Onorevoli Colleghi! — La presente proposta di legge nasce dalla consapevolezza della necessità di affrontare una questione delicata e vitale quale è la gestione di un bene prezioso come l'acqua, inserendo tale utilizzo in un contesto normativo che tuteli da una parte l'inalienabile diritto all'accesso all'acqua potabile per tutti i cittadini consentendo, allo stesso tempo, un incremento di efficienza, di funzionalità ed economicità nei meccanismi di gestione del servizio idrico integrato.
In questi anni gli innumerevoli interventi normativi che si sono sovrapposti e stratificati hanno reso difficile la lettura e l'interpretazione di un quadro giuridico in continua evoluzione.
L'ultima importante modifica normativa si è avuta con il decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135 – meglio conosciuto come decreto Ronchi – recante «Disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e per l'esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità
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europee», convertito, con modificazioni, dalla legge 20 novembre 2009, n. 166, che, all'articolo 15, ha modificato l'articolo 23-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante «Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria», in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica. Il citato decreto-legge n. 135 del 2009, con l'alibi di un non meglio precisato «adeguamento all'ordinamento comunitario», ha modificato la disciplina sui servizi pubblici locali – come affermato nella relazione illustrativa al provvedimento – «allo scopo di aumentarne la spinta liberalizzatrice in un quadro regolatorio certo e chiaro che agevoli l'iniziativa dei soggetti privati, riduca i costi per le pubbliche amministrazioni e garantisca la migliore qualità dei servizi resi agli utenti».
Successivamente con il decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 marzo 2010, n. 42, meglio noto come «decreto Calderoli» che ha aggiunto il comma 186-bis all'articolo 2 della legge 23 dicembre 2009, n. 191 (finanziaria 2010), è stata disposta la soppressione, entro il 31 dicembre 2010, ora prorogata al 31 dicembre 2011, delle autorità d'ambito territoriale ottimale creando un'incertezza che impedisce una corretta ed efficiente gestione del servizio.
La frettolosa approvazione del decreto legge n. 135 del 2009 ha volutamente trascurato la presenza, nell'ordinamento giuridico dell'Unione europea, di una importantissima norma, la direttiva quadro n. 60 del 2000, recante «Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un quadro per l'azione comunitaria in materia di acque», il cui primo considerando afferma in modo inequivocabile che «l'acqua non è un prodotto commerciale al pari degli altri, bensì un patrimonio che va protetto, difeso e trattato come tale».
Pertanto, pur in assenza di un reale obbligo comunitario e senza che nessuna procedura di infrazione fosse stata avviata nei confronti dell'Italia, in riferimento all'affidamento dei servizi pubblici locali in generale o del servizio idrico in particolare, il Governo ha varato una norma molto discutibile, ricorrendo persino, senza una ragione plausibile, al voto di fiducia.
Il nuovo modello di gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica ha messo i comuni nella condizione di vendere quote delle aziende che gestiscono i servizi idrici integrati indipendentemente dalla programmazione, dalla qualità del funzionamento e dal grado di soddisfazione delle comunità locali. Più in generale, gli enti locali sono incentivati a privatizzare quote dei servizi, con benefìci esclusivamente per i grandi gruppi privati, spesso stranieri.
La disponibilità dimostrata dalle forze politiche presenti nell'arco parlamentare ad affrontare, senza preconcetti, la questione e a ragionare su ipotesi di riforma del sistema di gestione dell'acqua non è stata minimamente colta dal Governo. Le questioni per noi centrali in tema di acqua sono: il riconoscimento del valore pubblico dell'acqua e delle infrastrutture idriche; la valutazione più attuale del costo della risorsa anche nell'ottica di un uso più oculato; il controllo, la tutela, la valorizzazione, il risparmio della risorsa idrica da utilizzare con criteri di solidarietà, anche salvaguardando aspettative e diritti delle generazioni future, facendo riferimento al patrimonio ambientale; la necessità di investimenti certi che non gravino in maniera eccessiva sulle tariffe a carico dei cittadini; la definizione di un rigoroso meccanismo di controllo sulla qualità dell'acqua; la costituzione di un'autorità terza, indipendente e a tutela dell'interesse pubblico che vigili proprio sull'andamento delle tariffe in rapporto alla qualità dei servizi erogati e alla loro efficienza.
Il Governo ha rifiutato ogni tentativo di dialogo, proseguendo per la propria strada, ignorando anche le proposte delle associazioni e dei comitati, che hanno espresso una preoccupazione sempre maggiore per l'ipotesi prospettata dal Governo di una progressiva sottrazione di beni e diritti collettivi dal controllo pubblico per
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sottoporli interamente a logiche di mercato per le quali è predominante il profilo connesso alla redditività piuttosto che quello connesso al benessere dei cittadini.
Questa preoccupazione ha prodotto, come reazione, l'avvio di una campagna referendaria basata su presupposti legittimi e condivisibili, che sconta però l'inevitabile limite dell'articolo 75 della Costituzione, il quale, per il suo carattere esclusivamente abrogativo di norme in vigore, non consente una revisione razionale di norme complesse, rischiando di dare vita a prevedibili, quanto azzardati, vuoti legislativi.
L'accelerazione imposta dal Governo manifesta la mancanza di percezione sia del dibattito culturale, concreto e propositivo, che sta animando il Paese, sia dell'evoluzione giurisprudenziale che meriterebbe una più attenta lettura. Proprio in questi giorni la Corte costituzionale è chiamata a decidere sul regime delle competenze legislative tra Stato e regioni in tema di servizi pubblici locali, proprio a seguito di ricorsi in via principale presentati da ben sette regioni.
È in questo quadro politico che il partito democratico ha sentito il dovere di farsi interprete e promotore di una seria e ponderata revisione del quadro normativo, che prevede innanzitutto l'abrogazione dell'articolo 15 del decreto-legge n. 135 del 2009 e che persegue l'obiettivo di delineare una riforma organica per il settore che tuteli pubblicamente «il bene collettivo» acqua, garantendo un servizio efficiente e di qualità, remunerato con tariffe eque.
La proposta di legge si articola nei seguenti punti fondamentali:
con le disposizioni del capo I (articoli 1 e 2) si stabilisce che l'acqua è un bene pubblico e che sono beni pubblici anche le strutture del servizio idrico integrato;
con il capo II (articoli da 3 a 5) si interviene nella gestione delle risorse idriche, prevedendo maggiori competenze in capo all'Autorità di distretto idrografico nell'ambito di una politica gestionale sostenibile e integrata della risorsa idrica, in linea con gli indirizzi dell'Unione europea; viene rafforzato il ruolo degli ambiti territoriali ottimali per i quali è prevista l'istituzione di un'assemblea a cui sono attribuiti compiti rilevanti in materia di governo del servizio idrico e, prevedendo la partecipazione degli amministratori locali, si favorisce un processo di democratizzazione delle scelte strategiche in una materia di così grande interesse per la collettività;
con il capo III (articolo 6) si delinea il quadro regolatorio del servizio idrico integrato con l'istituzione di un'autorità indipendente con poteri di verifica dei piani strategici e dei piani d'ambito e con il potere di verifica delle tariffe e di ispezione e di sanzione delle attività svolte dai gestori; per lo svolgimento delle proprie funzioni l'autorità può irrogare sanzioni amministrative pecuniarie fino a 150 milioni di euro in caso di inosservanza dei propri provvedimenti da parte dei soggetti esercenti il servizio idrico integrato;
con il capo IV (articoli da 7 a 14) il servizio idrico integrato viene collocato nel corretto quadro giuridico dell'Unione europea, connotandolo quale servizio di interesse economico generale ai sensi dell'articolo 106 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea; si dispone che tale servizio possa essere svolto da un solo soggetto per ogni ambito di affidamento e che il servizio idrico integrato sia organizzato sulla base degli ambiti territoriali ottimali (ATO) come definiti dalle regioni. L'assemblea d'ambito affida la gestione del servizio idrico integrato secondo criteri di efficacia, efficienza ed economicità a soggetti privati, pubblici o misti, prevedendo obblighi stringenti in capo ai soggetti affidatari e precise disposizioni per la revoca dell'affidamento. Si delinea quindi una gestione industriale del servizio idrico con una dimensione di scala adeguata che preveda l'utilizzo delle migliori tecnologie e che comunque garantisca una tariffa sociale per i nuclei familiari più numerosi e le fasce sociali più deboli;
con il capo V (articolo 15) è istituito un Fondo nazionale per il riequilibrio
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territoriale delle dotazioni e delle infrastrutture idriche e per la preservazione della risorsa acqua, a garanzia dell'accesso universale a un servizio di massima qualità secondo criteri di equità e solidarietà;
con il capo VI (articolo 16) si apportano modifiche alla normativa vigente conseguenti alle disposizioni introdotte dalla legge.
Questa proposta di legge è una base da cui può nascere un serio e approfondito confronto sulla gestione delle risorse idriche, che è necessario per individuare una soluzione giuridica adeguata, a prescindere dall'esito referendario.
Con la presente proposta di legge diamo il nostro contributo per avviare un'elaborazione che, senza pregiudizi ideologici e posizioni preconcette, permetta di costruire un impianto normativo che risponda correttamente a tutte le esigenze e che, soprattutto, permetta di preservare un patrimonio straordinario e vitale nell'interesse delle future generazioni.
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