Onorevoli Colleghi! — Sono in continuo aumento i casi di malattie professionali legate da nesso di causalità con l'esposizione ad amianto e ad altri agenti cancerogeni negli ambienti lavorativi e in quelli di vita.
Questo stato di cose rende necessario privilegiare, sulla prevenzione secondaria (legata a pregresse esposizioni), quella primaria, l'unica effettiva ed efficace, fondata innanzitutto sul presupposto della consapevolezza dei rischi e della necessità di ridurli a zero. Infatti, quando un tumore o altre gravi patologie si sono già manifestati, anche una loro diagnosi precoce è comunque tardiva, in quanto vi sono già la lesione gravissima dell'integrità psico-fisica ed il rischio concreto della sua irreparabilità,
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come, tra l'altro, la drammatica elencazione dei malati e dei morti dimostra in modo lampante.
Ogni anno sono migliaia i lavoratori che perdono la vita o che lottano contro il cancro tra atroci sofferenze e pene anche per i familiari.
Questo stato di cose è inaccettabile.
Il caso più significativo è quello del mesotelioma pleurico: una volta diagnosticato le speranze di vita si riducono a sei mesi.
S'impone, pertanto, la necessità di una prevenzione primaria, perché la comparsa dei sintomi, che avviene dopo trenta anni circa dall'esposizione, nei fatti non rende possibile, il più delle volte, alcuna via d'uscita e generalmente, come si è già evidenziato, precede di pochi mesi l’exitus.
Non meno drammatiche sono le conseguenze legate ad altre patologie, sempre determinate dalla esposizione ad agenti patogeni negli ambienti lavorativi e negli ambienti di vita.
Ne è ulteriore esempio la sensibilità chimica multipla (MCS o TILT), causata dall'esposizione ad agenti nocivi ambientali, proporzionale al progresso dissennato dei tempi moderni, altrettanto devastante e con un esordio di tipo «terminale», cioè irreversibile.
Anche in questo caso è necessario attuare la prevenzione primaria, rendendo salubri gli ambienti abitativi e quelli lavorativi, senza voler negare la giusta importanza che assume la prevenzione secondaria che, suggerita dall'insorgenza dei primi sintomi, permette per lo meno di evitare le esposizioni dannose, rallentando o arrestando la perdita della tolleranza nel 10 per cento dei soggetti predisposti nella popolazione generale.
Soltanto con il valore limite pari a zero per l'amianto e per qualsiasi altro agente cancerogeno e patogeno si possono tutelare la salute e l'incolumità psico-fisica dei cittadini e dei lavoratori.
I limiti di legge non hanno alcuna validità scientifica e sono creazioni legislative che non hanno nella scienza alcun fondamento e che, inoltre, hanno l'unico fine di permettere l'utilizzo di queste sostanze patogene ai fini del profitto, subordinandovi la salute umana.
Queste soglie sono parametri privi di realismo e troppo spesso svianti. Per esempio, si può citare un alogenocomposto organico, il tetracloruro di carbonio (CCl4). Si tratta di un prodotto della chimica fine, un precursore di basso costo per un gruppo di molecole di largo impiego e, tra l'altro, è sintetizzato anche in natura nella stratosfera a opera delle radiazioni cosmiche capaci di condensare carbonio e cloro e può incrementare il buco della coltre di ozono causato dall'inquinamento antropogeno. Un tempo questa molecola era usata come solvente per estrarre i grassi da materiali vegetali, così come per sgrassare manufatti metallici, ma soprattutto come estintore di incendio, da un lato, e come pesticida (antiparassitario), dall'altro. Il CCl4, da quando fu iscritto come tenifugo nella farmacopea umana e veterinaria negli anni venti e usato in medicina come tale, provocò ben presto serie preoccupazioni per i suoi effetti avversi sulla salute (fegato, rene e pancreas). Tuttavia ebbe applicazioni, costantemente nocive, ubiquitariamente, nei tre settori produttivi: primario, secondario e terziario. Da quel tempo si innescarono due filoni paralleli delle attività scientifica e regolamentativa, a proposito di questa molecola tanto perversa quanto profittevole. Il primo scoprì il meccanismo d'azione della sua nocività, che dipende dalle trasformazioni metaboliche produttrici dei radicali liberi molto reattivi e dotati di potere pro-ossidante, causa dell'irrancidimento dei grassi insaturi e dei fenomeni fondamentali dell'invecchiamento delle cellule e dei tessuti del nostro organismo. Per esempio, il fegato risulta avvelenato e ne consegue insufficienza funzionale, steatosi, necrosi e cirrosi, mentre il rene è colpito fino alla conseguenza terminale del rene grinzo, preludio dell'emodialisi o del trapianto dell'organo.
La diffusione di queste malattie (la prevalenza epidemiologica) nella popolazione, così come la gravità e l'irreversibilità delle lesioni, dipendono dall'efficienza funzionale delle strutture cellulari deputate
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alle trasformazioni metaboliche del CCl4, i microsomi delle cellule parenchimali (fegato, rene, pancreas, surrene eccetera). A sua volta, tale fenomeno può essere influenzato da fattori esogeni (xenobiotici), quali molti farmaci (barbiturici), oppure componenti alimentari (alcol). Ecco perché i limiti di legge stabiliti per ciascun agente nocivo possono risultare privi di significato concreto per la tutela della salute. Per decenni l'esposizione ad agenti nocivi nei luoghi di lavoro è stata inquadrata nella cornice del cosiddetto «gruppo omogeneo», basata sui livelli di concentrazione ambientale, sulla durata, sulla qualità del microclima e così via. Tale metodo potrebbe anche essere adeguato, ma a patto che un gruppo di lavoratori fosse composto da soli maschi o da sole femmine e con tutti i soggetti nelle medesime condizioni metaboliche, per età e per l'assunzione di xenobiotici capaci di influenzare le risposte individuali. Ma nella realtà sociale e lavorativa la casualità e le esigenze di vita portano a mettere insieme un gruppo di lavoratori del tutto eterogenei, quanto alle prerogative suddette, che biologicamente sono tutt'altro che un «gruppo omogeneo». Solo uno scienziato sprovveduto o minus habens formerebbe un gruppo sperimentale, assemblando maschi e femmine, giovani e anziani, che non assumono xenobiotici, ma sono dipendenti da farmaci o alcol. Per esempio, alla manovia di un calzaturificio potrebbero lavorare fianco a fianco una giovane che combatte con antidolorifici i dolori mestruali, conseguenza di un'eventuale endometriosi causata dall'esposizione alla diossina (che provoca danni al fegato) e un anziano che sopporta bene il bicchiere di vino bevuto durante il pasto (con un'alterazione metabolica) insieme con soggetti adulti, normali e con valori medi per quanto concerne le loro attività metaboliche.
I limiti di legge dettati dagli organismi regolatori che, nel caso del CCl4 e di altri veleni, sono denominati «maximum allowed concentration» (MAC) possono risultare privi di qualunque predittività e di potere preventivo. A maggior ragione questo deve essere applicato agli agenti cancerogeni: del resto, la letteratura scientifica riporta da decenni il suggerimento di uno scienziato (R. Truhaut, tossicologo industriale francese, 1980) secondo cui per questo tipo di veleni, cioè i cancerogeni chimici, si impone il rischio zero. Pertanto, anche il nostro «killer» silenzioso (amianto) non può non far parte di questo gruppo.
Altri fenomeni biologici e ambientali possono alterare, in senso peggiorativo, la cancerogenesi dovuta all'amianto. Come è ampiamente illustrato in sede scientifica (professor Ugazio Giancarlo, «Compendio», Minerva Medica, Torino, 2007) sia il sinergismo tossicologico – che dipende dall'esposizione a diversi agenti nocivi compresenti – sia il potenziamento tossicologico – che fa seguito all'induzione degli enzimi metabolizzanti – provocano un incremento della morbilità (più gente si ammala dopo la stessa esposizione) e un peggioramento della qualità di vita, nonché una riduzione dell'aspettativa di vita. In sintesi: ci si ammala di più e più gravemente e si vive di meno.
Al fine di dimostrare la necessità di un intervento legislativo, si considerino i meccanismi di azione basilari dell'amianto quando esso esplica i suoi effetti cancerogeni. Il minerale amianto, costituito da silicati, è generalmente conformato in finissime fibrille, che, tra l'altro, hanno anche la proprietà di poter essere filate e tessute, di non bruciare alla fiamma e di svolgere una funzione di coibentazione del rumore e della temperatura. L'edilizia, nelle costruzioni e nelle ristrutturazioni, è il più severo inquinatore di amianto, sebbene altre attività produttive non siano trascurabili. Come sempre, il materiale nocivo può esporre sia il lavoratore sia la gente comune nell'ambiente extra-lavorativo in tutti i tre momenti della vita del manufatto contenente il minerale killer: 1) la preparazione del manufatto; 2) la fruizione di esso nelle strutture edili; 3) lo smaltimento di esso alla fine del ciclo vitale. Nello specifico, conoscono molto bene i rischi della preparazione della mescola di amianto e di cemento i lavoratori
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superstiti delle fabbriche di eternit, mentre non sono altrettanto chiaramente noti i rischi dello sfaldamento di una tettoia di eternit, oppure di un pannello di coibentazione in un edificio a struttura metallica, così come di una carrozza ferroviaria, mentre, infine, è chiaro a tutti, tranne che a coloro che non vogliono «vedere», la pericolosità delle enormi quantità di manufatti disusati e «messi in sicurezza» mediante insaccamento in fragili sacchi neri di cloruro di polivinile (PVC) destinati a rompersi ed a rilasciare nell'ambiente le fibrille del minerale killer, che si diffondono dalle discariche di stoccaggio. La sommatoria finale di tutte queste situazioni porta alla diffusione ubiquitaria delle fibrille di amianto: nell'aria che respiriamo, nei cibi che mangiamo, nell'acqua che beviamo. L'essere umano, analogamente agli animali sinantropici, può inalare, mangiare o bere i microscopici filamenti del minerale. La mucosa dell'apparato respiratorio, nel primo caso, e quella del tubo gastroenterico, per i cibi e per le bevande, sono rispettivamente la porta di ingresso della fibrilla killer nel nostro organismo. Al di là di questa barriera strutturale e funzionale, più o meno facilmente superabile, le fibrille entrano in circolo: quello ematico, proprio del sangue, o quello linfatico, percorso dalla linfa. Grazie alla circolazione le fibrille killer possono spostarsi a distanza dal punto di ingresso e infine localizzarsi casualmente in molti tessuti dell'organismo, in modo assai differente da quello che caratterizza altri veleni inorganici (idrosolubili) od organici (liposolubili) la cui localizzazione può essere condizionata da queste caratteristiche chimico-fisiche. Gli organi in cui si trovano più frequentemente i corpuscoli dell'asbesto, microscopici granulomi che sono espressione della reazione locale contro le fibrille, sono: cervello, polmone, pleura, tiroide, fegato, pancreas, rene, surrene, cuore, milza e prostata. È da notare che la localizzazione a livello del polmone o della pleura non avviene per contiguità dalla porta d'ingresso, ma ad essa s'interpone il trasferimento attraverso il circolo, come rilevato in precedenza. Questi fenomeni biologici sono illustrati in sede scientifica.
Un'altra lampante prova della possibilità del viaggio «circolatorio» delle fibrille killer attraverso chilometri di vasi sanguigni grandi e piccoli, è fornita dal fatto che altre membrane sierose dell'organismo, diverse dalla pleura, sono state trovate colpite da mesotelioma. Si tratta del pericardio, del peritoneo e della tunica vaginale del testicolo, ancorché con frequenze decisamente minori della pleura.
Una volta localizzata in un tessuto suscettibile di cancerogenesi, la fibrilla di amianto agisce mediante un meccanismo perossidativo, trasformandosi dallo stato di precancerogeno in cancerogeno attivo, quale amianto-epossido.
Anche questi fenomeni biologici sono documentati dettagliatamente in sede scientifica.
Il momento primordiale della cancerogenesi da amianto, attuato per mezzo di un epossido del minerale killer, potrebbe essere strettamente collegato con l'equilibrio della bilancia perossidativa, tra pro-ossidanti e anti-ossidanti. Per esempio, tra i primi potrebbe trovarsi il ferro inorganico, somministrato per incauta scelta iatrogena a un paziente immaginato o trovato anemico, sotto forma della terapia cosiddetta «marziale», tanto diffusa in questi tempi. La letteratura scientifica dà conto dei danni dovuti al sovradosaggio del ferro inorganico. In secondo luogo, è noto che molti agenti cancerogeni, di natura chimica o fisica, innescano il processo della cancerogenesi aggredendo la molecola del DNA: i primi producono addotti molecolari, i secondi «smagliano» direttamente la doppia elica del DNA. La natura ci ha dotato di due fondamentali meccanismi di difesa contro la cancerogenesi: il primo è costituito dagli enzimi endocellulari riparatori della molecola alterata del DNA, il secondo si basa sulle difese immunitarie che attaccano una cellula già cancerosa come entità biologica non self dopo la trasformazione maligna, in carenza relativa o in assenza della riparazione primaria descritta in precedenza. L'equilibrio di questa bilancia tra
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eventi favorevoli ed eventi sfavorevoli per la conservazione della salute dipende dalla dose del cancerogeno assunto e dalla durata temporale dell'esposizione.
Nel caso dell'amianto, quanto più elevata è la concentrazione delle fibrille nell'aria, nell'acqua o negli alimenti, più l'efficacia degli enzimi riparatori può essere sopraffatta; quanto più lunga è la durata dell'esposizione, a parità di concentrazione, tanto peggiori saranno le possibilità di difesa. Una volta sopraffatta questa prima barriera difensiva naturale di primo intervento, l'organismo mette in campo il sistema immunitario, deputato a «rigettare» il tumore maligno, come farebbe se si trattasse di un tessuto eterologo trapiantato. Ma anche in questo caso, la seconda barriera difensiva può essere sopraffatta, sia per i rapporti quantitativi riferiti per spiegare l'insuccesso della prima, sia perché peculiari condizioni di stress emozionale possono annullare le difese immunitarie, come se si trattasse di un'immunosoppressione iatrogena, una prassi biomedica applicata sovente nel tentativo di far attecchire il tessuto trapiantato. Due casi clinici recenti stanno a dimostrazione di questo tipo di evoluzione: Raissa Gorbachova ed Enzo Tortora. In entrambi, portatori di tumore maligno, lo stress emozionale subìto ha annullato le difese e ha affrettato l’exitus.
Per comprendere meglio il «tiro alla fune» tra gli agenti cancerogeni e le difese dell'organismo contro il cancro, si pensi a un automobilista in autostrada che ripara prontamente la gomma dell'automobile forate da un chiodo solitario, quale simbolo del successo delle difese anticancro sugli agenti cancerogeni. Al contrario, qualora la corsia dell'autostrada fosse cosparsa da un gran numero di chiodi, molti automezzi sarebbero in panne ogni automobilista avrebbe grandi problemi e il traffico sarebbe bloccato. Quest'allegoria illustra con semplicità e chiarezza il rapporto di forza tra gli agenti cancerogeni (dose + durata di esposizione) e i meccanismi di difesa contro il cancro (enzimi riparatori del DNA + difese immunitarie), ma, soprattutto, essa suggerisce di non esagerare con le esposizioni nocive.
Un'autorevole conferma della drammatica condizione nei luoghi di lavoro e negli ambienti di vita per effetto degli agenti patogeni utilizzati si è avuta nel pomeriggio del 18 gennaio 2010, durante un importante convegno sull'amianto.
Lutti e tragedie di cittadini e delle famiglie rendono non più procrastinabile un intervento legislativo mosso dalla necessità di rendere effettivo e concreto il diritto alla salute in applicazione dell'articolo 32 della Costituzione, prevedendo il divieto di utilizzo e l'obbligo di bonifica di tutti gli agenti cancerogeni, nonché la loro riduzione tendenzialmente o un livello pari a zero.
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