Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge costituzionale, che riproduce il testo approvato dalla Commissione Affari costituzionali della Camera dei deputati nel corso della XV legislatura (atto camera n.553-A) e che reca modifiche alla seconda parte della Costituzione, va anzitutto collocata nel dibattito sull'adeguamento della Costituzione repubblicana, che vanta ormai una storia più che ventennale. Riconoscere la necessità dell'adeguamento, anche formale, della Carta, di cui è ricorso il sessantesimo anniversario dell'approvazione da parte dell'Assemblea costituente (avvenuta il 22 dicembre 1947), implica una duplice constatazione.
      Da un lato, infatti, ragionando di un adeguamento del testo costituzionale e non di una sua riforma radicale, si intende riconoscere la validità della Carta costituzionale dell'Italia post-bellica.
      D'altro lato, riconoscere l'esigenza di un adeguamento significa prendere atto che alcune scelte compiute oltre mezzo secolo fa dai padri costituenti in materia di ordinamento della Repubblica accusano l'usura del tempo e richiedono un aggiornamento. Certo, quest'ultimo ha continuamente luogo anche in forme diverse dalla modifica formale, in ragione dell'apertura del progetto costituzionale, percepibile non solo nei princìpi previsti nella prima parte, ma anche nell'essenziale profilo del governo parlamentare previsto nella seconda. Tuttavia, proprio per quanto attiene all'organizzazione costituzionale

 

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dello Stato, il lungo dibattito sulle riforme svoltosi dall'inizio degli anni ottanta ad oggi ha isolato alcuni punti di consenso, su due temi fra loro distinti, ma anche in un certo modo connessi.
      Se, infatti, si ripercorre il lungo cammino segnato dal «decalogo Spadolini» (1982), dal Comitato Riz-Bonifacio (VIII legislatura), dalla Commissione Bozzi (IX legislatura), dalla Commissione De Mita-Iotti (XI legislatura), dal Comitato Speroni (1994), dalla Commissione D'Alema (XIII legislatura), dalla riforma del titolo V nel 2001 e dal disegno di legge approvato dalle Camere nel 2005 e respinto dal corpo elettorale nel referendum confermativo del 2006, si individuano alcuni fili conduttori comuni, che attraversano progetti di riforma costituzionale pur molto diversi tra loro per vari aspetti.
      Tali fili conduttori attengono a due grandi questioni: da un lato l'esigenza di superare il bicameralismo paritario, individuando nel Senato una istanza di rappresentanza territoriale; dall'altro il rafforzamento del Presidente del Consiglio dei ministri all'interno del potere esecutivo. Certo, non si può negare che i vari progetti di revisione costituzionale sin qui succedutisi abbiano individuato soluzioni fra loro molto diverse ai problemi ora accennati. Né si può tacere che tali progetti si sono fra loro differenziati per il grado di incisività delle riforme che proponevano, o per la dimensione dello scostamento dall'ispirazione originaria della Costituzione. Tuttavia, pur fra queste differenze, si possono scorgere alcuni contenuti minimi comuni: ed è proprio su questi contenuti - sui quali si può forse ritenere che si sia formato un consenso «per intersezione» fra le varie forze politiche - che il presente testo tenta di intervenire.
      Il metodo seguito ha privilegiato l'adozione di interventi mirati e limitati, pur se dalla portata fortemente innovativa. Questa scelta caratterizza la presente proposta di legge costituzionale rispetto ai precedenti tentativi di realizzare una «grande riforma» onnicomprensiva. Il testo è perciò il frutto di un metodo pragmatico e graduale, che non impedisce affatto di affrontare, nei tempi e con il respiro necessario, le altre grandi questioni istituzionali che il Paese si trova dinanzi. Dall'esperienza delle precedenti legislature ci giunge una lezione precisa, che è stata anch'essa adottata quale metodo: occorre evitare di complicare ulteriormente il funzionamento di un sistema già oggi sin troppo complesso. Tutti gli interventi mirano quindi a semplificare e a snellire il funzionamento delle istituzioni, e questo ritengo debba essere il criterio fondamentale da adottare anche per migliorare e perfezionare il testo in esame, mirando altresì a conservare la sintesi e l'essenzialità che sono il pregio di un testo costituzionale.
      Il bicameralismo paritario, ben noto nel costituzionalismo meno recente, è stato via via abbandonato in gran parte degli ordinamenti liberaldemocratici, fino a costituire, oggi, una vera e propria rarità costituzionale. Esso, inoltre, se continua a sopravvivere nell'ordinamento statunitense e in quello elvetico, che sono caratterizzati dall'assenza del rapporto fiduciario fra esecutivo e legislativo, si rivela ancor più problematico laddove coinvolge non solo il procedimento legislativo, ma anche la formazione e la rimozione dei Governi: e ciò si verifica oggi solo nel regime parlamentare italiano, oltre che in quello (peraltro corretto con elementi di tipo semipresidenziale) in vigore in Romania sulla base della recente Costituzione del 1991. Anche il bicameralismo apparentemente paritario previsto nell'ordinamento canadese è poi stemperato da una serie di convenzioni costituzionali le quali da un lato escludono il Senato dal rapporto di fiducia e dall'altro fanno sì che la seconda Camera non insista sulle sue posizioni quando vi è un chiaro orientamento della Camera politica in una certa direzione.
      Le riforme costituzionali riguardano la funzionalità delle nostre istituzioni: i poteri e la funzionalità del Parlamento e del Governo. Il tema della riforma della Costituzione è ricorrente. Ormai da molte legislature, come detto, ci si pone il problema di una Costituzione che, pur avendo
 

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dimostrato la validità del suo impianto, legislatura dopo legislatura, ci appare come un testo antiquato rispetto alla necessità in politica di decisioni che oggi devono essere adottate rapidamente e figlio di un'Italia che era appena uscita da una guerra civile e da una lunga autocrazia. Ciò ha fatto sì che il Parlamento si sia interrogato a lungo su come intervenire. Ci sono stati molti tentativi: anzitutto da parte di molte Commissioni bicamerali; in seguito ci sono stati tentativi attraverso l'articolo 138 della Costituzione, con il lavoro della Commissione Affari costituzionali; infine si ricordano gli ultimi due tentativi di dare vita a riforme costituzionali, che avevano un senso perché rispondevano alla logica di un mandato elettorale ricevuto dalla maggioranza degli elettori, ma non sono riusciti a essere efficaci, nel primo caso, e, nel secondo caso, ad andare in porto a causa della mancanza di conferma attraverso il referendum popolare.
      Pertanto, il problema che ci si è posti è stato quello di trovare una strada che coinvolgesse non l'unanimità, ma una maggioranza quanto più ampia possibile, per introdurre riforme che potessero arrivare a compimento. Si è andati alla ricerca di tutti i punti di contatto tra le forze politiche, tra i gruppi parlamentari, tra le coalizioni. I punti di contatto ovviamente sono minori di quelli che dovrebbero essere gli interventi. Personalmente, ritengo che il Paese avrebbe bisogno di una grande riforma, affidata ad un'Assemblea costituente, penso che per cambiare radicalmente la Carta costituzionale ci sarebbe bisogno di un altro organismo, sganciato dalla quotidianità del confronto e del conflitto politico. Tuttavia chi, come me, vorrebbe una grande riforma attraverso un'Assemblea costituente, riconosce con pragmatismo che oggi non ci sono le condizioni per dar vita a un percorso del genere. Dovremmo porre in essere tutte le condizioni per riscrivere dal primo all'ultimo articolo la Costituzione, per superare la lentezza delle decisioni che, purtroppo, la nostra Costituzione prevede, per avere più democrazia diretta, per avere un sistema possibilmente presidenziale, dove chi è investito del mandato popolare possa decidere e poi rispondere dinanzi agli elettori. Per realizzare tutto ciò ci vorrebbero condizioni politiche che oggi non sussistono nel Parlamento.
      Pertanto, con un accordo pragmatico, importante, con la ricerca di tutti i «sì» che ci uniscono e mettendo da parte i «no» che ci dividono, è necessario cercare di varare una riforma costituzionale che modifichi i punti ricordati, in modo da rendere più moderno e più funzionale il nostro sistema. In sostanza, con questa proposta di legge costituzionale, si ricerca una mediazione possibile, non una mediazione al ribasso, ma una mediazione alta, su temi condivisi. Si tratta di un passo avanti, sicuramente positivo, timido per alcuni, come me, che vorrebbero molto di più in tema di riforme costituzionali, ma comunque possibile, anche se appunto timido.
      Analizziamo i punti importanti di questo provvedimento. Il primo è la riduzione del numero dei parlamentari, un tema che appartiene ai programmi elettorali sia del centrodestra sia del centrosinistra. Nel corso della XIV legislatura il centrodestra diede vita a una riforma che riduceva sensibilmente il numero dei parlamentari e che poi fu bocciata dal referendum popolare del 25 e 26 giugno 2006. Oggi si ripropone la riduzione del numero dei parlamentari. Si tratta di una riduzione importante, soprattutto in un momento in cui si critica tanto il ceto politico. Il Parlamento, credo, deve registrare le critiche, non tanto per il numero dei suoi componenti, quanto per la lentezza e l'incapacità, a volte, di prendere decisioni rapide a tutela degli interessi dei cittadini.
      Oggi in Italia vi sono 945 parlamentari eletti dal popolo in un sistema di bicameralismo perfetto. La riforma prevede che si scenda da 945 parlamentari a 500 deputati eletti direttamente (dunque quasi la metà), a cui si aggiungono i 12 deputati e i 6 senatori eletti nella circoscrizione Estero. Quindi avremo 518 parlamentari eletti direttamente, mentre i senatori saranno
 

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eletti con elezioni di secondo grado dai consigli regionali, o di terzo grado dai consigli delle autonomie. Si tratta di una riduzione importante e sensibile che ci porta ad essere all'avanguardia dal punto di vista numerico e, soprattutto, in rapporto con la popolazione, a livello internazionale e sicuramente a livello europeo, dove forse siamo tra i primi (se non i primi). È una risposta importante, concreta e condivisa, nella quale ho creduto e credo ancora.
      Vi è poi il superamento del bicameralismo perfetto, la cui logica aveva un senso molto importante negli anni in cui è stato scelto dai Padri costituenti. Nel momento in cui si usciva da anni in cui il Parlamento sostanzialmente non era chiamato a decidere, pensare a un meccanismo lungo di decisione, attraverso la cosiddetta «navetta» e il bicameralismo perfetto, significava allontanare, anzi impedire (così com'è accaduto), il ritorno dell'autocrazia. Il bicameralismo perfetto e i meccanismi previsti dalla Costituzione che allungano i tempi della decisione hanno ottenuto tale risultato e l'Italia, infatti, non ha corso e non corre più rischi. Oggi vi è un'altra esigenza: accelerare i tempi delle decisioni politiche, perché è ciò che chiedono i cittadini.
      Quando dai risultati dei sondaggi apprendiamo che gli elettori hanno voglia di un «uomo forte», in realtà si tratta di una risposta «di pancia» a un'esigenza diversa; i cittadini hanno voglia di decisioni immediate, prese da chi si assume la responsabilità di farlo, e guardano ad altri sistemi, quali quello francese, statunitense e tedesco, dove vi è maggiore capacità decisionale da parte di chi guida il Governo e maggiore rapidità da parte del Parlamento. Da noi, invece, mentre il sistema economico è caratterizzato dalla rapidità, vi è troppa lentezza nella decisione politica. Superare il bicameralismo perfetto significa, dunque, garantire un Governo in grado di ottenere risposte e coperture legislative dal Parlamento in tempi più brevi.
      Si è scelta la strada di una Camera «politica», la Camera dei deputati, formata da rappresentanti eletti direttamente, che dà e revoca la fiducia al Governo, e di una Camera «di rappresentanza», il Senato federale della Repubblica, introducendo il concetto di rappresentanza degli enti territoriali (regioni ed enti locali); infatti i senatori saranno eletti in parte dai consigli regionali con voto limitato, con la garanzia di una rappresentanza di maggioranza e di opposizione, e in parte dai consigli delle autonomie. In questo modo potremo avere una Camera dei deputati in grado di assumere decisioni politiche e un Senato federale in grado di rappresentare gli interessi delle regioni e degli enti locali che oggi hanno un ruolo molto più importante di quello che avevano quando fu scritta la Costituzione.
      Avremo, inoltre, un Senato con un equilibrio tra le due coalizioni e che, quindi, non dovrà sostenere prove «muscolari» per costruire delle maggioranze, ma rappresenterà le istanze di assemblee legislative importanti, quali sono quelle regionali, e di soggetti amministrativi e politici altrettanto importanti, come le province e, soprattutto, i comuni, che si trovano costantemente a dover fare i conti con le esigenze dei cittadini, in particolare sui grandi temi. Si pensi a come è cambiato il rapporto tra i comuni e la questione della sicurezza o del fisco negli ultimi anni, solo per citare due grandi temi che sembrano interessare maggiormente i cittadini in questo momento.
      Superare il bicameralismo perfetto significa prevedere materie di esclusiva competenza della Camera dei deputati e materie di competenza della Camera dei deputati e del Senato federale, qualora ci sia un interesse delle regioni su tali materie.
      Altro obiettivo della presente proposta di legge costituzionale è quello di rendere più funzionale l'attività del Governo. Oggi il rapporto tra Parlamento e Governo si è modificato, anche in relazione all'iniziativa legislativa. Si deve prendere atto che l'attività legislativa è svolta in gran parte dal Governo, attraverso decreti-legge inviati alle Camere per la conversione e attraverso
 

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disegni di legge volti a rispondere all'elettorato, in quanto rappresentano l'attuazione del programma di Governo annunciato agli elettori.
      Si deve prendere atto, inoltre, che oggi la nostra Costituzione materiale è ben diversa da quella scritta: mentre la Costituzione scritta descrive un sistema parlamentare, in sostanza vige un sistema di premierato. Le coalizioni si presentano alle elezioni con simboli all'interno dei quali sono indicati i nomi dei candidati premier, tuttavia, la Costituzione scritta prevede che è il Presidente della Repubblica a nominare il Presidente del Consiglio, che teoricamente potrebbe essere anche una persona diversa dal candidato premier grazie al quale la coalizione ha vinto le elezioni. Non si può far finta che tutto ciò non esista e non si può far finta di non sapere che oggi l'attività d'iniziativa legislativa è, di fatto, demandata al Governo. Se lo schieramento che vince le elezioni indica all'interno del proprio simbolo il nome del candidato premier e presenta agli elettori un programma sottoscritto da tutte le proprie componenti, è normale che il Governo abbia l'esigenza di sottoporre al Parlamento le iniziative legislative che rispondono a quel programma. Il Governo ha il dovere di farlo, perché così risponde al mandato popolare. Tuttavia, spesso si scontra con il Parlamento, il quale, constatando che l'iniziativa legislativa del Governo non è disciplinata dettagliatamente dalla Costituzione, la ritiene troppo pressante.
      Il Governo, pertanto, presenta al Parlamento numerosi disegni di legge rispetto ai quali non ha garanzie né sull'approvazione, né sui tempi d'esame. Dunque, si è pensato di attribuire al Governo più forza sui disegni di legge e meno forza sui decreti-legge. Da una parte, si vuole garantire al Governo e alla maggioranza il rispetto del proprio programma elettorale, con la possibilità, quindi, di presentare i disegni di legge in Parlamento e di avere una corsia preferenziale e tempi certi per la loro approvazione; dall'altra, si vuole togliere al Governo la «scusa» dell'urgenza per strozzare il dibattito parlamentare - come è accaduto tante volte, da una parte e dall'altra - con decreti-legge che si occupano di tutto lo scibile umano, che spesso non hanno alcunché di emergenziale, che non rispondono ai requisiti di necessità e di urgenza richiesti dalla Costituzione e che rappresentano l'unico strumento a disposizione del Governo per decidere velocemente.
      Si è cercato, quindi, di disciplinare costituzionalmente ciò che lentamente si è affermato nella Costituzione materiale. Si tratta di una piccola parte, e si sarebbe dovuto fare molto di più, ma in tal caso sarebbe difficile trovare un accordo. Ci si è fermati al testo in esame, in quanto è sempre meglio arrivare a un risultato, seppur apparentemente minimo, e iniziare a modernizzare il nostro sistema. In caso di approvazione della riforma proposta, infatti, tutte le forze politiche potrebbero accorgersi che un maggiore decisionismo da parte del Governo non è pericoloso, né per il Parlamento, né per il Paese, ma potrebbe essere utile per rendere più funzionale e più veloce il nostro sistema politico.
      La proposta di legge costituzionale prevede l'inserimento nella Costituzione di alcune disposizioni che sembrano superflue, ma che, in realtà, non lo sono. Laddove si stabilisce che il Presidente della Repubblica conferisce l'incarico «valutati i risultati delle elezioni», si va incontro al sistema di premierato sostanziale creatosi in Italia grazie all'evoluzione che i partiti, le coalizioni e l'elettorato hanno imposto con una democrazia diretta che passa attraverso le coalizioni e i simboli delle coalizioni, anziché attraverso la Costituzione. Dunque, siamo andati incontro a tale esigenza.
      Lo stesso accade laddove si prevede che il Presidente del Consiglio possa proporre la nomina e la revoca dei propri Ministri. Non è possibile, infatti, che il Presidente del Consiglio (frutto, di fatto, di un'elezione diretta) non sia in grado di revocare un proprio Ministro che decide di non rispondere più alla logica di coalizione e di Governo, ma sia costretto a ricorrere - come è accaduto, e gran parte di noi deputati lo ha vissuto - allo strumento della sfiducia parlamentare. Attualmente il
 

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Presidente del Consiglio, per sostituire un membro del proprio Governo, si deve affidare a un altro organo costituzionale e ad altri proponenti, non potendo firmare la mozione di sfiducia, come Presidente del Consiglio e membro del Governo: deve trovare il sostegno dei componenti di un altro organo costituzionale per revocare un membro del proprio Governo. Ciò diviene contraddittorio nel sistema che è risultato dall'evoluzione degli ultimi quindici anni.
      Ecco perché si prevede la nomina e la revoca dei Ministri da parte del Presidente del Consiglio, e si sta lavorando ancora, perché durante la XV legislatura la Commissione Affari costituzionali non ha concluso il lavoro sulla sfiducia costruttiva. La sfiducia costruttiva è un grandissimo tema, ma, se è vero che la Costituzione materiale ci ha portato verso una sorta di premierato e verso l'elezione diretta del premier, è anche vero che dobbiamo evitare che il Parlamento possa sfiduciare quanto, invece, ha votato la maggioranza dei cittadini. Dobbiamo trovare, quindi, formule di sfiducia costruttiva che preservino le stesse maggioranze, in caso vi siano problemi di rapporto tra la maggioranza e la persona del Presidente del Consiglio. Occorre, quindi, studiare un meccanismo in grado di garantire che la stessa maggioranza possa trovarsi anche a ricostruire un nuovo Governo, con un nuovo Presidente del Consiglio, evitando però che la sfiducia costruttiva sia un mezzo attraverso il quale si possano realizzare rivolgimenti politici, si possano creare maggioranze diverse e si possa dar vita a Governi che non hanno alcuna legittimazione popolare ed elettorale. Questo è il lavoro svolto.
      Infine, richiamo l'attenzione su un'altra modifica - in realtà, di natura formale - che si è introdotta, quella dell'articolo 126 della Costituzione. Si prevede, infatti, che si possa procedere, con decreto del Presidente della Repubblica, sentiti i Presidenti delle Camere, allo scioglimento di un consiglio regionale o alla rimozione del Presidente di una regione per gravi violazioni di legge o per ragioni di sicurezza nazionale. Si deve intervenire per trovare una norma di chiusura, che la Costituzione, nell'ultima riscrittura dell'articolo 126, ha perso per strada, e anche per individuare le modalità di nomina di uno o più commissari di garanzia, che portino le regioni alle elezioni, nel caso in cui si verifichi lo scioglimento del consiglio regionale.
      Concludendo, quindi, la presente proposta di legge costituzionale vuole consentire alle Camere l'approvazione di una riforma condivisa, che possa migliorare, modernizzare e rendere più veloci le nostre istituzioni.
      Per tale motivo auspico un costruttivo dibattito che coinvolga tutte le forze politiche per una celere approvazione della seguente proposta di legge costituzionale.

      Si illustrano ora le opzioni normative in cui questi orientamenti di fondo sono tradotti.

La revisione del sistema bicamerale.

      Il testo, pur ritenendo necessario conservare al nostro ordinamento i caratteri di un sistema bicamerale, ha inteso procedere nel senso di un deciso superamento dell'attuale bicameralismo paritario, differenziando le due Camere con riguardo al titolo di legittimazione, alla composizione, alle modalità di partecipazione al procedimento legislativo e alla sussistenza del rapporto fiduciario con il Governo.
      La trasformazione più profonda, come si dirà subito, riguarda il Senato della Repubblica, ma anche la Camera dei deputati è oggetto di rilevanti interventi modificativi, con particolare riguardo alla composizione.
      L'articolo 2 della presente proposta di legge costituzionale, novellando l'articolo 56 della Costituzione, incide infatti sul numero dei deputati, che viene ridotto da 630 a 500, oltre al numero dei deputati eletti nella circoscrizione Estero.
      Non viene modificata la disciplina dell'elettorato attivo, per il quale resta il «suffragio universale e diretto»; quanto all'elettorato passivo, l'età minima per essere eletti si abbassa invece dai 25 ai 18 anni.

 

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      Venendo al Senato della Repubblica, questo - come dispone l'articolo 1, che riscrive il primo comma dell'articolo 55 della Costituzione - muta il suo nome in «Senato federale della Repubblica». La nuova denominazione evidenzia la volontà di individuare nel Senato l'organo costituzionale che connota la scelta in senso federalista del progetto di riforma, e l'organo nel quale si intende realizzare il raccordo tra le potestà legislative e normative delle autonomie territoriali e dello Stato - enti costitutivi della Repubblica, ai sensi dell'articolo 114 della Costituzione - e la partecipazione del sistema politico regionale e locale alle funzioni «alte» dell'ordinamento costituzionale.
      Riflette con chiarezza questa scelta la composizione del Senato federale, come definita dall'articolo 3, che sostituisce integralmente l'articolo 57 della Costituzione. Suo carattere innovativo fondamentale è l'abbandono dell'elezione a suffragio universale e diretto (il successivo articolo 4 abroga in conseguenza l'articolo 58 della Costituzione) in favore dell'elezione di secondo grado ad opera delle assemblee elettive regionali e dei consigli delle autonomie locali. Di tali soggetti istituzionali, e delle relative comunità, il Senato federale diviene interprete nel procedimento di formazione delle leggi. Sono parallelamente ricondotte alla sola Camera dei deputati la rappresentanza politica generale nascente dalla diretta legittimazione popolare e la correlativa responsabilità che trova la sua espressione nel rapporto di fiducia.
      La maggior parte dei senatori è eletta da ciascun consiglio regionale, tra i propri componenti, con voto limitato al fine di garantire la rappresentanza delle minoranze. Le modalità di elezione saranno definite da una legge dello Stato.
      Il numero degli eletti in ciascuna regione varia in base alla popolazione, ma la natura dell'organo ha suggerito di abbandonare un criterio di stretta proporzionalità. In particolare, i consigli regionali eleggono:

          a) cinque senatori nelle regioni con popolazione sino a un milione di abitanti;

          b) sette senatori nelle regioni con più di un milione e fino a tre milioni di abitanti;

          c) nove senatori nelle regioni con più di tre milioni e fino a cinque milioni di abitanti;

          d) dieci senatori nelle regioni con più di cinque milioni e fino a sette milioni di abitanti;

          e) dodici senatori nelle regioni con più di sette milioni di abitanti.

      Nelle regioni Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste e Molise i rispettivi consigli regionali eleggono un solo senatore.
      Un'ulteriore quota di senatori (uno nelle regioni sino a un milione di abitanti; due nelle regioni con popolazione superiore, anche in questo caso con voto limitato) è eletta in rappresentanza delle autonomie locali. Sono eleggibili i componenti dei consigli dei comuni, delle province e delle città metropolitane; il corpo elettorale è invece individuato nel consiglio delle autonomie locali.
      Com'è noto, il consiglio delle autonomie locali è un organo di recente introduzione nell'ordinamento: esso è previsto dal quarto comma dell'articolo 123 della Costituzione, nel testo riformulato dalla legge di riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione, che lo definisce «organo di consultazione fra la Regione e gli enti locali» e ne rimette la disciplina ai singoli statuti regionali.
      Nelle regioni che hanno sin qui dato attuazione al disposto costituzionale la composizione di tale organo, pur sempre elettiva, presenta differenze anche sostanziali con riguardo al numero dei componenti, alla legittimazione elettorale attiva e passiva, alla presenza di «membri di diritto». Questo è del tutto naturale; quando però il consiglio sia chiamato a una funzione che esula da quella meramente consultiva, qual è l'elezione dei membri del Senato federale della Repubblica, è di tutta evidenza la necessità di introdurre criteri di omogeneità nella sua composizione, al fine di evitare che differenze

 

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troppo marcate incidano sulla rappresentatività dell'organo parlamentare. A tal fine, l'articolo 18 della presente proposta di legge costituzionale aggiunge un comma all'articolo 123 della Costituzione, rimettendo a una legge dello Stato la determinazione dei princìpi fondamentali per la formazione e la composizione dei consigli delle autonomie locali.
      Particolari disposizioni sono previste per la regione Trentino-Alto Adige/Südtirol. In questa regione sono i consigli delle province autonome di Trento e di Bolzano a eleggere, con voto limitato, due senatori per ciascuna provincia. Un ulteriore senatore per ciascuna provincia autonoma sarà eletto dai rispettivi consigli delle autonomie locali. Nella scorsa legisaltura durante l'esame dell'atto Camera n. 553 in Commissione Affari costituzionali si è discusso della conformità di tale soluzione con lo spirito della misura 111 del «pacchetto» in favore delle popolazioni altoatesine, ove si prevede che la definizione delle circoscrizioni elettorali per le elezioni del Senato favorisca la partecipazione al Parlamento dei rappresentanti dei gruppi linguistici italiano e tedesco della provincia autonoma di Bolzano, in proporzione alla consistenza dei gruppi stessi. La questione merita un approfondimento, che si ritiene possa aver luogo nel corso dell'esame della presente proposta di legge costituzionale.
      In ciascuna regione, tutti i senatori sono eletti entro trenta giorni dalla prima riunione del rispettivo consiglio regionale (o provinciale, per le province autonome di Trento e di Bolzano), successiva all'elezione.
      Ai sensi dell'articolo 60 della Costituzione, riformulato dall'articolo 5 della presente proposta di legge costituzionale, i senatori eletti in ciascuna regione o provincia autonoma restano in carica fino alla data della proclamazione dei nuovi senatori della medesima regione o provincia autonoma. A tale contestualità, connaturata alla composizione dell'organo, consegue che il Senato non ha più una durata predefinita ma è soggetto a rinnovi parziali, più o meno ampi, in occasione del rinnovo dei singoli consigli regionali o delle due province autonome.

La funzione legislativa dello Stato.

      La nuova configurazione del procedimento di formazione delle leggi dello Stato appare una necessaria risultante della già menzionata scelta di fondo in favore del superamento del bicameralismo paritario, operata dalla presente proposta di legge costituzionale attribuendo a un ramo del Parlamento la natura di Camera rappresentativa delle realtà territoriali, e all'altro ramo la titolarità del rapporto di fiducia con il Governo.
      L'obiettivo perseguito è quello di assicurare una significativa partecipazione del nuovo Senato federale a tutte le procedure legislative, rafforzando anzi il peso istituzionale delle sue deliberazioni nelle materie che più da vicino incidono sul rapporto Stato-autonomie territoriali, e mantenendo il suo ruolo paritario nell'adozione delle scelte «di sistema»; senza peraltro consentire che, nella restante attività legislativa, tale peso si trasformi in un veto non superabile, tale da paralizzare l'iter legislativo e impedire l'attuazione del programma sul quale il Presidente del Consiglio abbia ottenuto la fiducia della Camera.
      Contestualmente, si è cercato di semplificare e snellire il procedimento legislativo definendo, per quanto possibile, i tempi di esame e limitando le ipotesi di navette tra le due Camere.
      È risultato necessario, a tal fine, dare all'articolo 70 della Costituzione una formulazione più articolata dell'attuale, che oggi si limita a disporre che «la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere».
      Il nuovo articolo 70 - come novellato dall'articolo 7 della presente proposta di legge costituzionale - configura quattro distinti procedimenti legislativi:

          a) un procedimento che potrebbe definirsi «bicamerale paritario», nel quale, non diversamente da oggi, Camera e Senato federale esercitano collettivamente la funzione legislativa;

          b) un procedimento «bicamerale a prevalenza Camera», nel quale il testo

 

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approvato, in prima lettura, dalla Camera dei deputati può essere modificato dal Senato federale, ferma restando in capo alla Camera la deliberazione sul testo definitivo;

          c) un terzo procedimento, secondo il quale, dopo l'approvazione da parte della Camera dei deputati, se le modifiche approvate dal Senato riguardano le materie di cui all'articolo 118, commi secondo e terzo, o 119, commi terzo, quinto e sesto, la Camera può ulteriormente modificarle o respingerle solo a maggioranza assoluta dei propri componenti;

          d) un quarto procedimento, nel quale è invece riservato al Senato l'esame del progetto di legge in prima lettura, spettando comunque alla Camera l'approvazione definitiva.

      Il procedimento «bicamerale paritario», di cui al primo comma del nuovo articolo 70 della Costituzione, non presenta differenze rispetto a quello oggi in vigore (non a caso il nuovo testo conserva il termine «collettivamente», già presente nel vigente articolo 70). Esso richiede che i due rami del Parlamento esaminino, in successive letture, il progetto di legge e lo approvino nel medesimo testo.
      Tale procedimento trova peraltro applicazione solo per alcune categorie di provvedimenti. Si tratta quei progetti d legge che direttamente incidono sull'assetto costituzionale, o definiscono il quadro delle regole generali che presiedono ai rapporti tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica (regioni, province, comuni, città metropolitane: ai sensi dell'articolo 114 della Costituzione):

          a) le leggi costituzionali (per le quali resta ferma la procedura di cui all'articolo 138 della Costituzione, che richiede la doppia lettura da parte delle due Camere e consente il ricorso al referendum) e quelle in materia elettorale;

          b) le leggi che disciplinano:

              1) gli organi di governo e le funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane (il testo riprende qui il dettato dell'articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione);

              2) l'ordinamento di Roma, capitale della Repubblica (articolo 114, terzo comma, della Costituzione);

              3) l'attribuzione a regioni a statuto ordinario di forme e condizioni particolari di autonomia (articolo 116, terzo comma, della Costituzione);

              4) le procedure e l'esercizio del potere sostitutivo con riguardo alla partecipazione delle regioni alla «fase ascendente» e «discendente» del diritto comunitario e all'esecuzione degli accordi internazionali (articolo 117, comma quinto, della Costituzione), nonché il «potere estero» delle regioni (articolo 117, comma nono, della Costituzione);

              5) le procedure per l'esercizio (nel rispetto dei princìpi di sussidiarietà e di leale collaborazione) dei poteri sostitutivi del Governo nei confronti di regioni ed enti locali (articolo 120, secondo comma, della Costituzione);

              6) i princìpi fondamentali concernenti il sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della giunta regionale nonché dei consiglieri regionali (articolo 122, primo comma, della Costituzione);

              7) i princìpi fondamentali per la formazione e la composizione dei consigli delle autonomie locali (articolo 123, quinto comma, della Costituzione, introdotto dall'articolo 18 della presente proposa di legge costituzionale);

              8) il passaggio di province o comuni da una regione ad un'altra (articolo 132, secondo comma, della Costituzione), il mutamento delle circoscrizioni provinciali e l'istituzione di nuove province (articolo 133, primo comma, della Costituzione);

          c) le leggi che istituiscono e disciplinano le Autorità di garanzia e di vigilanza (che in questa sede, e per la prima volta,

 

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trovano un riconoscimento a livello costituzionale);

          d) le leggi in materia di tutela delle minoranze linguistiche.

      La generalità degli altri progetti di legge, ai sensi del riformulato terzo comma dell'articolo 70 della Costituzione, è invece esaminata e approvata in prima lettura dalla Camera dei deputati. Il Senato federale della Repubblica, al quale è trasmesso il testo approvato, su richiesta di un quinto dei suoi componenti può esaminarlo e (entro trenta giorni dalla trasmissione, termine ridotto alla metà per i disegni di legge di conversione di decreti-legge) può modificarlo.
      Spetta comunque alla Camera dei deputati pronunciarsi su tali modifiche in via definitiva.
      Se, tuttavia, le modifiche riguardano materie di precipuo interesse regionale, esse hanno un valore per dir così «rinforzato»: la Camera può infatti discostarsi da quanto il Senato federale ha deliberato solo votando a maggioranza assoluta dei propri componenti.
      Le materie su cui tale maggioranza qualificata è richiesta sono le seguenti:

          a) il conferimento di funzioni amministrative ai diversi livelli territoriali di governo (articolo 118, comma secondo, della Costituzione) e il coordinamento dell'attività amministrativa tra Stato e regioni in determinate materie (articolo 118, comma terzo, della Costituzione);

          b) l'istituzione di un fondo perequativo per i territori con minore capacità fiscale (articolo 119, comma terzo, della Costituzione);

          c) gli interventi speciali dello Stato in favore di determinati enti territoriali (articolo 119, comma quinto, della Costituzione);

          d) i princìpi generali di attribuzione del patrimonio a regioni ed enti locali (articolo 119, comma sesto, della Costituzione).

      Il secondo comma del nuovo articolo 70 della Costituzione individua una terza modalità di approvazione, riservata unicamente alle leggi che hanno lo scopo di determinare i princìpi fondamentali nelle materie rientranti nella competenza legislativa concorrente tra Stato e regioni ai sensi dell'articolo 117, terzo comma, della Costituzione.
      I relativi progetti di legge sono individuati dai Presidenti delle due Camere, d'intesa tra loro, per essere assegnati al Senato federale della Repubblica che, dunque, li esamina sempre in prima lettura.
      Il testo esaminato ed eventualmente emendato dal Senato federale è trasmesso, dopo l'approvazione, alla Camera dei deputati, alla quale spetta l'esame in seconda lettura e l'approvazione in via definitiva. La Camera può dunque certamente modificare il testo approvato dal Senato: ma qualsiasi emendamento dovrà in tal caso essere approvato a maggioranza assoluta dei componenti l'Assemblea.

La forma di Governo e i rapporti Governo-Parlamento.

      Gli articoli 14 e 15 della presente proposta di legge costituzionale intervengono rispettivamente sugli articoli 92 e 94 della Costituzione, che disciplinano la formazione del Governo e il rapporto di fiducia tra questo e il Parlamento. La finalità perseguita è duplice: valorizzare la posizione del Presidente del Consiglio - sia nell'ambito dell'esecutivo, sia nei rapporti con il Parlamento - e superare il bicameralismo perfetto che caratterizza anche la forma di governo parlamentare italiana, differenziando le due Camere sotto il profilo del rapporto fiduciario; ciò in correlazione con gli altri articoli della presente proposta di legge costituzionale, dei quali si è detto, che investono sia la composizione delle due Camere sia le modalità di esercizio della funzione legislativa.
      L'articolo 15 introduce nel secondo comma dell'articolo 92 della Costituzione due sostanziali novità.

 

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      La prima consiste nell'esplicito collegamento tra l'esercizio del potere di nomina del Presidente del Consiglio dei ministri da parte del Capo dello Stato e la volontà espressa dal corpo elettorale. Il testo novellato dispone infatti che la nomina abbia luogo «valutati i risultati delle elezioni per la Camera dei deputati».
      La formulazione adottata mira a evidenziare e rendere anche formalmente necessario tale collegamento senza, tuttavia, intaccare le prerogative costituzionali del Capo dello Stato né ridurre la flessibilità necessaria in un così delicato passaggio istituzionale.
      Il secondo fattore di novità consiste nel conferimento al Presidente del Consiglio dei ministri del potere di proporre al Capo dello Stato la revoca - oltre che la nomina - dei ministri.
      Il testo non pone limiti espliciti a tale potere: ne consegue il chiaro riconoscimento al Presidente del Consiglio della facoltà di proporre la sostituzione di uno o più ministri non solo quando lo impongano esigenze esterne, ma in ogni caso in cui questi valuti necessario od opportuno un avvicendamento.
      La riscrittura dell'articolo 94 della Costituzione operata dall'articolo 15 della presente proposta di legge costituzionale introduce anch'essa due elementi di novità:

          a) la fiducia è accordata non più al Governo, bensì al Presidente del Consiglio dei ministri, che presenta il suo Governo alla Camera;

          b) la fiducia è accordata o revocata non più da entrambe le Camere, bensì dalla sola Camera dei deputati; è dunque solo con quest'ultima che intercorre il rapporto fiduciario.

      Il primo elemento innovativo, al pari del descritto potere di revoca dei ministri, ha la finalità di rafforzare la posizione del Presidente del Consiglio sia nell'ambito della compagine governativa sia nel rapporto con le forze politiche che lo sostengono; il secondo elemento di novità ha l'effetto di escludere il Senato federale dal rapporto di fiducia, coerentemente con la sua nuova composizione che ne fa la sede parlamentare di rappresentanza delle autonomie territoriali.
      Un'ulteriore modifica è apportata alla disciplina della mozione di sfiducia, di cui al quinto comma dell'articolo 94 della Costituzione: essa deve essere firmata da almeno un terzo - e non più un decimo - dei componenti della Camera dei deputati e deve essere approvata a maggioranza assoluta dei suoi componenti. Anche tale modifica mira a rafforzare la stabilità dell'esecutivo.
      A rafforzare la posizione del Governo in Parlamento, onde consentirgli una più efficiente attuazione del suo programma, è finalizzato anche l'articolo 8 della presente proposta di legge costituzionale, che aggiungendo un comma all'articolo 72 della Costituzione consente al Governo di chiedere che un disegno di legge sia iscritto con priorità all'ordine del giorno e sia votato entro una data determinata.
      I limiti e le modalità di esercizio di tale prerogativa sono peraltro rimessi ai regolamenti delle due Camere, alle quali è garantito in ogni caso il tempo necessario a consentire un adeguato esame del disegno di legge.
      Altre disposizioni introducono ulteriori strumenti di garanzia a favore dell'istituzione parlamentare, limitando o sottoponendo a controllo l'esercizio del potere legislativo da parte del Governo nelle due ipotesi in cui la Costituzione lo consente: la delegazione legislativa e la decretazione d'urgenza.
      Quanto alla prima, l'articolo 10 della presente proposta di legge costituzionale aggiunge un comma all'articolo 76 della Costituzione, disponendo che tutti gli schemi di decreti legislativi predisposti dal Governo siano trasmessi alle Camere per essere sottoposti al parere delle Commissioni parlamentari competenti; è in tal modo generalizzato e costituzionalizzato un obbligo oggi previsto solo in alcuni casi dalle leggi di delega.
      Quanto alla seconda, l'articolo 11 riformula l'articolo 77 della Costituzione introducendo espliciti limiti di contenuto al potere del Governo di adottare decreti-

 

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legge. In particolare, non è possibile con tale strumento:

          a) rinnovare disposizioni di decreti non convertiti in legge;

          b) ripristinare l'efficacia di disposizioni dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale;

          c) conferire deleghe legislative;

          d) attribuire poteri regolamentari in materie già disciplinate con legge.

      Sono in tal modo elevati a rango di norma costituzionale anche alcuni limiti alla decretazione d'urgenza già presenti nell'ordinamento (all'articolo 15 della legge n. 400 del 1988), ma troppo facilmente derogabili in quanto disposti con legge ordinaria.

Il Presidente della Repubblica.

      Tra le varie modifiche apportate dall'articolo 13 della presente proposta di legge costituzionale al titolo II della parte seconda della Costituzione, che tratta la figura del Presidente della Repubblica, alcune - pur rilevanti - rispondono a esigenze di coordinamento. Ci si riferisce principalmente:

          a) all'abrogazione del secondo comma dell'articolo 83 della Costituzione, che prevede l'integrazione del Parlamento in seduta comune con delegati regionali in occasione dell'elezione del Capo dello Stato. La presenza di tali delegati non appare più necessaria in presenza di un Senato federale i cui componenti sono la diretta espressione delle assemblee elettive regionali e delle rappresentanze locali;

          b) all'attribuzione al Presidente della Camera dei deputati delle funzioni di supplenza in caso di temporaneo impedimento del Capo dello Stato (articolo 86 della Costituzione);

          c) all'esercizio del potere di scioglimento (articolo 88 della Costituzione), che è limitato alla sola Camera dei deputati.

      Costituisce invece una sostanziale, ulteriore novità la modifica apportata all'articolo 84 della Costituzione, in virtù della quale l'età minima che (insieme alla cittadinanza e al godimento dei diritti civili e politici) costituisce il solo requisito per l'elezione alla carica di Presidente della Repubblica è abbassata dagli attuali cinquanta a quaranta anni.

Le disposizioni di coordinamento e la disciplina transitoria.

      Gli articoli 6, 9, 12, 16, 17, 19 e 20 recano tutte disposizioni necessarie al coordinamento tra le modifiche apportate dalla presente proposta di legge costituzionale e le restanti parti del testo costituzionale.
      Va in particolare segnalato l'articolo 19, che modifica il primo comma dell'articolo 126 della Costituzione, relativo allo scioglimento dei consigli regionali e alla rimozione dei Presidenti delle giunte regionali per atti contrari alla Costituzione, per gravi violazioni di legge, o per ragioni di sicurezza pubblica. Il testo vigente richiede che il decreto motivato di scioglimento sia adottato dal Presidente della Repubblica «sentita una Commissione di deputati e senatori costituita, per le questioni regionali, nei modi stabiliti con legge della Repubblica». Tenuto conto della composizione del Senato federale, in cui le istanze regionali trovano diretta espressione, la previsione costituzionale di tale Commissione - si tratta della Commissione parlamentare per le questioni regionali - è apparsa superflua; si prevede pertanto che il parere sia reso dai Presidenti delle due Camere.
      Gli ultimi due articoli della presente proposta di legge costituzionale recano la disciplina transitoria necessaria per condurre a regime la riforma costituzionale. Tale disciplina dovrà naturalmente essere adeguata in relazione alle eventuali ulteriori modifiche che si riterrà opportuno apportare al testo.
      L'articolo 21, al comma 1, prevede che le disposizioni introdotte dalla riforma

 

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trovino applicazione a decorrere dalla legislatura successiva a quella in corso, «e con riferimento alle relative elezioni delle due Camere». Quest'ultimo inciso mira a chiarire che, sin dall'entrata in vigore della legge costituzionale, dovranno tempestivamente predisporsi gli strumenti legislativi necessari alla sua successiva operatività, con particolare riguardo:

          a) alle modifiche della disciplina per l'elezione della Camera dei deputati necessarie per tener conto della riduzione del numero dei deputati e dell'abbassamento della soglia dell'età per l'attribuzione dell'elettorato passivo;

          b) all'adozione della legge statale che detti le modalità di elezione del Senato federale della Repubblica;

          c) all'adozione della legge dello Stato e della successiva disciplina regionale atta a definire le nuove modalità di formazione e composizione dei consigli delle autonomie locali.

      La disciplina elettorale dovrà essere approvata - secondo quanto dispone il comma 3 dell'articolo - entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge di riforma.
      Il comma 2 disciplina la prima elezione del Senato federale della Repubblica: questa avrà luogo contestualmente all'elezione della Camera dei deputati (anch'essa nella nuova composizione) al termine della corrente legislatura, ad opera dei consigli regionali in carica. Nelle regioni i cui consigli risultassero sciolti a tale data, l'elezione sarebbe differita per essere effettuata dal consiglio neoeletto. I senatori così eletti resteranno in carica sino al rinnovo dei rispettivi consigli regionali.
      I consigli delle autonomie locali, precisa infine il secondo periodo del comma 3, provvederanno a eleggere i senatori di propria competenza solo quando saranno ricostituiti in conformità ai princìpi uniformi di composizione definiti con legge dello Stato; sino ad allora, anche l'elezione di tali senatori sarà effettuata dai consigli regionali.
      L'articolo 22 reca una «clausola di salvaguardia» per le regioni a statuto speciale, la cui formulazione è del tutto simile a quella di cui all'articolo 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, di revisione del titolo V della parte seconda della Costituzione. Essa prevede che, sino all'adeguamento dei rispettivi statuti di autonomia (da effettuare con legge costituzionale), le disposizioni introdotte dalla presente proposta di legge costituzionale si applichino anche alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite.

 

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