TESTO AGGIORNATO AL 27 FEBBRAIO 2012
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a fine giugno il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Carlo Giovanardi ha presentato in Parlamento la «Relazione annuale sullo stato delle tossicodipendenze in Italia - dati relativi all'anno 2008» (d'ora in poi «Relazione»);
la Relazione è una delle migliori prodotte finora, per dovizia, completezza e accuratezza di dati, grafici, analisi e interpretazioni;
a pag. 13 della Relazione (testo cartaceo) si legge: «... Dal 2006 si evidenzia una forte riduzione del numero di soggetti inviati al programma terapeutico e un aumento delle sanzioni applicate. Il fenomeno è sostenuto dalla mancata sospensione delle sanzioni in caso di accettazione del programma (Legge 49/2006) ...»;
a pag. 14 della Relazione si legge: «... Il numero dei controlli per fondato sospetto di guida sotto l'effetto di alcol e/o droghe svolti dalle FF.OO. nel 2008 è ulteriormente cresciuto (+76 per cento) rispetto all'anno precedente, anno in cui gli eventi erano già raddoppiati. Ciò ha portato ad un effetto deterrente cui è corrisposto un forte calo della percentuale di positività per alcol: 15 per cento nel 2006, 6 per cento nel 2007, 4 per cento nel 2008. Similmente, si è abbassata anche la positività per droga: 1,4 per cento nel 2006, 0,6 per cento nel 2007, 0,3 per cento nel 2008 ...»;
a pag. 62 della Relazione si legge: «... A fronte di una diminuzione dell'uso di eroina come sostanza primaria, si osserva un incremento del consumo di cocaina (dall'1,3 per cento a oltre il 15 per cento) che ha superato la cannabis come sostanza prevalente (dal 5 per cento al 9 per cento) ...»;
a pag. 98 della Relazione si legge: «... Nell'anno 2007 il numero degli incidenti nei quali è stata rilevata la presenza di alcool o droga in almeno un conducente/pedone è pari a 6.904, rispettivamente 6.031 ed 873, pari a quasi il 3 per cento degli incidenti totali. Le persone complessivamente decedute 237, 189 per alcool e 48 per droga, pari al 4,62 per cento ed il numero di feriti è di 10.716, 9.292 per alcool e 1.424 per droga, pari al 3,29 per cento ...»;
a pag. 111 e 112 della Relazione si legge: «... Con riferimento alle caratteristiche di questa utenza (Adulti tossicodipendenti ristretti in carcere, ndr) informazioni maggiormente dettagliate sono disponibili solo per una minima parte, circa 3.700 soggetti, per i quali è possibile definire un profilo dal punto di vista demografico ed epidemiologico sull'uso di sostanze e clinico per quanto riguarda la presenza di malattie infettive. Rispetto all'anno precedente il contingente di detenuti consumatori di sostanze per i quali le Autorità Giudiziarie dispongono di informazione dettagliate sullo stato di tossicodipendenza è stato sensibilmente ridotto, oltre la metà, in seguito alla fase transitoria di applicazione del DPCM 19 marzo 2008 concernente il trasferimento di tutte le competenze in tema di medicina penitenziaria dal Ministero della Giustizia alle Regioni, quindi alle aziende sanitarie del S.S.N. ...»;
a pag. 140 della Relazione è riportata la Figura II.1.2, da cui si evince che rispetto ai 4 Obiettivi del Piano Italiano d'Azione sulle Droghe 2008 (PdA) attinenti alle politiche di riduzione del danno (28. Definizione Progetti di riduzione del danno - 26. Definizione e aggiornamento LEA (Livelli Essenziali Assistenza, ndr) - 29. Definizione Linee guida sulla riduzione del danno - 34. Sperimentazione per migliorare il trattamento dipendenze in carcere) la stragrande maggioranza delle amministrazioni regionali e delle province autonome non hanno raggiunto l'obiettivo, nemmeno in parte;
a pag. 144 della Relazione si legge: «... Delle 15 Amministrazioni contattate, 7 (46,7 per cento) hanno rinviato il questionario, perciò le azioni valutate sono 53 sulle 106 totali. Questa percentuale molto alta di mancate risposte è sicuramente un punto critico, perché non permette di effettuare una valutazione «apprezzabile» delle azioni che compongono il PdA ...»;
a pag. 158 della Relazione, nella Tabella II.2.2 (Personale addetto ai Servizi per le tossicodipendenze. Anni 2000-2008), ben 9 Amministrazioni regionali e le 2 Province Autonome non hanno fornito il
dato relativo al personale dei Sert presente nel 2008, rendendo del tutto ipotetico il dato totale e la percentuale relativa al raffronto con i dati del 2000;
a pag. 227 della Relazione si legge: «... Le Regioni che hanno realizzato l'Obiettivo (misure alternative alla detenzione, ndr) conformemente alle indicazioni del Piano sono state il 5,9 per cento, quelle che hanno perseguito l'Obiettivo con Azioni non conformi il 29,4 per cento e le Regioni che sono state inattive il 64,7 per cento ... Sembrano poche le Regioni (almeno 4) che mostrano esperienze all'avanguardia documentate in normative regionali. La legge DPCM 230/99 ha indiscutibilmente introdotto variabili che sfuggono sia al controllo delle Regioni sia a quello del Ministero della Giustizia ... il picco degli eventi fatali (overdose) e quelli criminali causati da tossicodipendenti alla fine della loro detenzione avviene in concomitanza con la fine della permanenza nella struttura e con il ritorno alla vita ordinaria. È in quel momento che il detenuto ha il maggior bisogno di cure che impongono un supporto dei servizi e la presa in carico individualizzata per i rispettivi percorsi di inclusione sociale...»;
a pag. 285 della Relazione si legge: «... È stato realizzato il sito istituzionale del DPA www.politicheantidroga.it, quale fonte istituzionale privilegiata di informazione/formazione sia per esperti del settore sia per la cittadinanza che desidera avere informazioni generali sull'attività del governo in materia di droghe e patologie correlate ...»;
a pag. 304 della Relazione si legge: «... (relazione Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria - Direzione Generale dei detenuti e del trattamento Ufficio III - Servizio Sanitario): A distanza di nove anni dal passaggio delle competenze al SSN è possibile constatare che l'assenza di linee guida univoche e concordate in materia di gestione della tossicodipendenza in carcere ha determinato la non uniformità di trattamento nei penitenziari italiani tra Regioni e Regioni e, all'interno della stessa Regione, tra ASL e ASL. Inoltre, i vari servizi, a causa delle note limitazioni di bilancio alla sanità pubblica, facendosi carico dell'assistenza alle persone detenute con dipendenza patologica, nella generalità dei casi non hanno registrato incrementi rispetto agli organici già predisposti dall'Amministrazione Penitenziaria prima del 2000. Il combinato di quanto sopra rappresenta un problema sia, sicuramente, per gli utenti - mutati in questi 10 anni sia come tipologia (basti accennare alle diverse nazionalità) che come bisogni socio-assistenziali (forme di abuso complesse, assenza di riferimenti sul territorio, patologie psichiatriche e infettive correlate) - che per l'Amministrazione Penitenziaria in termini di ricaduta sulla sicurezza e l'ordine degli Istituti ...» -:
con riferimento a quanto riportato in premessa (pag. 13 della Relazione), se quanto scritto non evidenzi in modo esaustivo che gli effetti delle modifiche introdotte dalle legge 49/06 («Fini-Giovanardi») si pongono palesemente in contrasto con l'asserito intento del governo di privilegiare il recupero dei soggetti segnalati alle Prefetture rispetto alla mera applicazione, delle sanzioni amministrative;
con riferimento a quanto riportato in premessa (pag. 14 della Relazione), se il Governo intenda convenire con gli interpellanti sul fatto che il fattore decisivo per la diminuzione del numero di guidatori fermati per abuso di alcool e/o stupefacenti sia stato non l'allarmismo veicolato dai media bensì l'aumento esponenziale dei controlli stradali, aumento già iniziato sotto il Governo precedente;
con riferimento a quanto riportato in premessa (pag. 62 della Relazione ma vedi anche pag. 123 e segg.), se il Governo non rilevi una palese discrepanza fra l'incontestabile aumento del consumo di cocaina nel nostro Paese e le reiterate dichiarazioni del Dr. Antonio Costa (Direttore esecutivo Agenzia ONU per le droghe) sulla diminuzione della produzione, vendita e consumo di cocaina nel mondo;
con riferimento a quanto riportato in premessa (pag. 98 della Relazione), come il Governo giustifichi l'evidente discrasia fra la martellante campagna mediatica tendente ad accreditare la convinzione che una grande percentuale degli incidenti stradali sia dovuta all'abuso di alcool e/o altre droghe e le piccole percentuali realmente rilevate;
con riferimento a quanto riportato in premessa (pagg. 111 e 112 della Relazione), quale sia il motivo dell'esiguità (poco più di un decimo del totale) del numero dei soggetti adulti tossicodipendenti ristretti in carcere di cui si è in possesso di informazioni dettagliate; quale sia il nesso fra tale esiguità e l'attuazione della riforma della medicina penitenziaria; quale sia lo stato di attuazione di tale riforma; se il Governo non ritenga opportuno, rispetto alla Relazione del prossimo anno, inserire fra gli «indicatori di sintesi» delle schede regionali (pag. 317 e seguenti della Relazione) anche il seguente indicatore: «Percentuale di attuazione della riforma della sanità penitenziaria»;
con riferimento a quanto riportato in premessa (pag. 140 della Relazione), se il fallimento dell'attuazione degli Obiettivi inerenti la riduzione del danno da parte delle amministrazioni regionali e delle Province autonome non sia dovuto anche alla pervicace non considerazione quando non denigrazione delle politiche di «riduzione del danno» da parte del Governo centrale;
con riferimento a quanto riportato in premessa (pag. 144 della Relazione), quali siano le 8 Amministrazioni che non hanno rinviato il questionario, venendo meno al principio di leale collaborazione fra Amministrazioni dello Stato; se il Governo intenda, nelle prossime Relazioni, fornire l'elenco analitico delle Amministrazioni inadempienti;
con riferimento a quanto riportato in premessa (pag. 158 della Relazione), quale sia il motivo per cui non sono stati comunicati dalle Amministrazioni interessate i dati mancanti; se il Governo intenda operare affinché in futuro tali dati siano comunicati in modo completo e corretto;
con riferimento a quanto riportato in premessa (pag. 227 della Relazione), quali siano le «variabili» introdotte dalla riforma della sanità penitenziaria che sfuggono al controllo sia delle Regioni che del Ministero della giustizia; se quanto giustamente scritto sul picco di rischio che corre il detenuto tossicodipendente al momento della scarcerazione non imponga un maggior impegno di tutte le istituzioni coinvolte nell'incardinare trattamenti metadonici a lungo termine che consentano al detenuto tossicodipendente, a fine pena, di essere preso subito in carico dal Sert di riferimento, attenuando notevolmente il rischio di overdose mortali; se l'aumento dei trattamenti metadonici in carcere, testimoniato dalla tabella III.2.2 di pag. 187 della Relazione, sia un dato reale e assodato (i dati raccolti da Radicali Italiani nel corso delle recenti visite ispettive nelle carceri italiane riportano cifre molto inferiori);
con riferimento a quanto riportato in premessa (pag. 285 della Relazione): se il Governo intenda spendere maggiori energie nella cura del sito in oggetto, considerato il fatto che tale sito conteneva sino a un mese fa valutazioni negative sui Sert (poi tolte solamente grazie a segnalazione dell'Associazione ADUC ... pur rimanendo il titolo «Cosa sono, come operano, gli aspetti positivi e negativi dei Servizi Pubblici per le Tossicodipendenze») e che tale sito non contiene ancora oggi l'elenco delle comunità terapeutiche operanti in Italia;
con riferimento a quanto riportato in premessa (pag. 304 della Relazione), quali siano gli intendimenti del Governo, per superare la difformità di trattamento nel campo penitenziario.
(2-00451)
«Bernardini, Beltrandi, Farina Coscioni, Mecacci, Maurizio Turco, Zamparutti».
a causa dei tagli attuati dal Governo, il servizio civile in Piemonte perde 700 posti passando da 2 mila a 1.300, con gravi ripercussioni su molte associazioni destinate a rimanere senza volontari;
tra le numerose associazioni che hanno visto i propri progetti bocciati o non finanziati ci sono l'Anpas, la Caritas, la Aism (Associazione italiana sclerosi multipla), la Legacoop, le Figlie di Maria Ausiliatrice. Sono a rischio molti servizi tra cui l'assistenza agli anziani, ai disabili e ai poveri, le biblioteche e il trasporto degenti;
il servizio civile, in generale, rischia di entrare in una crisi irreversibile. In Italia a fronte di 100 mila richieste si è passati da 35 mila posti nel 2008, a 24 mila nel 2009, il numero più basso dal 2003; i progetti finanziati sono diminuiti da 4 mila a 2.700; i soldi stanziati dall'Ufficio nazionale per il servizio civile ammontano a 210 milioni di euro, mentre solo un paio d'anni fa erano oltre 300 milioni;
nel 2010 molti anziani potrebbero essere senza accompagnamento, molti dializzati senza trasporto in ambulanza, molte biblioteche con meno personale, e un gran numero di enti e associazioni di volontariato senza personale volontario, che a basso costo (430 euro al mese per 30 ore a settimana) riusciva ad assicurare centinaia di servizi, soprattutto per le fasce più deboli;
quanto sopra evidenziato si ripercuote soprattutto sui giovani che hanno sempre meno possibilità di impiego e sui cittadini che dal servizio civile possono ricevere un insostituibile sostegno;
la Conferenza nazionale enti per il servizio civile ha chiesto al Governo di stanziare un finanziamento straordinario che permetta l'avvio di atri 10 mila giovani, in modo da pareggiare il numero del 2008 e stabilizzare dal 2010 il numero dei posti disponibili in tutta Italia a quota 40 mila -:
quali interventi urgenti intenda adottare per impedire lo sgretolarsi della rete di solidarietà finora attiva in Piemonte, e in particolar modo a Torino e quali iniziative, anche legislative, siano previste per garantire la sopravvivenza delle strutture di volontariato che rischiavo di rimanere senza risorse e senza personale.
(3-00645)
varie fonti di stampa internazionali e nazionali hanno riportato la notizia, fornita da testimoni oculari, che nella prima settimana di agosto almeno 20 tra cittadini somali rifugiati in Libia e detenuti presso il centro di detenzione di Ganfuda a Bengasi, sono stati uccisi, e almeno 50 di loro feriti, dalla polizia libica dopo un tentativo di evasione. 5 dei venti rifugiati sarebbero morti sotto gli spari della polizia mentre gli altri 15 a seguito delle violenze inferte loro dagli agenti di polizia che erano armati di manganelli e coltelli;
l'ambasciatore libico di stanza a Mogadiscio, Ciise Rabiic Canshuur ha definito la notizia una «menzogna» e ai giornalisti ha chiesto: «prima di parlare o scrivere dovrebbero confrontarsi con noi»;
il Presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi ha celebrato il 30 agosto 2009 il primo anniversario della firma del Trattato di Partenariato, Amicizia e Cooperazione tra Italia e Libia;
il Trattato di «Amicizia» con la Libia richiede ad entrambe le parti di rispettare i diritti umani riconosciuti a livello internazionale;
la Libia non ha ratificato la Convenzione ONU sui rifugiati del 1953 che garantisce il diritto di asilo ai rifugiati;
in Somalia è in corso da molti anni una sanguinosa guerra che lo rende uno dei paesi più pericolosi al mondo e dove l'affermarsi al potere di gruppi che negano in modo feroce il rispetto dei diritti umani fondamentali è spesso una realtà quotidiana;
il 12 agosto 2009, l'Italia ha respinto in Libia 80 richiedenti asilo di nazionalità somala;
l'Italia nel corso degli ultimi mesi ha respinto in Libia centinaia di potenziali richiedenti asilo politico e rifugiati che cercavano di arrivare sulle nostre coste su imbarcazioni, senza che vi fosse alcuna verifica della sussistenza dei requisiti che consentono a queste persone di avere - legittimamente ai sensi del nostro ordinamento - lo status di rifugiato nel nostro Paese -:
se sia noto quanti dei migranti provenienti verso il nostro Paese e respinti sulle coste libiche dalla ratifica del Trattato di «amicizia» con la Libia erano di nazionalità somala;
se non ritenga essenziale, anche alla luce e in attesa della verifica dei fatti sopraesposti, garantire che i richiedenti asilo di nazionalità somala non siano più respinti in Libia;
se il Presidente del Consiglio dei ministri e il Ministro degli esteri intendano richiedere che il Governo libico ratifichi la Convenzione ONU del 1953 sui Rifugiati, quale condizione essenziale per l'applicazione del Trattato firmato dall'Italia e dalla Libia il 30 agosto 2008 a Bengasi.
(5-01733)
il sistema scolastico della provincia di Piacenza è stato definito dal rapporto regionale «solido e accogliente», capillare e coerente rispetto ai fabbisogni sia sul piano quantitativo che qualitativo;
il regolamento attuativo di cui all'articolo 64 del decreto-legge n. 112 del 25 giugno 2008, convertito dalla legge n. 133 del 2008 comporta tagli agli organici della scuola per il prossimo anno scolastico che prevedono la riduzione in Emilia Romagna di 1.683 docenti e di 711 unità del personale amministrativo, tecnico e ausiliario, con una ricaduta per il territorio citato di 143 docenti e 37 Ata in meno, rispetto al precedente anno scolastico;
la popolazione scolastica è aumentata rispetto al precedente anno scolastico di 600 unità;
i livelli di scolarizzazione superiore sono alti (la dispersione scolastica nella provincia di Piacenza è stata abbattuta fino allo 0,4 per cento, il quarto miglior risultato in Italia, il migliore di tutta l'Emilia Romagna);
l'integrazione scolastica degli studenti diversamente abili è positiva e altrettanto positivo è stato l'inserimento di numerosi alunni stranieri;
le politiche adottate dalle istituzioni della provincia di Piacenza hanno determinato il raggiungimento, da parte del sistema scolastico, di alti livelli di formazione negli indici dei rapporti alunni/classe, alunni/docenti e dei parametri di dimensionamento delle autonomie scolastiche, realizzando già ogni forma di razionalizzazione possibile;
i tagli, se confermati, comporterebbero una riduzione dell'estensione e della qualità del nostro sistema scolastico territoriale;
ad oggi, non risultano soddisfatte e garantite:
a) scuola dell'infanzia: 11 nuove sezioni e 4 completamenti di sezioni part-time;
b) scuola primaria: il tempo pieno a 40 ore per ben 20 classi iniziali, l'attivazione di ulteriori 6 classi, il fabbisogno di ore di lingua straniera e le risorse per l'organizzazione didattica del tempo pieno;
c) scuola secondaria di primo grado: le risorse per l'organizzazione didattica del tempo prolungato e l'attivazione di ulteriori 5 classi;
d) scuola secondaria di secondo grado: le risorse per garantire il rispetto dei parametri alunni/classe previsti dalla normativa, con particolare riguardo all'inserimento degli alunni diversamente abili, nonché per l'attivazione di ulteriori 3 classi;
e) educazione degli adulti: le richieste di legittima formazione della popolazione adulta del nostro territorio;
f) sostegno didattico: l'ulteriore esigenza di docenti di sostegno in grado di assicurare il successo formativo all'alta percentuale di allievi con bisogni educativi speciali presenti nelle scuole;
g) ulteriore necessità di docenti per favorire la piena integrazione di giovani immigrati che richiedono particolari modalità di gestione della didattica;
h) personale ATA: ulteriori unità di personale per soddisfare le esigenze di apertura, vigilanza e chiusura di tutte le sedi scolastiche, per assicurare il supporto materiale agli alunni diversamente abili, la cura alla persona nella scuola dell'infanzia e nella scuola primaria, per garantire la funzionalità amministrativa delle scuole e quella dei laboratori negli istituti di secondo grado;
è la forte preoccupazione, diffusa tra il personale della scuola ed estesa anche alle famiglie e agli studenti, determinata sia dai tagli degli organici, sia dalla già estrema difficoltà economica in cui versano da tempo le Istituzioni Scolastiche, costrette a rapportarsi, da una parte, con la totale assenza di finanziamenti e, dall'altra, con crediti da tempo vantati nei confronti del Ministero, ma di fatto, da quest'ultimo, mai soddisfatti;
è altrettanto forte la preoccupazione per la riduzione ingiustificata di risorse umane e finanziarie previste per le scuole della provincia di Piacenza; riduzione che secondo l'interrogante, creerà le condizioni e le premesse per dequalificare l'intero sistema scolastico e compromettere la possibilità di garantire una corretta applicazione delle normative sulla sicurezza;
il sistema scolastico non può sopportare i tagli previsti dall'articolo 64 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito dalla legge n. 133 del 2008 -:
quali iniziative intenda assumere affinché:
a) siano garantite in sede di organico di fatto le risorse per consentire il corretto e qualificato funzionamento del nostro sistema scolastico;
b) sia consolidata per l'anno scolastico 2009/2010 l'offerta formativa così come strutturata negli anni precedenti;
c) siano assicurate attenzione e risorse per le realtà scolastiche della montagna anche al fine di ridurre la formazione di pluriclassi;
d) siano individuate soluzioni adeguate per il personale Ata la cui drammatica riduzione mette a rischio il regolare funzionamento delle scuole;
se si intenda riservare una speciale attenzione alla formazione degli adulti come strumento indispensabile di qualificazione e riqualificazione dei lavoratori nell'immediato e come investimento per il futuro;
se si intenda trovare soluzioni certe alla condizione di precarietà di una parte importante del personale della scuola, priva di ammortizzatori sociali, che in conseguenza dei tagli sarà espulsa dal mondo del lavoro.
(5-01737)
il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministero per i beni e le attività culturali, ha espresso parere favorevole, tramite decreto di pronuncia di compatibilità ambientale n. DSA-DEC-2009-0000676 del 26 giugno 2009, alla realizzazione del raccordo autostradale SS 10 padana inferiore (il ponte sul Po che collega Castelvetro Piacentino a Cremona);
nel merito il decreto citato non ha recepito il parere della Regione Emilia-Romagna, espresso tramite delibera di Giunta n. 727 del 25 maggio 2009 e che sarebbe stato inviato al Ministero con lettera prot. n. 130837 del 9 giugno 2009, ovvero in tempo utile per essere acquisito nell'ambito del decreto ministeriale di compatibilità ambientale;
il suddetto parere della Regione Emilia-Romagna è favorevole, ma condizionato ad alcune prescrizioni, individuate di concerto con le Amministrazioni locali, ovvero la Provincia di Piacenza e i Comuni interessati di Castelvetro Piacentino e Monticelli d'Ongina; si fa riferimento in particolare alle richieste di realizzare un'opera di minor impatto (anche eventualmente con tratti «trincea»), ottenere migliori collegamenti e con la viabilità locale, incrementare gli interventi di mitigazione e compensazione ambientale;
proprio nell'ottica di riconoscere la validità dell'intervento e nell'interesse per la sua rapida e condivisa realizzazione, si sottolinea l'importanza del percorso che ha coinvolto il territorio e le Amministrazioni locali e dell'apporto da esse fornito -:
se i Ministri siano a conoscenza di ragioni documentate e precise per le quali non è stato acquisito il parere della Regione Emilia-Romagna e se i Ministri intendano, nell'ottica di una preziosa collaborazione coi territori e le Istituzioni locali - come richiesto da lettera formalizzata in data 29 luglio 2009 dall'Assessore regionale all'Ambiente Zanichelli - esprimere la volontà di far rispettare, nelle successive fasi procedurali di approvazione del progetto, le prescrizioni contenute nel parere della Regione Emilia-Romagna.
(5-01745)
l'articolo 8, paragrafo 2 della direttiva 2006/115 CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2006, concernente il diritto di noleggio, il diritto di prestito e taluni diritti connessi al diritto di autore in materia di proprietà intellettuale, impone agli Stati membri di garantire una remunerazione equa per un fonogramma pubblicato a scopi commerciali utilizzato per una radiodiffusione o per qualsiasi comunicazione al pubblico;
il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 1o settembre 1975 instaura tuttavia una presunzione legale secondo la quale, se le parti non riescono a giungere ad un accordo, il compenso è fissato al 2 per cento del fatturato degli utenti, proporzionalmente al tempo dedicato alla musica nel tempo di trasmissione globale. Questa presunzione legale fa sì che gli utenti non sono incoraggiati a negoziare un livello di remunerazione superiore, e quindi il compenso del 2 per cento risulta essere considerato come un massimale legale alla remunerazione dei produttori;
il decreto suddetto priva gli aventi del diritto di una remunerazione equa, e rischia anche di creare una distorsione del mercato interno europeo, visto che tale massimale non esiste negli altri Stati membri -:
quali siano le motivazioni dietro alla suddetta incongruenza rispetto alla direttiva europea 2006/115/CE;
se si ritenga opportuno procedere con misure correttive sul decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 1o settembre 1975.
(5-01750)
il 1o ottobre 2009 entrerà in vigore il Protocollo n. 14-bis alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali;
la Repubblica italiana non l'ha ancora firmato -:
se e quali siano i motivi per i quali l'Italia non ha firmato il Protocollo e se e quando intenda farlo.
(4-03912)
Casamercato S.R.L. nasce come punto vendita al dettaglio presso Alseno (Piacenza), nel campo elettrodomestici, mobili, casalinghi ecc.;
successivamente la stessa società apre nuove sedi in varie parti d'Italia (due a Roma, a Cava Manara, a Verona). Queste nuove sedi non danno i risultati sperati e il grande investimento sulla sede di Verona; incide pesantemente sul patrimonio aziendale;
il 29 settembre 2008 si giunge alla messa in liquidazione volontaria di Casamercato S.R.L.;
in relazione al buon risultato economico dei punti vendita di Cava Manara (Pavia) e Alseno (Piacenza) ed al fine di attrarre un eventuale acquirente, Casamercato S.R.L., cede in affitto a Casamercato Holding S.R.L. i sopracitati negozi. La proprietaria di Casamercato Holding S.r.l., creata allo scopo già detto, è Laura Giuliani, figlia del proprietario di Casamercato S.r.l. Lino Giuliani. Il 19 novembre 2008, il Tribunale di Roma ammette Casamercato S.r.l. al concordato preventivo;
due sono le conseguenze per Casamercato S.r.l. e per Casamercato Holding S.r.l.:
il 28 dicembre 2008 Casa mercato S.r.l. firma l'accordo per la messa in CIGS di 237 lavoratori di cui 27 di Alseno (che si occupano dell'amministrazione mentre gli altri 75 confluiscono in Casamercato Holding S.r.l.) per i quali si apre parallelamente la procedura di mobilità al fine di favorire la loro ricollocazione;
Casamercato Holding S.r.l., nel frattempo, non ottiene i risultati sperati; pertanto il 1o aprile 2009 viene trovato un accordo per un contratto di solidarietà al 60 per cento;
il 18 maggio 2009, il Giudice delegato (dottor Miccio) che si occupa del concordato preventivo con Casamercato S.r.l. procede con la nomina di tre nuovi liquidatori: Avv. Prof. Paolo Tartaglia, Avv. Giuseppina Ivone, Dott. Roberto Falcone;
nel frattempo Casamercato Holding S.r.l. si avvale della clausola di recesso del ramo di Azienda e lo comunica ai liquidatori e ai sindacati; i liquidatori, a questo punto, inviano una missiva nella quale dichiarano di accettare la retrocessione dei due rami d'azienda (Alseno e Cava Manara), ma non dei lavoratori, in difformità da quanto disposto dell'articolo 2112 C.C.;
i liquidatori - solo due, dopo le dimissioni dell'avvocato professor Paolo Tartaglia - non hanno accolto l'irrevocabile offerta d'acquisto di Casa Manara e Alseno da parte di Gran Casa che garantiva sia una dignitosa offerta economica al concordato, sia l'assunzione senza soluzione di continuità di almeno 110 lavoratori con il conseguente rischio di chiusura dei punti vendita di Alseno e Cava Manara,
depauperamento delle risorse Aziendali e dispersione delle potenzialità economiche e occupazionali (149 dipendenti) -:
se e quali iniziative il Ministero voglia mettere in atto al fine di garantire il futuro delle aziende in questione e dei lavoratori coinvolti in questa vicenda.
(4-03917)
il giorno 22 agosto 2009 la prima firmataria del presente atto ha visitato, insieme al Presidente della Camera Penale di Roma Avv. Giandomenico Caiazza, il Centro di Identificazione ed Espulsione di Ponte Galeria (Roma);
al momento della visita, nel centro erano presenti 134 uomini e 130 donne ristretti in settori separati;
ad avviso dell'interrogante, il centro di trattenimento per immigrati (da identificare per essere espulsi) ha l'aspetto di una prigione all'aperto, molto più simile ad uno zoo che ad una struttura chiamata ad accogliere esseri umani;
nonostante l'alta professionalità e dedizione del personale di polizia e dell'ente gestore (Croce Rossa, in regime di proroga della convenzione fino al 31 agosto), la carenza degli organici non premia gli sforzi che pure vengono messi in atto per assicurare una permanenza umanamente dignitosa agli ospiti;
lo stesso medico della Croce Rossa che ci ha accompagnato nella visita ha, con molta onestà, lamentato la carenza di organico e di mezzi messa a disposizione dall'ente gestore;
fra le criticità più importanti riscontrate, si segnala la mancanza di un'autoambulanza (in situazioni di emergenza i trasferimenti in ospedale sono effettuati con delle normali autovetture) e l'indisponibilità estiva dei servizi normalmente offerti dalla ASL di riferimento, la RMD, quali visite specialistiche e analisi;
inoltre, nella sezione maschile da almeno due settimane manca il barbiere e, in tutte le sezioni, il ricambio delle lenzuola usa e getta viene effettuato ogni due settimane anziché ogni tre giorni come elementari norme igieniche raccomanderebbero;
come già rilevato nell'interrogazione presentata dalla prima firmataria del presente atto, l'11 giugno dello scorso anno (dopo una visita effettuata il 2 giugno 2008, interrogazione che, nonostante 5 solleciti, non ha ancora ottenuto risposta) nella struttura di Ponte Galeria, sia nel reparto femminile che in quello maschile, convivono, allocati negli stessi spazi, situazioni personali molto diverse fra loro: immigrati che hanno già espiato le condanne in carcere, altri «colpevoli» di essere stati sorpresi senza il permesso di soggiorno, 22 richiedenti asilo e anche cittadini comunitari;
fra i casi particolari che la prima firmataria del presente atto e l'avv. Gian Domenico Caiazza hanno potuto riscontrare si segnalano: una giovane donna russa ristretta nel centro di Ponte Galeria perché «arrestata» mentre si trovava all'aeroporto di Fiumicino nell'area di transito verso l'aereo che l'avrebbe riportata in patria dalla sua famiglia; una transessuale brasiliana molto sofferente perché, operata in Thailandia, necessita urgentemente di un secondo intervento chirurgico di completamento che né il nostro SSN, né quello del Brasile dove la ragazza sta per essere espulsa, sono in grado di effettuare; una decina di giovani donne cinesi che difficilmente riescono ad interloquire per i loro bisogni elementari con il personale in servizio che ha pochi mediatori culturali presenti nei diversi turni e quelli che ci sono non parlano il cinese, unica lingua conosciuta dalle donne in questione;
secondo le testimonianze raccolte, fra il momento dell'arresto e il colloquio con l'avvocato difensore passano più di 24 ore e, non di rado, alcuni giorni;
i colloqui con gli avvocati sono inoltre resi difficoltosi perché previsti in orari poco consoni all'attività professionale degli stessi, per lo più nel tardo pomeriggio; inoltre, si svolgono in locali che non garantiscono l'assoluta riservatezza del colloquio;
dall'esperienza maturata fino a questo momento, solo nel 50 per cento circa dei casi si riesce ad ottenere l'identificazione delle persone ristrette e, falliti due tentativi con il presunto Paese d'origine, gli immigrati vengono rilasciati nel territorio con l'ordine di abbandonare l'Italia entro 5 giorni;
a giudizio dell'interrogante i servizi offerti alle persone trattenute a Ponte Galeria sono insufficienti, ciò con particolare riferimento al servizio di orientamento e assistenza legale, nonché alla qualità e al numero degli interpreti/mediatori;
su proposta del Governo il Parlamento ha recentemente approvato la legge n. 94 del 2009 contenente «Disposizioni in materia di sicurezza pubblica» con la quale è stato prolungato il trattenimento degli immigrati irregolari all'interno dei CIE fino ad un massimo di 180 giorni (rispetto ai 60 prima previsti);
il predetto prolungamento del limite della detenzione amministrativa non potrà che peggiorare la situazione, atteso che renderà ancora più esigua la disponibilità dei posti all'interno del Centro, con il conseguente aumento dei costi di mantenimento della struttura e la contemporanea diminuzione sia del livello dei servizi garantiti alle persone ivi trattenute (a partire dall'assistenza sanitaria e psicologica) sia dello standard logistico -:
se il livello dei servizi offerti dall'ente gestore sia adeguato alle esigenze del centro e se l'erogazione degli stessi risulti omogenea a quella degli altri centri di identificazione ed espulsione presenti sul territorio nazionale;
quali provvedimenti i Ministri interrogati intendano adottare al fine di garantire la qualità e l'efficacia dei servizi prestati all'interno del CIE di Ponte Galeria, ciò con particolare riferimento all'assistenza sanitaria e psicologica, al servizio di orientamento e assistenza legale, nonché alla qualità e al numero degli interpreti/mediatori;
quali provvedimenti il Ministro competente intenda adottare al fine di garantire un adeguato standard logistico all'interno del CIE in questione e, quindi, l'esistenza di adeguati spazi comuni per le attività ricreative e per la fasi di ascolto mirato, nonché un numero di camere e di bagni commisurato alla presenza degli extracomunitari ivi trattenuti;
se non si intenda provvedere urgentemente affinché la struttura di Ponte Galeria sia dotata di un' autoambulanza;
se con riferimento alla lotta alla immigrazione clandestina il Governo non intenda adottare ogni utile provvedimento volto a garantire una diversificazione delle risposte per categoria di persone e, quindi, una maggiore gradualità e proporzionalità delle misure di intervento, con ciò evitando forme di «detenzione amministrativa» per tutte quelle categorie di persone per le quali non c'è esigenza di trattenimento;
se il Governo non ritenga necessaria una ridiscussione radicale sui centri di identificazione ed espulsione, anche alla luce di tutta la inumanità e inadeguatezza che presenta quello di Ponte Galeria e che cosa intenda fare per garantire agli stranieri che vi sono trattenuti le fondamentali tutele e i diritti valevoli per ogni cittadino che risiede sul territorio italiano.
(4-03919)
il blog «Disabili-Oltrelebarriere.net» il 19 luglio ha pubblicato un intervento della signora Silvia Maini, che ha denunciato quanto segue: «Sono una dei tanti disabili in carrozzina che abitano a Roma e che vorrebbero avere le stesse opportunità delle persone normali. Qualsiasi disabile con cui parlate vi potrà raccontare molti aneddoti sulla miopia delle persone che hanno incontrato nella loro vita. Solitamente sono soggetti normali, gestori di piccoli esercizi commerciali, a volte anche personale sanitario ma mai mi era successo con così tante istituzioni messe insieme (Coni, Fin, Comune di Roma, Regione Lazio, Provincia di Roma, Iusm, ecc.). Quest'anno a Roma si svolgeranno i Campionati mondiali di nuoto, una manifestazione importante ed imponente a cui mi sarebbe piaciuto assistere. Mi sono così messa alla ricerca dei biglietti per disabile più accompagno. Con mio immenso stupore non è stato difficile avere informazioni, una signorina al telefono mi ha detto di scrivere una e-mail specificando gli eventi a cui ero interessata e loro mi avrebbero risposto;
in realtà, una risposta non è mai arrivata così, dopo circa cinque giorni, ho richiamato per avere notizie e mi è stato detto che non c'era più posto, ma che comunque mi avrebbero messo in una sorta di lista di attesa. Ho chiesto alla signorina quanti posti fossero riservati ai disabili e lei mi ha risposto: «a seconda delle piscine tra i 10 e i 20». Secondo gli organizzatori sono previste circa 400 mila persone in 17 giorni, e di questi solo 400 saranno disabili (0,01 per cento). Sono rimasta allibita. Basta fare una piccola ricerca su internet per scoprire che solo nella città di Roma i soggetti ritenuti «fragili» sono circa 50 mila e che 10, 20 posti ricoprono meno dello 0,025 per cento dei disabili romani. A pensar male, sembra quasi che si sia organizzato tutto per bene non dimenticandosi nemmeno dei disabili ma garantendogli il minimo indispensabile. Tutte le istituzioni coinvolte probabilmente alla fine riceveranno anche qualche meritato elogio sulla civiltà dimostrata nell'aver destinato addirittura dieci posti per dei disabili. E sicuramente nessuno si metterà a fare i conti con la calcolatrice per dimostrare che in fondo in certe manifestazioni i disabili recitano il ruolo del minimo indispensabile. Qualcuno si sarà detto. «E i disabili? Dove li mettiamo? E no, perché un pochino ce ne vuole sempre!». «Hai ragione, poi danno sempre un'immagine di solidarietà e di organizzazione che non guasta mai. Vabbè, va, limitati all'indispensabile, perché poi questi, se ci va bene, pagano poco e se pagano quel minimo, occupano un sacco di spazio e creano molti problemi. Senti, sono indispensabili, per cui accontentali e dagli un cantuccio ma non esagerare». Sicuramente non è andata così, sicuramente si è cercato di fare il massimo, come sempre. Il massimo per garantire il minimo. Io sono solo una dignitosa rappresentante di quel minimo indispensabile a cui sono orgogliosa di appartenere. Ed è da questa dignitosa rappresentante che arrivano i primi elogi, ancor prima che la manifestazione inizi, per aver dimostrato che lo sport è per tutti e per qualcuno è addirittura garantito, il minimo sì, ma garantito. Era indispensabile farlo»;
quanto sopra riportato, appare gravemente discriminatorio e inaccettabile -:
quali siano gli intendimenti dei ministri;
quali iniziative si intendono adottare o promuovere per impedire il ripetersi di simili episodi.
(4-03925)
il settimanale Famiglia Cristiana ha pubblicato una dettagliata inchiesta del giornalista Alberto Bobbio dal significativo titolo: «Diversamente abili. Figli di un lavoro minore»;
nella citata inchiesta si riferisce che la legge, da almeno dieci anni, impone alle aziende italiane di assumere una «quota» di lavoratori disabili, ma la legge in questione viene sistematicamente e massicciamente disattesa;
la legge prevede che in un'azienda che abbia tra 15 e 35 dipendenti ci sia un disabile, due fino a 50 dipendenti e per le aziende più grandi sia riservato a loro il 7 per cento dei posti di lavoro. Ma questo accade poche volte: «È sufficiente», si legge nell'articolo già citato, «che l'azienda versi un contributo al Fondo regionale per l'occupazione dei disabili per essere esonerata dall'assumerli. Può anche decidere di non rispettarla affatto, la legge, tanto la sanzione è di 51,65 euro al giorno, troppo bassa, al punto da essere conveniente. E spesso si confida su controlli carenti, che permettono di farla franca per anni e anni»;
un sondaggio del sito www.superabile.it, uno dei più cliccati portali italiani sui problemi dell'incontro tra lavoro e disabilità, denuncia come, secondo rilevazioni dell'ISTAT, il tasso di occupazione delle persone con disabilità in Italia è del 19,3 per cento contro il 55,8 per cento di quelle senza disabilità; ma è un dato che risale ad alcuni anni fa, quando la crisi economica non aveva fatto sentire i suoi effetti. Il risultato concreto è che migliaia di posti riservati a lavoratori disabili non sono coperti, e centinaia di migliaia di lavoratori disabili iscritti perennemente alle liste di collocamento speciali;
tutto ciò oggi è tra l'altro favorito dalla crisi che ha investito il paese, e dalla possibilità per le aziende di accedere alla cassa integrazione, alla mobilità, alle procedure di riduzione dell'orario di lavoro che sospendono l'obbligo di assunzione per chi non è abile come gli altri. «L'ultimo premio», si legge su Famiglia Cristiana, «agli imprenditori e l'ultimo danno ai disabili, che si consuma nel silenzio. Aggrava una situazione già precaria, perché quella legge del 1999 non ha mantenuto le sue promesse, tra controlli poco incisivi e tantissime possibilità pratiche di aggirarla. Invece, per la maggior parte dei disabili il lavoro è vita, argine e trincea contro la depressione, e non semplicemente uno stipendio alla fine del mese»;
in buona sostanza, appare fallito l'accompagnamento da parte degli uffici di collocamento e delle reti pubbliche di protezione del lavoro dei disabili nelle aziende e negli enti pubblici. Inoltre poco lavoro è stato affidato alle cooperative sociali che si occupano dell'inserimento occupazionale delle persone disabili;
secondo l'ultima indagine dell'«Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori» solo il 13 per cento dei disabili ha trovato un impiego attraverso gli uffici di collocamento. Da ciò si può amaramente affermare che lo Stato fa poco per i disabili e non aiuta le imprese, soprattutto nei primi tempi di inserimento, con le figure dei tutor previste dalla legge;
non a caso molte associazioni che si occupano di handicap, come l'Anffas, rilevano che senza il sostegno delle cooperative sociali o delle agenzie per il lavoro «i disabili faticano a trovare un'occupazione», nonostante una legge molto avanzata;
una situazione confermata del resto dall'ultima relazione al Parlamento sulla sua applicazione: a dieci anni dalla sua entrata in vigore, gli avviamenti al lavoro nel 2007 sono circa 31 mila a fronte di circa 700 mila persone iscritte al collocamento;
accade inoltre che spesso le assunzioni siano fatte, ma i disabili, come denuncia l'Ufficio per le politiche della disabilità della Cgil (al quale arrivano circa 15 casi al giorno di discriminazione sul posto di lavoro), siano poi lasciati senza far niente, emarginati;
la non soddisfacente applicazione della legge, e la necessità di un suo «tagliando» ed aggiornamento sono riconosciute ed evidenziate anche dal rapporto Il lavoratore disabile: una risorsa per la comunità, una ricerca affidata alla fondazione Laboratorio per le politiche sociali (Labos) e all'Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro (Ispesl) dal ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali;
come ha opportunamente osservato il consigliere del Cnel Silvano Miniati «è sufficiente che venga rintracciato un disabile finto e tutta l'attenzione si sposta sui falsi invalidi, che esistono ma non rappresentano il problema, perché il problema sono i veri invalidi e il ruolo che devono ricoprire nelle aziende»;
altrettanto opportunamente il direttore della fondazione Labos Claudio Calvaruso ha sottolineato come «l'inserimento lavorativo di un disabile è una questione che riguarda non soltanto le aziende, ma anche l'intera comunità. La legge approvata dieci anni fa è perfetta e validissima per quanto riguarda l'inserimento lavorativo, ma non lo è altrettanto se allarghiamo il campo all'inserimento sociale»;
l'inaccettabile e la grave discriminazione ai danni dei disabili che si vedono negato il lavoro che come sopra ricordato per tantissimi di loro costituisce letteralmente vita, argine e trincea contro la depressione, e non semplicemente uno stipendio alla fine del mese -:
quali provvedimenti e iniziative si intendono promuovere, adottare e sollecitare, a fronte della grave situazione sopra descritta;
se in parallelo al giusto impegno per l'individuazione e la denuncia dei cosiddetti «falsi invalidi», non si ritenga di doversi impegnare per l'individuazione e la rimozione di tutte le cause e gli impedimenti al pieno inserimento dei disabili nel mondo del lavoro e di conseguenza nella società;
se al Governo risulti quanto certificato dall'Isfol, cioè che solo il 13 per cento dei disabili ha trovato un impiego attraverso gli uffici del collocamento, e se dunque non ritenga che possa dirsi fallito l'accompagnamento da parte degli uffici di collocamento e delle reti pubbliche di protezione del lavoro dei disabili nelle aziende e negli enti pubblici;
se non si ritenga necessario, doveroso e utile avviare con urgenza un'indagine conoscitiva che accerti l'applicazione della legge che impone l'assunzione dei disabili; se e come essa venga aggirata e quanti effettivamente siano i disabili in attesa nelle liste di collocamento speciale.
(4-03931)
da notizie di agenzia del 10 agosto 2009 risulta che interventi del Comando carabinieri per la tutela dell'ambiente hanno portato:
in Puglia, a Conversano, al sequestro di un cantiere, ubicato su una superficie di 500 metri quadrati, dove erano state realizzate delle opere edili in assenza della prevista autorizzazione, e di un'area, di circa 1.000 metri quadrati, adibita a discarica abusiva di rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi costituiti da inerti da demolizione, ingombranti, rifiuti plastico ferrosi e parti elettromeccaniche di veicoli;
in Basilicata, a Pomarico, in provincia di Matera, al sequestro dell'area ex mattatoio, di proprietà del comune, perché vi è stato realizzato un centro di raccolta rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi senza la dovuta autorizzazione;
in Veneto, a Porto Marghera, alla denuncia del legale rappresentante nonché direttore di stabilimento di una società del luogo per aver attivato uno scarico abusivo di acque reflue derivanti dal dilavamento dei piazzali aziendali;
secondo quanto riportato sul profilo Facebook dell'eurodeputato Luigi de Magistris qualche giorno fa le forze dell'ordine «hanno bloccato e sequestrato un camion con un carico di materiale tossico e forse radioattivo destinato ad essere sotterrato nella discarica di Chiaiano»;
la gestione illegale di rifiuti pericolosi sembra diffusa su tutto il territorio nazionale;
una procedura di infrazione è stata notificata dalla Commissione europea all'Italia nel 2003 sulle discariche abusive -:
se il Governo non ritenga che l'evoluzione del telerilevamento sia oggi tale da consentire un puntuale monitoraggio satellitare del territorio nazionale al fine dell'individuazione delle discariche abusive o comunque nocive e se intenda farvi ricorso.
(4-03964)
il Presidente dell'ANPAS (Associazione nazionale per le pubbliche assistenze), Comitato regionale Emilia-Romagna, organizzazione che si avvale ogni anno del prezioso lavoro dei giovani del servizio civile nazionale per lo svolgimento delle proprie attività, ha denunciato la grave situazione che si sta determinando a causa della riduzione delle risorse destinate al servizio civile, in particolare per la propria struttura;
le risorse previste dal bilancio, destinate al finanziamento dei progetti per il servizio civile nazionale, hanno subito, infatti, un forte ridimensionamento negli ultimi anni: dai circa 300 milioni di euro previsti nella finanziaria 2008, che hanno permesso l'impiego di 35.000 volontari, si è passati ai 171 milioni di euro per il 2009 e la previsione di un numero molto inferiore di volontari da avviare, pari a circa 25 mila giovani;
le previsioni di spesa per i prossimi anni prevedono ulteriori, gravi decurtazioni;
a causa dei pesanti tagli per il 2009 sopra citati, è stato rideterminato il criterio di ammissione dei progetti per il servizio civile e in Emilia-Romagna non tutti i progetti sono stati ammessi;
a partire dal 30 settembre 2009, quindi, sui 315 giovani volontari richiesti ne entreranno in servizio solo 95;
la mancanza di giovani volontari renderà praticamente impossibile, per le strutture ANPAS dell'Emilia-Romagna, fare fronte alle crescenti domande legate ai bisogni sociali e socio-sanitari dei cittadini, con un gravissimo disagio che colpirà proprio i soggetti più deboli del nostro territorio -:
se non ritengano necessario rivedere le modalità per l'accesso al finanziamento dei progetti per il servizio civile e prevedere comunque un adeguato incremento delle risorse, al fine di consentire a strutture come l'ANPAS dell'Emilia-Romagna, che svolgono un fondamentale servizio di assistenza alle fasce più deboli della popolazione, di portare avanti il proprio lavoro, dando, oltretutto, ad un sempre maggior numero di ragazzi e ragazze un'importante opportunità di formazione umana e professionale.
(4-03979)
in una comunicazione presentata l'8 settembre, Bruxelles ha annunciato di volere migliorare l'indicatore Pil, includendo anche un indice ambientale che consentirà di valutare il progresso compiuto nei principali settori della politica e della tutela ambientali. L'indice includerà aspetti quali le emissioni di gas serra, il deterioramento del paesaggio naturale, l'inquinamento atmosferico, l'utilizzo dell'acqua e la produzione di rifiuti. Una versione pilota del nuovo indice verde sarà pronto nel 2010;
l'Italia è al dodicesimo posto nell'Unione europea per ricchezza pro capite, ma scende al quindicesimo se, oltre al Pil, si considerano anche altri fattori, come il verde a disposizione di ciascun cittadino e la percezione individuale sul grado di soddisfazione e felicità;
l'esempio italiano, tra gli altri, serve alla Commissione Ue per affermare che il prodotto interno lordo non basta più a misurare il progresso di un mondo in cambiamento, dove l'elemento ecologico conta quasi quanto quello economico, ma non è tenuto in conto dagli indicatori sul benessere e la ricchezza pro capite;
il commissario all'ambiente Stavros Dimas ha portato un esempio: «se in un paese, si tagliano le foreste per vendere legno, quell'anno si registrerà un aumento del Pil, ma l'indicatore non dirà nulla sul danno a lungo termine causato dalla distruzione del verde». Un altro esempio della limitatezza dei Pil nel leggere la società, arriva dalla Louisiana dove, dopo l'uragano Katrina, l'indicatore segnalava una tendenza all'insù perché anziché i lutti e le distruzioni si limitava a calcolare l'impatto degli 80 miliardi di aiuti pubblici per la ricostruzione. «Per far fronte alle sfide del XXI secolo abbiamo bisogno di politiche più integrate e più trasparenti», ha detto Dimas. «E per poter elaborare queste politiche abbiamo bisogno di valutare meglio dove siamo, dove vogliamo andare e come possiamo arrivarci. Per cambiare il mondo, dobbiamo cambiare la nostra maniera di concepirlo e per questo bisogna andare oltre il Pil»;
il Pil - ha spiegato infatti il commissario - non è stato concepito per essere uno strumento di misura del benessere e in quanto tale non tiene conto di talune questioni di importanza vitale per la qualità della nostra vita, quali un ambiente sano, la coesione sociale o la misura della felicità individuale -:
se e quali provvedimenti intendano adottare per tenere conto della inclusione di un indice ambientale nell'indicatore Pil;
se e quali provvedimenti intendano adottare per superare e migliorare la divergenza che esiste tra il Pil del nostro Paese calcolato secondo l'indice di ricchezza pro capite e quello che include anche un dato ambientale.
(4-03999)
il 2 agosto 2009 ricorre il ventinovesimo anniversario della strage effettuata alla stazione ferroviaria di Bologna. In quell'occasione, a seguito di un vile quanto crudele attentato, sono morte 85 persone e 200 sono rimaste ferite;
la giustizia italiana, dopo lunghe vicende processuali, ha condannato nel 1995 come autori materiali dell'eccidio i terroristi dei Nar Valerio Fioravanti e Francesca Mambro alla pena dell'ergastolo, e Luigi Ciavardini a trenta anni di reclusione;
attualmente è in corso un'inchiesta bis, aperta dalla Procura della Repubblica di Bologna contro ignoti, per fare piena luce sulle così dette eventuali piste alternative. Nel corso di questa inchiesta è stato ascoltato nei mesi scorsi, in qualità di persona informata sui fatti Ilich Ramirez Sanchez, noto come Carlos lo sciacallo, terrorista attualmente detenuto nel carcere di Poissy;
Sanchez sostiene che non furono i fascisti gli autori dell'attentato del 2 agosto 2009, ma che dietro alla strage ci fu l'opera dei servizi segreti statunitensi e israeliani; Sanchez riferisce che tra la fine degli anni settanta e i primi ottanta il traffico di armi ed esplosivi attraverso l'Italia era gestito esclusivamente dai terroristi palestinesi, con il beneplacito dei servizi segreti italiani. Tra servizi italiani e terroristi palestinesi a detta del Sanchez esisteva un accordo preciso che prevedeva il libero transito in Italia di esplosivo e di armi in cambio dell'assoluta impunità da attentati;
sulla base di questo accordo il Sanchez afferma che un carico così imponente di esplosivo T4, come quello usato nell'attentato di Bologna non sarebbe mai potuto passare inosservato ai terroristi palestinesi, ed è per questo che l'attentato fu compiuto da agenti della Cia e del Mossad al fine di far ricadere la colpa sui palestinesi;
la versione sostenuta da Ilich Ramirez Sanchez in merito all'esistenza di un accordo tra terrorismo palestinese e servizi segreti italiani è molto simile a quella riferita dal Presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga in un'intervista rilasciata al Corriere della Sera dell'8 luglio 2008;
in quell'intervista il Presidente emerito Cossiga riferisce di un accordo, denominato «Lodo Moro» tra terroristi palestinesi e servizi segreti italiani che prevedeva appunto la libertà di far circolare esplosivi e armi sul nostro territorio nazionale in cambio dalla preservazione di attentati. Cossiga riferisce inoltre che dopo essere divenuto Presidente del Consiglio fu informato dai carabinieri che la strage di Bologna sarebbe stata frutto di un'esplosione accidentale di alcune valigie con cui i palestinesi stavano trasportando materiale esplosivo;
la versione dell'esistenza di un patto tra istituzioni italiane e l'organizzazione terroristica palestinese è confermata anche da un'intervista rilasciata al Corriere della Sera il 14 agosto 2008 da Bassam Abu Sharif, leader storico del Fronte di Liberazione popolare palestinese. Abu Sharif dichiara di essere stato uno dei protagonisti diretti delle trattative che portarono al Lodo Moro e conferma dunque l'esistenza e l'attuazione dell'accordo;
ulteriore conferma giunge sempre da una intervista dell'avvocato Giovanni Pellegrino, già presidente della commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia, pubblicata dal corriere della Sera il 15 agosto 2008, nella quale Pellegrino definisce una certezza l'esistenza di un «Lodo Moro»;
qualora fosse davvero esistito un accordo tale tra servizi segreti italiani e terroristi palestinesi, questo avrebbe comportato implicazioni così rilevanti in campo politico e nelle relazioni internazionali da far ritenere molto improbabile che il Governo italiano non ne fosse al corrente, e come le dichiarazioni del Presidente emerito Francesco Cossiga escludono;
un pronunciamento in merito all'esistenza di un accordo tra terrorismo palestinese e servizi segreti italiani da parte del Governo sarebbe fondamentale per fare piena luce su una pagina della storia italiana in particolare per quanto attiene il settore della politica estera, e sarebbe altresì fondamentale per valutare l'attendibilità di quanto affermato dal Sanchez in merito alla strage di Bologna del 2 agosto -:
se sulla base degli atti depositati il Governo sia a conoscenza dell'esistenza di un accordo denominato «Lodo Moro», stipulato tra servizi segreti italiani e organizzazioni terroristiche palestinesi, che prevedeva la possibilità di far transitare armi ed esplosivi nel nostro Paese in cambio dell'immunità da attentati, e se non ne è a conoscenza quali azioni intenda porre in essere per fare piena luce su quanto riportato in premessa;
se esistano documenti o atti relativi alla strage del 2 agosto a Bologna sui quali sia stato apposto il segreto di Stato.
(4-04005)
la manovra anti-crisi (decreto-legge n. 78 del 2009, convertito dalla legge n. 102 del 2009) prevede all'articolo 2 comma 4 che dal 2010 sia assegnato un fondo di 1,8 miliardi di euro al Comitato nazionale permanente per il micro credito (organismo sorto alcuni anni fa e riconosciuto nel 2007 come ente di diritto pubblico che opera presso la Presidenza del Consiglio);
detto fondo dovrebbe «consentire la promozione, la prosecuzione ed il sostegno di programmi di microcredito e microfinanza allo sviluppo economico e sociale del Paese e favorire la lotta alla povertà» -:
in che percentuale le spese di funzionamento del Comitato nazionale permanente per il microcredito incidono sui 1,8 miliardi di euro stanziati dal decreto anti-crisi.
(4-04027)
da un articolo pubblicato sul quotidiano Terra dell'8 settembre risulta che si ipotizza un allargamento della zona di sversamento a Chiaiano poiché se si aumenteranno i conferimenti, la discarica così com'è potrebbe chiudere già tra 5-6 mesi;
l'articolo riferisce di un altro rischio, quello per cui nei comuni dove sono raccolti i rifiuti che poi vengono scaricati a Chiaiano non ci sarebbe alcun tipo di raccolta delle apparecchiature elettroniche e delle batterie per cui la discarica di Chiaiano sarebbe di tal quale: uno sversatoio dove l'umido viene mischiato ai rifiuti, anche pericolosi e che produce percolato;
inoltre i teli per l'impermeabilizzazione sarebbero ulteriormente lesionati rispetto al danneggiamento che già avevano prima dell'inizio degli sversamenti;
«La legge prevede la costruzione di pozzi per monitorare la falda. A Chiaiano non li abbiamo visti. Peraltro, nessuno si è premurato di fare dei rilevamenti prima dell'apertura dell'invaso. Così sarà impossibile effettuare un confronto tra il prima e il dopo. L'inquinamento delle falde è un fenomeno molto pericoloso. E subdolo» -:
se sono vere le notizie riportate in premessa;
quali controlli siano previsti sul materiale scaricato in questa discarica e quali forme di informazione alla cittadinanza;
se si sia provveduto a costruire pozzi per monitorare la falda e se si è provveduto a fare dei rilevamenti prima dell'apertura dell'invaso in modo da rendere possibile effettuare un confronto tra il prima e il dopo;
se si sia provveduto ad accertare se sussistono problemi di instabilità geologica.
(4-04030)
il 6 agosto 2009 l'Unità di Comunicazione dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa ha diffuso il seguente comunicato stampa: «È assolutamente inammissibile che uno Stato ignori le misure provvisorie vincolanti richieste dalla Corte europea dei Diritti dell'Uomo (CEDU). È vergognoso che una democrazia adulta come l'Italia abbia, la scorsa domenica, rinviato Ali Toumi in Tunisia, un
caso in cui esiste un pericolo imminente di danno irreparabile per il richiedente», hanno dichiarato Herta Däubler-Gmelin (Germania, del gruppo socialista) e Christos Pourgourides (Cipro, del gruppo popolare) rispettivamente, presidente della Commissione Affari Legali e Diritti Umani dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa (APCE) e relatore sull'esecuzione delle sentenze della Corte di Strasburgo;
«tali disposizioni contravvengono manifestamente alla giurisprudenza chiaramente stabilita dalla Corte di Strasburgo. È la quarta volta dal 2005 che le autorità italiane prendono delle misure in flagrante violazione delle decisioni della Corte», hanno aggiunto. «Tale comportamento intollerabile deve essere condannato dal Consiglio d'Europa, senza ritardo. La nostra Commissione Affari Legali dovrà incaricarsi di questo caso», hanno concluso;
al comunicato sono allegati la Risoluzione 1571 e la Racc. 1809 dell'APCE: dovere degli Stati membri di cooperare con la Corte; la Risoluzione DU(2006)45 del Comitato dei Ministri: obbligo degli Stati di cooperare con la CEDU e l'Estratto del documento CommDU(2009)16: rapporto del Commissario per i diritti umani, del 16 aprile 2009, concernente la sua missione in Italia, paragrafi 94-105 -:
per quali ragioni il Governo abbia inteso prendere delle misure giudicate in flagrante violazione delle decisioni della Corte europea dei Diritti dell'Uomo (CEDU) e se intenda renderle note alla Corte nonché al Comitato dei Ministri e all'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa;
se intenda prendere un impegno pubblico affinché il Governo conformi la sua attività alle decisioni della Corte o se questa iniziativa sia stata assunta col proposito di recedere dal Consiglio d'Europa ai sensi dell'articolo 7 dello Statuto.
(4-04040)
notizie stampa del 4 settembre 2009 riferiscono che il Prefetto de L'Aquila, Franco Gabriella ha revocato il certificato antimafia alla società «Impresa Di Marco Srl» con sede a Carsoli, impegnata in lavori di scavi e movimentazione terra nel cantiere di Bazzano e Cese di Preturo in cui si stanno realizzando le case antisismiche;
la ditta aveva ottenuto due subappalti rispettivamente di 128 e 500 mila euro;
il Prefetto ha annunciato che lo stesso provvedimento di diniego del certificato antimafia è stato rilasciato ad una seconda società «vicina» agli ambienti della criminalità organizzata Campana, anch'essa impegnata in opere infrastrutturali post-terremoto -:
quali provvedimenti intenda assumere il Presidente del Consiglio e il Ministro dell'interno per assicurare la massima trasparenza sui nomi delle società appaltatrici e subappaltanti per la ricostruzione in Abruzzo e per gli importi dei relativi lavori;
quali controlli siano previsti e quali siano stati effettuati sulle suddette imprese appaltatrici e subappaltanti;
quali provvedimenti intendano assumere il Presidente del Consiglio e il Ministro dell'interno perché ditte prive del certificato antimafia possano aggiudicarsi opere di appalto e subappalto;
quali provvedimenti intendano adottare per rimediare al fatto che le norme-barriera protettiva finora usata hanno mostrato delle falle e come intende renderle più efficaci e sicure.
(4-04054)
mare, al Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
nel novembre 2008 è stato inaugurato l'impianto di compostaggio di Molinara, in provincia di Benevento che avrebbe dovuto lavorare 5.000 tonnellate all'anno di rifiuti organici, oltre a una quota significativa di biomasse vegetali;
l'impianto, realizzato nel 2001, era rimasto inutilizzato in seguito a un sequestro sopravvenuto nel 2006 e superato in virtù di accordi tra Regione Campania, Provincia di Benevento e Struttura del sottosegretario con delega all'emergenza rifiuti;
l'impianto di compostaggio di Molinara, avrebbe potuto prodotto compost di qualità utilizzabile in agricoltura secondo l'Istituto Piante da Legno e Ambiente (IPLA) di Torino, che ha condotto analisi dettagliate sul prodotto della struttura sannita;
secondo le autorità locali molti dei problemi all'origine dell'emergenza derivavano da incompetenza tecnica ed approssimazione gestionale a causa delle quali l'impianto conteneva molte tonnellate di rifiuti organici contaminati da plastica, un fenomeno che avrebbe causato, per anni, il blocco dell'attività del sito per cui sarebbe stato sufficiente trattare quel materiale con un vaglio dai fori adeguatamente ristretti (12 mm contro i 60 mm di diametro dei fori del vaglio precedentemente in uso) per separare la sostanza organica (che le analisi definiscono composta tutti gli effetti) dai residui plastici, risultati CDR (combustibile da rifiuti) ai sensi della vigente normativa;
il 31 agosto 2009 il WWF ha denunciato che l'impianto di compostaggio di Molinara contiene rifiuti comuni in putrefazione insieme a percolato che causa un danno ambientale e non consente produzione di compost nonostante i costi per l'attivazione della raccolta differenziata dell'umido;
per la Provincia di Benevento, l'ex Vice Presidente Carmine Nardone, aveva proposto un sistema di smaltimento basato sulla dissociazione molecolare, una tecnologia innovativa in grado di convertire in gas di sintesi, pulito ed energeticamente molto efficiente, qualsiasi materiale organico, sintetico (per es. rifiuti) o biodegradabile (biomassa) -:
se corrisponde al vero quanto sopra riferito;
se non intendano recuperare le proposte di Carmine Nardone e promuovere metodi di smaltimento basati sulla dissociazione molecolare.
(4-04056)
un articolo pubblicato dal settimanale L'Espresso del 27 agosto 2009 dal titolo «Campania profondo nero» di Claudio Pappaianni riferisce i risultati finali di un'indagine realizzata dal Commissariato di governo per le bonifiche su un territorio di 22 chilometri quadrati, conosciuta come «laghetti di Castelvolturno», che rientra nel sito di interesse nazionale della costa flegrea e agro-aversana;
si tratta di una cinquantina di specchi d'acqua affiorati dentro alcune cave abusive aperte negli anni '70 e '80, quando nella zona si scavava per estrarre la sabbia usata per la cementificazione della costa che va dal Lago Patria fino a Mondragone;
trattori e ruspe, di aziende spesso legate al clan dei Casalesi, si fermavano solo quando dai buchi affiorava l'acqua delle falde. A quel punto si spostavano di qualche metro e ricominciavano i lavori.
Le cavità sono poi state usate come discariche di auto vecchie, copertoni, scarti di edilizia e rifiuti speciali nocivi;
lo studio sarebbe stato inviato prima dell'inizio dell'estate dalla struttura guidata dal professor Massimo Menegozzo alla presidenza del Consiglio, al Ministero dell'ambiente, al governatore Bassolino, a prefetti, sindaci, assessori e ai responsabili delle Asl e documenterebbe «un rilevante e diffuso inquinamento in tutte le matrici esaminate con alcuni hot spot particolarmente preoccupanti per entità dei fenomeni»;
l'acqua che esce dai rubinetti sarebbe buona, a meno che non ci si allacci ai pozzi abusivi, mentre quella che disseta le bufale di decine di allevamenti e irriga i terreni coltivati a pomodori e ortaggi sarebbe pesantemente compromessa;
l'area esaminata, con circa 2.000 prelievi tra campioni di acqua e terreno, dista in alcuni punti meno di 500 metri dal mare e, in molti casi, accanto a laghetti e campi agricoli contaminati, sorgono decine di abitazioni;
a Cava Baiano, un laghetto non molto distante dall'Holiday Inn Resort, meta preferita dagli appassionati di golf e sede del ritiro del Napoli Calcio sono stati riscontrati livelli di idrocarburi superiori anche 300 volte il limite consentito dalla legge -:
se corrisponda al vero quanto riferito nell'articolo;
dopo aver ricevuto lo studio che sarebbe stato inviato prima dell'inizio dell'estate quali provvedimenti abbiano assunto per accertare come tale situazione si sia potuta verificare e per responsabilità di chi;
quali misure intendano assumere per riparare al danno ambientale e alla salute dei cittadini.
(4-04057)
l'interrogante ha ricevuto una lettera che l'Associazione della Stampa del Friuli Venezia Giulia inviata anche a tutti i parlamentari regionali, ai consiglieri e agli assessori regionali, alle organizzazioni sindacali Cgil-Cisl-Uil-Ugl, e all'Ordine regionale dei giornalisti;
in detta lettera si porta all'attenzione «il problema del precariato nel mondo dell'informazione», e si evidenza la situazione definita «sempre più preoccupante», di centinaia di giornalisti giovani e meno giovani «che con il loro costante lavoro riempiono le pagine dei nostri quotidiani e forniscono ogni giorno servizi alle televisioni e alle radio private»;
a quanto afferma l'Associazione della Stampa del Friuli Venezia Giulia, «le retribuzioni che percepiscono per il loro lavoro è spesso indegna di questo nome. La pratica di pagare i collaboratori esterni la miseria di 3, 5 o 10, o al massimo 20 euro lordi ad articolo è non solo diffusa, ma anche considerata "un normale prezzo di mercato" da troppi editori, grandi e piccoli. A tale vergognosa situazione si è poi aggiunta in questi mesi la corsa ai ribasso dei compensi per i collaboratori»;
al riguardo, viene citato ad esempio il caso del quotidiano Il Gazzettino, che avrebbe inviato in questi giorni ai propri collaboratori un contratto definito «sconcertante»; si tratterebbe di una cifra oscillante dai 3 ai 19 euro comprensivi «di ogni spesa eventualmente sostenuta, nonché dell'eventuale diritto di pubblicazione su altre testate del gruppo e/o siti internet, ed al loro delle trattenute secondo legge»; tre euro per articolo entro le mille battute, sei euro se il pezzo rientra nelle duemila battute. E diciannove euro se si va oltre le tremila; ma se il suddetto articolo dovesse «fermarsi» a quota tremila, il compenso sarà di dodici euro lordi»;
l'Associazione della Stampa del Friuli Venezia Giulia ricorda che un articolo di
circa tremila battute, corredato da un paio di fotografie, può agevolmente arrivare a coprire metà pagina di un quotidiano; che per raccogliere le informazioni il giornalista freelance deve quasi sempre usare i propri mezzi di locomozione e spostamento, ovviamente a spese sue; e per tutto questo, il collaboratore riceverà un compenso di dodici euro lordi, da cui vanno ovviamente detratte le spese, i contributi e le spese;
l'Associazione della Stampa del Friuli Venezia Giulia osserva che non si tratta solo di «una questione sindacale o di tutela della categoria, ma di una vera e propria battaglia di civiltà»;
se sia a conoscenza della vicenda descritta in premessa;
se non si ritenga di dover accertare le dimensioni del fenomeno sopra descritto, se lo «sconcertante» contratto riguarda solo i collaboratori del giornale Il Gazzettino o sia piuttosto pratica diffusa e quali iniziative di competenza si intendano promuovere e adottare in relazione a una questione che riveste non solo il diritto del lavoratore, ma più in generale l'interesse e il diritto all'informazione di tutti i cittadini del Friuli Venezia Giulia.
(4-04062)
«facebook.com» è il social network più diffuso ed utilizzato nel nostro Paese e nel mondo;
chiunque abbia più di 13 anni può iscriversi a questo social network ed entrare in contatto con i diversi utenti di internet;
il nostro Paese è uno di quelli con il maggiore incremento del numero di utenti negli ultimi anni, e di conseguenza moltissimi cittadini si iscrivono in buona fede, investendo tempo per aumentare i propri contatti;
all'improvviso e senza alcuna motivazione, il social network però può cancellare un utente, e infatti sono molti i cittadini che lamentano la cancellazione del proprio account all'improvviso e senza motivo e senza alcuna spiegazione, denunciando la perdita di contatti e di informazioni;
non è sempre chiaro il motivo di tali cancellazioni, non riconducibili a episodi di razzismo o volgarità, o ad usi commerciali, cause esplicitate da «facebook.com» per la cancellazione dell'account;
per avere informazioni al riguardo, si può mandare una mail al contact center di «facebook.com» chiedendo spiegazioni, anche se moltissimi utenti dichiarano di non aver ricevuto alcuna risposta;
sul sito italiano di facebook, alla sezione «condizioni d'uso», viene riportata l'avvertenza che l'unica versione legalmente vincolante è quella in inglese di questo documento che appare di difficile comprensione per terminologia e sintassi e che comunque esplicita che il proprio account può essere cancellato anche senza alcun motivo;
sembra quindi che ci sia qualcuno che gestisca i vari account e che abbia il potere di oscurarne alcuni a proprio piacimento;
il grande successo della rete internet «www» risiede principalmente nella assoluta libertà che contraddistingue l'accesso alle informazioni e le scelte dei «naviganti» -:
se il Governo sia in possesso di dati relativi a facebook.com, in particolare se sia a conoscenza dei nominativi dei legali rappresentanti di questo social network, dell'ubicazione della sede legale ed operativa e del numero di cittadini italiani iscritti;
se esistono e quali siano le norme che regolano attualmente i social network e che tipo di controlli vengono effettuati per evitare abusi e censure al fine di garantire i diritti degli utenti registrati;
se - pur nel rispetto assoluto della libertà della rete - non sia ipotizzabile l'esistenza - nei comportamenti dei responsabili di «facebook.com» e in eventuali analoghi comportamenti di soggetti della rete - di un atteggiamento potenzialmente lesivo dei diritti dei consumatori, che mai possono immaginare di essere cancellati all'improvviso e senza alcuna motivazione, e pertanto se non intenda assumere iniziative nell'ambito delle proprie competenze.
(4-04080)
nel 2015 si svolgerà a Milano l'esposizione universale avente per titolo «Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita»;
nella realizzazione del dossier di candidatura, molto spazio era stato riservato a due infrastrutture «minori», ma utili sia dal punto di vista logistico sia dal punto di vista socio-culturale: la via d'acqua e la via di terra. Infatti, per tutti i territori limitrofi al capoluogo lombardo l'Expo 2015 sarà l'occasione per promuovere un approccio di reciproco scambio e cooperazione, in modo da valorizzare tutte le aree urbane e i siti di maggior attrattiva culturale. In quest'ottica, dunque, Milano fungerà da parterre d'eccezione dell'Esposizione, promuovendo se stessa attraverso la creazione di itinerari culturali e di svago. Partendo da dette considerazioni si è arrivati ad identificare l'acqua e la terra come il filo conduttore di due progetti su scala territoriale, due itinerari - ognuno della lunghezza di più di 20 chilometri - che collegheranno Milano e le aree circostanti al sito Expo. I due itinerari erano progettati come aperti al pubblico: appropriati sistemi di illuminazione, opere multimediali e molteplici attività avrebbero animato i percorsi anche nelle ore serali, attraendo sia i milanesi che i visitatori Expo;
in particolare ecco di seguito una sintetica descrizione del progetto delle vie d'acqua, idea che nasce dalla considerazione che tutto ha origine dall'acqua. L'attività umana ha costruito la propria storia grazie alle attività mercantili sull'acqua. L'acqua ha generato scienza, lavoro, è stata via di comunicazione. L'acqua fornisce energia e nutre il pianeta. Di acqua la Lombardia è particolarmente ricca, e Milano ha con l'acqua un legame intenso, letteralmente «viscerale». L'acqua per un lombardo è vita e tradizione: riempie i Navigli, è abbondantissima nel sottosuolo, scorre nei fiumi, ma è anche la pioggia che tanto spesso caratterizza le nostre giornate, è un elemento costante e irrinunciabile della nostra esistenza. All'acqua i lombardi, e i milanesi in particolare, hanno sottratto la terra dove hanno edificato le proprie case e le proprie attività, facendo della Mediolanum paludosa una delle regioni più ricche del pianeta. Milano e l'acqua: una storia che viene da lontano. Anzi, è un destino che incrocia nuovamente la città e la Lombardia. Il simbolo dell'uomo vitruviano, straordinaria icona nel marchio dell'Expo 2015, porta la firma di Leonardo da Vinci la cui impronta resta fondamentale in quelle vie d'acqua, i Navigli, che diventano oggi nuovamente protagonisti del territorio. Già Carlo Cattaneo nelle Notizie naturali e civili su la Lombardia indicava proprio nella poderosa opera di irreggimentazione delle acque uno dei pilastri del successo dell'economia, della scienza e della cultura lombarde. Non a caso dunque l'itinerario lungo le vie d'acqua dell'Expo è un omaggio a questa materia prima, ma anche il suo stretto legame con l'uomo che attorno a lei ha fondato città, ha costruito le fortune dalle campagne, ha ricavato energia per le industrie, ha «nutrito il pianeta». Le vie d'acqua sono uno degli obiettivi primari di Expo: un percorso acquatico di 20 chilometri abbraccerà un'area di 800 ettari tra parchi, zone urbane confinanti con il verde e aree agricole dalla Darsena sino all'area dell'Expo. Occuperà la parte ovest della città e sarà la più grande area verde e d'acqua del mondo, superando persino il parco di St. James a Londra, di 250 ettari, Central Park a New York, di 320 ettari, e
il parco di Berlino, 210 ettari. Sfruttando in parte il corso del fiume Olona e i torrenti locali sarà possibile creare due nuovi Navigli. Dal Naviglio Grande le vie d'acqua toccheranno i quartieri di Baggio e Quinto Romano, il Parco di Trenno, lambiranno in sequenza colture storiche e risaie, il quartiere Figino, per arrivare al polo della Fiera di Rho-Pero. Il progetto risponde a un grande bisogno: consolidare i parchi già esistenti e creare, in un sistema di nuovi raggi verdi, un unico grande parco metropolitano accessibile a tutti e con una distanza massima di 500 metri tra la città e il confine del parco. Il grande piano è costituito da 8 raggi che andranno a inserirsi nei 9 parchi esistenti: sarà un unico grande anello verde. Ed ecco i nuovi raggi, in ordine orario: il raggio verde del Nord, che fa da «cappello» ecologico a Milano; il raggio verso Bicocca Martesana; il raggio dell'est; il raggio verso Santa Giulia; il raggio verso sud (Chiaravalle), il raggio dei Navigli; il raggio verso ovest (Parco delle Cave), infine il raggio della Fiera. Con Expo 2015 tutto questo sarà finalmente possibile. Ma l'importanza dell'acqua e della sua funzione non è solo legata alla mobilità e ai percorsi. La via d'acqua non è solo acqua che scorre. L'itinerario è infatti concepito per costruire un parco didattico sul valore dell'acqua e della nutrizione, tema centrale dell'Expo 2015: dall'acqua intesa come elemento, bene primario, sino al suo ciclo vitale per arrivare alla riscoperta dei cibi, del loro valore nella vita dell'uomo. L'itinerario lungo le vie d'acqua può essere percorso a piedi, in bicicletta e con veicoli a basso consumo energetico e ridotto impatto ambientale, senza contare che le vie d'acqua saranno percorribili in barca dal Naviglio Grande. Accanto all'aspetto della fruibilità del verde si associa però anche la valorizzazione ambientale, la tutela della cosiddetta biodiversità, e la produzione, in piccole quantità, di energia idroelettrica generata dai nuovi corsi d'acqua: un modo per recuperare anche il progetto leonardiano sulle opere idrauliche che caratterizzarono lo studio del genio sul nostro territorio, tanto da impressionare molte delle sue tele con quinte ambientali e sfondi ricchi di corsi e salti d'acqua. Le vie d'acqua saranno navigabili dalla Darsena alla porta dei Navigli e lungo il canale previsto dal progetto, in modo da rendere ben visibile un unico grande parco territoriale tra la città storica e le zone extraurbane. L'acqua scorrerà tra nuovi piccoli canali, darà forma a piccoli laghetti, fontane, sorgenti, campi di riso. Ma le vie d'acqua e il loro parco saranno riconoscibili anche di notte: fontane luminose con bande di luce e acqua saranno proiettate nello spazio, così da marcare la vicinanza tra il verde e i visitatori. Le vie d'acqua dell'Expo hanno l'ambizione di collegare il verde esistente e di farne un unico, grande «polmone verde» unendo i parchi attorno a Milano: una nuova rete per ribilanciare l'area sotto l'aspetto ecologico, ed aumentare il processo di controllo della qualità dell'ambiente. Di certo la combinazione pubblico-privato (per quanto riguarda l'intersecarsi delle aree agricole con quelle verdi), consentirà una rigenerazione anche sotto l'aspetto paesistico del sistema agroambientale. Positivo anche l'impatto per la qualità dell'aria, vista la vicinanza delle zone edificate con un sistema di trasporto e mobilità non inquinante verso le aree urbane. Attualmente i parchi della zona ovest della città sono tra loro separati. Il Bosco in città copre 97 ettari, il parco delle Cave 124, quello di Trenno 58, il Parco dei Fontanili 62. Queste aree verdi a metà tra città e campagna saranno unite nel progetto delle vie d'acqua, collegate in un unico polmone verde attraversato da canali, sorgenti, fiumi per irrigare le campagne. Uno degli aspetti più innovativi che Expo propone per le vie d'acqua si base su una spina dorsale: il canale che serve per regolare il corso del fiume Olona e che diramandosi da Nord a Sud, partendo dalla Darsena in direzione Parco delle Cave, costituisce l'arteria di tutto il progetto. Due le «porte», punti di sosta informativi con attività legate alle manifestazioni dell'Expo, che accoglieranno i visitatori: la Porta di Quinto e la Porta est. Il percorso si snoderà cavalcando le colture storiche dell'agricoltura milanese, il
Parco di Trenno, il Bosco in città, incontrando a sinistra Figino e a destra Trenno con il suo parco e con un'area dedicata alle acque e alla nutrizione. Prima di raggiungere il sito dell'Expo, si incontrerà un'area umida e, per restare nel tema, la Porta delle acque. Sotto l'aspetto tecnico per garantire il flusso delle acque e la pulizia del letto del canale, si è reso necessario progettare le sponde in cemento. Le rive, saranno per questo coperte con specie fonte, intersecate con una fitta rete di altre piccole vie d'acqua interne. La spina dorsale non procederà in linea retta, come nella tradizione del corso dei fiumi maggiori: si insinuerà tra sentieri, case agricole, campi di riso e laghi. Un sentiero educativo porterà il visitatore passo passo verso l'Expo con luoghi che accoglieranno anticipazioni dell'evento sino a un anno prima delle manifestazioni;
oltre alla Via d'acque, per facilitare l'acceso e la fruizione del parco lungo le vie d'acqua erano stati progettati dei «passaggi» quasi obbligati. Ecco i progetti:
a) la porta d'acqua: un luogo dove conoscere l'acqua come risorsa, per apprendere i metodi per dirigerla e prendere visione degli enti e delle associazioni che si occupano della gestione dell'acqua;
b) il centro sulla nutrizione: offrirà l'opportunità ai visitatori di conoscere i metodi di coltivazione innovativi, ecologici, da mettere in atto nel parco dell'acqua. Il centro darà spazio a punti di ristoro con pranzi a base di prodotti agricoli biologici;
c) il centro d'agricoltura tradizionale: porterà sulla scena i prodotti agricoli realizzati in modo specifico in ogni area: prodotti non solo tipici ma unici e irripetibili;
d) la porta est: darà spazio agli eventi «speciali», a show. È la porta d'accesso al percorso delle vie d'acqua per chi arriva dalla Darsena;
e) il chiosco dello sport: situato immediatamente a sud, nei pressi di viale delle Forze Armate, sarà punto d'informazione per le attività da svolgere all'aria aperta nel grande parco territoriale;
f) porticati: laddove il parco si avvicina, le aree urbane e le zone «critiche» miste saranno caratterizzate da veri e propri porticati, zone di transito in cui saranno realizzati anche bar e caffè fruibili sia dai residenti che da chi lavora nella zona;
g) la porta del canale: gli edifici ferroviari in disuso nei pressi del Naviglio Grande potranno essere riconvertiti e diventare ulteriore luogo attrattivo per i visitatori, dando informazioni e illustrazioni sulla storia della città attraverso i suoi canali;
h) la Darsena: è già in fase di rinnovamento con un progetto che ha vinto un concorso internazionale di architettura. La Darsena sarà il terminale urbano per accedere alle vie dell'acqua: da qui sarà possibile viaggiare in barca fino all'intersezione con gli altri canali. Tutto ciò costituirà un recupero e una valorizzazione di Milano come Città d'Acqua, fatta di Navigli e territori bonificati;
riguardo invece alle vie di terra, il progetto prevedeva quanto segue. Accanto alla rinascita e alla valorizzazione dei percorsi acquatici, arterie di un polmone verde che abbraccerà l'area ovest della città, l'Esposizione offre l'opportunità di creare nuove «vene» creative di percorrenza della metropoli. Saranno 22 i chilometri realizzati per consentire ai visitatori, agli amanti di Milano, anche ai molti distratti residenti, di conoscere i siti storici, i luoghi meno conosciuti attraverso percorsi a piedi, in bicicletta, e con mezzi a basso impatto ambientale. Sarà un modo molto ambrosiano di prendere per mano il visitatore, condurlo nelle piccole oasi gastronomiche del territorio, così come in quelle dello shopping, della cultura e dell'arte. Come i quattro punti cardinali, quattro saranno le vie di terra:
a) la Milano creativa: 7 chilometri di arte «al taglio», ovvero la migliore
sartoria del mondo, nel quadrato a sudovest della città. Il meglio della creatività del made in Italy esposta nei luoghi simbolo della genialità dei maestri di moda;
b) la Milano del XIX secolo: 6 chilometri da percorrere in modo circolare all'interno delle piccole circonvallazioni di Milano, costruita come la tela laboriosa e scrupolosa di un ragno. Un viaggio nella Milano del liberty, degli edifici che hanno fatto da ponte con l'architettura contemporanea;
c) la Milano dell'industria: 10 chilometri tra passato e futuro, dalla Bicocca all'ex Pirelli, alla ricerca dei segni dell'archeologia industriale, dei passaggi chiave che hanno fatto da pietra miliare nello sviluppo dell'economia del nord e del Paese: impronte non «fossili» ma vive, radicate all'interno del tessuto urbano e nel contempo segno di una riconversione che ha indicato la strada per dare valore aggiunto alle nuove aree residenziali e a quelle della ricerca tecnologica e universitaria più avanzate;
d) la Milano del futuro: è il presente, è l'Expo 2015. Sarà un percorso di 10 chilometri che condurrà il visitatore dal cuore della città, dalla zona Garibaldi verso nordovest, verso l'area dell'Esposizione attraverso i luoghi simbolo della rinascita architettonica di Milano;
lungo tutte e quattro le proposte di terra, saranno dislocate stazioni per le biciclette in cui noleggiare non solo le classiche due ruote ma anche tandem, roller e skateboard. Per entrare nei percorsi si passerà attraverso una porta d'entrata caratterizzata da realizzazioni artistiche. Milano, città della moda, della scienza e della cultura, vuole lasciare l'impronta nella mente di chi la percorre senza correre, gustandone i dettagli, il carattere, la personalità storica. Punti d'informazione sul come «navigare» nei sentieri metropolitani consentiranno strada facendo, di attingere utili notizie sulla storia degli edifici, e di ricevere suggerimenti sui punti di ristorazione più vicini. Le zone di sosta saranno accoglienti e formate da confortevoli punti di ristoro, la cui offerta sarà caratterizzata dagli eventi dell'Expo. Con temi e sottotemi legati all'Esposizione, le oasi offriranno «cibo da strada» e il cibo delle diverse culture presenti nel corso dell'evento alla nuova fiera. Grattacielo Pirelli, Torre Branca, Monte Stella e tanti altri inusuali punti panoramici saranno a disposizione dei visitatori: luoghi pubblici e privati aperti ai cittadini offriranno una prospettiva nuova della città. Per i più «pigri» o più semplicemente per chi ama le visioni panoramiche pulmini a zero emissione (con l'idrogeno come mezzo di propulsione) porteranno a spasso i visitatori. In più, per loro, postazioni multimediali a bordo consentiranno di entrare nel vivo di quanto gli occhi «apprenderanno» -:
se e come i progetti sopra descritti siano ancora attuali ovvero siano stati sostituiti in tutto o in parte e con quali altri progetti;
come il Governo, anche attraverso il proprio Commissario e la Società di gestione (SOGE), stia operando al fine di realizzare i progetti in premessa.
(4-04089)
RAI e RTI hanno annunciato il lancio della nuova piattaforma TivùSat che trasmetterà i propri programmi dal 31 luglio 2009;
a partire dalla stessa data saranno disponibili nei negozi i decoder e le smart card per accedere alla nuova piattaforma satellitare;
l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni sta valutando la legittimità della costituzione dell'impresa comune ai sensi dell'articolo 43 del decreto legislativo n. 177 del 2005;
risulta che la RAI non abbia rinnovato il proprio contratto con Sky per la
trasmissione dei propri canali sulla piattaforma satellitare Sky, con ciò rinunciando agli introiti derivanti dal contratto con Sky;
il Contratto di servizio della RAI, all'articolo 26 prevede che la RAI rispetti l'obbligo di neutralità tecnologica attraverso «la cessione gratuita, e senza costi aggiuntivi per l'utente, della propria programmazione di servizio pubblico sulle diverse piattaforme distributive»;
l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha il compito di vigilare sulla corretta applicazione della Rai del Contratto di servizio -:
quali siano i costi fino ad ora sostenuti per la realizzazione dell'impresa comune TivùSat, e quali sarebbero i costi di un eventuale ripristino della situazione precedente alla notifica in caso di divieto alla costituzione della impresa comune da parte dell'autorità;
come si intenda ovviare ad un eventuale divieto di procedere all'impresa comune da parte dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, con conseguente nullità degli atti e relativa sanzione;
se risulti al Governo quale sia il ruolo della RAI nella gestione della piattaforma TivùSat e nell'attività di codifica del segnale e chi tra RAI e RTI gestirà il servizio di accesso condizionato nonché a come siano regolati i rapporti tra RAI e RTI nella nuova piattaforma TivùSat relativamente alla conoscibilità dei dati sensibili delle due aziende;
se RTI possa accedere ai dati di natura strategica della RAI come gli abbonati e la struttura di rete e degli impianti, e viceversa;
posto che per accedere alla piattaforma TivùSat sarà necessario l'acquisto da parte degli utenti di un decoder ad hoc e l'installazione di una nuova parabola se il decoder sarà interoperabile con il decoder della piattaforma satellitare Sky;
se non sia opportuno avviare la costruzione di un decoder unico per garantire una reale concorrenza ed interoperabilità tra le piattaforme, così da permettere un notevole risparmio agli utenti;
se sia stato valutato l'impatto ambientale delle nuove parabole che sarà necessario installare per accedere all'offerta TivùSat;
se risultino al Governo iniziative, per ottemperare a quanto indicato all'articolo 26 del contratto di servizio alla luce delle contrattazioni in corso con Sky sulla trasmissione dei canali RAI sulla piattaforma Skt;
se a eseguito del mancato rinnovo del contratto con Sky, registreranno ingenti perdite derivanti dalla mancata sottoscrizione del contratto con Sky e come ed in quali tempi si ritenga di recuperare tali perdite.
(4-04093)
nella notte del 9 luglio 2009 la Rai, durante la trasmissione «Doc 3», ha proiettato un documentario dal titolo «Come un uomo sulla terra» che racconta la storia di uno studente di Giurisprudenza di Addis Abeba, in Etiopia, che a causa della forte repressione politica nel suo paese, decide di emigrare. Nell'inverno 2005 attraversa via terra il deserto tra Sudan e Libia. In Libia, però, si imbatte in una serie di disavventure legate non solo alle violenze dei contrabbandieri che gestiscono il viaggio verso il Mediterraneo, ma anche e soprattutto alle sopraffazioni e alle violenze subite dalla polizia libica, responsabile di arresti e deportazioni che, dopo la visione del documentario, appaiono inconciliabili con le più elementari norme di diritto internazionale a tutela dei diritti dell'uomo. Il profugo etiope, sopravvissuto all'attraversamento della Libia, è riuscito a giungere via mare in Italia, a
Roma, dove ha iniziato a frequentare una scuola di italiano, punto di incontro di molti immigrati africani. Qui ha imparato non solo l'italiano ma anche il linguaggio del video-documentario. Ha quindi deciso di raccogliere le memorie di suoi coetanei sul terribile viaggio attraverso la Libia, e di provare a far conoscere al mondo quanto sta accadendo nel paese del colonnello Gheddafi;
a differenza di molti altri programmi andati in onda sulle reti RAI, non è possibile rivedere questo documentario sul sito istituzionale, e ciò è evidenziato dalla scritta «Video non disponibile», ma è rimasta visibile, anche se molto difficilmente, la seguente didascalia: «La recente polemica sui "respingimenti" ha tralasciato un piccolo particolare: chi sono quegli uomini e quelle donne sui barconi? Quali sono le loro storie? Che cosa hanno passato per arrivare in Italia? Come hanno fatto ad attraversare un deserto? Cosa vuol dire viaggiare a 50 gradi dentro un container pieno zeppo di persone? Come sono gli analoghi dei nostri CPT in Libia? Sono campi di concentramento finanziati anche dall'Italia? Con i nostri soldi, quindi? Attraverso i racconti dei protagonisti scopriamo l'agghiacciante realtà del passaggio nell'inferno libico, fatto di campi di concentramento nel deserto, di stupri e di esseri umani venduti e comprati (uno di loro - Dagmar Yimer - è co-regista con Andrea Segre). Un eccezionale documento che finalmente dà voce a chi non l'ha mai avuta».;
su numerosi siti Internet è possibile rivedere ed ascoltare un trailer del documentario di poco più di cinque minuti, sul totale di cinquantasette circa, contenenti delle dichiarazioni e dei dialoghi tra profughi etiopi, sottotitolate in italiano, del seguente tenore letterale: «Ci sono due tipi di containers, uno piccolo ed uno grande, io li ho presi entrambi. Si dice che li hanno avuti dal governo italiano. Dall'Italia? Si, dal governo italiano. Questi mezzi sono stati regalati dall'Italia alla Libia... così si dice»;
tutto il documentario è basato su immagini e dichiarazione quali quelli sopra riportati da cui emergono fatti la cui gravità è tale da richiedere la verifica dell'autenticità: in modo specifico, le affermazioni riguardanti la fornitura, da parte del nostro Paese, alla Libia, dei containers sopra citati con cui trasportare i catturati nel deserto verso le prigioni interne, aventi solo delle piccolissime prese d'aria: questi, dopo aver subito trattamenti contrari al diritto internazionale come torture fisiche e morali, iniziano un viaggio in cui tali trattamenti proseguono poiché le condizioni ambientali sono così ostili da provocare svenimenti e morti tra i trasportati in questi mezzi. Ciò è dovuto anche al fatto che i tragitti sono particolarmente lunghi a causa di una lunga peregrinazione tra le varie sedi di segregazione in cerca di «posti liberi» ove imprigionarli;
nel documentario si afferma altresì che è avvenuta una fornitura, da parte del nostro governo, di mille sacchi per cadaveri destinati ai catturati che non sopravvivono al trattamento riservatogli;
per quelli che sopravvivono dopo la serie di violenze subite, è in attesa un ulteriore tragitto: essi sarebbero «ceduti» a trafficanti che li trasportano, questa volta con dei pick-up, sempre forniti dal governo italiano, che li riportano al punto di partenza ove, se la propria famiglia non ha a disposizione 400 dollari per il loro riscatto, iniziano nuovamente questa sorta di via crucis, testimoniata da ulteriori brani del documentario disponibile on line: «Devi passare ad Ajdabia, e pagare ancora se vuoi arrivare a Bengazi. Devi farti mandare altri soldi, o usare quelli che hai. Ma io non avevo da pagare... e così siamo state picchiate e abusate... È così per tutte le donne... per arrivare a Bengazi».; un ulteriore brano: «L'autista aveva una pistola ed una sciabola. Siccome eravamo troppo stretti, alcuni di noi salivano sul tetto del pick-up e allora l'autista, guidando, menava fendenti di sciabola alla cieca. Se ci prendeva ci avrebbe feriti, non aveva nessuna pietà»; a cui segue una
denuncia di discriminazione anche religiosa: «Preferivamo morire piuttosto che doverci togliere la croce. Piangevamo, ma se questa era la volontà di Dio noi l'accettavamo... ma la croce non la volevamo togliere. Cristiani siamo e cristiani rimarremo..., e loro ci sbattevano contro il muro. Mentre gli uomini venivano picchiati noi urlavamo. Come puoi stare zitto quando qualcuno viene frustato. Gli uomini venivano colpiti sotto le piante dei piedi e fino a perdere i sensi... così sono stati espulsi»; sempre riferendosi ai containers: «Arrivati a Misratah c'era ad aspettarci un lunghissimo container. Ci hanno messi subito dentro. Non sapevamo neanche cos'era. Mentre eravamo lì sono state portate dalla prigione oltre 100 persone. Erano soltanto habesha? No, anche di Sudan, Somalia e altri paesi. Io dovevo arrivare a Tripoli e invece guarda il viaggio che ho fatto... sono andato indietro, a ritroso»; l'autore stesso commenta le immagini dei container utilizzati per i trasporti, con queste parole: «Anche se uno è normalmente tranquillo, ti fa diventare pazzo. Non puoi ragionare» -:
se i fatti narrati in premessa corrispondano al vero e, nell'eventualità positiva, quali iniziative efficaci ed urgenti intendano porre in essere alfine di scongiurare in futuro il ripetersi di simili fatti;
cosa intenda fare il Governo, in ordine al prosieguo dell'attuazione del Trattato di «amicizia, partenariato e cooperazione» tra Italia e Libia, alla luce dei fatti narrati in premessa, e se non ritenga urgente convocare l'ambasciatore libico in Italia per chiedere l'avvio di un'inchiesta internazionale indipendente che verifichi il rispetto dei diritti umani in Libia, con particolare riguardo alla tutela dei diritti dell'uomo contenute nella Carta delle Nazioni Unite e della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo.
(4-04094)
l'agenzia di informazioni «Italia» il 2 settembre 2009, riferiva della grave e commovente denuncia della signora Caterina Calì, di Vibo Valentia;
la signora Calì è madre di Giuseppe e Ivan Tavella, rispettivamente di 37 e 30 anni, entrambi affetti da una grave forma di distrofia muscolare progressiva. Entrambi sono ricoverati nell'istituto «Don Gnocchi» di Parma;
«Nel nostro Paese - racconta la signora Calì - si è discusso molto della libertà di morire per chi si trova in uno stato vegetativo, ma non si garantisce l'esistenza per quanti si ostinano a vivere nonostante la malattia». La signora Calì assiste da anni i suoi due figli. In Calabria non ha trovato una struttura adeguata per le esigenze per i suoi ragazzi, per cui ha dovuto trasferirsi in Emilia. A Parma i due giovani vengono assistiti, «ma il servizio è insufficiente. Nel mese di agosto a causa di carenza di personale, nessuno ha aiutato i miei figli a fare la doccia. Ho dovuto provvedere io personalmente con l'aiuto di una badante. Il problema non riguarda solo me, ma tanti altri ragazzi ricoverati nella struttura. Non è giusto che le cose vadano così. Quindi qualcuno si faccia carico del problema. Sono disposta, lo ripeto, anche ad andare a Roma dal presidente della Repubblica. Chiediamo che siano applicate le leggi in vigore, le quali, se pienamente applicate, ci consentirebbero un'esistenza migliore. Vogliamo solo che le istituzioni applichino le leggi che tutelano le persone che si trovano nella nostra stessa situazione. Ne invochiamo il rispetto a tutti i livelli. Nel Consiglio di amministratore della fondazione don Carlo Gnocchi è presente un rappresentante nominato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri;
se non ritenga di doversi attivare anche tramite il citato rappresentate e quali iniziative si intendono adottare - perché i diritti della signora Calì e dei suoi
due figli siano pienamente tutelati e garantiti, come la legge prevede e prescrive;
se sia noto quante cittadine e quanti cittadini italiani si trovano nelle condizioni dei due figli della signora Calì di che tipo di assistenza beneficiano ed in quali regioni sono residenti, e se sia noto quanti sono stati costretti, come i figli della signora Calì, a trasferirsi perché nella loro regione originaria non ci sono strutture di assistenza adeguata.
(4-04096)
il 2 dicembre 1943 la Luftwaffe bombardò nel porto di Bari 30 navi inglesi e
americane cariche di sostanze tossiche, irritanti e asfissianti, già proibite dalla Convenzione di Ginevra del 1925;
molte delle navi da guerra furono danneggiate e affondate disseminando il carico nel mare, oltre mille persone persero la vita e altrettante rimasero contaminate o ustionate dalle sostanze nocive;
esplose anche la nave John Harvey, stanziata nel porto di Bari, il cui carico era costituito anche da bombe di iprite;
in virtù di un accordo tra il Ministero della marina mercantile e gli alleati, i residui bellici sarebbero stati affondati ad oltre 20 miglia dalla costa, a circa 460 metri di profondità;
dal giorno di quel tragico evento tra i pescatori di Molfetta si sono verificati numerosi casi di intossicazioni, di cui alcuni anche mortali;
dalle indagini (programma di ricerca armi chimiche affondate e benthos - ACAB) espletate qualche anno fa, è stata rilevata la presenza nelle acque del basso adriatico di sostanze rilasciate dagli ordigni bellici particolarmente dannose e rischiose per gli ecosistemi marini e per le attività di pesca;
in particolare, al largo di Molfetta fu accertata la presenza di 11 ordigni all'iprite facenti presumibilmente parte del carico della nave John Harvey, ma oltre a tale sostanza sotto i fondali giacciono lewsite, adamsite, acido cianidrico, fosgene, disfogene, bombe a grappoli del tipo blu 27 e proiettili all'uranio impoverito;
analisi di laboratorio hanno confermato che il pesce dell'Adriatico è gravemente inquinato, per questo le attività di pesca e di commercializzazione sarebbero state conseguentemente ridotte per cautela sanitaria;
l'11 luglio del 1993 il peschereccio «Francesco Padre» rischiò di affondare a causa di un sommergibile degli Stati Uniti d'America a propulsione nucleare che rimorchiò l'imbarcazione per diverse miglia;
come riportato in un articolo su La Stampa del 4 novembre 2008, «Il Governo Usa indennizzò il comandante del Francesco Padre con 9.554 dollari, a condizione di non rivelare nulla. Ai familiari delle vittime il nostro Governo aveva elargito sulla carta (decreto 1105 del 7 dicembre 1994) 50 milioni a famiglia; tuttavia la somma non è stata mai erogata»;
un anno dopo, e precisamente il 4 novembre 1994, si verificò un'ennesima tragedia al largo del Montenegro, quando il «Francesco Padre» affondò con tutto il suo equipaggio formato da pescatori di Molfetta;
la magistratura chiuse il caso a causa del sospetto che l'imbarcazione trasportasse un carico di esplosivo, ma analizzando le immagini registrate da un robot, stanziato a circa 250 metri di profondità, la marineria di Molfetta avanzò l'ipotesi che l'esplosione della nave fosse stata causata da una mina incagliatasi nelle reti del peschereccio;
Francesco Mastropierro, ingegnere navale e componente della commissione d'inchiesta della Direzione per i sinistri marittimi di Bari, non sembra avere dubbi sulle dinamiche dell'evento, dichiarando: «L'affondamento del Francesco Padre è stata una conseguenza diretta della deflagrazione di un ordigno esplosivo che si è venuto a trovare in corrispondenza della rete appena recuperata dal fondo»;
l'ingegnere Vito Alfieri Fontana, consulente del magistrato, concorderebbe precisando: «L'esplosione è avvenuta all'esterno dell'imbarcazione, diffondendosi all'interno dello scafo»;
risulterebbe che nella zona in cui si trovava la Francesco Padre, vi era in corso l'operazione Nato Sharp Guard;
quell'area infatti è uno spazio di rilascio di bombe della Nato dal 1992, e al momento dell'evento si trovavano sul posto diverse unità da guerra, di cui alcune ancora non identificate;
ciononostante risulta che la magistratura non abbia mai esaminato i tracciati radar che controllavano l'Adriatico, che non furono mai chieste le fotografie satellitari o i rapporti delle unità da combattimento al Pentagono e che nessuno mai abbia richiesto copia di registrazioni radio o telefoniche per far luce sulla tragedia;
non furono identificati i testimoni oculari, ovvero i piloti a bordo del P3c Orion, né fu interrogato il comandante della fregata spagnola Baleares;
il caso è stato archiviato dalla Procura della Repubblica di Trani nel 1997;
nel 2002 il direttore marittimo Nicola Armando Romito avrebbe dichiarato che «il giudice delle indagini preliminari ha disposto la confisca e la distruzione dei corpi di reato», senza far pervenire alcuna comunicazione ai familiari dei marinai di Molfetta rimasti uccisi -:
di quali informazioni disponga il Governo in ordine alla vicenda e quali iniziative intenda adottare per fare piena luce sull'accaduto, eventualmente anche intervenendo in sede Nato affinché siano acquisiti ulteriori elementi conoscitivi;
se corrisponda al vero che l'indennizzo di 50 milioni a famiglia da parte del Governo ai familiari delle vittime stabilito nel decreto n. 1105 del 7 dicembre 1994 non sia stato effettivamente corrisposto, e in caso affermativo, quali iniziative si ritenga opportuno adottare;
quali attività di recupero e bonifica nel mare Adriatico da ordigni e materiali bellici il Governo intenda intraprendere, oltre a quelle già effettuate.
(4-04100)
secondo quanto riportato dal sito online CittàOggi Web il 19 agosto 2009, a Magenta lunedì 17 agosto, i carabinieri della stazione di via Novara hanno notato sporgere dal balcone di un'abitazione una pianta alta circa un metro e trenta centimetri. I carabinieri si sono insospettiti e, dopo i regolari controlli, hanno accertato che in realtà trattasi di una pianta stupefacente di marijuana del peso di un chilo e 350 grammi. Il proprietario, C.T. di 24 anni ufficialmente disoccupato che vive all'interno dell'abitazione in questione, è stato arrestato per produzione e traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope;
qualche giorno prima un sequestro analogo è avvenuto a Sedriano ad opera dei carabinieri di Bareggio. I militari hanno arrestato F.D. nato a Caserta nel 1964, ma residente nel corbettese e di professione artigiano. L'uomo è stato trovato in possesso di una pianta di marijuana alta un metro e mezzo coltivata in un vaso di fiori sul terrazzo dell'abitazione;
nel nostro ordinamento giuridico, nonostante la rilevanza penale del consumo
personale di sostanze stupefacenti sia stato abrogato con il referendum del 1993, la condotta di coltivazione non autorizzata di piante da stupefacenti continua a costituire sempre e comunque un illecito penale (previsto dall'articolo 26 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309), con esclusione di qualsivoglia spazio per un intervento punitivo solo in via amministrativa ex articolo 75 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, e ciò pur in presenza di coltivazioni di modestissima dimensione, rispetto alle quali inconcepibile sarebbe una destinazione al mercato del ricavato;
anche dopo l'incisivo intervento di riforma della disciplina sanzionatoria delle sostanze stupefacenti realizzato nel 2006 con il decreto-legge 30 dicembre 2005 n. 272, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2006 n. 49, il legislatore ha finito con l'aderire a quella opinione giurisprudenziale senz'altro prevalente, fatta propria anche dalla Corte costituzionale (Corte Costituzionale sentenza 24 luglio 1995, n. 360), secondo cui la condotta di coltivazione, in quanto potenzialmente in grado di aumentare il quantitativo di droga circolante, sarebbe intrinsecamente più grave rispetto a quella di mera detenzione, così da meritare un trattamento punitivo diverso e più severo; ne deriva che tale condotta continuerebbe ad essere vietata e sanzionata penalmente anche qualora la finalità dell'agente sia di destinare il prodotto della coltivazione a mero consumo personale;
il divieto generale ed assoluto di coltivare le piante comprese nella tabella I di cui all'articolo 14 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 (fra le quali è annoverata la cannabis indica) appare davvero eccessivo, perlomeno rispetto a quelle condotte di coltivazione rudimentale e domestica di poche piantine, destinate cioè a consentire il ricavo di modestissimi quantitativi di principio attivo, giacché in casi del genere il rischio di destinazione a terzi della sostanza stupefacente è pressoché nullo e parimenti nullo è il rischio per la salute individuale del coltivatore-assuntore;
l'interrogante ha recentemente depositato un progetto di legge per modificare innanzitutto gli articoli 26 e 28 del Testo unico sulle sostanze stupefacenti, così da cogliere la reale diversità di situazione che caratterizza la coltivazione in senso tecnico da attività solo naturalisticamente rientranti in tale nozione, rispetto alle quali è preferibile non operi il divieto di coltivazione in assenza di autorizzazione;
l'altra importante modifica della citata proposta di legge consiste nel richiamare espressamente la condotta di coltivazione sia nell'articolo 73 comma 1-bis che nell'articolo 75 del Testo unico citato, in modo da attribuire alla stessa, qualora emerga che il ricavato della coltivazione sia destinato ad un uso esclusivamente personale, una rilevanza meramente amministrativa;
è opinione dell'interrogante che solo estendendo gli effetti del referendum abrogativo del 1993 anche a tutte quelle attività di coltivazione cosiddetta «domestica» delle piante da stupefacenti, è possibile evitare le irragionevoli conseguenze che discendono dall'applicazione della disciplina di rigore attualmente vigente che, da un lato, impone di sanzionare penalmente il modesto coltivatore di qualche piantina di canapa indiana mentre, dall'altro, punisce solo in via amministrativa le condotte di detenzione per uso personale di sostanza stupefacente anche in quantitativi di significativa consistenza;
appare agli interroganti oltremodo penalizzante e discriminatorio il Testo Unico sugli Stupefacenti nella parte in cui prevede la rilevanza sempre e comunque penale della condotta di coltivazione di cannabis, anche a fronte di detenzione di quantitativi minimi di principio attivo -:
se con riferimento alle vicende esposte in premessa non ritenga di dover assumere ulteriori informazioni dirette ad
accertare quale fosse la quantità di principio attivo ricavabile dalla piantina di marijuana sequestrata dai carabinieri della stazione di Magenta a C.T., nonché dalla pianta, sempre di cannabis indica, sequestrata dai carabinieri di Bareggio a F.D.;
se, più in generale, il Ministro della Giustizia non ritenga di dover presentare una dettagliata relazione riferita agli arresti e alle denunce per coltivazione illegale di sostanze stupefacenti (hashish e marijuana) avvenuti in seguito alla entrata in vigore della Legge n. 49/2006 e riportante: 1) i casi in cui la quantità di principio attivo contenuta nelle piante di cannabis sequestrate era superiore a 500 milligrammi ed inferiori ad 1 grammo; 2) i casi in cui la detenzione delle piante di cannabis derivava da attività di coltivazione finalizzata allo spaccio; 3) i casi in cui l'attività di coltivazione della sostanza stupefacente era destinata al consumo meramente personale del coltivatore; 4) se ed in che misura, dopo l'entrata in vigore della Legge 49/2006, gli arresti e le denunce per coltivazione non autorizzata di sostanze stupefacente siano aumentati rispetto al passato;
se non reputi di intervenire, attraverso iniziative normative, affinché il consumo personale di marijuana - sebbene ricavata da attività di coltivazione cosiddetta «domestica» - venga depenalizzato e punito solo in via amministrativa.
(4-04102)
secondo quanto riportato il giorno 12 agosto 2009, dal sito online Alghero Notizie.it, la mattina di sabato 8 agosto, i carabinieri di Alghero avrebbero arrestato Leonardo O., un 64enne incensurato del posto, sorpreso mentre innaffiava nel suo podere quattro piante di cannabis indica alte 250 cm.;
su disposizione del P.M. di turno, dottor Caria, l'arrestato è stato trattenuto nella camera di sicurezza della caserma di via Don Minzioni in attesa della celebrazione del rito direttissimo;
nell'ambito di analoghi accertamenti, i militari della città catalana hanno denunciato in stato di libertà una coppia di commercianti del luogo, un uomo di 42 anni originario di Sassari e una donna di 44 anni di Alghero, poiché, a seguito della perquisizione della loro abitazione, in località Tanca Farrà, venivano trovati in possesso di due piante di cannabis indica dell'altezza di cm 165 piantate in vasi posti su una terrazza interna, poi sottoposte a sequestro;
nel nostro ordinamento giuridico, nonostante la rilevanza penale del consumo personale di sostanze stupefacenti sia stato abrogato con il referendum del 1993, la condotta di coltivazione non autorizzata di piante da stupefacenti continua a costituire sempre e comunque un illecito penale (previsto dall'articolo 26 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309), con esclusione di qualsivoglia spazio per un intervento punitivo solo in via amministrativa ex articolo 75 decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, e ciò pur in presenza di coltivazioni di modestissima dimensione, rispetto alle quali inconcepibile sarebbe una destinazione al mercato del ricavato;
anche dopo l'incisivo intervento di riforma della disciplina sanzionatoria delle sostanze stupefacenti realizzato nel 2006 con il decreto-legge 30 dicembre 2005 n. 272, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2006 n. 49, il legislatore ha finito con l'aderire a quella opinione giurisprudenziale senz'altro prevalente, fatta propria anche dalla Corte costituzionale (Corte Costituzionale sentenza 24 luglio 1995, n. 360), secondo cui la condotta di coltivazione, in quanto potenzialmente in grado di aumentare il quantitativo di
droga circolante, sarebbe intrinsecamente più grave rispetto a quella di mera detenzione, così da meritare un trattamento punitivo diverso e più severo; ne deriva che tale condotta continuerebbe ad essere vietata e sanzionata penalmente anche qualora la finalità dell'agente sia di destinare il prodotto della coltivazione a mero consumo personale;
il divieto generale ed assoluto di coltivare le piante comprese nella tabella I di cui all'articolo 14 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 (fra le quali è annoverata la cannabis indica) appare davvero eccessivo, perlomeno rispetto a quelle condotte di coltivazione rudimentale e domestica di poche piantine, destinate cioè a consentire il ricavo di modestissimi quantitativi di principio attivo, giacché in casi del genere il rischio di destinazione a terzi della sostanza stupefacente è pressoché nullo e parimenti nullo è il rischio per la salute individuale del coltivatore-assuntore;
l'interrogante ha recentemente depositato un progetto di legge per modificare innanzitutto gli articoli 26 e 28 del Testo unico sulle sostanze stupefacenti, così da cogliere la reale diversità di situazione che caratterizza la coltivazione in senso tecnico da attività solo naturalisticamente rientranti in tale nozione, rispetto alle quali è preferibile non operi il divieto di coltivazione in assenza di autorizzazione;
l'altra importante modifica della citata proposta di legge consiste nel richiamare espressamente la condotta di coltivazione sia nell'articolo 73 comma 1-bis che nell'articolo 75 del Testo unico citato, in modo da attribuire alla stessa, qualora emerga che il ricavato della coltivazione sia destinato ad un uso esclusivamente personale, una rilevanza meramente amministrativa;
è opinione dell'interrogante che solo estendendo gli effetti del referendum abrogativo del 1993 anche a tutte quelle attività di coltivazione c.d. «domestica» delle piante da stupefacenti, è possibile evitare le irragionevoli conseguenze che discendono dall'applicazione della disciplina di rigore attualmente vigente che, da un lato, impone di sanzionare penalmente il modesto coltivatore di qualche piantina di canapa indiana mentre, dall'altro, punisce solo in via amministrativa le condotte di detenzione per uso personale di sostanza stupefacente anche in quantitativi di significativa consistenza;
appare agli interroganti oltremodo penalizzante e discriminatorio il Testo Unico sugli Stupefacenti nella parte in cui prevede la rilevanza sempre e comunque penale della condotta di coltivazione di cannabis, anche a fronte di detenzione di quantitativi minimi di principio attivo -:
se con riferimento alle vicende esposte in premessa non ritenga di dover assumere ulteriori informazioni dirette ad accertare quale fosse la quantità di principio attivo ricavabile sia dalle quattro piantine di marijuana sequestrate dai Carabinieri di Alghero a Leonardo O., sia dalle due piantine di marijuana sequestrate in località Tanca Farrà;
se, più in generale, il Ministro della giustizia non ritenga di dover presentare una dettagliata relazione riferita agli arresti e alle denunce per coltivazione illegale di sostanze stupefacenti (hashish e marijuana) avvenuti in seguito alla entrata in vigore della legge n. 49 del 2006 e riportante: 1) i casi in cui la quantità di principio attivo contenuta nelle piante di cannabis sequestrate era superiore a 500 milligrammi ed inferiori ad 1 grammo; 2) i casi in cui la detenzione delle piante di cannabis derivava da attività di coltivazione finalizzata allo spaccio; 3) i casi in cui l'attività di coltivazione della sostanza stupefacente era destinata al consumo meramente personale del coltivatore; 4) se ed in che misura, dopo l'entrata in vigore della legge n. 49 del 2006, gli arresti e le denunce per coltivazione non autorizzata di sostanze stupefacente siano aumentati rispetto al passato;
se non reputi di intervenire, attraverso iniziative normative, affinché il consumo personale di marijuana - sebbene
ricavata da attività di coltivazione cosiddetta «domestica» - venga depenalizzato e punito solo in via amministrativa.
(4-04103)
secondo quanto riportato il 18 agosto 2009 dal portale di informazione, cronaca, cultura e attualità OmniaPressi.it, lunedì 17 agosto durante l'attività di controllo del territorio disposta dal Comando Provinciale di Messina, i finanzieri avrebbero scoperto in un terreno privato nella frazione di S. Marina 6 piante di marijuana;
nel corso dell'intervento sono stati arrestati in flagranza, e poi associati presso il carcere di Messina Gazzi, i due soggetti presenti sul fondo, D.L.S. e B.A., entrambi residenti a Milazzo, rispettivamente di 32 e 24 anni;
nel nostro ordinamento giuridico, nonostante la rilevanza penale del consumo personale di sostanze stupefacenti sia stato abrogato con il referendum del 1993, la condotta di coltivazione non autorizzata di piante da stupefacenti continua a costituire sempre e comunque un illecito penale (previsto dall'articolo 26 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309), con esclusione di qualsivoglia spazio per un intervento punitivo solo in via amministrativa ex articolo 75 decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, e ciò pur in presenza di coltivazioni di modestissima dimensione, rispetto alle quali inconcepibile sarebbe una destinazione al mercato del ricavato;
anche dopo l'incisivo intervento di riforma della disciplina sanzionatoria delle sostanze stupefacenti realizzato nel 2006 con il decreto-legge 30 dicembre 2005 n. 272, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2006 n. 49, il legislatore ha finito con l'aderire a quella opinione giurisprudenziale senz'altro prevalente, fatta propria anche dalla Corte costituzionale (Corte Costituzionale sentenza 24 luglio 1995, n. 360), secondo cui la condotta di coltivazione, in quanto potenzialmente in grado di aumentare il quantitativo di droga circolante, sarebbe intrinsecamente più grave rispetto a quella di mera detenzione, così da meritare un trattamento punitivo diverso e più severo; ne deriva che tale condotta continuerebbe ad essere vietata e sanzionata penalmente anche qualora la finalità dell'agente sia di destinare il prodotto della coltivazione a mero consumo personale;
il divieto generale ed assoluto di coltivare le piante comprese nella tabella I di cui all'articolo 14 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 (fra le quali è annoverata la cannabis indica) appare davvero eccessivo, perlomeno rispetto a quelle condotte di coltivazione rudimentale e domestica di poche piantine, destinate cioè a consentire il ricavo di modestissimi quantitativi di principio attivo, giacché in casi del genere il rischio di destinazione a terzi della sostanza stupefacente è pressoché nullo e parimenti nullo è il rischio per la salute individuale del coltivatore-assuntore;
l'interrogante ha recentemente depositato un progetto di legge per modificare innanzitutto gli articoli 26 e 28 del Testo unico sulle sostanze stupefacenti, così da cogliere la reale diversità di situazione che caratterizza la coltivazione in senso tecnico da attività solo naturalisticamente rientranti in tale nozione, rispetto alle quali è preferibile non operi il divieto di coltivazione in assenza di autorizzazione;
l'altra importante modifica della citata proposta di legge consiste nel richiamare espressamente la condotta di coltivazione sia nell'articolo 73 comma 1-bis che nell'articolo 75 del Testo unico citato, in modo da attribuire alla stessa, qualora emerga che il ricavato della coltivazione sia destinato ad un uso esclusivamente
personale, una rilevanza meramente amministrativa;
è opinione dell'interrogante che solo estendendo gli effetti del referendum abrogativo del 1993 anche a tutte quelle attività di coltivazione cosiddetta «domestica» delle piante da stupefacenti, è possibile evitare le irragionevoli conseguenze che discendono dall'applicazione della disciplina di rigore attualmente vigente che, da un lato, impone di sanzionare penalmente il modesto coltivatore di qualche piantina di canapa indiana mentre, dall'altro, punisce solo in via amministrativa le condotte di detenzione per uso personale di sostanza stupefacente anche in quantitativi di significativa consistenza;
appare agli interroganti oltremodo penalizzante e discriminatorio il Testo Unico sugli Stupefacenti nella parte in cui prevede la rilevanza sempre e comunque penale della condotta di coltivazione di cannabis, anche a fronte di detenzione di quantitativi minimi di principio attivo -:
se con riferimento alla vicenda esposta in premessa non ritenga di dover assumere ulteriori informazioni dirette ad accertare quale fosse la quantità di principio attivo ricavabile dalle sei piante di marijuana sequestrate dai finanzieri del comando provinciale di Messina;
se, più in generale, il Ministro della giustizia non ritenga di dover presentare una dettagliata relazione riferita agli arresti e alle denunce per coltivazione illegale di sostanze stupefacenti (hashish e marijuana) avvenuti in seguito alla entrata in vigore della legge n. 49 del 2006 e riportante: 1) i casi in cui la quantità di principio attivo contenuta nelle piante di cannabis sequestrate era superiore a 500 milligrammi ed inferiori ad 1 grammo; 2) i casi in cui la detenzione delle piante di cannabis derivava da attività di coltivazione finalizzata allo spaccio; 3) i casi in cui l'attività di coltivazione della sostanza stupefacente era destinata al consumo meramente personale del coltivatore; 4) se ed in che misura, dopo l'entrata in vigore della legge n. 49 del 2006, gli arresti e le denunce per coltivazione non autorizzata di sostanze stupefacenti siano aumentati rispetto al passato;
ed in ogni caso se non reputi di intervenire, attraverso iniziative normative, affinché il consumo personale di marijuana - sebbene ricavata da attività di coltivazione cosiddetta «domestica» - venga depenalizzato e punito solo in via amministrativa.
(4-04104)
secondo quanto riportato dall'agenzia AGI, il 17 agosto 2009 un uomo di 54 anni, residente a Lanzo Torinese, sarebbe stato arrestato dagli agenti forestali per avere organizzato una coltivazione di canapa indiana in un orto, su un terreno avuto in uso gratuito da una terza persona, risultata estranea alla vicenda;
l'area interessata dalla coltivazione sarebbe situata nelle adiacenze del torrente Uppia, e proprio durante un servizio di polizia fluviale di controllo dei prelievi idrici, gli agenti hanno notato una serra agricola parzialmente dotata di coperture, come teloni e rete antigrandine, per nascondere l'interno della struttura. Incuriositi da questo particolare, gli agenti hanno iniziato una serie di appostamenti e, una volta avvistato l'uomo che provvedeva alla coltivazione dell'orto e alla cura delle piante di canapa indiana, gli agenti della Forestale sono subito intervenuti scoprendo due piante di «Cannabis indica», poste sotto sequestro penale, di altezze variabili da 140 a 160 centimetri, sicché l'uomo è stato arrestato con l'accusa di coltivazione di piante contenenti sostanze stupefacenti;
nel nostro ordinamento giuridico, nonostante la rilevanza penale del consumo personale di sostanze stupefacenti sia stato abrogato con il referendum del 1993, la condotta di coltivazione non autorizzata di
piante da stupefacenti continua a costituire sempre e comunque un illecito penale (previsto dall'articolo 26 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309), con esclusione di qualsivoglia spazio per un intervento punitivo solo in via amministrativa ex articolo 75 del decreto del Presidente della Repubblica 309/90, e ciò pur in presenza di coltivazioni di modestissima dimensione, rispetto alle quali inconcepibile sarebbe una destinazione al mercato del ricavato;
anche dopo l'incisivo intervento di riforma della disciplina sanzionatoria delle sostanze stupefacenti realizzato nel 2006 con il decreto-legge 30 dicembre 2005 n. 272, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2006 n. 49, il legislatore ha finito con l'aderire a quella opinione giurisprudenziale senz'altro prevalente, fatta propria anche dalla Corte costituzionale (Corte Costituzionale sentenza 24 luglio 1995, n. 360), secondo cui la condotta di coltivazione, in quanto potenzialmente in grado di aumentare il quantitativo di droga circolante, sarebbe intrinsecamente più grave rispetto a quella di mera detenzione, così da meritare un trattamento punitivo diverso e più severo; ne deriva che tale condotta continuerebbe ad essere vietata e sanzionata penalmente anche qualora la finalità dell'agente sia di destinare il prodotto della coltivazione a mero consumo personale;
il divieto generale ed assoluto di coltivare le piante comprese nella tabella I di cui all'articolo 14 del decreto del Presidente della Repubblica 309/90 (fra le quali è annoverata la cannabis indica) appare davvero eccessivo, perlomeno rispetto a quelle condotte di coltivazione rudimentale e domestica di poche piantine, destinate cioè a consentire il ricavo di modestissimi quantitativi di principio attivo, giacché in casi del genere il rischio di destinazione a terzi della sostanza stupefacente è pressoché nullo e parimenti nullo è il rischio per la salute individuale del coltivatore-assuntore;
l'interrogante ha recentemente depositato un progetto di legge per modificare innanzitutto gli articoli 26 e 28 del Testo unico sulle sostanze stupefacenti, così da cogliere la reale diversità di situazione che caratterizza la coltivazione in senso tecnico da attività solo naturalisticamente rientranti in tale nozione, rispetto alle quali è preferibile non operi il divieto di coltivazione in assenza di autorizzazione;
l'altra importante modifica della citata proposta di legge consiste nel richiamare espressamente la condotta di coltivazione sia nell'articolo 73 comma 1-bis che nell'articolo 75 del Testo unico citato, in modo da attribuire alla stessa, qualora emerga che il ricavato della coltivazione sia destinato ad un uso esclusivamente personale, una rilevanza meramente amministrativa;
è opinione dell'interrogante che solo estendendo gli effetti del referendum abrogativo del 1993 anche a tutte quelle attività di coltivazione cosiddetta «domestica» delle piante da stupefacenti, è possibile evitare le irragionevoli conseguenze che discendono dall'applicazione della disciplina di rigore attualmente vigente che, da un lato, impone di sanzionare penalmente il modesto coltivatore di qualche piantina di canapa indiana mentre, dall'altro, punisce solo in via amministrativa le condotte di detenzione per uso personale di sostanza stupefacente anche in quantitativi di significativa consistenza;
appare agli interroganti oltremodo penalizzante e discriminatorio il Testo Unico sugli stupefacenti nella parte in cui prevede la rilevanza sempre e comunque penale della condotta di coltivazione di cannabis, anche a fronte di detenzione di quantitativi minimi di principio attivo -:
se con riferimento alla vicenda esposta in premessa non ritenga di dover assumere ulteriori informazioni dirette ad accertare quale fosse la quantità di principio
attivo ricavabile dalle due piante di marijuana sequestrate dagli agenti forestali;
se, più in generale, il Ministro della Giustizia non ritenga di dover presentare una dettagliata relazione riferita agli arresti e alle denunce per coltivazione illegale di sostanze stupefacenti (hashish e marijuana) avvenuti in seguito alla entrata in vigore della Legge n. 49/2006 e riportante: 1) i casi in cui la quantità di principio attivo contenuta nelle piante di cannabis sequestrate era superiore a 500 milligrammi ed inferiori ad 1 grammo; 2) i casi in cui la detenzione delle piante di cannabis derivava da attività di coltivazione finalizzata allo spaccio; 3) i casi in cui l'attività di coltivazione della sostanza stupefacente era destinata al consumo meramente personale del coltivatore; 4) se ed in che misura, dopo l'entrata in vigore della Legge 49/2006, gli arresti e le denunce per coltivazione non autorizzata di sostanze stupefacenti siano aumentati rispetto al passato;
se non reputi di intervenire, attraverso iniziative normative, affinché il consumo personale di marijuana - sebbene ricavata da attività di coltivazione cosiddetta «domestica» - venga depenalizzato e punito solo in via amministrativa.
(4-04105)
secondo quanto riportato il 7 settembre 2009 dal Giornale di Reggio on-line, domenica 6 settembre 2009 un 44enne di Montecchio Emilia, pensionato ed invalido, è stato denunciato in stato di libertà dai carabinieri del posto, in quanto coltivava sei piantine di marijuana sul greto del fiume Enza;
nel nostro ordinamento giuridico, nonostante la rilevanza penale del consumo personale di sostanze stupefacenti sia stato abrogato con il referendum del 1993, la condotta di coltivazione non autorizzata di piante da stupefacenti continua a costituire sempre e comunque un illecito penale (previsto dall'articolo 26 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309), con esclusione di qualsivoglia spazio per un intervento punitivo solo in via amministrativa ex articolo 75 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, e ciò pur in presenza di coltivazioni di modestissima dimensione, rispetto alle quali inconcepibile sarebbe una destinazione al mercato del ricavato;
anche dopo l'incisivo intervento di riforma della disciplina sanzionatoria delle sostanze stupefacenti realizzato nel 2006 con il decreto-legge 30 dicembre 2005 n. 272, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2006 n. 49, il legislatore ha finito con l'aderire a quella opinione giurisprudenziale senz'altro prevalente, fatta propria anche dalla Corte costituzionale (Corte Costituzionale sentenza 24 luglio 1995, n. 360), secondo cui la condotta di coltivazione, in quanto potenzialmente in grado di aumentare il quantitativo di droga circolante, sarebbe intrinsecamente più grave rispetto a quella di mera detenzione, così da meritare un trattamento punitivo diverso e più severo; ne deriva che tale condotta continuerebbe ad essere vietata e sanzionata penalmente anche qualora la finalità dell'agente sia di destinare il prodotto della coltivazione a mero consumo personale;
il divieto generale ed assoluto di coltivare le piante comprese nella tabella I di cui all'articolo 14 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 (fra le quali è annoverata la cannabis indica) appare davvero eccessivo, perlomeno rispetto a quelle condotte di coltivazione rudimentale e domestica di poche piantine, destinate cioè a consentire il ricavo di modestissimi quantitativi di principio attivo, giacché in casi del genere il rischio di destinazione a terzi della sostanza
stupefacente è pressoché nullo e parimenti nullo è il rischio per la salute individuale del coltivatore-assuntore;
l'interrogante ha recentemente depositato un progetto di legge per modificare innanzitutto gli articoli 26 e 28 del Testo unico sulle sostanze stupefacenti, così da cogliere la reale diversità di situazione che caratterizza la coltivazione in senso tecnico da attività solo naturalisticamente rientranti in tale nozione, rispetto alle quali è preferibile non operi il divieto di coltivazione in assenza di autorizzazione;
l'altra importante modifica della citata proposta di legge consiste nel richiamare espressamente la condotta di coltivazione sia nell'articolo 73 comma 1-bis che nell'articolo 75 del Testo unico citato, in modo da attribuire alla stessa, qualora emerga che il ricavato della coltivazione sia destinato ad un uso esclusivamente personale, una rilevanza meramente amministrativa;
è opinione dell'interrogante che solo estendendo gli effetti del referendum abrogativo del 1993 anche a tutte quelle attività di coltivazione cosiddetta «domestica» delle piante da stupefacenti, è possibile evitare le irragionevoli conseguenze che discendono dall'applicazione della disciplina di rigore attualmente vigente che, da un lato, impone di sanzionare penalmente il modesto coltivatore di qualche piantina di canapa indiana mentre, dall'altro, punisce solo in via amministrativa le condotte di detenzione per uso personale di sostanza stupefacente anche in quantitativi di significativa consistenza;
appare agli interroganti oltremodo penalizzante e discriminatorio il Testo Unico sugli Stupefacenti nella parte in cui prevede la rilevanza sempre e comunque penale della condotta di coltivazione di cannabis, anche a fronte di detenzione di quantitativi minimi di principio attivo -:
se con riferimento alla vicenda esposta in premessa non ritenga di dover assumere ulteriori informazioni dirette ad accertare quale fosse la quantità di principio attivo ricavabile dalle sei piante di cannabis indica sequestrate dai Carabinieri di Montecchio Emilia;
se, più in generale, il Ministro della giustizia non ritenga di dover presentare una dettagliata relazione riferita agli arresti e alle denunce per coltivazione illegale di sostanze stupefacenti (hashish e marijuana) avvenuti in seguito alla entrata in vigore della legge n. 49 del 2006 e riportante:
1) i casi in cui la quantità di principio attivo contenuta nelle piante di cannabis sequestrate era superiore a 500 milligrammi ed inferiori ad 1 grammo;
2) i casi in cui la detenzione delle piante di cannabis derivava da attività di coltivazione finalizzata allo spaccio;
3) i casi in cui l'attività di coltivazione della sostanza stupefacente era destinata al consumo meramente personale del coltivatore;
4) se ed in che misura, dopo l'entrata in vigore della legge n. 49 del 2006, gli arresti e le denunce per coltivazione non autorizzata di sostanze stupefacenti siano aumentati rispetto al passato;
se non reputi di intervenire, attraverso iniziative normative, affinché il consumo personale di marijuana - sebbene ricavata da attività di coltivazione cosiddetta «domestica» - venga depenalizzato e punito solo in via amministrativa.
(4-04106)
secondo quanto riportato il 7 settembre 2009 dal giornaledicomo.it, domenica 6 settembre 2009 due giovani di Olgiate Comasco, un 18enne ed un 20enne, sono stati arrestati in flagranza dai carabinieri del posto con l'accusa di coltivazione e produzione di sostanze stupefacenti;
nel caso di specie i due arrestati sono stati sorpresi a coltivare 16 piantine di cannabis indica all'interno di un bosco;
nel nostro ordinamento giuridico, nonostante la rilevanza penale del consumo personale di sostanze stupefacenti sia stato abrogato con il referendum del 1993, la condotta di coltivazione non autorizzata di piante da stupefacenti continua a costituire sempre e comunque un illecito penale (previsto dall'articolo 26 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309), con esclusione di qualsivoglia spazio per un intervento punitivo solo in via amministrativa ex articolo 75 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, e ciò pur in presenza di coltivazioni di modestissima dimensione, rispetto alle quali inconcepibile sarebbe una destinazione al mercato del ricavato;
anche dopo l'incisivo intervento di riforma della disciplina sanzionatoria delle sostanze stupefacenti realizzato nel 2006 con il decreto-legge 30 dicembre 2005 n. 272, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2006 n. 49, il legislatore ha finito con l'aderire a quella opinione giurisprudenziale senz'altro prevalente, fatta propria anche dalla Corte costituzionale (Corte Costituzionale sentenza 24 luglio 1995, n. 360), secondo cui la condotta di coltivazione, in quanto potenzialmente in grado di aumentare il quantitativo di droga circolante, sarebbe intrinsecamente più grave rispetto a quella di mera detenzione, così da meritare un trattamento punitivo diverso e più severo; ne deriva che tale condotta continuerebbe ad essere vietata e sanzionata penalmente anche qualora la finalità dell'agente sia di destinare il prodotto della coltivazione a mero consumo personale;
il divieto generale ed assoluto di coltivare le piante comprese nella tabella 1 di cui all'articolo 14 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 (fra le quali è annoverata la cannabis indica) appare davvero eccessivo, perlomeno rispetto a quelle condotte di coltivazione rudimentale e domestica di poche piantine, destinate cioè a consentire il ricavo di modestissimi quantitativi di principio attivo, giacché in casi del genere il rischio di destinazione a terzi della sostanza stupefacente è pressoché nullo e parimenti nullo è il rischio per la salute individuale del coltivatore-assuntore;
l'interrogante ha recentemente depositato un progetto di legge per modificare innanzitutto gli articoli 26 e 28 del Testo unico sulle sostanze stupefacenti, così da cogliere la reale diversità di situazione che caratterizza la coltivazione in senso tecnico da attività solo naturalisticamente rientranti in tale nozione, rispetto alle quali è preferibile non operi il divieto di coltivazione in assenza di autorizzazione;
l'altra importante modifica della citata proposta di legge consiste nel richiamare espressamente la condotta di coltivazione sia nell'articolo 73 comma 1-bis che nell'articolo 75 del Testo unico citato, in modo da attribuire alla stessa, qualora emerga che il ricavato della coltivazione sia destinato ad un uso esclusivamente personale, una rilevanza meramente amministrativa;
è opinione dell'interrogante che solo estendendo gli effetti del referendum abrogativo del 1993 anche a tutte quelle attività di coltivazione cosiddetta «domestica» delle piante da stupefacenti, è possibile evitare le irragionevoli conseguenze che discendono dall'applicazione della disciplina di rigore attualmente vigente che, da un lato, impone di sanzionare penalmente il modesto coltivatore di qualche piantina di canapa indiana mentre, dall'altro, punisce solo in via amministrativa le condotte di detenzione per uso personale di sostanza stupefacente anche in quantitativi di significativa consistenza;
appare agli interroganti penalizzante e discriminatorio il Testo Unico sugli Stupefacenti nella parte in cui prevede la rilevanza sempre e comunque penale della
condotta di coltivazione di cannabis, anche a fronte di detenzione di quantitativi minimi di principio attivo -:
se con riferimento alla vicenda esposta in premessa non ritenga di dover assumere ulteriori informazioni dirette ad accertare quale fosse la quantità di principio attivo ricavabile dalle sedici piante di cannabis indica sequestrate dai carabinieri di Olgiate Comasco;
se, più in generale, il Ministro della Giustizia non ritenga di dover presentare una dettagliata relazione riferita agli arresti e alle denunce per coltivazione illegale di sostanze stupefacenti (hashish e marijuana) avvenuti in seguito alla entrata in vigore della legge n. 49 del 2006 e riportante:
1) i casi in cui la quantità di principio attivo contenuta nelle piante di cannabis sequestrate era superiore a 500 milligrammi ed inferiori ad 1 grammo;
2) i casi in cui la detenzione delle piante di cannabis derivava da attività di coltivazione finalizzata allo spaccio;
3) i casi in cui l'attività di coltivazione della sostanza stupefacente era destinata al consumo meramente personale del coltivatore;
4) se ed in che misura, dopo l'entrata in vigore della legge n. 49 del 2006, gli arresti e le denunce per coltivazione non autorizzata di sostanze stupefacenti siano aumentati rispetto al passato;
se non reputi di intervenire, attraverso iniziative normative, affinché il consumo personale di marijuana - sebbene ricavata da attività di coltivazione cosiddetta «domestica» - venga depenalizzato e punito solo in via amministrativa.
(4-04107)
il sito internet Il Paese Nuovo.it, il 21 agosto 2009, pubblicava la notizia dell'arresto, a Galatina, in provincia di Lecce, di «due giovani coltivatori di marijuana» e della denuncia di un terzo ragazzo minorenne; dei due ragazzi di 18 e 19 anni la citata testata online riportava nomi e cognomi, mentre ometteva le generalità del minorenne; la polizia ha rinvenuto a casa di uno dei giovani «2 piante di marijuana, 0,9 grammi della stessa sostanza - contenuta in un involucro di plastica - due bilancini di precisione ed altro materiale occorrente per il confezionamento della droga destinata alla vendita». «Al termine degli atti di rito, M. e P. sono stati associati alla Casa Circondariale di Lecce, mentre il minore, atteso anche la marginalità della sua partecipazione ai fatti, è stato denunciato a piede libero»;
secondo quanto riportato il 22 agosto 2009 dall'agenzia di stampa adn-kronos i Carabinieri della stazione di Montecompatri hanno fermato un 50enne del luogo in possesso di tre piante di marijuana nel giardino della sua abitazione. L'uomo è stato accompagnato in caserma e trattenuto in attesa del processo per direttissima;
sempre il 22 agosto, La Nazione nell'edizione di Grosseto, riportava la notizia della denuncia nei confronti di un'insegnante di danza, originaria di Milano, per produzione illecita di stupefacenti. A Castel del Piano, in provincia di Grosseto, infatti, i carabinieri e il nucleo operativo della compagnia di Arcidosso hanno trovato, nel giardino di casa della donna, nascoste tra le piantine di pomodori, tre piante di Marijuana alte quasi 2 metri, già pronte per essere estirpate e da essiccare per il successivo consumo. Durante la perquisizione della casa - si legge ancora nella notizia - i militari hanno trovato anche circa 30 grammi di hashish occultati tra gli effetti personali della donna. La donna, una 40enne incensurata, ha dichiarato di assumere abitualmente stupefacenti, assumendosi la proprietà delle piante ritrovate nell'orto;
nel nostro ordinamento giuridico, nonostante la rilevanza penale del consumo personale di sostanze stupefacenti sia stato abrogato con il referendum del 1993, la condotta di coltivazione non autorizzata di piante da stupefacenti continua a costituire sempre e comunque un illecito penale (previsto dall'articolo 26 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309), con esclusione di qualsivoglia spazio per un intervento punitivo solo in via amministrativa ex articolo 75 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, e ciò pur in presenza di coltivazioni di modestissima dimensione, rispetto alle quali inconcepibile sarebbe una destinazione al mercato del ricavato;
anche dopo l'incisivo intervento di riforma della disciplina sanzionatoria delle sostanze stupefacenti realizzato nel 2006 con il decreto-legge 30 dicembre 2005 n. 272, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2006 n. 49, il legislatore ha finito con l'aderire a quella opinione giurisprudenziale senz'altro prevalente, fatta propria anche dalla Corte costituzionale (Corte Costituzionale sentenza 24 luglio 1995, n. 360), secondo cui la condotta di coltivazione, in quanto potenzialmente in grado di aumentare il quantitativo di droga circolante, sarebbe intrinsecamente più grave rispetto a quella di mera detenzione, così da meritare un trattamento punitivo diverso e più severo; ne deriva che tale condotta continuerebbe ad essere vietata e sanzionata penalmente anche qualora la finalità dell'agente sia di destinare il prodotto della coltivazione a mero consumo personale;
il divieto generale ed assoluto di coltivare le piante comprese nella tabella I di cui all'articolo 14 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 (fra le quali è annoverata la cannabis indica) appare davvero eccessivo, perlomeno rispetto a quelle condotte di coltivazione rudimentale e domestica di poche piantine, destinate cioè a consentire il ricavo di modestissimi quantitativi di principio attivo, giacché in casi del genere il rischio di destinazione a terzi della sostanza stupefacente è pressoché nullo e parimenti nullo è il rischio per la salute individuale del coltivatore-assuntore;
l'interrogante ha recentemente depositato un progetto di legge per modificare innanzitutto gli articoli 26 e 28 del Testo unico sulle sostanze stupefacenti, così da cogliere la reale diversità di situazione che caratterizza la coltivazione in senso tecnico da attività solo naturalisticamente rientranti in tale nozione, rispetto alle quali è preferibile non operi il divieto di coltivazione in assenza di autorizzazione;
l'altra importante modifica della citata proposta di legge consiste nel richiamare espressamente la condotta di coltivazione sia nell'articolo 73 comma 1-bis che nell'articolo 75 del Testo unico citato, in modo da attribuire alla stessa, qualora emerga che il ricavato della coltivazione sia destinato ad un uso esclusivamente personale, una rilevanza meramente amministrativa;
è opinione dell'interrogante che solo estendendo gli effetti del referendum abrogativo del 1993 anche a tutte quelle attività di coltivazione cosiddetta «domestica» delle piante da stupefacenti, è possibile evitare le irragionevoli conseguenze che discendono dall'applicazione della disciplina di rigore attualmente vigente che, da un lato, impone di sanzionare penalmente il modesto coltivatore di qualche piantina di canapa indiana mentre, dall'altro, punisce solo in via amministrativa le condotte di detenzione per uso personale di sostanza stupefacente anche in quantitativi di significativa consistenza;
appare agli interroganti penalizzante e discriminatorio il Testo Unico sugli Stupefacenti nella parte in cui prevede la rilevanza sempre e comunque penale della condotta di coltivazione di cannabis, anche a fronte di detenzione di quantitativi minimi di principio attivo -:
se con riferimento alle vicende esposte in premessa non ritenga di dover
assumere ulteriori informazioni dirette ad accertare quale fosse la quantità di principio attivo ricavabile dalle due piante di marijuana sequestrate dai carabinieri di Galatina, quella ricavabile dalle tre piante sequestrate dai carabinieri di Montecompatri, nonché, quella estraibile dalle tre piante sequestrate dai carabinieri di Grosseto;
se, più in generale, il Ministro della Giustizia non ritenga di dover presentare una dettagliata relazione riferita agli arresti e alle denunce per coltivazione illegale di sostanze stupefacenti (hashish e marijuana) avvenuti in seguito alla entrata in vigore della legge n. 49 del 2006 e riportante:
1) i casi in cui la quantità di principio attivo contenuta nelle piante di cannabis sequestrate era superiore a 500 milligrammi ed inferiori ad 1 grammo;
2) i casi in cui la detenzione delle piante di cannabis derivava da attività di coltivazione finalizzata allo spaccio;
3) i casi in cui l'attività di coltivazione della sostanza stupefacente era destinata al consumo meramente personale del coltivatore;
4) se ed in che misura, dopo l'entrata in vigore della legge n. 49 del 2006, gli arresti e le denunce per coltivazione non autorizzata di sostanze stupefacenti siano aumentati rispetto al passato;
se non reputi di intervenire, attraverso iniziative normative, affinché il consumo personale di marijuana - sebbene ricavata da attività di coltivazione cosiddetta «domestica» - venga depenalizzato e punito solo in via amministrativa.
(4-04108)
secondo quanto riportato il 19 agosto 2009 dal portale di informazione RadioNews.it, martedì 18 agosto un 32enne di Cuasso al Monte è stato arrestato dai carabinieri del Nucleo Operativo e Radiomobile di Varese, in collaborazione con la stazione di Porto Ceresio, in quanto il predetto deteneva sul balcone di casa sua due grandi piante di altezza pari a 180 cm;
per l'uomo si sono aperte le porte del carcere dei Miogni, dove si trova attualmente recluso per rispondere dell'accusa di coltivazione illecita di sostanza stupefacente;
nel nostro ordinamento giuridico, nonostante la rilevanza penale del consumo personale di sostanze stupefacenti sia stato abrogato con il referendum del 1993, la condotta di coltivazione non autorizzata di piante da stupefacenti continua a costituire sempre e comunque un illecito penale (previsto dall'articolo 26 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309), con esclusione di qualsivoglia spazio per un intervento punitivo solo in via amministrativa ex articolo 75 decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, e ciò pur in presenza di coltivazioni di modestissima dimensione, rispetto alle quali inconcepibile sarebbe una destinazione al mercato del ricavato;
anche dopo l'incisivo intervento di riforma della disciplina sanzionatoria delle sostanze stupefacenti realizzato nel 2006 con il decreto-legge 30 dicembre 2005 n. 272, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2006 n. 49, il legislatore ha finito con l'aderire a quella opinione giurisprudenziale senz'altro prevalente, fatta propria anche dalla Corte costituzionale (Corte Costituzionale sentenza 24 luglio 1995, n. 360), secondo cui la condotta di coltivazione, in quanto potenzialmente in grado di aumentare il quantitativo di droga circolante, sarebbe intrinsecamente più grave rispetto a quella di mera detenzione, così da meritare un trattamento
punitivo diverso e più severo; ne deriva che tale condotta continuerebbe ad essere vietata e sanzionata penalmente anche qualora la finalità dell'agente sia di destinare il prodotto della coltivazione a mero consumo personale;
il divieto generale ed assoluto di coltivare le piante comprese nella tabella I di cui all'articolo 14 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 (fra le quali è annoverata la cannabis indica) appare davvero eccessivo, perlomeno rispetto a quelle condotte di coltivazione rudimentale e domestica di poche piantine, destinate cioè a consentire il ricavo di modestissimi quantitativi di principio attivo, giacché in casi del genere il rischio di destinazione a terzi della sostanza stupefacente è pressoché nullo e parimenti nullo è il rischio per la salute individuale del coltivatore-assuntore;
l'interrogante ha recentemente depositato un progetto di legge per modificare innanzitutto gli articoli 26 e 28 del Testo unico sulle sostanze stupefacenti, così da cogliere la reale diversità di situazione che caratterizza la coltivazione in senso tecnico da attività solo naturalisticamente rientranti in tale nozione, rispetto alle quali è preferibile non operi il divieto di coltivazione in assenza di autorizzazione;
l'altra importante modifica della citata proposta di legge consiste nel richiamare espressamente la condotta di coltivazione sia nell'articolo 73 comma 1-bis che nell'articolo 75 del Testo unico citato, in modo da attribuire alla stessa, qualora emerga che il ricavato della coltivazione sia destinato ad un uso esclusivamente personale, una rilevanza meramente amministrativa;
è opinione dell'interrogante che solo estendendo gli effetti del referendum abrogativo del 1993 anche a tutte quelle attività di coltivazione cosiddetta «domestica» delle piante da stupefacenti, è possibile evitare le irragionevoli conseguenze che discendono dall'applicazione della disciplina di rigore attualmente vigente che, da un lato, impone di sanzionare penalmente il modesto coltivatore di qualche piantina di canapa indiana mentre, dall'altro, punisce solo in via amministrativa le condotte di detenzione per uso personale di sostanza stupefacente anche in quantitativi di significativa consistenza;
appare agli interroganti oltremodo penalizzante e discriminatorio il Testo Unico sugli Stupefacenti nella parte in cui prevede la rilevanza sempre e comunque penale della condotta di coltivazione di cannabis, anche a fronte di detenzione di quantitativi minimi di principio attivo -:
se con riferimento alla vicenda esposta in premessa non ritenga di dover assumere ulteriori informazioni dirette ad accertare quale fosse la quantità di principio attivo ricavabile dalle due piante di cannabis indica sequestrate dai Carabinieri del Nucleo Operativo e Radiomobile di Varese;
se, più in generale, il Ministro della Giustizia non ritenga di dover presentare una dettagliata relazione riferita agli arresti e alle denunce per coltivazione illegale di sostanze stupefacenti (hashish e marijuana) avvenuti in seguito alla entrata in vigore della legge n. 49 del 2006 e riportante:
1) i casi in cui la quantità di principio attivo contenuta nelle piante di cannabis sequestrate era superiore a 500 milligrammi ed inferiori ad 1 grammo;
2) i casi in cui la detenzione delle piante di cannabis derivava da attività di coltivazione finalizzata allo spaccio;
3) i casi in cui l'attività di coltivazione della sostanza stupefacente era destinata al consumo meramente personale del coltivatore;
4) se ed in che misura, dopo l'entrata in vigore della legge n. 49 del 2006, gli arresti e le denunce per coltivazione non autorizzata di sostanze stupefacenti siano aumentati rispetto al passato;
se non reputi di intervenire, attraverso iniziative normative, affinché il consumo personale di marijuana - sebbene
ricavata da attività di coltivazione cosiddetta «domestica» - venga depenalizzato e punito solo in via amministrativa.
(4-04109)
secondo quanto riportato dal sito online PagineAbruzzo.it, il 17 agosto 2009 i militari della Stazione Carabinieri di Atri hanno tratto in arresto il signor Lubrano Lavadera Danilo di anni 29, ragazzo residente in provincia di Napoli, ma da qualche tempo domiciliato nella cittadina abruzzese, con l'accusa di detenzione al fine di spaccio di stupefacenti;
nel caso di specie, i Carabinieri hanno fatto irruzione nell'appartamento del signor Lubrano rinvenendo al suo interno due piante di marijuana alte circa mezzo metro, interrate in altrettanti vasi, poi sottoposti a sequestro. Il giovane, dopo le formalità di rito, è stato immediatamente associato alla Casa Circondariale di Teramo;
nel nostro ordinamento giuridico, nonostante la rilevanza penale del consumo personale di sostanze stupefacenti sia stato abrogato con il referendum del 1993, la condotta di coltivazione non autorizzata di piante da stupefacenti continua a costituire sempre e comunque un illecito penale (previsto dall'articolo 26 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309), con esclusione di qualsivoglia spazio per un intervento punitivo solo in via amministrativa ex articolo 75 decreto del Presidente della Repubblica 309/90, e ciò pur in presenza di coltivazioni di modestissima dimensione, rispetto alle quali inconcepibile sarebbe una destinazione al mercato del ricavato;
anche dopo l'incisivo intervento di riforma della disciplina sanzionatoria delle sostanze stupefacenti realizzato nel 2006 con il decreto-legge 30 dicembre 2005 n. 272, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2006 n. 49, il legislatore ha finito con l'aderire a quella opinione giurisprudenziale senz'altro prevalente, fatta propria anche dalla Corte costituzionale (Corte Costituzionale sentenza 24 luglio 1995, n. 360), secondo cui la condotta di coltivazione, in quanto potenzialmente in grado di aumentare il quantitativo di droga circolante, sarebbe intrinsecamente più grave rispetto a quella di mera detenzione, così da meritare un trattamento punitivo diverso e più severo; ne deriva che tale condotta continuerebbe ad essere vietata e sanzionata penalmente anche qualora la finalità dell'agente sia di destinare il prodotto della coltivazione a mero consumo personale;
il divieto generale ed assoluto di coltivare le piante comprese nella tabella I di cui all'articolo 14 del decreto del Presidente della Repubblica 309/90 (fra le quali è annoverata la cannabis indica) appare davvero eccessivo, perlomeno rispetto a quelle condotte di coltivazione rudimentale e domestica di poche piantine, destinate cioè a consentire il ricavo di modestissimi quantitativi di principio attivo, giacché in casi del genere il rischio di destinazione a terzi della sostanza stupefacente è pressoché nullo e parimenti nullo è il rischio per la salute individuale del coltivatore-assuntore;
l'interrogante ha recentemente depositato un progetto di legge per modificare innanzitutto gli articoli 26 e 28 del Testo unico sulle sostanze stupefacenti, così da cogliere la reale diversità di situazione che caratterizza la coltivazione in senso tecnico da attività solo naturalisticamente rientranti in tale nozione, rispetto alle quali è preferibile non operi il divieto di coltivazione in assenza di autorizzazione;
l'altra importante modifica della citata proposta di legge consiste nel richiamare espressamente la condotta di coltivazione
sia nell'articolo 73 comma 1-bis che nell'articolo 75 del Testo unico citato, in modo da attribuire alla stessa, qualora emerga che il ricavato della coltivazione sia destinato ad un uso esclusivamente personale, una rilevanza meramente amministrativa;
è opinione dell'interrogante che solo estendendo gli effetti del referendum abrogativo del 1993 anche a tutte quelle attività di coltivazione cosiddetto «domestica» delle piante da stupefacenti, è possibile evitare le irragionevoli conseguenze che discendono dall'applicazione della disciplina di rigore attualmente vigente che, da un lato, impone di sanzionare penalmente il modesto coltivatore di qualche piantina di canapa indiana mentre, dall'altro, punisce solo in via amministrativa le condotte di detenzione per uso personale di sostanza stupefacente anche in quantitativi di significativa consistenza;
appare agli interroganti oltremodo penalizzante e discriminatorio il Testo Unico sugli Stupefacenti nella parte in cui prevede la rilevanza sempre e comunque penale della condotta di coltivazione di cannabis, anche a fronte di detenzione di quantitativi minimi di principio attivo -:
se con riferimento alla vicenda esposta in premessa non ritenga di dover assumere ulteriori informazioni dirette ad accertare quale fosse la quantità di principio attivo ricavabile dalle due piantine di marijuana sequestrate dai carabinieri di Atri al signor Lubrano Lavadera Danilo;
se, più in generale, il Ministro della Giustizia non ritenga di dover presentare una dettagliata relazione riferita agli arresti e alle denunce per coltivazione illegale di sostanze stupefacenti (hashish e marijuana) avvenuti in seguito alla entrata in vigore della Legge n. 49/2006 e riportante: 1) i casi in cui la quantità di principio attivo contenuta nelle piante di cannabis sequestrate era superiore a 500 milligrammi ed inferiori ad 1 grammo; 2) i casi in cui la detenzione delle piante di cannabis derivava da attività di coltivazione finalizzata allo spaccio; 3) i casi in cui l'attività di coltivazione della sostanza stupefacente era destinata al consumo meramente personale del coltivatore; 4) se ed in che misura, dopo l'entrata in vigore della Legge 49/2006, gli arresti e le denunce per coltivazione non autorizzata di sostanze stupefacente siano aumentati rispetto al passato;
se non reputi di intervenire, attraverso iniziative normative, affinché il consumo personale di marijuana - sebbene ricavata da attività di coltivazione cosiddetta «domestica» - venga depenalizzato e punito solo in via amministrativa.
(4-04110)
secondo quanto riportato il 9 settembre 2009, dal portale di informazione online Millemedia, martedì 8 settembre gli uomini della Compagnia di Tricarico, nell'effettuare un vasto servizio di controllo del territorio, mirato, soprattutto, alla prevenzione e repressione di ogni reato connesso con lo spaccio e la produzione di droga, hanno denunciato un 35enne del posto perché trovato in possesso di otto piante di marijuana alte circa una trentina di centimetri ciascuna;
nel nostro ordinamento giuridico, nonostante la rilevanza penale del consumo personale di sostanze stupefacenti sia stato abrogato con il referendum del 1993, la condotta di coltivazione non autorizzata di piante da stupefacenti continua a costituire sempre e comunque un illecito penale (previsto dall'articolo 26 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309), con esclusione di qualsivoglia spazio per un intervento punitivo solo in via amministrativa ex articolo 75 decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, e
ciò pur in presenza di coltivazioni di modestissima dimensione, rispetto alle quali inconcepibile sarebbe una destinazione al mercato del ricavato;
anche dopo l'incisivo intervento di riforma della disciplina sanzionatoria delle sostanze stupefacenti realizzato nel 2006 con il disegno di legge 30 dicembre 2005 n. 272, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2006 n. 49, il legislatore ha finito con l'aderire a quella opinione giurisprudenziale senz'altro prevalente, fatta propria anche dalla Corte costituzionale (Corte Costituzionale sentenza 24 luglio 1995, n. 360), secondo cui la condotta di coltivazione, in quanto potenzialmente in grado di aumentare il quantitativo di droga circolante, sarebbe intrinsecamente più grave rispetto a quella di mera detenzione, così da meritare un trattamento punitivo diverso e più severo; ne deriva che tale condotta continuerebbe ad essere vietata e sanzionata penalmente anche qualora la finalità dell'agente sia di destinare il prodotto della coltivazione a mero consumo personale;
il divieto generale ed assoluto di coltivare le piante comprese nella tabella I di cui all'articolo 14 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 (fra le quali è annoverata la cannabis indica) appare davvero eccessivo, perlomeno rispetto a quelle condotte di coltivazione rudimentale e domestica di poche piantine, destinate cioè a consentire il ricavo di modestissimi quantitativi di principio attivo, giacché in casi del genere il rischio di destinazione a terzi della sostanza stupefacente è pressoché nullo e parimenti nullo è il rischio per la salute individuale del coltivatore-assuntore;
l'interrogante ha recentemente depositato un progetto di legge per modificare innanzitutto gli articoli 26 e 28 del Testo unico sulle sostanze stupefacenti, così da cogliere la reale diversità di situazione che caratterizza la coltivazione in senso tecnico da attività solo naturalisticamente rientranti in tale nozione, rispetto alle quali è preferibile non operi il divieto di coltivazione in assenza di autorizzazione;
l'altra importante modifica della citata proposta di legge consiste nel richiamare espressamente la condotta di coltivazione sia nell'articolo 73 comma 1-bis che nell'articolo 75 del Testo unico citato, in modo da attribuire alla stessa, qualora emerga che il ricavato della coltivazione sia destinato ad un uso esclusivamente personale, una rilevanza meramente amministrativa;
è opinione dell'interrogante che solo estendendo gli effetti del referendum abrogativo del 1993 anche a tutte quelle attività di coltivazione cosiddetta «domestica» delle piante da stupefacenti, è possibile evitare le irragionevoli conseguenze che discendono dall'applicazione della disciplina di rigore attualmente vigente che, da un lato, impone di sanzionare penalmente il modesto coltivatore di qualche piantina di canapa indiana mentre, dall'altro, punisce solo in via amministrativa le condotte di detenzione per uso personale di sostanza stupefacente anche in quantitativi di significativa consistenza;
appare agli interroganti oltremodo penalizzante e discriminatorio il Testo Unico sugli Stupefacenti nella parte in cui prevede la rilevanza sempre e comunque penale della condotta di coltivazione di cannabis, anche a fronte di detenzione di quantitativi minimi di principio attivo -:
se con riferimento alla vicenda esposta in premessa non ritenga di dover assumere ulteriori informazioni dirette ad accertare quale fosse la quantità di principio attivo ricavabile dalle otto piantine di marijuana sequestrate dai carabinieri di Tricarico;
se, più in generale, il Ministro della Giustizia non ritenga di dover presentare una dettagliata relazione riferita agli arresti e alle denunce per coltivazione illegale di sostanze stupefacenti (hashish e marijuana) avvenuti in seguito alla entrata in vigore della legge n. 49 del 2006 e riportante: 1) i casi in cui la quantità di principio attivo contenuta nelle piante di cannabis sequestrate era superiore a 500 milligrammi ed inferiori ad 1 grammo; 2)
i casi in cui la detenzione delle piante di cannabis derivava da attività di coltivazione finalizzata allo spaccio; 3) i casi in cui l'attività di coltivazione della sostanza stupefacente era destinata al consumo meramente personale del coltivatore; 4) se ed in che misura, dopo l'entrata in vigore della legge n. 49 del 2006, gli arresti e le denunce per coltivazione non autorizzata di sostanze stupefacenti siano aumentati rispetto al passato;
se non reputi di intervenire, attraverso iniziative normative, affinché il consumo personale di marijuana - sebbene ricavata da attività di coltivazione cosiddetta «domestica» - venga depenalizzato e punito solo in via amministrativa.
(4-04111)
secondo quanto riportato il giorno 11 agosto 2009 dal sito on-line Maremma News, la mattina di sabato 8 agosto, nell'ambito dei servizi di prevenzione repressione del traffico di sostanze stupefacenti disposti dal Comando Compagnia Carabinieri di Pitigliano, i militari della Stazione di Scansano hanno ai restato B.L. 50enne di Pancone, il quale, in una porzione di boscaglia attigua alla propria abitazione, ove aveva coltivato alcune piante di marijuana;
nel caso di specie l'uomo è stato accompagnato in caserma a Scansano dove è stato dichiarato in arresto per coltivazione di sostanze stupefacenti in violazione all'articolo 73 decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, venendo, successivamente associato al carcere di Grosseto. Lo stesso è comparso successivamente davanti al G.I.P. del Tribunale di Grosseto il quale, dopo averlo ascoltato, ha convalidato l'arresto e disposto nei suoi confronti la misura cautelare dell'obbligo di dimora;
il giorno prima, venerdì 7 agosto, i carabinieri della Stazione di Andora, nell'ambito di un servizio coordinato disposto dal comando Legione Carabinieri Liguria, finalizzato tra le altre cose al contrasto dello spaccio e consumo di sostanze stupefacenti, hanno denunciato in stato di libertà alla Procura della Repubblica di Savona due giovani, Samuele C. e Mauro C., responsabili di coltivazione e detenzione di sostanze stupefacenti;
nel nostro ordinamento giuridico, nonostante la rilevanza penale del consumo personale di sostanze stupefacenti sia stato abrogato con il referendum del 1993, la condotta di coltivazione non autorizzata di piante da stupefacenti continua a costituire sempre e comunque un illecito penale (previsto dall'articolo 26 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309), con esclusione di qualsivoglia spazio per un intervento punitivo solo in via amministrativa ex articolo 75 decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, e ciò pur in presenza di coltivazioni di modestissima dimensione, rispetto alle quali inconcepibile sarebbe una destinazione al mercato del ricavato;
anche dopo l'incisivo intervento di riforma della disciplina sanzionatoria delle sostanze stupefacenti realizzato nel 2006 con il decreto-legge 30 dicembre 2005 n. 272, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2006 n. 49, il legislatore ha finito con l'aderire a quella opinione giurisprudenziale senz'altro prevalente, fatta propria anche dalla Corte costituzionale (Corte Costituzionale sentenza 24 luglio 1995, n. 360), secondo cui la condotta di coltivazione, in quanto potenzialmente in grado di aumentare il quantitativo di droga circolante, sarebbe intrinsecamente più grave rispetto a quella di mera detenzione, così da meritare un trattamento punitivo diverso e più severo; ne deriva che tale condotta continuerebbe ad essere vietata e sanzionata penalmente anche qualora la finalità dell'agente sia di destinare
il prodotto della coltivazione a mero consumo personale;
il divieto generale ed assoluto di coltivare le piante comprese nella tabella I di cui all'articolo 14 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 (fra le quali è annoverata la cannabis indica) appare davvero eccessivo, perlomeno rispetto a quelle condotte di coltivazione rudimentale e domestica di poche piantine, destinate cioè a consentire il ricavo di modestissimi quantitativi di principio attivo, giacché in casi del genere il rischio di destinazione a terzi della sostanza stupefacente è pressoché nullo e parimenti nullo è il rischio per la salute individuale del coltivatore-assuntore;
l'interrogante ha recentemente depositato un progetto di legge per modificare innanzitutto gli articoli 26 e 28 del Testo unico sulle sostanze stupefacenti, così da cogliere la reale diversità di situazione che caratterizza la coltivazione in senso tecnico da attività solo naturalisticamente rientranti in tale nozione, rispetto alle quali è preferibile non operi il divieto di coltivazione in assenza di autorizzazione;
l'altra importante modifica della citata proposta di legge consiste nel richiamare espressamente la condotta di coltivazione sia nell'articolo 73 comma 1-bis che nell'articolo 75 del Testo unico citato, in modo da attribuire alla stessa, qualora emerga che il ricavato della coltivazione sia destinato ad un uso esclusivamente personale, una rilevanza meramente amministrativa;
è opinione dell'interrogante che solo estendendo gli effetti del referendum abrogativo del 1993 anche a tutte quelle attività di coltivazione cosiddetta «domestica» delle piante da stupefacenti, è possibile evitare le irragionevoli conseguenze che discendono dall'applicazione della disciplina di rigore attualmente vigente che, da un lato, impone di sanzionare penalmente il modesto coltivatore di qualche piantina di canapa indiana mentre, dall'altro, punisce solo in via amministrativa le condotte di detenzione per uso personale di sostanza stupefacente anche in quantitativi di significativa consistenza;
appare agli interroganti penalizzante e discriminatorio il Testo Unico sugli Stupefacenti nella parte in cui prevede la rilevanza sempre e comunque penale della condotta di coltivazione di cannabis, anche a fronte di detenzione di quantitativi minimi di principio attivo -:
se con riferimento alle vicende esposte in premessa non ritenga di dover assumere ulteriori informazioni dirette ad accertare; quale fosse la quantità di principio attivo ricavabile dalle piante di marijuana sequestrate dai carabinieri di Scansano e di Andora;
se, più in generale, il Ministro della giustizia non ritenga di dover presentare una dettagliata relazione riferita agli arresti e alle denunce per coltivazione illegale di sostanze stupefacenti (hashish e marijuana) avvenuti in seguito alla entrata in vigore della legge n. 49 del 2006 e riportante: 1) i casi in cui la quantità di principio attivo contenuta nelle piante di cannabis sequestrate era superiore a 500 milligrammi ed inferiori ad 1 grammo; 2) i casi in cui la detenzione delle piante di cannabis derivava da attività di coltivazione finalizzata allo spaccio; 3) i casi in cui l'attività di coltivazione della sostanza stupefacente era destinata al consumo meramente personale del coltivatore; 4) se ed in che misura, dopo l'entrata in vigore della legge n. 49 del 2006, gli arresti e le denunce per coltivazione non autorizzata di sostanze stupefacenti siano aumentati rispetto al passato;
se non reputi di intervenire, attraverso iniziative normative, affinché il consumo personale di marijuana - sebbene ricavata da attività di coltivazione cosiddetta «domestica» - venga depenalizzato e punito solo in via amministrativa.
(4-04112)
il 24 agosto 2009 l'agenzia Omniroma.it pubblicava una notizia dal titolo «Ariccia, marijuana "fai da te": in manette un netturbino». Nel corpo del breve articolo si leggeva che i carabinieri della stazione di Ariccia avevano arrestato un operatore ecologico di Ariccia di 38 anni per traffico illecito di sostanze stupefacenti. «L'uomo - si leggeva nella nota - coltivava nel vasto giardino della sua abitazione due grandi piante di marijuana, già in avanzato stato di infiorescenza, le cui foglie, una volta estirpate, pesavano in totale 4 kg. L'uomo si è giustificato asserendo che le coltivava per uso personale, ma questa non è una circostanza che rileva ai fini penali: anche la semplice coltivazione è perseguita penalmente»;
il 28 agosto 2009 un lancio dell'agenzia di stampa AGI informava che l'ex segretario provinciale della Cisl di Catania, Salvatore Leotta, era stato arrestato dai carabinieri di Acireale dopo il ritrovamento di nove piante di marijuana nella sua abitazione; Leotta è stato accusato di coltivazione di stupefacenti. «Il sindacalista - si leggeva nella nota - era stato candidato del Pd alla presidenza della provincia di Catania alle ultime amministrative ed era stato sconfitto da Giuseppe Castiglione del Pdl, che lo aveva poi nominato responsabile della task force provinciale per l'occupazione, incarico tuttora ricoperto da Leotta»;
sempre il 28 agosto 2009 l'agenzia Omniroma.it pubblicava una notizia dal titolo «Aprilia, nel giardino casa coltivava marijuana: arrestato». Nel corpo del breve articolo si leggeva quanto segue: «Produceva nel giardino di casa la droga che poi piazzava sul mercato, ben 28 chili di marijuana: è accaduto ad Aprilia, dove i carabinieri della locale compagnia dopo una perquisizione domiciliare, hanno tratto in arresto un camionista di 35 anni, G.B., per coltivazione e detenzione illecita di droga. Sotto sequestro tre piante di marijuana alte oltre due metri e del peso di 28 chili. In casa, il 35enne aveva anche 20 semi di canapa indiana. Nel corso della direttissima in tribunale questa mattina il giudice ha convalidato l'arresto e concesso i domiciliari»;
ancora il 28 agosto 2009 l'agenzia ANSA riportava la notizia dal titolo «Due giovani in manette, coltivavano marijuana». Nel lancio di agenzia si leggeva quanto segue: «Avevano realizzato una piccola piantagione di marijuana, ma sono stati scoperti e arrestati. È accaduto a Monreale (Palermo), dove i carabinieri hanno arrestato Antonino Massi, 19 anni e un diciassettenne. Un altro minorenne è stato denunciato a piede libero. I loro movimenti venivano controllati da qualche giorno e ieri sera i militari li hanno bloccati in via Esterna San Nicola, dove si erano recati per accudire alla piantagione, in un terreno nella disponibilità di Massi. Qui, tra viti e fichi d'india sono state trovate 18 piante di cannabis indica, con prodotti e attrezzi necessari alla coltivazione»;
il 29 agosto 2009 l'agenzia Adn-kronos riportava la notizia dal titolo «Torino: coltiva cannabis nel terreno del padre, "così non finanzio la malavita" arrestato dai carabinieri giovane operaio». Nella nota di agenzia si leggeva quanto segue: «"Me la coltivo da solo perché così non devo andare a comprarla altrove e non finanzio la malavita". Questa la giustificazione data da un giovane operaio di 24 anni di Pinerolo (Torino) ai carabinieri che lo hanno arrestato dopo averlo sorpreso a coltivare sul terreno del padre 29 piante, alte quasi 2 metri, di "cannabis indica". I militari della stazione Luserna San Giovanni e del nucleo operativo sono intervenuti dopo alcune segnalazioni della presenza di strane piante in un piccolo campo di una casa in una frazione di Rorà. Al loro arrivo i carabinieri hanno in effetti trovato il giovane che stava curando le sue piante "stupefacenti" sul terreno di proprietà del padre all'oscuro di tutto. Per
il giovane sono scattate le manette mentre la cannabis è stata sequestrata»;
nel nostro ordinamento giuridico, nonostante la rilevanza penale del consumo personale di sostanze stupefacenti sia stato abrogato con il referendum del 1993, la condotta di coltivazione non autorizzata di piante da stupefacenti continua a costituire sempre e comunque un illecito penale (previsto dall'articolo 26 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309), con esclusione di qualsivoglia spazio per un intervento punitivo solo in via amministrativa ex articolo 75 decreto del Presidente della Repubblica 309/90, e ciò pur in presenza di coltivazioni di modestissima dimensione, rispetto alle quali inconcepibile sarebbe una destinazione al mercato del ricavato;
anche dopo l'incisivo intervento di riforma della disciplina sanzionatoria delle sostanze stupefacenti realizzato nel 2006 con il decreto-legge 30 dicembre 2005 n. 272, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2006 n. 49, il legislatore ha finito con l'aderire a quella opinione giurisprudenziale senz'altro prevalente, fatta propria anche dalla Corte costituzionale (Corte costituzionale sentenza 24 luglio 1995, n. 360), secondo cui la condotta di coltivazione, in quanto potenzialmente in grado di aumentare il quantitativo di droga circolante, sarebbe intrinsecamente più grave rispetto a quella di mera detenzione, così da meritare un trattamento punitivo diverso e più severo; ne deriva che tale condotta continuerebbe ad essere vietata e sanzionata penalmente anche qualora la finalità dell'agente sia di destinare il prodotto della coltivazione a mero consumo personale;
il divieto generale ed assoluto di coltivare le piante comprese nella tabella 1 di cui all'articolo 14 del decreto del Presidente della Repubblica 309/90 (fra le quali è annoverata la cannabis indica) appare davvero eccessivo, perlomeno rispetto a quelle condotte di coltivazione rudimentale e domestica di poche piantine, destinate cioè a consentire il ricavo di modestissimi quantitativi di principio attivo, giacché in casi del genere il rischio di destinazione a terzi della sostanza stupefacente è pressoché nullo e parimenti nullo è il rischio per la salute individuale del coltivatore-assuntore;
l'interrogante ha recentemente depositato un progetto di legge per modificare innanzitutto gli articoli 26 e 28 del Testo unico sulle sostanze stupefacenti, così da cogliere la reale diversità di situazione che caratterizza la coltivazione in senso tecnico da attività solo naturalisticamente rientranti in tale nozione, rispetto alle quali è preferibile non operi il divieto di coltivazione in assenza di autorizzazione;
l'altra importante modifica della citata proposta di legge consiste nel richiamare espressamente la condotta di coltivazione sia nell'articolo 73 comma 1-bis che nell'articolo 75 del Testo unico citato, in modo da attribuire alla stessa, qualora emerga che il ricavato della coltivazione sia destinato ad un uso esclusivamente personale, una rilevanza meramente amministrativa;
è opinione dell'interrogante che solo estendendo gli effetti del referendum abrogativo del 1993 anche a tutte quelle attività di coltivazione cosiddetta «domestica» delle piante da stupefacenti, è possibile evitare le irragionevoli conseguenze che discendono dall'applicazione della disciplina di rigore attualmente vigente che, da un lato, impone di sanzionare penalmente il modesto coltivatore di qualche piantina di canapa indiana mentre, dall'altro, punisce solo in via amministrativa le condotte di detenzione per uso personale di sostanza stupefacente anche in quantitativi di significativa consistenza;
appare agli interroganti oltremodo penalizzante e discriminatorio il Testo unico sugli stupefacenti nella parte in cui prevede la rilevanza sempre e comunque penale della condotta di coltivazione di
cannabis, anche a fronte di detenzione di quantitativi minimi di principio attivo -:
se con riferimento alle vicende esposte in premessa non ritenga di dover assumere ulteriori informazioni dirette ad accertare quale fosse la quantità di principio attivo ricavabile dalle due piante di cannabis indica sequestrate dai carabinieri della stazione di Ariccia; dalle nove piante di marijuana sequestrate all'ex segretario provinciale della Cisl di Catania, Salvatore Leotta; dalle tre piantine di marijuana sequestrate dai carabinieri di Aprilia; dalle 18 piante di cannabis indica sequestrate dai carabinieri di Monreale al signor Antonino Massi; nonché dalle 29 piante di marijuana sequestrate dai carabinieri di Luserna San Giovanni; se, ed in che misura, la coltivazione della sostanza stupefacente sequestrata in tutte le predette circostanze fosse finalizzata allo spaccio;
se, più in generale, il Ministro della giustizia non ritenga di dover presentare una dettagliata relazione riferita agli arresti e alle denunce per coltivazione illegale di sostanze stupefacenti (hashish e marijuana) avvenuti in seguito alla entrata in vigore della legge n. 49 del 2006 e riportante: 1) i casi in cui la quantità di principio attivo contenuta nelle piante di cannabis sequestrate era superiore a 500 milligrammi ed inferiori ad 1 grammo; 2) i casi in cui la detenzione delle piante di cannabis derivava da attività di coltivazione finalizzata allo spaccio; 3) i casi in cui l'attività di coltivazione della sostanza stupefacente era destinata al consumo meramente personale del coltivatore; 4) se ed in che misura, dopo l'entrata in vigore della legge 49 del 2006, gli arresti e le denunce per coltivazione non autorizzata di sostanze stupefacenti siano aumentati rispetto al passato;
se non reputi di intervenire, attraverso iniziative normative, affinché il consumo personale di marijuana - sebbene ricavata da attività di coltivazione cosiddetta «domestica» - venga depenalizzato e punito solo in via amministrativa.
(4-04113)
secondo quanto riportato l'8 settembre 2009 dal portale di informazione il Cittadino, il quotidiano on-line di Monza e Brianza, domenica 5 settembre i carabinieri di Cesano hanno arrestato D.D., 21enne, per coltivazione non autorizzata di sostanza stupefacente;
nel caso di specie il giovane, di fronte ai genitori che stavano litigando violentemente, non appena ha visto il padre prendere in mano un coltello da cucina e ferire la madre all'addome, ha subito chiamato i carabinieri, i quali, una volta intervenuti, hanno perquisito la casa in cerca dell'arma del delitto trovando due piante di marijuana di proprietà del figlio della coppia, il quale è stato quindi subito tratto in arresto per coltivazione di stupefacenti;
nel nostro ordinamento giuridico, nonostante la rilevanza penale del consumo personale di sostanze stupefacenti sia stato abrogato con il referendum del 1993, la condotta di coltivazione non autorizzata di piante da stupefacenti continua a costituire sempre e comunque un illecito penale (previsto dall'articolo 26 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309), con esclusione di qualsivoglia spazio per un intervento punitivo solo in via amministrativa ex articolo 75 decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, e ciò pur in presenza di coltivazioni di modestissima dimensione, rispetto alle quali inconcepibile sarebbe una destinazione al mercato del ricavato;
anche dopo l'incisivo intervento di riforma della disciplina sanzionatoria delle sostanze stupefacenti realizzato nel 2006 con il decreto-legge 30 dicembre 2005 n. 272, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2006 n. 49, il legislatore ha finito con l'aderire a quella opinione
giurisprudenziale senz'altro prevalente, fatta propria anche dalla Corte costituzionale (Corte Costituzionale sentenza 24 luglio 1995, n. 360), secondo cui la condotta di coltivazione, in quanto potenzialmente in grado di aumentare il quantitativo di droga circolante, sarebbe intrinsecamente più grave rispetto a quella di mera detenzione, così da meritare un trattamento punitivo diverso e più severo; ne deriva che tale condotta continuerebbe ad essere vietata e sanzionata penalmente anche qualora la finalità dell'agente sia di destinare il prodotto della coltivazione a mero consumo personale;
il divieto generale ed assoluto di coltivare le piante comprese nella tabella I di cui all'articolo 14 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 (fra le quali è annoverata la cannabis indica) appare davvero eccessivo, perlomeno rispetto a quelle condotte di coltivazione rudimentale e domestica di poche piantine, destinate cioè a consentire il ricavo di modestissimi quantitativi di principio attivo, giacché in casi del genere il rischio di destinazione a terzi della sostanza stupefacente è pressoché nullo e parimenti nullo è il rischio per la salute individuale del coltivatore-assuntore;
l'interrogante ha recentemente depositato un progetto di legge per modificare innanzitutto gli articoli 26 e 28 del Testo unico sulle sostanze stupefacenti, così da cogliere la reale diversità di situazione che caratterizza la coltivazione in senso tecnico da attività solo naturalisticamente rientranti in tale nozione, rispetto alle quali è preferibile non operi il divieto di coltivazione in assenza di autorizzazione;
l'altra importante modifica della citata proposta di legge consiste nel richiamare espressamente la condotta di coltivazione sia nell'articolo 73 comma 1-bis che nell'articolo 75 del Testo unico citato, in modo da attribuire alla stessa, qualora emerga che il ricavato della coltivazione sia destinato ad un uso esclusivamente personale, una rilevanza meramente amministrativa;
è opinione dell'interrogante che solo estendendo gli effetti del referendum abrogativo del 1993 anche a tutte quelle attività di coltivazione cosiddetta «domestica» delle piante da stupefacenti, è possibile evitare le irragionevoli conseguenze che discendono dall'applicazione della disciplina di rigore attualmente vigente che, da un lato, impone di sanzionare penalmente il modesto coltivatore di qualche piantina di canapa indiana mentre, dall'altro, punisce solo in via amministrativa le condotte di detenzione per uso personale di sostanza stupefacente anche in quantitativi di significativa consistenza;
appare agli interroganti oltremodo penalizzante e discriminatorio il Testo Unico sugli Stupefacenti nella parte in cui prevede la rilevanza sempre e comunque penale della condotta di coltivazione di cannabis, anche a fronte di detenzione di quantitativi minimi di principio attivo -:
se con riferimento alla vicenda esposta in premessa non ritenga di dover assumere ulteriori informazioni dirette ad accertare quale fosse la quantità di principio attivo ricavabile dalle due piante di cannabis indica sequestrate dai carabinieri di Cesano;
se, più in generale, il Ministro della giustizia non ritenga di dover presentare una dettagliata relazione riferita agli arresti e alle denunce per coltivazione illegale di sostanze stupefacenti (hashish e marijuana) avvenuti in seguito alla entrata in vigore della legge n. 49 del 2006 e riportante: 1) i casi in cui la quantità di principio attivo contenuta nelle piante di cannabis sequestrate era superiore a 500 milligrammi ed inferiori ad 1 grammo; 2) i casi in cui la detenzione delle piante di cannabis derivava da attività di coltivazione finalizzata allo spaccio; 3) i casi in cui l'attività di coltivazione della sostanza stupefacente era destinata al consumo meramente personale del coltivatore; 4) se ed in che misura, dopo l'entrata in vigore della legge n. 49 del 2006, gli arresti e le denunce per coltivazione non autorizzata di sostanze stupefacenti siano aumentati rispetto al passato;
se non reputi di intervenire, attraverso iniziative normative, affinché il consumo personale di marijuana - sebbene ricavata da attività di coltivazione cosiddetta «domestica» - venga depenalizzato e punito solo in via amministrativa.
(4-04114)