Onorevoli Colleghi! — La presente proposta di legge persegue la finalità di armonizzare l'attuale sistema sostanziale e processuale in materia di affidamento dei minori alle esigenze di tutela del minore emerse nel corso di quasi dieci anni di applicazione delle modifiche introdotte alla legge n. 184 del 1983 dalla legge n. 149 del 2001.
Essa presenta una natura composita in quanto, accanto a previsioni di modifica riguardanti profili di natura sostanziale dell'istituto dell'affidamento familiare, sono state modificate disposizioni di natura procedimentale, recependo le sollecitazioni provenienti dai supremi organi giurisdizionali e dalle prassi giudiziarie.
La proposta di legge, inoltre, incide su aspetti attinenti al sistema di erogazione dei servizi sociali in favore dei minori pur se, sotto tale aspetto, occorre precisare che, trattandosi di una normativa statale,
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sussistono i limiti fissati dal riparto di competenze delineato dall'articolo 117, secondo comma, lettere l) e m), della Costituzione.
Pertanto le norme sostanziali e processuali introdotte in materia di affidamento familiare, essendo esercizio della potestà legislativa esclusiva statale in materia di giurisdizione e ordinamento civile, non presentano problemi di alcun genere, mentre le disposizioni in ordine al riconoscimento e all'accreditamento delle associazioni familiari trovano fondamento nella citata lettera m) del secondo comma dell'articolo 117 della Costituzione, essendo tese a garantire l'uniformità dei livelli essenziali concernenti i diritti civili e sociali sull'intero territorio nazionale.
In ogni caso, al fine di evitare potenziali conflitti di competenza legislativa tra lo Stato e le regioni, si è provveduto a conferire carattere cedevole alla normativa nazionale introdotta in materia, facendo salvo il potere del legislatore regionale di adottare una normativa di dettaglio derogatoria, fermi restando i criteri minimi fissati dalla normativa statale.
Modifiche alla legge n. 184 del 1983.
Il nuovo articolo 1, comma 3, è introdotto per rafforzare il riconoscimento delle associazioni familiari, già previste nella normativa vigente, ed esaltare la centralità del ruolo da esse ricoperto nell'erogazione dei servizi ai minori, in attuazione di un principio di sussidiarietà verticale.
L'intervento pubblico, in tale sistema, deve essere orientato al perseguimento di finalità che non trovano già attuazione e risposta nei servizi erogati dai soggetti privati, permanendo in ogni caso sui livelli più prossimi di amministrazione pubblica (sull'ente locale e regionale, nonché sull'autorità giudiziaria), un ruolo di controllo e regolazione del settore.
Si è, inoltre, conferito alle associazioni familiari accreditate, previa delega delle famiglie affidatarie, la legittimazione processuale e sostanziale per la tutela dei diritti loro riconosciuti ai successivi articoli, nonché degli interessi propri allo svolgimento dei servizi in favore dei minori.
La realtà degli affidamenti familiari ha mostrato, infatti, una pressoché costante difficoltà da parte dei soggetti pubblici (enti locali in primis) nel reperimento di famiglie affidatarie disponibili all'accoglienza di minori in situazione di temporaneo pregiudizio, evidenziando al contrario una maggiore capacità recettiva da parte di gruppi familiari disponibili all'affidamento costituiti in associazioni. Infatti, la possibilità di costituire reti di famiglie affidatarie, prevista anche dalla normativa vigente, ha consentito e promosso la nascita di strumenti associativi di sostegno e condivisione dell'accoglienza dei minori, capaci di rispondere pienamente a un sempre più avvertito bisogno di collocamento del minore.
Il nuovo articolo 2 specifica i concetti di mantenimento, educazione e istruzione, ribadendo al contempo una gerarchia in ordine alle modalità di collocamento del minore. In tal senso, all'affidamento familiare è riconosciuta e confermata una posizione di privilegio anche attraverso la possibilità di costituzione di «comunità familiari», caratterizzate dalla presenza di una coppia genitoriale sposata che decida di intraprendere l'esperienza dell'affidamento, ottenendo un riconoscimento formale dei propri servizi educativi rivolti al minore.
L'ipotesi di ingresso in una comunità educativa, seppur non ancora eliminata, è posta sul gradino più basso delle possibili soluzioni, escludendola per i minori di età inferiore a sei anni.
La modifica all'articolo 4 ha riguardato più propriamente l'istituto dell'affidamento familiare, finalizzato a concedere al minore, temporaneamente privo di una famiglia idonea, un ambiente familiare, preferibilmente con figli minori, capace di assicurargli le relazioni affettive di cui ha bisogno. Si tratta di un istituto finalizzato a prevenire condizioni di disagio che possono colpire il minore nel corso della sua vita, in modo da evitare più drastici e
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dolorosi provvedimenti, quale potrebbe essere un'eventuale dichiarazione di adottabilità.
La norma prevede due tipologie di affidamento familiare, consensuale o giudiziario, con i relativi adattamenti sul piano sostanziale, anche alla luce del nuovo ruolo e dei compiti svolti dalle associazioni familiari in materia di scelta della famiglia e di collocamento del minore.
La modifica è finalizzata all'applicazione del principio di sussidiarietà tra gli enti locali e le associazioni familiari. Tale previsione, inoltre, potrebbe contribuire a ridurre il carico di lavoro degli enti locali per consentire loro di impiegare risorse umane ed economiche nella gestione di bisogni cui le associazioni familiari non riescono a far fronte con le loro strutture e risorse partecipando entrambi a un unico sistema integrato dei servizi.
L'articolo 4-bis introduce un sistema di accreditamento nazionale delle associazioni familiari, fissando i requisiti soggettivi dell'ente che chiede l'iscrizione, requisito indispensabile per esercitare i poteri di rappresentanza sostanziale e processuale dei soggetti affidatari nei confronti dei servizi sociali e dell'autorità giudiziaria, unitamente a una delega scritta da parte dei rappresentati. Il riconoscimento di tale potere è finalizzato a dare piena attuazione al principio del contraddittorio nel peculiare ambito del processo minorile. In tal modo risulta ampliato il ventaglio dei soggetti che possono intervenire consentendo al tribunale per i minorenni di decidere sulla base di un quadro processuale che vede partecipare i soggetti direttamente interessati sulle vicende che riguardano il minore. Infatti, a seguito di un provvedimento di affidamento extra-familiare, l'interesse del figlio minore diventa quasi sempre antagonista a quello dei genitori naturali, determinando così l'insorgenza di conflitti di lealtà generati dalla remissione al minore della scelta del genitore con cui permanere.
Nel nuovo panorama si consente alla famiglia affidataria di intervenire e di portare il suo contributo nel processo. La famiglia affidataria è, infatti, il soggetto che vive quotidianamente a stretto contatto con il minore e, non essendo portatrice di alcun interesse contrapposto a quello del minore, può fornire un contributo oggettivo al perseguimento dell'interesse di quest'ultimo.
Le modifiche introdotte dalla legge n. 149 del 2001 hanno già disposto che l'affidatario debba essere sentito nei procedimenti civili in materia di potestà, affidamento e adottabilità relativi al minore affidato. Occorre tuttavia fare un passo avanti, in quanto se gli affidatari sono titolari di una serie di diritti e doveri, funzionali al benessere del minore, allora essi devono poter essere messi in grado di agire in giudizio a tutela dei propri interessi e diritti (articolo 24 della Costituzione). In un'interpretazione costituzionalmente corretta, va perciò riconosciuta agli affidatari la facoltà di iniziare un procedimento con ricorso, di proporre intervento volontario ai sensi dell'articolo 105 del codice di procedura civile e di fare impugnazione quando l'oggetto del giudizio riguardi l'affidamento del minore o le sue modalità. Inoltre, essi, subendo in via immediata e diretta le conseguenze dei provvedimenti adottati dal tribunale per i minorenni in ordine alle modalità dell'affido, della regolazione delle visite eccetera, devono venirne a conoscenza mediante comunicazione diretta sia per dare attuazione alle prescrizioni, sia per poter richiedere modifiche o revoche o per proporre impugnazione.
Modifiche al codice civile.
I procedimenti de potestate sono disciplinati negli articoli da 330 a 336 del codice civile; la legge 28 marzo 2001, n. 149, ha inoltre previsto che i genitori e il minore siano assistiti da un difensore.
Si tratta dei procedimenti che hanno per oggetto la decadenza del genitore dalla potestà genitoriale (articolo 330 del codice civile) e la limitazione della potestà genitoriale (articolo 333 del codice civile) a
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causa della condotta pregiudizievole del genitore.
L'attuale formulazione dell'articolo 333 del codice civile, con espresso riferimento letterale al pregiudizio, ha permesso di individuare l'elemento caratterizzante tali procedimenti appunto nel pregiudizio subìto dal figlio ad opera di un genitore (o di entrambi).
Al rimedio della decadenza del genitore (o dei genitori, nel qual caso sarà necessario aprire una tutela) si aggiunge, per i casi meno gravi, quello che consente al giudice di emettere «i provvedimenti convenienti», tra i quali i più incisivi nei casi più gravi sono l'allontanamento del minore dalla famiglia ovvero l'allontanamento del genitore o del convivente che maltratta il minore o ne abusa.
Tali provvedimenti sono adottati a seguito della presentazione di un ricorso al tribunale per i minorenni da parte di un genitore, di un parente o del pubblico ministero.
Soltanto il genitore che promuove la causa deve essere munito di difensore a pena di inammissibilità del ricorso; l'altro genitore nella prassi è avvertito della possibilità di munirsi di un difensore (eventualmente a spese dello Stato) ma non necessariamente deve essere assistito e deve costituirsi. Queste sono le prassi applicative della nuova normativa che, peraltro, ha dato adito a diverse interpretazioni presso i vari tribunali d'Italia, così come sul versante del difensore del minore, si è ritenuto che tale nomina presupponga l'esistenza di un curatore speciale che tuttavia può essere nominato su richiesta del pubblico ministero, quando sussista conflitto di interesse tra entrambi i genitori e il minore.
Al momento, quindi, nei procedimenti de potestate non è frequente la nomina del curatore speciale e, di conseguenza, del difensore (due figure che in realtà sono la stessa persona, il curatore scelto fra gli avvocati iscritti in un elenco ufficiale gestito dal consiglio dell'ordine, il quale chiede la propria nomina come difensore del minore alla commissione del patrocinio a spese dello Stato). Quest'ultima prassi è criticata da coloro che ritengono sempre configurabile un conflitto di interessi nel contesto processuale di cui si sta discutendo.
Il tribunale per i minorenni provvede in camera di consiglio, assunte informazioni e sentito il pubblico ministero. Nei casi in cui il provvedimento è richiesto contro il genitore, questi deve essere sentito. Nei casi urgenti il tribunale per i minorenni può adottare, anche d'ufficio in corso di causa, provvedimenti temporanei nell'interesse del minore inaudita altera parte: di tali provvedimenti, tuttavia, non è fissato un termine di durata a pena di decadenza.
La presenza necessaria di almeno un difensore (quando è il genitore a ricorrere) ha indotto alcuni tribunali per i minorenni (ad esempio quello di Torino) a riflettere e a riconoscere il più ampio diritto all'esercizio del diritto alla difesa, nel senso che tale difensore ha diritto di assistere a tutti gli atti processuali, anche all'audizione a chiarimenti degli operatori dei servizi territoriali.
Il nuovo articolo 336 del codice civile, così come riformulato dalla presente proposta di legge, prova a risolvere i dubbi di costituzionalità sollevati nei confronti della suddetta normativa, relativamente agli articoli 3, 24 e 111 della Costituzione.
La Corte costituzionale ha spesso sollevato dubbi in ordine alla compatibilità dell'attuale sistema processuale con i princìpi contenuti nella Convenzione sui diritti del fanciullo, ratificata e resa esecutiva in Italia con la legge n. 176 del 1991, e con il principio del «giusto processo» di cui all'articolo 111 della Costituzione (Corte costituzionale, ordinanza n. 528 del 2000; sentenza n. 1 del 2002).
La norma novellata introduce l'obbligo di notifica dei provvedimenti definitori o di modifica, assunti ai sensi degli articoli 330 e seguenti dello stesso codice civile, ai genitori e al curatore del minore, il quale deve essere nominato da parte del tribunale per i minorenni in tutti i procedimenti de potestate.
L'obbligo di notifica, in caso di provvedimenti modificativi, si estende anche
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alla famiglia affidataria o all'associazione familiare eventualmente delegata, in cui il minore è collocato, per consentire loro l'esercizio dei poteri processuali ora riconosciutigli.
La norma obbliga, altresì, il tribunale per i minorenni a procedere all'ascolto di entrambi i genitori e del minore, salvo che da ciò possa derivargli grave pregiudizio, in tal modo recependo le statuizioni espresse dalle sezioni unite della Suprema Corte di cassazione con la sentenza n. 22238 del 2009.
Infine, l'articolo 336-bis prevede, ex novo, una disciplina dei provvedimenti d'urgenza, fissando un termine di validità di trenta giorni per i decreti provvisori emessi inaudita altera parte, e introduce, a pena di decadenza, l'obbligo a carico del tribunale per i minorenni di confermarli, modificarli o revocarli con decreto definitivo emesso nel contraddittorio delle parti entro trenta giorni dalla loro notifica ai soggetti interessati.
Da ultimo, così come le recenti modifiche apportate nel 2005 all'articolo 463 del codice civile hanno escluso i genitori decaduti dalla potestà dalla successione dei figli, si è coerentemente proposta la modificazione dell'articolo 433 del medesimo codice, liberando i figli dall'obbligo alimentare verso i genitori decaduti dalla potestà e quando sia intervenuta l'adozione degli stessi figli. Allo stato, infatti i figli adottivi sono tenuti agli alimenti sia a favore dei genitori di nascita (malgrado le loro trascorse inadempienze) che a favore dei genitori adottivi.
Note conclusive.
La presente proposta di legge sulla disciplina dell'affidamento costituisce un intervento inserito nell'attuale sistema giurisdizionale, il quale presenta una duplicità di organi con competenza nei procedimenti in materia di minori, il tribunale per i minorenni e il tribunale ordinario, che spesso determina l'insorgenza di conflitti negativi o positivi di difficile soluzione.
Tuttavia, trattandosi di un intervento che riguarda il più generale assetto dell'organizzazione della giustizia, si è ritenuto di non contemplarlo nella presente proposta di legge, poiché esso richiede imprescindibilmente il coinvolgimento del Ministero della giustizia.
Inoltre, anche sul piano dell'ormai nota figura dell'adozione cosiddetta «mite», su cui in passato sono già stati presentati due progetti di legge, si è consapevolmente scelto di non intervenire, posto che si tratta di un istituto di matrice giurisprudenziale ai limiti tra adozione e affidamento, ove qualsiasi tentativo di recepimento legislativo passa necessariamente per la rivisitazione della legislazione in materia di adozione, esclusa dalla presente proposta di legge.
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