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PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento della Camera dei deputati, l'audizione del Ministro della salute, Renato Balduzzi, sullo stato di attuazione dei procedimenti di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni e dei costi e fabbisogni standard nel settore sanitario.
Do la parola al Ministro Balduzzi per lo svolgimento della relazione.
RENATO BALDUZZI, Ministro della salute. Ringrazio per avermi offerto l'opportunità di fare il punto su due questioni che sono connesse, cioè lo stato dell'arte in materia di livelli essenziali di assistenza (LEA) e l'attuazione della parte del cosiddetto «federalismo fiscale» relativo ai costi e fabbisogni standard nel settore sanitario.
La vicenda dei livelli essenziali di assistenza è abbastanza nota: il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 2001 vide per la prima volta una declaratoria dei livelli essenziali, e l'aggettivo è importante perché nel corso degli anni Novanta si era avuta un'oscillazione - non soltanto a livello di dottrina, ma anche normativo - nel modo in cui qualificarli, tra «minimi» ed «essenziali». Alla fine del decennio il legislatore ordinario scelse la clausola dell'essenzialità in sanità, che venne confermata e generalizzata a tutti i diritti sociali e civili nella revisione costituzionale del 2001.
Quasi in coincidenza con l'entrata in vigore della revisione costituzionale, il Parlamento stralciò i livelli essenziali di assistenza dal Piano sanitario nazionale perché, nel frattempo, si era acquisita la consapevolezza che essi costituivano una decisione molto complessa: infatti, si trattava di migliaia di prestazioni che difficilmente potevano essere inserite all'interno di un documento come il Piano sanitario nazionale, che aveva diverse finalità e natura.
Da quel momento cominciò la vicenda operativa dei LEA, dove la clausola di essenzialità - anche alla luce di documenti normativi coevi alla riforma sanitaria del 1998-1999 - è intesa come riferimento ai livelli necessari e appropriati e rimanda all'organizzazione del sistema sanitario, perché quando si dice che i livelli essenziali sono quelli necessari e appropriati, si rinvia evidentemente al modo in cui il sistema è organizzato per poter prestare livelli di assistenza appropriati.
Salvo interventi puntuali - talvolta anche a livello legislativo - per aggiungere questo o quel livello essenziale, fino al 2008 il sistema non trovò una proposta di
modifica significativa; uno degli ultimi atti del Governo Prodi nella scorsa legislatura, invece, consistette nell'adottare i cosiddetti «nuovi LEA», che avevano la caratteristica di asciugare il complesso dei livelli essenziali del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 2001 e di introdurre nuovi livelli essenziali.
Anche la tecnica usata nel 2001 si differenzia da quella del 2008, perché mentre la prima aveva pensato a una via di mezzo fra una declaratoria puntuale e un elenco soltanto negativo, la seconda decise di normare in senso stretto circa 50 articoli e disegnare il decreto come un atto normativo, e non semplicemente, come si era fatto in precedenza, come una via di mezzo tra l'atto normativo e l'atto programmatorio o di indirizzo.
Allo stesso modo, si identificarono circa 6.000 prestazioni; un numero simile induce inevitabilmente il sistema a una sorta di ingresso e uscita, dove alcune prestazioni entrano ed altre escono, oppure alcune entrano con certe cautele e altre escono a certe condizioni. È un numero enorme, e quando si parla dei LEA menzionandone il numero, normalmente si avverte un certo stupore.
Eravamo abituati a pensare ai macro LEA - prevenzione, assistenza territoriale, ospedaliera eccetera - come modo per costruire i livelli, ma quando si è giunti alla declaratoria, questa è risultata molto puntuale: vi sono dimensioni cospicue per la specialistica ambulatoriale, la protesica, eccetera, che fanno sì che il sistema per sua natura abbia bisogno di un ingresso e di un'uscita, affinché la manutenzione periodica dei LEA non sia un optional, bensì qualcosa di dovuto.
La manutenzione periodica dei LEA deve però fare i conti con le risorse disponibili, e per questa ragione, in sede di registrazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 2008, la Corte dei conti formulò alcuni rilievi relativi all'equilibrio economico. I nuovi costi - che emergevano soprattutto dalla ridefinizione dell'assistenza specialistica e di quella protesica - e la riduzione dei costi dell'assistenza ospedaliera non sembravano sufficientemente bilanciati; in modo particolare, la prospettiva di ridurre i costi appariva legata soltanto a misure sull'appropriatezza e non a una riduzione strutturale dell'offerta (con riferimento, per esempio, alla dotazione di posti letto per 1.000 abitanti).
Il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri si fermò. Mi astengo dall'esaminare le tappe successive prima del 2008, quando il nuovo Governo e il Ministero della salute (che allora non si chiamava così, perché era un ministero accorpato) avviarono un'attività volta a eliminare prestazioni obsolete e costose e a restringere alcuni criteri di erogabilità per arrivare a un bilanciamento. Anche per il Patto per la salute 2010-2012 si dispose una riduzione dello standard di posti letto - che passò da 4,5 a 4 per ogni 1.000 abitanti - con l'effetto di determinare circa 30.000 posti in meno, ma il Ministero dell'economia e delle finanze, a cui il testo fu consegnato nel febbraio del 2010, valutò che il bilanciamento non fosse sufficiente e i cosiddetti «nuovi LEA» rimasero sospesi.
Oggi si può immaginare di intervenire sulla situazione, magari sfoltendo il sistema della specialistica ambulatoriale in modo da inserire e includere alcune esigenze che si sono manifestate nel tempo, in particolare per quanto riguarda i settori della disabilità e, soprattutto, delle malattie rare. È possibile che, dal 2008 a oggi, l'elenco delle cosiddette «109 malattie rare» sia aumentato, e anche se tali malattie incidono, com'è noto, su poche persone (è rara la malattia che non supera i 5.000-10.000 abitanti), sono comunque tante patologie che, messe in fila, rappresentano una situazione di grande criticità.
È difficile immaginare nuove risorse per il servizio sanitario nazionale visto che, per conservarlo, siamo costretti a operazioni di segno diverso, ossia di razionalizzazione e revisione della spesa. Si potrebbe fare qualcosa in prospettiva, rimodulando da un lato alcune delle scelte del 2008 - penso soprattutto al settore della specialistica ambulatoriale e della protesica - e, dall'altro, sfoltendo le prestazioni
che l'evoluzione tecnologica rende disponibili a pochi centesimi in modo da non incidere sulla vita del cittadino, ma che, sui grandi numeri, significano comunque qualcosa.
Questo è il terreno sul quale stiamo cercando di muoverci per riproporre il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 2008 (che, ovviamente, è diverso, visto che sono passati quattro anni) e arrivare a una sua effettiva applicazione, perché ormai i cosiddetti «nuovi LEA», che non sono mai diventati efficaci, non sono più tanto nuovi.
Questo è il criterio sul quale ci stiamo muovendo, e nel corso dell'estate mi riservo di lanciare una proposta in questa direzione: sicuramente si farà uno sforzo per rendere più cogenti talune indicazioni di appropriatezza, con qualcosa di simile a quelle che in origine erano state le note della Commissione unica del farmaco o alle indicazioni di appropriatezza normalmente individuate - in particolare per quanto riguarda prestazioni di diagnostica strumentale - proprio nel senso di non diminuire le garanzie ma di favorire l'appropriatezza.
Probabilmente vi è un numero eccessivo di prescrizioni di diagnostica strumentale, e intendiamo ridurre l'inappropriatezza - limitando, al tempo stesso, l'incidenza negativa sulla salute - per consentire alcuni risparmi da utilizzare per aprire nuovi livelli essenziali.
Per fare ciò non basta un'operazione ingegneristica sui LEA, ma occorrono altre tecniche. In particolare, nel provvedimento che sarà presentato prossimamente al Parlamento in materia di sanità, agiremo sulla cosiddetta «medicina difensiva» e sulla responsabilità professionale sanitaria, perché spesso e volentieri una prescrizione inappropriata ha alla base proprio questo tipo di preoccupazione; non è frutto né di una pressione esagerata sul medico, né di una sua incapacità, ma di una situazione strutturale.
Quanto al secondo profilo di questa audizione, cioè l'attuazione del federalismo fiscale sui costi e fabbisogni standard in sanità, siamo alla vigilia di quello che sarà l'anno di avvio del nuovo meccanismo di riparto delle risorse sulla base dei criteri stabiliti prima dalla legge n. 42 e poi dal decreto legislativo n. 68 e dagli altri provvedimenti di attuazione. È in fase di avanzata elaborazione, come previsto dalla normativa vigente, un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri in base al quale individueremo le cinque regioni tra cui sceglierne tre che faranno da benchmark, ossia da regioni di riferimento.
Nelle modalità in cui lo stiamo completando, il decreto prevede due fasi metodologiche. La prima fase consiste nell'individuazione delle regioni eleggibili per l'inserimento in graduatoria ai fini di individuarne cinque, tra cui ne saranno poi scelte tre. L'eleggibilità si basa su vari criteri, tra cui, innanzitutto, l'erogazione garantita dei LEA: abbiamo una griglia valutativa - in gergo «sanitarese» è la cosiddetta «griglia dei LEA» del «Comitato dell'articolo 9 dell'Intesa Stato-regioni del 23 marzo 2005» - per le regioni che abbiano riportato un punteggio pari o superiore a quello mediano con riferimento all'ultimo anno per cui risulta completato il procedimento di verifica.
Il secondo criterio di eleggibilità consiste nell'aver garantito l'equilibrio finanziario del bilancio con esclusivo riferimento alle risorse ordinarie, vale a dire al netto degli interventi che la regione eventualmente voglia eseguire per realizzare l'equilibrio basandosi su interventi e risorse cosiddette «proprie» (i dati di riferimento, in questo caso, saranno quelli del secondo semestre del 2011, come prevede la normativa).
Inoltre, le regioni eleggibili non devono essere assoggettate al Piano di rientro e devono essere risultate adempienti in sede di valutazione del tavolo del Patto per la salute: non si tratta di quello dell'articolo 9, competente per gli aspetti sanitari, ma quello dell'articolo 12, che valuta gli aspetti economico-finanziari (in realtà, i due tavoli lavorano congiuntamente ed è auspicabile che lo facciano sempre più).
Una volta eseguita questa prima scrematura, occorre formulare la graduatoria
delle regioni per individuare le prime cinque tra cui scegliere le tre regioni di riferimento. Pensiamo che il procedimento di scelta delle regioni benchmark non debba andare oltre il 30 settembre, per poter definire un progetto di riparto per il 2013 con qualche anticipo. Il riparto è sempre un momento difficile, ma quest'anno lo è in modo particolare perché la situazione economico-finanziaria ha indotto il Governo a sospenderlo in vista dell'entrata in vigore del decreto-legge n. 95 sulla revisione della spesa; disponendo un quadro di criteri diverso, l'intendimento per il 2013 è di anticipare il procedimento.
Per la formulazione della graduatoria delle regioni si farà riferimento ad alcune variabili: una sarà data dal risultato della griglia valutativa sui LEA - di cui ho già detto - e un'altra consiste nel rapporto tra costi e ricavi; inoltre, stiamo individuando altri indicatori capaci di dare la misura dell'appropriatezza delle prestazioni e della qualità dei servizi erogati nonché della loro appropriatezza ed efficienza.
Per dare alla Commissione il senso del lavoro che stiamo svolgendo, tra questi indicatori segnalo la percentuale di interventi di frattura di femore entro due giorni - che rappresenta un segnale di efficienza e di capacità anche con riferimento agli esiti degli stessi interventi - nonché la percentuale di dimessi dai reparti chirurgici con DRG medici e la percentuale di ricoveri diurni di tipo diagnostico sul totale dei ricoveri diurni con DRG medici.
Questo rientra nello sforzo più generale in tema di appropriatezza: se una persona non ha bisogno di un ricovero ordinario, deve esserle fornito il day hospital; se può fare a meno del day hospital la prestazione ambulatoriale è sufficiente. Deve essere così: la prestazione come è resa, diventa poi un indicatore di virtuosità della regione stessa.
Infine, vorrei parlare del rapporto tra la revisione della spesa e l'entrata a regime del meccanismo dei costi e fabbisogni standard. Si tratta di strumenti che si muovono su piani diversi: il meccanismo dei fabbisogni e costi standard fa riferimento alle macroaree dell'assistenza e della prevenzione distrettuale e ospedaliera, e cerca la qualità dell'organizzazione dell'assistenza stessa; il meccanismo della spending review, invece, ha come riferimento l'efficienza dei singoli costi produttivi.
Sono due strumentazioni differenti e l'importanza sta nella loro sinergia, perché l'individuazione di un benchmark di qualità si accompagna allo stimolo nei confronti di tutte le regioni. La spending review non si riferisce solo alle regioni cosiddette «virtuose», poiché parte dal presupposto che anche le regioni con l'assistenza sanitaria migliore e i conti a posto abbiano ancora dei significativi margini di efficienza e di revisione della spesa al fine di ottenere risultati e performance sempre migliori.
Per concludere il mio intervento, rinnovando il ringraziamento alla Commissione per l'opportunità che mi è stata offerta, la spending review coinvolge tutte le regioni perché riguarda comparti diversi - beni, servizi e rapporto con gli erogatori privati - mentre l'attuazione del federalismo fiscale si incentra sull'individuazione di alcune regioni di riferimento utilizzate come benchmark di qualità. I due strumenti sono sinergici, non alternativi.
PRESIDENTE. Grazie, Ministro, per questa relazione estremamente utile, dalla quale nascono almeno un paio di domande che vorrei rivolgerle.
Il lavoro preparatorio del quale ci ha parlato deve aver richiesto tempo e cura, proprio affinché venisse svolto bene e risultasse preciso e dettagliato. Tuttavia, abbiamo ansia di vedere un prodotto finito, ossia la realizzazione della parte riguardante i costi standard secondo il decreto che abbiamo approvato in attuazione del federalismo fiscale, pur essendo d'accordo sul fatto che i due piani - la spending review e l'argomento che oggi affrontiamo - siano differenti benché in qualche modo connessi.
Uno dei princìpi fondanti del federalismo fiscale è che esso sia realizzato a
costo zero: tanto lo Stato riduce i trasferimenti, tanto le regioni, i comuni e le province devono acquisire mediante entrate proprie. La somma algebrica dovrebbe dare lo zero, ma si potrebbe anche ottenere di più da un'applicazione oculata e rigorosa dei costi standard. Vengo da un'esperienza devastante, perché sono siciliano e ho visto come funziona la sanità in regione, quanto costa, purtroppo, e qual è il numero dei siciliani che vanno in altre regioni per farsi curare e operare; pertanto, la mia ansia è ancora maggiore di quella di tanti colleghi.
Dopo questa premessa, vorrei chiederle quando, per sommi capi, presume che potremo avere un prodotto finito che ci aiuti a una migliore gestione e, allo stesso tempo, a una maggiore efficienza nella sanità.
Do adesso la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
LUCIO ALESSIO D'UBALDO. Ringrazio il Ministro e mi riallaccio all'osservazione del Presidente, piegandola leggermente in altra maniera.
Mi sembra che l'audizione insista su una questione consolidata e importante, ovvero fare in modo che la strategia del Governo, mediante approfondimenti crescenti, possa conseguire il risultato di ridurre tutto ciò che è dispersione e inappropriatezza nel sistema. Per come si è sviluppato ed è rappresentato, trovo che questo sia non solo comprensibile ma anche attuabile; anche se troppo lentamente, il sistema sanitario nella sua articolazione regionale conosce da anni un tentativo - insufficiente rispetto alle aspettative, soprattutto in alcune aree e in alcune regioni - che comprime gli spazi di inappropriatezza.
Viceversa, quando, a livello di semplificazione mass-mediatica e, purtroppo, anche a livello di dibattito - persino in quest'aula - siamo arrivati al punto di dire che, semplificando, il problema consiste nel verificare come mai la siringa costi 1 euro da una parte e 10 dall'altra, mi sembra che abbiamo distorto non solo il messaggio ma anche l'analisi. Non sono così convinto che in un sistema che oggi è - e lo sarà anche domani - articolato su più stazioni appaltanti con più centri di spesa si possa immaginare un'uniformità particolarmente rigida; gli abusi, se ci sono, vanno sempre colpiti.
Ovviamente, aspetto la risposta del Ministro ma credo di poter dire che la domanda del Presidente mi dà una conferma perché poggia proprio su questo, ovvero sul fatto che non stiamo parlando della frammentazione del rapporto tra domanda e offerta nel sistema. Ho l'impressione che sia stata e sia tutt'oggi una questione deformata e deformante, e vorrei trovare conferma nelle parole del Ministro; personalmente credo di averla già trovata quando ha detto (scusandomi sin da ora se semplifico in maniera errata) che il problema sta nel ridurre le inappropriatezze, perché questi sono gli sprechi che razionalmente si possono individuare, per tornare sulla strada più corretta.
Se ho capito male, ascolterei volentieri la correzione del Ministro, che presumo debba dare dialetticamente ragione al Presidente.
LINDA LANZILLOTTA. Non ho ascoltato la prima parte, per cui potrei porgere una domanda non appropriata. Della seconda parte non mi è chiaro il rapporto tra l'operazione che si sta compiendo in attuazione del federalismo fiscale e quella che si compie con la spending review.
Nella mia idea, la spending review dovrebbe essere dentro l'operazione; vorrei capire perché non è così e cosa si intende per «costo standard», perché quando abbiamo discusso il decreto per il federalismo regionale per la parte della sanità, ad alcuni di noi il dubbio era venuto ed era stato prospettato. Questo ha anche motivato alcune discussioni, ossia che il sistema del federalismo fiscale incorporasse una serie di inefficienze e diseconomicità che non venivano toccate.
Vorrei capire perché la spending review riguarda solo il costo unitario di singoli beni: in tal caso, quando si calcola il costo
unitario della prestazione e quando l'adeguatezza dell'offerta? Come avevamo più volte osservato, estrapolare alcune regioni che appaiono efficienti nel rapporto tra costi e ricavi non necessariamente identifica l'appropriatezza in termini di rapporto tra domanda e offerta e costo della prestazione unitaria, non solo della singola siringa.
Sarebbe interessante capire come questi due percorsi si intrecciano e se, nella sua esperienza di attuazione del federalismo, il Ministro può dirci se il percorso identificato dai decreti porta a questo risultato e a questa analisi oppure porta ad assumere come standard un modello ottimale nel rapporto costi-ricavi. Poiché sappiamo che i ricavi sono più alti che altrove (dal momento che si assumano come modello i ricavi delle regioni a capacità fiscale più alta) il rischio è che ci si attesti su un'offerta e su un costo di prestazione troppo alti, come molti di noi hanno ritenuto di intravedere nell'andamento della spesa negli ultimi cinque anni.
Il dubbio è che, alla fine di questa operazione, non si ridimensionino i costi unitari ovunque essi si producano - anche nelle regioni dove non si produce disavanzo - ma dove si producono inefficienze e si incorporano costi inappropriati.
Vorrei chiederle di approfondire questo aspetto, perché non mi è del tutto chiaro. Grazie.
TINO IANNUZZI. Ringrazio il Ministro per la relazione e vorrei porgere due quesiti sui due oggetti della relazione, i LEA e la determinazione di fabbisogni e costi standard.
Per quel che concerne i LEA, mi pare che l'indicazione del Ministro sia quella di un intervento normativo - anche ravvicinato nel tempo, ovvero nelle prossime settimane - per razionalizzare, semplificare e selezionare più accuratamente l'elenco delle prestazioni ricomprese nei livelli essenziali di assistenza.
Da questo punto di vista, vorrei chiedere al Ministro se il Governo, con quest'operazione, intende perseguire non soltanto un comprensibile obiettivo di razionalizzazione, di sistemazione e di più adeguata inserzione nell'elenco di questa o quella tipologia di prestazione, ma anche obiettivi concreti di risparmio e di recupero di risorse economiche, ed eventualmente in quali direzioni vuole utilizzare queste ultime.
In secondo luogo, l'operazione dei fabbisogni e costi standard deve tendere a perseguire il contemperamento tra tutela della salute della persona, solidarietà e perequazione territoriale, efficienza e qualità delle prestazioni. Con la spending review abbiamo alcuni provvedimenti come quelli della determinazione del tetto di posti letto per regione, con risultati anche sorprendenti: ad esempio, la Lombardia registra un notevole surplus di posti letti nella condizione attuale rispetto alla media fissata, mentre la Campania - che è oggetto dei provvedimenti di commissariamento - registra un deficit di posti letto rispetto al nuovo fabbisogno prefigurato, che, tra le altre cose, non si capisce come non dovrebbe essere nemmeno recuperato.
In che misura l'operazione di determinazione del plafond dei posti letto regione per regione entra nell'operazione di fabbisogni e costi standard?
Infine, quali sono gli ambiti specifici che il Ministro ha cominciato a prefigurare in relazione alla possibilità di recupero di aree - come diceva il collega D'Ubaldo - di inadeguatezza, ovvero di prosciugamento di momenti di utilizzo non oculato delle risorse pubbliche in vista dell'operazione di costi standard e fabbisogni? Grazie.
GIULIANO BARBOLINI. Scusandomi con il Ministro perché la sovrapposizione di impegni parlamentari mi ha impedito di ascoltare la prima parte del suo intervento, anch'io potrei svolgere una considerazione già sviluppata.
Ho l'impressione che fra applicazione degli obiettivi del federalismo fiscale, standardizzazione dei LEA, dei costi per tipologia di prestazione eccetera e urgenze e cogenze degli equilibri di finanza pubblica, siamo nella classica competizione in cui
Achille non raggiunge mai la tartaruga; anzi, spesso ci poniamo degli obiettivi desiderabili che vengono travolti dalle necessità di riduzione e di contenimento dei fattori di spesa.
Mi sembra che, anche in questo caso, quando parliamo di spending review, si tratti più di questo che di altro.
In questo spirito, per cercare di salvare il salvabile, vi sono elementi che potrebbero evitare la critica che tutto ciò determini un accumulo e un accentuarsi di fattori sperequativi? Vi possono essere dinamiche di contenimento che - se attuate - in alcuni sistemi sanitari non realizzano l'obiettivo di mantenere l'invarianza delle prestazioni di servizi al cittadino mentre da altre parti possono rimanere margini di flessibilità.
Come si può trovare una chiave per decodificare questo problema? Capisco che andiamo al taglio di spese e riduzione delle prestazioni, ma l'utilizzo di alcuni meccanismi premiali e incentivanti rispetto, per esempio, al tema della riduzione del numero dei posti letto non poteva o non potrebbe essere una chiave modificativa che garantisca maggiormente la possibilità, l'affidabilità e la credibilità di un risultato, in termini di recupero di efficienza e di contenimento dei costi?
PRESIDENTE. Do la parola al Ministro Balduzzi per la replica.
RENATO BALDUZZI, Ministro della salute. Grazie, anche perché questo tipo di audizioni si conferma un'occasione di scambio reciproco - non semplicemente un'occasione in cui si pongono delle domande - in cui, anche da parte dell'audito, si percepiscono profili nuovi.
Cercherò di rispondere contestualmente sia al presidente La Loggia sia al senatore D'Ubaldo e all'onorevole Lanzillotta dicendo che l'intervento chiamato spending review è da intendersi davvero come complementare all'attuazione del federalismo fiscale. L'insieme delle tecniche inserite nel decreto-legge n. 95 costituisce un complesso di strumenti da affidare alle regioni per affrontare meglio la sfida del federalismo fiscale, che, inevitabilmente, proprio per come è stata costruita, cerca di innalzare la qualità media del sistema, agendo nello stesso tempo sulla responsabilizzazione forte dei territori secondo la logica dell'attuazione dell'articolo 119 della Costituzione.
Questo, però, potrebbe generare problemi significativi in assenza di strumenti volti a posizionarsi in vista di quello che, per determinate regioni, alla stregua del benchmark utilizzato, potrebbe essere un sottofinanziamento. Il complesso degli strumenti - perché sono più d'uno - individuati nel decreto-legge sulla revisione della spesa già per il 2012 induce tutte le regioni a darsi dei sistemi interni (eventualmente a darsene altri, se già l'hanno fatto) di controllo, non solo per quanto riguarda l'acquisto di beni e servizi ma anche per le dimensioni dell'organizzazione sanitaria.
Forse una delle disposizioni più importanti del decreto-legge n. 95 è che la clausola dell'articolo 15 non si limita solo alla riduzione dei posti letto per mille abitanti da 4 a 3,7 (di cui, comunque, 0,7 per lungodegenza e continuità). L'obiettivo, semmai, è proprio quello di arrivare a quello standard, in quanto anche regioni che già oggi si attestano al di sotto dello standard di posti letto sono a rischio perché hanno un'offerta inadeguata - soprattutto per quanto riguarda la continuità assistenziale - perché magari scontano una mobilità passiva esagerata.
Un po' di mobilità è nella logica del sistema, proprio perché questo sistema non solo consente la portabilità del diritto alla salute ma, se funziona, è anche in grado di dare al cittadino delle informazioni grazie alle quali spendere la portabilità là dove è maggiormente garantito. Siamo tuttavia in presenza di un eccesso di mobilità, che qualche volta è anche frutto di mentalità, più che di dati; a volte è giustificato, altre meno.
Non solo le regioni devono ridurre i posti letto, ma devono anche collegare tale riduzione a quella delle unità operative complesse; se non eseguono la razionalizzazione della rete con una verifica stringente
per i piccoli ospedali, questi ultimi dovranno essere necessariamente chiusi o riconvertiti se non entrano in una rete virtuosa.
Se le regioni non fanno tutto questo, non possono più utilizzare lo strumento dell'articolo 15-septies del decreto legislativo n. 502 del 1992 per assumere personale a tempo determinato; inoltre, entro qualche mese avranno gli standard quantitativi (ora possibili, perché gli strumenti ce lo consentono) nei quali sarà dimensionato il numero di unità operative complesse in determinate specialità, che è realisticamente e saggiamente possibile. Se non si troveranno in queste condizioni, non avranno alibi.
È una rivoluzione, anche se parlandone non sembra tale: sappiamo bene cosa vuol dire dimensionare le unità operative complesse, specialmente nei contesti in cui queste sono collegate a situazioni stratificate nel tempo, con il collegamento tra sistema ospedaliero e sanità universitaria. Sono questioni importanti e non semplici, ma l'indicazione di tendenza non può che essere quella.
La riduzione dell'inappropriatezza non riguarda solo la prestazione singola, ma è di sistema e di riorganizzazione; questo è il messaggio della spending review, e da questo punto di vista è un messaggio coerente con quello del federalismo fiscale. Si tratta di una logica diversa, ma cerca la qualità e responsabilizza in ordine al fabbisogno; l'altra logica, invece, fornisce gli strumenti per poter stare all'interno di un circuito virtuoso.
Il presidente La Loggia mi ha chiesto quando ciò avverrà. La nostra tabella di marcia prevede per agosto il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, per settembre l'individuazione delle cinque regioni da cui sceglierne tre, e per ottobre i costi standard riferiti alle tre regioni, così da poter avviare il processo di riparto 2013 a novembre. Allo stato delle cose, è una tabella realistica.
Spero di aver risposto anche all'appropriata domanda dell'onorevole Lanzillotta; all'onorevole Iannuzzi vorrei invece dire che sarebbe bello se, ristrutturando i LEA, si potesse avere un risparmio volto a far fronte ad altre esigenze. È già tanto se la ristrutturazione, il riequilibrio, la respirazione, l'uscita e l'ingresso e, in definitiva, la rimodulazione dei criteri cui assoggettare alcune prestazioni porti equilibrio; il problema dei cosiddetti «nuovi LEA» è che, in questi anni, si è valutato che tale equilibrio non c'era, pertanto sono rimasti fermi. Confidiamo nel fatto che, con un ulteriore lavoro di affinamento, l'equilibrio possa esserci.
Per quanto riguarda la questione del posti letto e le aree di inadeguatezza, vale il discorso precedente: quando l'inappropriatezza è organizzativa, la spending review prevede strumenti per controllarla nonché incentivi e sanzioni. Ciò risponde anche alla domanda del senatore Barbolini, perché la sfida del decreto-legge n. 95 è evidentemente la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi; in questo è implicita una sfida, perché la revisione della spesa è già stata prevista in passato, non comincia certo oggi con il nuovo Governo.
La spending review è un percorso tentato da anni, ma mentre allora era volta a risparmiare per reinvestire, in questo momento si risparmia perché non possiamo fare diversamente. Occorre riuscire a rispondere alle esigenze e ai bisogni con gli strumenti che troviamo insieme e che sono stati forniti, lasciando aperta e impregiudicata - per un futuro che ci auguriamo il più vicino possibile - la possibilità di ritornare alla logica del risparmio per investire senza tornare alle pratiche antiche, dove non vi erano né controllo né prospettiva.
Se torneremo entro breve a una situazione di equilibrio economico-finanziario e a un dato macroeconomico migliori (sicuramente vi torneremo, il problema è tornarvi rapidamente), avremo anche gli strumenti conoscitivi - e intendo soprattutto gli standard non solo qualitativi ma anche quantitativi e di esito - per evitare alcune delle derive verificatesi in passato, perché ormai abbiamo la possibilità di collegare certi volumi a certi esiti. Ciò non
è ancora generalizzato a tutte le specialità e a tutti gli interventi, ma siamo molto avanti.
PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro Balduzzi. Siamo riusciti a svolgere tutto nei tempi massimi stabiliti. La tabella di marcia che ci ha illustrato in ultimo è molto confortante, con una cadenza temporale che l'anno venturo consentirà di partire già con l'applicazione dei costi standard; ciò è estremamente utile, oltre che connesso e funzionale - anche se su due piani diversi - all'operazione di revisione della spesa nel suo complesso.
Devo comunicare ai colleghi intervenuti che, a seguito della lettera che abbiamo mandato al Presidente del Consiglio dei ministri, nonché ai Ministri Giarda, Grilli e Patroni Griffi, abbiamo intrapreso già gli opportuni contatti che dovrebbero portarci (al più tardi entro la settimana prossima) a un'audizione del Ministro Giarda, del commissario Bondi e del sottosegretario Vieri Ceriani - se non potremo avere la partecipazione del Ministro Grilli - sullo stesso argomento. Appena avremo notizie più precise, vi saranno comunicate.
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 14.
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