Onorevoli Colleghe e Colleghi! - La riforma degli organi di governo delle istituzioni scolastiche, anche alla luce della riforma della pubblica amministrazione e dell'autonomia, richiamata, peraltro, nel testo della parte seconda, titolo V, e, in particolare, dell'articolo 117, come modificato dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, è ormai indifferibile: da ben tre legislature il Parlamento pone all'ordine del giorno questa riforma senza riuscire a portarla a termine, nonostante i numerosi progetti di legge presentati da tutte le forze politiche e le tante sollecitazioni provenienti dal mondo della scuola.
Con la presente proposta di legge si intende proporre un modello che punti a trasformare radicalmente il governo delle istituzioni scolastiche, che si presenta, ancora oggi, caratterizzato da elementi che non colgono i cambiamenti costituzionali e le innovazioni sulle norme di governo delle istituzioni scolastiche sia amministrative che didattiche. Elementi che si fondano sulla iper-regolazione dello Stato, sul formalismo e sul controllo delle procedure piuttosto che dei risultati, su un'anacronistica concezione autarchica dell'organizzazione, su una concezione burocratica del ruolo dei docenti che non ne valorizza pienamente l'autonomia e la responsabilità professionali.
La riforma degli organi collegiali della scuola degli anni settanta ha cercato di superare il centralismo dello Stato, ma ha mostrato, quasi subito, tutti i suoi limiti. I poteri riconosciuti agli organi collegiali sono stati di fatto esautorati dall'eccessivo formalismo centralistico e dalla limitatezza
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delle risorse, e ciò ha determinato una continua deresponsabilizzazione della componente dei genitori e l'affievolirsi della loro partecipazione.
Queste considerazioni portano a prefigurare una consistente e radicale modifica del modello di gestione delle istituzioni scolastiche, nella direzione di un rafforzamento degli organi di governo interni alle stesse istituzioni e della distinzione, in ordine alle competenze e alle prerogative definite dalla riforma costituzionale, dagli organi di livello politico e amministrativo dell'intero sistema. Ciò anche al fine di coniugare l'esigenza della piena valorizzazione dell'autonomia professionale dei docenti e dei dirigenti con quella della partecipazione degli utenti. La responsabilizzazione professionale dei dirigenti e dei docenti e la distinzione degli ambiti di intervento sono i cardini su cui poggiare un sistema decentrato imperniato sull'autonomia.
La presente proposta di legge si innesta, pertanto, in un'iniziativa più generale di ammodernamento del sistema educativo coerente con il processo autonomistico, avviato con l'articolo 21 della legge n. 59 del 1997, e successive modificazioni, che ridefinisce gli organi collegiali interni come organi di governo, nel rispetto delle prerogative definite dalle modifiche costituzionali, e che tiene conto dell'ipotesi di decentralizzazione avanzata con il decreto legislativo n. 226 del 2005.
La presente proposta di legge, coerentemente con il dettato costituzionale dell'articolo 33 («La Repubblica detta le norme generali sull'istruzione»), va al nucleo essenziale delle questioni dell'organizzazione e della gestione delle scuole, superando la concezione di tipo amministrativo degli organi collegiali che ha soffocato l'iniziativa delle scuole e la stessa attività dei docenti.
La presente iniziativa legislativa rappresenta una legge generale di princìpi che rispetta, approfondisce e valorizza le norme sull'autonomia organizzativa della citata legge n. 59 del 1997, di cui realizza veramente la lettera e lo spirito, dando alle scuole la potestà regolamentare sulle questioni che riguardano tutto il funzionamento interno; allo stesso tempo, essa raccoglie le nuove istanze costituzionali. Essa, infatti, rafforza l'autonomia organizzativa della scuola, ma contemporaneamente la apre all'apporto di risorse esterne sia di esperti che di rappresentanti degli enti locali proprietari delle scuole e competenti già oggi in molti ambiti che interessano la gestione della scuola: orientamento, diritto allo studio, handicap eccetera.
Il superamento della vecchia concezione del collegio dei docenti - unico organismo presente nella scuola prima del 1974 -, con l'assegnazione all'autoregolazione interna di tipo professionale delle competenze e dell'articolazione del lavoro, valorizza e rispetta la libertà di insegnamento, perché libera la scuola e il lavoro dell'insegnante da vincoli esterni e di tipo burocratico.
La presente proposta di legge individua nel consiglio di amministrazione l'organo di gestione della scuola come l'unico che necessita di una regolazione da parte dello Stato, dato che le scuole ne usano le risorse finanziarie, e assegna al regolamento interno tutte le materie che possono essere risolte a livello di istituto determinando un modello dinamico, capace di adattarsi sia alle molteplici situazioni delle istituzioni scolastiche che alla loro evoluzione organizzativa e didattica.
Il testo, in particolare, recepisce i princìpi e i criteri della modernizzazione delle pubbliche amministrazioni: separazione tra organi di indirizzo e organi di gestione; attribuzione ai dirigenti di poteri di gestione connessi alle responsabilità in ordine ai risultati; partecipazione degli studenti e dei genitori come efficace strumento di indirizzo e di controllo.
Si tratta di restituire alla scuola un ruolo centrale nella formazione dei giovani e una funzione di sostegno allo sviluppo sociale e culturale della società. La presente proposta di legge introduce, inoltre, nel dibattito parlamentare la possibilità per le scuole autonome di trasformarsi in fondazioni nonché di avere partner pubblici e privati che le sostengano, disposti a
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entrare nell'organo di governo della scuola e che contribuiscano a innalzare gli standard di competenza dei singoli studenti e di qualità complessiva dell'istituzione scolastica. In altre parole, i partner che la scuola riconosce dovranno favorire il processo di innovazione. Attraverso la trasformazione in fondazioni si vuole anche favorire una maggiore libertà di educazione che poggia sulla natura sociale dell'educazione: un'opera da svolgere entro quella società civile e quegli enti pubblici e privati più vicini ai cittadini, che devono essere riconosciuti a pieno diritto come espressione dell'azione pubblica.
D'altra parte, come è emerso dal Rapporto 2006 della Fondazione per la sussidiarietà, che ha esplorato le percezioni delle famiglie, delle istituzioni e delle imprese rispetto alle applicazioni della sussidiarietà in campo educativo, il 56 per cento degli intervistati auspicherebbe una scuola con un sistema misto Stato-privato. Ciò vuol dire che anche in Italia, individuando le strategie giuste, si potrebbe presto arrivare, come sta avvenendo in Inghilterra, ad avere uno Stato che svolga un'azione più di guida e di controllo che di gestione. Lo slogan di questo processo potrebbe diventare, anche per noi, quello di Blair: lo Stato «from provider to commissioner». Ma ancora più importante, dentro questo cambiamento, che può agevolmente trovare attuazione nel titolo V della parte seconda della Costituzione, resta la sfida di riallocare le risorse finanziarie destinate all'istruzione partendo dalla libertà di scelta delle famiglie, secondo il principio che le risorse governative seguono l'alunno («fair funding follows the pupil»). Principio affermato già dall'articolo 26 della Dichiarazione universale dei diritti umani.
Il fatto che lo Stato abbia fino ad oggi interpretato il diritto all'istruzione dei cittadini come una funzione propria e coincidente con un servizio esclusivamente statale ha certamente prodotto effetti positivi come la scolarizzazione di massa, ma è anche vero che questo impianto appare sempre più come una «gabbia» che limita le opportunità da offrire ai nostri giovani e la libertà di scelta in campo educativo.
La sussidiarietà diventa la stella polare di questo cambiamento. È questo il senso del comma 2 dell'articolo 11 della presente proposta di legge, che prevede un'autonomia finanziaria delle istituzioni scolastiche collegata alla libertà di scelta delle famiglie, che spostano i finanziamenti in base alle loro scelte.
Inoltre, poiché la qualità della scuola è fondata sulla qualità della condizione (norme generali) e della funzione (prestazioni essenziali ovvero standard) dei docenti, il capo III della presente proposta di legge prevede la definizione di un nuovo stato giuridico dei docenti e nuove modalità di formazione iniziale e di reclutamento.
Infatti, l'insegnante non è un soggetto perfettamente fungibile ad ogni trasformazione strutturale, normativa e organizzativa della scuola. Ne è invece l'elemento costitutivo, soprattutto quando il sistema in cui esso opera si avvia a rapidi e continui cambiamenti.
In effetti, nei dieci anni in cui si è discusso sull'autonomia delle scuole, non si è operato conseguentemente:
a) per modificare il reclutamento (la legge n. 124 del 1999 è la sanzione del vecchio sistema dei concorsi e delle sanatorie);
b) per riscrivere lo stato giuridico degli insegnanti in coerenza con il nuovo paradigma organizzativo e didattico (flessibilità) delle scuole;
c) per dare pertinenza alle competenze richieste ai docenti con il trasferimento alle scuole di nuovi poteri e funzioni tecniche, organizzative e didattiche (POF).
È significativo che ciò sia avvenuto - ma con effetti non del tutto positivi - solo ed esclusivamente per la figura del dirigente scolastico e del direttore dei servizi generali e amministrativi, creando un oggettivo squilibrio e un'asimmetria tra le
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finalità educative della scuola e il suo funzionamento amministrativo.
Non è una consolazione sapere che anche in altri Paesi europei il problema si pone con le stesse caratteristiche, anche se nell'Unione europea le carriere ci sono, e in modo altrettanto impellente, e con l'unica differenza che in tali Paesi le difficoltà di cambiamento si sono tradotte in una crisi diffusa e drammatica dell'offerta di insegnanti. Ma anche l'Italia si sta avvicinando a questo limite, non ci deve ingannare l'affollamento delle graduatorie.
Resta, comunque, il fatto che senza una definizione chiara della funzione docente, la scuola, come macchina amministrativa, manca del suo naturale carburante professionale.
Finora il Parlamento (fin dalle origini del nostro sistema scolastico) si è occupato dell'insegnante essenzialmente come dipendente pubblico, alla stregua di tutti gli altri impiegati dello Stato (si vedano le norme sullo stato giuridico del 1906, 1923, 1957 e 1974).
A partire dagli anni ottanta, ad esso sono state assicurate - come agli altri impiegati pubblici - la contrattazione e tutte le libertà sindacali, accentuando la sua dipendenza piuttosto che la sua autonomia e responsabilità professionali.
Ma può esistere una vera autonomia delle scuole senza un insegnante professionista, capace di vera responsabilità per i risultati?
Sembra di no, a giudicare dallo stato di frustrazione e di disagio che gli insegnanti continuano a manifestare, nonostante i grandi progressi che nel dopoguerra si sono registrati nelle loro condizioni contrattuali e anche retributive.
Le disposizioni contenute nel capo III della presente proposta di legge partono dall'analisi di alcuni dei motivi di tale disagio.
In primo luogo, la dissoluzione dello stato giuridico tradizionale, di carattere sostanzialmente impiegatizio, non sostituito da una nuova concezione dell'insegnante, adeguata al modello di autonomia definito dalla citata legge n. 59 del 1997. Il vecchio stato giuridico basato sulla legge n. 477 del 1973 è stato demolito dalla successiva «privatizzazione» ovvero, più precisamente, dalla contrattualizzazione del rapporto di lavoro, che ha «forzato», nonostante i vincoli contenuti nell'articolo 2 della legge n. 421 del 1992 (sulla base dei quali è stato emanato il decreto legislativo n. 29 del 1993, successivamente abrogato e le cui norme sono confluite definitivamente nel decreto legislativo n. 165 del 2001), i confini del campo riservato alla legge e ai princìpi generali della professione.
A causa di questo sconfinamento, il profilo professionale, ma anche l'autogoverno della professione (organi collegiali territoriali), la valutazione, gli standard, il codice deontologico, la carriera, la formazione iniziale e in servizio sono rimasti come «residui» di un'azione normativa che si è tutta squilibrata sul lato contrattuale, senza alcun vincolo. E non poteva essere diversamente, dato il silenzio dell'azione e della proposta legislativa.
Il processo di «impiegatizzazione» dei docenti (favorito dal numero decisamente impressionante: quasi un milione - nel 1957 erano 261.000), da timore e «profezia» teorizzata negli anni settanta, ha avuto la sua compiuta realizzazione nel contesto di una regolamentazione pattizia vasta e profonda, che ha inciso anche sull'immagine sociale, sulla percezione di sé e sugli stessi comportamenti quotidiani dei docenti.
In secondo luogo, è stata prevista l'istituzione di una dirigenza scolastica di tipo amministrativo, ma non come leadership educativa. La stessa definizione della dirigenza scolastica è avvenuta concretamente (articoli 25-bis e 25-ter del decreto legislativo n. 29 del 1993, introdotti dal decreto legislativo n. 59 del 1998, oggi articolo 25 del decreto legislativo n. 165 del 2001), in mancanza di un coerente sviluppo della carriera, in polemica con la funzione docente e non come naturale sviluppo della carriera, per cui oggi il dirigente scolastico appartiene per profilo, per trattamento economico, per modalità di reclutamento e per funzioni più alla
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carriera burocratico-amministrativa che non a quella di tipo educativo e didattico.
La conseguenza è che le scuole sono oggi prive di una vera e propria leadership, un vuoto che non può essere riempito né dalle «funzioni obiettivo» (tutte elettive e provvisorie), né tanto meno dai collaboratori del dirigente - compreso il vice - scelti dal dirigente stesso senza criteri di competenza e di merito professionali. Ambedue le soluzioni sono un surrogato della carriera docente che dovrebbe invece essere fondata essenzialmente su standard, valutazione, sviluppo, professionalità, specializzazione e responsabilità per i risultati.
È inoltre da segnalare la mancata autonomia contrattuale (area autonoma di contrattazione) dei docenti e delle articolazioni di tale funzione.
Per quanto riguarda l'autonomia contrattuale della professione (nonostante l'esplicita previsione dell'articolo 21, comma 17, della legge n. 59 del 1997, e nonostante le promesse), l'insegnante - caso unico in tutto il pubblico impiego - si trova ancora accomunato con tutto il personale dipendente della scuola - compresi gli ausiliari. Tale scelta politica ha avuto come conseguenza quella vera e propria «anomalia» organizzativa costituita dall'istituzione della rappresentanza sindacale unitaria (RSU) eletta in ogni istituzione scolastica, nella quale l'insegnante può essere rappresentato da operatori e da lavoratori che nulla hanno a che fare con la sua professione e che sono chiamati a definire per via pattizia aspetti specifici dell'attività professionale docente dei quali non hanno conoscenza e competenza alcune.
Comunque, resta la contraddizione di un organismo negoziale (RSU) in un contesto organizzativo che non gode di alcuna autonomia o discrezionalità contrattuale né gestionale (per quanto riguarda il personale), dato che il consiglio della scuola (ovvero il dirigente scolastico) in Italia - a diversità di altri Paesi con altra tradizione - non ha il potere di assumere o di licenziare personale, ma dipende dalle norme amministrative per quanto si riferisce alla gestione del bilancio, dell'organico e di ogni altra materia attinente al governo del personale, che resta accentrato.
La legge, nel dare attuazione al principio costituzionale della libertà di insegnamento, non può limitarsi alla mera definizione della libertà, ma ha il compito di stabilire regole precise con riferimento ai vari aspetti che incidono su di essa, come, ad esempio, il modo con cui si identificano le attività del docente, l'eventuale tipologia della funzione docente, i rapporti fra il docente e la scuola, i rapporti fra la scuola e gli altri pubblici poteri, le procedure di assunzione, la stabilità del rapporto, i princìpi su eventuali «carriere» eccetera. In altri termini, la libertà di insegnamento va tutelata con norme di legge riguardanti non solo lo stato giuridico dei docenti «in senso stretto», ma anche molti aspetti dell'organizzazione del servizio pubblico dell'istruzione. Del resto, atteso che il docente non può rinunciare alla propria posizione di libertà, tutti gli ambiti che integrano la disciplina della libertà di insegnamento devono ritenersi sottratti al contratto collettivo, risultando non disponibili da parte dei diretti interessati.
In tale prospettiva il concetto di «stato giuridico» include, tra l'altro: l'identificazione (in che cosa consiste) e la configurazione (identica o differenziata) della funzione docente; i contenuti e i limiti della libertà di insegnamento; le procedure di reclutamento e la «carriera»; le cause e le modalità di cessazione del rapporto di lavoro; le relazioni con l'istituto scolastico, con gli organi collegiali, con il dirigente scolastico, con gli organi ministeriali e degli altri enti pubblici; gli organismi rappresentativi della funzione docente; le modalità e le procedure per la valutazione e il controllo dell'attività dei docenti.
Ma vi è un ulteriore principio costituzionale che impone la disciplina legislativa degli aspetti testé menzionati: la riserva di legge in materia di organizzazione amministrativa di cui all'articolo 97 della Costituzione. Com'è noto, tale disposizione esige che le linee fondamentali dell'organizzazione
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della pubblica amministrazione siano disciplinate con legge. Ebbene, i predetti aspetti costituiscono una parte essenziale dell'organizzazione amministrativa di istituzioni pubbliche quali sono quelle scolastiche, per cui non potrebbero costituire oggetto di contrattazione collettiva. In tale senso, peraltro, sembra essersi mossa anche la più recente giurisprudenza costituzionale.
Infatti, a proposito della figura del docente tutor, quale prevista dal decreto legislativo n. 59 del 2004, a fronte delle tesi secondo cui le relative disposizioni del medesimo decreto legislativo (articolo 7, commi 5 e 6, e articolo 10, comma 5) costituivano violazione della riserva costituzionale di contrattazione sindacale, la Corte costituzionale ha affermato che «La definizione dei compiti e dell'impegno orario del personale docente, dipendente dallo Stato, rientra (...) nella competenza statale esclusiva di cui all'articolo 117 della Costituzione, secondo comma, lettera g), trattandosi di materia attinente al rapporto di lavoro del personale statale» (così al punto 6.1. della sentenza n. 279 del 2005). Analogamente, con riferimento alla disciplina dell'utilizzo del personale docente interessato a una diminuzione dell'orario di cattedra (articolo 14, comma 5, del decreto legislativo n. 59 del 2004), la Consulta ha ribadito che la regolamentazione dell'utilizzazione di personale docente statale «rientra senza alcun dubbio nella competenza esclusiva dello Stato di cui all'articolo 117 della Costituzione, secondo comma, lettera g) (organizzazione amministrativa dello Stato)».
In altri termini, anche nella giurisprudenza costituzionale trova conferma l'assunto per il quale la maggioranza degli aspetti in cui si sostanzia lo stato giuridico dei docenti scolastici rientra nella materia costituzionale dell'organizzazione amministrativa dello Stato, nella quale vige, ai sensi del combinato disposto degli articoli 97 e 117, secondo comma, lettera g), della Costituzione, il principio della riserva di legge dello Stato. Infatti, lo stato giuridico dei docenti, pur coinvolgendo - ovviamente - il lavoro dei medesimi, non può essere meramente ricondotto alla nozione di «rapporto di lavoro» e, dunque, rimesso (almeno parzialmente) alla contrattazione collettiva, ma costituisce le fondamenta su cui è edificato il servizio pubblico dell'istruzione.
Come accennato, anche le modalità e le procedure per la valutazione e il controllo dell'attività dei docenti rientrano nella esposta nozione di «stato giuridico» e, dunque, nell'ambito riservato al legislatore statale. In tale contesto il Parlamento potrebbe introdurre, andando a colmare un vuoto attualmente esistente nell'ordinamento, forme di valutazione e di responsabilità del docente, che dovrebbero essere improntate alla predeterminazione dei criteri della valutazione medesima (quale, ad esempio, il raggiungimento di obiettivi formativi predefiniti).
Partendo da questi presupposti, la proposta di legge in esame, tenuto conto anche del documento del 9 giugno 2004 elaborato in sede di Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN), sul quale le parti sociali di cui all'articolo 22 del contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto scuola hanno ritenuto di poter unanimemente convenire rispetto all'obiettivo, assunto dalla predetta norma contrattuale, di individuare meccanismi di carriera professionale per i docenti, definisce quanto segue:
1) uno stato giuridico essenziale che affermi i valori e i princìpi (a partire da quelli contenuti nella Costituzione) su cui fondare la professione dell'insegnante a tutti i livelli, in tutte le istituzioni scolastiche e formative;
2) una carriera, articolata in tre livelli (docente iniziale, ordinario ed esperto), fondata su modalità e su criteri di valutazione basati sul merito professionale (articolo 17), nonché un'articolazione del ruolo che garantisca alle istituzioni scolastiche e formative autonome professionalità e competenze adeguate, certificate, stabili e valutate (articolo 12);
3) l'istituzione della figura del «vicedirigente delle istituzioni scolastiche e formative»,
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quale ulteriore livello di carriera (articolo 18);
4) un organo di valutazione professionale (standard, prestigio, immagine, promozione eccetera), che sia la garanzia «dinamica» dello sviluppo della professione e che sappia escludere con i mezzi e con le tutele opportuni coloro che non possono essere definiti insegnanti (articolo 17);
5) un contratto snello, che intervenga sulle materie che gli sono proprie e quindi sui punti che non incidono sulle competenze professionali e sull'organizzazione della carriera: in particolare, orario, retribuzione, mobilità, nonché riconoscimento dell'autonomia contrattuale di una categoria di professionisti (area autonoma) (articolo 22).
In sostanza, la presente proposta di legge intende proporre una professione che sappia autogovernarsi per la qualità, l'autonomia e la piena responsabilità della funzione, definita come «primaria risorsa professionale della nazione».
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