Onorevoli Colleghi! - Si stima che ogni anno in Italia circa 150.000 nuovi pazienti oncologici abbiano bisogno di cure palliative. Secondo ricerche recenti, il 12 per cento vive da solo e l'80 per cento ha più di sessantacinque anni di età. Il carico assistenziale ricade sui familiari, in particolare sulle donne: assistenti di sesso femminile gestiscono l'80 per cento dei pazienti maschi e il 55 per cento delle pazienti femmine. Considerando anche le altre malattie cronico-degenerative, la stima della Società italiana di cure palliative (SICP) è di 250.000 utenti potenziali ogni anno, di cui 11.000 minorenni. Sembra, però, che il 70 per cento dei malati terminali non goda di adeguate cure anti-dolore; ciò colloca il nostro Paese tra i peggiori in Europa nella diffusione della cultura della riduzione del dolore, anche al fine di garantire una migliore qualità di vita per i pazienti terminali durante gli ultimi mesi di vita, sebbene tra i 46 centri di eccellenza per le cure palliative riconosciuti in ambito europeo, otto siano italiani.

 

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      La condizione di un malato terminale dieci anni fa non è quella di oggi. Il grande problema del malato terminale è che non siamo di fronte a una categoria uniforme, ma che ne esistono vari tipi. Il malato terminale può essere un malato inguaribile e il cui destino si compie in poche ore o in pochi giorni, ma può anche essere un malato affetto da neoplasia in stato avanzato che può vivere alcuni mesi, o può essere, ancora, un paziente in coma prolungato.
      La linea di comportamento nei riguardi del malato terminale o con dolore cronico dovrà dunque ispirarsi al rispetto della vita e della dignità della persona; dovrà perseguire lo scopo di rendere disponibile la terapia del dolore.
      Purtroppo sono pochissimi i pazienti con malattie terminali che ricevono cure palliative; inoltre alcuni gruppi di popolazione, particolarmente gli anziani, non ricevono il supporto dei servizi locali per quanto attiene tale tipologia di terapia.
      Sebbene i pazienti tumorali, negli ultimi mesi di vita, abbiano sintomi più numerosi e una maggior presenza di sintomi fastidiosi (in particolar modo il dolore), alcune indagini scientifiche hanno dimostrato che anche i pazienti che muoiono per malattie diverse dalle neoplasie necessitano di un controllo dei sintomi e del dolore.
      Poiché le patologie oncologica e degenerativa progressiva presentano stati diversi, la relativa domanda di assistenza di ciascun paziente tende a differenziarsi in maniera sostanziale a seconda del proprio livello di sofferenza e delle personali esigenze di carattere assistenziale, sociale e di vita, pertanto l'offerta di prestazioni da parte del Servizio sanitario nazionale deve essere in grado di rispondere a tali variabili.
      L'attenzione alla qualità della vita del malato terminale deve indurre ad una messa a punto di interventi e di servizi di carattere assistenziale che va oltre il concetto tradizionale di «cura». Oggi l'obiettivo è un concetto di salute ampio e articolato, nel quale è riservata grande attenzione non solo alla pura prospettiva diagnostico-terapeutica, ma anche a tutti quegli aspetti di carattere clinico, sociale, psicologico e relazionale che finiscono per avere indubbi benefìci e ricadute positive sia per il paziente che per la sua famiglia.
      Appare chiaro, quindi, che è necessaria non soltanto la promozione di specifiche strutture di assistenza residenziale con personale, strumenti e professionalità specifici nella terapia del dolore, ma anche una maggiore offerta di servizi e di prestazioni di assistenza domiciliare così da permettere al malato piena libertà di scelta.
      Uno studio americano, noto come «Support», riguardante il processo decisionale negli ultimi giorni di vita, ha messo in evidenza che, negli ultimi tre giorni di vita, i due quinti dei pazienti soffrono di dolore intenso almeno per la metà del tempo, a prescindere dalla patologia dalla quale sono affetti, e oltre un quarto di questi presenta dispnea di grado da moderato a grave. In due terzi dei casi, i familiari hanno riferito che i pazienti avevano difficoltà a tollerare i problemi fisici ed emozionali.
      L'obiettivo della medicina palliativa non è quello di «guarire», ma di «prendersi cura», migliorando la qualità della vita residua e assicurando una morte dignitosa. La medicina palliativa dunque introduce elementi di umanizzazione nell'assistenza sanitaria e segna l'inizio di un percorso volto a riportare il paziente al centro dell'intervento medico.
      L'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) afferma che «le cure palliative migliorano la qualità della vita dei malati e delle loro famiglie che si trovano ad affrontare problemi connessi a malattie a rischio per la vita, attraverso la prevenzione e il sollievo della sofferenza, per mezzo della valutazione e del trattamento del dolore e degli altri problemi fisici, psico-sociali, spirituali». Nel Piano sanitario nazionale 2003-2005 era già contenuta la necessità di rafforzare e di realizzare in toto la rete nazionale di cure palliative.
 

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      Nel Piano oncologico nazionale 2006-2008 si parla di miglioramento dell'assistenza ai pazienti oncologici, nel senso di individuare i loro bisogni, attraverso:

          a) l'ottimizzazione dei percorsi di cura e di assistenza con un'adeguata organizzazione della rete. Tra le azioni prioritarie vi è la necessità di caratterizzare i processi nelle fasi di cura attiva, riabilitativa e palliativa, in particolare per quanto riguarda l'intervento territoriale, domiciliare e residenziale;

          b) lo sviluppo di cure palliative;

          c) lo sviluppo della terapia del dolore;

          d) il riconoscimento della riabilitazione oncologica.

      Ogni regione italiana ha provveduto a definire la programmazione della rete di cure palliative, ma le modalità applicative si differenziano tra loro. Molte hanno elaborato programmi regionali specifici per le cure palliative (soprattutto in conseguenza del decreto-legge 28 dicembre 1998, n. 450, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1999, n. 39, e della necessità di elaborare il programma regionale per le cure palliative finalizzato all'accesso ai finanziamenti previsti per la realizzazione dei centri residenziali di cure palliative o hospice). Altre hanno inserito lo sviluppo delle cure palliative all'interno del più vasto programma di riorganizzazione della rete di interventi domiciliaci sanitari, socio-sanitari e assistenziali (rete per la cura e l'assistenza domiciliari).
      I dati della pubblicazione «Hospice in Italia 2006: prima rilevazione ufficiale», effettuata dalla Società italiana cure palliative in partnership con la Fondazione Isabella Seragnoli e la Fondazione Floriani, pubblicati a novembre 2007, evidenziano che l'applicazione e la diffusione delle cure palliative sono ancora poco sviluppate nel nostro Paese rispetto alla richiesta ufficiale. Si calcola infatti che a tutt'oggi ci siano circa 114 hospice attivi, strutture residenziali di degenza, con una maggiore concentrazione nel centro-nord, che rispecchiano circa un terzo del fabbisogno stimato, a cui si aggiunge la quasi assenza delle cure palliative delle unità domiciliari.
      Inoltre, particolare attenzione deve essere rivolta al progetto «Ospedale senza dolore», nato dall'accordo approvato in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, il 24 maggio 2001 (di cui al provvedimento pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 149 del 29 giugno 2001), con l'obiettivo di cambiare l'approccio degli operatori sanitari e dei cittadini nei confronti di un fenomeno spesso sottovalutato e, come già rilevato, considerato «fatale».
      Per la realizzazione del progetto è previsto che in ogni azienda sanitaria si costituisca il comitato «Ospedale senza dolore», con il compito di assicurare un osservatorio specifico del dolore nelle strutture sanitarie, in particolare ospedaliere, di coordinare la formazione continua del personale medico e infermieristico, di promuovere gli interventi necessari per la disponibilità dei farmaci di derivazione oppiacea e di dare impulso all'applicazione di protocolli di valutazione e trattamento del dolore con l'obiettivo di estendere la cura agli ammalati affetti da dolore di qualsiasi origine (dolore post operatorio, neoplastico e cronico).
      Risulta, quindi, necessaria l'elaborazione di un modello assistenziale di cure palliative flessibile e articolabile in base alle differenti necessità regionali, ma garantendo comunque su tutto il territorio una risposta ottimale ai bisogni della popolazione, sia per i malati sia per le loro famiglie che si trovano ad affrontare tale realtà.
      La rete deve essere composta da un sistema di offerta nel quale la persona malata e la sua famiglia possano essere guidate e coadiuvate nel percorso assistenziale tra il proprio domicilio, sede di intervento privilegiata, in genere preferita

 

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dal malato e dal nucleo familiare, e le strutture di degenza, denominate hospice, specificamente dedicate al ricovero e al soggiorno dei malati non assistibili presso la loro abitazione.
      La rete sanitaria e socio-sanitaria dovrà essere strettamente integrata con quella socio-assistenziale al fine di offrire un approccio completo alle esigenze della persona malata.
      Si rende, quindi, necessario un intervento normativo che abbia come obiettivo fondamentale il diritto di accesso alla rete di cure palliative da parte del malato in fase terminale e del malato affetto da patologie degenerative progressive.
 

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