Onorevoli Colleghi! - Manca ancora, purtroppo, una soluzione equa e soddisfacente della «vexata quaestio» degli indennizzi ai cittadini italiani profughi dei territori della parte orientale della Venezia Giulia, dell'Istria, di Fiume e della Dalmazia, protagonisti di un vasto esodo in seguito all'occupazione delle truppe del maresciallo Tito e alla conseguente assegnazione, con i successivi trattati di pace, di questi territori alla repubblica federativa socialista jugoslava.
Con il trattato di pace di Parigi, firmato il 10 febbraio 1947, reso esecutivo dal decreto del Capo provvisorio dello Stato 28 novembre 1947, n. 1430, che pose fine alle questioni territoriali all'indomani della seconda guerra mondiale, la Repubblica italiana, oltre alla perdita delle proprie colonie, dovette cedere in piena sovranità alla Repubblica federativa socialista jugoslava gran parte di quei territori che - sottoposti dal 1815 al 1918 al dominio dell'Impero d'Austria - aveva legittimamente acquisito dopo la prima guerra mondiale con il Trattato di Rapallo del 12 novembre 1920, approvato dalla legge 19 dicembre 1920, n. 1778: una parte delle province di Gorizia e di Trieste, quasi tutta l'Istria con Pola, la città di Fiume e quella di Zara sulla costa dalmata, con le isole di Cherso, Lussino, Lagosa e Pelagosa. L'Italia perse, quindi, sul confine orientale ben 219 città e paesi e 7.700 chilometri quadrati di territorio. Il Trattato previde poi l'istituzione del «territorio libero di Trieste» (TLT),
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un'entità statale che avrebbe dovuto essere affidata alla tutela del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Questa lunga e tanto contesa striscia di terra venne suddivisa temporaneamente in una zona A (da Duino a Muggia) affidata all'amministrazione militare anglo-americana e in una zona B (da Capodistria a Cittanova d'Istria) affidata all'amministrazione militare jugoslava. Il passaggio sotto un nuovo governo determinò un esodo senza precedenti, avvenuto in varie fasi tra il 1945 e il 1956.
Dei territori posti sul confine orientale, circa 350.000 italiani vennero profughi in Italia, nelle Americhe, nei Paesi dell'Europa occidentale e nella lontana Australia, lasciando tutti i loro beni, prima espropriati, poi nazionalizzati dal Governo di Belgrado. Quelli che, invece, rimasero nella terra natale furono più di 40.000. La legge 30 marzo 2004, n. 92, istitutiva del «Giorno del ricordo», ha scelto proprio la data del 10 febbraio per commemorare questi momenti storici.
Lo «Stato cuscinetto» nel TLT, tuttavia, non venne mai istituito, per cui Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti d'America, Jugoslavia e Italia, il 5 ottobre 1954, firmarono il Memorandum di Londra, un accordo pratico in base al quale la zona A passò sotto l'amministrazione civile del Governo italiano e la zona B sotto quella civile del Governo jugoslavo. La sovranità sulla zona B sul piano giuridico rimase, però, ancora all'Italia. L'ultima questione territoriale fu infine risolta il 10 novembre 1975 con il Trattato di Osimo, reso esecutivo dalla legge 14 marzo 1977, n. 73: il Governo italiano rinunciò alla sovranità sulla zona B che passò definitivamente alla Jugoslavia.
Fu inoltre prevista la conclusione, in tempi brevi, di un accordo relativo a un indennizzo globale e forfetario, equo e accettabile dalle due Parti, dei beni degli italiani situati nella zona B, che erano stati oggetto di esproprio o di nazionalizzazione. Si stabilì quindi il principio della conversione del diritto alla restituzione in natura (già fissato dal citato Memorandum di Londra) in un diritto all'indennizzo. Con l'Accordo di Roma del 18 febbraio 1983, reso esecutivo dalla legge 7 novembre 1988, n. 518, la Jugoslavia acquisì definitivamente i beni espropriati o nazionalizzati agli esuli nella zona B e s'impegnò a versare al governo italiano a titolo di indennizzo 110 milioni di dollari USA in tredici rate annuali, a partire dal 1990. Ad oggi, solamente due rate, pari a circa 17 milioni di dollari USA sono state pagate dalla ex Jugoslavia, prima della sua dissoluzione avvenuta nel 1991.
Chiarito il quadro storico generale cui fa riferimento la presente proposta di legge, si illustrano gli aspetti giuridici relativi ai beni appartenenti agli esuli giuliano-dalmati.
La ex Jugoslavia, giustificandolo come atto risarcitorio di passate ingiustizie, espropriò quasi tutti i beni delle persone fisiche e giuridiche italiane situati nei territori ceduti, in aperta violazione dell'allegato XIV del citato Trattato di pace di Parigi del 10 febbraio 1947, che stabiliva, al paragrafo 9, il trattamento a cui dovevano venire sottoposti i beni italiani di quelle regioni: se i beni appartenevano a cittadini italiani che alla data del 16 settembre 1947 (data di entrata in vigore del Trattato di pace) non erano permanentemente residenti nei territori ceduti, detti beni non erano soggetti a disposizioni legislative diverse da quelle applicabili ai beni di persone fisiche e giuridiche di nazionalità straniera; se i beni appartenevano ad italiani permanentemente residenti nei territori ceduti al 16 settembre 1947, dovevano essere rispettati nella misura applicata per quelli jugoslavi.
Inoltre il Trattato di pace proibiva la compensazione del debito bellico italiano con i beni dei cittadini italiani nei territori ceduti [articolo 79, paragrafo 6, lettera f)].
La ex Jugoslavia stipulò con l'Italia due Accordi (Accordo firmato a Belgrado il 23 maggio 1949, reso esecutivo dalla legge 10 marzo 1955, n. 121, e Accordo concluso a Roma il 23 dicembre 1950, reso esecutivo dalla legge 10 marzo 1955, n. 122) con i quali s'impegnò a pagare all'Italia una somma pari a circa 130 miliardi di lire del 1947 (corrispondenti a circa 3.330 miliardi delle vecchie lire). Inoltre, in aperta violazione
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dei citati punti del Trattato di pace, con il terzo Accordo italo-jugoslavo concluso a Belgrado il 18 dicembre 1954, reso esecutivo dal decreto del Presidente della Repubblica 11 marzo 1955, n. 210, tutti i beni dei cittadini italiani vennero inclusi nel pagamento delle riparazioni belliche e inoltre, sempre con tale Accordo (articolo 2, paragrafo 3, secondo capoverso), il Governo italiano concordò che tutti i beni cosiddetti «liberi» dovevano essere assoggettati al trattamento cui sottostavano quelli jugoslavi.
In tal modo alle proprietà degli abitanti italiani venne tolta la difesa, cioè la particolare posizione giuridica riconosciutale dal Trattato di pace. Al riguardo, bisogna rilevare che il Governo italiano, che liberamente aveva stipulato con la ex Jugoslavia il primo, il secondo e il terzo Accordo, aveva il dovere di definire ogni contrasto derivante dall'interpretazione del Trattato di pace e non doveva rinunciare a posizioni di diritto concesse dallo stesso Trattato, per poi accollare le conseguenze finanziarie di tali rinunce agli esuli. Tutto ciò in aperta violazione dello stesso Trattato di pace.
La rinuncia alla particolare posizione giuridica dei beni italiani siti nei territori ceduti - assicurata dal Trattato di pace - non ha avuto finora alcuna contropartita per i loro proprietari: gli esuli, infatti, hanno ricevuto solo delle «briciole» di indennizzo.
Le considerazioni esposte sono riferibili anche ai beni abbandonati nella zona B (529 chilometri quadrati di terra istriana ceduti con il citato Trattato di Osimo del 10 novembre 1975), con l'aggravante che qui la disponibilità delle proprietà italiane è venuta a mancare per un atto deliberatamente e liberamente compiuto dal Governo italiano (il Trattato di Osimo) e non per causa di forza maggiore (Trattato di pace imposto all'Italia).
Come è noto, il Trattato di Osimo è risultato senza alcuna contropartita per l'Italia e ha, invece, assicurato molti vantaggi alla ex Jugoslavia, avallando tutti gli espropri abusivi di beni italiani commessi dal Governo comunista jugoslavo «a partire dalla data dell'ingresso delle Forze armate jugoslave nel suddetto territorio»: cioè si riconoscono ufficialmente da parte italiana tutti gli espropri abusivi commessi dagli jugoslavi anche nella zona B, sulla quale, fino alla firma del Trattato di Osimo, la ex Jugoslavia non aveva la sovranità.
Sebbene l'articolo 4 del Trattato di Osimo prevedesse un indennizzo «equo ed accettabile dalle due Parti» per i beni italiani espropriati nella zona B e anche l'eventuale restituzione di una parte degli stessi, tutto ciò è rimasto lettera morta, tanto è vero che, dopo quasi trentacinque anni dalla firma del Trattato, questi beni non sono stati né indennizzati, né restituiti.
A ulteriore chiarimento torna utile ricordare che, con il citato Memorandum di Londra del 1954, l'Italia ha rinunciato, in favore della ex Jugoslavia, a ben 85 miliardi di lire attinenti ai beni dei territori ceduti, il valore dei quali, secondo la valutazione dell'ufficio tecnico erariale, ammontava complessivamente a 130 miliardi di lire, per cui veniva posta a disposizione degli esuli la sola differenza dei restanti 45 miliardi di lire.
Il Governo italiano, pertanto, decise di usare l'indennizzo spettante agli esuli, nella misura di 85 miliardi di lire, per ottenere il nullaosta jugoslavo all'ingresso a Trieste delle truppe italiane.
Lo Stato italiano, quindi, per restituire il denaro a suo tempo diversamente impiegato, dovrebbe rendersi conto della necessità di rivalutare i citati importi per indennizzare integralmente i titolari dei beni abbandonati.
Non si può non tenere presente in proposito che l'Italia è obbligata, in base al Trattato di pace del 1947, a indennizzare i beni confiscati o nazionalizzati e che una legge dello Stato italiano (la citata legge n. 73 del 1977 di esecuzione del Trattato di Osimo) dispone che gli indennizzi debbano essere «equi ed accettabili».
Da cinquant'anni, quindi, si protrae la ricerca di una soluzione che sancisca l'equo e definitivo indennizzo dei beni abbandonati nei territori passati a sovranità
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jugoslava. Ciò in quanto il cittadino già proprietario di beni nei territori ceduti alla ex Jugoslavia, e da questa nazionalizzati, vanta verso lo Stato italiano un diritto soggettivo perfetto alla corresponsione dell'indennizzo (sentenza della Corte di cassazione a sezioni unite civili n. 1549 del 18 settembre 1970), ha diritto cioè che i beni gli vengano indennizzati integralmente dal Governo italiano.
Finora, invece, gli esuli titolari di beni hanno ricevuto degli acconti minimi, frammentari e inadeguati, nelle seguenti misure:
a) per i beni nei territori ceduti, la legge 8 novembre 1956, n. 1325, ora abrogata, aveva moltiplicato il valore del 1938 dei beni per 35 e per 20;
b) la legge 6 marzo 1968, n. 193, ha elevato i coefficienti a 50, 25 e 12;
c) la legge 5 aprile 1985, n. 135, li ha unificati a 200;
d) per i beni dell'ex zona B, la legge 18 marzo 1958, n. 269, aveva fissato i coefficienti in 40, 20 e 7, poi elevati con la citata legge n. 193 del 1968 a 50, 25 e 12 e, con il decreto del Presidente della Repubblica 28 settembre 1977, n. 772, elevati a 75, 37 e 18. Da ultimo, la norma parificatoria, la citata legge n. 135 del 1985, li ha unificati a 200.
Il trattamento applicato ai giuliani (valore dei beni nel 1938 moltiplicato per il coefficiente 200), cittadini italiani autoctoni delle terre perdute che hanno abbandonato tutto, è decisamente inferiore a quello praticato per i beni lasciati nei territori africani delle ex colonie e della Tunisia dai cittadini italiani (non autoctoni): nel 1964 per i beni in Tunisia, nel 1970 per quelli in Libia e nel 1975 per quelli della «Nuova Etiopia».
Gli esuli giuliano-dalmati titolari dei beni con i quali hanno saldato i debiti di guerra dell'intera nazione italiana si aspettano quindi dallo Stato italiano un provvedimento equo e definitivo, e ciò a prescindere dagli sviluppi e dai risultati dei rapporti italo-sloveni e italo-croati in ordine ai molteplici aspetti legati alle relazioni politiche ed economiche interstatali che già hanno trovato momenti d'intesa con il «Memorandum of Understanding on the protection of the Italian minority in Croatia and Slovenia» sottoscritto a Roma il 15 gennaio 1992 e con il «Treaty between Italian Republic and the Republic of Croatia concerning minority rights» sottoscritto a Zagabria il 5 novembre 1996.
Dopo mezzo secolo di vane attese e di delusioni la questione di un indennizzo equo e definitivo non può non essere risolta considerando che lo Stato italiano è obbligato dal Trattato di pace a definire, una volta e per sempre, la problematica relativa al diritto all'indennizzo degli esuli.
La presente proposta di legge, quindi, intende offrire un indennizzo «equo ed accettabile» dei beni italiani nazionalizzati nella zona B. Essa propone di definire la questione in modo simbolico, ma dignitoso, predisponendo un ulteriore coefficiente di rivalutazione pari a 3,5, con uno stanziamento di 350 milioni di euro da ripartire in più annualità. Si tratta di un doveroso atto di giustizia in quanto i nostri connazionali profughi dai territori annessi alla ex Jugoslavia hanno diritto a un riconoscimento morale e materiale da parte della loro madrepatria, ponendo così fine a una vicenda annosa che ha colpito questa parte di connazionali colpevoli soltanto di essere nati nel posto sbagliato al momento sbagliato. Il nostro Governo ha quindi il dovere, giuridico e morale, di liquidare agli esuli giuliano-dalmati un indennizzo «equo ed accettabile», in relazione a quanto hanno dovuto perdere a causa dei loro infiniti amore e attaccamento per la loro terra.
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