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PDL 4766

XVI LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 4766



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

CAUSI, ARGENTIN, CARELLA, COSCIA, MADIA, META, POMPILI, RUGGHIA, TIDEI

Conclusione della gestione commissariale e disciplina del piano di rientro dall'indebitamento del comune di Roma

Presentata il 9 novembre 2011


      

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Onorevoli Colleghi! — La presente proposta di legge è volta al superamento dell'attuale distinzione tra gestione ordinaria e straordinaria di Roma capitale stabilita dall'articolo 78 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133.
      Tale separazione, come si argomenta in dettaglio nella presente relazione: a) non aveva in origine una solida motivazione, poiché una crisi di liquidità del comune, indotta dalla crisi finanziaria della regione Lazio, è stata scambiata per una crisi di tipo strutturale; b) ha comportato una perdita di efficienza, di trasparenza e di autonomia nella gestione finanziaria della capitale; c) ha generato un'abnorme superfetazione normativa con provvedimenti che si sono rincorsi e accavallati per tre anni e mezzo, fino ancora al settembre del 2011; d) ha prodotto un'allocazione inefficace e distorta delle risorse aggiuntive create per finanziare il piano di rientro, a carico sia della finanza statale sia dei contribuenti romani.
      Il ritorno a una gestione unitaria dell'intero bilancio, d'altro canto, oltre a restituire autonomia e margini di manovra all'amministrazione, rappresenta il terreno migliore su cui innestare le innovazioni del secondo decreto attuativo su Roma capitale ai sensi della legge 5 maggio 2009, n. 42, sul federalismo fiscale.

1. Correggere una scelta inadeguata.

      All'indomani delle elezioni di aprile 2008 la nuova amministrazione del comune di Roma, che subentrava con una maggioranza di centrodestra a un lungo

 

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periodo di governo di centrosinistra (quattordici anni), denunciò l'eredità di un debito insostenibile. In conseguenza di questa situazione si scelse di percorrere, con il supporto del Governo, la strada della gestione separata. Un caso analogo, a parti invertite, si era verificato qualche anno da parte della regione Lazio nel settore della sanità.
      La natura dei problemi finanziari era molto diversa nei due casi, poiché nel Lazio emersero debiti precedentemente non conosciuti, extra bilancio, mentre nel caso del comune la maggior parte del debito «denunciato» era un debito storico, «al di sopra della linea», ovvero conosciuto, registrato e gestito. Tuttavia, mentre nel caso della regione Lazio fu fatta – nonostante la maggiore gravità del caso – una scelta di continuità amministrativa, assumendo il debito esistente e cercando, con l'aiuto del Governo nazionale, le forme migliori per onorarlo e per evitare che se ne formasse di nuovo, per il comune di Roma è stata perseguita la strada opposta.
      Nel primo decreto-legge finanziario presentato dal Governo nel corso della XVI legislatura (decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008), viene riservato un intero articolo alle «misure urgenti per Roma capitale». Il sindaco è nominato «commissario straordinario» e assume, in un «bilancio separato rispetto a quello della gestione ordinaria, tutte le entrate di competenza e tutte le obbligazioni assunte alla data del 28 aprile 2008». In questo modo si stabilisce nella gestione del bilancio «un prima», che viene congelato, e «un dopo», che riparte da zero.
      Il tempo trascorso da quella data ha mostrato un grave inconveniente, evidente ed evitabile fin dall'inizio: la difficoltà o, meglio, l'impossibilità di interrompere la continuità amministrativa dell'ente. La separazione crea, infatti, un complicato intreccio tra le due gestioni che vantano crediti e debiti l'una con l'altra e fa emergere un contenzioso amministrativo tra l'amministrazione comunale e i creditori. Non a caso, su quella norma originaria, il Governo e il Parlamento sono intervenuti più e più volte negli anni successivi creando un vero e proprio «mostro giuridico», ulteriormente modificato dal recente decreto-legge n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011.
      Ricostruendo l'evoluzione della normativa «speciale» messa in campo per la gestione straordinaria del bilancio del comune di Roma si giunge alla conclusione che la scelta effettuata non sia stata ottimale dal punto di vista della gestione finanziaria del comune, oggi denominato «Roma capitale», e sia stata costosa per la finanza pubblica nel suo complesso, generi inefficienze, incertezze e, soprattutto, poca trasparenza.
      Dal punto di vista più generale e sotto il profilo metodologico, la scelta effettuata non appare consigliabile e altro dovrebbe essere il percorso dei piani di rientro per qualsiasi istituzione in difficoltà finanziaria.
      In ogni ente territoriale soggetto ad alternanza, infatti il vincitore del confronto elettorale potrebbe essere spinto ad adottare una strategia elusiva non facendosi carico degli effetti amministrativi delle azioni del predecessore, con riflessi negativi sui rapporti giuridici consolidati (per esempio sui creditori). Ogni ente diverrebbe un «caso» a se stante, bisognoso di continui interventi normativi del legislatore nazionale, come dimostra quello romano. Anche perché le norme per la separazione sono mutuate da quelle del dissesto e il regime che regola questa fattispecie appare nettamente inadeguato al processo di devoluzione di sempre maggiori funzioni agli enti territoriali. Può essere una valida norma di chiusura dell'ordinamento, per responsabilizzare il decisore politico a una corretta gestione ordinaria della finanza dell'ente locale, ma non appare adatta per gestire una situazione prolungata nel tempo.
      Nel caso di uno squilibrio finanziario che renda problematico l'adempimento di funzioni fondamentali, andrebbe invece previsto un sistema di regole che, con progressività, induca l'ente a rientrare nella normalità, stimolandolo con aiuti e con sanzioni adeguati fino al superamento
 

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della crisi. Lo schema è quello dei piani di rientro per i disavanzi della sanità che, da ultimo, la legge 23 dicembre 2009, n. 191 (legge finanziaria 2010) ha esteso anche agli inadempimenti delle regioni di altro tipo. In questo modo, mutuando da quella disciplina alcune disposizioni valide anche per gli altri enti territoriali e superando la distinzione tra gestione ordinaria e straordinaria, si potrebbe: redigere un piano di rientro (triennale a scorrimento), individuare un sistema di monitoraggio periodico e condizionare il finanziamento statale all'attuazione del piano.
      Si tratta di una questione di carattere generale. In tutti i casi in cui gli enti territoriali forniscono servizi connessi ai diritti essenziali (lettere m) e p) del secondo comma dell'articolo 117 della Costituzione) non può non essere previsto un potere del centro, con l'obiettivo di ripristinare le condizioni normali. La natura di tale potere è di intervenire prima che il danno diventi irreparabile e quindi prima dell'esercizio del potere sostitutivo, in una dimensione che non è soltanto di tipo collaborativo, ma anche dotata di strumenti di monitoraggio, valutazione e condizionalità. Proprio in questa direzione, infatti, si è orientata tutta la più recente legislazione, a partire da quella sui disavanzi sanitari, fino a quella varata con la citata legge n. 42 del 2009, che introduce, con l'articolo 18, il «Piano per il conseguimento degli obiettivi di convergenza», con un procedimento, guidato dalla Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, «volto ad accertare le cause degli scostamenti e a stabilire le azioni correttive da intraprendere, anche fornendo agli enti la necessaria assistenza tecnica».
      Non seguire questo tipo di percorso ha prodotto il contorto iter normativo che ha caratterizzato la gestione straordinaria del comune di Roma. Più coerente sotto il profilo finanziario appare mantenere (e quindi ripristinare) l'unità amministrativa per procedere all'attuazione, anche tramite innovazioni, del ricco strumentario normativo esistente, lavorando soprattutto in due direzioni: la tradizionale legge per Roma capitale (legge 15 dicembre 1990, n. 396), potenzialmente rifinanziabile attraverso la legge finanziaria com’è stato fino al 2007 – anno in cui erano stati stanziati circa 600 milioni di euro (212 milioni di euro per ciascun anno 2007 e 2008 e 170 milioni di euro per il 2009) – e l'attuazione dell'articolo 114, terzo comma, della Costituzione, che individua Roma come capitale della Repubblica, rinviando alla legge statale la disciplina del suo ordinamento. La già citata legge delega per il federalismo fiscale contiene i princìpi e criteri direttivi per la realizzazione di tale previsione costituzionale, dai quali è già scaturito un primo decreto legislativo, ed un secondo in corso di definizione aprendo uno spazio per dare una soluzione stabile all'assetto istituzionale della capitale e ai suoi storici problemi di sostenibilità finanziaria, uno spazio che sarebbe molto grave non utilizzare pienamente.
      Anche la legge n. 220 del 2010 (legge di stabilità 2011) definisce delle regole specifiche per il concorso del comune di Roma al patto di stabilità interno, disponendo che «entro il 31 ottobre di ciascun anno, il sindaco trasmette la proposta di accordo al Ministro dell'economia e delle finanze, evidenziando, tra l'altro, l'equilibrio della gestione ordinaria» e concorda, entro il 31 dicembre, «modalità» ed «entità», «del proprio concorso alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica». Insomma, l'ultima cosa da fare sembra proprio, all'esame obiettivo della situazione, la separazione delle gestioni finanziarie.

2.    Correggere una scelta che ha limitato l'autonomia del comune.

      Il primo risultato della gestione straordinaria è stato la perdita di autonomia del comune. Per inquadrare questo aspetto va considerato il finanziamento del processo di separazione. Al momento del suo insediamento, il 28 aprile 2008, la nuova giunta ha ritenuto insostenibile l'ammontare dell'indebitamento, cui si sommava il

 

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disequilibrio finanziario dovuto alla mancanza di liquidità. Il primo aveva origini storiche e caratterizzava le finanze comunali da molti anni, con uno stock ben conosciuto, anche se leggermente aumentato nel periodo 2001-2008. Il secondo era emerso nel corso del biennio 2006-2007, generato dalla crescente esposizione creditoria del comune nei confronti della regione Lazio, la quale aveva cessato, per effetto della sua crisi di bilancio, di trasmettere i contributi di legge dovuti, in particolare nel settore del trasporto pubblico locale, costringendo il comune ad anticipare somme fino al considerevole ammontare, negli ultimi mesi del 2007 e nei primi mesi del 2008, di circa 1,2 miliardi di euro. In realtà, considerando i dati ufficiali, l'emergenza finanziaria registrata dalla nuova giunta romana derivava non tanto dalla questione del debito, quanto dalla crisi di liquidità.
      A questa situazione il Governo ha risposto, attraverso il citato articolo 78 del decreto-legge n.112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, nominando il sindaco commissario straordinario per «la ricognizione della situazione economico-finanziaria del comune e delle società da esso partecipate, con esclusione di quelle quotate nei mercati regolamentati, e per la predisposizione ed attuazione di un piano di rientro dall'indebitamento pregresso». Con la stessa norma si disponeva, inoltre, la separazione della gestione antecedente l'insediamento della nuova giunta da quella successiva. Per le risorse necessarie, nelle more dell'approvazione del piano di rientro, il comma 8 dello stesso articolo 78 ha autorizzato, per il 2008, la Cassa depositi e prestiti Spa a concedere al comune di Roma un'anticipazione di 500 milioni di euro a valere sui primi futuri trasferimenti statali (esclusi quelli compensativi per mancati introiti di natura tributaria), per fronteggiare la crisi di liquidità. È stata anche autorizzata l'apertura di un'apposita contabilità speciale per la gestione del piano di rientro. L'anticipazione è stata coperta con il decreto-legge 7 ottobre 2008, n. 154, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 2008, n. 189 (articolo 5, comma 1), che ha previsto un contributo ordinario di 500 milioni di euro per rimborsare l'anticipazione della Cassa.
      Per far fronte alle necessità finanziarie dell'anno in corso, il piano di rientro redatto sulla base della norma originaria dispone che entrano a far parte della gestione straordinaria tutte le spese registrate fino alla data del 28 aprile 2008, mentre l'intera annualità delle entrate di quell'anno è assegnata alla gestione ordinaria. Di fatto, la gestione commissariale viene caricata di tutte le spese dei primi quattro mesi dell'anno, mentre la gestione ordinaria, per fare fronte ai restanti otto mesi di spesa, può beneficiare di dodici mensilità di entrate. Con questo meccanismo si aiuta, impropriamente, il bilancio ordinario del comune per il 2008 e si carica un onere aggiuntivo di più di un miliardo di euro sulla gestione straordinaria: un onere che nulla ha a che fare né con il debito storico né con l'accertamento di eventuali altre partite debitorie, né con lo squilibrio di cassa di cui si è detto.
      Lo stesso decreto-legge n. 154 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 189 del 2008, in materia di piani di rientro sanitari, ha previsto per le medesime finalità l'attribuzione al comune di Roma di un analogo contributo di 500 milioni di euro per l'anno 2009, a valere sulle risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate. Per il finanziamento a regime del piano di rientro si disponeva inoltre che, a decorrere dall'anno 2010, in sede di attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, fosse riservato prioritariamente a favore di Roma capitale un contributo annuale di 500 milioni di euro nell'ambito delle risorse disponibili per il federalismo fiscale. Ma questa disposizione aveva un carattere programmatico e necessitava quindi di una specifica copertura finanziaria. Per questo motivo, relativamente all'anno 2010, la legge n. 191 del 2009 (articolo 2, comma 195) ha attribuito al Commissario straordinario del Governo (ancora il sindaco) un contributo di 500 milioni di euro, attraverso una nuova anticipazione di tesoreria.
 

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      La vita normativa di questa seconda anticipazione è più travagliata. La legge ne dispone l'erogazione attraverso una convenzione tra il Ministero dell'economia e delle finanze e il comune di Roma stabilendo che 200 milioni di euro siano erogati entro il 31 gennaio, mentre gli altri 300 milioni di euro, da erogare entro il 31 dicembre, siano subordinati al conferimento degli immobili militari ai fondi comuni di investimento immobiliari costituiti ai sensi del comma 1 dell'articolo 314 del codice dell'ordinamento militare, di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66. A questo conferimento, evidentemente difficile da realizzare, il decreto-legge n. 2 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 42 del 2010 (in materia di enti locali), aggiunge anche il trasferimento degli immobili, nonché il ricavato della vendita delle quote dei fondi. Ma non basta. Il decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10, pone gli oneri a carico del bilancio dello Stato e allunga il termine per la conclusione delle operazioni di dismissione immobiliare fino al 31 dicembre 2011. Si concede un anno in più e, in questo ambito, si indica come urgente l'alienazione, «secondo criteri e valori di mercato», degli immobili militari elencati nel protocollo tra il comune di Roma e il Ministero della difesa. In tal modo viene coperta l'anticipazione straordinaria, attraverso il versamento al bilancio statale, per il 2010, di 500 milioni di euro ricavati dalle vendite di parte degli immobili (le altre quote sono destinate al Ministero della difesa per la riallocazione delle funzioni svolte negli immobili alienati e alla riduzione del debito pubblico). Le risorse derivanti dagli immobili pubblici sono divise in tre parti ma l'unica di cui è nota la consistenza è quella spettante al comune di Roma. Sarebbe opportuno conoscere la grandezza complessiva dell'ammontare, anche per capire in che misura è stato rispettato lo spirito del federalismo demaniale, che prevede il trasferimento agli enti territoriali dei rispettivi cespiti patrimoniali. È forte, in altri termini, la sensazione che le operazioni di dismissione dei beni demaniali localizzati a Roma potrebbero (o avrebbero potuto) portare al comune più risorse se gestite con i canali della legislazione ordinaria vigente piuttosto che con quelli delle norme «speciali» per il piano di rientro. La stessa sensazione emerge con riferimento alla legge n. 396 del 1990, la legge per Roma capitale, di cui il comune ha di fatto accettato il totale definanziamento, avvenuto a partire dal 2010, motivato dal fatto che lo Stato stava già contribuendo alle finanze della capitale tramite il piano di rientro. Un contributo che, però, si è fermato alla fine a 300 milioni di euro e che è restato segregato alla gestione straordinaria, non consentendo così all'amministrazione di sostenere i fabbisogni quotidiani della città.
      A partire dal 2011, il problema del finanziamento strutturale del piano di rientro della gestione commissariale viene affrontato con il decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122 (articolo 14, commi da 13-bis a 18). Per 300 milioni di euro si provvede con un finanziamento statale. Per 200 milioni di euro con uno sforzo richiesto al territorio comunale attraverso l'istituzione di un'addizionale comunale di 1 euro a passeggero sugli aeromobili in partenza dalla città di Roma e con la maggiorazione dell'addizionale comunale dell'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) fino allo 0,4 per cento. Le somme eventualmente riscosse in misura eccedente ai 200 milioni di euro per anno sono riversate alla gestione ordinaria del comune di Roma e concorrono alla stabilità finanziaria. Inoltre, la gestione ordinaria ha la possibilità di istituire nuovi tributi (contributo di soggiorno per i turisti che pernottano negli alberghi della città e maggiorazione fino al 3 per mille sull'imposta comunale sugli immobili (ICI) delle abitazioni diverse dalla principale).
      L'accesso al fondo di 300 milioni di euro annui è condizionato alla verifica positiva da parte del Ministero dell'economia e delle finanze dell'adeguatezza e dell'effettiva attuazione delle misure occorrenti per il reperimento delle risorse
 

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necessarie alla copertura del fondo di 200 milioni di euro, nonché di quelle finalizzate a garantire l'equilibrio economico-finanziario della gestione ordinaria.
      Sotto la spinta di una forte torsione finanziaria con queste disposizioni sono effettuate delle scelte molto significative. Si stabilisce che il ripianamento del debito pregresso è sostenuto solo parzialmente dallo Stato (300 milioni di euro) e che il comune è chiamato a contribuire per una quota non marginale (200 milioni di euro). Si indicano esplicitamente le fonti di entrata comunali che l'ente è chiamato ad attivare per reperire la propria quota di risorse (addizionali su trasporto aereo e IRPEF).
      Si indicano nuove fonti di entrata comunali per l'equilibrio della gestione ordinaria (tassa di soggiorno e maggiorazione dell'ICI). Si subordina l'erogazione del contributo statale alla realizzazione dello sforzo fiscale comunale, sia per la gestione straordinaria sia per quella ordinaria. In altre parole, si pone l'amministrazione comunale sotto tutela, in forme analoghe a quelle in cui sono state poste le regioni con disavanzi strutturali nella sanità. Tale situazione è rafforzata dalla separazione (disposta dall'articolo 4, comma 8-bis, del citato decreto-legge n. 2 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 42 del 2010) della titolarità delle gestioni. Quella straordinaria è assegnata ad un commissario diverso dal sindaco, cui resta solo la gestione ordinaria, sotto il controllo stringente del Ministero dell'economia e delle finanze.
      La storia del finanziamento del piano di rientro, sinteticamente riepilogata, ci riporta al punto di partenza. Se lo squilibrio delle risorse fosse stato affrontato utilizzando l'anticipazione di tesoreria nell'ambito della gestione unitaria, l'autonomia del comune sarebbe risultata meno compromessa e il quadro finanziario sarebbe stato molto più nitido.

3.    Correggere una scelta infondata nei suoi presupposti.

      A distanza di anni e alla luce dei continui interventi normativi che hanno interessato questa materia, è possibile affermare che la scelta operata con il citato articolo 78 del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, si è rivelata infondata nei suoi presupposti. Come già sostenuto nell'interpellanza n. 2/00192 e nell'ordine del giorno n. 9/1891/86, presentati alla Camera dei deputati, sia dal punto di vista giuridico, sia dal punto di vista contabile non sussisteva alcuna necessità di procedere al commissariamento del comune di Roma poiché l'esposizione finanziaria denunciata derivava da talune anticipazioni di cassa resesi necessarie essenzialmente per il mancato trasferimento da parte della regione Lazio di risorse dovute al comune di Roma per un ammontare superiore a un miliardo di euro, di cui 738 milioni di euro per i servizi minimi del trasporto pubblico locale e 268 milioni di euro per interventi in vari settori (casa, scuola, assistenza). Per approfondire quest'analisi è necessario soffermarsi brevemente sull'analisi del debito del comune, effettuata in seguito all'attivazione della gestione straordinaria.
      In attuazione del citato articolo 78, il 4 luglio 2008 il sindaco Alemanno è nominato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri Commissario straordinario del Governo per la ricognizione della situazione economico-finanziaria del comune di Roma (e delle società partecipate) e per la predisposizione e l'attuazione di un piano di rientro dall'indebitamento pregresso. Ricoprirà questa funzione fino al 5 maggio 2010. La gestione commissariale assume tutte le obbligazioni vigenti al 28 aprile 2008 (data dell'insediamento della nuova giunta) in un bilancio separato rispetto a quello della gestione ordinaria. Il 30 settembre 2008 il commissario presenta il piano di rientro che, unitamente a un'appendice presentata il 22 ottobre 2008, è approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2008.
      Successivamente, con il citato decreto-legge n. 2/2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 42 del 2010, la guida delle due gestioni è sdoppiata: al sindaco

 

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resta quella ordinaria e quella straordinaria è affidata, dal 5 maggio 2010, a Domenico Oriani, che già si era occupato della questione come sub-commissario. Al nuovo commissario è assegnato il compito di procedere alla definitiva ricognizione della massa attiva e passiva rientrante nel piano di rientro. Il piano definitivo di rientro è del 15 giugno 2010 (seconda colonna della tabella) ed aggiornato con le operazioni effettuate fino al 26 luglio 2010, ultima ricognizione prima del decreto del Ministro dell'economia e delle finanze 4 agosto 2010 che, come previsto dal decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010 (articolo 14, comma 13-bis), approva l'accertamento del debito.
      Nel piano originario (prima colonna della tabella) si evidenzia un debito totale di 9 miliardi e 422 milioni di euro, composto da 6 miliardi e 980 milioni di euro di debito strutturale (la quota capitale dei prestiti in gestione) e da 2 miliardi e 441 milioni di euro di cosiddetto «extra debito».
      Se si analizzano le voci della massa passiva, si individuano in primo luogo le prestazioni rese e non pagate, ovvero il debito commerciale, che affligge le pubbliche amministrazioni e crea distorsioni nella qualità delle forniture e nei prezzi. Si tratta, però, di una voce ampliata per semplice conseguenza della scelta normativa di assegnare quattro mesi di spese da pagare alla gestione straordinaria senza assegnare le corrispondenti entrate dei primi quattro mesi del 2008. In ogni caso, il problema che si crea rispetto a questa tipologia di debito è duplice: la carenza di risorse e la difficoltà di completare il ciclo passivo della spesa, un problema comune alla generalità delle amministrazioni pubbliche e che deve essere affrontato con provvedimenti generali di natura strutturale.
      La gestione straordinaria ha effettuato, dal 29 aprile 2008 al 26 luglio 2010, data dell'ultimo accertamento del debito, pagamenti per 1.152 milioni di euro. Degli 809 milioni di euro rimasti da pagare, solo per 207 milioni di euro sono stati emessi i relativi mandati, mentre i rimanenti 602 milioni di euro sono in corso di accertamento.
      Un'altra partita rilevante sono i debiti fuori bilancio, significativamente incrementati (di ben 715 milioni di euro), nelle due versioni del piano. Tra partite accertate e in corso di accertamento si rilevano 398 milioni di euro di debiti per sentenze esecutive, 374 milioni di euro per debiti verso società partecipate dal comune, 379 milioni di euro di debiti verso l'Azienda territoriale per l'edilizia residenziale (ATER) per l'indennità di esproprio di aree di proprietà e 152 milioni di euro di altri debiti (di cui 113 milioni di euro ancora da accertare), per un totale, al 26 luglio 2010, di 1.304 milioni di euro. A questo si aggiunge il debito per contenzioso (70.000 pratiche oltre i 50.000 euro presso l'Avvocatura dello Stato), cresciuto in seguito alla citata interpretazione autentica del decreto-legge n. 2 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 42 del 2010, e in parte consistente (647 milioni di euro) ancora da accertare. Il debito proveniente dalla ricapitalizzazione delle società partecipate è stato in gran parte pagato (per 63,9 milioni di euro con anticipazione della gestione ordinaria) e resta solo un piccolo residuo.
      Dall'analisi dei debiti fuori bilancio emerge senza dubbio la necessità di organizzare meglio la gestione del contenzioso, annoso problema delle pubbliche amministrazioni che spesso soccombono in sede di giustizia civile. È indubbio che per compiere salti di qualità servano organizzazione dei processi amministrativi, informatizzazione e responsabilizzazione del personale, ma il dato rilevato appare enorme (1.459 milioni tra sentenze esecutive e contenzioso in atto). Forse la stima effettuata degli oneri potenziali risente di un eccesso di prudenza e potrà essere rettificata per la parte ancora da accertare. Inoltre, il grado di criticità dei debiti verso aziende partecipate e ATER (753 milioni di euro) non sembra particolarmente rilevante e potrebbe probabilmente essere affrontato, almeno in parte, con compensazioni e riorganizzazioni. Per
 

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quanto riguarda i crediti pretesi dalle aziende partecipate, non si ha notizia di procedure di accertamento in grado di sancirne la legittimità, e cioè l'esistenza di adeguati supporti giuridici che riportino tali pretese a prestazioni previste nei contratti di servizio ovvero in altro modo richieste dall'amministrazione con provvedimenti perfezionati. Si ha l'impressione che le aziende partecipate abbiano colto l'occasione della ricognizione commissariale per avanzare richieste utili ai loro bilanci, ma non solide dal punto di vista dell'obbligazione giuridica.
      In entrambe le versioni del piano di rientro la massa attiva, e cioè i crediti accertati, supera i 3,2 miliardi di euro. Si tratta in molti casi di voci che si compensano con altrettante voci di passivo: ad esempio, le passività verso le aziende di trasporto hanno contropartita nei crediti vantati verso la regione, avendo il comune anticipato risorse che la regione stessa tardava a trasferire; anche nel caso dell'ATER sussistono ingenti crediti per il mancato pagamento dell'ICI, i quali controbilanciano i debiti per indennità di esproprio.
      Le risorse di cassa a specifica destinazione, da reintegrare poiché evidentemente utilizzate per diverse finalità, superano i 2 miliardi di euro, divise a metà tra parte corrente e capitale. Anche questa è una distorsione tipica delle pubbliche amministrazioni locali. Lo sbilancio di parte capitale, in particolare che corrisponde ai residui passivi relativi a prestazioni non ancora rese, presenta un grado di criticità non elevato, in quanto è correlato al flusso storico degli investimenti del bilancio, strutturalmente più basso delle risorse stanziate.
      Una delle voci più importanti emerse nel piano definitivo del 2010 sono le maggiori spese presunte relative a pratiche espropriative pregresse. Anche in questo caso il criterio con cui è stato indicato l'onere potenziale appare irrealistico. Si tratta di 2.000 pratiche, alcune delle quali risalenti addirittura alle Olimpiadi del 1960. Per quanto concerne il debito finanziario alla quota capitale dei prestiti attivi è stata aggiunta, nel piano definitivo, l'esposizione nei confronti del sistema bancario. Si tratta delle linee di credito per progetti esecutivi (i cantieri delle metropolitane, per 644 milioni di euro) già considerate in un quadro di stabilizzazione complessiva della finanza comunale. Si consideri, in ogni caso, che l'adozione dello strumento delle linee di credito migliora la gestione finanziaria, poiché fa scattare l'obbligazione giuridica al pagamento degli interessi solo e soltanto nel momento dell'utilizzo delle somme disponibili, consentendo con ciò di seguire l'effettivo stato di avanzamento dei lavori dei cantieri. Scaricare sul debito «pregresso» linee di credito da cui si estrarranno pagamenti fino almeno al 2013, in relazione agli stati di avanzamento dei lavori dei cantieri delle linee metropolitane B1 e C, è un modo, per il bilancio ordinario del comune, di liberarsi da un onere trasferendolo allo Stato. Si tratta però di un'operazione discutibile, che «gonfia» impropriamente la massa debitoria.
      Sul debito primario, perfettamente conosciuto e certificato alla data del passaggio di consegne tra le amministrazioni, non ci sarebbe molto da aggiungere. Ma il citato articolo 14, comma 13-bis, del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, autorizza il commissario, «fermi restando la titolarità del debito in capo all'emittente e l'ammortamento dello stesso in capo alla gestione commissariale», «a rinegoziare i prestiti della specie anche al fine dell'eventuale eliminazione del vincolo di accantonamento, recuperando, ove possibile, gli accantonamenti già effettuati». La latitudine del commissario si estende a scapito della gestione ordinaria, che viene esautorata della leva finanziaria. Inoltre, si potrebbe leggere in controluce una valutazione critica sul modo in cui è stato costruito il debito primario del comune di Roma, sulla sua onerosità. Questo elemento andrebbe esplicitato e richiederebbe un'analisi delle operazioni finanziarie effettuate dal comune che, dai dati a disposizione, sembrano essere state perfezionate a costi competitivi (il costo del
 

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servizio del debito primario del comune supera di poco quello del debito del Tesoro nazionale).
      Il carattere aleatorio delle partite della massa passiva risente della debolezza delle convenzioni che presidiano la contabilità degli enti pubblici e che se da un lato favoriscono l'approccio elusivo del decisore, dall'altro scontano una debolezza strutturale delle articolazioni amministrative locali. In alcuni casi le criticità sono evidenti: la complessità delle procedure di esproprio, che restano aperte per decenni, le migliaia di contenziosi, gestiti con approccio burocratico, le metodologie di contabilizzazione tra le aziende in house e l'ente territoriale, non supportate da adeguati strumenti per il controllo della gestione. Tutto ciò si riflette in una diversa perimetrazione della massa passiva che, come mostra la tabella allegata, fa emergere diversi livelli di extradebito.
      Nel piano originario lo squilibrio è di 2, 4 miliardi di euro, nel piano aggiornato si sale a 3,2 miliardi di euro che si riducono però a 2,1 miliardi di euro se si considerano i pagamenti effettuati tra il 29 aprile 2008 e il 26 luglio 2010. Se poi si rettificano le poste della massa passiva che non presentano un elevato grado di criticità (come ad esempio gli oneri da esproprio e le reintegrazioni in conto capitale o le partite debitorie con le aziende comunali) l'extradebito si riduce significativamente fino quasi ad annullarsi.
      Restando ai dati ricavati dal rapporto del commissario e considerando esclusivamente i pagamenti effettuati al 26 luglio 2010 e la stima relativa agli oneri delle espropriazioni (1 miliardo di euro) l'extradebito ammonterebbe a 1,4 miliardi di euro. A prescindere dagli ulteriori ridimensionamenti possibili sorge spontanea una domanda. Di quanto è sproporzionato un flusso di 500 milioni di euro annui per abbattere uno stock di 1,4 miliardi di euro? Moltissimo. Con 500 milioni di euro è possibile infatti attualizzare circa 8 miliardi di euro, pari a sei volte la somma da smaltire. Basterebbe una somma di molto inferiore e più che sufficienti sarebbero i 200 milioni di euro che rappresentano la quota comunale del ripianamento. Il resto potrebbe essere destinato alle esigenze della gestione ordinaria o, meglio, nell'ambito di una gestione unitaria, ci sarebbe una somma intorno ai 300 milioni di euro annui (o più, se l'extradebito si mostrasse ancor più basso) di risorse statali per il finanziamento degli interventi necessari alla capitale.
      Qualcosa evidentemente non quadra. O è stato largamente sopravvalutato lo squilibrio calcolato al momento del passaggio di consegne tra le amministrazioni, oppure si potrebbe voler agire sul debito primario, attraverso ristrutturazioni globali sensate solo nell'ipotesi di una presunta eccessiva onerosità delle operazioni in essere, prodotta al momento della predisposizione dei vari strumenti. Non ha senso ovviamente, sotto il profilo economico, considerare nella massa passiva l'onere per interessi, che ammonta complessivamente, al 25 giugno 2010, a 7.378 milioni di euro. Si tratta, infatti, dell'ammortamento di un debito a lungo termine (fino al 2048) che, non a caso, è superiore al capitale. Qualsiasi analoga tipologia di ammortamento avrebbe un profilo comparabile. Il debito primario del comune di Roma, circa 7 miliardi di euro, appare del tutto compatibile con un bilancio annuale superiore ai 5 miliardi di euro, come evidenzia anche la sua composizione (1.499 milioni di euro di emissioni obbligazionarie, 2.363 milioni di euro di mutui con la Cassa depositi e prestiti Spa, 2.777 milioni di euro di mutui bancari e 644 milioni di euro di aperture di credito correlate a gare aggiudicate, oltre a qualche posta minore). In termini pro capite si tratta di un debito comunale inferiore a quello dei comuni di Milano e di Torino, oltre che di molti altri comuni italiani.
      Non solo, emerge con nettezza anche dall'analisi del debito che i problemi da risolvere sono di natura organizzativa e non contabile, ma anche che una gestione ordinaria unica potrebbe affrontarli in maniera più efficiente, senza impiegare energie per infiniti accertamenti e comunicazioni, come mostra l'intreccio normativo
 

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messo in piedi per rappresentare i risultati della gestione straordinaria.
      Con il decreto-legge n. 225 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10 è stato stranamente approvato in via legislativa il documento concernente l'accertamento del debito del comune di Roma alla data del 30 luglio 2010, predisposto dal Commissario straordinario del Governo Domenico Oriani. È stato infatti introdotto il comma 196-bis dell'articolo 2 della legge n. 191 del 2009, che, al settimo periodo, afferma che «Con provvedimenti predisposti dal Commissario straordinario del Governo del comune di Roma (...), sono accertate le ulteriori partite creditorie e debitorie rispetto al documento predisposto (...) dal medesimo Commissario, concernente l'accertamento del debito del comune di Roma alla data del 30 luglio 2010, che è approvato con effetti a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto» (ossia dal 29 dicembre 2010). Il potere di accertare questo ulteriore eventuale debito era stato conferito al Commissario dall'articolo 14, comma 13-bis, del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010 che stabiliva: «Il Commissario straordinario del Governo procede all'accertamento definitivo del debito» da approvare con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze. Sulla base di questa disposizione il Commissario Domenico Oriani ha redatto il Documento di accertamento e lo ha inviato (con nota n. 36 del 30 luglio 2010) al Ministero dell'economia e delle finanze che, come previsto dalla normativa vigente, lo ha approvato con il citato decreto 4 agosto 2010.
      L'accertamento del debito risulta quindi approvato, nel corso del 2010, ben due volte, dal Ministro dell'economia e delle finanze e dal Parlamento, in sede di conversione del citato decreto-legge n. 225 del 2010, con effetto dal 29 dicembre. Un segno evidente del processo di «avvitamento» normativo indotto dall'istituzione della gestione straordinaria.
      Gli ulteriori accertamenti della situazione debitoria non richiederanno, allo stato, nuovi atti amministrativi. Infatti il modificato articolo 14, comma 13-bis, dispone che il Commissario straordinario procede all'accertamento definitivo del debito e ne dà immediata comunicazione al Ministero dell'economia e delle finanze congiuntamente alle modalità di attuazione del piano di rientro. Non c’è più, in altre parole, l'approvazione del Ministero originariamente prevista e che è stata alla base dell'emanazione del decreto del Ministro dell'economia e delle finanze 4 agosto 2010, con nocumento quindi alla trasparenza del processo, la cui documentazione non è facile reperire.

4.    Correggere una scelta rivelatasi inefficiente e incerta.

      La gestione straordinaria si è rivelata inefficiente poiché non solo non ha prodotto nessun valore aggiunto nello smaltimento del debito, ma ha creato problemi tali da richiedere l'intervento del giudice. La frattura artificiale tra creditori ante e post 28 aprile 2008 ha determinato il moltiplicarsi di azioni giudiziarie di natura amministrativa, attivate dai creditori del comune, che hanno visto il Consiglio di Stato e il tribunale amministrativo regionale (TAR) del Lazio pronunciarsi sullo sdoppiamento della contabilità. L'ovvio giudizio è stato che la separazione «non rende in alcun modo dubbia l'individuabilità della parte debitrice dell'ente locale» richiamato a dare esecuzione alle sentenze oggetto del giudizio di ottemperanza entro il termine di sessanta giorni. Gli organi di giustizia amministrativa hanno in sostanza ribadito un evidente principio di continuità, che non può essere messo in discussione dalla separazione delle gestioni contabili. Il legislatore, per ridurre le aree grigie, è dovuto intervenire sul punto con un'interpretazione autentica per assegnare alla gestione commissariale «tutte le obbligazioni derivanti da fatti o atti posti in essere fino alla data del 28 aprile 2008, anche qualora le stesse siano accertate e i relativi crediti siano liquidati con sentenze pubblicate successivamente alla medesima

 

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data» (decreto-legge n. 2 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 42 del 2010).
      Un'analoga azione avrebbe potuto svolgere, senza incorrere in questi inconvenienti, la gestione ordinaria. Quello che serve per evitare i ritardi cronici nei pagamenti è, oltre a un adeguato e tempestivo flusso di risorse finanziarie, la piena automazione dei processi di gestione del ciclo passivo della spesa.
      Un elemento che ha prodotto, e sta ancora producendo, forte incertezza è dato dall'intreccio tra le due gestioni, che è molto elevato. Il debito era stato in prima battuta quantificato in 9,5 miliardi di euro, proprio per effetto della confusione indotta dalla separazione delle gestioni. Nel distinguere per il 2008 i costi di gestione e di investimento, caricati nella gestione commissariale dalle entrate, che invece si facevano affluire alla gestione ordinaria, si causava uno sbilancio tra le due gestioni di 924,6 milioni di euro che, da una parte, gravava la prima, portando il debito da 8,6 a 9,5 miliardi di euro, e, dall'altra, migliorava la seconda, consentendo al consiglio comunale di approvare il rendiconto 2008 con un avanzo di 699,5 milioni di euro. L'incertezza ha continuato a farsi sentire anche nel processo di approvazione del bilancio successivo (rendiconto 2009 e previsioni 2010).
      L'avanzo di amministrazione contabilizzato del rendiconto dell'anno 2008 non aveva una reale consistenza in quanto era determinato dall'iscrizione in bilancio del credito della gestione ordinaria nei confronti di quella commissariale per 1,9 miliardi di euro che, oltre a essere stato, come si è detto, erroneamente calcolato, presentava problemi di esigibilità, non avendo la gestione commissariale adeguata liquidità. Per sbrogliare la matassa del bilancio comunale è stata necessaria la richiamata interpretazione autentica del decreto-legge n. 2 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 42 del 2010 (articolo 4, comma 8-bis), che ha stabilito una più netta separazione tra la due gestioni e la previsione di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri per fissare i nuovi termini per l'approvazione del consuntivo 2009 e del preventivo 2010 (poiché quelli previsti dal testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000 erano già decorsi).
      Con questo nuovo quadro normativo e con lo sblocco delle risorse finanziarie è stato possibile approvare, con molto ritardo, il bilancio per il 2010 e lo stesso si è verificato per il bilancio 2011. La gestione ordinaria si conferma come il principale creditore della gestione commissariale, per un credito che il comune deve dare a se stesso. Le ragioni del debito della gestione commissariale nei confronti di quella ordinaria sono molteplici. Spiccano i pagamenti commissariali anticipati dalla gestione ordinaria e le anticipazioni di cassa, pari alla metà dei pagamenti effettuati dal Commissario straordinario fino al 26 luglio 2010. L'elencazione parla chiaro. L'intreccio tra le due gestioni è inestricabile e il suo mantenimento produce un'inefficienza che si scarica sull'intero sistema amministrativo.

5.    Correggere una scelta costosa.

      Dal 4 luglio 2008 al 5 maggio 2010 Commissario straordinario è stato, come si è detto, il sindaco di Roma. Dal 5 maggio 2010, in attuazione del decreto-legge n. 225 del 2010, convertito con modificazioni, della legge n. 10 del 2011, sugli enti locali, è stato nominato Commissario Domenico Oriani, già sub-commissario nel periodo precedente. Il 22 settembre 2010 con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri Oriani viene revocato e, contestualmente, viene nominato Massimo Varazzani. Ma il primo non è d'accordo e ricorre al TAR del Lazio che, con sentenza n. 37085 del 16 dicembre 2010, ha annullato l'atto di nomina del secondo. Questo, forse, spiega il contorto periodo dell'articolo 2, comma 196-bis, della legge n. 191 del 2009, che prevede, per il Commissario, «comprovati requisiti di elevata professionalità nella gestione economico-finanziaria, acquisiti nel settore privato, necessari per gestire la fase operativa di attuazione

 

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del piano di rientro». Sembra quasi l’identikit del nuovo commissario, che viene nuovamente nominato Commissario straordinario del Governo con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 4 gennaio 2011. Ma i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri devono essere registrati dalla Corte dei conti. L'organo di controllo contabile indugia anche perché l'Avvocatura dello Stato, nel frattempo, con una nota del 24 gennaio 2011, suggerisce di non impugnare la sentenza del TAR del Lazio, «non apparendo seriamente contestabili i vizi di illogicità della motivazione e di carenza dei presupposti censurati dal TAR».
      Il nuovo Commissario è quindi immobilizzato e, non a caso, le rate dei mutui in scadenza a gennaio sono state pagate con fondi della gestione ordinaria. I problemi di coordinamento che si sono determinati sono notevoli.
      La gestione straordinaria si è rivelata infine molto costosa. Il comma 13-ter dell'articolo 14 del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, si occupa anche delle «spese di funzionamento della gestione commissariale, ivi inclusi il compenso per il Commissario straordinario». «Le predette spese di funzionamento, su base annua, non possono superare i 2,5 milioni di euro». Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri è stabilito il compenso annuo del Commissario straordinario, in misura tale da non superare «il costo complessivo annuo del personale dell'amministrazione di Roma capitale incaricato della gestione di funzioni transattive». Si è cercato in questo modo di mettere un limite al compenso del supercommissario. Un limite alto in verità, anche se bisognoso di interpretazioni, forse pari alla massa stipendiale dell'intera avvocatura comunale. Un'altra disposizione è stata introdotta sull'indennità dei sub commissari, «non superiore al 50 per cento del trattamento spettante» ai soggetti chiamati a gestire un comune in dissesto. E per entrambi è stato imposto uno sconto di un ulteriore 50 per cento, per le attività svolte fino al 30 luglio 2010. «Le risorse destinabili per nuove assunzioni del comune di Roma sono ridotte in misura pari all'importo del trattamento retributivo corrisposto al Commissario straordinario di governo», prosegue la norma. Alcuni quesiti vengono spontanei. Di quante decine di dipendenti comunali sarà necessario fare a meno per compensare adeguatamente il Commissario? Perché per l'ufficio del Commissario straordinario è necessaria una somma cinque volte superiore al costo dell'assessorato al bilancio del comune il quale, per anni, si è occupato dell'intera gestione finanziaria, compresi i debiti fuori bilancio, derivanti in prevalenza dall'annoso contenzioso urbanistico, per un ammontare variabile tra i 30 e i 50 milioni di euro all'anno? Ma gli uffici di Roma capitale, magari potenziati, non potrebbero gestire, almeno in parte, queste attività, e non solo quelle di natura «meramente esecutiva e adempimentale»?

6.    Correggere le più recenti distorsioni.

      Il migliore argomento a favore delle tesi sostenute nella presente relazione lo hanno fornito le ultime norme in materia di gestione straordinaria del debito pregresso di Roma capitale introdotte dal Governo e arricchite dalla Commissione bilancio del Senato della Repubblica, nell'ambito del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, contenente la seconda delle due manovre finanziarie estive. Dopo tre anni e mezzo, quindi, ulteriori modifiche sono state apportate all'impianto «speciale» della gestione commissariale, con ciò dimostrando che dentro quell'impianto c’è qualcosa che davvero non funziona. Le modifiche, peraltro, sono tutte in senso peggiorativo: invece di perseguire, come qui si propone, la strada di un ordinato processo di rientro in una gestione «normale» dell'ente, il decreto-legge introduce nuovi vulnus all'ordinamento e rende ancora più aberrante il mostro giuridico creato con l'errore originario dell'articolo 78 del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008.

 

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      Il primo intervento modifica le modalità di accertamento delle obbligazioni assunte prima del 28 aprile 2008, disponendo che sia sufficiente una determina dirigenziale con l'assistenza giuridico-amministrativa del segretario generale. Si tratta di un vulnus molto grave, visto che l'articolo 194 del testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000 prevede una deliberazione consiliare per il riconoscimento di legittimità dei debiti fuori bilancio, stabilendone limiti e condizioni. La verifica dell'esistenza di basi giuridiche certe per i debiti non finanziari contenuti nel piano di rientro, invece, viene adesso demandata a una procedura speciale, che non attraverserà i filtri che vengono attivati per i normali debiti fuori bilancio, quando sono sottoposti all'approvazione del consiglio comunale. Il dubbio è legittimo: si vuole solo fare in fretta ed evitare «lacci e lacciuoli» del consiglio comunale (all'interno del quale la maggioranza vincitrice delle elezioni di aprile 2008 non è più così solida come all'inizio), oppure si vogliono nascondere questi atti amministrativi da sguardi indiscreti?
      Il comma 27 dell'articolo 1 del citato decreto-legge n. 138 del 2011 modifica le condizioni sulla base delle quali il Commissario straordinario del Governo può procedere all'estinzione dei debiti della gestione commissariale verso Roma capitale, diversi dalle anticipazioni di cassa ricevute. A tal fine viene nuovamente riformulata la disposizione contenuta nell'articolo 14, comma 17, del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, che condizionava la possibilità di procedere all'estinzione dei debiti della gestione commissariale verso Roma capitale alla verifica positiva da parte del Ministero dell'interno circa l'adeguatezza e l'attuazione delle misure messe in atto dal comune per il reperimento delle risorse occorrenti alla copertura degli oneri di attuazione del piano di rientro, nonché di quelle necessarie per garantire l'equilibrio economico-finanziario della gestione ordinaria del comune. In base alla nuova formulazione, la possibilità di procedere all'estinzione dei debiti della gestione commissariale verso Roma capitale da parte del Commissario è condizionata all'avvenuta deliberazione del bilancio di previsione per gli anni 2011-2013, con la quale sia dato espressamente atto dell'adeguatezza e dell'effettiva attuazione delle misure occorrenti per il reperimento delle risorse finalizzate a garantire l'equilibrio economico-finanziario della gestione ordinaria, nonché subordinatamente a specifico motivato giudizio sull'adeguatezza e sull'effettiva attuazione delle predette misure da parte dell'organo di revisione, nell'ambito del parere sulla proposta di bilancio di previsione. Non è più il Ministero dell'interno, insomma, a dover certificare, ma lo stesso comune e il suo collegio dei revisori dei conti.
      Con l'ultima norma introdotta a settembre del 2011 il mostro giuridico della gestione commissariale raggiunge le vette più ardite. Si dispone, infatti, che le attività finalizzate all'attuazione del piano di rientro possano essere affidate senza gara a società esterne, partecipate dirette o indirette dallo Stato, tramite una convenzione onerosa il cui costo, che non deve superare i 2,5 milioni di euro già stabiliti, grava sul contributo statale a Roma capitale.
      E così l'accertamento della legittimità giuridica dei presunti debiti fuori bilancio elencati dal piano di rientro viene esternalizzata a una società di consulenza. La quale produrrà schemi di determine che, per fare diventare immediatamente liquidabili i presunti crediti, abbisognano soltanto della firma di un dirigente del comune e del visto del segretario generale. Intanto, modifiche alle liste dei presunti debiti e crediti rientranti nel piano di rientro potranno essere effettuate dal Commissario straordinario senza alcuna verifica da parte del Ministero dell'economia e delle finanze, mentre il riconoscimento delle partite che si sono intrecciate tra comune e gestione commissariale non sarà sottoposto al vaglio del Ministero dell'interno, ma del collegio dei revisori dei conti dello stesso comune. Il procedimento
 

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messo così in atto non solo stravolge regole fondamentali del nostro ordinamento amministrativo, ma connota sempre di più la gestione commissariale del piano di rientro come una gestione opaca, priva di alcun tipo di controllo né a livello superiore (Ministero dell'economia e delle finanze e Ministero dell'interno) né a livello orizzontale (giunta e consiglio comunali).

7.    Una proposta di legge per uscire dalla confusione.

      Alla luce delle considerazioni svolte, appare urgente disciplinare il superamento della gestione straordinaria, ristabilire una gestione unitaria od ordinaria del bilancio dell'ente e applicare anche al comune di Roma un sistema di regole che, con aiuti e sanzioni adeguati, stimoli l'ente al superamento della crisi mutuando le procedure dei piani di rientro delle regioni per i disavanzi strutturali della sanità. È quanto si prefigge la presente proposta di legge.
      L'articolo 1 pone fine (comma 1) alla gestione commissariale. Al comma 2 si stabilisce che la gestione ordinaria di Roma Capitale assuma tutte le entrate di competenza e tutte le obbligazioni assunte dal comune di Roma e il comma 3 determina la chiusura della contabilità speciale.
      L'articolo 2, al comma 1, disciplina la sottoscrizione di un nuovo piano di rientro, entro sessanta giorni, tra il comune di Roma e il Ministero dell'economia e delle finanze (previo parere del Ministero dell'interno), che include il piano di rientro (triennale a scorrimento). Viene individuato un sistema di monitoraggio periodico (commi 5 e 6), che prevede delle verifiche semestrali e annuali e un tavolo tecnico, istituito presso il Ministero dell'economia e delle finanze cui partecipano i rappresentanti di quest'ultimo, del Ministero dell'interno e dell'istituendo Ufficio per l'attuazione del piano di rientro dell'indebitamento del comune di Roma, cui sono trasmessi i provvedimenti di spesa e comunque tutti i provvedimenti aventi impatto finanziario al fine dell'espressione di un parere preventivo sulla compatibilità dei medesimi rispetto all'attuazione del piano di rientro. Alla sottoscrizione dell'accordo e al rispetto del piano è condizionato il finanziamento statale (commi 2 e 4). Il comma 3 stabilisce che sono fatte salve tutte le misure che garantiscono ulteriori fonti di entrata e facoltà normative di Roma capitale.
      L'articolo 3 istituisce l'Ufficio per l'attuazione del piano di rientro dell'indebitamento che svolge compiti di assistenza alla ragioneria e all'avvocatura di Roma capitale per la gestione dei contenziosi e delle attività di natura finanziaria che fanno parte del piano di rientro. L'Ufficio è diretto dal ragioniere generale di Roma capitale e vi confluisce la struttura incaricata della gestione commissariale.

 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Conclusione della gestione commissariale del comune di Roma).

      1. La gestione commissariale del comune di Roma di cui all'articolo 78 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e successive modificazioni, ha termine a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge.
      2. La gestione ordinaria di Roma capitale assume tutte le entrate di competenza e tutte le obbligazioni assunte dal comune di Roma.
      3. La contabilità speciale di cui al comma 4 dell'articolo 78 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e successive modificazioni, è chiusa.

Art. 2.
(Piano di rientro dell'indebitamento del comune di Roma).

      1. Sulla base delle indicazioni contenute nel piano di rientro dell'indebitamento del comune di Roma approvato in data 15 giugno 2010 e delle procedure attuative poste in essere fino alla data di entrata in vigore della presente legge, Roma capitale sottoscrive, entro sessanta giorni dalla medesima data di entrata in vigore, un nuovo piano di rientro dell'indebitamento con il Ministero dell'economia e delle finanze, previo parere del Ministero dell'interno, di durata triennale.
      2. La sottoscrizione del nuovo piano di rientro dell'indebitamento di cui al comma 1 del presente articolo e la relativa attuazione

 

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costituiscono presupposto per l'accesso al fondo di 300 milioni di euro di cui all'articolo 14, comma 14, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, previa verifica positiva da parte del Ministero dell'economia e delle finanze.
      3. Sono, in ogni caso, fatte salve le misure previste dall'articolo 14, commi 14 e 16, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, che disciplinano ulteriori fonti di entrata e facoltà normative di Roma capitale.
      4. Gli interventi individuati dal piano di rientro dell'indebitamento sono vincolanti per Roma capitale, che è obbligato a rimuovere i provvedimenti e a non adottare nuovi provvedimenti che siano di ostacolo alla sua piena attuazione.
      5. La verifica dell'attuazione del piano di rientro dell'indebitamento è effettuata con periodicità semestrale e annuale, ferma restando la possibilità di procedere a verifiche ulteriori previste dal piano stesso o straordinarie qualora ritenute necessarie da una delle parti.
      6. La verifica di cui al comma 5 è effettuata da un apposito tavolo tecnico, istituito presso il Ministero dell'economia e delle finanze, cui partecipano rappresentanti del Ministero dell'economia e delle finanze, del Ministero dell'interno e dell'Ufficio per l'attuazione del piano di rientro dell'indebitamento istituito ai sensi dell'articolo 3. I provvedimenti comunali di spesa e comunque tutti i provvedimenti aventi impatto finanziario sono trasmessi al tavolo tecnico, che esprime un parere preventivo sulla compatibilità dei medesimi rispetto all'attuazione del piano di rientro.

Art. 3.
(Ufficio per l'attuazione del piano di rientro dell'indebitamento).

      1. Ai fini dell'attuazione del piano di rientro è istituito, presso il comune di Roma, l'Ufficio per l'attuazione del piano di rientro dell'indebitamento.

 

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      2. L'Ufficio di cui al comma 1 è diretto dal ragioniere generale di Roma capitale.
      3. La struttura incaricata della gestione commissariale di cui all'articolo 1 confluisce nell'Ufficio di cui al comma 1 e svolge compiti di assistenza alla ragioneria e all'avvocatura di Roma capitale per la gestione dei contenziosi e delle attività di natura finanziaria che fanno parte del piano di rientro dall'indebitamento. Per l'espletamento di tali incarichi i componenti dell'Ufficio non hanno diritto ad alcun compenso o indennità, oltre alla retribuzione, anche accessoria, in godimento all'atto di nomina e si avvalgono delle strutture comunali.


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