Doc. II, n. 11




RELAZIONE

Onorevoli Colleghi! - Le istituzioni della democrazia rappresentativa e in primo luogo il Parlamento sono oggi oggetto di progressiva sfiducia da parte dei cittadini. Il fenomeno non è certo nuovo e affonda le sue radici in una molteplicità di fattori complessi e di diversa natura. Vi sono in primo luogo dinamiche istituzionali che sembrano configurare un progressivo svuotamento o indebolimento dei poteri del Parlamento a favore di altre istituzioni: si tratta di dinamiche contemporanee che hanno a che fare, da un lato, con la dislocazione del potere politico dal livello nazionale a quello internazionale (in particolare quello comunitario), dall'altro, con l'aumentato ruolo degli esecutivi rispetto alle assemblee legislative e ancora con la pressione a ricorrere agli strumenti di democrazia diretta nell'intento di garantire un più stretto rapporto tra i cittadini e il momento della decisione politica.
Vi sono poi dinamiche sociali e politiche che mettono in discussione il senso stesso della «rappresentanza», il suo «ruolo» e la sua importanza nella società anche in rapporto ai suoi costi, nonché le sue forme organizzative, in primis i partiti politici, la cui funzione, struttura e relazione con lo Stato appaiono oggi decisamente in questione.
Ma accanto a questi e altri fattori, nella progressiva sfiducia dei cittadini nei confronti dei rappresentanti da loro eletti, hanno inciso anche i comportamenti negativi che hanno visto membri delle Camere protagonisti di reati o di episodi di malcostume. Tra questi pesano nell'opinione pubblica nazionale e internazionale in particolare gli episodi di corruzione.
Nel Corruption Perceptions Index del 2014, stilato da Transparency International, l'Italia è considerata un Paese ad alto tasso di corruzione: nella graduatoria dei Paesi stimati virtuosi si trova collocata al 69o posto nel mondo. Il dato interno è in realtà assai differenziato a seconda delle regioni: come ha mostrato l'European Quality of Government Index del 2013 vi sono regioni italiane sugli stessi standard dei più virtuosi Paesi nordici, ma il dato complessivo è negativo e impone una svolta. Lo chiedono gli stessi cittadini italiani che in numerosi sondaggi (cfr. ad es. Speciale Eurobarometro n. 397 del 2013) considerano, nella loro stragrande maggioranza, la corruzione un fenomeno che attraversa profondamente le istituzioni rappresentative.
Di fronte a questa grave situazione è necessario intraprendere una seria azione di rinnovamento della vita civile nel segno del rispetto delle leggi e di una più rigorosa etica pubblica. E ciò almeno per tre motivi.
Anzitutto per un doveroso rispetto dei cittadini e per le ricadute negative che i fenomeni corruttivi o di malcostume della classe dirigente hanno sull'intero Paese. La cattiva reputazione di una nazione non rappresenta un handicap solo per la classe dirigente, ma anche per molte categorie di cittadini: si pensi a quanti tra i più giovani vanno all'estero a studiare o a quanti come imprenditori o come dipendenti intraprendono all'estero attività economiche. Per molti di loro la cattiva reputazione della classe dirigente incide negativamente: e il sentire che qualcosa legato al proprio «essere» (essere italiano) e non al proprio «fare» (il modo in cui ciascuno si comporta) possa essere automaticamente legato a una realtà negativa, come la corruzione o la mafia, indebolisce il senso di fiducia in se stessi, la possibilità di essere rispettati e valutati per ciò che si fa.
In secondo luogo vi sono ragioni economiche: la corruzione è una palla al piede per l'economia. Non solo per i costi aggiuntivi che essa comporta (si stima che i costi per lo Stato dovuti alla corruzione possano ammontare a più di 60 miliardi di euro ogni anno), ma anche per il costo degli interessi sul debito pubblico che sono più alti per i Paesi con una cattiva reputazione.
Infine vi sono ragioni che riguardano la vitalità delle istituzioni democratiche. L'idea di una politica corrotta ha un effetto negativo sulla fiducia dei cittadini nelle istituzioni e chiaramente la democrazia rappresentativa che si fonda proprio sulla «fiducia» dei cittadini nei propri rappresentanti ne viene fortemente indebolita, «muore» nel cuore dei cittadini stessi, e altre forme di politica - il populismo o l'autoritarismo - possono diventare più affascinanti. Non solo: se i governanti non rispettano le leggi, i cittadini naturalmente si sentono giustificati a fare altrettanto e certamente non sono disponibili a sacrificarsi per il bene comune. Insomma: la corruzione è la «malattia mortale» della democrazia.
Per combattere questa malattia occorre agire su livelli diversi come già ha fatto il Parlamento italiano. Anzitutto, serve una legislazione più adeguata che garantisca trasparenza e accountability, che impedisca il conflitto di interessi e situazioni di incompatibilità (tra condanne per corruzione e assunzione di incarichi istituzionali). Su questo piano l'Italia si è dotata di una legge nel 2012 (la cosiddetta legge Severino) che ha già dato i suoi frutti positivi ma che va rafforzata nei suoi aspetti applicativi e attraverso authorities indipendenti. Lo chiede con forza la Commissione europea che in un recente rapporto ha analizzato rigorosamente il fenomeno corruttivo e la validità degli strumenti legislativi e amministrativi messi in atto per combatterlo (cfr. Allegato sull'Italia della Relazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo sulla lotta alla corruzione COM(2014) 38 final, Annex 12).
In secondo luogo serve una più forte azione da parte dei partiti e dei movimenti politici: occorre un controllo rigoroso dei partiti stessi sulle proprie fonti di finanziamento e soprattutto sui metodi di selezione della propria classe dirigente e serve un'energica azione di monitoraggio da parte della pubblica opinione organizzata in movimenti e associazioni.
In terzo luogo c'è bisogno di una forte etica civile, sia sul piano dell'etica individuale, attraverso un rafforzamento della formazione civica nelle scuole e nelle associazioni educative, sia sul piano dell'etica sociale del «corpo» dei pubblici rappresentanti che, attraverso codici di comportamento e stili di vita sobri e rigorosi, ritrovino il senso della dignità e dell'onore del servizio pubblico. In questa prospettiva si colloca la presente proposta rivolta alla Camera dei deputati di adottare un Codice di condotta dei parlamentari.
La discussione su quali strumenti le assemblee legislative possano adottare per combattere i fenomeni di corruzione presenti tra i propri membri è antica e assai ricca di proposte. Nella storia costituzionale italiana il tema della lotta alla corruzione è presente fin dal dibattito ottocentesco: si pensi, per fare un esempio, alla proposta formulata nel 1848 da Antonio Rosmini di inserire direttamente in Costituzione una specifica norma sul divieto per i deputati di ricevere regali dagli elettori («I deputati delle provincie ricevono dallo Stato una moderata retribuzione a titolo di indennità. Non possono ricevere alcun regalo dagli elettori, e venendo provato che alcuno n'abbia ricevuto, egli cessa d'essere deputato» - articolo 62 del progetto di Costituzione per il Regno dell'Alta Italia).
In realtà né nello Statuto del 1848 né poi nella Costituzione italiana sono state inserite previsioni esplicite. Ha trovato però spazio un principio fondamentale di etica pubblica, quello sancito nell'articolo 54, secondo comma, della Costituzione: «I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge».
Sul piano della legislazione vanno ricordate le norme che definiscono i requisiti per l'accesso alle candidature e all'assunzione della carica di parlamentare che spesso contengono anche previsioni volte a combattere la corruzione: si pensi, in particolare, alle norme sul regime di ineleggibilità (D.P.R. n. 361 del 1957; L. n. 175 del 2010), incandidabilità (D.Lgs. n. 235 del 2012) e incompatibilità (L. n. 190 del 2012 e D.Lgs. n. 39 del 2013), nonché alle norme che impongono un tetto alle spese elettorali (L. n. 515 del 1993 e L. n. 96 del 2012) e l'obbligo della trasparenza e della diffusione delle informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni relativamente ai componenti degli organi di indirizzo politico (L. n. 190 del 2012 e D.Lgs. n. 33 del 2013).
Il complesso delle norme anticorruzione introdotte nella legislazione italiana è ricco e articolato e, benché esso possa e debba essere ulteriormente implementato e soprattutto applicato con rigore anche attraverso il monitoraggio di authorities indipendenti, offre comunque un valido contributo alla lotta nei confronti dei fenomeni degenerativi della vita pubblica. Tuttavia, la legislazione da sola pare impotente, se essa non viene accompagnata dall'affermarsi di convincimenti e costumi atti a sorreggerla. In questa direzione, dunque, si muovono i «Codici deontologici» o «Codici di condotta» che negli ultimi anni si vanno moltiplicando nelle assemblee legislative di molti Paesi. Si pensi, ad esempio, all'Allegato n. 1 al Regolamento del Bundestag tedesco, introdotto nel 1972 e modificato nel 2005; al Code of Conduct della Camera dei comuni inglese, introdotto nel 1996 sulla base dei cosiddetti «sette principi della vita pubblica» o ancora al Code de déontologie approvato dall'Assemblea nazionale francese nel 2011.
Si tratta di strumenti la cui adozione è stata raccomandata già da tempo (nel 1997) dal Consiglio d'Europa ai Paesi membri (15o principio) e che assume un rilievo importante nella revisione periodica delle misure anticorruzione adottate dai diversi Paesi aderenti al «Gruppo di Stati contro la corruzione - GRECO», di cui l'Italia fa parte dal 2007.
Sarebbe ovviamente illusorio attribuire a tali Codici una forza risolutiva. Essi sono semplici strumenti che intendono sviluppare una sorta di «deontologia» del mandato parlamentare, sulla scia dei codici deontologici delle professioni liberali o della pubblica amministrazione, al fine di indicare ai cittadini e ai rappresentanti da loro eletti una serie di principi e di standard di comportamento condivisi di cui poter chiedere conto, da un lato, e a cui potersi ispirare, dall'altro.
Per tali ragioni si intende proporre una modifica al Regolamento della Camera volta a prevedere l'adozione nell'ordinamento parlamentare di un Codice di condotta dei deputati. La modifica in questione non reca, tuttavia, direttamente le norme del Codice, ma contiene disposizioni di carattere generale finalizzate a garantire trasparenza e correttezza dei comportamenti dei singoli deputati, evitando l'introduzione nel Regolamento della Camera di norme eccessivamente minuziose e di dettaglio, non coerenti con la natura della fonte che si intende qui modificare, ed affidando invece ad un successivo passaggio normativo la concreta specificazione di tale Codice. Nel rimettere quindi ad un'ulteriore fonte parlamentare (cioè a norme sottoposte alla deliberazione dell'Ufficio di Presidenza) l'adozione del Codice di condotta, appare necessario tuttavia apportare un contributo per predeterminarne il contenuto. Si avanzano quindi alcune proposte al riguardo, elaborate nello spirito della Costituzione italiana e tenendo conto del Codice di condotta dei deputati al Parlamento europeo e dei Codici esistenti presso altri Parlamenti nazionali.
Implementando quanto contenuto nel nuovo articolo 1-bis del Regolamento, il Codice dovrebbe recare anzitutto l'enunciazione dei principi fondamentali di condotta a partire dal richiamo all'obbligo costituzionale di svolgere le funzioni pubbliche «con disciplina ed onore» (articolo 54, secondo comma, Cost.), in rappresentanza dell'interesse generale dei cittadini (articolo 67 Cost.) ed escludendo ogni soddisfazione di interessi particolari e qualsiasi vantaggio finanziario diretto o indiretto. Si dovrebbero richiamare, inoltre, i principi di onestà, integrità, trasparenza, responsabilità, diligenza ed esemplarità a tutela del buon nome del Parlamento italiano e delle istituzioni repubblicane, invitando, infine, i deputati ad informare la propria condotta ai criteri di serietà e rispetto dell'altrui persona.
Nel Codice dovrebbe essere prevista anche la disciplina del conflitto di interessi in cui può incorrere il deputato, attraverso un richiamo a precise incompatibilità e ad obblighi di dichiarazione e di astensione. Si dovrebbero inoltre definire con chiarezza gli obblighi di trasparenza a proposito di interessi finanziari o di incarichi rivestiti dal deputato. Il Codice deontologico dei deputati dell'Assemblea nazionale francese ad esempio prevede la presentazione di una dichiarazione di interessi che deve rendere noti gli interessi personali del deputato, ma anche dei suoi parenti e congiunti. In Germania, invece, il Codice di condotta dei parlamentari dispone l'obbligo di denunciare e rendere pubbliche le attività e i proventi dei deputati, i quali devono notificare singole attività e funzioni esplicate in concomitanza con il mandato parlamentare, tra cui l'attività professionale da ultimo esercitata e l'appartenenza ad organi direttivi, a consigli di amministrazione e ad altri comitati. Soggetti all'obbligo di notifica e di pubblicazione non sono soltanto le attività in ambito imprenditoriale, ma anche quelle svolte presso enti ed istituti di diritto pubblico. Infine, il Codice di condotta dei deputati al Parlamento europeo impone la presentazione agli stessi di una dichiarazione di interessi finanziari che deve contenere, tra le altre cose, le attività professionali del deputato nel triennio precedente l'inizio del suo mandato al Parlamento, la sua partecipazione durante tale periodo a comitati o consigli di amministrazione di imprese, organizzazioni non governative, associazioni o altri enti giuridici, qualsiasi attività regolare retribuita svolta dal deputato parallelamente all'esercizio del proprio mandato, qualsiasi attività esterna occasionale retribuita - comprese pubblicazioni, conferenze o consulenze - ove la remunerazione complessiva superi i 5.000 euro in un anno civile, nonché qualsiasi sostegno finanziario, tanto in personale quanto in materiale, che si aggiunga ai mezzi forniti dal Parlamento e che sono conferiti al deputato nell'ambito delle sue attività politiche da parte di terzi, con indicazione dell'identità di questi ultimi. Tali obblighi risultano di notevole importanza nell'identificare e definire eventuali conflitti di interesse.
Si dovrebbe anche affrontare il tema dei doni o di analoghi benefici (il Codice di condotta dei deputati al Parlamento europeo prevede ad esempio che, nell'esercizio delle loro funzioni, i deputati si astengano dall'accettare doni o benefici analoghi, salvo quelli di valore approssimativo inferiore a 150 euro, offerti conformemente alle consuetudini di cortesia o quelli ricevuti conformemente alle medesime consuetudini qualora rappresentino il Parlamento in veste ufficiale). Anche tale previsione va letta nell'ottica della trasparenza.
Il Codice dovrebbe contenere anche la disciplina del Comitato consultivo per l'attuazione del Codice di condotta, delineato già nel Regolamento, e competente a fornire pareri in materia di interpretazione e di applicazione del Codice stesso (analoga previsione è contenuta nel Codice di condotta dei deputati al Parlamento europeo che prevede un Comitato consultivo sulla condotta dei parlamentari con compiti interpretativi ed attuativi sulle disposizioni del codice di condotta).
Infine dovrebbero essere descritte e disciplinate analiticamente la procedura e le sanzioni per i casi di violazioni del Codice, specificando i poteri del Presidente della Camera e dell'Ufficio di Presidenza e prevedendo in ogni caso l'audizione del deputato in questione; il Codice tedesco prevede ad esempio, a seconda della natura e dell'entità della violazione, sanzioni differenti che vanno dalla semplice ammonizione al pubblico rimprovero, fino all'inflizione di ammende. Il Codice di condotta dei deputati al Parlamento europeo, invece, oltre a diverse altre sanzioni, dispone che un deputato che non abbia presentato la propria dichiarazione di interessi finanziari non possa essere eletto ad una carica in seno al Parlamento o ai suoi organi, essere designato in qualità di relatore o far parte di una delegazione ufficiale.
I due organi della Camera chiamati a garantire la corretta ed efficace applicazione del Codice sarebbero quindi il Presidente e l'Ufficio di Presidenza.


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