiuti, quindi definisce quelle che erano le giacenze italiane di rifiuti radioattivi e il carico annuale che era fondamentalmente conseguente agli istituti di ricerca ed agli istituti medici. Questa è l'attività cui fa riferimento specifico quella lettera e quella relazione, che è stata in qualche modo male interpretata (...) non si tratta di risorse, 500 milioni di lire, destinate dal Governo pro tempore del 1994 per smaltire i rifiuti. No, si tratta di 500 milioni destinati complessivamente ad attività di contrasto al traffico di materiali di armamento, attività dettagliata con missioni e operazioni indicate una per una e attività direi di survey sulle potenzialità connesse allo smaltimento dei rifiuti radioattivi».
        Deve essere, però, sottolineato, a parere della Commissione, come in realtà già nell'ambito delle indagini giudiziarie si ipotizzasse una sorta di connessione tra i traffici di armi e di rifiuti con i paesi del terzo mondo, quasi vi fosse una sorta di scambio tra le armi di cui avevano bisogno soprattutto i paesi in guerra civile e i rifiuti che quegli stessi paesi erano disposti ad accettare come contropartita.
        Nel corso dell'audizione sono state affrontate le questioni attinenti alla presunta attività di controllo che i servizi avrebbero effettuato in talune occasioni sugli inquirenti. In realtà vi è solo un dato comunicato dal colonnello Rino Martini del Corpo Forestale dello Stato di Brescia che fa esplicitamente riferimento a ciò, ossia quello concernente un episodio specifico in cui gli inquirenti notarono in un ristorante ove stavano cenando uomini sospetti giunti a bordo di una macchina la cui targa era riconducibile ai servizi. Questa circostanza però è stata successivamente smentita dalle informazioni fornite dai servizi stessi.
        Sono state poste, dunque, domande, in merito alle dichiarazioni rese dal magistrato Francesco Neri e da ufficiali di polizia giudiziaria circa il fatto di essere stati pedinati.
        Sul punto il direttore dell'Aise ha dichiarato di non avere elementi per poter affermare che i servizi fossero in qualche modo coinvolti.
        Alla domanda se il Sismi (ora Aise) si sia occupato dello smaltimento dei rifiuti radioattivi in Italia, il direttore ha risposto che oggi certamente l'agenzia non si occupa dello smaltimento dei rifiuti radioattivi, ma anche nel passato l'agenzia non si era occupata dell'argomento se non in una prospettiva di elaborazione di strategie di contrasto al fenomeno.

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        Il direttore ha precisato che, alla data dell'audizione, non vi erano attività illecite internazionali che potessero coinvolgere anche l'Italia o trasferimenti di rifiuti in paesi del terzo mondo, come la Somalia («non sono attualmente all'attenzione del servizio attività di smaltimento nei paesi del terzo mondo di rifiuti radioattivi»).
        Il 12 luglio 2011 è stato audito anche il direttore dell'Aisi, Giorgio Piccirillo, il quale ha dichiarato in sintesi che nel 2003 il direttore pro tempore, prefetto Mori, venne sollecitato dalla Commissione parlamentare d'inchiesta presieduta dall'onorevole Paolo Russo ad effettuare attività informativa al fine di individuare eventuali infiltrazioni camorristiche nella gestione dell'emergenza.
        Questa attività fu sospesa nel 2004 per riprendere nel 2007 su richiesta del prefetto Alessandro Pansa, allora commissario delegato per l'emergenza, che interessò l'allora direttore di Aisi per una nuova penetrazione informativa finalizzata a sostenere i processi decisionali di quel Commissario. Fu, quindi, avviata un'attività che si concluse nel gennaio del 2008 per verificare l'affidabilità delle persone fisiche e giuridiche interessate al settore dei rifiuti, la segnalazione di imprese con profili di contiguità e organicità a strutture criminali, le irregolarità e le anomalie nella gestione amministrativa e operativa nei servizi preposti allo smaltimento, il monitoraggio delle iniziative di protesta.
        Dopo il 1994 dunque, l'Agenzia e il Sisde hanno sviluppato ancora attività informativa con riferimento al settore dei rifiuti.
        «Anche per quanto riguarda i rapporti internazionali, noi ci interessiamo di criminalità transnazionale ed in questo contesto abbiamo acquisito informative su quella che è l'attività dei cinesi per il traffico di rifiuti nocivi da e per l'Italia. Quindi stiamo sviluppando un quadro informativo che ci consente di volta in volta di interessare la polizia giudiziaria su quelle che possono essere le attività collegate a questo tipo di interesse criminale. Quindi l'Agenzia è presente nel settore, l'Agenzia non ha più espresso valutazioni sugli episodi di cui abbiamo parlato perché non fa più parte delle conoscenze attuali, sono conoscenze legate a quel periodo, acquisite attraverso gli atti, sulle quali noi oltre quello che abbiamo dato non siamo più in grado di dare nulla, soprattutto per quanto riguarda le attività allora legate a traffici indirizzati all'estero, perché non era assolutamente competenza del Sisde interessarsi di attività oltre i confini nazionali. Il quadro di situazione in questo momento è quello che ho fatto. C’è un'attività informativa presente sul territorio, c’è un'attività sulla quale si sta cercando un quadro complessivo che possa avere dei riscontri ovviamente oggettivi per poi interessare la polizia giudiziaria per gli sviluppi di competenza».
        La Commissione non ha avuto però le precisazioni richieste con particolare riferimento alle modalità di utilizzo della somma di 500 milioni di lire impiegata nel 1994 dal Sismi nei settori già indicati.
        Proprio in ragione della stretta collaborazione che negli anni 1994/1995 ci fu tra il Sismi e la procura di Reggio Calabria, la Commissione ha ritenuto di audire il direttore del Sismi dell'epoca,

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ossia il generale Sergio Siracusa, attualmente consigliere del Consiglio di Stato, il quale ha riferito che nel 1995 l'allora presidente del consiglio Dini fu ascoltato dall'allora Copaco, oggi Copasir, e successivamente fu inviata da parte del Sismi, tramite il Cesis, una relazione sull'attività svolta. Tra le attività svolte erano ricomprese quelle relative allo stoccaggio dei rifiuti radioattivi; il Cesis richiese al Sismi l'ammontare orientativo della spesa sostenuta dal servizio nel campo dell'immigrazione clandestina, del traffico d'armi e del traffico di materiale pericoloso.
        Ci fu una risposta dettagliata da parte del generale Siracusa nella quale si indicava che l'ammontare orientativo della spesa era stato di 20 milioni di lire per l'immigrazione clandestina e di 500 milioni di lire per quanto riguardava il traffico d'armi e lo stoccaggio di materiale radioattivo.
        Le spese per le attività di intelligence, ha aggiunto Siracusa, si riferivano alla raccolta del materiale informativo tesa al contrasto delle predette attività (traffico d'armi e stoccaggio di rifiuti radioattivi).
        Testualmente il generale Siracusa ha dichiarato:
        «Il servizio è sempre stato molto interessato alle scorie radioattive e a che fine facessero queste scorie. Non solo le scorie delle centrali in funzione, ma era anche interessato alle centrali già dismesse, per lo stesso motivo, ed anche allo smantellamento delle armi nucleari dovute agli accordi successivi alla caduta del muro di Berlino (...) nel sommario delle attività svolte nel 1994 e precedenti inviata al Presidente del Consiglio c’è un capitolo proprio dedicato allo stoccaggio di materiale radioattivo in cui si indicava con un certo dettaglio qual era stata l'attività svolta, vale a dire il censimento delle centrali nucleari, tutte quelle di interesse, comprese quelle dell'Europa orientale, quindi della Russia, della Comunità di stati indipendenti intorno alla Russia».
        A seguito di una domanda specifica rivolta dal Presidente della Commissione in merito alla voce di spesa concernente il traffico dei rifiuti il generale Siracusa ha risposto:
        «Innanzi tutto vorrei dire che il Governo non ci assegna fondi in maniera specifica ma assegna un budget al servizio. Ci sono fondi riservati e fondi, diciamo, aperti, e il servizio li impegna nei settori di maggiore interesse. Non c’è un'assegnazione di fondi per qualcosa. La curiosità del presidente del Consiglio, probabilmente su richiesta del Copaco di allora, era riferita per avere un'idea di quello che potesse essere stato un impegno di spesa in questi tre grandi settori (immigrazione clandestina, traffico d'armi e stoccaggio di materiale pericoloso (...) le somme indicate erano necessariamente arrotondate».
        Il Presidente ha effettuato domande più dettagliate in merito all'impiego dei 500 milioni ed ai risultati ottenuti a seguito dell'espletamento delle attività di intelligence nel settore dello stoccaggio dei rifiuti pericolosi.
        Il generale Siracusa ha dichiarato che i risultati sono stati esposti nella relazione cui aveva già fatto riferimento (una relazione del 1995 inviata al Presidente del Consiglio dei Ministri), e comunque le attività

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di intelligence riguardavano essenzialmente l'aspetto informativo e non operativo (ossia i servizi non si sarebbero mai occupati operativamente dello smaltimento di rifiuti pericolosi).
        L'indicazione generica e approssimativa della somma di 500 milioni di lire dipende dal fatto che i servizi di informazione si basano sull'acquisizione di notizie da determinate fonti che devono essere remunerate. L'attendibilità delle fonti deve poi essere verificata attraverso ulteriori attività, e dunque le spese per l'attività informativa si giustificano sulla base di tali dati.
        In merito alla Somalia e ad eventuali traffici di rifiuti in Somalia all'epoca (1995) non vi erano informazioni.
        Un personaggio del quale i servizi si sono interessati sia in epoca risalente sia in epoca più recente è Giorgio Comerio, uno dei principali «protagonisti» delle indagini svolte dalla procura di Reggio Calabria nell'anno 1994.
        La figura di Giorgio Comerio è emersa anche dalle indagini svolte dalla procura distrettuale antimafia di Potenza, in quanto l'ex collaboratore di giustizia Fonti Francesco vi aveva fatto più volte riferimento nel corso degli interrogatori innanzi alla dottoressa Genovese, definendolo come personaggio implicato nello smaltimento di rifiuti radioattivi e tossici anche tramite affondamento di navi nonché come personaggio vicino ai servizi segreti.
        Molte delle informazioni che la Procura Circ.le di Reggio Calabria ebbe in merito a Comerio furono fornite dal Sismi che già aveva attenzionato il personaggio
        La Commissione ha chiesto al generale Siracusa chiarimenti in merito alla figura di Giorgio Comerio e ai suoi rapporti con i servizi.
        Lo stesso ha dichiarato:
        «escludo assolutamente che il servizio possa essersi servito come collaborazione, nell'attività svolta, da questo Comerio appoggiandolo oppure contribuendo a questa sua attività»; precisando che l'attività svolta dal Sismi con riferimento a Comerio era esclusivamente di carattere informativo, nell'ambito della collaborazione che il Sismi aveva avviato con la Procura della Repubblica di Reggio Calabria.
        Quanto al capitano De Grazia, ha dichiarato di avere appreso della vicenda leggendo i resoconti della Commissione. Testualmente:
        «non avevo cognizione a quei tempi della morte in quelle circostanze, della sua attività che stava svolgendo insieme ad altri del nucleo di polizia giudiziaria in questo specifico settore».
        Risulta particolare la circostanza per la quale, tenuto conto della strettissima collaborazione tra l'autorità giudiziaria di Reggio Calabria e il Sismi in quel periodo (1994/1995), il generale Siracusa non fosse a conoscenza di un evento che colpì così tanto l'opinione pubblica e gli stessi inquirenti, quale il decesso improvviso del capitano De Grazia, facente parte del pool investigativo coordinato dal dottor Neri.
        Il generale Siracusa ha dichiarato poi di non ricordare se all'epoca fossero state svolte attività di controllo o comunque di informazione in merito alla centrale di Rotondella.
        Su specifica domanda ha dichiarato che Fonti non è mai stato un collaboratore dei servizi.

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        Nel corso dell'audizione la Commissione ha posto all'audito il seguente specifico tema:
        «In quel periodo, 1995, entra in vigore la normativa internazionale per la quale i rifiuti non possono essere esportati. Molti rifiuti rientrano in Italia. La maggior parte di questi rifiuti sono, in parte, di aziende di Stato e vengono gestiti dalla Monteco, che è una costola di Eni che li porta in Libano nel nord Africa e poi li riporta in Italia. Ci sono delle polemiche intorno al porto di La Spezia. Visto che in questo caso era interessato e lo Stato italiano e alla Monteco viene assegnato, non si capisce se vi è gara, da parte del Governo questo incarico. Le risulta se i servizi abbiano svolto attività di intelligence al riguardo?».
        Il generale Siracusa ha risposto che è possibile che si sia interessato alla questione, ma che comunque non si trattava di una questione di urgenza «considerato che il rientro del materiale radioattivo era incanalato in un percorso legale».
        Il generale non è stato in grado di riferire informazioni di dettaglio in quanto nella veste allora ricoperta di direttore del Sismi non poteva occuparsi personalmente di tutto e, quindi, per informazioni più specifiche sarebbe stato più proficuo audire il direttore della divisione interessata.
        Ha, infine, dichiarato di non avere partecipato a riunioni anche informali con altri organi di Governo in merito al tema dei rifiuti radioattivi, «perché all'epoca non si registrava questo argomento come critico».

7. Indagini aperte dall'autorità giudiziaria a seguito del rilevamento del relitto di una nave nelle acque antistanti la costa di Cetraro.

        Nel mese di settembre 2009 è stata rilevata la presenza del relitto di una nave in Calabria, sui fondali antistanti la costa di Cetraro.
        La presenza del relitto è stata segnalata dai pescatori della zona in quanto le reti buttate in mare si incagliavano in qualcosa di non meglio identificato posto sul fondale.
        Come risulta dalla relazione del reparto ambientale marino del Corpo delle Capitanerie di porto del 18 novembre 2009 acquisita dalla Commissione (doc. 156/1):
        «In data 12.09.2009 la m/n Copernaut Franca ha rinvenuto al largo delle coste di Cetraro, alla profondità di circa 490 metri un relitto, ad una distanza di circa 11 miglia dall'abitato di Cetraro (CS) e 9,8 miglia da Co Bonifati (punto della costa più vicino) in posizione Lat. 39o28'541» Nord – Long.015o41'569» Est.».
        A seguito di detto rinvenimento, il procuratore della Repubblica di Paola dottor Bruno Giordano ha iscritto un procedimento penale.
        Nell'immediatezza la Commissione ha audito il procuratore Giordano (il 22 settembre 2009).
        Successivamente, il procedimento è stato trasmesso alla procura distrettuale antimafia di Catanzaro, in ragione dell'ipotizzato coinvolgimento della criminalità organizzata nell'affondamento del relitto.


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        Ed, infatti, quasi subito è stato ipotizzato che il relitto in questione potesse identificarsi con la nave Cunsky della quale aveva parlato Francesco Fonti all'epoca della sua collaborazione con l'autorità giudiziaria.
        Altra parte del procedimento, invece, è stata comunque trattata dalla procura di Paola e, precisamente, la parte del procedimento attinente al presunto inquinamento del fiume Oliva riconducibile anche allo smaltimento dei rifiuti relativi alla motonave Rosso, spiaggiatasi sulle coste di Amantea nel lontano 1990.

7.1 Le indagini della procura distrettuale antimafia di Catanzaro sul relitto di Cetraro.

        Prima di entrare nel merito delle ultime indagini da parte dalla procura distrettuale antimafia di Catanzaro, appare opportuno, anche per comodità di lettura, riepilogare sinteticamente le indagini già svolte dalla procura predetta sull'argomento.
        La procura distrettuale di Catanzaro, infatti, si era già occupata del presunto affondamento delle navi nel tratto di mare antistante il comune di Cetraro.
        Il procedimento era nato a seguito delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Francesco Fonti.
        Sul settimanale L'Espresso edizione del 9 giugno 2005, era stato pubblicato un articolo a firma del giornalista Riccardo Bocca, nel quale Francesco Fonti parlava della vicenda dell'affondamento di tre navi in Calabria e, più in generale, di traffici di rifiuti tossici e nocivi, con implicazioni anche di carattere internazionale. Nello stesso periodo Fonti aveva inoltrato alla direzione nazionale antimafia un memoriale che ricostruiva le medesime vicende.
        Il 21 aprile 2006 Fonti, sentito dall'autorità giudiziaria di Catanzaro, si autoaccusava dell'affondamento di alcune navi contenenti rifiuti tossici. Con riferimento ad una di esse, avvenuto nel tratto di mare antistante il comune di Cetraro, accusava di concorso nelle relative condotte delittuose Muto Francesco, Marchetti Scipio Giuseppe e Lucieri Delfino.
        Come già evidenziato, peraltro, le dichiarazioni rese all'epoca da Fonti non furono ritenute attendibili e quindi non fu esercitata l'azione penale nei confronti di alcuno, tenuto conto del fatto che nessuna delle navi citata da Fonti era stata comunque rinvenuta.
        La procura distrettuale di Catanzaro, a seguito della trasmissione del fascicolo da parte della procura di Paola, ha poi avviato nuovi importanti accertamenti questa volta focalizzati in particolare sull'affondamento della nave Cunsky che – almeno in una prima fase – si riteneva fosse stata ritrovata sui fondali marini a largo di Cetraro.
        All'esito delle indagini, in data 7 marzo 2011, il procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli ha inoltrato al Gip richiesta di archiviazione (doc. 767/3).
        Secondo quanto si legge nel provvedimento, dagli accertamenti svolti è emersa «non solo l'estraneità del Fonti a questo asserito «fenomeno criminale» ma la sua totale inattendibilità (...) Può concludersi, in altri termini, da un lato, che la circostanza che la


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’ndrangheta (o altri per essa) abbia effettivamente affondato nei mari calabresi navi contenenti rifiuti tossici non può certamente desumersi dalle dichiarazioni dell'ex collaboratore di giustiza; dall'altro, che dagli atti del fascicolo iscritto presso questo Ufficio non è dato ricavare alcun elemento che possa suffragare tale ipotesi».
        In ragione anche della risonanza mediatica che il caso ha avuto, appare opportuno ripercorrere, seppur sinteticamente, i passaggi contenuti nella richiesta di archiviazione, nella quale si dà conto degli accertamenti svolti e delle ragioni che hanno portato a ritenere le dichiarazioni di Fonti assolutamente non attendibili, almeno con riferimento alla vicenda dell'affondamento delle tre navi.
        Ciò che il procuratore Borrelli ha evidenziato nel provvedimento può così sintetizzarsi:
            le dichiarazioni del Fonti riferite all'affondamento delle tre navi sono irrimediabilmente false;
            la presenza di numerosi relitti di natanti nei tratti dei mari Tirreno e Jonio antistanti i territori ricompresi nelle province di Catanzaro, Cosenza, Crotone e Vibo Valentia, appare insuscettibile di assumere forza dimostrativa «in astratto», giacché presupporrebbe, alternativamente, la scoperta di navi affondate «non censite» ovvero specifiche anomalie quanto alle circostanze dell'affondamento;
            entrambe le ipotesi devono essere escluse sulla base di quanto risulta dal «Censimento dei relitti giacenti nelle acque antistanti le Regioni Calabria e Lucania di cui alla relazione della Direzione marittima di Reggio Calabria del 23 settembre 2010.
        Spiega il magistrato che Fonti fu sentito in due diversi interrogatori, nel corso dei quali rese dichiarazioni assolutamente contrastanti tali da far ritenere che fossero esclusivamente frutto della sua fantasia.
        In particolare:
        il 21 aprile 2006 il Fonti aveva affermato:
        «di essersi rivolto ai Muto nel 1993 per ottenere un appoggio logistico per affondare imbarcazioni cariche di rifiuti tossici o radioattivi affidate dalla famiglia Romeo da alcune società estere. Egli aveva incontrato il Muto accompagnato da Marchetti Scipio, che il primo gli aveva presentato come persona di sua fiducia. Al Muto egli aveva chiesto dei motoscafi che gli furono forniti e sui quali venne caricato l'esplosivo, portato da San Luca da parte di Giorgi Giuseppe, di Giorgi Sebastiano e di due ragazzi non meglio indicali, per essere portato fin sulle navi ormeggiate innanzi Cetraro. Una volta che i motoscafi erano giunti sul posto, nel buio, (erano circa le 19.30 del mese di gennaio), avvalendosi dei radar sugli stessi installati, l'esplosivo era stato sistemato e i marinai erano stati fatti salire a bordo. Nell'allontanarsi le cariche, appositamente sistemate, erano state fatte brillare dai motoscafi, a una distanza di circa trecento metri. Sul posto, peraltro, era stata affondata una sola nave, in quanto le altre erano state trasportate altrove, segnatamente una nello Jonio, verso Metaponto, e l'altra a Maratea, e lì fatte inabissare.

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        In cambio dell'aiuto ricevuto i Muto avevano successivamente ricevuto, in un ristorante di Cirella, la somma di duecento milioni, in contanti, preso dalla cassa di Sebastiano Romeo e consegnato nelle mani di Marchetti. Tra le persone che avevano, per conto del Muto, contribuito a caricare le casse di esplosivo sui motoscafi vi era il Lucieri».
        Il 28 ottobre 2009 il Fonti aveva ricostruito la vicenda (doc. 123/2), con le seguenti differenze:
            «a) l'episodio è stato collocato a fine 1992, nel mese di novembre – dicembre. La discrepanza appare scusabile, tenuto conto del lungo tempo trascorso;
            b) l'incarico di affondare le navi era stato conferito al Giorgi da un emissario dell'armatore Ignazio Messina. La diversità rispetto a quanto appare riferito appare difficilmente giustificabile, tenuto conto che nel primo interrogalorio Fonti non aveva fatto a questi alcun riferimento, ma anzi aveva sostenuto che le navi appartenevano ad una società Olandese o Norvegese e che queste erano state addirittura acquistate dai Romeo;
            c) l'ex collaboratore di giustizia ha sostenuto che, giunto a Cetraro, unitamente a Giorgi Giuseppe, si era recato in un albergo e, tramite il proprietario, aveva chiesto di incontrare qualche esponente della famiglia Muto. Dopo tre ore erano giunte tre persone, tra le quali non vi era Franco Muto, che nella circostanza non aveva incontrato. A questi tre egli aveva chiesto un motoscafo e della dinamite, ottenendo in risposta che non vi era alcun problema. Con un motoscafo, accompagnato (tra gli altri) anche da Giorgi, era giunto nei pressi delle tre navi, i cui nomi gli furono indicati dal suo accompagnatore in «Kunski», «Yvonne», «Sporadais» (non ebbe occasione di vederli scritti sullo scafo). La «Kunski» venne affondata lì sul posto, mentre le altre due furono portate a Maratea e «verso Melito». Era stato lui a sistemare la dinamite ed a preparare la miccia, che avrebbe dovuto dargli il tempo di allontanarsi (circa 20 minuti). Era stato ancora lui ad affondare la nave a Maratea (sempre con uomini di Muto) ed a Melito (avvalendosi di esponenti delle organizzazioni locali)».
        Il magistrato ha sottolineato tutte le differenze tra le due ricostruzioni operate dal Fonti, dalle quali ha tratto il convincimento circa la sua inattendibilità:
        «Inizialmente egli aveva dichiarato di essere salito non solo con Giorgi Giuseppe ma anche con Giorgi Sebastiano ed altri due ragazzi; aveva affermato di essersi appoggiato in un mobilificio (Spaccarotelle) e di aver contattato i Muto tramite il proprietario, laddove nel 2009 ha dichiarato di essersi rivolto a tal fine al proprietario di un albergo;
aveva dichiarato di avere incontrato personalmente Franco Muto, laddove nel 2009 ha escluso tale circostanza;
        aveva dichiarato di avere trasportato da San Luca l'esplosivo, laddove nel 2009 ha riferito che lo stesso gli era stato fornito dai Muto;

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        aveva dichiarato che si trattava di un esplosivo militare fatto giungere dalla Germania, azionato tramite detonatori azionati dai motoscafi, a distanza di circa 300 metri, laddove nel 2009 ha parlato di dinamite, da lui stesso collocata e fatta esplodere attraverso un miccia;
        aveva affermato di aver fatto esplodere una delle navi a Metaponto, mentre nel 2009 ha riferito di averla fatta inabissare a Melito».
        La prova della inattendibilità del Fonti deriverebbe poi anche da quanto riportato nelle schede tecniche delle tre navi menzionate dal Fonti allegate alla annotazione di polizia giudiziaria della Capitaneria di porto di Vibo Valentia Marina del 14 ottobre 2009, secondo le quali:
            «la Cunski dal 3 ottobre 1993 denominata «Shainaz», era stata demolita nel 1992 in India, dopo essersi definitivamente arrestata il 1 maggio di quell'anno. Nel 1993, pertanto, essa non esisteva:
            la «Yvonne-A», dal 26 gennaio 1989 denominata «Xenia», era stata demolita nel 2005 ad Aliaga (Turchia), dopo essersi definitivamente fermata il 10 dicembre 2004. Nel 1993, pertanto, essa non navigava più con il nome riferito dal Fonti e, successivamente alla data indicata di affondamento, aveva continuato a solcare i mari per nove anni circa (e con 6 nomi diversi, l'ultimo dei quali «Scutari II»). Va aggiunto che (come si evince dalla annotazione della Capitaneria di porto di Vibo Valentia Marina del 15.10.2009) essa, in data 19 gennaio 2000, aveva fatto scalo con il nome di «Zeta I» nel porto di Messina, per scaricare sabbia abrasiva;
            la «Voriais Sporadis», dal 30 gennaio 1989 denominata «Doto», era affondata il 13 gennaio 1990 nel Mar di Cina – Suao Taiwan, con l'ultima denominazione di «Glory Land». Nel 1993, pertanto, essa era affondata da circa tre anni».
        Su questo specifico aspetto, peraltro, risulta alla Commissione che le autorità indiane marittime e portuali dello Stato del Gujarat, per il tramite del Ministero degli affari esteri italiano, interpellate dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali, anche straniere al fine di sapere se la nave Cunski (dopo aver assunto il nome Shainaz) fosse stata demolita in India presso il porto di Alang, hanno riferito che nessun natante con il nome di Shainaz è stato mai demolito presso i cantieri navali del porto di Alang (doc. 1363/1, trasmesso in data 27 settembre 2012).
        Ciò evidentemente non consente più di attribuire al dato della demolizione di detta nave nel 1992 valore dirimente rispetto all'attendibilità di Fonti.
        Riguardo poi al relitto ispezionato dalla motonave Mare Oceano a fine ottobre 2009, il magistrato scrive:
        «(...) nessun dubbio può significativamente nutrirsi sul fatto che il relitto ispezionato dalla M/N Mare Oceano a fine ottobre del 2009 coincida con quello già rinvenuto dalla M/N Copernaut Franca ed

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ispezionato nel precedente settembre dello stesso anno, nell'ambito di investigazioni coordinate dalla procura di Paola».
        In sostanza secondo quanto riportato nella richiesta di archiviazione, che richiama sul punto l'annotazione n. 0059/20 gennaio 2010 del R.A.M. di Roma, il fondale antistante Cetraro fu ispezionato, su incarico dell'ArpaCal dalla società cooperativa Nautilus a mezzo ROV. Le operazioni iniziarono l'8 settembre 2009. Emerse una sagoma di un relitto le cui dimensioni oscillavano tra i 110 e i 120 metri (misurazione suscettibile di errore in ragione delle bassa qualità dell'immagine dovuta alle condizioni meteo marine). Fu realizzato un filmato della durata di 40 minuti circa in data 12 settembre 2009.
        Secondo quanto risulta dalla richiesta di archiviazione le indagini effettuate in loco hanno permesso di escludere che il relitto in questione potesse identificarsi con la motonave Cunsky. In particolare risulta accertato:
            «che le stive del natante affondato erano completamente vuote (ripresa dall'alto);
            che sulla poppa e la prua della nave era riportato il nome della stessa, da identificarsi in «Catania»;
            che gli oggetti identificati come fusti dalla Nautilus erano, in realtà, maniche a vento;
            che il relitto misurava 103 metri;
            che erano presenti lacerazioni su entrambi i lati dello scafo;
            che sullo scafo erano adagiate alcune cime;
            che il natante era caratterizzato dalla posizione centrale del cassero.
        Infine, nel corso delle operazioni, sono stati eseguiti prelievi di campioni del fondo marino la cui radioattività è stata misurata mediante il sensore installato sul sistema ROV, con esito negativo. (cfr. verbali di sequestro inviati alla Commissione doc. 125/1 e 125/2).
        Va evidenziato che le operazioni di ispezione e di rilievo a mezzo di SSS hanno fornito la definitiva conferma (qualora ve ne fosse stato bisogno, per le considerazioni già sviluppate in proposito) della diversità del relitto rinvenuto rispetto alla Cunski. Non solo (e non tanto) per il nome riportato a poppa e prua, ma per il posizionamento del cassero che, sulla Cunski si trovava a poppa, come si evince dalle fotografie allegate al fascicolo, mentre sulla presunta «nave dei veleni» si trova al centro (è ovviamente da escludere che esso possa essere stato spostato».
        Il dottor Borrelli ha, poi, evidenziato i dati che portano a ritenere che lo scafo ispezionato a settembre 2009 coincida con quello ispezionato il mese seguente.
        In particolare, circa l'identità degli scafi ispezionati nel settembre e nell'ottobre del 2009, si è osservato come le misurazioni eseguite dalla Coopernaut fossero assolutamente approssimative (in tale senso si era espresso il Morfea parlando, dapprima, di un relitto avente

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lunghezza di 110-120 mt. e successivamente, di «un relitto di oltre 100 metri di lunghezza»). Il relitto ispezionato dalla Mare Oceano è risultato misurare 103 mt., dunque la divergenza sul punto è più apparente che reale.
        Con riferimento, poi, alla compatibilità tra le caratteristiche morfologiche della m/n Catania e quelle del relitto, il pubblico ministero ha osservato che la lunghezza del piroscafo è indicata nel sito «Miramar Ship Index» in 95,8 mt. «Con tale cifra, peraltro, viene indicata «the distance from the forward perpendicular to the qft perpendicular» che è cosa ben diversa rispetto alla «lenght overair (fuori tutto), pari a 101.5 mt., che è l'unica apprezzabile dato l'assetto del Catania. La differenza tra la lunghezza di 103 mt. e quella di 101,50 mt. appare invece ben spiegabile con una imprecisione nella scansione e con eventuali fratture dello scafo, quali effettivamente sembrano evidenziarsi dalla scansione tridimensionale».
        Riguardo alla presenza di fusti, il pubblico ministero ha sottolineato che:
        «la Nautilus non effettuò riprese del relitto dall'alto, e quindi non fu in grado di inquadrare quello che era stato il ponte della nave e, di conseguenza, a causa del distacco delle assi che lo componevano, le sue stive. Le riprese dei presunti fusti siti nei pressi del relitto, eseguite dalla Mare Oceano, dimostrano chiaramente come si tratti di null'altro che di maniche di areazione. Va evidenziato, ancora, che la notizia della presenza di fusti nella stiva della nave, così piena da non consentire l'ingresso di un pesce, circolata nei giorni successivi alla ispezione dell'ottobre 2009, è stata espressamente esclusa da Arena Giuseppe, Amministratore della Società Arena Sub Srl (proprietaria del ROV che eseguì l'ispezione visiva nel settembre 2009) il quale, oltre a negare di aver mai reso dichiarazioni di segno contrario, ha precisato che un pesce fu effettivamente filmato, ma «fermo poggiato sulla nave ali ’interno della falchetta (in coperta) e lì fermo è rimasto» (analoghe dichiarazioni sono state rese, in maniera anche più esplicita, alla Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti) (...) quanto alle funi, visibili sul relitto ispezionato dalla Mare Oceano, si tratta, evidentemente dei cavi adoperati dalla Coopernaut Franca per ormeggiarsi sulla verticale del relitto da ispezionare. (...)».
        Ancora, il pubblico ministero ha spiegato la circostanza che la Nautilus non avesse distinto il nome del natante affondato con il fatto che la società non ispezionò la poppa, e limitò quella della fiancata solo ad una parte della stessa.
        Nella richiesta di archiviazione sono ben esplicitati gli ulteriori i motivi per i quali si deve ritenere che il relitto rinvenuto si identifichi senza ombra di dubbio con il piroscafo Catania, affondato nel 1917:
        «quanto al posizionamento della nave ispezionata, va in primo luogo escluso alcun contrasto con quanto risultante, a proposito del Catania, dalle indagini svolte dal R.A.M. a proposito del suo affondamento, avvenuto il 16 marzo 1917 ad opera di un sottomarino tedesco. L'accertamento è stato sviluppato dalla polizia giudiziaria delegata alle indagini mediante estrapolazione di notizie dal sito

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internet uboat.net. Dallo stesso emerge che sul giornale nautico di bordo del sommergibile le coordinate della nave affondata erano di 39o32’ N e 015o42’ E. Si tratta, evidentemente, di coordinate non assolutamente divergenti rispetto a quelle di ritrovamento del relitto ad opera della DPV Mare Oceano. La leggera differenza (pari a circa 3 miglia), invero, appare agevolmente spiegabile con la minore precisione degli strumenti di posizionamento adoperati nel 1917 e, soprattutto, con la incertezza in ordine al termine di effettivo riferimento delle coordinate riportate nel giornale di bordo (alla nave affondata o, come appare più verosimile, al sommergibile che, è da ritenersi, lanciò il siluro a una qualche distanza dal bersaglio).
        È inoltre da aggiungere che dalla pubblicazione «Il Traffico Marittimo» vol. II, edita nel 1932 dal Ministero della marina, risulta che un piroscafo passeggeri denominato Catania fu affondato il 16 marzo 1917 a 15 miglia da Belvedere Calabro. Dal carteggio relativo all'affondamento (sicuramente non preordinato in relazione alle operazioni che si sarebbero sviluppate più di 90 anni dopo) si evince che l'affondamento avvenne nel punto di coordinate Lat. 39o 35’ N – 15o 40’ E a circa 10 miglia tra capo Bonifati e Torre Diamante.
        Si comprende bene come le differenze di posizionamento derivano dalla sostanziale inutilità, all'epoca il cui avvenne l'inabissamento, di determinare con precisione millimetrica il luogo in cui esso era avvenuto (non potendosi, all'epoca, ritenere che ciò avrebbe acquisito particolare importanza a distanza di quasi un secolo) (...).
        Ulteriori elementi che escludono la possibilità di ritenere che il battello ispezionato sia stato affondato da organizzazioni criminali allo scopo di occultare rifiuti (laddove a tal fine non fosse ritenuta sufficiente la circostanza dell'essere le sue stive irrimediabilmente vuote) si evince dalle dichiarazioni rese alla Guardia costiera di Cetraro da Sueva Luigi e Guida Vincenzo, pescatori della zona, che, a seconda delle rispettive esperienze personali, hanno permesso di collocare la presenza del relitto (responsabile di frequenti rotture delle reti), in un periodo risalente a non meno di 45 – 50 anni fa (avendo i due testi riferito di quanto da essi percepito, non è ovviamente escluso che esso abbia potuto danneggiare reti di loro colleghi operanti anni prima ed oggi deceduti per vecchiaia).
        Riguardo il problema della presenza o meno di tracce di radioattività, nel provvedimento viene chiarito che questo accertamento fu fatto e avrebbe avuto una sua rilevanza solo laddove il relitto avesse potuto identificarsi con quello di cui aveva parlato Fonti, ciò che non è stato, per i motivi esplicitati.
        In ogni caso, l'Ispra ha escluso qualsivoglia traccia di radioattività derivante da radionuclidi artificiali e il C.T. nominato dalla procura ha concluso ritenendo attendibile la valutazione della assenza di radioattività.
        Con riferimento alla vicenda della Rosso si legge nella richiesta di archiviazione:
        «Né può indurre a qualche conclusione il noto episodio della «Jolly Rosso», in quanto (...) lo spiaggiamento di tale nave avvenne

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a causa di un'avaria e pertanto, ammesso e non concesso che effettivamente trasportasse materiali pericolosi, non sussistono elementi che inducono a ritenere che questi ultimi dovessero essere inabissati e non trasportati in altre località nazionali per essere smaltite illegalmente in discariche o altrove. (...)»

7.2 Le attività tecniche finalizzate all'individuazione del relitto da parte della nave Mare Oceano e le attività svolte dal Ministero dell'ambiente.

        La Commissione ha acquisito le relazioni redatte dal capo reparto ambientale marino del Corpo delle Capitanerie di porto C.V. (CP) Federico Crescenzi nelle quali si dà conto delle attività tecniche effettuate a seguito del rilevamento del relitto al largo di Cetraro.
        Si riporta il testo delle tre relazioni acquisite:
        Relazione redatta dal capo reparto ambientale marino del Corpo delle Capitanerie di porto C.V. (CP) Federico Crescenzi redatta in data 18 novembre 2009 (doc. 156/1):
        «L'attività in questione svoltasi nel periodo dal 20 al 29 ottobre scorso ha consentito di verificare con certezza due fatti.
        1. Il relitto ispezionato è lo stesso che nel settembre scorso è stato individuato e filmato nel settembre scorso. Peraltro le due navi che hanno svolto gli accertamenti si sono posizionate sulle identiche coordinate fornite dalla procura di Paola e, quindi, dalla DDA di Catanzaro.
        2. Il relitto ha caratteristiche diverse dalla nave Cunski e non contiene sostanze nocive o radioattive. Si tratta del piroscafo «Catania» affondata nel 1917 il cui nome è leggibile su una fiancata e sulla poppa del relitto.
        La presunta differente localizzazione del luogo di affondamento della Catania che si evince da vecchi documenti è spiegabile con i diversi criteri e tecniche di localizzazione di oggi rispetto a 90 anni fa quando i margini di approssimazione erano molto superiori a quelli odierni.
        In merito poi alla posizione riportata sul sito «uboat.net» di 39o32’ N e 015o42’ E del piroscafo Catania (di cui non si hanno elementi per valutare l'attendibilità delle fonti, eccezion fatta per lo stralcio del giornale nautico di bordo dell'U-Boat che ne provocò l'affondamento), essa è fortemente correlabìle con la posizione in cui è stata rinvenuta (cioè 39o 28.5’ N e 015o41.5’ E) dalla DPV Mare Oceano.
        Va peraltro sottolineato che nel 1917 un'imprecisione di 3 miglia nel posizionamento era inevitabile sia in relazione agli strumenti e alle modalità impiegate all'epoca per la navigazione stimata da sommergibile, sia alle possibili condizioni meteo al momento del siluramento.
        Inoltre, sempre sul sito «uboat.net», si fa riferimento alla posizione dell'attacco al Catania, non del suo affondamento che potrebbe essere avvenuto a distanza di tempo e, quindi, essere distante


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dal punto di avvenuto siluramento. Non è nemmeno chiarito se la posizione riportata dal sito sia del sommergibile o del piroscafo.
        Quanto alla differente lunghezza di alcuni metri fra le rilevazioni sul fondale ed i dati noti sul piroscafo affondato nel 1917, che è stata citata per mettere in dubbio il fatto che il relitto sia quello della «Catania», va precisato che la lunghezza di 95,8 metri riportata dalsito «Miramar Ship Index» al link: http://www.miramarshipindex.org.nz/ship/show/295005 è la LPP cioè «the distance from the forward perpendicular (FP) to the aft perpendicular (AP) che è ben altra cosa rispetto alla «length overall» (fuori tutto) che è l'unica apprezzabile dato l'assetto del relitto del Catania.
        Nella marina mercantile italiana e per le navi a scafo metallico, la FP e la AP passano rispettivamente per le intersezioni del piano di galleggiamento con la faccia interna o poppiera della ruota di prora e con la faccia interna o prodiera del dritto del timone. Quindi la LPP è notevolmente inferiore alla lunghezza «fuori fuori» a cui si riferiscono i rilievi del relitto.
        Inoltre, sul libro «Dictionary of disasters at sea during the age of steam, including sailing ships and ships of war fost in action, 1824-1962» di Charles Hocking (1969) è riportata per il Catania una «length overall» di 333,1 piedi.
        Tale lunghezza trasformata in metri è di 101,5 che diventa perfettamente compatibile con i 103 metri ricavati dalla survey dimensionale di un relitto che è stato silurato, che si è lesionato in più parti e che giace da 90 anni su un fondale di quasi 500 metri.
        Inoltre gli accertamenti condotti nel raggio di un km dal relitto hanno consentito di verificare che non vi sono altri relitti nei pressi di quello ispezionato. E gli ulteriori esami alla ricerca di fonti di radioattività estesi per un raggio di circa 1,5 km, nonché i test di calibrazione della strumentazione di rilevazione di radioattività effettuati nel raggio di circa 4 km dal relitto stesso, non hanno evidenziato la presenza in tale area di altri relitti di grandi navi.
        Per quel che concerne, infine, le gomene che appaiono in alcune immagini del relitto riprese dalla Mare Oceano dalla documentazione agli atti si evince che la DPV Copernaut Franca che ha realizzato le indagini in settembre ha realizzato un campo boe d'ormeggio costituito con 3 corpi morti sul fondo marino e 3 boe galleggianti di superficie collegate con circa 1.200 metri di cima cadauna, di cui una recisa e abbandonata, ciò poiché la Copernaut Franca stessa non risulta dotata di sistema di posizionamento dinamico (Dinamic Position), di cui è invece dotata la DPV Mare Oceano, la quale risulta, altresì in possesso di apparecchiature di investigazione acustiche e visive aventi le seguenti caratteristiche:
            Accuratezza USBL (Ultra Short base Line): + o – 3m;
            Accuratezza MBES (ROV): + o – 3m;
        Corre l'obbligo di evidenziare che risultano ad oggi in corso ulteriori accertamenti investigativi allo scopo di assumere dal personale imbarcato sulla m/n Copernaut Franca all'atto del rinvenimento del relitto i seguenti elementi di approfondimento sull'attività svolta:
nello specifico, in merito al Posizionamento superficiale impiegato nel corso dell'attività:

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            tipologia (ad es. GPS assoluto, differenziale da satellite o da stazione a terra. RTK. ..);
            nel caso di tipologia differenziale da satellite, servizio di abbonamento impiegato (es. Omnistar, Seastar Veripos: ...);
            accuratezza del posizionamento superficiale ottenuto al 95 per cento di confidenza (es., ± metri, metro, ± 05 metri).
        Per il sistema di posizionamento subacqueo impiegato:
            tipologia (es. USBL, layback, ...);
            casa madre, modello e specifiche tecniche del sistema (profondità massima di utilizzo);
            ordine di accuratezza del posizionamento subacqueo stimato al 95 per cento di confidenza.
        Per quanto concerne la determinazione delle dimensioni del relitto:
            metodologia di determinazione (ad es., surveydimensionale da ROV, mosaico side scan sonar, superficie ricavata da dati multibeam, stima in base alle riprese da ROV, ...);
            casa madre, modello e specifiche tecniche dello strumento impiegato e dei relativi sistemi ausiliari (es. sensore di assetto, sensore di misura della velocità del suono, ...);
            procedure delle calibrazioni effettuate, relativi esiti ed offset applicati;
            condizioni meteo marine in atto al momento della determinazione dimensionale;
            software impiegati di acquisizione e di elaborazione dei dati;
            ordine di accuratezza delle misure ottenute al 95 per cento di confidenza (ades., ± 5 metri, ± 30 centimetri, ..);
            copia di tutti i dati acquisiti in formato grezzo utilizzati per la determinazione dimensionale.
        Per quanto concerne l'effettuazione dell'ispezione visiva del relitto:
            coordinate della Coopernaut Franca nel corso dell'ispezione visiva;
            condizioni meteo marine in atto al momento dell'ispezione;
            sistema di stazionamento impiegato (es. dinamic positioning, campo boe, ...) e relative specifiche tecniche;
            nel caso di impiego di campo boe, numero dei corpi morti utilizzati e tipologie di cime impiegate;
            casa madre, modello e specifiche tecniche del ROV impiegato (es. lunghezza totale del cavo a disposizione, tipologia di ombelicale,...) e degli strumenti su di esso installati (es. sonar, profondimetro, videocamere, sensore di assetto, ..);
            numero di immersioni a mezzo ROV effettuate;

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            durata totale delle riprese video eseguite;
            copia degli originali di tutte le riprese video effettuate;
            scrizione e commento (con puntuali riferimenti temporali ricavati dalle riprese) delle porzioni ispezionate del relitto.
        Infine, a necessario completamento della suddetta documentazione, si provvedere a richiedere copia della relazione tecnica relativa a tutta l'attività svolta dalla m/n Copernaut Franca nel corso dell'attività svolta a largo di Cetraro, nonché un estratto del giornale di navigazione relativo a tale periodo e una cronologia dettagliata delle operazioni svolte».

        Relazione redatta dal capo reparto ambientale marino del Corpo delle Capitanerie di porto C.V. (CP) Federico Crescenzi trasmessa in data 25 gennaio 2010 (doc. 266/1) sugli ulteriori accertamenti investigativi condotti dal Reparto ambientale marino sul caso «Cetraro – Navi a perdere»:
        «a. il relitto individuato al largo di Cetraro è incontrovertibilmente lo stesso sia nel caso della m/n Copernaut Franca (campagna di ricerca Copernaut Franca – Arpacal – procura della Repubblica


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di Paola 8-13 settembre 2009), sia nel caso della DPV Mare Oceano (campagna indagini Ministero dell'ambiente – R A M – DDA d i Catanzaro 20 – 29 ottobre 2009);
        b. il relitto, quindi giacente sui fondali antistanti Cetraro, in posizione Lat. 39o28’.541 Nord -Long.015o41’.569, è il piroscafo Catania, silurato nel corso della prima guerra mondiale dal sommergibile tedesco U-Boat U64 il 16 marzo 1917 al largo di Cetraro lungo la tratta Bombay – Napoli;
        c. nel raggiodi un chilometro quadrato dal piroscafo Catania non esiste alcun altro relitto all'infuori del piroscafo Catania stesso;
        d. nel raggio di 4 chilometri dal piroscafo Catania, non sono state rilevate ad immediato contatto con il fondo marino sorgenti radioattive e/o anomalie;
        e. a bordo del relitto e nella zona di ricerca investigata non vi è alcuna traccia di bidoni, fusti, etc. come originariamente dichiarato dal pilota del ROV della m/n Copernaut Franca, Sig. Giuseppe Arena;
        f. il signor Giuseppe Arena ha evidenziato palesi contraddizioni e reticenze in ordine ai rapporti intrattenuti con i media, e segnatamente nelle dichiarazioni rese alla testata giornalistica L'Espresso.
        In conclusione, è quindi lecito anche porsi l'interrogativo sul perché il ROV di Giuseppe Arena sia stato utilizzato senza investigare, come sarebbe stato normale, in questi casi, la poppa e le fiancate (mascone di prua) del relitto, ove è notorio anche ai meno esperti, sono riportati i segni di individuazione di una nave.
        Ciò avrebbe consentito da subito di fugare ogni dubbio sul tipo di relitto ritrovato, senza, come avvenuto, innescare invece una campagna mediatica dell'incertezza e dei «veleni».
        Relazione redatta dal capo reparto ambientale marino del Corpo delle capitanerie di porto C.V. (CP) Federico Crescenzi in data 17 marzo 2010 (doc. 327/2):
        «Ad integrazione di quanto in precedenza relazionato, si riferisce che personale dello scrivente Reparto, a seguito del comunicato ANSA in data 09.02.2010 dal titolo «Nave dei veleni: Lannes, piroscafo Catania è affondato nel 1943», ha provveduto ad effettuare in data 10 e 11 febbraio 2010, ulteriori e specifici approfondimenti accertativi presso l'Ufficio storico della marina militare sito in Roma presso la Caserma Paolucci, loc. Acquatraversa. Quanto precede, allo scopo di rinvenire effettivi, reali riscontri, in ordine a quanto sostenuto dal giornalista Gianni Lannes circa la non riconducibilità del relitto rinvenuto al largo di Cetraro da parte della DPV Mare Oceano al piroscafo Catania, ed in particolare:
            data di affondamento del piroscafo Catania: il Lannes a seguito di asserita trasferta a Londra e dopo aver consultato gli archivi del Ministero della difesa afferma di aver rinvenuto il certificato di nascita del piroscafo Catania, da cui si evince che il piroscafo stesso, risulta essere affondato il 4 agosto 1943 nel porto di Napoli,

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desumendone, pertanto, che detta nave mercantile sia rimasta in servizio fino a quella data;
sulla base delle precedenti asserzioni il Lannes afferma altresì che non vi è alcun pericolo di omonimia poiché lo stesso Lannes dichiara di aver controllato l'esistenza di un altro piroscafo denominato Città di Catania, anch'esso affondato nel 1943.
        Al riguardo, dalla documentazione d'archivio acquisita è emerso quanto segue:
        dalla pubblicazione il Traffico Marittimo – volume secondo – edita nel 1932 dall'allora Ministero della Marina, Ufficio storico del Capo di Stato maggiore, risulta che:
            un piroscafo passeggeri denominato Catania di 3188 TSL, TSN 1917, costruito nel 1906, appartenente alla Società Marittima Italiana, con sede in Genova, ed iscritto al Compartimento marittimo di Genova, matr. n. 695, fu affondato il 16 marzo 1917 a 15 miglia da Belvedere Calabro (oggi Belvedere Marittimo).
        Riguardo a quest'ultima nave mercantile si è altresì rinvenuto il carteggio relativo al suo affondamento, da cui si ha riconferma che lo stesso è appunto avvenuto il giorno 16 marzo del 1917,alle ore 20.45 nel punto di coordinate Lat.39o35'N- 15o40'E, a circa 10 miglia fra Capo Bonifati e Torre Diamante.
            dalla pubblicazione Navi Mercantili Perdute – terza edizione –, edita nel 1997 dall'Ufficio storico della Marina militare, risulta che:
            un piroscafo da carico anch'esso denominato Catania (ex greco Adelfoi Chandreis), di 6176 TSL, costruito il 1919, impiegato dalla Società Anonima di Navigazione Italia di Genova, iscritto al Compartimento marittimo di Genova, matr. n. 489, fu affondato nel porto di Napoli il 4 agosto del 1943;
            un piroscafo passeggeri denominato invece «Città di Catania» di 3355 TSL, costruito nel 1910, appartenente alla Società Anonima di Navigazione Tirrenia con sede a Napoli, iscritto al Compartimento marittimo di Palermo matr. n. 43, fu invece affondato il 3 agosto 1943 al largo del porto di Brindisi.
        Dai suddetti atti d'archivio visionati ed acquisiti in copia si può dunque rilevare che.
            il 16 marzo 1917 nel punto di coordinate Lat. 39o 35’ N – 15o 40’ E, a circa 10 miglia fra Capo Bonifati e Torre Diamante, fu effettivamente affondato un piroscafo passeggeri denominato Catania di 3188 TSL;
            il 4 agosto del 1943, nel porto di Napoli fu affondato un piroscafo da carico denominato anch'esso Catania di 6176 TSL;
            il 3 agosto 1943, al largo del porto di Brindisi, fu affondato un piroscafo passeggeri invece denominato Città di Catania di 3355 TSL.
        È quindi, infondata, nonché fuorviante, l'affermazione resa dal Lannes, secondo la quale il piroscafo Catania, sarebbe stato affondato solo il 4 agosto 1943 nel porto di Napoli, in quanto di affondamenti

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di Piroscafi Catania se ne possono storicamente e documentalmente registrare due, occorsi a navi mercantili tra loro differenti per tipologia, dimensioni e servizio, ed in momenti storici e località diverse (rispettivamente: I e II guerra mondiale; al largo di Belvedere Marittimo e nel Porto di Napoli).
        Tali atti confermano in toto come le risultanze di localizzazione ed individuazione al largo di Cetraro del relitto del piroscafo Catania nella posizione attuale Lat. 39o28’.530 N – Long. 015o41’.585 E, siano assolutamente coerenti con i fatti di guerra riportati nei documenti allegati e relativi al suo affondamento avvenuto II 16 marzo 1917 da parte del sommergibile tedesco (U-Boat U 64).
        Qualsiasi dubbio, quindi, sull'identità del relitto del piroscafo Catania rinvenuto al largo di Cetraro è da ritenere, d'ora in poi, una vera e propria falsificazione a scopo di delegittimazione dell'operato delle Istituzioni tutte (Ministero, Autorità Giudiziaria Inquirente e polizia giudiziaria procedente) (...)».

7.3 Le dichiarazioni rese dal Ministro Stefania Prestigiacomo.

        Nel corso dell'audizione dell'11 novembre 2009, l'allora Ministro dell'ambiente Stefania Prestigiacomo ha dichiarato, richiamando testualmente la relazione appositamente predisposta (doc. 137/1), che il relitto rinvenuto a Cetraro si identifica con la nave Catania; ha, poi, parlato di un preciso impegno del Governo a prestare concreta attenzione al fenomeno delle navi a perdere e a intervenire per fare chiarezza. Si riporta il passo dell'audizione:
        «Per quanto riguarda le navi dei veleni, non mi soffermo sulla vicenda del relitto di Cetraro, che è ormai stato identificato come la nave Catania. La Commissione, peraltro, se ne è occupata direttamente. Dico solo che in 47 giorni si è conclusa un'indagine estremamente complessa, che mai nessun Governo aveva avviato in precedenza. (...) Per quanto riguarda, più in generale, la situazione delle navi a perdere, siamo tutti consapevoli che, tra gli anni Ottanta e Novanta, apparati diversi delle nostre istituzioni, dalla magistratura alle stesse commissioni parlamentari d'inchiesta, si sono a vario titolo occupate delle cosiddette navi dei veleni, giungendo all'individuazione di filoni di indagine tutti riconducibili a un network criminale dedito allo smaltimento illegale di rifiuti tossici e radioattivi. È doveroso rilevare che nessun Governo, fino a oggi, ha prestato una concreta attenzione sulle vicende delle navi a perdere. Questo Governo, invece, d'intesa con le procure competenti, ha deciso di intervenire e fare chiarezza. (...) va precisato che il Governo non può, sulla base di notizie non riscontrate dalla magistratura, effettuare generiche ricerche nel Mar Mediterraneo. Sarebbe enormemente dispendioso, oltre che assolutamente irragionevole. Occorre, invece, continuare a collaborare con l'azione delle procure, laddove emergono informazioni ritenute da queste attendibili. (...) occorrerà interessare l'Unione europea e anche l'ONU, perché è presumibile che si tratti di traffici non solo nazionali, ma anche internazionali, e che i relitti si trovino in acque internazionali. Relativamente al presunto affondamento di


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due relitti al largo della costa di Maratea, abbiamo avviato, di intesa e su richiesta della procura della Repubblica di Lagonegro, una nuova attività di ricerca della nave Mare Oceano, al fine di verificare se esistono relitti nella zona indicata dalla procura della Repubblica e, se individuati, quali siano le caratteristiche e il carico delle navi affondate. L'attività di ispezione al largo di Maratea è tuttora in corso (...)».

Conclusioni.

        Da circa 25 anni si affrontano in ambito giudiziario temi di grandissima rilevanza quali lo smaltimento illecito di rifiuti radioattivi e tossici in ambito transnazionale e mediante l'affondamento in mare di navi cariche di rifiuti di tal fatta.
        Ciò che ha sempre rappresentato il filo conduttore delle pur variegate indagini giudiziarie svolte dalle più disparate procure italiane è stata la presa di coscienza della inadeguatezza degli strumenti a disposizione per proseguire oltre in inchieste che coinvolgevano persone, interessi, ambiti geografici ben più ampi di quelli riconducibili entro i limiti di competenza dei singoli uffici di procura.
        I temi che si intrecciano sono quelli dello smaltimento di rifiuti tossici da parte dei paesi più sviluppati ai danni di paesi sottosviluppati ovvero ai danni di territori che, essendo controllati di fatto dalla criminalità organizzata, sono caratterizzati dall'assenza dello Stato e, quindi, per certi versi assimilabili ai paesi del terzo mondo.
        Non può ritenersi casuale che diverse indagini, pur avviate in territori distanti tra di loro, in epoche differenti e sotto la direzione di diversi magistrati, siano confluite quasi come se si trattasse di un'unica indagine su un percorso e un binaro già noto, ma, da un punto di vista giudiziario, morto.
        Quello che si vuole sottolineare è che gli sforzi investigativi profusi nello svolgimento delle indagini concernenti i traffici internazionali di rifiuti tossici e radioattivi si sono puntualmente arrestati allo stesso punto, ovverossia allorquando si è introdotto il tema Somalia e il tema attinente ai traffici internazionali di armi e rifiuti.
        Questi ultimi due temi sono risultanti, almeno nelle prime fasi investigative, connessi tra di loro, essendo stato ipotizzato che vi fosse uno scambio tra la fornitura di armi ad opera dei paesi «moderni» e l'accettazioni di rifiuti da parte dei paesi meno sviluppati.
        Ed allora, fatta questa premessa e tenuto conto delle difficoltà che ancora oggi si percepiscono nelle indagini di questo tipo, è possibile ripercorrere le inchieste che venti anni fa hanno avuto la «pretesa» di entrare in un mondo inaccessibile.
        A ciò deve aggiungersi un dato. Negli anni novanta vi era terreno fertile per traffici di natura illecita riguardanti i rifiuti in quanto vi era la necessità di adeguare la realtà fattuale alla nuova realtà normativa introdotta dal referendum abrogativo del 1987 che portò alla chiusura delle centrali nucleari nel nostro Paese. Inoltre, la normativa europea, in continua evoluzione in materia ambientale, aveva introdotto ulteriori limiti allo smaltimento di rifiuti radioattivi.


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Si è registrato uno sforzo cda parte della magistratura di venire a capo di una serie di vicende che hanno lasciato intravedere l'esistenza di trafficiti illeciti di rifiuti tossici interessanti il mediterraneo e paesi africani.
Tuttavia deve essere evidenziato che nessuna di queste indagini ha portato a risultati concreti o soddisfacenti, nonostante il grande impegno profuso dagli investigatori.
        Il dato che risulta evidente è che la magistratura non è stata adeguatamente supportata per affrontare indagini così complesse sia per l'oggetto sia per l'estensione territoriale, trattandosi di traffici transazionali. Ne è un esempio significativo l'indagine portata avanti dalla procura circondariale di Reggio Calabria, che poteva contare sull'apporto di un gruppo investigativo composto da pochi uomini, seppur qualificati.
        In proposito, sono chiarificatrici le dichiarazioni rese dal sostituto procuratore Alberto Cisterna nel corso dell'audizione del 9 dicembre 2009 avanti alla Commissione:
        «L'indagine sostanzialmente mi arriva con questa incompiuta: era necessario recuperare questa motonave. Il procuratore presso la pretura era, al tempo, il dottor Scuderi; ebbi un colloquio con lui e con il dottor Neri, durante il quale chiesi anche le ragioni di questa trasmissione, in quanto si trattava di un fascicolo impegnativo. D'altra parte, la procura distrettuale in quegli anni era impegnata con un centinaio di processi e migliaia di indagati, e dunque arrivava un processo importante. ?Sono state date alcune spiegazioni. Innanzitutto, si parlò delle difficoltà incontrate nel reperire i fondi e i finanziamenti necessari al ritrovamento della motonave e sostanzialmente – ricordo con precisione questo dato, sebbene siano passati tanti anni, quasi quattordici – si disse che non ci si sentiva tranquilli nello scaricare a Modello 12 (il capitolo delle spese di giustizia a disposizione di ogni procura) una spesa impegnativa pari ad alcuni miliardi delle vecchie lire. Quindi, questa attività avrebbe comportato una spesa davvero consistente. ?Dunque, immaginate un piccolo ufficio, con il peso di un'indagine complessa e con l'impegno di una spesa considerevole, in un clima di grande preoccupazione dovuta anche alla morte del comandante De Grazia, che aveva segnato anche psicologicamente i protagonisti di questa vicenda. Lo scenario indubbiamente avvalorava queste preoccupazioni. Ricordo che si temeva di essere in qualche modo sorvegliati o intercettati. Vennero fatte delle bonifiche negli uffici che si trovavano distanti dai nostri proprio per questo motivo».
        L'attività investigativa svolta per l'accertamento dei fatti di criminalità transnazionale aventi per oggetto lo smaltimento illecito rifiuti radioattivi o comunque tossici si è, quindi, costantemente scontrata con difficoltà insormontabili, nel senso che, per usare una facile metafora, si è dovuta spingere verso i confini conosciuti del diritto, ed è giunta sempre in luoghi posti al di là delle Colonne d'Ercole, dove semplicemente il diritto non esiste.
        Pertanto, un'attività, quella investigativa, che pur discrezionale è comunque soggetta alla legge ed alla legge deve conformarsi si è

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rivelata un'arma del tutto spuntata ove non ha trovato lo stampo a cui conformare la propria azione.
        Quindi la conclusione se il fenomeno investigato esista o non esista non può essere tratta dai risultati dell'attività d'indagine perchè l'attività di indagine produce dei risultati alla stregua di regole che il fenomeno illecito non conosce.
        In sostanza, non conducente è l'approccio al fenomeno in termini di acquisizione di elementi probatori da utilizzare in un processo, per la semplice ragione che gli eventi investigati accadono in una dimensione in cui l'unica regola che vige è quella dei rapporti di forza.
        In effetti il contrasto nei confronti di comportamenti ed azioni qualificabili in definitiva come pirateschi non può trovare una formula efficace nella pretesa vana della risposta giudiziaria penale perchè i soggetti e i fatti accadono in luoghi irraggiungibili dal diritto penale di uno stato democratico (gli episodi relativi alla Somalia in questo senso sono emblematici di quanto appena detto).
        Come si può pensare, sempre per restare in metafora di assicurare allla giustizia dei pirati inviando rogatorie all'isola di Tortuga.
        È ovvio che in un contesto siffatto un ruolo necessariamente predominante lo abbiano avuto i servizi di sicurezza.
        Si tratta del loro privilegiato campo d'azione, quello cioè in cui è necessario agire in modo determinato, e imbastire una fitta rete di relazioni funzionali ad avere consapevolezza degli accadimenti e quindi funzionale alla possibilità di interagire con essi.
        Sembra però che la dedotta «ignoranza ufficiale» dei servizi di sicurezza in ordine a vicende che di per sè appaiono come assai sospette: morte del Capitano De Grazia, spiaggiamento della motonave Jolly Rosso, debba necessariamente ascriversi o ad uno svolgimento di tale attività in modo non esauriente o negligente, ovvero a ragioni inconfessabili, non necessariamente illecite.
        Per concludere appare doveroso sottolineare come recentissime indagini stiano lentamente alzando il velo su una realtà inquietante e drammatica per ciò che concerne i traffici internazionali di rifiuti. Le modalità operative che sono emerse a livello investigativo sono espressione di meccanismi talmente consolidate e radicati che necessariamente affondano le loro radici in epoche precedenti a quello dell'indagine medesima.
        È verosimile, quindi, che oggi grazie agli strumenti investigativi a disposizione della direzione distrettuale antimafia, ai canali informativi favoriti dalla direzione distrettuale antimafia sia possible avvicinarsi ad un mondo, quello del traffico transazionale dei rifiuti tossici, sul quale per troppo tempo non vi sono stati che fondati sospetti e nulla di più.

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ALLEGATO 1

Audizione del generale Sergio Siracusa in qualità di direttore del Servizio per le informazioni e la sicurezza militare (SISMI) pro tempore.

      PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del generale Sergio Siracusa in qualità di direttore del Servizio per le informazioni e la sicurezza militare (SISMI) pro tempore dal luglio 1994 al novembre 1996.
      L'audizione odierna rientra nell'ambito degli approfondimenti che la Commissione sta svolgendo sulle cosiddette navi a perdere e sui rifiuti radioattivi.
      In considerazione della delicatezza degli argomenti in esame, propongo che l'audizione si svolga in seduta segreta.
      (Così rimane stabilito).

      Dispongo la disattivazione dell'impianto audio-video.

      (La Commissione procede in seduta segreta).

      PRESIDENTE. La ringraziamo per la sua presenza. La Commissione sta svolgendo ormai da tempo questa inchiesta per quel riguarda le dichiarazioni di Fonti, come uno degli elementi di conoscenza, per quel che riguarda le cosiddette navi a perdere e anche sul traffico di sostanze radioattive. Per diverse ragioni abbiamo trovato, anche nella documentazione che abbiamo ricevuto dai servizi segreti, dei riferimenti alla presenza dei servizi, soprattutto per quel che riguarda lo smaltimento delle sostanze radioattive. La Commissione le chiederebbe su questo tema specifico ovviamente, tutto il resto è al di fuori della nostra competenza, se i servizi – e in particolare il servizio da lei diretto – ha avuto compiti relativi allo smaltimento delle sostanze radioattive. Immagino che lei sia a conoscenza delle dichiarazioni di Fonti e quindi se le sue dichiarazioni – che stabiliscono un ruolo abbastanza chiaro circa l'attività dei servizi – hanno trovato qualche riscontro, se risulta che qualcosa di quello che ha detto è veritiero o tutto inventato o comunque non verificato. Le lascio la parola ancora ringraziandola per la sua presenza.

      SIRACUSA SERGIO, ex direttore del Servizio per le informazioni e la sicurezza militare (SISMI). Ho ricevuto l'invito a essere ascoltato dalla Commissione e – anche per le scarne indicazioni che ho avuto sull'inchiesta della Commissione sulle navi a perdere e sullo stoccaggio dei rifiuti pericolosi – ovviamente ho capito che non si riferiva certo al mio incarico attuale di consigliere di Stato, né a quello precedente di Comandante generale ma era riferito alla mia attività di direttore del Sismi dal 1994 al 1996. Non avevo memorie particolari delle attività dell'epoca, quindi mi sono recato al servizio e ho chiesto al direttore del servizio di farmi vedere le carte dell'epoca su questo


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specifico argomento. Devo dire che poi mi sono anche premurato di farmi un quadro di carattere generale leggendo i resoconti della Commissione e ho letto anche quello – sebbene affrettatamente perché si tratta di tantissimo materiale – di Fonti e di altri che hanno deposto sulla questione.
      Da questa ricognizione che ho svolto presso il servizio posso richiamare – si tratta di documentazione che mi hanno detto sia in possesso della Commissione – il fatto che nel 1995 il Presidente del Consiglio Dini fu ascoltato dall'allora Copaco, oggi Copasir, e successivamente fu inviata da parte del Sismi tramite il Cesis, oggi Dis, al Presidente del Consiglio una relazione sull'attività svolta. Tra queste attività era menzionata anche quella che si riferisce allo stoccaggio di rifiuti radioattivi.
      Poi ci fu chiesto – con messaggi da parte del Cesis – di sapere anche l'ammontare orientativo delle spese sostenute dal servizio nel campo della immigrazione clandestina, del traffico d'armi e del traffico di materiale pericoloso. Ci fu una risposta dettagliata da parte del Sismi a mia firma nella quale indicavamo che orientativamente, perché è difficile spesso poter attribuire determinate spese a delle tipologie di informazioni così singolarmente prese, era stata spesa una somma di 20 milioni di lire per quello che riguardava l'immigrazione clandestina e di 500 milioni di lire per quello che riguardava il traffico d'armi e lo stoccaggio di materiale radioattivo.
      È chiaro che quando ci si riferisce a spese di questo genere per l'attività operativa di intelligence si intende la collezione e la raccolta di materiale informativo tesa al contrasto di questa attività, come è compito del servizio. Nel sommario delle attività svolte nel 1994 e precedenti inviata al Presidente del Consiglio c’è un capitolo proprio dedicato allo stoccaggio di materiale radioattivo in cui si indicava con un certo dettaglio qual era la stata l'attività svolta, vale a dire il censimento delle centrali nucleari, tutte quelle di interesse comprese quelle dell'Europa orientale quindi della Russia e della Comunità di stati indipendenti attorno alla Russia, dalla Bielorussia all'Ucraina, al Kazakistan e al Turkmenistan, eccetera. Una piantina che dava l'idea della loro esatta collocazione e quindi dei potenziali traffici, perché il servizio è sempre stato molto interessato alle scorie radioattive e a che fine facessero queste scorie. Non solo le scorie delle centrali in funzione, ma era anche interessato alle centrali già dismesse, per lo stesso motivo, e anche allo smantellamento delle armi nucleari dovute agli accordi successivi alla caduta del muro di Berlino, sempre nel timore che di queste armi, di queste scorie e di questo materiale radioattivo appartenuto alle bombe nucleari potessero impossessarsi i terroristi causando dei danni considerevoli.
      Questo è stato il quadro. Successivamente so che il Presidente del Consiglio di allora andò a una seconda audizione che si svolse in dicembre presso il Copasir. Quello che voglio ribadire, ancora una volta, è che l'attività del Servizio informazione e sicurezza preposto alla sicurezza dello Stato è un'attività rivolta al contrasto e all'acquisizione di tutte le informazioni per dare un quadro alle autorità dello Stato, contro lo stoccaggio e il traffico. In questo ha agito sempre il servizio da me diretto ma sono sicuro di poter dire che il servizio ha sempre agito in questo modo. Per il momento non avrei altro. Ho

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letto anche – oltre alle dichiarazioni di Fonti – anche gli articoli del quotidiano Terra e l'interrogazione parlamentare a risposta scritta al Senato, di Ferrante e Della Seta, che lumeggiavano una situazione non corrispondente al vero, perché si diceva che il Governo avesse dato dei soldi al Sismi per lo smaltimento. Il Sismi non ha mai ricevuto – e questo posso certificarlo finché ero in servizio – soldi per questa attività. La risposta che abbiamo dato noi dei 500 milioni, sono soldi spesi per l'attività di intelligence, soldi che facevano parte del budget del servizio. Non c’è, quindi, un'assegnazione di soldi al servizio per questo scopo. Era un'interpretazione del giornalista del quotidiano Terra, poi ripresa dall'interrogazione parlamentare al Senato, non corrispondente certamente al vero.

      PRESIDENTE. Le chiedo un chiarimento. Quando vengono attribuiti dei fondi sono attribuiti in modo mirato, cioè 500 milioni per questo, 20 milioni per quest'altro oppure sono fondi che ha il servizio e che in quanto tali utilizza come crede? Poiché la domanda specificamente riguardava il traffico dei rifiuti, ci siamo in qualche modo sorpresi e interessati che ci fosse una specificazione su questo settore che penso rientrasse invece sulle indagini complessive che si fanno sulla criminalità organizzata o sulla criminalità internazionale e così via. Volevamo capire come mai c'era questa voce specifica.

      SIRACUSA SERGIO, ex direttore del Servizio per le informazioni e la sicurezza militare (SISMI). Sì le voci di cui ci è stato chiesto il resoconto erano tre: immigrazione clandestina, traffico d'armi e stoccaggio di materiale pericoloso. Noi abbiamo diviso attribuendo un valore di 20 milioni all'immigrazione clandestina e 500 milioni per entrambi gli altri settori. Innanzitutto, vorrei dire che il Governo non ci assegna fondi in maniera specifica ma assegna un budget al servizio. Ci sono fondi riservati e fondi diciamo aperti e il servizio li impiega nei settori di maggior importanza, di maggior urgenza e di maggior interesse. Non c’è un'assegnazione di fondi per qualcosa. La curiosità del Presidente del Consiglio probabilmente su richiesta del Copaco di allora, era riferita per avere un'idea di quello che potesse essere stato l'impegno di spesa in questi tre grandi settori. La nostra risposta fu anche corredata da un richiamo alla necessaria genericità di questa risposta perché quando si raccolgono informazioni dalle varie fonti è difficile poter distinguere un canale informativo di interesse da un altro. Quindi le somme indicate erano necessariamente generiche e arrotondate. Non erano a 327,5 milioni perché vengono spese dove interessa e dove c’è la possibilità. Quindi ripeto che non c’è stata assegnata alcuna somma e la richiesta era diretta a questi tre grandi settori, cioè immigrazione clandestina, traffico d'armi e stoccaggio di materiale pericoloso.

      ALESSANDRO BRATTI. Al di là della spiegazione di questo denaro, volevo porle alcune questioni. Innanzitutto, se i servizi stavano in quel periodo attenzionando Giorgio Comerio, personaggio che lei conoscerà, legato soprattutto ai penetratori per lo smaltimento dei rifiuti radioattivi, personaggio che risulta ad oggi avere parecchi mandati di cattura e che ancora gira fra la Tunisia e l'Italia. Sapere quali erano i rapporti dei servizi con questo personaggio, se era un


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collaboratore per certi versi in qualche periodo o se era solo una persona che era seguita proprio in virtù di questa sua attività, cosa che sarebbe assolutamente normale. L'altra questione è quali sono state le vostre relazioni con le procure calabresi, soprattutto quella di Reggio Calabria. In tutti gli interrogatori e i confronti che abbiamo fatto si paventa sempre la presenza di servizi, dicendo anche che i servizi avevano collaborato in maniera proficua. Poi si paventa soprattutto in relazione alla morte del capitano De Grazia la presenza di automobili e quindi anche su questo volevo sapere cosa ci può dire.
      L'altra questione riguarda il traffico di rifiuti radioattivi, se in qualche modo voi attenzionavate il centro di Rotondella dell'Enea, dove ci risulta venissero fatti dei corsi di perfezionamento – forse un po’ prima – a personale tecnico straniero e dove ogni tanto emerge un via vai di rifiuti radioattivi.
      Un'altra faccenda riguarda il rapporto con questa figura, mi è sembrato di capire che sia stato senatore, il signor Noè sul tema dello smaltimento dei fusti di Seveso. Ci interesserebbe capire se eravate in qualche modo coinvolti in questa attività. Infine, rispetto al tema delle navi a perdere, se avete mai seguito la rotta di queste navi – soprattutto la Jolly Rosso e del suo spiaggiamento in Calabria – e se c’è anche in questo caso una relazione – almeno così ci è noto dalle carte – con Comerio che avrebbe voluto costruire su questa nave una serie di marchingegni tecnologici. Infine se voi avevate un indicazione che vi fosse soprattutto relativamente ai paesi nordafricani, in particolare la Somalia, una relazione tra quello che poteva essere il traffico dei rifiuti – non solo radioattivi, ma anche pericolosi – e il traffico d'armi e se eventualmente vi erano dei coinvolgimenti o delle responsabilità anche e da parte di pezzi dello Stato nell'ambito della Cooperazione internazionale.

      SIRACUSA SERGIO, ex direttore del Servizio per le informazioni e la sicurezza militare (SISMI). Cercherò di rispondere. Voglio sottolineare che il direttore del servizio non ha sempre una conoscenza delle attività che vengono svolte dalle articolazioni sul terreno, ma ne è a conoscenza quando deve riportare una situazione per il Governo per un ovvio motivo di livelli. Non avrebbe la possibilità di fare una questione di questo genere. Nelle mie risposte sarò in alcune parti non totalmente soddisfacente.
      Per quello che riguarda Comerio, in quella relazione a cui ho fatto cenno prima, vale a dire quella inviata a novembre al Presidente del Consiglio c’è proprio un accenno a Comerio e alla sua attività con la sua ditta ODM, ma se si legge il documento che è a disposizione della Commissione, non è certo per collaborazione. Escludo assolutamente che il servizio possa essersi servito come collaborazione, nell'attività svolta da questo Comerio, appoggiandolo oppure contribuendo a questa sua attività. Infatti leggendo questa relazione ricordo questo passaggio in cui si parla di Comerio non certo in termini lusinghieri. Per quel che riguarda la procura di Reggio Calabria, il servizio ha collaborato attivamente e fattivamente con le procure. Se mi è consentito questo piccolo passaggio autoelogiativo quella fu una mia direttiva appena assunsi l'incarico. Le procure dovevano avere dal servizio tutta l'assistenza e questo è provato con documentazione che


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abbiamo mandato alla procura di Reggio Calabria. Ricordo anche qualche procuratore, a Reggio Calabria ma anche la procura di Milano, il giudice Salvini e tante altre procure perché era chiaro che era indispensabile che quelli che erano misteri della Repubblica, Ustica e altri, dovessero trovare per la loro soluzione la massima collaborazione da parte degli organismi preposti alla sicurezza dello Stato.
      Su questo posso dire che senz'altro abbiamo collaborato fornendo alle procure, specialmente di Reggio Calabria ma anche altre – saranno state tante altre magari non in questo campo – la massima collaborazione. Per quello che riguarda il comandante De Grazia devo confessare che ho appreso di questa vicenda leggendo i resoconti della Commissione. Non avevo alcuna cognizione a quei tempi della morte in quelle circostanze della sua attività che stava svolgendo insieme ad altri del nucleo di polizia giudiziaria in questo specifico settore. Così pure quello che riguarda il traffico della sede Enea di Rotondella, sarei portato a escludere ma, direi meglio, non ho memoria. È una cosa di cui proprio non ho conoscenza che noi abbiamo sorvegliato o collaborato con l’ Enea di Rotondella. Mi dispiace, ma non ho alcun elemento. Così pure con riguardo alla questione di Seveso e di questo senatore Noè. Penso che la Commissione ci abbia già pensato ma probabilmente su questi fatti il NOE dei carabinieri saprà molto. Come servizio che non ho alcun ricordo di questi aspetti. Per quel riguarda le navi a perdere in quella relazione vi erano molto dettagli sulle navi che erano affondate nelle acque interne italiane. C'erano segnate le rotte, il carico, i fondali anche con cartine piuttosto dettagliate. Per quel che riguarda infine i traffici di armi e di rifiuti radioattivi con la Somalia...

      PRESIDENTE. Le armi non ci interessano, ci interessano i rifiuti...

      ALESSANDRO BRATTI. La domanda era per sapere se c'era un intreccio tra i due e se in cambio dei rifiuti...

      SIRACUSA SERGIO, ex direttore del Servizio per le informazioni e la sicurezza militare (SISMI). Loro si dovevano prendere i rifiuti Lo scambio qual era? Si prendevano i rifiuti...

      PRESIDENTE. In cambio di armi...

      SIRACUSA SERGIO, ex direttore del Servizio per le informazioni e la sicurezza militare (SISMI). Uno per due come al supermercato. No guardi, io sono venuto a conoscenza della questione di questo traffico occupandomi a fondo nel caso di Ilaria Alpi, però me ne sono occupato dopo perché sono stato sentito dalla Commissione di inchiesta del senatore Taormina e quindi mi sono dovuto preparare. Su questa questione io non ho assolutamente alcun elemento. Ilaria Alpi ricordo che è morta nel marzo del 1994, era stata prima a Bosaso di lì poi è stato pensato che le informazioni assunte a Bosaso potessero essere state talmente delicate e importanti sul traffico d'armi e sul traffico di rifiuti radioattivi tanto da provocarne la morte. Su questo io non ho proprio alcun elemento, perché non ci risulta.


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      RAFFAELE VOLPI. Visto che è stato escluso da tutte le domande che ha fatto il collega Bratti una serie di ipotesi che comunque – come lei ha avuto modo di vedere – emergono dagli atti che la Commissione ha acquisito, le chiedo se in occasione di quei fatti – di cui lei ci ha dato peraltro un'indicazione generica sulle cifre impiegate – ha avuto l'impressione che sugli stessi argomenti si fossero interessati altri servizi se il vostro servizio su questi argomenti ha avuto contatti e collaborazioni con altri servizi dello Stato.

      SIRACUSA SERGIO, ex direttore del Servizio per le informazioni e la sicurezza militare (SISMI). Guardi l'interesse primario del Sismi, oggi Aise, era diretto principalmente all'epoca sul tracciamento del percorso di questo materiale radioattivo che veniva dalle centrali in attività, da quelle dismesse e dall'armamento nucleare dismesso, perché strettamente collegate all'impiego perverso che avrebbero potuto farne i terroristi. Il nostro sguardo principale partiva dall'estero. Per quel che riguarda i servizi interni, io non escludo che se ne sia occupato il Sisde. Probabilmente essendo una cosa spiccatamente interna non mi sorprenderei affatto che il Sisde si fosse impegnato con i suoi centri domestici, cioè all'interno del Paese, a tracciare le attività in questo campo della criminalità organizzata, quindi la mafia e la ’ndrangheta che su questo hanno notevolmente lucrato. Era una attività per noi non di immediato interesse perché il Sismi prioritariamente aveva questa funzione. La proliferazione delle armi di distruzione di massa e l'impiego di questo materiale radioattivo proveniente da queste tre fonti era quello che ci occupava veramente con grande priorità.

      PRESIDENTE. Ha detto prima che sono stati investiti 500 milioni per acquisire notizie relative allo stoccaggio e al traffico di rifiuti. Vuol dire che è stata svolta un'attività particolarmente intensa in questo settore. Noi ovviamente non facciamo domande su eventuali coinvolgimenti dei servizi, ma vorremmo capire quali furono gli elementi che furono raccolti all'epoca sulla base di questi investimenti patrimoniali. Si è evidentemente trattato di una attività a largo raggio e a noi risultano situazioni come la Somalia e le navi a perdere. Quali sono state ad esempio le fondamentali notizie acquisite sulla Somalia? Quali sono state le notizie fondamentali acquisite sulle cosiddette navi a perdere? Perché Comerio era particolarmente all'attenzione dei servizi per i suoi rapporti internazionali? Noi vorremmo capire, salvo che lei ci dica che il capo del servizio queste cose non le conosceva e non le venivano riferite. In quel caso però molto probabilmente esisterà il capo di un settore, un responsabile di settore dell'epoca naturalmente, esisteranno degli ufficiale operativi. Chi ci può dare questa notizia? Sarà pure qualcuno che ha investito 500 milioni per avere qualche risultato. Su questi risultati noi siamo interessati. Ci saranno poi alcuni aspetti specifici. Sicuramente Comerio non era uno che passava di lì per caso. Ci sono numerose notizie e numerosi rapporti che riguardano Comerio fatti dai servizi. Volevamo quindi avere un quadro più approfondito. Sulla Somalia noi abbiamo avuto un memoriale di Fonti che contiene certamente dei dati inquietanti su notizie molto specifiche sul traffico con la Somalia. A voi non è


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mai risultato che dall'Italia venissero mandati in Somalia rifiuti pericolosi tossici o radioattivi? Le faccio una domanda conclusiva su questo. Sicuramente c'erano le sostanze radioattive che derivavano dalle centrali e anche sostanze radioattive che sono state recuperate in quel periodo perché ci fu un trattato. Il nostro problema è di cercare di stabilire dove sono finite. Sono andate in Somalia sono finite a Rotondella in qualche discarica? Giustamente lei dice che il servizio ha fatto attività di intelligence sulla criminalità relativa allo stoccaggio e al commercio dei rifiuti. Noi siamo proprio qui per chiederle che cosa avete acquisito.

      SIRACUSA SERGIO, ex direttore del Servizio per le informazioni e la sicurezza militare (SISMI). Devo rifarmi a quello che ho detto prima. Innanzitutto vorrei fare questa annotazione, 500 milioni non sono una cifra strabiliante...

      PRESIDENTE. Nel 1995 non è neanche poco. Comunque qualche risultato lo avrete avuto.

      SIRACUSA SERGIO, ex direttore del Servizio per le informazioni e la sicurezza militare (SISMI). Certamente questi risultati fanno parte di quella relazione che ho menzionato già più volte e che dettagliano le attività svolte e i risultati acquisiti. I 500 milioni riguardavano anche il traffico d'armi. Quello era un periodo in cui i principali campi d'azione dei servizi erano quattro, ma il terrorismo era il primo. Successivamente c’è stata un proliferazione delle armi di distruzione di massa che effettivamente ha rappresentato un serio grattacapo, la grande criminalità internazionale, l'immigrazione clandestina e l’intelligence economica a corredo di tutto. Si intrecciano questi settori ed è difficile a volte stabilire che un canale informativo sia fruttuoso in un certo settore piuttosto che in un altro, perché si sovrappongono. Se quindi noi pensiamo a questa somma, che a me sembra francamente bassa...

      PRESIDENTE. È tutto relativo.

      SIRACUSA SERGIO, ex direttore del Servizio per le informazioni e la sicurezza militare (SISMI). 500 milioni nel 1995 sono 250 mila euro. Il budget del servizio è un'altra cosa. Sono sicuro perché comunque su tutta l'attività di intelligence si è speso molto di più. In fondo la ragion d'essere del servizio, cioè di questa istituzione a difesa dello Stato, è quella di acquisire informazioni, non facciamo operazioni. Per questo anche all'inizio ho subito detto che noi facciamo operazioni di intelligence per acquisire il quadro informativo, non certo per fare lo smaltimento dei rifiuti. Quindi le maggiori spese del servizio sono in questo campo. Se lei poi mi chiede quali sono stati i risultati delle navi a perdere e di Comerio, l'ho già citato prima e in quella relazione c’è scritto espressamente il riferimento alle navi a perdere. Della Somalia non c’è niente perché probabilmente all'epoca – parlo sempre del


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1994-1996 – non avevamo percepito per quello che io so, perché il direttore del servizio è come il capo di una grande industria non è pensabile che sappia tutto ...

      RAFFAELE VOLPI. L'impressione che ho io, magari con un po’ di ingenuità, e che le cifre che avete fornito siano state estrapolate in un modo approssimativo. Perché la risposta è che le azioni di intelligence, e non l'operazione, non sono commisurate alla cifra di 500 milioni di lire da voi fornita. È difficile scindere fra l'interesse specifico e le fonti che si sono attivate. Le stesse fonti si possono attivare sia per il traffico di armi che per materiale radioattivo o per i rifiuti. Evidentemente c’è un passaggio che è in contrasto con le risposte che lei ha dato prima al collega Bratti.

      SIRACUSA SERGIO, ex direttore del Servizio per le informazioni e la sicurezza militare (SISMI). Cioè?

      RAFFAELE VOLPI. Semplice, perché se queste fonti sono qualificate per tutti tre i settori, qualche cosa, rispetto all'interpolazione che tratteggiava il collega Bratti, ci deve essere. Altrimenti se lei ci dice che i 500 milioni sono generici, allora quali sono i risultati? Se non ci sono risultati specifici, del quali lei non ha memoria, tenendo presente che gli stessi soggetti attivati come fonti sono gli stessi che si occupavano di altro, vuol dire che noi abbiamo avuto un risultato un pò povero.

      SIRACUSA SERGIO, ex direttore del Servizio per le informazioni e la sicurezza militare (SISMI). La ringrazio della sincerità con la quale ha posto la domanda. Come funziona l'attività di intelligence? Ognuno ha una rete di informatori, di fonti, e si prefigge un certo obiettivo. Per capire, ad esempio, se una centrale ed affidabile o meno, e ce ne era un certo numero che sicuramente non lo erano, l'esempio di Chernobyl è lampante, si devono pagare le notizie. Se devo mandare qualcuno in Ucrania devo pagarlo, se deve informarsi le devo dare dei soldi. Molte notizie, che si trasformano in informazioni dopo una valutazione dell'affidabilità della fonte, vengono da un rete già preesistente. Dire che per quel risultato ho speso «x» è un po’ difficile. Per questo la cifra che abbiamo fornito e una cifra rotonda. Ma ciò non vuol dire che non abbiamo avuto risultati. Ho menzionato solo alcuni perché sono quelli che ho rivisto. Io non ho memoria della Somalia.

      ALESSANDRO BRATTI. Fonti è stato un vostro collaboratore?

      SIRACUSA SERGIO, ex direttore del Servizio per le informazioni e la sicurezza militare (SISMI). Assolutamente no. Rispondo per quello che è la mia competenza, ma mi sento anche di rispondere per tutti i miei predecessori.

      ALESSANDRO BRATTI. Non avete mai avuto collaboratori alla Spezia che seguissero il traffico delle armi?


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      SIRACUSA SERGIO, ex direttore del Servizio per le informazioni e la sicurezza militare (SISMI). Non lo so. Le fonti sono protette. In tutti gli appunti che pervengono al direttore le fonti non sono menzionate, ne il direttore si azzarda a chiedere chi essa sia perché è una questione delicatissima.

      PRESIDENTE. Senta ma allora lei può forse esserci utile per un aspetto. Potrebbe dire a chi ci dobbiamo rivolgerci per ottenere notizie che non sono a lei pervenute. Perché per esempio su Fonti abbiamo dei riscontri su una conoscenza dei fatti che non sono soltanto giornalistici. Comerio è stato contattato dai servizi.

      SIRACUSA SERGIO, ex direttore del Servizio per le informazioni e la sicurezza militare (SISMI). Lei si riferisce al SISMI o ai servizi in genere?

      PRESIDENTE. Mi riferisco al SISMI, ad una annotazione del 2004 nella quale si dice che negli anni 90 Giorgio Comerio era in contatto con una fonte gestita da personale della 8o Divisione e che nel luglio 2001 è stato intervistato da personale della 8o Divisione congiuntamente a rappresentanti della Guardia di finanza che lo avrebbero messo in contatto con il SISMI. L'obbiettivo era quello di verificare la possibilità di stabilire un eventuale rapporto fiduciario con il Servizio. Tutta questa attività per coinvolgere Comerio, che sappiamo essere personaggio che si è occupato attivamente dello smaltimento dei rifiuti, contraddice le sue affermazioni al riguardo.

      SIRACUSA SERGIO, ex direttore del Servizio per le informazioni e la sicurezza militare (SISMI). In quella relazione a mia firma, e a cui ho fatto riferimento più volte, c’è un capitoletto che riguarda Comerio nel quale egli è dipinto non certo come uno con cui il Servizio collabora...

      PRESIDENTE. Qui viceversa abbiamo da un documento segreto diretto all'Ufficio affari giuridici e per conoscenza all'Ufficio del gabinetto, nel 2004 è stata chiesta una informativa su Comerio dalla quale risulta che negli anni 90 egli era in contatto con una fonte gestita da personale della 8o Divisione e che nel luglio 2001 è stato intervistato da personale della 8o Divisione congiuntamente a rappresentanti della Guardia di finanza che lo avrebbero messo in contatto con il SISMI... al fine di verificare la possibilità di stabilire un eventuale rapporto fiduciario con il Servizio.

      SIRACUSA SERGIO, ex direttore del Servizio per le informazioni e la sicurezza militare (SISMI). Nel 2001, sicuramente io non ho cognizione.

      PRESIDENTE. Qui parliamo di anni ’90 sino al 2001

      SIRACUSA SERGIO, ex direttore del Servizio per le informazioni e la sicurezza militare (SISMI). Io non voglio assolutamente dare l'impressione ...


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      PRESIDENTE. Per questo le chiedevo chi può darci notizie al riguardo.

      SIRACUSA SERGIO, ex direttore del Servizio per le informazioni e la sicurezza militare (SISMI). Il direttore attuale del servizio può dare tutte le risposte.

      PRESIDENTE. Non vorremmo avere una risposta nella quale si afferma che non è il Direttore del servizio che lo sa... I contatti in materia di rifiuti con le fonti informativa, chi gli teneva? Sulla Somalia esiste una serie numerosissima di notizie. Lei sostiene di non aver mai saputo nulla al riguardo. Ma c'era qualcuno che si occupava specificatamente del rapporto con la Somalia?

      SIRACUSA SERGIO, ex direttore del Servizio per le informazioni e la sicurezza militare (SISMI). Nel documento c’è scritto che rappresentanti della ex 8o Divisione....

      PRESIDENTE. Quello riguardava Comerio ora le ho rivolto una domanda sulla Somalia. Chi si occupava della Somalia?

      SIRACUSA SERGIO, ex direttore del Servizio per le informazioni e la sicurezza militare (SISMI). Dipende dagli interessi per materia. Delle armi di distruzione di massa a cui è connesso il traffico di rifiuti radioattivi si occupava la 8o Divisione. La 1oDivisione, citata anche in quel documento, si occupava di ricerca all'estero. Sono tutti chiarimenti, che risalendo alla documentazione disponibile dell'epoca, il direttore attuale del servizio può fornire.

      PRESIDENTE. Le risulta che ci sia stata attività di inteligence sulle navi cosiddette a perdere?

      SIRACUSA SERGIO, ex direttore del Servizio per le informazioni e la sicurezza militare (SISMI). Sì sono stati acquisiti molti elementi contenuti in quella relazione che io continuo a citare. In essa si faceva riferimento a tutte le navi sprofondate in acque di interesse nazionale citando rotte, porto di partenza, carico denunciato, punto di affondamento e profondità delle acque nel punto di affondamento.

      PRESIDENTE. Lei ricorda qualche risultato di questa inchiesta? Sui luoghi di affondamento, chi erano i soggetti interessati a questa attività?

      SIRACUSA SERGIO, ex direttore del Servizio per le informazioni e la sicurezza militare (SISMI). No mi dispiace, non ho elementi per rispondere.

      PRESIDENTE. In particolare vi è un dato: vi era un problema nel 1993 di un potenziale rischio ecologico dovuto a 217 tonnellate di rifiuti tossici provenienti dalla Germania e stipati in un convoglio ferroviario in sosta presso il confine albanese. Di questo fatto si è occupato il Servizio?


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      SIRACUSA SERGIO, ex direttore del Servizio per le informazioni e la sicurezza militare (SISMI). No. Dalla Germania verso l'Albania?

      PRESIDENTE. Sì, naturalmente passando da noi. Nei mesi di aprile del 1994 venivano inoltre informati il Censis, Difesa, Gabinetto del MAE, in merito ad un presunto carico radioattivo sbarcato nel porto di la Spezia e diretto in Austria. Il materiale, proveniente dal Sudafrica, presentava una non rilevante radioattività. La ditta austriaca lo respingeva al mittente a causa al clamore provocato. Le risulta?

      SIRACUSA SERGIO, ex direttore del Servizio per le informazioni e la sicurezza militare (SISMI). No.

      PRESIDENTE. Le risulta che i servizi si siano occupati della Jolly Rosso?

      SIRACUSA SERGIO, ex direttore del Servizio per le informazioni e la sicurezza militare (SISMI). No non mi risulta.

      PRESIDENTE. Nel 1995 ci fu un caso particolarmente rilevante, quello della nave Coraline che tentò di scaricare sul territorio italiano del materiale radioattivo. Ne ha avuto notizia?

      SIRACUSA SERGIO, ex direttore del Servizio per le informazioni e la sicurezza militare (SISMI). No.

      PRESIDENTE. Il 19 luglio 1995 viene inviata dal SISMI e al Censis una nota, successivamente trasmessa al Governo della Sierra Leone, con allegato una appunto su Comerio nel quale si fa riferimento ad una fonte confidenziale attendibile che riferiva che Comerio aveva intenzione di armare una nave da destinare al trasporto e allo scarico. Di questo Comerio che cosa ne hanno saputo i Servizi? Comerio ha una caratteristica particolare: pur dovendo scontare una pena egli è tranquillamente in libertà e nessuno si preoccupa di sapere dove è finito.

      SIRACUSA SERGIO, ex direttore del Servizio per le informazioni e la sicurezza militare (SISMI). Comerio, come dicevo prima, era presente in questa relazione nella quale si riferiva del suo tentativo di utilizzare un'isola della Sierra Leone. Noi abbiamo trasmesso questa informazione al Cesis per il Presidente del Consiglio insieme all'altra questione che riguardava le navi e l'intento di utilizzare dei marchingegni per affondare dei rifiuti radioattivi. Altri dettagli non saprei darli.

      PRESIDENTE. Lei ha mai avuto occasione di sentire il nome del maresciallo Scimone?

      SIRACUSA SERGIO, ex direttore del Servizio per le informazioni e la sicurezza militare (SISMI). No, solo nei resoconti della Commissione al riguardo di De Grazia.


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      PRESIDENTE. Era quello che aveva rapporti con i Servizi per quanto riguardava l'acquisizione di documentazione e notizie.

      SIRACUSA SERGIO, ex direttore del Servizio per le informazioni e la sicurezza militare (SISMI). In questo....

      PRESIDENTE. A chi possiamo rivolgerci. Mi rendo conto che il direttore dei servizi non può conoscere i piccoli particolari. Lei non ricorda chi erano le persone che seguivano queste questioni?

      SIRACUSA SERGIO, ex direttore del Servizio per le informazioni e la sicurezza militare (SISMI). Il direttore dell'8o Divisione e della 1o Divisione. Ritengo che il modo più soddisfacente per la Commissione sia quello di chiamare il direttore del Servizio informandolo sui temi da affrontare in modo di consentire di risalire alla documentazione dell'epoca. Sicuramente i responsabili di quelle due articolazioni non saranno in servizio. C’è già un elemento sul quale basarsi: quella lettera segreta alla quale lei ha fatto riferimento. È chiaro che a livello più basso hanno una visione più di dettaglio, di frontiera, e quindi le indicazioni sono molto più dettagliate di quelle che può avere il direttore del servizio.

      PRESIDENTE. Ricorda chi fossero i direttori della 1o e 8o divisione?

      SIRACUSA SERGIO, ex direttore del Servizio per le informazioni e la sicurezza militare (SISMI). Direttore della 8o Divisione era Giuseppe Grignolo. Sono tutte informazioni che il direttore del servizio può fornire.

      PRESIDENTE. Le risulta che – questa è una notizia testimoniale che abbiamo assunto – coloro che stavano investigando sul traffico di rifiuti pericolosi siano stati controllati dal Sismi. Ci riferiamo al colonnello Martini e ad altri che hanno operato in quel periodo, i quali ci hanno riferito di avere avuto alcuni episodi di controllo da parte dei servizi. In particolare ci fu una riunione in un casolare sperduto che doveva rimanere riservata durante la quale videro arrivare delle macchine, successivamente identificate attraverso le targhe, appartenente ai servizi. Un altro episodio sarebbe avvenuto a Brescia e riguardava attività di ripresa identificata come svolta dai Servizi.

      SIRACUSA SERGIO, ex direttore del Servizio per le informazioni e la sicurezza militare (SISMI). No, certamente non mi risulta. Ho letto anch'io i verbali del colonnello Martini. Che i servizi controllino ufficiali di polizia giudiziaria lo ritengo poco verosimile. I servizi hanno rapporti di grande collaborazione con la polizia giudiziaria perché è attraverso la polizia giudiziaria che ci si rapporta con la magistratura. Sono portato escluderlo. Sono convinto che quelle siano percezioni di Martini ed altri... Sono portato a escludere che ci siano state delle attività di sorveglianza da parte del Sismi nei con fronti del nucleo di polizia giudiziaria.


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      PRESIDENTE. Nel periodo in cui lei ha diretto il servizio, quali sono state le attività investigative e quali risultati hanno ottenuto in relazione al traffico di rifiuti pericolosi e o radioattivi e alle cosiddette navi a perdere?

      SIRACUSA SERGIO, ex direttore del Servizio per le informazioni e la sicurezza militare (SISMI). Sì guardi mi tocca sempre di rifarmi a quella relazione che a diversi allegati e costituisce la summa dell'attività svolta fino a quel momento. Dire di più di quello che ho già detto e di quello che è richiamato nella relazione di cui è in possesso la Commissione... La relazione del novembre del 1995, in possesso della Commissione insieme ad altra documentazione, è un punto di situazione che risponde alla sua domanda. Noi ci siamo interessati dell'argomento partendo da l'attività all'estero delle grandi centrali nucleari in funzione e dismesse. Di quelle in funzione ci siamo occupati di quelle che erano in condizione di maggior potenziale pericolo. Ci siamo occupati dello smantellamento dei sistemi di armamento a seguito degli accordi tra la Russia e gli Stati Uniti e la Nato. Noi eravamo pienamente interessati del traffico di rifiuti radioattivi. Ma sempre nel campo dei buoni e non come qualcuno ha lasciato intravedere, questo Fonti per esempio, che noi fossimo coinvolti. L'attività di intelligence è quella di fornire il quadro informativo il più accurato possibile in modo tale che il Governo possa prendere le opportune decisioni. Per questo i servizi spendono i soldi del budget che gli è stato assegnato. La risposta è proprio contenuta in quella relazione del novembre del 1995 sull'attività svolta ed i risultati ottenuti.

      PRESIDENTE. In quegli anni rientrarono rifiuti dall'estero?

      ALESSANDRO BRATTI. Riguardo quel periodo dubito che i Servizi fossero dalla parte dei buoni. In quel periodo entra in vigore la normativa internazionale per la quali rifiuti non possono essere esportati. Molti rifiuti rientrano in Italia. La maggior parte di questi rifiuti sono, in parte, di aziende di stato e vengono gestiti da Monteco, che è una costola di Eni, che li porta in Libano nel nord Africa e poi li riporta in Italia. Ci sono delle polemiche intorno al porto di la Spezia. Visto che in questo caso era interessato e lo Stato italiano e alla Monteco viene assegnato, non si capisce se vi è gara, da parte del Governo questo incarico. Le risulta che i Servizi abbiano svolto attività di intelligence al riguardo?

      SIRACUSA SERGIO, ex direttore del Servizio per le informazioni e la sicurezza militare (SISMI). Io non ho alcuna memoria quindi non potrei risponderle. Avendo a che fare con una azienda di Stato è più facile la raccolta di informazioni ove queste informazioni non siano state fornite direttamente dall'azienda al Governo. È possibile che ci siamo interessati ma non mi sembra una questione di urgenza considerato che il rientro del materiale radioattivo era incanalato in un percorso legale. Ma non credo che ci siamo interessati, in fondo non c’è bisogno, avremmo portato Presidente del consiglio una notizia di seconda mano.


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      PRESIDENTE. Visto che il vostro compito era quello di evitare le attività illegali e l'utilizzazione di questo materiale eventualmente per scopi terroristici. A voi risulta dov’è finito tutto questo materiale radioattivo? Dov’è stato smaltito, in Italia o all'estero?

      SIRACUSA SERGIO, ex direttore del Servizio per le informazioni e la sicurezza militare (SISMI). Non ho purtroppo una risposta da dare.

      PRESIDENTE. Lo sapremo dall'8o Divisione?

      SIRACUSA SERGIO, ex direttore del Servizio per le informazioni e la sicurezza militare (SISMI). Ritengo di sì. È una precisazione che potrà fornire con la massima precisione il direttore del Servizio.

      RAFFAELE VOLPI. Nel periodo in cui lei è stato direttore del Sismi, rispetto ai temi che sono interessi di questa Commissione, è stato chiamato a partecipare a riunioni, anche informali, con altri servizi o con organi del Governo in modo di poter dare il suo contributo riguardo a situazioni di crisi come quella dei rifiuti?

      SIRACUSA SERGIO, ex direttore del Servizio per le informazioni e la sicurezza militare (SISMI). No. Evidentemente all'epoca a cui fa riferimento non si registrava questo argomento come critico.

      PRESIDENTE. No scusi lei ha dato a risposta e che possiamo ritenere veritiera. Ma che a quel periodo non ci fosse una situazione di crisi dopo quello che stato detto...

      SIRACUSA SERGIO, ex direttore del Servizio per le informazioni e la sicurezza militare (SISMI). Non credo ci fosse la Commissione...

      ALESSANDRO BRATTI. Sì, era stata istituita la prima Commissione monocamerale d'inchiesta di cui era presidente l'onorevole Massimo Scalia.

      SIRACUSA SERGIO, ex direttore del Servizio per le informazioni e la sicurezza militare (SISMI). Volevo dire che non era emersa all'attenzione devastante come adesso...

      PRESIDENTE. Questo documento che è del 2 agosto 1995 è stato spedito dal Sismi. Oggetto: Comitato parlamentare di controllo. Richiesta di notizie su traffico abusivo di rifiuti anche radioattivi.
      (Viene data in visione il documento n. 294/27).
      Ci potrebbe dire se, in relazione a tutti i dati che qui emergono, il Sismi ha svolto attività di intelligence ed ha acquisito notizie importanti?

      SIRACUSA SERGIO, ex direttore del Servizio per le informazioni e la sicurezza militare (SISMI). Qui si parla della nave di Comerio. Qui c’è una mia annotazione: presentato al Copasir il 20 luglio 1995. Io


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ho riferito di queste attività al Comitato. Buona parte di quello che è scritto qui viene riportato nella relazione di cui prima.

      PRESIDENTE. Notizie su che cosa poi sia avvenuta successivamente non ne ha.
      Dispongo la riattivazione dell'impianto audio.

      (La Commissione procede in seduta pubblica).


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ALLEGATO 2

Audizione del direttore dell'Agenzia informazioni e sicurezza esterna (Aise), Adriano Santini.

      PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del generale Adriano Santini, direttore dell'Agenzia informazioni e sicurezza esterna (Aise).
      L'audizione odierna rientra nell'ambito degli approfondimenti che la Commissione sta svolgendo sulle cosiddette navi a perdere e sui rifiuti radioattivi. In considerazione della delicatezza degli argomenti in esame – e perché una gran parte dei documenti su cui eventualmente potrà riferire il generale o su cui potremo fare domande sono documenti segretati o riservati – propongo che l'audizione si svolga in seduta segreta.

      (Cosi rimane stabilito).

      Dispongo la disattivazione dell'impianto audio video.

      (La Commissione procede in seduta segreta).

      PRESIDENTE. Ringrazio il generale Santini per la sua disponibilità e la sua presenza. Ci rendiamo conto che la storia collegata ai rifiuti radioattivi, e in particolare alle cosiddette navi a perdere, è una storia lunga della quale difficilmente potrà aver avuto conoscenza completa. Noi confidiamo che su questi due settori, rifiuti radioattivi e navi a perdere, ci possa fornire un utile contributo. Abbiamo già avuto notizia dell'interessamento dei servizi in relazione sia all'uno che all'altro aspetto in audizioni precedenti o in documenti che abbiamo acquisito.

      ADRIANO SANTINI, direttore dell'Agenzia informazioni e sicurezza esterna (Aise). Innanzitutto devo dire che sia l'Agenzia che il Sismi in precedenza hanno dato sempre massima disponibilità e apertura a questa Commissione e anche alle attività condotte dalla magistratura, in particolare la magistratura di Reggio Calabria che ha in modo prolungato condotto un'indagine su questo argomento.
      Le attività che il Sismi prima e l'Aise attualmente possono dire di aver condotto nei settori cui lei ha accennato sono attività essenzialmente di contrasto al traffico di rifiuti. In questo contesto ci sono una serie di documenti, di segnalazioni e di eventi [...omissis...] riferiva sull'argomento in quanto interessato a rispondere su definiti finanziamenti, in particolare 500 milioni di lire – siamo nel 1994 – riferiti in modo generico al contrasto al traffico d'armi e di rifiuti radioattivi. In realtà, si tratta di una segnalazione abbastanza corposa che era conseguente questa audizione del Presidente del Consiglio pro tempore, che riferiva su tre argomenti nel dettaglio: contrasto all'immigrazione


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clandestina, per cui erano state destinate certe risorse, contrasto al traffico d'armi e al traffico illegale di rifiuti. Per queste due attività era stati destinati 500 milioni. La cosa è stata posta all'attenzione, si è approfondito l'argomento e entrando nel dettaglio degli allegati cioè della relazione allegata alla lettera si può verificare come intanto il Sismi in quel periodo abbia dedicato una forte attenzione essenzialmente al contrasto del traffico di armi. [...omissis...] Questa è l'attività cui fa riferimento specifico quella lettera e quella relazione, che è stata in qualche modo male interpretata – mi rifaccio ad esempio all'articolo di «Terra» che è uscito tempo fa e sulla base del quale venne fatta anche un'interrogazione parlamentare se non sbaglio. Non si tratta di risorse, 500 milioni di lire, destinate dal Governo pro tempore del 1994 per smaltire i rifiuti. No, si tratta di 500 milioni destinati complessivamente ad attività di contrasto al traffico di materiali di armamento, attività dettagliata con missioni e operazioni indicata una per una e attività direi di survey sulle potenzialità connesse allo smaltimento di rifiuti radioattivi.

      ALESSANDRO BRATTI. Ovviamente ci sarà stato un motivo per cui avete focalizzato l'attenzione su queste questioni, che poi sono collegate l'una all'altra, cioè le centrali, le navi e le potenziali sorgenti nazionali. Probabilmente avrete avuto informazioni o comunque delle tracce che in qualche modo vi abbiano fatto andare in questa direzione e non in altre.

      ADRIANO SANTINI, direttore dell'Agenzia informazioni e sicurezza esterna (Aise). Non mi è possibile entrare nel dettaglio, semplicemente perché non conosco quale sia stato il filo logico che nel 1994 ha portato a definire e ad impiegare risorse e conseguentemente a indicare con una relazione quale fosse la motivazione. Vista con vent'anni di ritardo abbondanti, sembra molto di più una specie di documentazione a posteriori che motivi in qualche modo l'impiego di risorse per un settore molto più ampio, un settore che era fondamentalmente di contrasto al traffico dei materiali di armamento ma che siccome aveva un cappello più ampio ha comportato anche delle attività di survey. Questa è l'impressione che ho io.

      ALESSANDRO BRATTI. Stiamo parlando del problemi dei rifiuti radioattivi ma in realtà volevo anche approfittare della sua presenza per chiederle se rispetto alla gestione dei rifiuti – non solo quelli radioattivi ma anche quelli industriali e urbani – o in situazioni di emergenza, dove spesso ci sono infiltrazioni della malavita organizzata, molte volte emerge un vostro ruolo di collaborazione con le procure nelle indagini. Quanto siete coinvolti e come siete coinvolti in queste situazioni? Perché quando si parla di servizi nell'immaginario collettivo ci sono sempre e comunque cose strane e poco trasparenti. Visto che in parecchie situazioni – Campania in primis, ma non solo, anche in Calabria – emergono questi contatti tra i commissari e i servizi rispetto a problematiche sul territorio, in che maniera siete coinvolti?

      ADRIANO SANTINI, direttore dell'Agenzia informazioni e sicurezza esterna (Aise). Credo che sia opportuno fare una distinzione pre e post


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2007, cioè prima e dopo la riforma del comparto intelligence. Se eliminiamo subito il post-2007, cioè le competenze attuali, ovviamente Aise si interessa fondamentalmente delle minacce provenienti dall'esterno, mentre Aisi ha cura delle minacce interne, quindi senza dubbio ha una maggiore attinenza a quella che è la situazione sul territorio nazionale. Se parliamo, invece, dell'attività pre-2007, il Sismi ovviamente aveva anche una presenza sul territorio, che era realizzata attraverso dei centri in varie località principali compresa Reggio Calabria, ad esempio, attraverso i quali si esplicava anche una collaborazione con la magistratura o si esplicavano delle attività tendenti a verificare come la criminalità a livello nazionale o transnazionale potesse in qualche modo operare non solo nel ciclo dei rifiuti ma anche in altri possibili impieghi criminali del denaro e così via. Ci sono state senza dubbio delle cooperazioni, quella con la procura di Reggio Calabria è indicativa in modo particolare perché c’è stata una vicinanza che – a parte la collaborazione dal punto di vista della disponibilità dell'ampia documentazione che aveva il Sismi e che l'Agenzia ha a livello centrale – ha fatto sì che il procuratore della Repubblica di Reggio Calabria si esprimesse anche in modo encomiabile nei confronti dell'Agenzia. Ci siamo permessi anche di inviare come allegato agli ultimi documenti mandati anche queste due lettere che il procuratore pro tempore Neri aveva inviato all'Agenzia.

      ALESSANDRO BRATTI. Rispetto proprio alla questione calabrese, abbiamo svolto una serie di audizioni. C'era un'indagine che stava facendo la procura di Reggio Calabria in parte in accordo con un nucleo del Corpo forestale di Brescia sulle cosiddette navi dei veleni – ricorderete anche la morte improvvisa del capitano De Grazia che ha suscitato discussioni e dubbi.
      Ci sono insomma tutta una serie strane coincidenze perché con la morte di De Grazia l'indagine di fatto finisce, si sciolgono i nuclei, sia quello dei carabinieri sia quello del Corpo forestale. Più volte anche da parte dello stesso procuratore si faceva credere che fossero in qualche modo sorvegliati, che fossero spiati, che ci fosse la presenza dei servizi. Rispetto a quel periodo, voi che ruolo giocavate in quelle indagini?

      PRESIDENTE. Per completare, ci è stato riferito di alcune vicende in cui i magistrati o i carabinieri hanno avuto la netta sensazione – o qualcosa di più – di essere spiati. Il Corpo forestale di Brescia individuò un camioncino che spiava chi entrava e chi usciva. Loro si stavano occupando in quel momento appunto delle navi a perdere. In un altro caso, in occasione di una riunione molto riservata che dovevano avere con il magistrato in un luogo – una capanna chiusa, un ristorante chiuso – arrivò sul posto una macchina, la cui targa apparterrebbe ai servizi. In un altro caso ancora avevano avuto l'auto che si spostava da Reggio Calabria sarebbe stata seguita anche in modo pericoloso. Ci hanno fornito queste notizie come se chi indaga sui rifiuti, in particolare i rifiuti tossici o sulle navi a perdere fosse a sua volta attenzionato dai servizi.

      ADRIANO SANTINI, direttore dell'Agenzia informazioni e sicurezza esterna (Aise). Devo dire che da quanto ho potuto vedere nella


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documentazione analizzata – che forse non sarà stata tutta, ma senz'altro mi ha garantito una visione abbastanza approfondita – non ho elementi per poter dire che i servizi fossero in qualche modo coinvolti in attività che sono state adesso citate.

      PRESIDENTE. Da una nota trasmessa alla Commissione dall'Aise risulta che nel 1993 venne distrutto un fascicolo relativo al centro nucleare di Trisaia, Rotondella. Come mai, visto che in quel momento era particolarmente all'attenzione del Paese e della magistratura la presenza di sostanze radioattive, questo fascicolo fu distrutto? Rientrava nella normalità o ci fu un qualche motivo particolare? Parliamo del verbale numero uno del 1993.

      ADRIANO SANTINI, direttore dell'Agenzia informazioni e sicurezza esterna (Aise). La policy di distruzione dei documenti era molto diffusa fino al 1994-95, quando il Governo Dini emanò una direttiva in base alla quale in tutto il comparto venne vietata la distruzione di qualsiasi documentazione. Dal 1994-95 ad oggi, l'Agenzia, ma il comparto in senso lato non ha più proceduto a distruggere alcun documento. Solo con la legge n. 124 del 2007 è stato riavviato in qualche modo la possibilità di procedere a una revisione degli archivi, cosa che in realtà ancora non ha preso corpo perché poi sono stati emanati i decreti attuativi e proprio da quest'anno ricominceremo ad esaminare la possibilità di riguardare negli archivi. Possibilità che ovviamente ha un doppia faccia. Da un certo punto di vista ogni agenzia, ma anche i corpi di polizia tengono in particolar modo a conservare gli archivi perché sono una fonte di informazioni importantissima per poter cercare di realizzare una certa continuità nelle attività di investigazione o di intelligence. D'altra parte, gli archivi poi assumono una dimensione tale di ingovernabilità – se posso esprimermi in questo modo. [...omissis...]
      È una situazione difficilmente governabile, anche perché soltanto nei primi anni ’90 si è cominciato a fare una gestione informatizzata dell'archivio stesso. In un primo tempo, una gestione informatizzata che metteva in memoria poco più che il protocollo, la data, il mittente e così via e quindi su quegli elementi noi possiamo fare una ricerca informatizzata a partire dai primi anni ’90. Successivamente, per alcuni articolazioni si è proceduto a fare una memorizzazione, non solo di questi elementi che vi ho già accennato, ma anche di alcune voci essenziali del contesto e del corpo della lettera, cioè nomi, fatti, eventi come ad esempio «rifiuti radioattivi» oppure «nave Jolly Rosso» e così via. Quando da questa Commissione viene ad esempio una richiesta come l'ultima, quella del Fonti, a cui era allegato un dovizioso documento che riportava le sue dichiarazioni, questo ci ha comportato una riunione fatta dal responsabile degli archivi dell'Agenzia, con tutti i responsabili perché abbiamo oltre 20 archivi correnti e circa una sessantina di archivi di deposito, che cioè non si muovono più ma che in realtà sono quelli in cui andiamo tutti giorni a pescare documenti qualora vengano richiesti. È stata fatta una riunione in cui il responsabile degli archivi ha riunito i responsabili dei singoli archivi per poter fare una lunga analisi, non solo semantica


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ma anche concettuale del documento che è arrivato, per trovare le possibili chiavi di lettura con cui entrare nell'archivio informatico e trovare tutti quei documenti che potessero rispondere alle varie voci. Una volta individuati questi documenti, in realtà bisogna andarli a pescare fisicamente e confrontare. Un documento può anche essere ridondante e può esserci necessità di bonificarlo perché una stessa lettera può essere stata riprodotta in più copie nelle diverse componenti dell'Agenzia, quindi il lavoro è abbastanza pesante. Come vi accennavo quest'anno dovremo ripartire, le disposizioni sono che si potrà procedere alla rivisitazione degli archivi per documentazione che ha almeno dieci anni di vita ma ce non ha valore operativo. Quindi certamente la documentazione riferita all'argomento che viene trattato da questa Commissione non sarà distrutta, non sarà toccata perché ha un valore operativo. Probabilmente parleremo di personale, visite e questioni molto più routinarie se posso esprimermi in questo modo. Non voglio accennare ai problemi del personale, ma credo che siano noti.

      PRESIDENTE. Per concludere su questa domanda, ci sarà una decisione o qualcuno che ha deciso per la distruzione. Visto che parliamo di rifiuti radioattivi, siamo nel 1993, l'epoca in cui particolarmente si sarebbero verificati fatti collegati alle navi a perdere, parliamo di Rotondella che un mondo un po’ a sé. Ci ha colpito che proprio questo fascicolo sia stato distrutto, c’è una decisione?

      ADRIANO SANTINI, direttore dell'Agenzia informazioni e sicurezza esterna (Aise). Il verbale comprende anche altri documenti, non comprenderà solo quello. Visitando e riguardando tutti gli altri probabilmente è un verbale che fa capo a una struttura specifica che ha rivisto il suo archivio come era normalmente previsto in quel periodo. [...omissis...]

      ALESSANDRO BRATTI. Rispetto a rapporti con alcuni personaggi attenzionati a più livelli, che però continuano a svolgere un ruolo. Se non altro in certi ambiti... Mi riferisco soprattutto a Giorgio Comerio. Era un personaggio da voi è attenzionato o era un personaggio che in un qualche momento ha anche collaborato con i servizi?

      ADRIANO SANTINI, direttore dell'Agenzia informazioni e sicurezza esterna (Aise). Mi riferisco ancora una volta a quello che ho avuto modo di vedere. Era senz'altro un personaggio che era all'attenzione del servizio, in quanto anche per il tramite della magistratura di Reggio Calabria si erano fatte approfondite indagini sulla persona. Un personaggio con una presenza in diversi Paesi -dall'Italia alla Svizzera, a Malta e alla fine addirittura in Tunisia – che si interessava in particolar modo di siluri comandati per spedire carichi sott'acqua. [...omissis...] Su questo personaggio si è parlato anche – dovrei vedere il documento – con la magistratura di Reggio Calabria in un contatto, perché questo si dichiarava come fonte oppure come collegato al servizio. In quel contesto, da quello che ricordo al momento, la cosa non venne confermata, quindi non era collegato al servizio.


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      PRESIDENTE. I servizi si sono occupati dello smaltimento dei rifiuti radioattivi oppure è materia che non è mai stata di loro competenza? Perché noi abbiamo alcuni documenti che ci fanno pensare che se ne siano occupati. Se è così, magari non adesso, ma potremmo proporre all'Agenzia delle domande scritte, dal momento che stiamo cercando di capire dove sono finiti i rifiuti radioattivi. Vorremmo che i servizi ci dessero una mano in questa direzione. La domanda è: i servizi si occuparono dello smaltimento in Italia – del trasferimento all'estero eventualmente – e se sì con quale ruolo? Attualmente se ne occupano ancora oppure è una vicenda ormai definita?

      ALESSANDRO BRATTI. Vorrei integrare la domanda del presidente. Al di là dei rifiuti radioattivi, negli anni ’90, nel momento in cui scattano le condizioni internazionali per il trasporto dei rifiuti – industriali in questo caso – non radioattivi, ma di quasi tutti i rifiuti di grandi aziende di Stato (dal 1987-88 al 1994-95).
      In quella situazione per cui c'erano queste navi che andavano e tornavano dal Libano o dal nord Africa, c'erano aziende di Stato, gare fatte dal Ministero della cooperazione estera per riportare questi rifiuti indietro perché quei Paesi ovviamente non li volevano più. Anche in quel contesto, voi avete svolto un ruolo o no?

      ADRIANO SANTINI, direttore dell'Agenzia informazioni e sicurezza esterna (Aise). Elimino la parte facile della domanda: ora l'Agenzia non si occupa certamente di smaltimento di rifiuti radioattivi. Si interessa di contrasto alla criminalità organizzata transnazionale e qualora ci fossero degli elementi che facciano pensare che qualche gruppo criminale transnazionale possa utilizzare questo strumento come strumento per l'arricchimento ovviamente sarebbe nostra missione interrompere questo traffico. Per quanto riguarda il passato, da quello che ho avuto modo di vedere, non ho rilevato elementi che mi facciano sostenere che il Sismi di allora abbia avuto un ruolo attivo, se non nel contrasto del fenomeno. Certamente non un ruolo attivo in qualche attività che abbia portato allo smaltimento effettivo di rifiuti radioattivi o di rifiuti di qualsiasi genere in Paesi stranieri o in fondi marittimi. [...omissis...]

      ADRIANO SANTINI, direttore dell'Agenzia informazioni e sicurezza esterna (Aise). Non so dare una risposta. Posso provare ad approfondire, se qualcosa compare nella documentazione. Certamente o probabilmente il direttore del servizio pro tempore, non so se fosse il Sismi o il Sisde, potrebbe esprimersi al riguardo. Non ho assolutamente elementi da dare.

      PRESIDENTE. Credo che sarà utile fare delle domande scritte da mandare al generale, perché posso anche capire che essendo arrivato in tempi successivi non abbia conoscenza storica di tutto. In compenso potrà farla il Servizio questa indagine e ci darà le risposte, perché non possiamo ascoltare cento persone nel tempo. Faremo le domande che avevamo predisposto per il generale, per le quali giustamente il


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generale ha necessità di approfondire. Credo che sia anche superfluo continuare a porre ulteriori domande.
      Ha comunque detto che attualmente però non vi interessate più di questo settore. Immagino, però, che ve ne interesserete se questo settore sarà coinvolto a propria volta in attività illecite internazionali.

      ADRIANO SANTINI, direttore dell'Agenzia informazioni e sicurezza esterna (Aise). Affermativo.

      PRESIDENTE. Ci sono al momento attività illecite internazionali che possono coinvolgere anche l'Italia o che comunque possono coinvolgere i trasferimenti in Paesi del Terzo Mondo, andando eventualmente a sud della Somalia, di cui il Sevizio si sta occupando?

      ADRIANO SANTINI, direttore dell'Agenzia informazioni e sicurezza esterna (Aise). Al momento no.

      PRESIDENTE. Non c’è alcuna attività nello smaltimento nel Terzo Mondo di rifiuti pericolosi radioattivi?

      ADRIANO SANTINI, direttore dell'Agenzia informazioni e sicurezza esterna (Aise). Non che sia all'attenzione del Servizio in questo momento.

      PRESIDENTE. Va bene, vuol dire che c’è un mondo in cui tutto va bene, perché i rifiuti tossici ci sono anche oggi, i problemi dei costi dello smaltimento dei rifiuti ci sono anche oggi, così come in passato riusciva comodo smaltire in Somalia [...omissis...] C’è tutto un quadro mondiale di tentativo di smaltimento di rifiuti costosi e pericolosi verso i Paesi meno difesi. Oggi tutto questo è un fenomeno che si è definitivamente chiuso? Questo vorremmo capire perché saremmo molto lieti se fosse così.

      ADRIANO SANTINI, direttore dell'Agenzia informazioni e sicurezza esterna (Aise). Direi che probabilmente non si è chiuso, ma non è all'attenzione dell'Agenzia in quanto il focus delle Agenzie, viene indicato dal Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica che di anno in anno indica i settori fondamentali in cui l'intelligence deve concentrare la propria attenzione. Questo lo scorso anno non era uno dei settori fondamentali che sono stati indicati, le risorse come dappertutto sono contenute, sono state concentrate e sono concentrate su quelli che sono i compiti prioritari che sono stati dati.
      Se posso tornare alle domande che la Commissione vorrà inviare, sarebbero opportuno – perché so che il mio collega dell'Aisi deve venire a parlare con loro – che queste domande venissero poste dopo che hanno sentito anche il direttore dell'Aisi che forse potrebbe dare qualche ulteriore informazione e, se possibile, che siano il più circostanziate possibile perché come vi accennavo le ricerche nell'archivio vanno fatte con certe voci e non con altre, altrimenti rischiamo di non trovare risposta. Assicuro la massima disponibilità, come c’è stata sempre nel passato per fare la massima luce possibile per quella


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che è la competenza dell'Agenzia. Più appropriato sarà il motore ricerca, se posso esprimermi in questo modo, più sarà possibile individuare i documenti e quindi dare risposte appropriate alle domande che loro vorranno formulare.

      PRESIDENTE. Noi la ringraziamo. Certamente cercheremo di fare domande mirate però dovremo fare anche qualche domanda per avere delle risposte laddove noi non abbiamo ancora documentazione. Faccio un esempio lei diceva adesso che sono indicate delle priorità nelle attività del Servizio. Noi saremmo interessati a capire quando è stata l'ultima volta che si sono indicati i rifiuti come traffico illecito internazionale tra le priorità del Servizio, perché non è un problema da poco. È un problema molto serio, oggi non c’è, ma quando è stata l'ultima volta che è stato indicato? cinque anni fa, dieci anni fa, vent'anni fa? Come mai questa che è una delle ricchezze della criminalità mondiale non è all'attenzione del Servizio che ha a che fare con i rapporti dell'Italia con l'estero. Faremo domande mirate, ma forse qualche domanda un po’ più generale la faremo.

      PRESIDENTE. Dispongo la riattivazione dell'impianto audio video.

      PRESIDENTE. La ringrazio e dichiaro conclusa l'audizione.

      La seduta termina alle 14,20.


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ALLEGATO 3

Audizione del direttore dell'Agenzia informazioni e sicurezza interna (AISI), Giorgio Piccirillo.

      PRESIDENTE. Dispongo la disattivazione dell'impianto audio-video.

      (La Commissione procede in seduta segreta).

      GIORGIO PICCIRILLO, Direttore dell'Agenzia informazioni e sicurezza interna (AISI). Dopo il 1994, nel 2003, il direttore pro tempore, prefetto Mario Mori, venne sollecitato dalla Commissione parlamentare d'inchiesta, presieduta dall'onorevole Russo, ad effettuare attività informativa al fine di individuare eventuali infiltrazioni camorristiche nella gestione dell'emergenza. Fu creata un'attività informativa, furono contattati e strutturati alcuni informatori all'interno del commissariato e dei tecnici di consulenza del commissariato di allora per sviluppare un'attività informativa che potesse dare conto di quello che era in quel momento, parliamo del 2003, la situazione dell'infiltrazione della criminalità organizzata nell'ambito dello smaltimento dei rifiuti. Questa attività fu sospesa nel 2004, fu riferito allora direttamente, per riprendere nel 2007 su richiesta del prefetto Pansa, allora commissario delegato all'emergenza, che interessò l'allora direttore di AISI per una nuova penetrazione informativa finalizzata a sostenere i processi decisionali di quel commissario. Fu, quindi, avviata un'attività che si concluse nel gennaio del 2008 per verificare l'affidabilità delle persone fisiche e giuridiche interessate al settore dei rifiuti, la segnalazione di imprese con profili di contiguità e organicità a strutture criminali, le irregolarità e le anomalie nella gestione amministrativa e operativa nei servizi preposti allo smaltimento, il monitoraggio delle iniziative di protesta.
      Dopo il 1994, dunque, l'Agenzia e il Sisde hanno sviluppato ancora attività informativa al riguardo, come stanno sviluppando oggi attività informativa, per esempio, nel contesto della TAV c’è un tentativo fortissimo da parte della ’ndrangheta di entrare nel tessuto organizzativo per potersi appropriare dello smaltimento dei materiali di risulta degli scavi legati alla TAV. È un'attività sulla quale stanno puntando molto, perché è un'attività di estremo interesse per la consistenza dei rifiuti generati dallo scavo del tunnel.
      Anche per quanto riguarda i rapporti internazionali, noi ci interessiamo di criminalità transnazionale ed in questo contesto abbiamo acquisito informative su quella che è l'attività dei cinesi per il traffico di rifiuti nocivi da e per l'Italia. Quindi stiamo sviluppando un quadro informativo che ci consente di volta in volta di interessare la polizia giudiziaria su quelle che possono essere le attività collegate a questo tipo di interesse criminale. Quindi, l'Agenzia è presente nel settore, l'Agenzia non ha più espresso valutazioni sugli episodi di cui


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abbiamo parlato perché non fa più parte delle conoscenze attuali, sono conoscenze legate a quel periodo, acquisite attraverso gli atti, sulle quali noi oltre quello che abbiamo dato non siamo più in grado di dare nulla, soprattutto per quanto riguarda le attività allora legate a traffici indirizzati all'estero, perché non era assolutamente competenza del Sisde interessarsi di attività oltre i confini nazionali. Il quadro di situazione in questo momento è quello ho fatto. C’è un'attività informativa presente sul territorio, c’è un'attività sulla quale si sta cercando un quadro complessivo che possa avere dei riscontri ovviamente oggettivi, per poi interessare la polizia giudiziaria per gli sviluppi di competenza.

      PRESIDENTE. Dispongo la riattivazione dell'impianto audio-video.

      (La Commissione procede in seduta pubblica).


NOTE:
(1) Nel prosieguo della relazione verrà dedicato un intero paragrafo alle macroscopiche contraddizioni di Fonti nella descrizione dei medesimi fatti alle diverse autorità giudiziarie e alla stessa Commissione di inchiesta.
(2) Verbale di interrogatorio del 24 aprile 2004 del pubblico ministero dottoressa Genovese (doc. 0242/005).

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