Onorevoli Colleghi! - Sono sempre più numerosi i lavoratori ad alta qualificazione che sono allontanati dalle aziende alla soglia dei 50 anni di età.
L'Italia è molto al di sopra della media europea riguardo alla non occupazione degli ultracinquantenni. Ne sono una dimostrazione i dati Eurostat: nella fascia più anziana della popolazione attiva (55-64 anni) l'Italia mantiene tassi di inattività, sia maschile che femminile, tra i più elevati dei Paesi dell'Unione europea. Il 32,3 per cento degli uomini tra i 55 e i 64 anni lavora, a fronte di una media del 46,9 per cento (fonte Eurostat).
Il caso italiano è quindi particolarmente allarmante: tende ad espellere i meno giovani dai circuiti professionali, senza tuttavia garantire loro idonee opportunità di reingresso.
Se prima tale fenomeno si poteva spiegare con l'anomalia tutta italiana delle pensioni di anzianità, con la riforma delle pensioni anche questa motivazione, in alcuni casi riconducibile a una sorta di ammortizzatore sociale, è caduta e il mercato del lavoro ancora non si è adeguato.
In Italia la permanenza nel mondo del lavoro risulta comunque pressoché costante, perché se da una parte si è allungata l'età di entrata, si è contemporaneamente spostato in avanti il requisito anagrafico per andare in pensione.
L'Italia è oggi il Paese tra quelli facenti parte dell'Unione europea che presenta la maggiore aspettativa di vita insieme alla Svezia, con gli 80 anni di età media tra uomini e donne. In totale contrapposizione a questo dato si pone quello secondo cui gli italiani escono molto presto dal
a) salvaguardare il posto di lavoro dei lavoratori ultracinquantenni, con appositi incentivi alle imprese;
b) rendere meno gravoso, sul piano economico, il periodo di disoccupazione per la categoria dei lavoratori ad alta qualificazione;
c) collegare le forme di sostegno al reddito con la formazione e la ricerca di nuova occupazione (welfare to work);
d) garantire la parità di accesso al lavoro per i lavoratori ultracinquantenni espulsi attraverso un inasprimento del sistema sanzionatorio relativo al principio di discriminazione per età;
e) favorire le piccole imprese nel dotarsi di competenze manageriali per sviluppare la competitività e crescere sul piano dimensionale;
f) consentire a chi ha perso un'occupazione dipendente e lavora come collaboratore, ma si trova a breve distanza di tempo dal raggiungimento del diritto alla pensione, di perfezionare tale diritto con i versamenti volontari;
g) incentivare l'autoimprenditorialità dei lavoratori maturi espulsi.
Più in dettaglio, l'articolo 1 indica le finalità della presente proposta di legge e i soggetti destinatari dei benefìci in essa contenuti.
All'articolo 2 sono indicati i soggetti destinatari delle norme contenute nella legge.
L'articolo 3 introduce alcune misure per la salvaguardia del posto di lavoro dei lavoratori anziani. Il comma 1 pone il principio della formazione dei lavoratori lungo tutto l'arco della vita lavorativa, al fine di assicurare che gli ultracinquantenni abbiano sempre una preparazione e una competenza professionali adeguate e aggiornate sul piano tecnologico, normativo, settoriale eccetera.
La seconda misura introduce una forma di decontribuzione per le imprese che occupano lavoratori maturi. Si tratta di uno sgravio del 50 per cento della contribuzione limitato a due anni.
Infine, si prevede un contributo pubblico finalizzato a rimborsare alle aziende le spese relative all'attuazione di forme di tutoraggio rivolto a nuovi occupati, da parte dei lavoratori con anzianità lavorativa. Con tale misura si intende rafforzare il patto intergenerazionale tra lavoratori all'interno delle aziende, promuovendo il concetto che i lavoratori maturi sono detentori di un sapere e di una esperienza che vanno valorizzati ai fini della formazione dei giovani occupati.
All'articolo 4, in armonia con le conclusioni dell'indagine conoscitiva svolta nella XIV legislatura dalla Commissione Lavoro del Senato della Repubblica (che aveva suggerito per i dirigenti il ricorso a forme di sostegno al reddito), si prevede l'attribuzione ai dirigenti disoccupati, per l'appunto, di una nuova forma di sostegno al reddito, integrativa dell'indennità di disoccupazione già spettante e collegata alla riqualificazione del dirigente disoccupato, tramite appositi corsi di formazione tesi a consentire un rapido reinserimento nel mondo del lavoro.
Il finanziamento ha luogo tramite l'utilizzazione parziale del gettito del citato contributo dello 0,30 per cento versato dalle imprese a titolo di mobilità (articolo 16, comma 2, lettera a), della legge 23 luglio 1991, n. 223).
Non si tratterebbe di assistenzialismo, quindi, ma di uno strumento bilaterale «proattivo» perché consentirebbe di ridurre il più possibile il mantenimento del periodo di disoccupazione del dirigente interessato.
L'articolo 5 introduce misure per il reingresso dei dirigenti ultracinquantenni espulsi dal mercato del lavoro.
Innanzitutto, è stabilito il principio che le imprese attivino sempre la procedura dell'outplacement per il reimpiego dei manager ultracinquantenni e si rinvia alla contrattazione collettiva la ripartizione dei costi tra azienda e lavoratore.
In secondo luogo, è riconosciuto un credito d'imposta pari a 300 euro al mese per due anni alle imprese che assumono lavoratori ultracinquantenni con qualifica dirigenziale. Il beneficio è aumentato fino a 400 euro per le imprese operanti nelle aree di cui all'articolo 5 del regolamento (CE) n. 1083/2006 del Consiglio, dell'11 luglio 2006, per ventiquattro mesi.
L'articolo 6 ripropone una norma già contenuta nella legge delega sulla riforma del sistema previdenziale (legge 23 agosto 2004,