Onorevoli Colleghi! - Il decreto-legge n. 233 del 2006, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 248 del 2006 (cosiddetta «legge Bersani»), all'articolo 2, lettera a), ha abrogato le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono, con riferimento alle attività libero-professionali e intellettuali, «l'obbligatorietà di tariffe fisse o minime ovvero il divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti», abolendo in sostanza le tariffe minime (non anche le massime) e introducendo il «patto di quota lite».
      Come è noto, la «legge Bersani» è stata propagandata mediaticamente dagli esponenti del Partito democratico come provvedimento di liberalizzazione a tutela dei consumatori e dei giovani professionisti, ma in pratica nel suo primo periodo di applicazione, certamente nella parte che riguarda le professioni intellettuali (e segnatamente la professione legale), si è rivelata inidonea rispetto ad entrambi gli obiettivi suddetti.
      Invero, l'eliminazione dei cosiddetti «minimi di tariffa» e la contestuale introduzione del «patto di quota lite» hanno determinato un grave danno (non solo qualitativo, ma anche economico) per il consumatore (intendendosi per tale la persona fisica) il quale oggi, nel momento in cui rappresenta al professionista la sua necessità di difesa e consulenza, viene

 

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chiamato a sottoscrivere un patto in virtù del quale, spesso e volentieri, gli viene richiesto un compenso di gran lunga superiore a quello che avrebbe dovuto corrispondere in vigenza delle tariffe minime. Ciò con immaginabili conseguenze anche di ordine fiscale, se è vero, come è vero, che le maggiori sacche di evasione si riscontrano tra i professionisti che lavorano con clienti privati diversi da imprese e società.
      Al contrario, i grandi gruppi bancari e assicurativi, già dotati di ampio potere contrattuale rispetto ai professionisti, hanno potuto giovarsi del nodo scorsoio fornito loro dalla «legge Bersani» riducendo i costi per spese legali, a volte fino al 50 per cento. Risultato simile a quello verificatosi in Olanda, ove - come si legge nel rapporto redatto dalla Commissione ministeriale Hammerstein - la liberalizzazione delle tariffe professionali nei servizi legali ha portato all'abbassamento delle tariffe massime (in genere collegate a prestazioni professionali per grandi affari) e all'innalzamento delle tariffe minime, rispetto alle quali la piccola clientela privata (che è poi la maggioranza) ha scarso potere contrattuale nei confronti dei professionista.
      Infine, va rilevato che proprio a quel livello europeo tanto spesso richiamato dai sostenitori ante litteram delle liberalizzazioni più sfrenate, nella sentenza «Arduino» del 19 febbraio 2002, nella causa C-35/99, la Corte di giustizia delle Comunità europee ebbe a stabilire che gli articoli 5 e 85 del Trattato istitutivo della Comunità europea (ora articoli 10 e 81) non ostano all'adozione da parte di uno Stato membro di una misura legislativa o regolamentare che approvi, sulla base di un progetto stabilito da un ordine professionale, una tariffa che fissa dei minimi e dei massimi per gli onorari dei membri dell'ordine, qualora tale misura statale sia adottata nell'interesse generale, nell'ambito di un procedimento approvato dal Ministero vigilante.
      D'altro canto, essendo rimasti invariati i criteri di accesso alle professioni e soprattutto le condizioni di accesso al mondo del lavoro, i giovani professionisti non hanno avuto alcun vantaggio ma, al contrario, sono stati le principali vittime della crisi economica che ha colpito la categoria dei liberi professionisti, costretti a ridurre i costi, anche nell'ambito degli studi più affermati.
      Può pertanto legittimamente dirsi senza tema di smentita che la riforma Bersani, mascherata da liberalizzazione, si è tradotta (in particolare nella parte relativa alle tariffe professionali) in un vero e proprio regalo ai grandi gruppi bancari ed assicurativi, i quali dall'azione del Governo Prodi hanno tratto enormi vantaggi a scapito principalmente dei consumatori, dei giovani e dei lavoratori autonomi.
      Per quanto concerne le società professionali, la direttiva 2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio europeo, del 7 settembre 2005, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, al considerando 43, ultima parte, chiarisce che l'esercizio della professione negli Stati membri può essere oggetto di specifici limiti legali sulla base della legislazione nazionale e delle disposizioni di legge stabilite autonomamente dai rispettivi organismi professionali, salvaguardando e sviluppando la loro professionalità, la qualità del servizio e la riservatezza dei rapporti con i clienti.
      L'Alta Corte di Lussemburgo, da parte sua, nella sentenza «Wouters» del 18 febbraio 2002, nella causa C-309/99, relativa ad una legge nazionale olandese limitativa dell'associazionismo tra avvocati e commercialisti, ha sancito che gli articoli 2 e 59 del Trattato istitutivo della Comunità europea (ora articoli 43 e 49) non ostano a una normativa nazionale che vieta qualsiasi rapporto di collaborazione integrata tra gli avvocati e altri professionisti, in quanto tale normativa può essere legittimamente considerata necessaria al buon esercizio della professione di avvocato nel Paese interessato.
      Queste considerazioni valgono egualmente e, a maggior ragione, per i notai che, titolari di una pubblica funzione, hanno una specificità tale da doverne garantire al massimo la terzietà e la posizione super partes, certamente messe in
 

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forse da accordi associativi con singoli professionisti.
      La presente proposta mira ad attenuare alcuni dei guasti causati dalla «legge Bersani», pur recependone gli aspetti positivi. E così, lungi dal reintrodurre tout court l'obbligatorietà delle tariffe professionali, si limita a ripristinarla soltanto per le prestazioni cosiddette «imposte» per legge, cioè effettuate nell'esercizio di attività «riservate» (si pensi alla difesa in giudizio, alla funzione pubblica), affiancandole alle prestazioni mediche e alle gare di appalto già escluse dalla «liberalizzazione» attuata dalla «legge Bersani».
      Si dà così certezza anche interpretativa a quest'ultima, sui cui limiti e portata non pochi dubbi sono stati sollevati in passato proprio a proposito della sua applicabilità alle attività «riservate».
 

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