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PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di rappresentanti dell'INPS. Sono presenti il direttore generale dell'INPS, dottor Mauro Nori, il direttore centrale entrate e vicario del direttore generale, dottor Antonello Crudo e il direttore centrale sistemi informativi e tecnologici, dottor Giulio Blandamura, che riferiranno alla Commissione sulla convenzione quinquennale stipulata tra l'INPS e l'Agenzia delle entrate lo scorso anno, al fine di rafforzare la collaborazione tra i due enti nel campo delle misure e delle azioni di contrasto all'evasione fiscale, al reciproco scambio di informazioni, anche attraverso dei meccanismi di cooperazione informatica. La Commissione è poi interessata a conoscere le misure di sicurezza adottate dall'INPS al fine di garantire la riservatezza e tutela delle informazioni acquisite dalle banche dati dell'anagrafe tributaria, le modalità di confronto dei dati dei contribuenti forniti dall'INPS con quelli in possesso dell'Agenzia delle entrate, la struttura e l'organizzazione della base dati anagrafica di cui si avvale l'INPS e l'attività di riscontro delle dichiarazioni ISEE, per lo svolgimento della quale sono utilizzati i dati dell'anagrafe tributaria.
Cedo la parola al dottor Nori, con la riserva per me e per i colleghi di rivolgere, al termine del suo intervento, alcune ulteriori domande e di formulare talune osservazioni.
MAURO NORI, direttore generale dell'INPS. Grazie, Presidente. Abbiamo portato una sintetica relazione, distribuita ai membri della Commissione, di cui vado a illustrare brevemente i punti salienti. La relazione è sostanzialmente una specificazione della convenzione di cooperazione per lo scambio dei dati tra l'INPS e l'Agenzia delle entrate sottoscritta il 29 ottobre 2010.
Lo scambio dati con l'Agenzia delle entrate attiene essenzialmente alle anagrafiche delle persone fisiche e delle persone giuridiche, con la finalità di conoscere informazioni note all'Istituto e magari sconosciute al fisco e viceversa, per finalità di accertamento contributivo a carattere previdenziale; per contro, serve allo scopo di rendere l'informazione anche all'Agenzia delle entrate, sotto il profilo fiscale, a fini ispettivi; per conoscere eventuali aree di criticità sotto il profilo del rischio di evasione ed elusione contributiva; e sicuramente anche per conoscere fenomeni che magari vengono evidenziati sotto un profilo fiscale ma non sotto il profilo contributivo. Prima di entrare nello specifico occorre accennare all'operazione Poseidone, con la quale l'Istituto ha incrociato le informazioni reddituali sul modello 770, inerenti essenzialmente alle iscrizioni a carattere fiscale, e che ha evidenziato una rilevante platea di non dichiarazione a carattere previdenziale,
utilizzata sia dall'Istituto per l'iscrizione di artigiani, commercianti o professionisti, sia a beneficio delle casse previdenziali, che hanno scoperto anche aree di non iscrizione previdenziale di professionisti.
In termini di utilizzo, lo scambio delle informazioni della banca dati contributiva e della banca dati fiscale serve per ottenere ulteriori informazioni, oltre a quelle che ci provengono dai comuni sullo stato civile, per il riallineamento dei decessi e quindi, sotto il profilo previdenziale, per l'eliminazione delle prestazioni pensionistiche; su tutte, l'informazione cardine è la validazione del codice fiscale, che fa riferimento all'ente certificatore della codifica fiscale. Sotto questo profilo, molto importante è anche l'eventuale correzione del codice fiscale, così come la risoluzione delle cosiddette «omocodificazioni». Per dare un'idea del volume di scambi che si realizzano, mediamente ci sono circa 13.000 accessi alla banca dati fiscale, che avvengono sia a livello massivo quando, attraverso un transfer file, si debbono scambiare informazioni sulle classi che si intendono erogare, sia attraverso utenze individuali, che accedono alla banca dati fiscale - parliamo ovviamente dell'INPS versus l'Agenzia delle entrate - che vengono effettuate con un protocollo rigido, deciso dall'Autorità garante della protezioni dei dati personali, che ha definito in merito regole ben precise. Teniamo a precisare che tutti gli accessi alla banca dati sono tracciati e che quindi è possibile individuare quale funzionario ha effettuato l'accesso e cosa ha chiesto alla banca dati dell'anagrafe fiscale. Per i dettagli dell'operazione, sono poi a disposizione il dottor Antonello Crudo, direttore centrale delle entrate oltre che vicario del direttore generale, e il dottor Giulio Blandamura, per quanto concerne gli aspetti tecnici dello scambio dei dati. Per dare l'idea del volume di scambi effettuati, nel corso del mese di marzo abbiamo avuto con l'Agenzia delle entrate uno scambio di poco più di 1,8 milioni di informazioni.
Un altro importante versante in cui svolgiamo questa cooperazione - oltre a quello delle entrate, con l'operazione Poseidone di cui ho detto - è quello della verifica e del controllo delle prestazioni collegate al reddito e quindi delle prestazioni pensionistiche, che hanno una quota parte di assistenza collegata al reddito, non esclusivamente a carattere fiscale. Una buona componente del reddito viene rilevata o controllata attraverso la verifica che svolgiamo con l'Agenzia delle entrate, quando il soggetto - pensionato o soggetto ISEE - non ha dichiarato, pur essendovi tenuto, oppure quando ha effettuato la dichiarazione sostitutiva unica. Viene verificato che le informazioni da autocertificazione provenienti dal CAF siano coerenti con quelle dell'Agenzia delle entrate. Abbiamo anche alcuni dati, sotto questo profilo. Nella campagna del 2010 abbiamo avuto 9,6 milioni di soggetti interessati, di cui 4,6 milioni con redditi ottenuti dall'Agenzia delle entrate e 3,5 milioni dai CAF, con un livello di correzione complessiva pari a poco meno dell'8 per cento del totale, e il 12 per cento dei soggetti riscontrati con l'Agenzia delle entrate (parlo della carta acquisti). Un'altra informazione, per darvi l'idea della grandezza dell'operazione di riscontro, concerne professionisti, artigiani e commercianti: l'allineamento delle banche dati fiscali e previdenziali ha portato a un accertamento, per quanto riguarda questi professionisti, di 53 milioni di euro per 10.000 soggetti nel 2004, di 77 milioni con 12.000 soggetti nel 2005 e di poco meno di 60 milioni con 12.000 soggetti nel 2006.
Per quanto riguarda invece artigiani e commercianti che presentano dichiarazioni al fisco e non sono iscritti o hanno un reddito superiore a quello dichiarato al fisco, ricordo a me stesso che, per quanto riguarda la contribuzione previdenziale, c'è una quota fissa che si paga sulla base di un reddito convenzionale, al momento dell'iscrizione, e una quota variabile legata al reddito. I due aspetti che si pongono in evidenza con il controllo incrociato delle banche dati sono sia la mancata iscrizione, nel caso di commercianti, sia, nel caso di commercianti e artigiani, un disallineamento
tra il reddito dichiarato al fisco e quanto dichiarato alla banca dati previdenziali.
Chiudo questa breve premessa di illustrazione della relazione facendo presente che questa cooperazione realizzata con l'Agenzia delle entrate è molto importante, ma avviene nel rispetto del trattamento dei dati, che debbono rimanere distinti, a nostro giudizio di tecnici che lavorano nell'ambito della previdenza, tra l'aspetto fiscale e l'aspetto previdenziale, per il semplice fatto che i dati hanno un utilizzo differente. Mentre noi abbiamo bisogno di dati aggiornati mensilmente, sulla base del sistema EMens e del sistema previdenziale - ad esempio, un altro aspetto importante, di cui non ho detto in premessa, è il controllo sulle prestazioni a conguaglio: assegni familiari e tutte le altre prestazioni collegate in qualche misura al reddito - la banca dati fiscale ha bisogno invece di un dato che generalmente si consolida annualmente sul reddito. L'aspetto importante di questa cooperazione è che concerne essenzialmente la medesima platea - stiamo parlando di tutta la cittadinanza italiana - ma con logiche normative, amministrative e di utilizzo vicine, ma distinte.
SETTIMO NIZZI. Avremo poi modo di leggere con attenzione la vostra relazione. Mi sono domandato come mai abbiate dei dati - mi riferisco alla tabella numero 3 inerente ai professionisti, a pagina 17 - risalenti a cinque anni fa: è stata una vostra scelta oppure avete necessità di molto tempo per elaborarli? L'Agenzia delle entrate, nei giorni scorsi, ha riferito che in base alle denunce dei redditi presentate tra giugno e luglio tra ottobre e novembre riesce ad avere tutti i dati presenti all'interno del proprio sistema operativo.
Vorrei cogliere questa occasione importante per fare alcuni rilievi. Sono un medico di medicina generale e vorrei innanzitutto chiedervi, se possibile, di trattare la questione relativa all'esenzione. Abbiamo tantissimi soggetti che vengono esentati dal pagamento della quota a carico dei cittadini: è sufficiente che il paziente si rechi con il CUD all'ufficio ticket dell'ASL, dichiari il proprio reddito e, se questo non supera un certo livello, venire dichiarato esentato per un anno. L'ultima scadenza è stata al 31 marzo 2012, mentre la prossima sarà al 31 marzo 2013. Avete provveduto a fare dei controlli in merito? Vengono effettuati controlli on line per verificare se tutti i soggetti che ne godono ne hanno diritto? C'era stata la malaugurata idea, da parte di qualche collega, secondo cui avremmo dovuto denunciare i pazienti ricchi oppure che avevano un tenore di vita superiore al dichiarato, cosa che naturalmente non faremo mai. Lavoriamo però con il sistema EMens, per quanto riguarda i certificati medici di malattia redatti dai medici.
In secondo luogo, vorrei sottolineare un altro aspetto che ritengo importante. Aprendo il vostro sito per accedere ai modelli di certificazioni ivi presenti, scopriamo che l'INPS - cosa allucinante, nel 2012 - offre modelli scoloriti e drammaticamente illeggibili. Non so quale sia la tecnica utilizzata, ma penso si potrebbe sicuramente migliorare, anche quanto alla presentazione, alla facilità di accesso e all'utilizzo di quei dati. Scusate se premo su questa cosa, ma è un dato certo: quando mi collego, trovo che i modelli dei certificati sono illeggibili.
In ultimo, il medico di medicina generale redige la domanda di richiesta di invalidità - un problema importante per la nostra nazione - su un modulo, di cui però non esiste la versione informatizzata: il modello SS3, specifico per quanto riguarda i dipendenti INPS o per chi vuole anticipatamente andare in pensione. Vi chiedo un approfondimento sulla questione o eventualmente anche uno scambio di notizie tra il sottoscritto e voi, considerato che ci sarà sicuramente qualcuno che sovraintende e verifica quotidianamente queste cose. Non sarebbe sicuramente male.
GIULIANO BARBOLINI. Buongiorno e grazie delle comunicazioni e delle informazioni che ci avete fornito. Faccio una
premessa di giustificazione del senso delle due domande che porrò: a me non capita di frequente di incrociare l'INPS e quindi ne approfitto. Prendo spunto da una cosa che veniva detta, come commento, in conclusione dell'illustrazione. Se non ho capito male, lei diceva che c'è questo forte flusso di relazione e di scambio informativo fra INPS e Agenzia delle entrate, ma che in realtà questa fa un utilizzo diverso dei dati. Ci forniva quindi una motivazione del perché la relazione è così intensa e della sua necessità e specificità. Lei può forse rispondermi dicendo che questa non è materia di pertinenza, né di questa Commissione, né vostra, però vorrei scavare un po' di più attorno a questa questione.
Parto da un ragionamento sulla spending review, questa mitica parola anglosassone, il mantra col quale potremmo operare qualche tipo di ottimizzazione e di efficientamento nel funzionamento del sistema. Lo dico perché, per esempio, con riferimento alle agenzie fiscali - e quindi non parlo di voi - si sono previsti in una legge finanziaria dei processi di accorpamento e unificazione. Una cosa non semplice e forse neanche felicissima, come indirizzo, nel senso che le singole agenzie fiscali svolgono compiti diversi. Qui stiamo parlando invece di una decisione circa l'unificazione di INPS e INPDAP. Credo che semmai bisognerebbe riannodare il tema della totalizzazione contributiva per evitare i doppi canali, tutte cose complicatissime. Il risultato di tutto questo è, sul versante INPS, una struttura di tutto rispetto, dal punto di vista delle dimensioni.
Il mio interrogativo nasce anche da una curiosità di ricerca intellettuale, che ci si augura possa trovare poi una ricaduta anche sul piano applicativo e normativo. Ho citato l'unificazione di INPS e INPDAP, cosa per me complessa ma efficace. Forse bisognerebbe accorpare anche di più tutte le questioni previdenziali e i rapporti con le agenzie fiscali. Mi chiedo se in questi due mondi che si parlano e che hanno vocazioni e caratteristiche diverse, non esista una possibilità, per esempio, che alcuni degli adempimenti che voi fate come INPS - accertamenti e verifiche - possano transitare all'Agenzia delle entrate, trovando ovviamente la maniera di mantenere i flussi informativi e conoscitivi ma consentendo di «economizzare» e ottimizzare un'area di possibile sovrapposizione degli interventi. È un tema su cui mi piacerebbe sentire una vostra opinione, anche se posso immaginarla.
L'ultima questione è invece una curiosità, che in parte rischia di contraddire quello che ho detto in precedenza. È evidente che, quando si fanno tali accorpamenti, si pensa a una razionalizzazione delle sedi, delle strutture e del personale; tuttavia, è vero o no che esiste anche, sulla base di relazioni della Corte dei conti e di valutazioni interne, un problema di consistente saldo negativo del turn over per il personale INPS? Questo non potrebbe motivare e giustificare anche un'attenzione a nuovi ingressi? So che avete degli idonei che, come tutti gli idonei, scalpitano per entrare, ma al netto della loro legittima aspirazione, c'è anche un interesse a ringiovanire i quadri, per l'evoluzione che richiede il governo di tutte queste complesse problematiche?
GIAMPAOLO FOGLIARDI. Grazie anche da parte mia di questo vostro contributo, che sarà sicuramente approfondito ed è motivo di arricchimento, nell'ambito della nostra indagine e anche da un punto di vista personale. Vi rivolgo alcune domande improvvisate e formulo alcune riflessioni.
Nella sua introduzione lei ha fatto un accenno, direttore, all'operazione Poseidone. Mi interesserebbe che questa venisse focalizzata, anche per conoscerne i riflessi, che mi pare abbia avuto, sul cosiddetto «modello 770». Da sempre sostengo che quando il commercialista, stilando la dichiarazione dei redditi del contribuente, gli comunica l'importo dei versamenti da effettuare, questo si lamenta delle tasse eccessive, ma nel complesso della valutazione, tali importi comprendono anche i contributi INPS, a percentuale, in modo particolare. È proprio così fondamentale e determinante? Sicuramente avrete fatto
dei conti e delle valutazioni. Se infatti considero la posizione di un singolo artigiano o commerciante, l'imposizione l'IRPEF che deve pagare alla fine, questa non è tanto esagerata: lo è il bagaglio complessivo che si determina aggiungendo tutto quello il resto. Per carità, ci sono anche le addizionali, ma a incidere molto è in particolare la vostra fetta mentre nel passato non era così. Avete poi esteso - anzi, abbiamo esteso: voi siete soltanto degli esecutori, ovviamente, e noi ci dimentichiamo spesso di questo vostro ruolo - l'imposizione INPS anche alle attività di società di capitali, quindi anche al commerciante che esercita come srl, che anni fa non doveva essere iscritto.
Ritornando però all'incidenza delle quote INPS, anche in un'ottica, a mio giudizio, di razionalizzazione, quella verso cui si sta tendendo, ritenete fondamentale la funzione della ritenuta d'acconto all'origine e la conseguente raccolta dei dati in un modello 770? Spesso quest'ultimo potrebbe sembrare quasi superfluo, essendo un modello riepilogativo - e non un modello che porta all'imposizione e al versamento - che i consulenti, i CAF e i commercialisti fanno per fornire allo Stato un meccanismo di confronto e di verifica delle ritenute effettuate alla fonte e dei versamenti contributivi. Credo infatti che questo punto sia rilevante anche nell'ambito della riforma della delega che dovremo affrontare, rispetto alla quale si è sempre molto discusso sull'incentivazione dell'imposizione a monte; anche se questa riguarda solo collateralmente l'INPS, essa c'entra però di fatto, nell'ottica di questa collaborazione. È fondamentale incentivare sempre di più una ritenuta alla fonte, con una raccolta e un'esposizione di un dato di questo genere? Serve e aiuta? Spessissimo infatti, profanamente, ce lo si chiede, anche di fronte a società di una certa entità. Posso farvi degli esempi. Operando sul lago di Garda, nel settore turistico, penso ai dipendenti che un campeggio o un grosso albergo può avere: a fine stagione mi trovo a dover inviare un modello 770 di enormi dimensioni. Voglio sperare che gli aiuti del computer e dell'elettronica moderna aiutino a individuare una soluzione, perché non ci si può limitare al cartaceo. Ecco allora la mia domanda: sono dati che balzano subito all'occhio e che vi sono evidenziati immediatamente o che invece vi servono solamente se andate alla loro ricerca? Faccio un esempio: se il contribuente Fogliardi ha inserito qualche sciocchezza in quei modelli, essa vi balza all'occhio in modo evidente oppure voi scovate il contribuente Fogliardi solamente se è sottoposto a un controllo? Questo ha una sua importanza anche ai fini della nostra indagine, ai fini di un'individuazione della banca dati successiva e dell'incremento che dovremmo fare su questa strada? Mi pare che altrimenti questa enorme mole di lavoro, alla fine, stringi stringi, potrà servire molto probabilmente per applicare la ritenuta alla fonte e per fare controlli, ma senza dare risultati evidenti.
LUCIO ALESSIO D'UBALDO. È sempre molto utile il confronto che abbiamo con le grandi agenzie e strutture come, in questo caso, l'INPS. Vorrei chiedere innanzitutto un'informazione che mi sembra più di tipo metodologico. Nella prospettiva della fusione tra INPS e INPDAP ci possono essere vantaggi? Da inesperto, io non li vedo, perché le banche dati dell'INPDAP sono relative ai dipendenti pubblici o ad alcune figure come i medici, quindi non si tratta di dichiarazioni. Non sono pertanto dati che possono riportare o rimandare a evasione. Dico però questa cosa da inesperto, che invece può essere contraddetta. Mi piacerebbe sapere se avete pensato all'utilizzazione di queste banche dati e in che termini. Vorrei poi una spiegazione sulla parte finale del documento, perché qui ci troviamo di fronte a qualcosa di interessante, per capire quali sono le dinamiche di una parte del comportamento «scorretto». Riguardo alle prestazioni a sostegno del reddito, la stampa aveva già riportato alcune notizie e il Parlamento si è interrogato su questo, ma solo adesso, per quanto mi riguarda, vedo per la prima volta dati precisi. Vorrei quindi qualche spiegazione.
Cominciando dalla fine, mi pare sia abbastanza chiaro quello che intende dire. Una volta acquisiti tutti questi dati - che, se non erro, sono quelli derivanti dalla dichiarazione sostitutiva, il modello DSU - voi li trattate. Se non ho letto male, per quanto riguarda la carta acquisti - una delle modalità di sostegno fornite dallo Stato e dal Governo italiani - ci sono, per ricapitolare, 680.675 cittadini della Repubblica italiana che hanno fatto richiesta di accedervi. A questo punto, c'è una prima cosa che non capisco: di questi soggetti l'Agenzia delle entrate ha potuto fornire il reddito solo per 446.479, quindi per un totale di quasi il 66 per cento. Una parte dei cittadini richiedenti dunque sfugge: parliamo del 35 per cento. Facendo questa considerazione, mi rendo ben conto che le mie affermazioni sono sicuramente molto grezze, ma mi sorprende registrare il fatto che gli apparati pubblici dello Stato non sono in condizione di capire che reddito abbia il 35 per cento di questi cittadini. Non è un piccolo segnale. Vorrei capire se sto leggendo male oppure se questo è il vero dato, e come lo giudicate, dal punto di vista dell'analisi statistica, delle conoscenze tecniche e della vostra esperienza. In questo aggregato di oltre 680.000 soggetti abbiamo poi - e anche questo mi pare un elemento interessante - circa 53.000 persone, pari a circa un 9-10 per cento, che hanno un reddito superiore, che cioè, per dirla in maniera semplice, hanno fatto richiesta ma non avevano titolo per farlo. In ultimo, abbiamo 10.000 soggetti per i quali è stato sospeso il beneficio: anche qui bisogna capire cosa è successo. È accaduto forse che, nel passaggio da un anno all'altro, il soggetto ha riproposto la richiesta, diciamo così, per errore, e poi si è verificato invece che nei due anni il reddito percepito era diverso? Oppure siete voi ad aver fatto - a distanza di un anno o di due, non so - delle verifiche più approfondite e quindi quest'ultima categoria deve essere assorbita nella precedente, cioè nei 53.000 che non avrebbero diritto al beneficio? Tutto questo per dire che, fra una cosa e l'altra, su un aggregato di quasi 700.000 cittadini italiani, abbiamo un buon 10 per cento che, in un modo o nell'altro, sarebbe da considerare fuori dal beneficio previsto.
La mia domanda finale - perché mi pare che dagli aridi dati della statistica possono essere ricavati utili elementi di giudizio, anche dal punto di vista politico - è se questo 10 per cento di cittadini, che in un certo senso si sono avventurati in un'operazione che risulta infondata, ci debba forse spingere a credere che c'è un fabbisogno che non viene coperto altrimenti, che cioè ci sono persone che, siccome stanno veramente in difficoltà, prendono carta e penna per chiedere un aiuto, anche se magari immaginano che per qualche aliquota marginale non rientrano nel quadro dei beneficiari: persone che, per dirla in termini grezzi, comunque ci provano; oppure se ci sia un fenomeno di persone che, qualunque dispositivo si applichi, in un certo senso cercano di «approfittarne». Capisco che vi chiedo così un giudizio più sofisticato, per fornire il quale dovremmo affrontare una conversazione più ricca, però può darsi che voi, studiando, verificando, incrociando i dati, possiate aiutarci a capire che segnale rappresenti questo 10 per cento di persone che non hanno diritto al beneficio. Innanzitutto vorrei sapere se lo ritenete un fenomeno piccolo o grande e, in secondo luogo, se sia attribuibile a distrazione; oppure se ci sia un tentativo, seppur piccolo, di tipo fraudolento; o se invece il fenomeno rappresenti un fabbisogno che, come dicevo da ultimo, non viene coperto in altra maniera e che quindi passa attraverso questa griglia, percepita come utile per trovare una risposta.
PRESIDENTE. Anch'io intendo ringraziare il direttore generale e gli altri dirigenti dell'INPS. Mi sono un po' incuriosito dalle affermazioni, contenute a pagina 18, che riguardano l'attivazione, dal 2010, di una struttura di intelligence, con l'obiettivo di svolgere una serie di azioni di grande interesse. Vedo che, tra le varie attività, vengono elaborate liste di non congruità o non coerenza contributiva, utilizzando elementi informativi provenienti da banche
dati interne ed esterne. Mi sembra che questo modello, già sul versante dell'Agenzia delle entrate, sia quello utilizzato per i cosiddetti «studi di settore». Vedo poi, a fondo pagina, che la direzione dell'accertamento dell'Agenzia delle entrate ha fornito un campione di 3.324 soggetti riguardo ai quali si sono riscontrate delle anomalie.
Questo è un settore importantissimo perché, in buona sostanza, nel mondo dei soggetti per cui sono in vigore gli studi di settore, quindi quelli i cui ricavi non superano i 5 milioni di euro, si può annidare tanta evasione contributiva. A questo proposito mi chiedevo se, indipendentemente dai dati che vengono forniti dall'Agenzia delle entrate, voi stiate effettuando dei controlli, e come, su un modello dedicato della dichiarazione dei redditi - il modello degli elementi utili ai fini degli studi di settore - sul quali penso che possiate svolgere autonomamente tutta una serie di indagini; o se invece attendete gli elementi forniti dall'Agenzia delle entrate. Loro fanno valutazioni e selezioni, sui soggetti e sui contribuenti, tant'è vero che il loro numero - 3.324 - non è granché rilevante e importante. Sarebbe invece utile un vostro accesso ed esame diretto al modello di dichiarazione, agli elementi utili per gli studi di settore, tant'è vero che proprio in recenti provvedimenti come il «Salva Italia», si è detto che la puntuale indicazione di questi elementi ai fini degli studi di settore è necessaria, per evitare accertamenti induttivi e per la riduzione dei termini dell'accertamento. Penso quindi che questa indagine possa portare a significativi e proficui risultati.
Con riferimento a quanto diceva il direttore sui 13.000 accessi, se capisco bene, si tratta di accessi quotidiani. Sulle dichiarazioni ISEE, invece, come vengono effettuati i controlli? Vediamo che con l'Agenzia delle entrate lo scambio di informazioni è importante, ma sul versante delle università e degli enti locali che cosa succede? Ci sono scambi di informazioni? Quali criteri vengono seguiti per i controlli? Sono fatti a campione o per tutti? Lo chiedo in modo tale da avere un'informativa anche su questi aspetti. Qualora vi siano benefici sul versante dell'assistenza, nel momento in cui questi vengono revocati, ciò avviene con effetto retroattivo o ex nunc? Queste sono alcune informazioni che ci farebbe piacere conoscere.
MAURO NORI, direttore generale dell'INPS. Gli interventi sono stati accurati e offrono lo spunto per fornire dapprima un quadro d'insieme e poi rispondere puntualmente.
Sull'operazione Poseidone, faccio solo un'annotazione, poi chiederò al dottor Antonello Crudo di chiarirne meglio i profili. Forse non mi sono spiegato bene nella premessa; non è che abbiamo dati vecchi: quelli riportati nella relazione sono i dati che abbiamo realizzato in termini di accertamento attraverso l'incrocio con le dichiarazioni da noi riscontrate sui modelli 770 e quindi sulle ritenute d'acconto effettuate. Di conseguenza, abbiamo retroagito (mi pare che l'operazione sia stata fatta nel 2009, e poi ovviamente reiterata) in riferimento al periodo di prescrizione e quindi abbiamo individuato soggetti che potenzialmente, però con un grado di confidenza molto alta, avrebbero dovuto iscriversi ai fini previdenziali. La gran parte di loro è stata iscritta all'INPS e una buona parte, a seguito di un processo elaborato mediante tavoli tecnici presso Ministero del lavoro e Conferenza dei servizi, è stata iscritta anche alle casse professionali.
Consentitemi di tracciare un quadro d'insieme. Quando parliamo di incrocio di banche dati, parliamo di fenomeni che debbono essere conosciuti sulla base dei vari punti di accesso che un soggetto, una società, ha nei confronti dello Stato, considerato nel suo insieme. Da questo campo dobbiamo quindi chiaramente scorporare - e qui vado a dare prudenzialmente una risposta anche al senatore D'Ubaldo - dall'incrocio delle banche dati, i disallineamenti che possiamo incontrare tra ciò che si dichiara al fisco e ciò che si dichiara alla previdenza; indici di rischio che danno luogo ad ulteriori approfondimenti del concetto di intelligence, che poi chiederò
al dottor Crudo di chiarire meglio, ma che non ci danno la contezza di un soggetto che risulta nullatenente e non ha accessi nei confronti dello Stato. In quei casi ci devono essere solamente interventi di accertamento fisico sul soggetto da parte della polizia giudiziaria e della Guardia di finanza.
Nel caso della carta acquisti parliamo di soggetti indigenti, che molto spesso non dichiarano al fisco perché non debbono farlo - non hanno l'obbligo di dichiarazione - e pertanto siamo in quella zona grigia, aggredire la quale, da parte di chi amministrativamente deve farlo, comporta una problematicità elevatissima, considerato che in quell'universo c'è di tutto: la persona indigente, ma anche l'evasore totale. Non abbiamo strumenti per poter aggredire questa fascia, se non quelli di intervento diretto. Se aggrediamo tale fascia con masse di interventi, per stanare gli evasori, andiamo magari a trovare il soggetto realmente indigente, che quindi genera anche disagio sociale, ma, allo stesso tempo, se interveniamo in maniera blanda, impattiamo magari invece anche con soggetti che scientemente e volontariamente richiedono il beneficio pur detenendo enormi redditi. L'incrocio con le banche dati serve quindi semplicemente a conoscere un fenomeno e a disegnare un idealtipo - ovviamente, nel nostro caso, un idealtipo previdenziale - sotto il profilo dell'accertamento della corretta contribuzione oppure dell'accertamento della corretta prestazione, quando questa viene collegata al reddito. Rimangono fuori tutti quei soggetti che, a ragione o a torto, non appaiono all'interno del sistema statale. Su questo aspetto c'è ancora tantissimo da fare, non abbiamo risolto tutti i problemi.
Un altro aspetto fondamentale che qui è stato toccato sia da parte dell'onorevole Nizzi, quando parlava dell'esenzione dal pagamento del ticket, sia da tutti gli altri interventi (tangenzialmente, dall'onorevole Barbolini, dagli onorevoli Fogliardi e D'Ubaldo e, in ultimo, anche dal Presidente). Quello dell'assistenza è un mondo che dobbiamo ancora aggredire. Abbiamo avuto un'esperienza fortunata con il casellario dei pensionati, che funziona da ormai un ventennio e che è stato il primo embrione di incorporazione di enti. Per la prima volta abbiamo fatto confluire all'interno dell'INPS tutte le pensioni erogate sul territorio italiano e abbiamo scoperto che la fiscalità veniva in qualche modo a essere disarticolata sulle pensioni. Ricordo che sulle pensioni siamo sostituti d'imposta, nei confronti dell'Agenzia delle entrate e, in generale, dello Stato. Nel corso di questi ultimi vent'anni l'assistenza, sia in termini diretti di prestazioni erogate, sia in termini indiretti di sconti su tariffe a base territoriale, è stata un fenomeno di dimensioni rilevantissime, che ancora deve essere in qualche modo perimetrato, sotto il profilo dei controlli, sia delle dichiarazioni, sia anche degli effetti. Mi spiego meglio: abbiamo raggiunto, attraverso la dichiarazione unica, l'ISEE, una rilevante popolazione dell'archivio sull'assistenza, raccogliendo una serie di informazioni. Queste dichiarazioni debbono essere utilizzate su due versanti: il primo è la verifica che le dichiarazioni, provenienti da una sorta di autocertificazione, ancorché veicolata attraverso i centri di assistenza fiscale, siano rispondenti ai dati che vengono forniti al fisco. Queste operazioni le stiamo facendo, abbiamo dato conto di una serie di allineamenti e disallineamenti e possiamo dire che l'allineamento complessivo sia assolutamente soddisfacente, ma c'è ancora una fase di aggressione. Tutto un altro versante che invece merita di essere approfondito è quello delle conseguenze delle dichiarazioni rispetto a quanto viene fruito, in maniera diretta o indiretta. Mentre in maniera diretta, ad esempio tramite l'assegno sociale erogato dall'istituto, abbiamo raggiunto un grado assolutamente elevato di controllo, e quindi di sanzione, per errata dichiarazione, per dichiarazione incongrua o per situazione personale priva dei requisiti necessari per ottenere la prestazione, manca invece, e non potrebbe essere che così, un comportamento conseguente rispetto alla vasta platea di interventi riguardanti gli enti locali.
Faccio un esempio, senza dire il nome del protagonista. Nei giorni scorsi è arrivato nel mio ufficio il direttore generale di un importante comune italiano che mi ha riferito un dato riguardante l'erogazione dei canoni di locazione a tasso agevolato. Chi di voi ha avuto esperienze in materia, sa che si parla di canoni a 7 o 8 euro. Su un cluster di 10.000 soggetti, questo direttore generale ha riscontrato, in maniera artigianale, che circa 2.000 dichiarano al fisco redditi rilevanti e che quindi beneficiano ingiustamente di tale canone. Questo riscontro è stato fatto con un'operazione non sistematica come quelle che stiamo facendo noi, bensì in maniera artigianale da parte della struttura comunale che si occupa di questi aspetti. Altri esempi riguardano le mense scolastiche o le tasse universitarie.
Voglio fare qui però un discorso di carattere più generale. Noi dobbiamo intervenire, da un lato, con un elemento di semplificazione, cosa necessaria quando andiamo a controllare 18, 20 o 24 milioni di dichiarazioni nell'ambito di un triennio, su cui non possiamo intervenire in maniera puntuale. Già l'ISEE è un elemento straordinario, in questo senso. Manca però l'altro versante del controllo, quello sui requisiti per poter accedere alle prestazioni, stabiliti da una congerie di istituzioni ed enti (università, comuni, enti locali in genere). Anche in questo, pur considerando le singole specificità - che vanno sempre salvaguardate, perché la massificazione crea disastri - occorre un minimo di standardizzazione per consentire un controllo efficace. È inutile controllare 12 milioni di dichiarazioni ISEE, scoprire che 7 milioni di esse mostrano un disallineamento, mandare 7 milioni di lettere e poi non avere contezza di ciò a livello di enti locali e università, per rendere effettive quelle dichiarazioni, che si sanno essere sbagliate, e rispetto alle quali manca però il comportamento attivo da parte dell'ente deputato a erogare le sanzioni. Questo non manca totalmente, però c'è neghittosità in merito. Ci sarà sicuramente un atteggiamento benevolo, da parte degli enti, non abituati a interventi di tipo sanzionatorio, ma manca anche un meccanismo che renda standardizzabile e quindi controllabile, attraverso strumenti informatici e strumenti di compliance con il cittadino. La finalità non è tanto quella di sanzionare il soggetto, ma di abituarlo a dichiarare correttamente negli anni futuri e quindi a usufruire o non usufruire correttamente di alcuni benefici. Non so se sono stato chiaro: questo attiene a tutti i benefici di carattere assistenziale. Non a caso, stiamo lavorando da cinque anni a quello che viene definito il «casellario dell'assistenza». So che questo termine non piace alla Conferenza Stato-Regioni - lo abbiamo mutuato dal nostro casellario delle pensioni e dal casellario dei lavoratori attivi - che preferisce l'espressione «anagrafe delle posizioni assistenziali». Non ci interessa il problema lessicale: l'importante è che riusciamo a creare un'infrastruttura conoscitiva.
Apro una parentesi per dire che non credo l'INPS debba fare anche questo. Abbiamo la possibilità di mettere a disposizione le nostre infrastrutture tecnologiche e anche le nostre energie umane, a beneficio di un organismo politico che deve governare questo soggetto (casellario, anagrafe o banca dati). Esso deve avere rappresentanti dell'amministrazione centrale, governativa, e rappresentanti delle amministrazioni territoriali, perché entrambe compongono l'universo delle prestazioni erogate, direttamente o indirettamente. Mi riferisco a questo fenomeno perché effettivamente ci siamo resi conto che, pur erogando buona parte dell'assistenza diretta, in maniera evangelica la mano destra non sapeva che cosa facesse la mano sinistra. Non mi riferisco solo alla funzione coercitiva e sanzionatoria, ma anche alla funzione conoscitiva, a livello complessivo dello Stato, su come si spendono le risorse appostate direttamente o indirettamente. Faccio un esempio su tutti, prima di proseguire brevemente nelle risposte. Mettendo insieme le informazioni, ci rendiamo conto che, se a Milano un pensionato sociale prende poco meno di 500 euro al mese, dal punto di vista statuale, nostro dell'INPS, è più indigente,
ad esempio, di un pensionato con il trattamento minimo a Palermo, che percepisce una prestazione previdenziale un po' più alta; poi magari quel pensionato o quella pensionata di Milano ha anche la contribuzione per l'affitto di casa, l'esenzione, per cui mette insieme un reddito di tipo assistenziale magari doppio o triplo di quello percepito dal pensionato di Palermo, che non riceve altri aiuti. Non dico questo in funzione del fatto che occorra conoscere queste informazioni per andare a ridurre il reddito assistenziale nei comuni virtuosi come Milano (o come Bolzano, che è in testa a queste classifiche). È chiaro infatti che il decentramento comporta anche la capacità del comune di amministrare le proprie risorse, senza che al centro ci sia un vaso di compensazione delle risorse. Lo dico perché una classe dirigente politica, centrale e periferica, deve avere contezza di dove le risorse vengono collocate: sia le risorse dirette, che vengono da prestazioni erogate direttamente, sia quelle indirette, che vengono da sconti di tariffe e da interventi. Questo studio, effettuato ormai cinque o sei anni fa, si è tramutato in legge e adesso dobbiamo lavorare affinché diventi uno strumento agibile, da questo punto di vista. Come ripeto, tale strumento non deve essere governato dall'INPS - perché altrimenti cominceremmo veramente a fare di tutto e di più e forse questo non sarebbe nemmeno utile - ma da un organismo politico a carattere centrale e territoriale, affinché dia alle strutture che operano gli indirizzi normativi di standardizzazione dei livelli di assistenza.
Quanto alla spending review e all'efficientamento, in riferimento a quanto detto su INPS e INPDAP - ovviamente lascio i temi di Poseidone e del modello 770 al dottor Crudo - vorrei subito fare chiarezza su una serie di informazioni che probabilmente non sempre si conoscono. Recentemente ho portato alla XI Commissione dei dati, su base Eurostat, riguardanti i costi di struttura del sistema previdenziale italiano rispetto a quello francese e tedesco. Chi conosce un po' i sistema previdenziali sa che l'INPS è un unicum, sicuramente a livello europeo e forse anche mondiale. Mi sono occupato per tre anni di estero e ogni volta che mi confrontavo con i miei colleghi - non parlo solo di quelli europei, ma anche di quelli statunitensi o anglosassoni - emergeva che il livello tecnologico e di gestione dell'Istituto era immensamente superiore. Noi siamo un modello internazionale. Non a caso, dodici anni fa, quando l'Australia ha deciso di rivoluzionare il sistema organizzativo del suo welfare, l'ha fatto sulla base del modello INPS. Per fare un esempio, per erogare e verificare le stesse prestazioni che fa l'Istituto, che fino a dicembre di quest'anno aveva 26.000 dipendenti, e adesso, con l'incorporazione, ne ha 34.000, in Francia, per il solo welfare, ci sono più di nove enti, in cui lavorano 120.000 persone. Nella sola Germania, per la sola previdenza, - e noi non facciamo solo previdenza, ma anche assistenza e sanità (l'invalidità civile su tutti) - ci sono due enti, che impiegano 80.000 persone. Con la semplicità e forse anche coerenza teutonica, i tedeschi hanno un ente accentrato per gli impiegati e un ente decentrato nei Länder per gli operai. Da questo punto di vista, loro sono molto selettivi, con problemi identici a quelli italiani, tra chi, nell'ambito dell'incorporazione - che sta durando da dieci anni, per darvi anche dei termini di riferimento - dovrà gestire la cassa e chi dovrà occuparsi della gestione finanziaria. Questo per dirvi che spendiamo 1,2 punti in meno della Francia, rispetto alle masse amministrate, e 1 punto in meno della Germania. Questa è la premessa per dire che sicuramente non siamo la Cenerentola del gruppo, ma anzi siamo alla testa, a livello mondiale, degli enti che gestiscono, in termini strutturali, il sistema di welfare. Vi dico subito, come non mi stanco mai di ripetere, che il sistema EMens, ovvero la possibilità di conoscere in tempo reale retribuzione, contribuzione, eventi di malattia e codici gnoseologici di tutti i lavoratori, ce l'ha un solo Paese al mondo: l'Italia. Non ce l'hanno gli Stati Uniti, l'Inghilterra, il Giappone e nessuno degli
altri Paesi avanzati. Queste sono eccellenze che, a mio avviso, debbono essere sottolineate.
Finito lo spot, arrivo al tema della spending review. Con l'incorporazione abbiamo chiaramente delle potenzialità di razionalizzazione e di riduzione della spesa, anche rilevanti, anzitutto sulla logistica immobiliare. Credo che il processo di definizione dell'incorporazione dell'INPDAP si compirà nei prossimi tre o quattro anni, mentre quello dell'ENPALS sarà relativamente più semplice, sia perché è un ente più piccolo, sia perché è molto più vicino al nostro. Tale incorporazione non può non passare attraverso l'utilizzo del patrimonio immobiliare che ci proviene dall'INPDAP e dall'ENPALS e quindi attraverso la razionalizzazione delle sedi e il loro accorpamento.
Un primo livello di razionalizzazione è quindi quello dell'immobiliare, mentre un secondo livello di razionalizzazione è quello della tecnologia informatica. È chiaro che alcune spese, come quella del sistema dell'INPDAP, non paragonabile a quello dell'INPS, rappresentano inevitabilmente costi (sui campus, sulle banche dati ed altro) sovrapposti e quindi eliminabili. Un altro livello di razionalizzazione riguarda le spese per servizi a carattere postale. Sul personale, il livello di razionalizzazione è molto basso, primo perché, come è stato rilevato prima dal senatore Barbolini, per l'INPS il turn over è negativo di circa 2.000 dipendenti e, per effetto di ormai un decennio di impossibilità di assunzioni, non abbiamo ricambio, quindi la confluenza potrà generare un afflusso di risorse umane che potranno essere meglio utilizzate. Sulla base di questo stiamo realizzando un piano triennale di recupero delle eccedenze sugli altri enti.
Ricordo poi a me stesso che siamo un'azienda di servizi, che opera ogni giorno sul territorio a beneficio di 25 milioni di famiglie, e che, per quanto telematiche possano essere le aziende di servizi, siamo altamente tecnologici nello scambio dei dati. Si tratta comunque, come per tutti i servizi, di un rapporto di tipo personale con lo Stato, con l'Istituto, con il sistema.
Per quanto riguarda i modelli illeggibili e scoloriti, chiediamo scusa. Se poi eventualmente ci darà delle indicazioni precise, faremo ovviamente gli interventi necessari. Riguardo ai certificati di malattia e di invalidità civile, mi sento di assumere questo come il fiore all'occhiello dell'Istituto, perché nel 2010, quando ancora si parlava, da circa un biennio, di automatizzare tali certificati, in sei mesi abbiamo introdotto la presentazione dell'invalidità civile in forma automatizzata su tutto il territorio nazionale. Ormai ciò non presenta più problemi o criticità in nessuna parte del territorio nazionale, tant'è che quello strumento è stato utilizzato anche dal Ministro Brunetta, a cui abbiamo messo a disposizione sia il livello di codificazione dei medici, sia la consuetudine che abbiamo avuto con le associazioni dei medici, soprattutto di famiglia. Su questo molto più puntuale potrà essere, laddove ci sia la volontà di approfondire, l'ingegner Blandamura. Siamo stati i soggetti che hanno consentito anche questo tipo di attività per la trasmissione in telematico dei certificati di malattia nel settore privato.
Chiedo ora al dottor Antonello Crudo di intervenire sull'operazione Poseidone e sull'intelligence, puntualizzando sulla struttura e sulle motivazioni, oltre che sul modello 770.
ANTONELLO CRUDO, direttore centrale entrate e vicario del direttore generale. Vengo ai punti che sono stati evidenziati, in particolare riguardo a Poseidone. Come ha già accennato il direttore, l'operazione è partita fra la fine del 2009 e l'inizio del 2010. Rispetto ai cinque anni precedenti, siamo andati a recuperare e ad accertare tutto quello che fosse ai limiti della prescrizione. Adesso ci stiamo allineando e faremo altri accertamenti sul 2008 e sul 2009. Quanto al fatto che siamo un po' indietro rispetto al momento di disponibilità dei dati all'Agenzia delle entrate, lei giustamente ha detto che l'Agenzia riceve
le informazioni delle dichiarazioni già verso la fine dell'anno. Noi però aspettiamo però il consolidamento, che in quel momento non c'è ancora e che si ha solo attraverso le attività di controllo, ex articolo 36-bis e 36-ter, fatte dall'Agenzia delle entrate, in modo da avere poi un reddito che, dal punto di vista fiscale e per effetto dell'uniformità delle basi imponibili, fiscale e previdenziale, sia immediatamente spendibile e sul quale, da parte nostra, è immediatamente effettuabile l'eventuale accertamento d'ufficio. Il discorso dei cinque anni è legato alla fase iniziale, quando si è andati indietro sulla prescrizione, per operazioni e soggetti che non erano stati individuati precedentemente.
Mi collego, circa l'operazione Poseidone, all'intervento dell'onorevole Fogliardi sul discorso del modello 770, a cui il direttore ha fatto accenno. Ricordiamoci che tale modello è una dichiarazione del sostituto d'imposta - riguardo all'INPS, sul lato previdenziale, non c'è sostituzione di imposta - inizialmente utilizzato per individuare i soggetti, sia liberi professionisti, sia collaboratori coordinati, che ricevevano emolumenti da chi era obbligato, ex articolo 23 o 25 del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 9 settembre 1973, a fare la ritenuta d'acconto, ed era quindi un elemento di reddito. È chiaro che non forniva l'elemento del reddito complessivo, sul quale si poteva fare l'imposizione contributiva, tanto che alla fine l'abbiamo utilizzato più che altro come indicatore e cartina di tornasole, e ci siamo poi portati sulle dichiarazioni dei redditi, in particolare per i liberi professionisti. Abbiamo un po' cambiato anche la linea, perché siamo andati sulle dichiarazioni dei redditi, al quadro RE - quello che in qualche modo riporta un reddito imponibile, in parte fiscale e che, dal lato contributivo, diventava comunque l'imponibile - oppure ai quadri RF e RG, per quanto riguarda il reddito di impresa. Tutti soggetti questi che, di fatto, nella dichiarazione dei redditi, abbiamo indicato non aver fatto il quadro RR, proprio quello a cui sono tenuti i soggetti - lei faceva riferimento alle dichiarazioni dei redditi, e si parla soprattutto di questi - che, oltre ai quadri per l'imponibilità fiscale, devono compilare anche il quadro per l'imponibilità contributiva. L'assenza di quest'ultimo aveva impedito all'Agenzia, al momento del controllo formale delle dichiarazioni, di darci l'indicazione del dato imponibile. Il modello 770 è dunque, di fatto, un documento che possiamo prendere esclusivamente come cartina di tornasole; ovviamente è un documento del sostituto d'imposta sicuramente interessante per l'Agenzia delle entrate, secondo che abbiamo ritenute a titolo d'acconto o a titolo d'imposta.
Il direttore citava da ultimo l'EMens, con cui ci siamo in parte affrancati dal modello 770 e anche dal modello CUD, tanto che dalla sua introduzione, nel 2005, e negli anni successivi, le certificazioni del sostituto d'imposta sul lato previdenziale - sia 770, sia CUD - sono state fortemente semplificate, se non addirittura annullate. Credo che ormai il quadro SA, sul lato previdenziale dei lavoratori dipendenti non abbia quasi più nulla. Anche rispetto alla parte dei dati previdenziali del CUD, da oltre cento campi siamo scesi a circa tredici o quattordici.
Quanto alla pressione contributiva di artigiani e commercianti, con la legge n. 662 del 23 dicembre 1996, anche le srl sono state iscritte ai commercianti. L'unico lato positivo è che, quanto meno, il contributo previdenziale è deducibile, e che quindi, a seconda della marginale, c'è un minimo di scudo fiscale sui soggetti.
Vengo al tema, posto dal senatore Barbolini, della sinergia per quanto riguarda gli accertamenti contributivi, per poi rispondere all'intervento del Presidente per quanto riguarda le metodologie approntate dall'Agenzia delle entrate sugli studi di settore. Preliminarmente dico che ovviamente l'accertamento dell'Agenzia delle entrate punta al reddito complessivo, valutando la capacità di reddito che si può anche presumere, attraverso gli studi di settore o attraverso altri canali. Ricordo sempre che l'INPS, dal punto di vista previdenziale, cerca invece i soggetti e che la base imponibile è solamente il reddito
da retribuzione, per quanto riguarda il lavoratore dipendente, e il reddito d'impresa, che è sicuramente quello complessivo, per quanto riguarda il lavoratore autonomo, sebbene i campi di ricerca siano diversi. L'INPS non usa per niente l'accertamento induttivo: nel momento in cui si voglia sanzionare un datore di lavoro per mancata iscrizione di un lavoratore dipendente, si deve individuare quest'ultimo, perché l'accertamento induttivo è finalizzato al fatto che l'istituto riceve contributi che devono comunque essere utilizzati per l'erogazione di una prestazione. A meno che non vogliamo estendere l'accertamento induttivo e utilizzarlo per finalità solidaristiche, cosa che ovviamente non è possibile senza inquadrare il soggetto. Questa è la ragione per cui ci stiamo ancora focalizzando soprattutto sul dato del valore aggiunto per addetto, rispetto agli studi di settore, e forse su numeri bassi rispetto alla mole di soggetti interessati. Stiamo cercando di capire e siamo ancora in fase sperimentale, proprio per verificare la rispondenza di questi dati. Operiamo soprattutto, più che su indici di non congruità, su indici di non coerenza. L'indice di non congruità è difficilmente estendibile al campo previdenziale. Mediante gli indici di incoerenza abbiamo individuato il valore aggiunto per addetto, per andare ad evidenziare proprio se ci sono soggetti che esercitano un'attività lavorativa e se il numero di soggetti dichiarati dal datore di lavoro non è coerente con il valore aggiunto che produce. Questo impone peraltro un accesso, perché dobbiamo individuare le persone. Parliamo tendenzialmente di lavoro nero, quindi dobbiamo andare a individuare le persone e le eventuali retribuzioni che vengono loro erogate, con un accesso diretto.
Sono tutti dati che, come lei diceva, a livello di intelligence, già avevamo a disposizione, attraverso i nostri applicativi e gli incroci con le partite IVA. Di un esercizio commerciale riusciamo cioè spesso a conoscere, in base ai dati che ci arrivano, la funzionalità e altro. Abbiamo però bisogno di questa puntualità, che non sempre lo studio di settore garantisce: anche se le presunzioni fatte in base ad esso sono sottoposte a controllo e sebbene si stia cercando anche di ridurre quel tipo di presunzione, non tutti gli indici sono utilizzabili. Si tratta però di un'esplorazione interessante, che stiamo cercando di valutare, anche per vedere quali e quanti indici possano servirci a effettuare un accertamento d'ufficio e comunque, soprattutto, ad aumentare il nostro grado di efficienza negli accessi che facciamo, anche considerato che ogni accesso ha dei costi e, potendone fare in numero limitato, per avere un risultato diventa importante focalizzarci su quelle aziende che riteniamo effettivamente a rischio.
Per quanto concerne le sinergie nell'ambito degli accertamenti contributivi, esse già ci sono, pur nelle diversità. Spesso a noi arrivano i verbali, non solo dall'Agenzia delle entrate, ma anche, in particolare, dalla Guardia di finanza e ovviamente anche dalle Direzioni provinciali del lavoro e da altri soggetti accertatori, che dobbiamo trattare, i quali eventualmente sanzionano la presenza di lavoro nero. Abbiamo una condivisione di banche dati volta soprattutto a evitare che nello stesso periodo, ma anche in periodi adiacenti, si vada a fare un'ispezione presso lo stesso soggetto. Anche nell'ambito del lavoro degli studi di settore, stiamo cercando una metodologia che permetta sempre più ai funzionari dell'Agenzia delle entrate e alla Guardia di Finanza, ed eventualmente anche ai nostri ispettori, di inserire nei verbali elementi che possano poi essere definitivi per l'altro corpo ispettivo, per fare degli accertamenti, o che comunque diano un quadro di rischiosità del soggetto ispezionato, per poter poi eventualmente risolvere dati di evasione contributiva.
GIAMPAOLO FOGLIARDI. Solo un accenno a quest'ultimo aspetto, che a mio giudizio è fondamentale o, quanto meno viene evidenziato, operando concretamente sul territorio. C'è, a mio giudizio, nel lavoro nero, un aspetto molto preoccupante, in questo momento nel nostro
Paese. Lo dico «da non leghista», per evitare qualsiasi pensiero cattivo o quanto meno diverso. Il lavoro clandestino, in modo particolare dei cinesi, è una cosa preoccupantissima, ma non è percepito nella sua reale entità. Per motivi professionali sto seguendo proprio alcuni settori - quelli del prêt à porter, dell'abbigliamento, del calzaturiero - che da noi nel Veneto, e nel nord, erano fondamentali e portanti e che ora sono completamente scomparsi. Non si capisce perché gli unici operatori che tengono e che fanno un volume pauroso di produzione, con TIR che partono tutte le notti, sono quelli cinesi. Ho evidenziato questo aspetto anche alla Guardia di finanza, perché le nostre associazioni di categoria - e questo è uno dei motivi forti, mi permetto di dire, in questo contesto di esasperazione e di disperazione, che portano a situazioni che arrivano addirittura ai noti fatti tragici di questi giorni - percepiscono una certa situazione di inerzia, di mancanza, di incapacità, da parte della struttura centrale, di arrivare a questi soggetti. Non voglio con questo sparare nel gruppo, però mi dicono che, ad esempio, a Prato, nel settore delle confezioni, sia una cosa paurosa, mostruosa: non si riesce a entrare. Abbiamo la possibilità di intervenire? Nessuno vuole che queste persone se ne vadano. Sono anzi un fermo assertore del bisogno di intercambio: ben vengano, arrivino, lavorino, ci aiutino. C'è per altro un meccanismo per cui spesso questi soggetti, dalla sera alla mattina, chiudono la partita IVA, scompaiono, riversando problemi sul contribuente e sul cliente che ha commissionato loro il lavoro. È un dato veramente preoccupante ed esasperante.
PRESIDENTE. Se posso aggiungere qualcosa a quello che diceva l'onorevole Fogliardi, qualche giorno fa mi è capitato di andare Napoli, dove c'è una situazione sconvolgente. Interi quartieri con le insegne in italiano e in cinese. «Ma dove siamo, a China Town?», mi sono chiesto. Una cosa impressionante.
MAURO NORI, direttore generale dell'INPS. Si tratta di fenomeni a noi noti. Per fare un parallelo con quello che abbiamo detto prima, questi soggetti possono essere solo aggrediti, perché sono attivi in comunità molto chiuse. Da noi gira una battuta, nell'ambito degli ispettori di vigilanza, secondo cui i cinesi non muoiono mai, perché i loro documenti sono sempre gli stessi e la loro identificazione risulta particolarmente complessa. Sono comunità molto chiuse, con un livello di coesione sociale tale da arrivare quasi alla schiavitù, all'interno delle loro strutture produttive, con una circolazione del denaro molto accentrata, nel senso che non c'è una distribuzione economica del denaro, ma addirittura, da quanto mi risulta, a volte al posto dei pagamenti vengono resi dei servizi, per cui anziché denaro, a chi lavora fino a dodici o ventiquattro ore ogni due giorni, si danno da mangiare, da bere e da dormire. Queste comunità possono quindi essere aggredite solo sotto il profilo della polizia giudiziaria e dell'intercettazione.
Come diceva prima anche il dottor Crudo, facciamo però accertamenti sulle persone. Molto spesso, quando andiamo ad accertare una persona in un cantiere o in un opificio, in termini di recupero contributivo, impieghiamo un'intera giornata. Induttivamente occorrono ormai degli elementi probatori talmente penetranti che, o abbiamo la compliance del lavoratore, che dichiara, ad esempio, di aver lavorato per sei mesi - in qualche caso, per i cinesi, anche a rischio dell'incolumità personale - o altrimenti il valore aggiunto dell'ispezione è pressoché nullo. A parte le situazioni comiche, avvenute in qualche cantiere, in cui ispettori di cinquanta o sessant'anni hanno dovuto rincorrere le persone per i campi. Nell'ambito degli opifici, la gente dice di non parlare italiano, vero o falso che sia: non abbiamo strumenti coercitivi, per cui diventa veramente complicato intervenire. Trattandosi di situazioni dalle caratteristiche straordinarie - colonizzazioni vere e proprie di alcuni segmenti di mercato - esse meritano interventi di tipo straordinario, che esulano però dal discorso che abbiamo fatto qui, in termini di incrocio delle
banche dati. Non stiamo parlando infatti di andare a recuperare indicatori di rischio sulla base di soggetti/imprese che dichiarano a una componente statale una cosa, la quale è magari è indice di altro per altre amministrazioni. Questo fenomeno è rilevante, come abbiamo visto con l'operazione Poseidone, ma ne esistono anche altri, che esulano completamente da questo tipo di attività, peraltro meritoria, di incrociare le banche dati. Sono necessarie operazioni di polizia fiscale, per individuare interi distretti che realizzano nero e creano addirittura comunità statali nello Stato, che non rispettano i criteri igienico-sanitari, le norme sul lavoro e, a volte, nemmeno le norme di pubblica sicurezza.
ANTONELLO CRUDO, direttore centrale entrate e vicario del direttore generale. Sul dato chiesto dal senatore D'Ubaldo circa la DSU e l'ISEE, il direttore lo aveva già accennato. Il 66 per cento è dovuto a molti soggetti che sono esonerati dall'obbligo di dichiarazione, ma di fatto sono sconosciuti al fisco, proprio perché fanno parte di una fascia di reddito basso. Molti di questi soggetti percepiscono solo redditi esenti, che il fisco non conosce, né a livello di CUD, che non viene presentato, né a livello di modello 770, né a livello di dichiarazione dei redditi. Il delta che ci può essere tra i 53.374 soggetti con reddito superiore a quanto risultato e i 10.125 ai quali è stato sospeso l'ISEE, è più che altro legato al fatto che, a volte, il reddito è leggermente superiore rispetto a quello dichiarato nella DSU, ma non tale da far sì che il limite dell'indicatore ISEE superi il reddito stabilito - ricordo i vecchi 6.000 euro, ma non ricordo quale sia attualmente - non è tale da essere rilevante ai fini della perdita del diritto alla dichiarazione. C'è effettivamente chi «ci prova» - abbiamo trovato anche gente con grandi redditi - ma a volte questi delta sono dovuti anche a errori onestamente scusabili. L'ISEE parte dal reddito complessivo, che quindi comprende ad esempio la casa d'abitazione che di fatto non ha effetti dal punto di vista dell'imponibilità fiscale. A volte le differenze sono dovute a questo, perché possiamo avere un pensionato che, al limite, ha solo l'abitazione principale. Questi delta sono però giustificati proprio dal tipo di popolazione interessata. Molti soggetti hanno solo l'invalidità civile o l'invalidità di accompagnamento, prestazioni esenti, e quindi non sono tenuti a fare alcun tipo di dichiarazione al fisco.
LUCIO ALESSIO D'UBALDO. È fisiologico, secondo voi, il fatto che abbiano circa 1,2 cittadini su 100 - questa è la cifra, se si tratta di 700.000 su 60 milioni di abitanti - che fanno richiesta di uso della carta di acquisto?
GIULIO BLANDAMURA, direttore centrale sistemi informativi e tecnologici. Le risultanze numeriche sono abbastanza stabili, quindi possiamo ritenere che effettivamente il dato sia fisiologico.
MAURO NORI, direttore generale dell'INPS. Il senatore chiedeva però una risposta di taglio più politico, sullo stato di indigenza. Teniamo presente che non abbiamo fatto questo tipo di approfondimento in termini sistematici, tale da poter dare una risposta con sufficiente chiarezza. È chiaro che questo meccanismo ha funzionato e ha straordinarie potenzialità, ma ha anche presentato una fase iniziale di set up. Ricordo a me stesso che una sua componente viene svolta dalle Poste, un'altra dall'Agenzia delle entrate e un'altra ancora dall'INPS. Dovendo mettere insieme tre amministrazioni nazionali in un'attività quotidiana, abbiamo avuto tutta una serie di difficoltà. Il reddito si costruisce, e di conseguenza le risposte in termini assistenziali e i controlli. Non so in che indice percentuale questi disallineamenti scontino - per usare un termine slang, ma che rende l'idea - chi «ci prova» e chi è realmente indigente. Non le so dare un indice di composizione al riguardo. So che il fenomeno che abbiamo riscontrato, in termini epidermici, è di una buona quantità di soggetti che fanno la domanda per avere un beneficio, ma anche di una buona quantità di soggetti che
effettivamente, essendo incapienti, non avendo redditi, almeno dichiarati, sicuramente scontano un disagio e un bisogno effettivo. Da qui a trovare un indicatore induttivo per il disagio sociale, non abbiamo però elementi spendibili.
PRESIDENTE. Alcuni considerano poco dignitoso andare a ritirare la carta acquisti. C'è dunque una componente di «vergogna» e di timore di essere marchiati.
MAURO NORI, direttore generale dell'INPS. La carta acquisti, in realtà, ha avuto in Italia uno scarso sviluppo per tutte queste considerazioni, anche legittime, oltre che per altre difficoltà, ricordate in precedenza. Lo strumento si presta però a uno straordinario intervento. Non abbiamo ancora esplorato la possibilità della scontistica messa a disposizione, ad esempio, da supermercati e altri soggetti. In fin dei conti, nel momento stesso in cui abbiamo individuato un target di soggetti che vengono dotati di un tesserino - che è un po' come il tesserino fedeltà di qualche supermercato - abbiamo anche la possibilità, per il comune (in maniera sporadica è avvenuto) di fare dei riversamenti, in termini assistenziali, sullo strumento, grazie all'infrastruttura esistente. Probabilmente il nome della carta non ha deposto bene, perché se il povero non si pone il problema nominalistico, per altri è difficile chiedere una «carta di povertà». Forse ha impattato anche una certa difficoltà in questo senso. Oggettivamente lo strumento poteva però presentare degli elementi di sviluppo, magari anche per interventi del terzo settore, quelli che esulano dall'intervento diretto dell'amministrazione centrale o periferica. Questo discorso ci porterebbe lontano, ed è più legato al riordino dell'assistenza in quell'ambito, che ritengo debba essere fatto. Mettiamo insieme tutte le informazioni dell'assistenza diretta e indiretta che viene fornita dallo Stato centrale e dalle amministrazioni territoriali, a beneficio di una commissione centrale e periferica. Questo però non tanto con l'ottica di razionalizzare la spesa: come ripeto, giustamente il comune di Bolzano o di Milano potrebbero dire che, essendo più efficienti e avendo più risorse, non c'è motivo di drenare risorse al centro per l'assegno sociale. Per quale motivo bisognerebbe scalare dall'assegno sociale l'erogazione che i comuni fanno al pensionato con il contributo per l'autobus o per l'affitto? Sarebbe solamente un'operazione di drenaggio di risorse dal comune all'amministrazione centrale. Questo è sbagliato e non è questo l'obiettivo del casellario o dell'anagrafe dell'assistenza. L'obiettivo è quello di conoscere dove si annidano le tante risorse dirette e indirette che vengono spese, in termini di assistenza, per un loro utilizzo più razionale e anche più consapevole.
Si potrebbe scegliere anche una categoria di beneficiari che, in maniera centrale o in maniera territoriale, non venga quasi sfiorata e che magari, considerate le cose della vita emergenti, rappresentino nuove povertà, ma oggi manca lo strumento conoscitivo per farlo. Per questo il discorso sull'assistenza deve partire, a mio avviso, da questo elemento conoscitivo, anche in termini di obbligatorietà dell'alimentazione di questo strumento da parte degli enti territoriali, ma proprio a beneficio degli enti stessi, dell'amministrazione centrale e, più in generale, dalla classe dirigente politica del Paese. Occorre dettare un indirizzo per un intervento consapevole sull'assistenza. In quell'ambito anche strumenti come la social card possono ovviamente essere utilizzati in maniera efficace.
PRESIDENTE. Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 10,05.
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