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Seduta del 5/11/2008


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Audizione del professor Luigi Cataldi e del dottor Maurizio Tucci, rappresentanti della Società italiana di pediatria.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla tutela dei minori nei mezzi di comunicazione, l'audizione del professor Luigi Cataldi e del dottor Maurizio Tucci, rappresentanti della Società italiana di pediatria.
La nostra Commissione ha deliberato tre indagini conoscitive che sono legate fra di loro; in particolare, l'indagine conoscitiva che vi vede protagonisti oggi, in questa audizione, riguarda l'ambito della tutela dei minori nei mezzi di comunicazione. Ricordo che abbiamo già ascoltato il sottosegretario Paolo Romani e il presidente dell'Agcom, Corrado Calabrò.
Do quindi la parola al professor Luigi Cataldi e al dottor Maurizio Tucci, ringraziandoli per la loro presenza.

LUIGI CATALDI, Rappresentante della Società italiana di pediatria. Ringrazio il presidente e i componenti della Commissione per averci invitati a questa audizione.
La Società italiana di pediatria, che penso molti di voi conoscano, rappresenta attualmente 15 mila iscritti, di cui 7 mila ospedalieri, 7 mila pediatri di famiglia e circa 500 universitari. Ne accenno semplicemente per indicare l'entità della rappresentanza. È una società scientifica, non un sindacato, operativa da un secolo: è stata fondata nel 1898 e ha dunque 110 anni. Assieme ad altri colleghi abbiamo reso operativo quest'ultimo mandato del comitato direttivo, che mi onoro di rappresentare insieme al dottor Tucci, e da più di dieci anni abbiamo svolto delle indagini atte a valutare la situazione relativa all'influsso dei media sul comportamento degli adolescenti.
Non credo sia necessario sottolineare l'importanza delle variazioni che in questi ultimi anni si stanno verificando nel comportamento dei nostri adolescenti, per i quali non vi è, ovviamente, soltanto un influsso genetico, ma anche un influsso ambientale. Non mi soffermerò sulle problematiche delle famiglie, sulle difficoltà legate a famiglie che non sono più unite o che hanno difficoltà come la povertà, problema che sta diventando sempre più grave. In linea con le finalità dell'audizione, ci soffermeremo invece solo sulle problematiche delle variazioni di comportamento degli adolescenti in relazione all'influsso, in particolare, della televisione.
Questa indagine non è recentissima, poiché da circa dieci anni abbiamo iniziato ad operare in questo senso, rivolgendoci in particolare agli adolescenti, e abbiamo avuto modo di rilevare, come


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potrete vedere dalla presentazione del dottor Tucci, variazioni significative nel comportamento dei nostri adolescenti. Chiaramente, parlando di media non intendiamo solo la televisione: nella nostra indagine è stato preso in considerazione anche Internet - su cui tuttavia non ci soffermeremo in questa audizione - e abbiamo disponibili dati abbastanza significativi che possono essere utili per gli scopi per i quali siamo stati convocati in audizione.
A questo punto lascerei la parola al dottor Tucci; interverrò nuovamente in un secondo tempo, con commenti di carattere strettamente medico-sociale, a completamento di questa presentazione. Rimango a vostra disposizione per qualsiasi quesito riteniate opportuno porre.

MAURIZIO TUCCI, Rappresentante della Società italiana di pediatria. Un documento, del quale credo siate tutti in possesso, sintetizza quanto mi accingo ad esporvi. La mia esposizione sarà accompagnata dalla proiezione di alcune diapositive che illustrano la nostra indagine sui cambiamenti degli adolescenti italiani negli ultimi dieci anni.
Come diceva il professor Cataldi, stiamo svolgendo l'indagine da dodici anni; questo ci ha consentito non solo di avere una fotografia degli adolescenti, ma anche di vedere come sono cambiati, perché aver utilizzato continuativamente per questa indagine un campione scelto sempre con gli stessi criteri l'ha resa molto affidabile, in particolare per misurare le tendenze. Per chi si intende un po' di statistica, l'errore sistematico è sostanzialmente annullato, trattandosi sempre del medesimo campione, costruito nello stesso modo.
Da quando abbiamo iniziato, nel 1997, abbiamo constatato che da parte degli adolescenti c'è stato un cambiamento che va al di là dell'utilizzo della televisione e dei media, e che potremmo definire peggiorativo - rispetto alle convinzioni della Società italiana di pediatria - per quello che riguarda alcune abitudini generali, in modo particolare la propensione al rischio. Nella prima diapositiva potete osservare un dato: noi chiediamo sempre ai ragazzi che cosa serva per essere «in gamba»: come potete vedere, dal 2002 al 2007 sono cambiate le risposte; emerge che, per gli adolescenti, per essere considerato in gamba sono diventati sempre più importanti l'ammirazione e il rispetto da parte del gruppo. Queste sono le motivazioni che ci vengono indicate. Da un po' di anni ci occupiamo in maniera particolare del bullismo; se osserviamo un'altra diapositiva, vediamo che le motivazioni per le quali gli adolescenti ritengono che ci si comporti da bullo sono le stesse: essere ammirato dal gruppo. Pertanto, fare il bullo significa anche fare in modo di essere ammirato all'interno del gruppo. Come potete vedere, il fenomeno del bullismo, che abbiamo iniziato a monitorare nel 2004, è non solo in crescita, ma interessa una parte del campione molto significativa. Da un certo punto di vista possiamo dire che nel nostro campione di riferimento è quasi endemico. Nella documentazione è precisato che noi osserviamo ragazzi studenti di terza media, quindi appartenenti alla fascia di età tra i 12 e i 14 anni. Ci siamo chiesti se, da dieci anni a questa parte, ci sia stata una mutazione genetica degli adolescenti, e la risposta è certamente negativa; probabilmente, è il contesto che ha contribuito a questa modificazione.
Entriamo ora nel tema che ci interessa in modo particolare: potete osservare come, dal 1997 al 2007, sia aumentato in maniera molto consistente il consumo di televisione e, in particolare, sono aumentati coloro che noi consideriamo i grandi fruitori di televisione, ovvero quelli che la guardano per più di tre ore al giorno. Parallelamente, sono quasi dimezzati coloro che guardano meno televisione.
Il problema non comprende soltanto la visione della televisione ma anche le cattive abitudini connesse al suo utilizzo, come avere il televisore nella propria camera da letto, guardare la televisione durante i pasti o a letto prima di addormentarsi. Come potete osservare, in dieci anni le cose sono cambiate in maniera molto significativa.


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LUIGI CATALDI, Rappresentante della Società italiana di pediatria. Conviene forse sottolineare un aspetto importante, che non è considerato appieno dal punto di vista medico. Il fatto di seguire la televisione nella propria cameretta, o di mangiare con il televisore acceso, comporta anche un peggioramento delle abitudini alimentari, con introduzione di alimenti in eccesso rispetto al fabbisogno calorico. Si è portati a mangiare un pezzetto di formaggio in più, a tagliare una fetta di salame in più - scusate la banalità del particolare -, e ciò comporta un danno per la salute, ovvero la tendenza all'obesità, al sovrappeso. È una problematica che sta diventando molto importante e che non può essere scissa dalla salute socio-comportamentale del bambino. I bambini che nel pomeriggio guardano la televisione e mangiano non una o due, ma tre merendine, indipendentemente dall'età, sono chiaramente dei soggetti più a rischio, che a dieci anni sono già ampiamente sovrappeso.

MAURIZIO TUCCI, Rappresentante della Società italiana di pediatria. A tale proposito, noi facciamo anche dei focus group parallelamente all'indagine quantitativa e abbiamo notato che, come diceva Konrad Lorenz, ci sono proprio dei riflessi condizionati. Molti ragazzi dicono che, specie durante la visione pomeridiana della televisione, mangiano sempre qualcosa, perché è quasi un riflesso condizionato: davanti alla televisione mangiano un alimento che loro piace, per abbinare due cose che li interessano e li seducono in quel momento.
Che cosa ci ha stupiti e preoccupati? Che mentre alcuni comportamenti interessano tutto l'universo, quindi gli adolescenti stanno cambiando e sono cambiati indipendentemente dalla fruizione di televisione, si nota invece che facendo un rapporto fra i ragazzi che guardano meno di un'ora di televisione e quelli che ne guardano più di tre, le cose cambiano drasticamente. C'è una forte radicalizzazione degli atteggiamenti negativi fra i ragazzi che sono grandi fruitori di televisione. Vi mostro ora una diapositiva che indica alcune cose: «faccio cose rischiose, mi sono ubriacato, fumo sigarette, fumo «canne», vado a letto alle 22, dopo la mezzanotte, addirittura prendo farmaci senza consultare il medico e i genitori»; come potete vedere, sono significativamente più alti i dati relativi ai cosiddetti grandi fruitori di televisione.
Sappiamo quali erano le regole della pubblicità televisiva negli anni di Carosello; forse oggi ci fanno quasi sorridere, però da allora è cambiato veramente un mondo. Nel 2000 avevamo cominciato a monitorare la situazione in maniera più occasionale, ma da quest'anno facciamo un monitoraggio costante, mensile, dell'affollamento pubblicitario nella fascia ragazzi, che dovrebbe essere considerata la fascia protetta da tutti i codici di autoregolamentazione. Come potete osservare, ai tempi di Carosello la pubblicità durava meno di tre minuti al giorno (riferendoci solo al famoso codino pubblicitario, dove c'era la pubblicità di un prodotto); fino agli anni Settanta, all'avvento delle televisioni commerciali, la pubblicità stimata nella programmazione televisiva era intorno ai 10-15 minuti, ma nell'arco di tutta la giornata; poi sono arrivate le televisioni commerciali.
Noi monitoriamo tutte le televisioni, sia quelle del servizio pubblico, sia quelle commerciali. In particolare, facciamo un monitoraggio costante, mensile e fisso su Italia 1, non perché ci sia particolarmente simpatica o antipatica ma perché, da tutti i dati, risulta essere quella più vista dai ragazzi della fascia di età presa in esame. Nel primo quadrimestre del 2008 ci sono 15 minuti e 18 secondi l'ora di pubblicità nella fascia protetta, con una media di 45 spot per ora; dal primo al secondo quadrimestre i dati sono rimasti sostanzialmente invariati, ma con un costante piccolo aumento, di mese in mese. Facendo una stima, gli spot pubblicitari visti da un ragazzo o una ragazza che guardi per due ore al giorno, tutti i giorni, Italia 1, da 26 mila nel 2000 - e già allora ci sembrava una cifra folle - sono giunti oggi, secondo i dati parziali relativi al 2008, a circa 35


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mila. Questo, se un ragazzo vedesse due ore soltanto di televisione al giorno. Sappiamo però che il consumo di televisione è molto più alto di quello dichiarato dai ragazzi, perché quando poniamo la domanda: «Quante ore al giorno guardi la televisione?», i ragazzi rispondono sempre pensando alle ore in cui sono essi i diretti responsabili della gestione della televisione. Non contano e non considerano i tempi nei quali guardano la televisione che è stata accesa dai genitori, durante i pasti o di sera. Pertanto, queste due ore sono assolutamente sottostimate, perché c'è un consumo passivo di televisione molto maggiore. Queste cifre sono veramente sconcertanti.
Potete osservare in un'altra diapositiva quali sono le aree merceologiche dei contenuti degli spot pubblicitari. Mi riallaccio al discorso che aveva iniziato il professor Cataldi: il 15 per cento di pubblicità riguarda gli alimenti; questo significa, sempre in base alla stima che avevamo fatto prima, circa 6 mila pubblicità all'anno di prodotti alimentari. Ma quali sono gli alimenti pubblicizzati mediamente? Sono tutti molto appetitosi e gradevoli ma, probabilmente, non ottimali per le diete dei ragazzi. Vi è un altro aspetto che noi abbiamo sempre cercato, con i nostri mezzi - ahimè, pochi! - di contrastare: l'abbinamento di regali e di gadget ai prodotti pubblicizzati. È veramente un disastro, perché questo abbinamento costringe a mangiare più di quanto si sente l'esigenza o si desidera, per ottenere il giocattolo che è legato al prodotto. Inoltre, si nota non solo un aumento molto forte di questi prodotti, ma anche il problema delle promozioni del genere «compri tre, paghi due» che, ancora una volta, tendono a far incrementare il consumo.
Anche la programmazione televisiva è ricchissima di momenti in cui si vedono ragazzi e ragazze mangiare. In uno dei telefilm più visti da minori, ci sono ragazzini che mangiano in continuazione, non in tutte le scene, ma in molte. Ciò comporta un ulteriore scollamento dalla realtà: si vedono i protagonisti dei telefilm, che sono mediamente tutti carini, belli, alti e magri, che mangiano dalla mattina alla sera, mentre i ragazzi spettatori, se mangiano tanto, cominciano ad avere problemi di sovrappeso e quant'altro. Ciò crea ulteriori problemi, prodotti dallo scostamento tra la percezione della propria immagine corporea e quella illustrata nel modello televisivo.
Eccoci di fronte, con un'altra diapositiva, ad un altro effetto-tv: notate come cambiano, ancora una volta, le abitudini alimentari fra i ragazzi che vedono meno di un'ora o più di tre ore di televisione al giorno. Già la prima voce, «mangio solo cose che mi piacciono», è quasi il doppio, ed è un elemento particolarmente significativo. Oppure, notate come il consumo di prodotti sani, come frutta e verdura, cali fra i grandi fruitori di televisione.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ANNA MARIA SERAFINI

MAURIZIO TUCCI, Rappresentante della Società italiana di pediatria. Ancora una volta, in televisione l'immagine è quella di una fisicità del tutto particolare. Bisogna essere, specie per le ragazze, magre e filiformi. Questa è, per esempio, una pubblicità televisiva: «le gambe lunghissime sono per le ragazze in gamba». Osservate anche come cambiano la percezione e la soddisfazione del proprio corpo tra grandi e piccoli fruitori di televisione. Aumenta il numero di persone, ragazzi e prevalentemente ragazze, che fanno diete dimagranti e, in particolare, diete autoprescritte.
Vi è inoltre una sorta di tendenza - se non di istigazione, la parola è forte - ad abituare i ragazzi alla violenza. Le pubblicità sono molto aggressive, specie quelle rivolte ai maschi. Osservate il payoff di questa pubblicità: «Con la scuola di Spiderman è più facile affrontare il nemico»; siccome pubblicizza zainetti e astucci per andare a scuola, viene da chiedersi chi sia il nemico, se l'insegnante o il compagno di classe. Vi è una costante abitudine alla vittoria, alla competizione, alla forza; potete notare, ancora, come l'effetto-tv - sul


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giudicare negativamente come bullo chi fa a botte, o come «fifone» o spia chi riferisce delle cose - influenzi i comportamenti dei grandi fruitori di televisione, che sono molto più legati all'aggressività e che danno un giudizio negativo del bullo in misura del 20 per cento inferiore rispetto ai ragazzi che guardano una sola ora di televisione.
Esiste anche il problema delle bevande che, pur essendo a bassissimo contenuto alcolico, sono veramente pericolose - come ci spiegherà il professor Cataldi - perché spesso sono propedeutiche all'alcol. Queste bevande compaiono, un po' border line, all'interno delle pubblicità televisive, e potete notare come sia infatti aumentato il consumo di sostanze alcoliche dal 1998 al 2007. Questo dato riguarda tutta la popolazione, non soltanto le persone che guardano più o meno televisione, ed è aumentato in modo molto significativo. Non a caso, il consumo di birra è aumentato moltissimo, perché la birra è la bevanda più consumata dai protagonisti dei telefilm, che sono quasi esclusivamente americani. Il consumo di vino è, tutto sommato, molto limitato, mentre la birra è la bevanda dei giovani.
Un tempo nelle pubblicità c'era Calimero; oggi la pubblicità ha un impatto molto diverso. Qui potete vedere i messaggi pubblicitari per un Chupa Chups, un lecca-lecca e per delle patatine: l'allusione sessuale è sempre presente anche nelle pubblicità di fascia ragazzi. Non a caso, alla domanda: «Da chi hai ricevuto le informazioni più importanti sulla sessualità?», fra i grandi fruitori di televisione crolla la componente «mamma, insegnanti, papà» e diventa estremamente significativa la voce «altro», dove molti hanno aggiunto proprio la parola «televisione». Pertanto, ancora una volta c'è un impatto fortissimo della televisione.
Per quanto riguarda le consapevolezze che gli adolescenti presumono di avere, in realtà sono veramente poche, come potete leggere in alcune frasi tratte da blog e forum in Internet, di ragazzi più o meno di questa età. La loro consapevolezza sulla sessualità è, mediamente, davvero molto bassa ed è pericoloso che, a fronte di una consapevolezza reale molto bassa, ci sia una presunzione di consapevolezza molto alta.
Vorrei fare gli ultimi commenti: che tipo di sistema valoriale la famiglia trasmette ai figli? La Società italiana di pediatria propone alcune sollecitazioni che, in questa occasione, ci sembra importante e opportuno presentarvi. Facciamo riferimento a frasi dette dai ragazzi all'interno dei focus group, nelle quali si evidenzia come, tutto sommato, ci sia un po' di criticità nel rapporto all'interno della famiglia. Il tenore medio delle cose che i ragazzi raccontano nei focus group quando si tratta di questo argomento è sostanzialmente costante. Le figlie anoressiche, secondo noi, sono tanto figlie delle modelle taglia 38 quanto delle mamme ossessionate da due chili di troppo, e i figli bulli sono tanto figli della violenza televisiva quanto dei padri pronti a difenderli o giustificarli sempre e comunque. Riteniamo infatti che la televisione abbia una grossa responsabilità; tuttavia, bisogna anche che ci sia qualcosa sull'altro piatto della bilancia: non possiamo lasciare soli i ragazzi davanti alla televisione.
Da questo punto di vista, come potete notare dalle diapositive, la scuola è carente. Il rapporto di fiducia dei ragazzi nei confronti degli insegnanti o l'idea di poter considerare l'insegnante come un interlocutore adulto, anche al di fuori delle normali competenze legate all'insegnamento, è quasi nullo. Chiede consiglio ad un insegnante solo l'1,3 per cento dei ragazzi: ciò significa nessuno. Anche questo deve farci riflettere.
Noi riteniamo che si tratti di responsabilità da condividere tra famiglia, scuola, istituzioni, media e anche pediatri, che non solo devono curare dalla rosolia e dal morbillo, ma devono anche essere di supporto ai genitori per la qualità complessiva della vita.
Ho concluso la mia illustrazione; se ci sono domande, sono a vostra disposizione.

LUIGI CATALDI, Rappresentante della Società italiana di pediatria. Mi soffermerò


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brevemente su alcuni aspetti, anche positivi, dell'impiego dei media. Noi non consideriamo esclusivamente la televisione, ma anche Internet - ci tengo a sottolinearlo -, visto che negli ultimi anni, come voi sapete e come è stato documentato dalla nostra indagine, c'è stato un incremento rilevante dell'uso di questo strumento di comunicazione. Si tratta di una situazione particolare: i genitori non riescono a seguire quello che il ragazzino fa su Internet, perché un conto è entrare in camera e trovare il televisore acceso su un programma che, in teoria, nelle fasce protette non dovrebbe essere trasmesso, e un conto è vedere cosa sta facendo il bambino, al quale basta un «clic» per cambiare pagina, ammesso che il genitore sia in casa e abbia il tempo di seguire le attività del figlio. Non dimentichiamo che la società attuale, da un punto di vista economico, condiziona le famiglie ad avere entrambi i genitori che lavorino, magari con uno dei due part-time proprio per poter seguire i bambini.
È chiaro che gli effetti negativi di cui già abbiamo parlato, dalle problematiche legate all'obesità ai disturbi del comportamento - mangiare davanti alla televisione, vedere la televisione e mangiare come seconda attività - comportano, comunque, un danno alla salute. Ritengo che il problema sia molto importante e, come Società italiana di pediatria, ci stiamo lavorando, perché siamo sempre del parere che sia meglio prevenire il sovrappeso, l'alcolismo, l'uso di tabacco o di droghe, piuttosto che dover intervenire successivamente nella cura delle patologie e delle problematiche. C'è anche un problema relativo all'uso di farmaci, cui giustamente è stato accennato, e che è più rilevante di quanto noi stessi pensassimo. Mi riferisco al ragazzino che prende da solo questa o quella pillola perché la compagna di scuola o l'amico gli ha detto: «Prendi questo, ti sentirai meglio»; e da lì a prendere altre pilloline che fanno sentire più forti, più belli, più contenti e divertenti il passo è breve. È una situazione disagevole, naturalmente.
Le problematiche causate dagli stimoli da parte delle pubblicità - come quella alimentare - potrebbero essere ridotte con norme più restrittive, ove possibile, riguardanti non soltanto gli alimenti, ma anche i giocattoli, gli oggetti di uso comune e quelli scolastici: sembra che non si possa fare a meno di comprare lo zainetto o il portapenne di una specifica marca. Anche questo comporta delle problematiche, specialmente se consideriamo l'attuale condizione di crisi e di recessione in cui ci troviamo, che pesa sulle famiglie e che si ribalta, in definitiva, su una situazione che ha influsso importante sulla salute.
Dico questo perché sappiamo perfettamente che, con la situazione economica che stiamo vivendo in questi mesi, le famiglie tendono a risparmiare prevalentemente sull'alimentazione. Se ci troviamo nelle condizioni di dover acquistare quello zainetto, quel portapenne, quella serie di colori perché tartassati dalla pubblicità televisiva, andremo incontro ad un ulteriore peggioramento della condizione alimentare, che sappiamo essere importante perché un bambino, un soggetto, un adulto, un anziano ben nutrito sono in grado di produrre una normale serie di proteine specifiche che difendono contro le infezioni. Potrebbe sembrare irreale, ma è un dato di fatto: negli anni successivi all'ultima grande guerra, a partire dal boom economico che ha permesso a tutte le famiglie di avere la Fiat 600 e tanti altri vantaggi, abbiamo visto crescere il numero dei soggetti ben nutriti; in quel boom, si è avuto anche un aumento del numero dei figli. Il benessere comporta un incremento dei consumi, ma comporta anche il desiderio, che tutti hanno ma che non riescono a soddisfare - oggi in particolare - di migliorare la propria situazione sociale.
Mi soffermerei ora su alcune raccomandazioni ai pediatri, perché è importante che abbiano un'adeguata preparazione dal momento che devono contribuire, insieme alle famiglie, al miglioramento della gestione della salute e dell'alimentazione dei bambini. Si tratta di una serie di problematiche sulle quali


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potremmo tornare in futuro, senza occupare ulteriormente il tempo dei componenti della Commissione.
Nell'ambito dell'attività di formazione della Società italiana di pediatria abbiamo una serie di corsi che facilitano per i nostri pediatri, aderenti o meno, un'attività socialmente utile, al di là di quella relativa alla cura delle malattie. Il problema della prevenzione - basterebbe parlare delle vaccinazioni - è estremamente importante.
Vi è un altro aspetto che, forse, conviene evidenziare e sottolineare: l'importanza delle fondazioni private nel sostenere l'attività di prevenzione delle situazioni che condizionano le patologie, il sovrappeso o le irregolarità nell'ambito dell'acquisizione di sostanze alcoliche di alto o basso grado. Personalmente, mi sono meravigliato nel vedere ragazzini di 14-15 anni, o anche meno, consumare con un certo entusiasmo bevande che contengono un 5-6 per cento di alcol e che, oltretutto, non costano poco. Nel corso della mia esperienza, sono stato per un anno in Sardegna a gestire il reparto pediatrico della ASL di Nuoro e tutti i pomeriggi vedevo adolescenti che, seduti sulle scale della cattedrale di Nuoro, consumavano casse di birra. Era l'unica cosa a basso prezzo che potessero permettersi e mettendosi insieme potevano comprare una cassa di bottiglie di birra da 660 ml, risparmiando in questo modo qualcosa. Dieci ragazzini che bevevano dodici o più bottiglie da 660 ml erano regolarmente piuttosto brilli, con tutte le problematiche relative.
Visto che parliamo di bambini, parliamo anche di mamme. Essendo abituato alla realtà di Roma e non conoscendo a fondo alcune problematiche, mi ha un po' colpito lo scoprire che l'alcolismo è molto diffuso, in quella terra, anche tra le massaie, le quali stando a casa, un po' per problematiche varie, un po' per non annoiarsi, un goccino di mirto ogni tanto lo bevevano, per cui anch'esse avevano questo problema. Scusate se affronto un tema forse poco noto, forse meno importante, ma se c'interessa la salute dei bambini non può non interessarci la salute delle loro mamme, in particolare di quelle in gravidanza, perché seguire correttamente le donne in gravidanza ci consentirebbe di dare maggiori garanzie di salute e di avere, quindi, risparmi economici e di risorse estremamente rilevanti. È un aspetto sul quale è opportuno riflettere perché, ovviamente, la diade madre-bambino non può e non deve essere scissa. Poco prima di venire in Commissione ho letto una nota, che dovrebbe essere pubblicata prossimamente - preparata dall'Istituto Meyer di Firenze, un istituto pediatrico di vasta fama - in cui si sottolinea l'importanza del ruolo della madre nei confronti dell'educazione del bambino. Personalmente, sono convinto che la madre non dovrebbe essere lasciata sola, ma dovrebbe essere coinvolto in maniera concreta anche il padre perché, altrimenti, il concetto di «famiglia» ricadrebbe, quasi in maniera ufficiale e con l'autorizzazione di un'istituzione scientifica di alto livello, sulle spalle della madre. Non ho intenzione di raccontarvi quello che già sapete. Credo però che sarebbe davvero importante coinvolgere in maniera concreta anche i padri. Questo lo farà ciascuna mamma, moglie o compagna - visto che oggi va di moda questo termine - nell'ambito della propria famiglia, ufficiale o semiufficiale. Sono del parere che, laddove si riesca a salvaguardare il concetto di famiglia, che ci sia o no un matrimonio, cattolico o meno, si potrà realizzare meglio la difesa della salute del bambino e, quindi, di tutta la popolazione.

PRESIDENTE. Vi ringrazio, anche a nome dei colleghi. Dispongo che la documentazione prodotta dal dottor Tucci sia pubblicata in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna.
In questi ultimi anni si assiste ad una crescente preoccupazione per l'età dell'adolescenza, quasi che una fase sempre ritenuta come un passaggio difficile e complesso, ma anche affascinante per la crescita, si sia trasformata in un problema. Vorrei chiedere che cosa è cambiato


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nella rappresentazione di questa età nei media e che cosa è realmente cambiato rispetto ad alcuni anni fa.

MAURIZIO TUCCI, Rappresentante della Società italiana di pediatria. Senz'altro la preoccupazione è solo nostra; gli adolescenti non sono assolutamente preoccupati di come sono, anche perché sono adolescenti solo oggi e non possono fare confronti, quindi in un certo senso stanno benissimo. La preoccupazione è nostra perché vediamo che seguono modelli assolutamente estranei alle nostre attese.
Tradizionalmente c'è sempre stato un conflitto intergenerazionale; l'adolescente ha sempre cercato di ribellarsi, di opporsi o di porre alternative al modello familiare, con un conflitto interno alla famiglia. Il conflitto è comunque misurabile e palpabile, ci si rende conto di quello che sta succedendo. Oggi il conflitto all'interno della famiglia non c'è più e non c'è comunicazione. I genitori spesso si trovano di fronte dei figli che non riescono a capire; non capiscono nemmeno quali siano le esigenze dei ragazzi, perché molte volte non sono neanche espresse. Inoltre, i genitori tendono a soddisfare in maniera quasi indiscriminata tutte le richieste dei ragazzi, spesso perché hanno sensi di colpa dovuti al fatto di non riuscire a dedicare alla famiglia il tempo che vorrebbero. A questo punto, il soddisfacimento delle esigenze, non solo materiali ma anche in termini di libertà e autonomia - rientrare tardi, uscire spesso -, è considerato una sorta di risarcimento per il fatto che i genitori non sono presenti.
Qual è l'altro punto significativo? Perché la televisione e i media hanno acquisito un peso, nel bene o nel male - più spesso nel male - molto significativo? Perché in molti casi questi strumenti sono rimasti l'unico sistema di riferimento per gli adolescenti, che spesso non hanno un modello di riferimento alternativo, ovvero la famiglia; magari da contrastare, come gli adolescenti hanno sempre fatto, ma comunque un modello di riferimento reale, mentre oggi hanno un modello di riferimento virtuale, patinato, invidiabile, e sono portati a seguirlo.
Da questo punto di vista, non c'è disagio da parte degli adolescenti, anzi molte volte si chiedono che cosa vogliamo da loro, visto che loro stanno bene così; dal loro punto di vista hanno assolutamente ragione. Il problema, come dicevo, ce lo stiamo creando noi. A mio avviso bisogna scindere la spettacolarizzazione dal problema dal problema stesso; quindi, enfatizzare la situazione e pensare che l'adolescenza sia un problema è una cosa assolutamente sbagliata, perché non lo è. Dobbiamo piuttosto chiederci per quale motivo si sono persi i contatti e i raccordi fra mondo degli adulti e mondo degli adolescenti. Venendo a mancare questi contatti, ci mancano anche gli strumenti per intervenire e per porre in essere eventualmente quei correttivi che sono sempre stati tradizionalmente compito di una funzione genitoriale. Da quel che vediamo, è carente proprio la funzione genitoriale. Nel corso delle nostre indagini, ogni anno chiediamo ai ragazzi in che ambiti vorrebbero che un genitore non intervenisse facendo sentire la propria presenza. Le risposte sono sempre le stesse: il modo di vestire, gli amici da frequentare, il modo di mangiare, e via dicendo. Sono libertà che rivendicano. La cosa paradossale è che quando chiediamo loro se a casa i genitori intervengono su queste cose, abbiamo un risultato molto curioso: i genitori intervengono molto meno di quanto gli adolescenti reputano teoricamente accettabile. Ciò significa che anch'essi percepiscono un'assenza da parte dei genitori. È chiaro che un adolescente dirà sempre, in grande prevalenza, che i genitori non devono influire sulle sue amicizie, ma il fatto di avvertire che i genitori influiscono meno di quanto gli stessi ragazzi riterrebbero opportuno, ci deve indurre a riflettere.

PRESIDENTE. La ringrazio, quello che lei ha detto è molto interessante. Tra l'altro, in questi ultimi anni si sta definendo una sorta di nuova «povertà», quella della carenza affettiva e della assenza di cure. Sarebbe opportuno conoscere


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anche la vostra definizione di questo fenomeno.

LUIGI CATALDI, Rappresentante della Società italiana di pediatria. A mio avviso, questo è un problema che si sta vivendo in seguito all'evoluzione della condizione femminile, ovvero della maggiore libertà - sacrosanta - della donna in questi ultimi quarant'anni. La donna finalmente ha potuto intraprendere un'attività lavorativa anche in ambito manageriale e non si sente più relegata nella situazione in cui rimaneva a casa ad allevare i figli mentre il marito era colui che procurava l'occorrente per la sopravvivenza di tutti. Fino a cinquant'anni fa era praticamente così. Non entro nei particolari, perché penso che sarebbe problematico e perché so che abbiamo poco tempo.
Reputo importante sottolineare un aspetto notevole: con questo sistema, andremo sempre più verso un aumento dell'età media della maternità, che è già abbastanza elevata. Gli ultimi dati la collocano mediamente attorno ai 31 anni, ma nella mia esperienza di neonatologo in un ospedale grande come il Policlinico «Gemelli», dove nascono 3.200 bambini l'anno e dove c'è un centro di terzo livello per le cure delle patologie della gravidanza e del neonato, abbiamo molte donne che a 40, 42, 45 e, quando possibile, anche più in là con gli anni, partoriscono degli esserini che pesano pochi etti. Sarebbe bene riportare, in termini di numeri, l'età della gravidanza delle nostre donne possibilmente a prima dei 40-45 anni, anche se il discorso è complesso dal momento che riguarda le risorse familiari e il coinvolgimento delle donne nel mondo del lavoro. D'altronde, se una coppia a 30-32 anni non può mettere su casa perché entrambi non riescono a lavorare per più di tre mesi alla volta, non è bloccando le assunzioni che risolviamo il problema del risparmio. Così facendo, risparmiamo sui nostri figli e sui nostri nipoti (scusate se lo dico così). È un'esperienza drammatica parlare con ragazzi di 35 anni che mi dicono che i figli li avrebbero già fatti volentieri, però prima dovevano studiare, poi dovevano prendere la specializzazione, poi dovevano aspettare due o tre anni per trovare uno straccio di lavoro per guadagnare 700-800 euro al mese, se va bene. Due persone che hanno uno stipendio totale di 1.400 euro al mese non possono comunque permettersi di mettere su casa.
È un problema complesso che sottoponiamo pesantemente ai nostri governanti e alle nostre istituzioni. Mi rendo conto che è un problema di grandi dimensioni ma, se non cominciamo a pensarci, da qui a 35 anni la situazione sarà drammatica. Prendete ad esempio una mamma che fa una figlia a 40 anni: quando questa mamma, se vivrà in buone condizioni di salute, avrà 75 anni o qualcosa di più, la figlia di 36-37 anni che vorrà formare una famiglia, non lo farà perché dovrà assistere la mamma di 80 anni. Mi rendo conto che può sembrare allarmistico, ma sono fermamente convinto che sia una realtà da affrontare per tempo, altrimenti non noi, ma chi verrà dopo di noi, tra trenta o quarant'anni, troverà una situazione drammaticamente irrisolvibile. Scusate il pessimismo.

RITA GHEDINI. Intervengo brevemente, anche se il professore ha aperto un argomento che meriterebbe tempo e riflessione. Vorrei ricordare un dato, che credo sia già noto, monitorato dall'Unione europea, relativo alla correlazione diretta dell'aumento dell'occupazione femminile con l'aumento della natalità e della genitorialità in età più precoce rispetto, ad esempio, alle medie del nostro Paese. C'è sicuramente un problema sociale e occupazionale molto forte, e credo che i problemi di strutturazione relazionale e affettiva della famiglia e dei minori non debbano essere messi in correlazione - come a volte capita di sentir dire - solo con la soggettiva aspirazione delle donne ad una piena occupazione, bensì con la necessità dei nuclei familiari di dare piena occupazione ai loro membri, qualunque sia il loro ruolo nella coppia genitoriale.
Con riferimento alle famiglie, vorrei rivolgere una domanda al dottor Tucci: lei ha chiaramente messo in evidenza, nel contenuto della relazione che fa riferimento


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alla vostra ricerca, una correlazione tra le caratteristiche delle famiglie e i comportamenti dei minori, con specifico riferimento all'attenzione e al consumo di televisione o, comunque, di mezzi di comunicazione. Le chiedo se, alla base della ricerca, vi sia una segmentazione dei modelli familiari. Poiché ci troviamo, ovviamente, di fronte a modelli familiari molto diversi, dobbiamo attenderci che questa diversità, già fortemente strutturata, aumenti; sarebbe importante capire se abbiate già osservato e studiato correlazioni in questo senso. Inoltre, dal momento che sembra emergere una patologia dell'adolescenza - come diceva la presidente Serafini - che, da quanto avete descritto, si correla in parte con elementi reali, ma in parte anche con una narrazione di questo fenomeno che ha profili diversi a seconda del narratore, vi chiedo se il campione di ragazzi sui quali svolgete l'indagine muti di anno in anno o se venga seguito nel corso del tempo. Lo chiedo per capire se i fenomeni osservati di correlazione tra determinati stili di vita e consumo di televisione possano considerarsi contingentati, limitati ad un periodo della vita, oppure se i danni e le alterazioni dei comportamenti a rischio che si strutturano in questa fase della vita poi vengano reiterati anche in età adulta.

MAURIZIO TUCCI, Rappresentante della Società italiana di pediatria. Purtroppo la risposta è «no» a tutte e due le domande, nel senso che noi non riusciamo a condurre un'analisi sulla famiglia di origine dei ragazzi che rispondono al questionario. Abbiamo effettuato delle analisi sulla zona di provenienza, nord, centro e sud, e vediamo che i risultati sono sempre più allineati; pertanto, da questo punto di vista la differenza geografica non sussiste. Invece, vi è una differenza comportamentale maggiore fra i ragazzi che vivono nelle grandi città e quelli che vivono in provincia. I comportamenti negativi, dunque anche il consumo di televisione, l'aggressività e via elencando, riguardano più i ragazzi che vivono nelle grandi città. Fa eccezione il consumo di sostanze stupefacenti ed alcol, che sembrerebbe più appannaggio dei ragazzi che vivono in provincia.
La risposta è un «no» anche alla seconda domanda, e questo è un nostro grande rammarico. Tenga presente che la nostra indagine è totalmente autofinanziata, e la Società Italiana di Pediatria purtroppo non ha grandissime risorse. Sarebbe molto interessante poter individuare un panel di riferimento e seguirlo. È una cosa che ci siamo sempre riproposti di fare, e ci piacerebbe avviare un'iniziativa che coinvolga le istituzioni. Noi, ogni anno, rinnoviamo completamente il campione, perché torniamo nelle stesse scuole delle stesse città e quindi «fotografiamo» i ragazzi in quel preciso istante. È significativo, comunque, che a parità di scuola e di città, in dieci anni le cose siano cambiate in maniera rilevante.

PRESIDENTE. Ringraziamo moltissimo i rappresentanti della Società italiana di pediatria. Terremo le vostre relazioni nella debita considerazione. Nel caso in cui, a conclusione della nostra indagine, desiderassimo rivolgervi alcune domande più dettagliate, potremmo rivederci e confrontarci. Le considerazioni espresse nell'odierna audizione sono molto importanti, perché la vostra competenza e la vostra responsabilità possono aiutarci a capire come intervenire.

MAURIZIO TUCCI, Rappresentante della Società italiana di pediatria. Molto volentieri, anzi, per noi sarebbe molto interessante se potessimo avviare un lavoro insieme. Anche per quanto riguarda il discorso relativo ai tetti di pubblicità nella fascia oraria dei ragazzi, io ho partecipato a diverse riunioni del Comitato tv e minori del Ministero delle comunicazioni, e una delle domande che ci siamo sempre posti di fronte a quel tipo di affollamento pubblicitario è se le emittenti violino quotidianamente i tetti, e allora ci chiediamo perché non si intervenga, oppure non li violano e quindi l'affollamento pubblicitario è consentito. Sono anni che facciamo questa domanda e purtroppo non abbiamo mai avuto una risposta, in


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un senso o nell'altro. Probabilmente con il vostro intervento si potrebbe quantomeno fare chiarezza e partire da lì, perché è vero che ci sono i problemi di grandissimo respiro e grandissimo impatto che ha affrontato il professor Cataldi, però sarebbe possibile cominciare da una piccola cosa che dia un senso, mettere un tassello per poi metterne un altro. Noi, da soli, come società scientifica, non ce la facciamo. Possiamo darvi tutto il supporto scientifico che volete e mettere a disposizione tutto quello che abbiamo fatto, però abbiamo bisogno, veramente, di un sostegno di altro tipo.

PRESIDENTE. Nel ringraziarvi nuovamente e nell'augurarvi buon lavoro, dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15.


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