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PDL 3540

XVI LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 3540



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

MARINELLO, GIOACCHINO ALFANO, ANTONIONE, MARSILIO, SOGLIA

Disposizioni per il censimento e la riemersione dei beni archeologici in possesso di privati

Presentata il 10 giugno 2010


      

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Onorevoli Colleghi! — La presente proposta di legge parte da un presupposto di libertà tipico del pensiero liberale, a cui ci si richiama, e cioè che il possesso di beni culturali è una necessaria condizione di libertà e di cultura, un diritto inalienabile, un'espressione del gusto e della sensibilità artistica e non può essere a priori considerato un furto ai danni della collettività.
      Questo assunto, apparentemente pacifico e universalmente sottoscritto, è posto in discussione, limitatamente ai beni archeologici, dal vigente codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo n. 42 del 2004, di seguito «codice», che ha ereditato le prescrizioni della legge n. 364 del 1909. È opportuno rivisitare il clima culturale nel quale tale legge maturò, un periodo ricco di ritrovamenti in particolare nelle aree degli insediamenti etruschi e in quella vesuviana. La giovane nazione italiana era alla ricerca di una propria identità culturale e l'opinione pubblica spingeva, anche a seguito dell'esportazione all'estero di preziosi reperti, per mantenere all'Italia la «gran copia di oggetti» offerti nell'allora libero mercato dei beni artistici. La legge stabilì, quindi, la presunzione della proprietà dello Stato su qualunque bene archeologico rinvenuto nel sottosuolo d'Italia e nelle sue acque territoriali e di conseguenza l'illiceità del possesso da parte del privato, se privo di un titolo di proprietà riconosciuto dall'autorità pubblica. La normativa si applicava a qualunque oggetto antico, anche una punta di freccia o a una lucerna.
 

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      Eppure il Parlamento liberale della giovane nazione italiana aveva precedentemente approvato una legge di tutt'altro tenore, la legge n. 185 del 1902, con la quale si prevedeva che lo Stato acquistasse il bene rinvenuto dallo scopritore, oppure ne consentisse la vendita o l'esportazione.
      Legge che non poté mai funzionare in quanto lo Stato italiano, allora come ora, non aveva sufficienti risorse di bilancio.
      Come accennato, l'impostazione della legge n. 364 del 1909 si è trasfusa nella legislazione successiva fino ad essere incorporata nel vigente codice. La sua rigidità ha certamente tutelato il patrimonio archeologico nazionale, ma nel corso di un secolo di vita ha prodotto le seguenti sconcertanti conseguenze:

          a) centinaia di migliaia di cittadini in possesso di beni archeologici, non sanno di detenerli illegittimamente; in assenza di documenti comprovanti la proprietà, tale possesso è considerato reato e tutti i detentori senza titolo sono perseguibili per furto o ricettazione;

          b) le norme vigenti non tengono conto dell'evidente constatazione che non tutti i beni culturali hanno la medesima valenza, poiché per la gran parte di essi può parlarsi di interesse in relazione alla loro antichità o al loro valore storico-culturale, più che di reale valore artistico;

          c) la rigidità delle norme, l'equiparazione nel trattamento tra tutti i beni culturali, l'esiguità dei premi che lo Stato garantisce agli scopritori hanno condotto inevitabilmente alla nascita di un mercato clandestino, di cui siamo solo parzialmente testimoni;

          d) in Italia sta morendo il mercato dell'arte ucciso da una generalizzata cultura del sospetto. Occorre far rinascere questo mercato con regole di circolazione semplificate, favorendo l'uscita allo scoperto, il rientro in Italia e la registrazione di milioni di pezzi, prima che i migliori tra questi prendano definitivamente la via dell'estero. La strada della tutela non può essere il divieto assoluto di possedere oggetti antichi: la migliore strada è diffondere cultura, conoscenza, partecipazione e dunque anche il collezionismo.

      Diverse volte i deputati del centro-destra, nel corso degli ultimi dieci anni, hanno tentato di proporre e discutere una normativa che avviasse la regolarizzazione. Si sono dovuti scontrare con una reazione spropositata e con pregiudizi ideologici, che non solo hanno impedito la discussione, ma anche la mera presentazione delle nostre ragioni. I giornali quotidiani, semplicemente, non hanno mai pubblicato le nostre tesi, mentre ampio risalto è stato dato alle posizioni opposte.
      Il più fiero tra gli oppositori del nostro progetto è stato ed è il professor Settis, ex Presidente del Consiglio superiore dei beni culturali, archeologo, direttore della Scuola normale superiore di Pisa e rispettato studioso del mondo antico. Nella sua prosa apocalittica ha esposto liberamente le sue ragioni, senza che noi potessimo controbattere alla pari. Per cui si ritiene opportuno utilizzare questa relazione per controbattere alle sue tesi, che sono espresse nell'assioma secondo il quale la normativa proposta sarebbe un regalo ai tombaroli e ai trafficanti d'arte e avvierebbe lo scempio finale del nostro patrimonio archeologico. A fronte di questa reiterata, parziale, e forse anche in malafede, considerazione è opportuno precisare quanto segue:

          1) non si può far finta di non sapere che le case degli italiani ospitano tradizionalmente piccole collezioni di reperti archeologici e che è sempre esistito un commercio (si badi bene non clandestino, ma pubblico, fatto da negozianti e da case d'asta) di oggetti di tale natura. Ciò è dovuto al fatto che viviamo in un Paese con una storia plurimillenaria, che «trasuda» reperti. La legge non ha mai vietato il possesso o il commercio di questi beni, né ha mai imposto la denuncia e la consegna di quanto posseduto da privati; l'obbligo di denunzia e di consegna ha sempre avuto come destinatario solo chi abbia rinvenuto beni archeologici fortuitamente nel sottosuolo e non certo chi li

 

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abbia ereditati, comprati in un negozio o se li sia aggiudicati in asta.
      Tuttavia da molti, troppi anni, una vulgata impropria della legge, strenuamente difesa da alcune procure della Repubblica e da talune espressioni ministeriali, ma più volte stroncata in Cassazione, accredita la detenzione di materiale archeologico come fatto di per sé illecito fino a prova contraria ed espone chiunque lo detenga a perquisizioni in casa «anche in tempo di notte» e a doversi difendere, ben che vada, dall'accusa di ricettazione, che prevede da due a otto anni di reclusione.
      L'aberrazione, quindi, consiste nel fatto che chiunque possiede senza titolo un bene (non necessariamente un oggetto culturale, una qualsiasi cosa) antecedente al 476 dopo Cristo, cioè alla caduta dell'Impero romano, è per la legge italiana un ladro o un ricettatore e sta a lui dimostrare il contrario. Sarà bene chiarire che questo tipo di «inversione dell'onere della prova» sui beni culturali non esiste in alcuno Stato moderno e civile: in genere è l'accusatore che deve provare l'accusa, non l'accusato che deve provare la sua innocenza;

          2) la presente proposta di legge è modellata sul disegno di legge del Vicepresidente del Consiglio dei ministri e Ministro per i beni culturali e ambientali pro tempore onorevole Veltroni, arenatosi alla Camera dei deputati nel 1998, dopo essere stato approvato dal Senato della Repubblica (Atto Camera n. 3216 XIII legislatura). Il disegno di legge dell'onorevole Veltroni aveva proposto la cessione in custodia a seguito di autodenuncia e prevedeva, come la presente proposta di legge (seduta della Commissione cultura del 19 marzo 1998, emendamento 3.14 del Governo, presentato dal Sottosegretario di Stato Bordon e approvato dalla maggioranza di sinistra), la non punibilità per il reato di ricettazione o incauto acquisto e altri reati in materia di beni culturali, a patto che non si sia già stati condannati definitivamente per gli stessi reati. La differenza, non da poco, sta nel fatto che la presente proposta di legge dà certezza al procedimento, prevedendo la cessione in proprietà e non consentendo alla competente soprintendenza di decidere se acquisire forzosamente e gratuitamente il bene allo Stato. Infine, diversamente dal disegno di legge dell'onorevole Veltroni, la presente proposta di legge monetizza la cessione, sotto forma di mera spesa di registrazione.
      Dunque il problema di impedire che innumerevoli persone fossero considerate ladri e ricettatori senza esserlo si era già posto alla sinistra come si pone oggi al centro-destra. Rammentiamo, infine, che le polemiche sollevate dai colleghi parlamentari della sinistra dopo un articolo su «La Repubblica» del professor Settis contro un nostro emendamento in materia, presentato alla legge finanziaria 2005, furono messe a tacere o derubricate nel giudizio «la finanziaria non è la sede idonea per discutere la cosa», in poche ore, poiché bastò mostrar loro il testo dell'onorevole Veltroni. Ma «La Repubblica» non pubblicò le argomentate precisazioni, tempestivamente inviate;

          3) il professor Settis estrapola da un progetto di vasta portata gli elementi che ritiene opportuni a convalidare le sue tesi, omettendo di dire, tra l'altro, che, all'interno di una finestra di tempo di pochi mesi e senza toccare il principio di proprietà dei beni archeologici dello Stato, il privato deve trasmettere, con la richiesta, una completa documentazione anche fotografica e informatica, con cui sarà finalmente possibile creare quella banca dati dei beni culturali prevista dal 1939 e non ancora attuata; che la competente soprintendenza potrà concentrarsi sugli oggetti veramente importanti, applicando tutto l'attuale sistema di tutele (prelazione, notifica, prescrizioni per la conservazione e il trasporto); che l'emersione di un bene rubato e denunciato come tale fa comunque tornare il bene al legittimo proprietario;

          4) il professor Settis dichiara che la proprietà statale dei beni archeologici e numismatici è un principio plurisecolare, contenuto negli ordinamenti degli Stati preunitari. La realtà è che «il principio»

 

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è una presunzione stabilita da una legge che, come visto, deve ritenersi «emergenziale», la legge n. 364 del 1909, approvata sull'onda di emozione pubblica creatasi a fronte del rischio di poter perdere pezzi archeologici pregiatissimi per mancanza di fondi; nella migliore tradizione italiana, una decisione temporanea è divenuta permanente. È anche fuorviante sottolineare che il precetto era contenuto in leggi dello Stato della Chiesa o del Regno di Napoli, in quanto si trattava di Stati autocratici, le cui norme penali e di procedura penale non sono confrontabili con quelle degli Stati moderni, dotati di Costituzioni che tutelano diritti e fissano limiti all'azione giudiziaria;

          5) proponendosi invece di far riemergere e censire milioni di pezzi si torna a rendere di pubblica fruibilità le raccolte detenute da cittadini italiani, comprese quelle all'estero, per le quali sarebbe favorito il rientro sul territorio italiano. Un pezzo riemerso è un pezzo seguito dalla competente soprintendenza. Nei limiti delle prescrizioni, è vendibile legalmente sul mercato, con adeguato rilievo fiscale. E qui veniamo a esporre la nostra ambizione più grande: quella di far ripartire il mercato dell'arte in Italia tramite un percorso nel quale quello della riemersione è solo un primo passo. Restituendo dignità al mercato si contribuirebbe a debellare il commercio clandestino, costituendo al tempo stesso un'importante fonte di reddito e di conoscenza per la collettività. Si consideri che il Paese con la più alta percentuale di beni culturali di tutto il pianeta non riesce a far fruttare il suo patrimonio; che il grande mercato dell'arte, le grandi aste hanno luogo a Londra, a New York e a Parigi, piuttosto che nella loro sede naturale, l'Italia. Grazie a una dilagante e generalizzata «cultura del sospetto», ai mille impedimenti burocratici che ne conseguono – ormai non solo per i beni archeologici, ma per tutte le opere d'arte – antiquari, collezionisti e mercanti d'arte stanno abbandonando a uno a uno il nostro Paese. E con loro se ne vanno pezzi della tradizione artigianale, cioè della vera cultura italiana, studiosi, esperti, curatori, restauratori, intagliatori, tappezzieri, intelaiatori, corniciai e quant'altro; restano solo quelli incorporati nella pubblica amministrazione, nelle università o in alcune prestigiose istituzioni, cioè quasi tutti a spese nostre;

          6) scopo della presente proposta di legge è quello di garantire gli interessi individuali legittimi pur tuttavia garantendo anche l'interesse generale; le polemiche unilaterali sollevate hanno impedito un sereno confronto sul problema, della cui entità e importanza sono sempre stati consapevoli sia esponenti di tutto l'arco politico, che giuristi, avvocati di settore ed esperti del Ministero per i beni e le attività culturali. Inoltre la questione è stata sollevata anche dai Corpi di polizia e dai magistrati preposti alla tutela dei beni artistici italiani: il generale Conforti, per lungo tempo a capo del Comando carabinieri per la tutela del patrimonio culturale, in un'intervista rilasciata a «Il Giornale dell'arte» dichiarò che era opportuno un «provvedimento di riemersione» appunto per impedire che i carabinieri continuassero a dare la caccia a malcapitati ignari della legge, concentrandosi invece sui veri trafficanti. Anche il pubblico ministero Ferri, il più attivo nella lotta al traffico illecito, ipotizzò e auspicò nel 2001 la riemersione, durante un convegno sul tema;

          7) si affronta, infine, l'obiezione più rilevante: che la riemersione costituisca un condono per ladri e per trafficanti. È certamente possibile che il semplice annunzio possa stimolare lo scavo clandestino, ma questo problema si può ridurre a termini molto ridotti incardinando la discussione in un provvedimento a percorso obbligato e rapido, quale un decreto-legge, nel quale sia anche previsto che le Forze dell'ordine e le soprintendenze siano poste in stato di «massima allerta» nel controllo del territorio per tutto il periodo della discussione parlamentare e della riemersione effettiva.
      Per quel che riguarda la prevista chiusura dei procedimenti giudiziari in corso, si potrebbe stabilire una certa possibilità

 

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di manovra del giudice. Giova ricordare, però, che la normativa proposta dall'onorevole Veltroni chiudeva i procedimenti.
      Il centro-destra non intende minimamente arretrare nella lotta al sottobosco clandestino tuttora esistente. Ma ricordiamo anche che le norme vigenti sono talmente controproducenti che i pezzi sono scavati ed esportati senza che nulla se ne sappia oppure distrutti per evitare problemi. I pescatori che rinvennero il Satiro danzante si sono dovuti incatenare per ricevere dal Ministero per i beni e le attività culturali il premio allo scopritore ad essi spettante: il 25 per cento di una valutazione francamente bassa, anche se legalmente corretta. Se fossero stati «furbi» e avessero consegnato il reperto nelle mani «giuste» avrebbero incassato il doppio, molto prima ed esentasse. La registrazione, invece, consente di «seguire» tutte le opere o di denunciare un eventuale furto.
      Un sistema più elastico, dove la tracciatura, cioè la conoscenza, è l'elemento trainante del controllo, potrebbe dare risultati migliori. Come si possa preferire la caccia all'invisibile, piuttosto che seguire il visibile è cosa che a questa parte politica risulta difficile da comprendere.

      Conclusivamente, si ricorda ai colleghi che la presente proposta di legge, di semplice lettura, è stata lungamente elaborata nel corso degli anni, con il concorso di esperti e di avvocati del settore. Le maggiori entrate sono indefinibili, non conoscendo assolutamente la consistenza del patrimonio archeologico che si trova nelle case degli italiani. Un procedimento analogo adottato in Spagna negli anni scorsi ha fatto riemergere circa 7 milioni di pezzi, dai quali si ricaverebbero, applicando la riemersione prevista (50 euro a pezzo, con un minimo di 300 euro a comunicazione), 350 milioni di euro di maggiori entrate. Confrontando la consistenza tra il patrimonio archeologico italiano e quello spagnolo, il nostro è almeno 4-5 volte più grande. Il che darebbe maggiori entrate pari a circa 1,5 miliardi di euro, che sono destinate per metà alle attività del Ministero per i beni e le attività culturali e per metà, trattandosi di entrate una tantum alla copertura degli interventi di sostegno del reddito dei lavoratori non tutelati dalla cassa integrazione guadagni.

 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Censimento e riemersione di beni culturali in possesso di privati).

      1. I privati possessori o detentori a qualsiasi titolo di beni mobili di interesse archeologico o paleontologico o numismatico antecedenti all'anno 476 dopo Cristo, non denunciati ai sensi delle disposizioni del capo VI del titolo I della parte seconda del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni, di seguito denominato «codice», hanno l'obbligo di darne comunicazione alla soprintendenza competente per territorio entro il termine di novanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto di cui al comma 12 e di provvedere al contestuale pagamento delle spese di registrazione e catalogazione.
      2. La comunicazione di cui al comma 1, contenente gli estremi identificativi del richiedente e l'elenco analitico dei beni, è presentata alla competente soprintendenza corredata di documentazione fotografica e descrittiva, anche informatica, idonea alla certa e completa identificazione dei beni e del luogo ove essi si trovano e di ogni altra documentazione che si ritiene utile, nonché di dichiarazione dell'interessato attestante che il possesso o la detenzione sono stati acquisiti prima del 30 aprile 2010. Ad essa deve essere allegata copia del pagamento delle spese di registrazione e di catalogazione.
      3. La competente soprintendenza, preso atto della comunicazione, dispone che i beni siano inventariati come proprietà privata e detta le eventuali disposizioni per la loro integrità e conservazione. Il recepimento della comunicazione non costituisce dichiarazione di autenticità. Copia della comunicazione è trasmessa al Comando carabinieri

 

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per la tutela del patrimonio culturale (TPC) per la verifica di cui al comma 5.
      4. Ricorrendone le condizioni, la competente soprintendenza procede all'ispezione dei beni e provvede altresì alla verifica dell'interesse culturale ai sensi degli articoli 12 e 13 del codice, e successive modificazioni.
      5. Il Comando carabinieri TPC provvederà a controllare, nella propria banca dati, la presenza di eventuali denunce di furto relative ai beni oggetto delle comunicazioni di possesso e, in tale caso, comunica mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento la circostanza alla competente soprintendenza, al denunciante e al possessore, ai fini della restituzione al legittimo proprietario. La riconsegna ai legittimi proprietari di beni risultati rubati non pregiudica eventuali azioni di rivalsa civile da parte del dichiarante nei confronti dei propri aventi causa.
      6. La presentazione della comunicazione e il pagamento del relativo contributo estinguono i reati previsti dagli articoli 648 e 712 del codice penale e, limitatamente ai casi previsti dal comma 16 del presente articolo, dei reati previsti dall'articolo 174 del codice, eventualmente imputati al dichiarante con riferimento alle modalità di acquisto dei beni presentati, a condizione che lo stesso non abbia riportato condanne definitive per delitti di cui al capo I del titolo II della parte quarta del medesimo codice, e successive modificazioni.
      7. I procedimenti penali in corso per i reati previsti dagli articoli 648 e 712 del codice penale relativamente a beni di interesse archeologico per i quali vi è obbligo di presentare la comunicazione, rimangono sospesi fino alla scadenza del termine di cui al comma 1, decorso il quale l'autorità giudiziaria procedente, verificata la regolare presentazione della comunicazione, dichiara con sentenza non doversi procedere per intervenuta estinzione del reato.
      8. La comunicazione di possesso e l'integrale pagamento del contributo dovuto, fatti salvi i diritti di terzi, costituiscono titolo legale del diritto di proprietà
 

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sui beni da parte del privato; copia della documentazione è conservata dal proprietario e deve essere consegnata ai successivi acquirenti del bene.
      9. Gli eredi che, all'atto dell'immissione nel possesso dell'eredità, constatino la presenza, nel patrimonio del de cuius, di beni di interesse archeologico, paleontologico o numismatico antecedenti all'anno 476 dopo Cristo, per i quali non è stata tempestivamente presentata la comunicazione di possesso, sono tenuti ad effettuarla entro il termine di trenta giorni dalla scoperta.
      10. Decorso il termine di cui al comma 1, la detenzione di beni di interesse archeologico, paleontologico o numismatico antecedenti all'anno 476 dopo Cristo per i quali il detentore non è in grado di esibire la ricevuta della comunicazione, ovvero la documentazione relativa alla regolare importazione dall'estero, è punita, se il fatto non costituisce più grave reato, con la pena prevista dall'articolo 712 del codice penale e il bene è soggetto a confisca ai sensi dell'articolo 240, secondo comma, numero 2), del codice penale.
      11. Le spese di registrazione e di catalogazione sono fissate in 50 euro a pezzo in relazione al numero dei beni oggetto di ciascuna comunicazione, con un minimo di 300 euro a comunicazione. I frammenti ricomponibili sono considerati come pezzo unico. Per le collezioni numismatiche, le spese sono fissate in 50 euro per ogni lotto di dieci pezzi o frazione.
      12. Qualora il privato non intenda sostenere le spese di registrazione e di catalogazione, la comunicazione, corredata di documentazione fotografica e descrittiva, anche informatica, è utilizzabile per la consegna alla competente soprintendenza dei beni, con rinuncia ad ogni diritto sugli stessi. Si applicano le disposizioni dei commi 6 e 7.
      13. I beni consegnati ai sensi del comma 12 e quelli confiscati ai sensi del comma 10, se non ritenuti utili alle collezioni dei musei statali o degli enti locali, sono assegnati gratuitamente, previa accettazione, con provvedimento del Ministro per i beni e le attività culturali, a
 

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istituzioni ed enti culturali, pubblici o privati, che ne assicurano la conservazione, lo studio e la pubblica fruizione, ovvero alle università o alle scuole di restauro per l'impiego a fini didattici. I beni non assegnanti sono vendibili utilizzando la rete museale, compresi quelli individuati come non autentici, esponibili e alienabili come imitazioni.
      14. Con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, emanato entro un mese dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono determinati le modalità di presentazione e i contenuti della comunicazione di cui al comma 1, i requisiti minimi delle documentazioni, nonché le modalità di pagamento delle spese di registrazione e di catalogazione.
      15. Con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, emanato entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono dettate le disposizioni per l'istituzione di una banca dati sui beni mobili di interesse archeologico, paleontologico o numismatico in possesso di privati, contenente la catalogazione e l'archiviazione informatiche delle documentazioni, nonché, nel rispetto delle disposizioni vigenti sulla tutela dei dati personali, delle comunicazioni presentate ai sensi del comma 1, assicurando la compatibilità e l'interscambio informativo con la banca dati di cui all'articolo 85 del codice. La banca dati è pubblica e consultabile sul sito internet del Ministero per i beni e le attività culturali. Ai relativi costi si provvede mediante le maggiori entrate derivanti dall'attuazione del presente articolo.
      16. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche ai beni, individuati ai sensi del comma 1 del medesimo articolo, detenuti all'estero, anche nel caso in cui sono stati oggetto delle procedure di rimpatrio delle attività patrimoniali di cui all'articolo 13-bis del decreto-legge 1o luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, e successive modificazioni, a condizione che essi siano riportati sul territorio nazionale. A tale fine, ed esclusivamente per i beni individuati ai sensi del citato comma 1, i
 

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termini del citato decreto-legge n. 78 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 102 del 2009, sono riaperti per il periodo del censimento.
      17. I Ministeri per i beni e le attività culturali, dell'economia e delle finanze, dell'interno e della difesa provvedono, per il periodo della riemersione di cui al comma 1, a intensificare, ciascuno nei propri ambiti, il controllo del territorio e delle attività illecite in materia di beni mobili di interesse archeologico, paleontologico o numismatico, al fine di evitare lo scavo clandestino o il commercio illecito, finalizzati a usufruire della procedura di riemersione prevista dal presente articolo. Agli eventuali maggiori oneri i suddetti Ministeri provvedono mediante anticipazioni a valere sui fondi di riserva, propri o del bilancio dello Stato. Le anticipazioni sono successivamente coperte mediante le maggiori entrate derivanti dall'attuazione del presente articolo.
      18. Il Ministero per i beni e le attività culturali, a valere sulle risorse destinate alla propria comunicazione istituzionale, provvede ad assicurare la più sollecita e ampia diffusione della conoscenza delle disposizioni di cui al presente articolo presso l'opinione pubblica, avvalendosi anche dei mezzi di comunicazione di massa, e adotta ogni misura idonea a promuoverne e agevolarne l'applicazione da parte dei cittadini.
      19. Fatto salvo quanto previsto dal comma 17, le maggiori entrate derivanti dall'attuazione del presente articolo sono destinate per il 50 per cento agli interventi in materia di ammortizzatori sociali in deroga, di cui al comma 138 dell'articolo 2 della legge 23 dicembre 2009, n. 191, e per il restante 50 per cento al Ministero per i beni e le attività culturali. Le dotazioni di bilancio del medesimo Ministero sono reintegrate limitatamente ai programmi: 21.5 (vigilanza, prevenzione e repressione in materia di patrimonio culturale), 21.6 (tutela dei beni archeologici), 21.12 (tutela delle belle arti, dell'architettura e dell'arte contemporanee; tutela e valutazione del paesaggio) e 21.13 (valorizzazione del patrimonio culturale).    


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