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nel febbraio 2010 la dirigenza di Lyondell/Basell ha annunciato la decisione di chiudere lo stabilimento sito nel polo chimico di Terni, determinando in breve tempo pesanti ricadute sulle altre aziende del polo che dipendevano per gli approvvigionamenti di polipropilene dall'impianto di Basell, e a luglio è stato sottoscritto, presso la regione, l'accordo per la cassa integrazione straordinaria di un anno a zero ore per 94 lavoratori della Basell, determinato appunto dalla cessazione delle attività da parte dell'azienda, nonostante i risultati positivi conseguiti
anche nell'anno precedente, come dimostra la cifra dell'utile netto dell'impianto ternano nel 2009, pari ad oltre 9 milioni di euro;
la situazione del polo chimico di Terni, alla luce degli ultimi avvenimenti, rimane critica e la preoccupazione per il futuro delle aziende del distretto, coinvolte direttamente o indirettamente nelle decisioni della Basell di sospendere la produzione, è unanimemente condivisa, anche a causa delle gravi ricadute sul piano sociale, economico e ancor più occupazionale dell'intera area del ternano e delle città vicine;
in risposta alla precedente interrogazione (n. 4/06378), pervenuta il 14 giugno 2010, il Sottosegretario Saglia aveva dichiarato apertura e collaborazione in quanto dichiarava: «La proposta del MSE, condivisa con le Istituzioni locali e le Organizzazioni Sindacali, unite nella volontà di mantenere la produzione e l'occupazione, è quella di non chiudere gli impianti prima che si sia trovata una soluzione alternativa, con la condizione ulteriore di due requisiti minimi: avere il tempo necessario per fare delle valutazioni senza la scadenza incipiente del 30 giugno prossimo e la disponibilità dell'Azienda a valutare tutte le ipotesi percorribili senza scartare nulla» e ancora «L'incontro si è concluso senza una posizione condivisa, con la decisione, tuttavia, di mantenere aperto il tavolo di confronto fino a quando non si riuscirà a trovare soluzioni adeguate e si saranno esplorate tutte le strade possibili. In questi giorni si stanno susseguendo contatti anche con Confindustria-Terni e con le singole aziende, sia per affrontare le problematiche del sito che per la reindustrializzazione dello stesso. Le decisioni dell'Azienda non possono, infatti, prescindere da un contesto composto da una pluralità di "attori", ci si aspetta, quindi, che anche il piano di Basell possa cambiare, con l'auspicio che tutti contribuiscano con coerenza ad una possibile soluzione positiva. I prossimi giorni sono ritenuti dal Governo cruciali per continuare nel confronto e si auspica che, anche, da parte dell'Azienda ci sia l'intenzione di proseguire concretamente su questa strada»;
nonostante i numerosi incontri presso il Ministero dello sviluppo economico la cordata interessata a rilevare lo stabilimento di Basell, composta da Novamont e Banca Intesa, ha incontrato finora una grave e reiterata indisponibilità da parte della dirigenza aziendale di Lyondell/Basell alla vendita dell'impianto. Nel frattempo la dirigenza di Lyondell/Basell ha proceduto ad avanzare proposte di trasferimento ai lavoratori dei propri stabilimenti in Italia, in un progetto di riallocazione del capitale umano che prevederebbe sia la dislocazione di parte delle maestranze all'estero che il riassorbimento nell'impianto di Ferrara di un numero imprecisato di lavoratori cassintegrati di Terni;
la notizia dell'ingresso dell'ENI nella proprietà societaria della Novamont sembrerebbe offrire una seria speranza per la soluzione del problema, offrendo a Terni non solo l'occasione per il superamento di una situazione di crisi, ma una grande opportunità per la costituzione di un'attività industriale innovativa, ecocompatibile e quindi di grande futuro;
questa potrebbe essere un'opportunità importante per il comune di Terni, per la provincia di Terni e per la regione Umbria tutta, in quanto ogni sforzo ed ogni energia o risorsa disponibile dovrebbe essere spesa per salvaguardare il polo chimico ternano, con la prospettiva di una produzione ecocompatibile, leader in Italia ed in Europa, trasformando un momento di grave difficoltà in occasione di nuovo sviluppo;
questa situazione pone fortemente al centro dell'interlocuzione, tra Governo centrale ed enti locali, il tema della delocalizzazione dei processi produttivi - che, ultimamente, sappiamo non interessare solo il polo chimico di Terni, ma anche altre e numerose realtà industriali italiane -, che non ha visto interventi in grado di garantire pienamente l'interesse pubblico
rispetto a quello privato, primato che solo può assicurare alle istituzioni democratiche il necessario potere di contrattazione rispetto alle grandi aziende internazionali;
sarebbe, quindi, auspicabile ripristinare, nella trattativa con Lyondell/Basell, questo primato nelle forme sancite dalla carta costituzionale, anche al fine di garantire alle maestranze impiegate nella totalità del polo chimico ternano la legittima continuità del reddito, in quanto si apprende che la cassa integrazione guadagni sarebbe stata finanziata con risorse ingenti che le regioni hanno stanziato attraverso l'utilizzo del Fondo sociale europeo (Fse), e la maggioranza delle regioni, avrebbe espresso l'intenzione, condiviso anche dalla giunta della regione Umbria, di non prolungare i termini degli accordi di cassa integrazione sottoscritti dalle regioni nel 2010, escludendo virtualmente ulteriori azioni tese a garantire la continuità del reddito dei lavoratori interessati;
il polo chimico di Terni è riconosciuto nel documento annuale di programmazione (Dap) come una delle infrastrutture strategiche tanto per la strutturazione di politiche industriali ad alto contenuto d'innovazione quanto per la ormai urgente trasformazione ecosostenibile dei modelli produttivi vigenti, due tematiche strettamente intrecciate e costituenti il nucleo fondante di quanto si intende per green economy -:
quali azioni il Governo intenda perseguire al fine di scongiurare il depauperamento dell'industria chimica italiana rilanciando il polo chimico di Terni e garantire la continuità del reddito dei lavoratori interessati.
(4-10602)
l'istituzione delle zone franche urbane era stata prevista originariamente con la legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria per il 2007), pensata dal Governo guidato da Romano Prodi come agevolazione per le nuove iniziative produttive in alcune zone del Paese, attraverso l'esenzione fiscale e contributiva. La realizzazione del progetto si era arenata sul fatto che le agevolazioni previste erano eccessivamente ampie e la copertura prevista sarebbe stata probabilmente insufficiente per tutti i benefici: esenzione da imposte sui redditi, Irap, Ici ed esonero dal versamento dei contributi previdenziali. Perciò successivamente la legge Finanziaria per il 2008 aveva circoscritto i benefici (anche dal punto di vista territoriale), lasciando a un successivo decreto del Ministro dell'economia e delle finanze il compito di circoscrivere ulteriormente l'agevolazione;
il 28 ottobre 2009, con una cerimonia alla presenza dello stesso Ministro dello sviluppo economico, sono state istituite 22 «zone franche urbane», cioè aree individuate in quartieri che vivono situazioni di disagio sociale ed occupazionale e con un particolare bisogno di strategie per lo sviluppo e l'occupazione;
l'istituzione di zone franche urbane (ZFU) è prevista dalla legge finanziaria per il 2008 legge 244 del 2007, articolo 2, commi 561 e seguenti, che hanno modificato la finanziaria precedente): si tratta di zone caratterizzate da una situazione di disagio economico che, a seguito dell'espletamento della procedura prevista, godranno di particolari agevolazioni fiscali;
presso il Ministero dello sviluppo economico, infatti, è costituito un apposito fondo con una dotazione di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009;
le «zone franche» hanno, quindi, una funzione di rilancio dell'economia, stimolando la nascita di piccole e micro imprese attraverso esenzioni fiscali e contributive (Ires, Irap, Ici e contributi previdenziali) sino a 14 annualità. Le agevolazioni sono operative dal 1o gennaio 2010;
selezionate sulla base di una serie di indicatori, con una procedura durata circa un anno, sono sorte a: Catania,
Gela, Erice, Crotone, Rossano, Lamezia Terme, Matera, Taranto, Lecce, Andria, Napoli, Torre Annunziata, Mondragone, Campobasso, Cagliari, Iglesias, Quartu Sant'Elena, Velletri, Sora, Pescara, Massa Carrara e Ventimiglia;
secondo un comunicato stampa diffuso nei primi giorni di dicembre, il Ministro ha affermato che «nell'ambito dello schema di decreto legislativo di riordino degli incentivi alle imprese non è prevista la soppressione delle misure relative alle zone franche urbane»;
il comunicato arrivava dopo che la soppressione delle zone franche urbane sembrava cosa fatta (esemplificativa l'inchiesta riportata dal Sole 24 Ore del lunedì del 6 dicembre 2010) sulla base della bozza di decreto legislativo per la riforma degli incentivi;
tale scelta abolizionista aveva suscitato preoccupazioni e critiche, tra cui ad esempio, un ordine del giorno della provincia di Carbonia Iglesias, in attesa dell'inserimento della città di Carbonia, segnata da una grave crisi economica sociale a causa del decadimento dello sviluppo industriale della zona;
l'articolo 43 del decreto-legge n. 78 del 2010 prevede che, laddove le zone a «burocrazia zero» (istituite dallo stesso decreto) coincidano con le «zone franche urbane», le risorse siano utilizzate per le iniziative previste dalla manovra estiva del 2010. Secondo il decreto-legge n. 78 del 2010, quando le due tipologie di zone coincidono, le risorse previste per le zone franche «sono utilizzate dal sindaco territorialmente competente per la concessione di contributi diretti alle nuove iniziative produttive avviate nelle zone a burocrazia zero»;
fuori dalle regioni del Sud di zone franche ce ne sono quattro (Ventimiglia, Massa-Carrara, Velletri e Sora). Il Sole 24 Ore del 27 maggio 2010 aveva spiegato: «La nuova misura di fatto cancella le zone franche urbane su cui aveva fortemente puntato l'ex ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola»;
la cancellazione delle zone franche comporterebbe sicuramente l'esclusione di quelle collocate in comuni fuori dai territori meridionali. E per le città del Sud, nel caso in cui vi fosse una coincidenza fra zone «franche» e a «burocrazia zero», muterebbero le modalità di intervento (da esenzioni automatiche ad aiuti) -:
quali siano i reali orientamenti del Governo a proposito delle zone franche;
se non si ritenga opportuno assumere iniziative per il rilancio e il finanziamento delle esistenti zone franche urbane, prevedendo nuove aree territoriali del Sud con svantaggi economici e sociali a cui destinare risorse economiche per iniziative di sviluppo.
(4-10603)
il processo di automazione dei servizi e dello smaltimento dei prodotti postali è stato avviato dall'allora Ministero delle poste e telecomunicazioni negli anni '70 grazie anche all'assistenza tecnica della Elsag, società del gruppo Finmeccanica;
anche a Catania l'assistenza e la manutenzione degli impianti sono tuttora affidati in appalto alla Elsag che li ha sub-appaltati a partire dal 2007 alla romana Logos s.p.a.;
il 1o ottobre 2007, con il rinnovo della gara d'appalto e grazie anche all'impegno del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, fu stilato un accordo con cui si garantivano i livelli occupazionali fino all'anno 2012;
nonostante l'eccellente lavoro quotidiano dei tecnici e manutentori delle ditte sub-appaltatrici di Elsag, questi lavoratori vivono costantemente con l'assillo di procedure di crisi aziendali paventate o messe in atto dalla Logos, che lamenta il calo delle commesse;
la professionalità di questi lavoratori, dopo più di 30 anni di attività continua ed ininterrotta, è evidente e Poste italiane spa non può farne a meno se non vuole che ne risenta la qualità del servizio prestato all'utenza, servizio attualmente di ottimo livello senza nulla da invidiare agli altri competitor europei;
a giudizio dell'interrogante sarebbe opportuno che Poste italiane riprendesse nel proprio perimetro aziendale i macchinari, la manutenzione, i tecnici ed i lavoratori dei centri di meccanizzazione postale al solo fine di garantire il mantenimento dei livelli di professionalità raggiunti da questi lavoratori e evitare, in tal modo, l'insostenibile precarietà dei lavoratori coinvolti, ridotti alla mercé, nonostante una professionalità maturata in 30 anni e più di servizio, dei vari vincitori d'appalto -:
se il Ministro interrogato intenda intervenire al fine di garantire la stabilità del lavoro ai tecnici interessati e la qualità del servizio di Poste italiane.
(4-10611)