XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 27 maggio 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


      La Camera,
          premesso che:
              lo spreco alimentare ha assunto una dimensione tale da essere considerato un problema su scala mondiale; i dati più gravi riguardano gli Stati Uniti, ma anche l'Europa ed il nostro Paese registrano una dimensione molto grave;
              numerosi rapporti di carattere internazionale riferiscono che metà del cibo prodotto nel mondo non arriva mai ad essere consumato e quindi lo spreco alimentare rappresenta uno scandaloso paradosso dei nostri tempi: mentre, come ricorda la Fao, il numero di persone denutrite sulla terra sfiora il miliardo, la quantità di cibo sprecato nei Paesi industrializzati ammonta a 220 milioni di tonnellate, più o meno pari alla produzione alimentare disponibile nell'Africa subsahariana (230 milioni di tonnellate);
              anche in Italia a fronte di un ulteriore calo dei consumi alimentari delle famiglie Italiane, certificato dagli ultimi dati Istat, si registra contestualmente uno spreco di cibo di circa 108 chilogrammi all'anno per persona;
              lo spreco di cibo determina conseguenze etiche, economiche, sociali, ma anche ambientali, poiché il cibo non consumato contribuisce al riscaldamento globale, al consumo della risorsa idrica, all'uso di fertilizzanti, al consumo di gasolio, ai costi dello smaltimento. La decomposizione dei rifiuti alimentari produce metano, gas ed effetti serra. Ogni chilogrammo di cibo prodotto comporta oltre 4,5 chilogrammi di CO2 equivalente;
              il grave fenomeno degli sprechi alimentari rende evidente la profonda distorsione derivante da un modello di sviluppo sbagliato fondato sull'eccessivo consumo di risorse non rigenerabili. C’è quindi una relazione profonda tra la crisi che si sta vivendo ed un modello di consumo massificato, standardizzato, veloce, quantitativo piuttosto che qualitativo, sul quale occorre intervenire per evitare di continuare a produrre diseguaglianza, che è tanto più grave quando si tratta di accesso al cibo e ad una sana e buona alimentazione;
              istituzioni e letteratura specializzata definiscono gli sprechi alimentari in modi diversi; tuttavia non esiste una definizione univoca di sprechi alimentari né a livello istituzionale, né tanto meno nella letteratura scientifica specializzata. In un recente studio condotto dallo Swedish Institute for Food and Biotechnology (SIK), commissionato dalla stessa FAO, è stata proposta anche la distinzione tra food loss e food waste. I food loss sono «le perdite alimentari che si riscontrano durante le fasi di produzione agricola, post-raccolto e trasformazione degli alimenti», mentre i food waste sono «gli sprechi di cibo che si verificano nell'ultima parte della catena alimentare (distribuzione, vendita e consumo finale)»: i primi dipendono da limiti logistici e infrastrutturali, i secondi da fattori comportamentali;
              la definizione di «spreco alimentare» varia a seconda dei Paesi. In Europa non esiste ancora un'unica definizione, ma a partire dal 2011, in seno alla Commissione per l'agricoltura e lo sviluppo rurale, lo si è considerato come «l'insieme dei prodotti scartati dalla catena agroalimentare, che – per ragioni economiche, estetiche o per la prossimità della scadenza di consumo, seppure ancora commestibili e quindi potenzialmente destinabili al consumo umano –, in assenza di un possibile uso alternativo, sono destinati ad essere eliminati e smaltiti, producendo effetti negativi dal punto di vista ambientale, costi economici e mancati guadagni per le imprese»;
              lo spreco alimentare riguarda tutti i passaggi che portano gli alimenti dal campo alla tavola. Nei Paesi in via di sviluppo si localizza a monte della filiera agroalimentare e in quelli sviluppati si localizza a valle della filiera: distribuzione, ristorazione e consumo domestico, per un valore che la FAO indica pari a 95-115 chilogrammi a testa; l'Unione europea con 180 chilogrammi pro capite e l'Italia con 149 chilogrammi pro capite sono sopra la media dei Paesi sviluppati. Uno studio del 2011 della direzione generale sviluppo della Commissione europea sullo spreco di cibo indica che gli sprechi a livello domestico sono i più rilevanti: corrispondono al 42 per cento del totale (25 per cento della spesa alimentare per peso) e ammontano a circa 76 chilogrammi pro capite/anno (di cui il 60 per cento potrebbe essere evitato); sono piuttosto consistenti anche la parte relativa ai processi di trasformazione degli alimenti (39 per cento) e quella riguardante i servizi di ristorazione e catering (14 per cento). Sono più contenuti, invece, gli sprechi a livello distributivo (8 chilogrammi pro capite/anno) anche se, in alcuni casi la distribuzione è indirettamente responsabile di una parte degli sprechi che avvengono più all'inizio o più a valle della filiera alimentare;
              a livello globale, l'analisi realizzata nel 2011 dalla FAO stima uno spreco mondiale annuale di circa 1,3 miliardi di tonnellate, pari a circa un terzo (il 33 per cento) della produzione totale di cibo destinato al consumo umano;
              l'indagine del 2011 «Il libro nero dello spreco in Italia: il cibo», di Segrè e Falasconi, ha fornito una prima quantificazione dello spreco lungo tutta la filiera: 20 milioni di tonnellate dal campo al punto vendita, mentre secondo la SINU (Società italiana di nutrizione umana), la disponibilità calorica giornaliera per ogni italiano è di circa 3700 kcal, l'equivalente di oltre una volta e mezzo il fabbisogno energetico quotidiano, per cui si genera un surplus di 1700 kcal che tendenzialmente provoca sovralimentazione o viene sprecato;
              Last Minute Market, lo spin-off accademico dell'università di Bologna che ha come obiettivo quello di fornire servizi per la prevenzione degli sprechi alimentari, denuncia che nel 2011 lo spreco di cibo a livello domestico è costato a famiglia poco meno di 1.600 euro all'anno e che lo spreco alimentare «vale» il 2,4 per cento del prodotto interno lordo a prezzi di mercato nel 2011, pari a circa 40 miliardi di euro. Per Last Minute Market si tratta del 14 per cento del valore riferito all'intero sistema agroalimentare italiano;
              nei Paesi sviluppati, ma talvolta anche in quelli in via di sviluppo, sono rilevanti le motivazioni di carattere regolamentare ed economico che sono alla base dello spreco. C’è decisamente ancora molto da fare per comprendere le cause delle perdite nella parte iniziale della filiera. Nelle fasi di prima trasformazione del prodotto agricolo e dei semilavorati le cause che determinano gli sprechi sono individuabili principalmente in malfunzionamenti tecnici e inefficienze nei processi produttivi: normalmente si parla di «scarti di produzione»;
              nella distribuzione e vendita (sia essa all'ingrosso che al dettaglio) gli sprechi dipendono da molteplici cause, tra cui ordinazioni inappropriate e previsioni errate della domanda;
              gli sprechi domestici nascono dalla difficoltà del consumatore di interpretare correttamente l'etichettatura degli alimenti; perché vengono preparate porzioni troppo abbondanti (tanto nei ristoranti quanto a casa); a causa degli errori commessi in fase di pianificazione degli acquisti (spesso indotti da offerte promozionali); quando gli alimenti non vengono conservati in modo adeguato;
              in particolare, nella filiera ortofrutticola, sugli sprechi incide la possibilità di ritirare parte della produzione per evitare il crollo dei prezzi. Il prodotto ritirato, infatti, è destinato solo in parte alla distribuzione gratuita (alle fasce deboli della popolazione, a scuole e a istituti di pena), mentre per la maggior parte è destinato alla distillazione alcolica (36 per cento), al compostaggio e biodegradazione (55 per cento) e all'alimentazione animale (4 per cento). Questi impieghi sono da considerarsi come sprechi, in quanto implicano la destinazione del prodotto a un uso differente dall'alimentazione umana per cui era stato coltivato;
              nell'industria agroalimentare lo spreco medio ammonta al 2,6 per cento del totale, pari a circa 1,9 milioni di tonnellate di cibo (escludendo l'industria delle bevande). I prodotti scartati sono tendenzialmente gestiti come rifiuti o utilizzati per la produzione di mangimi, e non destinati invece alla ridistribuzione alle fasce deboli della popolazione. La maggior parte degli sprechi di cibo è riscontrabile nell'industria lattiero-casearia e nella lavorazione e conservazione di frutta e ortaggi; per quanto riguarda la fase della distribuzione, l'attività di ricerca condotta da Last Minute Market, offre stime sulla quantità di cibo «gettato via» da parte dei mercati all'ingrosso (centri alimentari e mercati ortofrutticoli) e della moderna distribuzione. Al riguardo, emerge che nel 2009 in Italia sono state sprecate 263.645 tonnellate di prodotti alimentari (per un totale di 900 milioni di euro), il 40 per cento delle quali è costituito da prodotti ortofrutticoli;
              perdite e sprechi alimentari generano impatti negativi ambientali ed economici e la loro esistenza solleva questioni di carattere sociale. Per stimare l'impatto ambientale di un alimento sprecato è necessario considerare il suo intero «ciclo di vita» (ossia percorrere tutte le fasi della filiera agroalimentare) calcolando gli indicatori comunemente usati quali il carbon footprint (CO2 equivalente), l’ecological footprint (m2 equivalenti) e il water footprint (m3 di acqua virtuale). In Italia i dati raccolti hanno evidenziato come solo la frutta e gli ortaggi gettati via nei punti vendita abbiano comportato il consumo di più di 73 milioni di m3 d'acqua (water footprint) in un anno, l'utilizzo di risorse ambientali pari a quasi 400 m2 equivalenti (ecological footprint) e l'emissione in atmosfera di più di 8 milioni di chilogrammi di CO2 equivalente (carbon footprint);
              il 19 gennaio 2012, il Parlamento europeo ha approvato in seduta plenaria una «risoluzione su come evitare lo spreco di alimenti: strategie per migliorare l'efficienza della catena alimentare nell'UE» in cui definisce lo «spreco alimentare» e si pone l'obiettivo di ridurre del 50 per cento gli sprechi alimentari entro il 2015 e di dedicare il 2014 come anno europeo contro lo spreco alimentare attraverso un strategia per migliorare l'efficienza della catena alimentare degli Stati membri;
              in coerenza con la risoluzione europea sono state coinvolte le autonomie locali in progetti contro lo spreco e, in particolare, nei giorni scorsi, sono stati organizzati eventi per favorire la massima adesione dei sindaci al progetto Carta per le amministrazioni a spreco zero per ridurre progressivamente gli sprechi attraverso il controllo e la prevenzione di tutte le attività pubbliche e private, che implichino la gestione del cibo, acqua, energia, rifiuti, mobilità, comunicazione;
              la Commissione europea, nella comunicazione «Partecipazione dell'UE all'Expo 2015 di Milano “Nutrire il pianeta: Energia per la vita” » del 3 maggio 2013 afferma che «La sicurezza alimentare è diventata negli ultimi quindici anni un elemento centrale delle politiche dell'UE in questo settore e costituisce la base di un vero e proprio modello per il resto del mondo; l'approccio al cibo nell'UE è allo stesso tempo un prerequisito per salvaguardare la salute di cittadini e consumatori e la pietra miliare su cui si basa la reputazione e il successo dell'industria alimentare europea in tutto il mondo. La sostenibilità assume un'importanza sempre più determinante per i cittadini europei e a livello mondiale, in quanto sta diventando sempre più importante utilizzare le risorse in modo più razionale, al fine di garantire la prosperità alle generazioni future e di limitare l'impatto sull'ambiente, preservando le risorse naturali già limitate. Considerando tutto ciò, la partecipazione dell'UE dovrebbe avere anche un fine educativo, non solo sensibilizzando i visitatori, ma anche prospettando loro approcci concreti nel settore dell'alimentazione e della sostenibilità, in modo da permettere ai cittadini di cambiare in positivo i propri stili di vita riducendo, ad esempio, lo spreco di cibo e adottando scelte alimentari più sane»,

impegna il Governo:

          ad affrontare con urgenza il problema dello spreco alimentare lungo tutta la catena dell'approvvigionamento e del consumo, definendo orientamenti e sostenendo strategie per migliorare l'efficienza della catena agroalimentare, e promuovendo il confronto con tutte le organizzazioni e le categorie coinvolte, tenendo conto delle iniziative già presenti a livello nazionale;
          ad incoraggiare l'adozione di misure atte a ridurre gli sprechi alimentari come, ad esempio, l'etichettatura con doppia scadenza (commerciale e di consumo), o le vendite scontate di prodotti in scadenza o danneggiati e ad incentivare modalità di packaging differenziato tra prodotti freschi e non;
          a prevedere, in sede di aggiudicazione di appalti pubblici, norme di vantaggio per le imprese che adottano misure per ridurre gli sprechi alimentari mediante il ricorso ad approvvigionamenti in ambito locale e territoriale che salvaguardino la qualità e la tracciabilità dei prodotti garantendo inoltre una programmazione adeguata ai consumi effettivi;
          a favorire ed a promuovere accordi con le maggiori catene distributive e le industrie alimentari nazionali e straniere al fine di ridurre gli sprechi alimentari, intervenendo sul packaging (con l'obiettivo di ridurre del 10 per cento l'impatto in termini di emissioni di CO2), sui comportamenti di consumo domestico (con l'obiettivo di ridurre gli sprechi domestici di alimenti e bevande) e sugli sprechi lungo l'intera filiera distributiva (con l'obiettivo di ridurre lo spreco di prodotti e cibo);
          a realizzare iniziative e campagne informative sui prodotti freschi per indicare ai clienti il modo migliore di conservare più a lungo gli alimenti a casa, così da ridurre lo spreco alimentare;
          a sostenere, per quanto di competenza, i progetti dei comuni, delle province e delle regioni volti a consolidare metodi di lavoro che permettano di attivare in maniera progressiva il sistema di donazioni/ritiri, tenendo sotto controllo gli aspetti nutrizionali, igienico-sanitari, logistici e fiscali;
          ad incentivare e a promuovere modelli logistico-organizzativi che permettano di recuperare in totale sicurezza tutte le tipologie di prodotti, inclusi quelli che rientrano nelle categorie dei «freschi» e «freschissimi»;
          a sostenere l'affermazione di modelli agricoli sostenibili attraverso la trasformazione e il riutilizzo alimentare delle eccedenze alimentari nazionali (ad esempio, in zuppe, succhi di frutta, marmellate, gelati e altro) e la loro distribuzione a enti di aiuto alimentare;
          a promuovere progetti educativi e di sensibilizzazione nelle scuole di tutti i livelli e gradi sulle quantità di cibo sprecato nelle mense e nelle caffetterie delle scuole per consentire l'adozione di diete equilibrate, apprezzando il legame tra agricoltura, alimentazione, ambiente e salute;
          ad attivare un coordinamento tra i Ministeri competenti in materia – quali il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministero della salute e il Ministero dello sviluppo economico – e la Conferenza Stato-Regioni per la riduzione degli sprechi con l'obiettivo di: monitorare e analizzare la dimensione del fenomeno nel nostro Paese; sostenere le azioni per l'utilizzo di alimenti non consumati nella rete del commercio e della ristorazione; minimizzare tutte le perdite e le inefficienze della filiera agroalimentare favorendo la relazione diretta tra produttori e consumatori e coinvolgendo tutti i soggetti interessati con l'obiettivo di rendere più eco-efficiente la logistica, il trasporto, la gestione delle scorte, gli imballaggi;
          ad adoperarsi in sede comunitaria al fine di proclamare il 2014 «anno europeo contro gli sprechi alimentari» quale importante strumento di informazione e promozione per sensibilizzare i cittadini europei e richiamare l'attenzione dei Governi nazionali su questo importante tema nell'ottica di stanziare fondi adeguati alle sfide da affrontare nel futuro.
(1-00052) «Fiorio, Cenni, Oliverio, Luciano Agostini, Antezza, Anzaldi, Carra, Cova, Covello, Dal Moro, Ferrari, Marrocu, Mongiello, Palma, Sani, Taricco, Tentori, Terrosi, Valiante, Venittelli, Zanin, Speranza, Martella».

Risoluzioni in Commissione:


      La II Commissione,
          premesso che:
              in data 12 settembre 2012 è stato pubblicato il decreto legislativo 7 settembre 2012, n.  155, recante la nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero, in attuazione della delega di cui all'articolo 1, commi da 2 a 6, della legge 14 settembre 2011, n.  148;
              il suddetto decreto legislativo non ha secondo i presentatori del presente atto tenuto adeguatamente conto di rilievi e proposte che erano stati avanzati nel parere, approvato a larghissima maggioranza il 1o agosto 2012, dalla Commissione giustizia della Camera dopo un'approfondita indagine conoscitiva che ha coinvolto anche i consigli giudiziari delle corti di appello, anche se rappresenta un tassello, fondamentale, per una riforma complessiva che permetta un'ottimizzazione del sistema giustizia;
              il decreto legislativo, inoltre, appare essere incoerente con i princìpi fissati nella legge delega (articolo 1, legge 14 settembre 2011, n.  148) e con i criteri espressi nella relazione ministeriale di accompagno, ulteriormente specificati dal Ministro nella audizione in Commissione giustizia del 13 settembre 2012, ed in particolare con quelli di razionalizzazione del servizio giustizia, di decongestionamento dei grandi tribunali metropolitani, di necessità di tenere conto della specificità del bacino di utenza e della dimensione territoriale, della situazione infrastrutturale e della presenza di criminalità organizzata;
              richiamando alla lettera quanto già contenuto nel parere sopra richiamato per quanto riguarda la soppressione degli uffici giudiziari del tribunale di Chiavari e di Bassano del Grappa, lo stesso parere della Commissione giustizia aveva evidenziato che «a Chiavari è stato realizzato un nuovo palazzo di giustizia per 14 milioni di euro, di cui 8,7 a carico del Ministero della giustizia, costituito da una superficie di 8.900 metri quadrati adiacente alla sede del commissariato di polizia e alla casa circondariale, che risulta connessa direttamente con il nuovo palazzo, dove la Cisia ha realizzato un progetto di cablaggio: a Bassano del Grappa, il palazzo di giustizia, costituito da una superficie di 3.500 metri quadrati, l'Erario ha speso 12 milioni di euro destinati al completamento della città della giustizia»; il tribunale di Pinerolo, dal canto suo, ha avuto in consegna l'ampliamento degli uffici – con possibilità di ospitare altre 50 persone fra magistrati e personale – per il quale il Ministero della giustizia ha speso circa 800.000 euro: mentre per la ristrutturazione del tribunale di Tolmezzo sono stati spesi recentemente oltre 4 milioni di euro;
              quanto sopra esposto non solo contrasta con l'affermazione contenuta nella relazione governativa per cui «la riduzione degli uffici derivante dagli interventi di riorganizzazione comporterà complessivi risparmi di spesa», prefigurati addirittura in euro 2.889.597 per l'anno 2012, euro 17.337.581 per l'anno 2013 e 31.358.999 per l'anno 2014, ma a giudizio dei firmatari del presente atto è incoerente e contraddice la scelta governativa operata per altri tribunali sub provinciali;
              il medesimo parere sottolineava inoltre come la soppressione degli uffici giudiziari di Pinerolo, a differenza delle scelte operate in tutte le altre aree dei tribunali metropolitani ove si sono mantenuti e, in alcuni casi, anche ampliati gli uffici giudiziari submetropolitani, non solo contrasta con i princìpi dettati dalla legge delega con riguardo ai criteri previsti in relazione alle necessità di razionalizzare il servizio giustizia nelle «grandi aree metropolitane» (Pinerolo è tra l'altro il quarto ufficio giudiziario del Piemonte dopo Torino, Novara e Alessandria, 203.680 abitanti secondo COSMAG 2001 oltre 216.000 secondo il censimento 2011), ma è incoerente con tuffi i parametri indicati dalla stessa relazione ministeriale che accompagna il provvedimento e afferma: «La necessità prioritaria in tutte le grandi aree metropolitane è senza dubbio quella di procedere ad un decongestionamento dei carichi. Tale obiettivo, in ottemperanza a quanto specificamente indicato dalla legge delega (articolo 1, comma 2, lettera b): “razionalizzare il servizio giustizia nelle aree metropolitane”), è stato perseguito attraverso tre fondamentali scelte operative: impedire accorpamenti di tribunali subprovinciali alle 5 grandi aree metropolitane (Roma, Napoli, Milano, Torino e Palermo); favorire, ove possibile e ragionevole, l'accorpamento di territori delle sezioni distaccate metropolitane ai tribunali limitrofi» in maniera che appare del tutto irragionevole e contrariamente al parere espresso dalla Commissione parlamentare. Tanto è vero che, a titolo di esempio, il tribunale di Milano ha «ceduto» ai tribunali limitrofi tutti i territori delle sue sezioni distaccate, con sgravio pari ad oltre 630.000 abitanti (più di sei volte di quello che verrebbe ad avere Torino) e nel distretto di Napoli si è dato vita al tribunale di Napoli Nord;
              e ancora: si fa riferimento alla soppressione degli uffici giudiziari del tribunale di Rossano Calabro e Lucera, per i quali rispettivamente il parere della Commissione giustizia della Camera aveva evidenziato «la necessità di mantenere il Tribunale di Lucera, accorpandovi il territorio della sezione di San Severo, non solo per consentire un riequilibrio di risorse, ma soprattutto per garantire un'adeguata risposta alla criminalità organizzata, per cui – da una nota depositata in Commissione – risulta che il Procuratore della Repubblica di Lucera ha segnalato al Procuratore generale di Bari l'impatto eccezionale sul territorio di Lucera della mafia di San Nicandro Garganico, con chiari collegamenti con la mafia foggiana; la necessità di mantenere i Tribunali di Rossano (...), stante la particolare conformazione del territorio, che si sviluppa per 300 chilometri e attraversa la dorsale appenninica che separa il versante ionico da quello tirrenico con a nord il massiccio del Pollino e al centro la Sila e rende estremamente difficili i collegamenti all'interno della Regione, nonché il grave impatto del fenomeno della criminalità organizzata di stampo mafioso, come rappresentato dal Procuratore distrettuale Lombardo»;
              ciò non solo contrasta secondo i firmatari del presente atto di indirizzo con i criteri della delega, ma è incoerente con il contemperamento dei suddetti criteri generali che il Ministro, nella relazione di accompagno, afferma di aver attuato mediante l'adeguata valutazione della situazione infrastrutturale ed al tasso d'impatto della criminalità organizzata nei singoli territori interessati dall'intervento, oltre ad essere in contraddizione con le scelte governative che hanno consentito il «recupero» dei tribunali subprovinciali, tra i quali, ad esempio, Paola, Sciacca e Caltagirone;
              la soppressione nella provincia di Cuneo (che si estende per 6.903 chilometri quadrati) di tutti e tre i tribunali subprovinciali, non solo contrasta con i criteri fissati dalla delega che aveva fatto riferimento espressamente alla estensione del territorio e alla specificità del bacino di utenza anche con riguardo alla situazione infrastrutturale ed economica (nella provincia di Cuneo si articola un tessuto produttivo costituito da 80.000 piccole e medie imprese) ma è incoerente con lo stesso parametro di riferimento ottimale, individuato nella relazione di accompagno, in 2.169 chilometri quadrati di estensione territoriale per ciascun ufficio giudiziario e contraddice le scelte operate su altri distretti, ad esempio quello Ligure, che complessivamente misura 5.402 chilometri quadrati e nel quale pur sono stati mantenuti quattro tribunali;
              proseguendo il parere rilevava come incongruità riguardano anche alcuni accorpamenti territoriali che, comportando forti disagi organizzativi e funzionali, avranno incidenza negativa per l'efficienza del servizio giustizia, quali ad esempio: nel distretto della corte d'appello di Salerno, il tribunale di Sala Consilina assegnato addirittura al circondano del più piccolo tribunale di Lagonegro appartenente ad un diverso distretto (quello di Potenza) e ad un'altra regione (la regione Basilicata); nel distretto di Perugia la sezione distaccata di Todi è stata erroneamente accorpata a Spoleto, mentre geograficamente e funzionalmente appartiene a Perugia, data la breve distanza e la facilità di comunicazione lungo la direttrice nord-sud (E45 e rinnovata Flaminia);
              la soppressione nel distretto di Ancona del tribunale di Urbino, accorpato al tribunale di Pesaro, pur trattandosi di capoluogo di provincia (Pesaro-Urbino), in base al regio decreto 22 dicembre 1860, n.  4495, è secondo i firmatari del presente atto di indirizzo in palese violazione dell'articolo 1, lettera a) della legge delega, contraddice i parametri indicati nella relazione ministeriale con riferimento alla situazione infrastrutturale (che comprende i profili inerenti alla viabilità, alla presenza di adeguati collegamenti stradali e ferroviari e alla logistica), considerato che l'andamento orografico della provincia e la disposizione delle principali vie di comunicazioni che si collocano ad ovest ed est rendono complessa, se non problematica, la circolazione sia a nord, sia a sud, sia nelle zone appenniniche;
              non possono essere trascurate le oggettive difficoltà organizzative connesse sia all'adeguamento, al completamento e all'effettiva operatività delle nuove piante organiche del personale amministrativo della magistratura che alle problematiche di edilizia giudiziaria – segnalate in tutta Italia soprattutto per quanto riguarda gli accorpamenti di uffici di tribunale e di procura ed in particolare quelle derivanti dall'oggettiva difficoltà dei comuni delle sedi accorpanti quanto a risorse economiche e strutturali – che pregiudicano le concrete possibilità di attuazione dell'intera riforma nel termine di un anno, come previsto dall'articolo 11 del decreto legislativo n.  155 del 2012, con conseguente rischio di gravissime ripercussioni per i cittadini che accedono al servizio giustizia;
              è necessario a tal fine superare l'eccessiva discrezionalità insita nella disposizione transitoria di cui all'articolo 8 del decreto legislativo che prevede che «il Ministro della giustizia può decidere di autorizzare per un massimo di 5 anni l'utilizzo degli edifici già sede dei tribunali e delle sezioni distaccate soppresse senza che io Stato debba corrispondere ai comuni alcun rimborso spese»,

impegna il Governo:

          ad adottare un decreto legislativo correttivo (ai sensi dell'articolo 1, comma 5, del decreto-legge 13 agosto 2011, n.  138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 novembre 2011, n.  148), secondo tutte le indicazioni contenute in premessa, in maniera tale da rendere il provvedimento governativo più rispondente ai princìpi della legge-delega n.  148 del 2011, ed in particolare con quelli di razionalizzazione del servizio giustizia, di decongestionamento dei grandi tribunali metropolitani, di necessità di tenere conto della specificità del bacino di utenza e della dimensione territoriale, della situazione infrastrutturale e della presenza di criminalità organizzata;
          in tale sede come già evidenziato nel parere motivato della Commissione giustizia della Camera dei deputati del 1o agosto 2012, ad escludere uno dei tre tribunali subprovinciali nella provincia di Cuneo da individuarsi secondo i criteri previsti nella legge delega e nella relazione Ministeriale sentiti i rappresentanti delle istituzioni locali e ad escludere dall'elenco degli uffici di tribunale e di procura della Repubblica soppressi quelli di Pinerolo, Bassano del Grappa, Chiavari, Lucera, Rossano Calabro, (e) Urbino e Tolmezzo, al fine di evitare i più rilevanti rischi di violazione dell'articolo 76 della Costituzione;
          nell'adozione del decreto legislativo correttivo a verificare la rispondenza tra la presenza rilevante di fenomeni criminali diffusi e organizzati e la presenza di un presidio giudiziario, con particolare riferimento a quella nelle aree di maggiore e più diffusa presenza delle mafie;
          a mantenere i tribunali subprovinciali soppressi, quali sezioni distaccate;
          a mantenere quelle sole sezioni distaccate, attualmente esistenti, che per carico di lavoro riferito alle sopravvenienze, bacino di utenza, estensione territoriale (in alcuni casi più ampio della sede accorpante), caratteristiche specifiche della collocazione geografica, quale ad esempio l'insularità e le peculiarità delle zone montane o di confine o altre realtà che presentino specifiche criticità, risultano oggettivamente necessarie per ovviare, soprattutto nella prima fase di attuazione, a disagi organizzativi per la popolazione e funzionali per il servizio giustizia;
          a garantire il mantenimento delle sedi di giudice di pace presso le sezioni distaccate di tribunale che verranno soppresse, al fine di assicurare l'applicazione del principio della giustizia di prossimità, per garantire in concreto l'accesso alla giustizia da parte degli utenti che ne abbiano diritto, ovvero, nel caso in cui ciò non sia possibile, prevedere almeno la presenza di un ufficio del giudice di pace avente sede nel comune della sezione distaccata soppressa, per ciascuna provincia in cui intervenga la soppressione di una o più sezioni distaccate;
          a porre in essere iniziative dirette a sopprimere il comma 4 dell'articolo 8 del decreto legislativo che pone a carico del comune, in deroga alla normativa vigente, le spese di gestione e manutenzione degli immobili degli uffici giudiziari che rimangono attivi come sezioni distaccate.
(7-00019) «Verini, Amoddio, Bazoli, Biffoni, Campana, Ermini, Giuliani, Magorno, Marroni, Marzano, Mattiello, Morani, Moretti, Picierno, Rossomando, Scalfarotto, Tartaglione, Vazio».


      La II Commissione,
          premesso che:
              la politica di revisione della geografia giudiziaria adottata dal precedente Governo con l'esercizio della delega contenuta nell'articolo 1, comma 2, della legge n.  148 del 2011, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge n.  138 del 2011, – soppressione di tutte le sezioni distaccate dei tribunali, di quasi tutti i tribunali non capoluogo di provincia e degli uffici dei giudici di pace –, in un contesto di grave crisi del settore giustizia, ha ulteriormente aggravato la situazione del sistema. Ed, infatti, facendo solo «cassa» nell'immediato per importi modesti – senza peraltro che vengano tenuti in debita considerazione i costi del trasferimento del personale e delle risorse materiali – e producendo nel breve delle diseconomie di scala, dovute alla creazione di macro strutture di tribunali che risulteranno dei veri e propri «carrozzoni», tali da compromettere ulteriormente il già carente servizio della giustizia, la revisione causerà che molti cittadini saranno indotti, di fatto, a rinunciare alla tutela costituzionalmente garantita dei propri diritti in una sede accentrata e molte volte lontana, a discapito di una giustizia di prossimità, che, come dimostrano i dati statistici, è efficiente e oltremodo la più conforme ai parametri europei;
              i decreti legislativi 7 settembre 2012, n.  155 «Nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero, a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n.  148» e 7 settembre 2012, n.  156 «Revisione delle circoscrizioni giudiziarie-Uffici dei giudici di pace, a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n.  148», disattendono le indicazioni contenute nei pareri delle Commissioni giustizia della Camera dei deputati e del Senato, che rilevavano come i princìpi e i criteri direttivi contenuti nell'articolo 1, comma 2, della delega prevista dalla legge n.  148 del 2011, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge n.  138 del 2011, fossero stati recepiti solo in parte, poiché non si teneva conto, tra l'altro, dell'estensione del territorio, del numero degli abitanti, dei carichi di lavoro e dell'indice delle sopravvenienze, della specificità territoriale del bacino di utenza, anche con riguardo alla situazione infrastrutturale e del tasso d'impatto della criminalità organizzata, oltre a non preservare nuove strutture recentemente finanziate, tra cui quelle di Chiavari e Bassano del Grappa;
              la politica di revisione della geografia giudiziaria del precedente Governo deriva da scelte, ad avviso dei firmatari del presente atto, difficilmente apprezzabili, se si considera che in diverse circostanze, e con dichiarazioni apparse sui maggiori quotidiani nazionali, è stato affermato che la criminalità organizzata mafiosa è ben radicata nel Nord del nostro Paese, e ciò nonostante le uniche sedi di tribunale «ripescate», nel definitivo ridisegno della geografia giudiziaria, per ragioni connesse al contrasto alle mafie sono state solo quelle del Sud (Caltagirone e Sciacca in Sicilia, Castrovillari, Lamezia Terme e Paola in Calabria, e Cassino), mentre al Nord, in base agli atti del precedente Governo, non esisterebbe alcun problema di infiltrazioni della criminalità organizzata che suggerisca il mantenimento dei tribunali quali presidi del territorio,

impegna il Governo

ad adottare con urgenza un provvedimento normativo correttivo dei decreti legislativi 7 settembre 2012, n.  155, e 7 settembre 2012, n.  156, al fine di dare puntuale attuazione ai contenuti dei pareri approvati dalla Commissione giustizia della Camera dei deputati il 31 luglio e il 1o agosto 2012 e dalla Commissione giustizia dall'altro ramo del Parlamento il 31 luglio 2012, e conseguentemente di pervenire alla reviviscenza degli uffici giudiziari soppressi in difformità ai citati pareri ovvero ad adottare con urgenza un'iniziativa normativa che faccia slittare, di un periodo non inferiore a dodici mesi, l'operatività delle disposizioni concernenti la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari di cui ai decreti legislativi 7 settembre 2012, n.  155, e 7 settembre 2012, n.  156.
(7-00021) «Molteni, Attaguile».


      La IX Commissione,
          premesso che:
              in Italia il livello di incidentalità stradale è ancora assai elevato, malgrado l'obiettivo, sancito in sede europea con il libro bianco della Commissione europea sui trasporti del 2011, di dimezzare le vittime degli incidenti stradali entro il 2020 e di avvicinarsi ad azzerare il numero delle vittime nel 2050;
          una larga percentuale di incidenti stradali ha come causa i comportamenti scorretti del conducente e tra questi la guida distratta;
          è indubitabile che l'uso dei dispositivi mobili di comunicazione alla guida costituisca un importante fattore di distrazione per il conducente tale da determinare comportamenti pericolosi e passibili di generare incidentalità stradale, come dimostrano recenti indagini che hanno paragonato l'utilizzo del cellulare alla guida in stato di ebbrezza;
          è ormai assodato infatti che l'utilizzo, da parte del conducente, di dispositivi mobili mentre si trova alla guida di un autoveicolo ha l'effetto di allungare notevolmente i suoi tempi di reazione distraendo la sua attenzione dalla strada, dagli eventuali ostacoli, dal rallentare all'occorrenza fino a fermarsi e di accrescere, conseguentemente, in modo esponenziale, la probabilità di causare incidenti stradali;
          l'articolo 173 del «Nuovo codice della strada» di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n.  285, reca il divieto, per il conducente, di far uso durante la marcia di apparecchi radiotelefonici ovvero di usare cuffie sonore, e consente l'uso di apparecchi a viva voce, o dotati di auricolare purché il conducente abbia adeguate capacità uditive ad entrambe le orecchie e che non richiedano per il loro funzionamento l'uso delle mani;
          la sanzione prevista per il mancato rispetto di tale disposizione è stabilita in una somma da 160 a 641 euro, decurtazione di 5 punti sulla patente di guida e sospensione della patente di guida da uno a tre mesi in caso di recidiva nei corso di un biennio;
          la disposizione prevede una deroga per i soli conducenti dei veicoli delle forze armate, delle forze dell'ordine e di polizia, essendo stata eliminata con un recente intervento normativo (legge n.  11 del 2012) la deroga precedentemente prevista per i conducenti dei veicoli adibiti ai servizi delle strade, delle autostrade e al trasporto di persone in conto terzi, ritenuta ingiustificata e contraria all'obiettivo generale della sicurezza stradale;
          malgrado le stringenti disposizioni normative, l'uso di dispositivi mobili di comunicazione sia per conversare sia anche per inviare messaggi, interagire sui social network e, in generale, navigare sulla rete internet sta diventando un fenomeno generalizzato, con grave pregiudizio per i conducenti e per gli altri utenti della strada;
          è del dicembre 2011 una delibera del National Transportation Safety Board (Ntsb), agenzia governativa statunitense che si occupa delle indagini sugli incidenti nel settore dei trasporti, che ha proposto di mettere al bando qualsiasi uso dei telefoni cellulari durante la guida in relazione all'altissima frequenza di incidenti correlati all'uso di apparecchi radiofonici durante la marcia dei veicoli;
          nella stessa direzione si è espressa più volte l'ACI che, tra le azioni da compiere al livello nazionale per il rafforzamento della sicurezza stradale, ha più volte proposto il divieto dell'utilizzo del telefono cellulare alla guida;
          l'evoluzione tecnologica permette ad oggi l'utilizzo di telefoni cellulari con il solo ausilio della voce, senza l'utilizzo delle mani, con un'evidente diminuzione dei tempi di reazione del conducente alle situazioni critiche che spesso si verificano sulle strade;

impegna il Governo:

      a promuovere una campagna di informazione e di comunicazione volta a sensibilizzare l'utenza stradale e l'opinione pubblica in generale sui rischi derivanti dallo scorretto utilizzo dei dispositivi mobili di comunicazione alla guida, con particolare attenzione ai conducenti più giovani;
          a rafforzare i controlli sulle strade da parte degli organi preposti, al fine di sanzionare l'uso scorretto dei dispositivi mobili di comunicazione alla guida e di far adottare ai conducenti comportamenti non lesivi della sicurezza propria e degli altri.
(7-00020) «Bergamini».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta orale:


      GOZI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          sono in imminente scadenza alcuni organi di amministrazione e vigilanza di società partecipate interamente o comunque maggioritariamente dallo Stato;
          tra esse si segnalano Ferrovie dello Stato, Cassa depositi e prestiti, Invitalia, Sace, Sogin, Mefop, Sicot;
          le procedure di nomina dei rappresentanti di «mano» pubblica, incardinate prioritariamente sul Ministero dell'economia e delle finanze, sono disciplinate dalle norme interne statutarie delle società, ma sono prive di un contesto normativo e regolamentare di carattere pubblicistico, necessario a garantire inderogabili principi di trasparenza ed efficienza;
          risulta di particolare interesse per il Parlamento avere, prima del perfezionamento di dette nomine, piena contezza delle procedure e dei criteri adottati per la scelta (ed eventualmente per la conferma) degli amministratori di nomina pubblica, da estendersi, con i dovuti correttivi, anche ai componenti degli enti pubblici vigilati  –:
          se non ritengano necessario, ciascuno per le proprie competenze, procedere ad una puntuale ricognizione dell'attuale presenza pubblica nelle società partecipate, indicando le procedure ed i criteri che il Governo intende adottare per il rinnovo degli amministratori, corredata dalla illustrazione dei risultati conseguiti nella gestione in scadenza, nonché fornire una dettagliata scheda ricognitiva degli enti vigilati dall'Amministrazione centrale, in ogni sua articolazione, comprensiva dei dati relativi a numero, compenso e qualifica dei componenti degli organi di indirizzo, e contestualmente assumere iniziative per la necessaria regolamentazione delle procedure e dei criteri di nomina dei componenti nei consigli di amministrazione degli enti vigilati, ad oggi di fatto sottratti ad ogni vincolo di trasparenza e rimessi alla assoluta discrezionalità dell'organo politico di indirizzo. (3-00082)

Interrogazione a risposta scritta:


      BECHIS, LABRIOLA, ROSTELLATO, BALDASSARRE, CIPRINI, COMINARDI, TRIPIEDI, RIZZETTO, CASTELLI, CHIMIENTI, DELLA VALLE, CRIPPA e DADONE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
          al fine di porre in essere misure che rispondessero al problema persistente del precariato nella pubblica amministrazione, con legge n.  296 del 2006 (finanziaria per il 2007), articolo 1, comma 560, si disponeva che le singole pubbliche amministrazioni potessero avviare dei processi di stabilizzazione per il proprio personale precario non dirigenziale rispondendo sia ai principi costituzionali, di cui all'articolo 97 Costituzione, comma 3 (Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge») sia legislativi (l'articolo 35, del decreto legislativo n.  165 del 2001, in tema di accesso al pubblico impiego tramite concorso pubblico, riconosce una riserva al personale da tempo impiegato con contratti precari nel pubblico impiego);
          la regione Piemonte recepiva quanto disposto a livello statale con la legge regionale n.  9 del 2007 (legge finanziaria 2007), prevedendo, all'articolo 36, che la regione attivasse un processo di stabilizzazione del personale precario nei limiti e nelle modalità previste dalla legge 296 del 2006, e che la giunta regionale, attraverso un confronto con le organizzazioni sindacali, e sentita la commissione consiliare competente, predisponesse un piano per dare attuazione alla stabilizzazione del personale di cui è caso;
          con D.G.R. n.  25-6653 del 3 agosto 2007 veniva istituita una commissione bilaterale al fine di affrontare la problematica e proporre criteri per attuare il piano di stabilizzazione del personale di cui è caso, sui cui rilievi, in data 27 dicembre 2007, veniva siglato un protocollo d'intesa tra la giunta regionale e le organizzazioni sindacali con il quale si prevedeva l'attivazione, entro marzo 2008, di 3 selezioni pubbliche per titoli ed esami per le assunzioni a tempo determinato per personale di categorie D1, C1 e B1, ai sensi dell'articolo 1, comma 560, della legge n.  296 del 2006 (finanziaria per il 2007);
          con determina dirigenziale n.  550 del 30 aprile 2008 venivano bandite le selezioni pubbliche di cui al paragrafo precedente, in conformità a quanto disposto all'articolo 1, comma 560, della legge n.  296 del 2006 (finanziaria per il 2007) nella quale si prevedeva l'applicazione di una riserva del 60 per cento dei posti, sempre ai sensi della citata legge;
          con determinazioni dirigenziali n.  34 del 26 gennaio 2009, n.  411 dell'8 aprile 2009, e n.  673 del 9 giugno 2009, venivano approvate rispettivamente le graduatorie delle selezioni di cui al paragrafo precedente, rispettivamente per n.  7 posti per personale di categoria B1, 53 posti per personale di categoria C1 e n.  180 posti per personale di categoria D1, dove, su un totale di 240 posti, solamente 55 furono quelli che usufruirono di riserva, mentre 185 vincitori risultavano esterni all'amministrazione, a ragione del principio di pubblico accesso nella pubblica amministrazione;
          tale personale veniva da prima assunto con contratto triennale, e poi prorogato, mese di luglio 2012, fino al 31 dicembre 2013, in quanto inserito in un regolare processo di stabilizzazione che ne permetteva la proroga;
          ad oggi, tale personale, ormai ridotto a 198 unità, non ha ancora visto terminare il percorso di stabilizzazione iniziato nel 2007, e questo a causa di ripetuti ritardi di due diverse giunte regionali che, negli anni, hanno visto mutare lo scenario normativo nazionale;
          l'allora selezione pubblica venne bandita a tempo determinato in quanto la pianta organica della regione Piemonte non permetteva la stabilizzazione di un numero congruo, di personale entro i limiti temporali stabiliti dall'articolo 1, comma 560, della legge n.  296 del 2006 (finanziaria per il 2007), ma gli atti pubblici a monte, e gli stessi bandi di concorso, richiamavano esplicitamente alla legge sopra menzionata, e pertanto al percorso di stabilizzazione di cui trattasi;
          tale personale è stato formato dalla regione Piemonte con notevole dispendio di risorse, e le direzioni e i singoli settori in cui operano, con note inviate al presidente della regione e al presidente del Consiglio regionale a firma dei relativi responsabili (9 direttori e 77 dirigenti) ne sottolineano la professionalità e l'indispensabilità, riportando testualmente che «la mancata trasformazione di questi rapporti lavorativi in contratto a tempo indeterminato comporterebbe per le strutture regionali un vulnus irreparabile, con conseguente impossibilità di svolgimento di importanti funzioni fondamentali per il territorio piemontese»;
          la situazione venutasi a creare presso la regione Piemonte è unica su tutto il territorio nazionale e le evidenti criticità nel percorso seguito dall'amministrazione hanno generato una situazione di danno a carico dei lavoratori vincitori di regolare concorso pubblico nell'ottica di un percorso di stabilizzazione peraltro sancito dalla legge statale  –:
          quali iniziative, anche normative intendano adottare, nell'ambito delle loro competenze, in ordine alle problematiche che ha dato origine alla situazione dei 198 precari a tempo determinato della regione Piemonte, affinché sia pienamente riconosciuto il loro affermato diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro in contratto a tempo indeterminato, considerando altresì che la mancata stabilizzazione, oltre al vulnus giuridico verso i lavoratori, comporterebbe grave nocumento alla regione stessa, impossibilitata ad erogare regolarmente i servizi dovuti alla collettività, nei settori in cui detto personale opera. (4-00595)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


      PIRAS e DURANTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
          nel 1972 viene istituita la base-appoggio navale degli USA situata nell'isola di Santo Stefano, comune di La Maddalena;
          nel 1976 per porre fine alla supremazia degli interessi della Difesa su quelli locali viene istituita con legge n.  898 la Co.Mi.Pa, commissione mista paritetica regionale che ha il compito di valutare la compatibilità dei programmi militari con i piani di sviluppo territoriali. Su tale materia il parere del comitato paritetico è obbligatorio;
          all'interno dell'area militare di Santo Stefano è presente il deposito di munizioni sotterraneo passato sotto il controllo della Marina militare italiana, ubicato nella Caverna di «Guardia del Moro»;
          la dismissione della base navale USA si è completata ufficialmente il 25 gennaio 2008, facendo così cadere i vincoli di servitù militare per l'intera area;
          il Ministero della difesa, su istanza della Marina Militare, con nota del 16 febbraio 2007, ha prorogato la detta servitù militare per ulteriori cinque anni, nonostante il Co.Mi.Pa non abbia deliberato l'assenso all'imposizione della servitù medesima;
          il comune di La Maddalena ha impugnato tale provvedimento presso il TAR della Sardegna, ottenendo con sentenza n.  1342/2008 l'annullamento dell'atto;
          l'efficacia del provvedimento del TAR è stata sospesa conseguentemente alla sentenza del Consiglio di Stato;
          il riesame del Governo, avvenuto il 13 marzo 2009, presente il presidente della regione Ugo Cappellacci – con atto che all'interrogante appare assolutamente non tener conto delle legittime osservazioni del comune di La Maddalena e del Co.Mi.Pa – ha decretato l'imposizione della nuova servitù adducendo la motivazione del «superiore interesse di difesa nazionale»;
          il comune di La Maddalena ha nuovamente impugnato il provvedimento di fronte al TAR;
          il TAR della Sardegna – con sentenza del 27 febbraio 2012 – ha accolto il ricorso;
          il Consiglio di Stato ha sospeso la sentenza di primo grado in attesa del giudizio di merito, pur riconoscendo che la richiesta del comune di La Maddalena di liberarsi dal vincolo rappresenti un «interesse pubblico»;
          il Ministero della difesa ha recentemente chiesto il rinnovo del vincolo per altri 5 anni, ma il Co.Mi.Pa della Sardegna – nel maggio 2013 – ha espresso parere negativo;
          la servitù militare sull'isola di Santo Stefano esiste da ormai trent'anni;
          l'isola di Santo Stefano dal 1994 fa parte del parco nazionale dell'arcipelago di La Maddalena – istituito con legge n.  10 del 4 gennaio – oasi naturalistica e oggetto di progetto di nuovo sviluppo economico basato sulla valorizzazione della sua naturale vocazione naturalistica e turistica;
          la legge istitutiva del parco nazionale ha – con ogni evidenza – mutato il contesto nel quale insiste la servitù;
          la servitù di cui sopra agisce – per sua struttura – un grave pregiudizio al pieno dispiegamento di un progetto di sviluppo alternativo dell'isola, rendendo nei fatti incompleta la dismissione e la restituzione del territorio alla comunità locale;
          lo stoccaggio di materiale bellico e di munizioni nella caverna di Guardia dei Mori rende legittimo il dubbio di un impatto ambientale significativo nell'area,
          sia il TAR della Sardegna che il Consiglio di Stato (ordinanza n.  4943 del 23 ottobre 2008) hanno esplicitamente riconosciuto gli interessi concorrenti nella vicenda – locale (comune, parco, regione) e nazionale (difesa) – come «entrambi degni di massimo rilievo e di natura sensibile», quindi escludendo una prevalenza dell'elemento nazionale di interesse sulla vicenda della servitù in questione;
          l'autorità militare ragiona ed agisce attraverso quello che all'interrogante appare un rispetto solo meramente formale dell'obbligo di relazione con il Co.Mi.Pa, ma nella sostanza prescinde da qualsiasi sua valutazione;
          il TAR della Sardegna (sentenza del 24 febbraio 2012), con riferimento alle relazioni intercorse fra il Ministero della difesa, la regione e il comune de La Maddalena, ha ipotizzato una condizione di violazione palese del principio di leale collaborazione contenuto nel dettato costituzionale (articoli 114 e 118);
          il parere del Consiglio di Stato n.  3895 – IV sezione, 4 agosto 2008 – sancisce l'illegittimità «di un vincolo paesaggistico se lo Stato e la Regione non abbiano svolto adeguate consultazioni delle Autonomie locali coinvolte»  –:
          se intenda o meno reiterare la servitù militare;
          quali siano le intenzioni del Ministero in merito al deposito di munizioni dell'isola di Santo Stefano;
          che tipi di armi e munizioni siano contenuti e stoccati nei sotterranei del deposito;
          se si intenda verificare lo stato di rischio ambientale nel territorio limitrofo alle gallerie della Caverna «Guardia del Moro». (5-00175)

Interrogazione a risposta scritta:


      CIRIELLI. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          tutti i concorsi pubblici degli ultimi anni per il reclutamento di allievi agenti della Guardia di finanza o di altre Forze del comparto sarebbero riservati ai soli «volontari in ferma prefissata di un anno ovvero in rafferma annuale» (VFP1);
          tali bandi non menzionano, nemmeno incidentalmente, i volontari in ferma breve (VFB) di cui alla disciplina previgente alla legge n.  226 del 2004, oppure li menzionano per prevederne l'esplicita esclusione;
          con la sospensione della leva obbligatoria i volontari in ferma breve sono stati sostituiti dai volontari in ferma prefissata ed il reclutamento nelle carriere iniziali delle Forze di polizia ad ordinamento civile e militare e del Corpo militare della Croce rossa è stato riservato ai volontari in ferma prefissata dalla legge 23 agosto 2004, n, 226, ora confluita nel codice dell'ordinamento militare;
          con la legge n.  226 del 2004 non si è inteso però precludere il reclutamento nelle citate amministrazioni ai volontari in ferma breve, visto che successivamente è stata emanata la legge 23 dicembre 2009, n.  191, il cui articolo 2, comma 209, prescrive espressamente che le assunzioni nelle carriere iniziali dei Corpi di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco negli anni 2010, 2011 e 2012 devono essere destinate non soltanto ai volontari in ferma prefissata, ma anche ai volontari in ferma breve;
          l'estensione ai volontari in ferma breve della possibilità di partecipare a tali concorsi è ulteriormente confermata dal decreto-legge n.  78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge a 122 del 2010 che, pur intervenendo sulla legge n.  191 del 2009, non ha abrogato o modificato il testo del citato articolo 2, comma 209, della stessa;
          l'articolo 1, comma 4, del decreto-legge 29 dicembre 2011, n.  216, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 febbraio 2012, n.  14, ha stabilito che «l'efficacia delle graduatorie dei concorsi pubblici per assunzioni a tempo indeterminato, relative alle amministrazioni pubbliche soggette a limitazioni delle assunzioni, approvate successivamente al 30 settembre 2003, è prorogata fino al 31 dicembre 2012»;
          tale preoccupante nuova forma di disoccupazione, spesso giustificata alla luce del cosiddetto «blocco del turn over» che in Italia, ormai, viene reiterato a varie riprese da quasi 15 anni, investe anche quanti hanno rischiato la loro vita nelle missioni internazionali;
          nonostante l'esistenza e la validità delle graduatorie di concorsi già espletati, le pubbliche amministrazioni del comparto continuano però a bandire nuovi concorsi, previa autorizzazione ovviamente del dipartimento della funzione pubblica, con evidenti elevati oneri finanziari per l'amministrazione interessata;
          più razionale, oltre che conforme alle legittime aspettative di quanti già sono risultati idonei nell'ambito di una precedente selezione, sarebbe il preventivo esaurimento delle graduatorie formate alla conclusione delle precedenti procedure concorsuali;
          tale reiterata situazione comporterebbe un'assurda discriminazione, su base meramente anagrafica, di molte migliaia di giovani che, per ragioni di età, avevano già optato per l'arruolamento come volontari in ferma breve e che oggi si trovano preclusa ogni possibilità di inserimento nell'ambito della Guardia di finanza e comunque nelle altre forze del comparto, frustando così le proprie legittime aspettative di carriera e di vita;
          altra preoccupante situazione è poi quella che investe quanti sono risultati, non solo idonei, ma altresì vincitori di concorsi pubblici e ancora in attesa di essere arruolati, vittime innocenti della revisione della spesa pubblica;
          con l'approvazione del decreto-legge 6 luglio 2012, n.  95, recante «Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini» (cosiddetto «spending review»), il Governo ha infatti ridotto la possibilità per le amministrazioni che si occupano del settore, quindi per la polizia di Stato, per l'Arma dei carabinieri, per il Corpo della guardia di finanza, per il Corpo forestale dello Stato, per la polizia penitenziaria, per il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, di ripianare la carenza organica di suddetti Corpi solamente al 20 per cento per il triennio 2012-2014 e al 50 per cento nell'anno 2015;
          tale situazione aggrava in modo particolare la funzionalità e l'efficienza di questi Corpi e potrebbe determinare il collasso del funzionamento del settore sicurezza e soccorso pubblico e l'impossibilità di agire da parte degli operatori delle forze dell'ordine, mettendo a rischio i diritti peculiari dei cittadini;
          nella legge di stabilità 2012, sono stati approvati interventi correttivi per contrastare il ridimensionamento delle dotazioni organiche delle forze dell'ordine e innalzare il limite del turnover  –:
          se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, ritenuto che tale «selezione preventiva» rappresenta una palese disparità di trattamento, se intenda esaminare la possibilità di soddisfare la richiesta dei cittadini che hanno prestato servizio nelle Forze armate quali volontari in ferma breve;
          quali iniziative si intendano assumere per porre rimedio alla problematica legata agli idonei, vincitori. (4-00591)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta scritta:


      SANDRA SAVINO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          il 22 giugno 2012 veniva convertito in legge 7 agosto n.  134 il cosiddetto «decreto crescita» che tra l'altro interveniva sui meccanismi di incentivazione alle ristrutturazioni degli edifici;
          la percentuale del 36 per cento per le ristrutturazioni veniva aumentata al 50 per cento e l'importo massimo di spesa per ogni unità abitativa saliva da 48.000 a 96.000 euro;
          il termine di un anno, essendo la scadenza fissata per il 30 giugno 2013, risulta essere alquanto limitato in considerazione del fatto che i 12 mesi previsti per l'avvio di una pratica, compresi progettazione e lavori, sono un periodo troppo limitato;
          la maggior parte delle opere di ristrutturazione comprendono interventi nell'ambito del miglioramento dei volumi di consumo energetico per le famiglie e quindi comportano un generale beneficio all'economia, oltre all'indotto generato dai lavori  –:
          data l'imminente scadenza dei termini, se non si ravveda la necessità di assumere iniziative normative per prorogare i suddetti termini, in virtù degli effetti positivi che da ciò potrebbero scaturire nell'ambito per il rilancio dell'economia e dell'occupazione in settori che stanno soffrendo l'attuale momento di crisi.
(4-00587)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:


      MOLTENI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          come risulta dalla agenzia di stampa del 20 maggio 2013, il Ministro Cancellieri ha dichiarato che per risolvere il problema del sovraffollamento carcerario del nostro Paese non bastano nuove carceri ma occorre ripensare il sistema delle pene, valutando se non ci siano spazi ulteriori per quelle alternative;
          la capienza regolamentare dei 206 istituti presenti nel nostro, Paese è di 47.045 posti e che se dal totale dei detenuti presenti nelle nostre carceri (65.917) vengono sottratti quelli stranieri, (23.438), si ottiene un numero di detenuti (42.479), ben al di sotto della capienza regolamentare (47.045);
          i Paesi di maggior provenienza dei detenuti stranieri sono: Marocco (19 per cento con 4.449 detenuti), Romania (15,9 per cento con 3.715 detenuti), Tunisia (12,4 per cento con 2.905 detenuti) e Albania (12 per cento con 2.896 detenuti);
          la presenza di detenuti stranieri si concentra negli istituti del Nord Italia, come dimostrano i più recenti dati pubblicati sul portale del Ministero della giustizia: ad esempio in Campania su 8.292 detenuti solo 998 sono stranieri, mentre in Lombardia su 9.390 detenuti 4.202 sono stranieri ed ancora in Liguria su 1.889 detenuti sono 1.102 quelli stranieri ed in Valle d'Aosta su 284 detenuti quelli stranieri sono la quasi totalità, ossia 204;
          Lombardia e Veneto hanno il primato per l'impiego dei detenuti nei posti disponibili; in Campania ad esempio su 168 posti disponibili solo 32 sono occupati;
          va tenuto conto del costo dei detenuti nelle nostre strutture carcerarie  –:
          quali iniziative di competenza intenda intraprendere per far scontare la pena detentiva dei detenuti stranieri nei loro Paesi di origine, quanti e quali accordi con tali Paesi siano ad oggi in essere, quale sia lo stato di effettiva applicazione degli stessi, quale sia il numero dei detenuti ad oggi inviati in patria, quale sia il costo effettivo giornaliero dei detenuti nelle nostre carceri e quali iniziative si intendano assumere per implementare l'impiego dei detenuti in attività lavorative. (4-00589)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


      FRATOIANNI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – Premesso che:
          il 26 e 27 di maggio 2013 si terranno le elezioni amministrative nel comune di Molfetta (BA);
          in data 15 maggio 2013 la candidata del centro-sinistra, Paola Natalicchio, ha avuto un incontro col prefetto di Bari a cui ha rappresentato le diverse segnalazioni ricevute da tantissimi cittadini sui gravissimi episodi posti in essere da chi sta tentando di inquinare il risultato elettorale delle prossime elezioni amministrative;
          in data 23 maggio 2013 sul sito del quotidiano «La Repubblica» è apparso un video denuncia in merito ad azioni volte ad ottenere la preferenza elettorale, offrendo in cambio, ad alcuni cittadini molfettesi, utilità varie: gite, viaggi, buoni benzina nonché schede di ricariche telefoniche;
          le suddette azioni rappresentano a giudizio dell'interrogante un vero e proprio sistema di voto di scambio;
          la candidata a sindaco di Molfetta del centro-sinistra, Paola Natalicchio, ha presentato un esposto-denuncia all'autorità giudiziaria competente  –:
          quali iniziative urgenti di competenza il Ministro dell'interno intenda porre in essere per garantire il regolare svolgimento delle elezioni amministrative del comune di Molfetta (BA). (4-00583)


      SBROLLINI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          sono 650 i lavoratori precari del Ministero dell'interno, impiegati presso gli sportelli unici per l'immigrazione delle prefetture e negli uffici stranieri delle questure che rischiano di perdere il posto di lavoro;
          la scadenza dei loro contratti a tempo determinato è fissata per il 30 giugno 2013;
          nel 2003, per far fronte alla regolarizzazione seguita alla legge Bossi-Fini, vennero assunti i primi lavoratori interinali. Dopo tre anni e mezzo di rinnovi, tramite un concorso pubblico del 2007 che prevedeva l'assunzione con contratto a tempo determinato della durata di 3 anni, 650 dipendenti vennero assunti. Furono tuttavia fatti firmare due contratti distinti, uno della durata di due anni e successivamente un altro da uno, contrariamente a quanto prevedeva inizialmente il concorso. Successivamente tali contratti continuarono ad essere prorogati con scadenza semestrale o annuale;
          gli uffici stranieri delle questure e gli sportelli unici per l'immigrazione delle prefetture sono da anni gravati dal lavoro e questo dato rende evidente che il reclutamento dei 650 dipendenti non può essere legato a strategie organizzative di carattere temporaneo;
          nel corso del decennio 2003-2013, i 650 lavoratori, che per il ruolo che svolgono detengono dati sensibili, hanno acquisito specifiche competenze e sono oggi personale qualificato costretto a vivere nell'instabilità contrattuale e nella conseguente insicurezza economica  –:
          se siano a conoscenza di quanto sopra esposto, se non intendano procedere alla stabilizzazione dei 650 precari che prestano servizio presso gli sportelli unici per l'immigrazione delle prefetture e presso gli uffici immigrazione delle questure, dove risultano essere indispensabili per espletare l'ordinaria attività degli uffici territoriali del Governo. (4-00585)


      CHAOUKI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          a Roma sulla base di un'operazione, voluta in primis dal comune, sul quale ricade l'onere dell'accoglienza e soprattutto il dovere di tutela ai minori senza famiglia, si sta mettendo in campo una sorta di censimento-accertamento, per mezzo di controlli forzosi, di moltissimi giovanissimi stranieri, a fronte di un oggettivo abbassamento dell'età dei nuovi flussi migratori, in particolare provenienti dal Bangladesh;
          si tratta di un fenomeno che andrebbe, ovviamente, studiato e affrontato adeguatamente, che registra la presenza di nuovi giovanissimi migranti per i quali Roma non è più città di transito, come nel caso dei minori afghani o iraniani, che da anni transitano in città senza che il comune o le autorità se ne siano occupati in alcun modo, ma per i quali la capitale pare diventata la meta finale;
          in particolare, l'interrogante segnala il caso di tre giovanissimi ragazzi bengalesi, precedentemente portati al Celio per l'accertamento dell'età in seguito ad una visita piuttosto invasiva, che sono stati prelevati dal centro di accoglienza San Michele e, in quanto giudicati maggiorenni resi destinatari di un decreto di espulsione, accompagnati direttamente al Centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria per non aver ottemperato all'obbligo di recarsi all'ufficio operativo dove avrebbero dovuto prelevare il foglio di via: i tre, visibilmente molto giovani anche agli occhi del personale del Centro di identificazione ed espulsione, sono stati sottoposti ad una nuova visita presso l'ambulatorio del centro;
          per uno solo di loro la minore età è stata immediatamente accertata e dichiarata, ma il minore ha comunque trascorso la notte nel Centro di identificazione ed espulsione, nella sezione maschile, dal quale è potuto uscire e fare ritorno al centro solo la mattina seguente;
          per gli altri due invece l'attesa è stata più lunga: in seguito alle pressioni esercitate dalle associazioni e, probabilmente in virtù dei dubbi ancora legati alla loro età anagrafica, i due ragazzi hanno trascorso la notte di venerdì nella sezione femminile, in una stanza a parte, e sono stati fatti uscire solo nel pomeriggio di sabato;
          i ragazzi erano già stati tradotti al Centro di identificazione ed espulsione a fine di marzo dalla polizia locale di Roma Capitale per essere poi riaffidati, data la visibile giovanissima età, al centro per minori che li aveva in carico e il 13 maggio 2013 i due ragazzini sono stati tuttavia riconvocati dagli uffici comunali e poi ricondotti al Centro di identificazione ed espulsione, dove si trovano attualmente in condizioni di vulnerabilità estrema. Alla base di quello che l'interrogante considera un vero accanimento, vi sarebbe un provvedimento del giudice tutelare di Roma a seguito di una comunicazione della polizia di Roma Capitale: intanto lo stesso giudice tutelare ha disposto la sospensione o la revoca di tutte le tutele per minore età, gettando nella paura gli oltre mille ragazzi accolti nei centri: si è trattato, come ha rilevato l'ASGI, di un decreto «che espressamente si rivolge ai minori di origine bengalese e stabilisce che dovranno considerarsi maggiorenni tutti i ragazzi che si rifiutano di sottoporsi a una seconda visita di accertamento dell'età»;
          tutto ciò accade mentre il mondo intero guarda con preoccupazione alla gravissima emergenza umanitaria e sociale in corso in Bangladesh, e a pochissimi giorni dalle elezioni a Roma: un'amministrazione uscente che sembra accanirsi fino all'ultimo con una delle comunità straniere più radicate in città;
          i controlli sommari del comune sono infatti ripartiti proprio in questi giorni, dopo una pausa di qualche settimana e tantissimi ragazzi continuano ad allontanarsi spaventati dai centri, sprofondando nella clandestinità;
          i legali dell'Asgi segnalano che si tratta di un controllo a tappeto a partire dagli ultimi arrivi per andare a ritroso nel tempo fino agli arrivi della cosiddetta emergenza nord Africa, ma la procedura è di carattere amministrativo, dunque non c’è un ordine individuale da parte della magistratura, che diventa penale solo successivamente, quando l'ospite, dichiarato maggiorenne, oltre al decreto di espulsione viene accusato di reati pesantissimi  –:
          se il Ministro sia a conoscenza dei gravi fatti suesposti, e se non ritenga, per quanto di competenza, di dover far luce sulle procedure messe in atto nei confronti dei giovani bengalesi, nonché quali iniziative urgenti intenda mettere in atto per intervenire, anche sotto il profilo normativo, su una situazione che coinvolge minori, della cui tutela e protezione è direttamente responsabile lo Stato italiano nelle sue varie articolazioni. (4-00594)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      VALIANTE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 24 del decreto-legge n.  201 del 2011, convertito, con modificazioni, in legge n.  214 del 2011, al comma 2, prevede che a decorrere dal primo gennaio 2012, con riferimento alle anzianità contributive maturate a decorrere da tale data, la quota di pensione corrispondente a queste anzianità è calcolata secondo il sistema contributivo;
          nella circolare dell'Inps n.  35 del 2012 si esplicita che il citato articolo 24 si ispira, in particolare, a principi e criteri di equità e convergenza intragenerazionale e intergenerazionale, con abbattimento dei privilegi e clausole derogative soltanto per le categorie più deboli, e di semplificazione, armonizzazione ed economicità dei profili di funzionamento delle diverse gestioni previdenziali;
          come esemplificato nella citata circolare dell'Inps n.  35 del 2012 e in quella successiva, n.  37, dello stesso anno, nei confronti dei soggetti in possesso di almeno 18 anni di contribuzione al 31 dicembre 1995, si applica un sistema di calcolo misto di pensione: ferma restando la valutazione con il sistema retributivo delle anzianità contributive maturate fino al 31 dicembre 2011, la quota di pensione relativa alle anzianità contributive maturate a partire dal primo gennaio 2012 è determinata con il sistema di calcolo contributivo;
          sulla base di questo calcolo, la quota maturata con il sistema retributivo al 31 dicembre 2011 è calcolata con le modalità previste dagli articoli 7 e 13 del decreto legislativo n.  503 del 1992, i quali prevedono due quote:
              una quota di pensione in base all'anzianità contributiva maturata al 31 dicembre 1992, le cui annualità sono moltiplicate con i relativi coefficienti;
              una quota di pensione in base all'anzianità contributiva maturata dal primo gennaio 1993 fino al 31 dicembre 2011, le cui annualità sono moltiplicate con i relativi coefficienti;
          il risultato pensionistico finale che viene a determinarsi alla luce di quanto premesso risulta essere composto dalla somma della quota di pensione maturata, secondo il sistema retributivo, al 31 dicembre 2011, come precedentemente descritta, e della quota di pensione come determinata, secondo il sistema contributivo pro-rata, per il periodo intercorrente tra il primo gennaio 2012 e la data di pensionamento. La regola vale per tutti i dipendenti, pubblici e privati;
          è evidente che tutto quanto attiene successivamente alla data di entrata in vigore della menzionata legge di riforma dei trattamenti pensionistici, in termini di miglioramenti ovvero peggioramenti retributivi, non può incidere sulla pensione se non in riferimento ai contributi effettivamente versati;
          tuttavia, alla luce della interpretazione dell'Inps, in fase applicativa del calcolo delle pensioni, continua a restare in piedi in modo ingiustificato il sistema retributivo, giacché la pensione rapportata alla retribuzione si calcola sull'ultima retribuzione percepita al momento di pensionamento del lavoratore, anche successivamente alla data di entrata in vigore della riforma pensionistica, anziché su quella riferita a fine anno 2011;
          questa interpretazione produce un doppio vantaggio al dipendente che può andare in pensione con il sistema di calcolo misto a partire dal 2012, risultando beneficiario non solo della quota contributiva pro-rata, ma anche dei successivi incrementi stipendiali e quindi dei conseguenti maggiori contributi versati;
          il principio di equità risulta disatteso nell'applicazione della riforma pensionistica. Il motivo sembrerebbe ricondotto alla mancata abrogazione del citato articolo 13 del decreto legislativo n.  503 del 1992. Eppure l'ultima retribuzione andrebbe riferita non a quella percepita al momento del pensionamento ma a quella del 31 dicembre 2011, giacché dal primo gennaio 2012 vale il sistema contributivo di calcolo  –:
          alla luce di quanto premesso, quali iniziative intenda tempestivamente adottare, al fine di porre rimedio al problema rappresentato, ripristinando il principio di equità a livello pensionistico, in un momento, quello attuale, di scarse risorse economiche, che mal sopporta ingiustificate disparità di trattamento. (5-00176)


      LABRIOLA, ROSTELLATO, COMINARDI, BECHIS, TRIPIEDI, RIZZETTO, CIPRINI, BALDASSARRE, D'AMBROSIO, L'ABBATE, DE LORENZIS, BRESCIA, FURNARI, SCAGLIUSI e CARIELLO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          il 14 marzo 1998 vari soggetti istituzionali, tra cui il Ministero del lavoro, siglavano un accordo denominato «contratto d'area» avente ad oggetto la realizzazione di una pluralità di iniziative imprenditoriali da impiantarsi nell'area industriale di Manfredonia/Mattinata/Monte Sant'Angelo;
          l'intensa attività di promozione del «contratto d'area» e la collaborazione tra i vari soggetti firmatari, favorì, effettivamente, grande attenzione da parte del mondo imprenditoriale, decretando, così, il successo di tale forma di programmazione negoziata ed il conseguente insediamento di numerose aziende attratte dal potersi avvalere dei mezzi finanziari garantiti dalla legge n.  488 del 1992 o dalle altre forme di sovvenzione ivi previste;
          tra gli interventi per la promozione dell'area vi fu anche l'invito, rivolto alle associazioni imprenditoriali del Nord-Est, a delocalizzare le produzioni pervenendo financo alla definizione di un protocollo di intesa per lo sviluppo del partenariato di impresa tra l'area di Treviso, Vicenza e Foggia;
          al «contratto d'area» è seguita la sottoscrizione di tre protocolli di intesa aggiuntivi, con relative cospicue sovvenzioni, che favorirono, tra gli altri, l'insediamento nell'area industriale dell'azienda «Manfredonia Vetro spa» che occupò da subito 204 lavoratori;
          a dispetto delle roboanti attese di decollo dell'area e la massiva partecipazione di aziende che hanno di fatto fruito di incentivi e sovvenzioni, ad oggi, si sarebbe invece prossimi al fallimento del «contratto d'area», in presenza di numerose aziende che sarebbero state finanziate e mai insediate o di altre che, pur presenti sul sito industriale, hanno già avviato procedure di mobilità e licenziamenti;
          tale stato di cose è stato più volte denunciato dalle organizzazioni sindacali di riferimento, ad avviso delle quali emergerebbero criticità in riferimento ai piani industriali di talune delle aziende che avevano aderito alle intese, le quali, oggi, starebbero procedendo a licenziamenti pur dislocando le medesime attività presso diverse aree produttive del paese;
          tra le varie situazioni emerge in queste ore quella relativa alla «Manfredonia Vetro spa»  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza della descritta situazione in seno all'area industriale tutta ed a quella relativa alla «Manfredonia Vetro spa» in particolare e, conseguentemente, se sia intendimento del Governo – a tutela dei forti investimenti già fatti e qualora non già attivatosi – porre in essere ogni azione di competenza volta alla verifica del rispetto del «contratto d'area» da parte delle aziende che vi avevano aderito nonché a salvaguardare i livelli produttivi ed occupazionali di tutta l'area industriale di Manfredonia/Mattinata/Monte Sant'Angelo. (5-00177)

Interrogazioni a risposta scritta:


      CIRIELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          in una situazione di crisi del mercato immobiliare, che negli ultimi anni ha investito il nostro Paese, la città di Roma sta registrando una vera e propria emergenza abitativa;
          a tale già preoccupante situazione si aggiungono le dismissioni del patrimonio immobiliare di numerosi enti, previdenziali e, in particolare, quella della Cassa ragionieri e periti commerciali, nata nel 1963 come ente di diritto pubblico, costituito per garantire trattamenti di previdenza e assistenza agli iscritti e ai loro supersiti;
          in particolare, come si legge nella stessa relazione sulla gestione del bilancio 2011 della Cassa, l’iter di dismissione sarebbe stato avviato con l'apporto della maggior parte del patrimonio immobiliare al fondo Scoiattolo, costituito e gestito dalla BNP Paribas REIM Italy SGR p.A.;
          da notizie riportate da organi di stampa locali e nazionali, la Cassa avrebbe intenzione di dismettere il suo patrimonio, in forme che non sembrano conformi alla disciplina normativa che regola la dismissione degli immobili degli enti pubblici;
          gli attuali inquilini degli immobili avrebbero, infatti, ricevuto dalla BNP Paribas una proposta irrevocabile di acquisto, relativa agli appartamenti dagli stessi condotti in locazione;
          tale procedura secondo l'interrogante viola in primo luogo la legge del 7 agosto 2012, laddove non riconosce il diritto di prelazione ai conduttori, diritto che sussiste in capo agli inquilini di tutti gli enti privatizzati, esclusa unicamente l'ENASARCO a seguito della legge n.  228 del 2012;
          la suindicata norma al comma 11-bis dell'articolo 3 prevede, a riguardo, che «in considerazione delle particolari condizioni del mercato immobiliare e delle difficoltà di accesso al credito, al fine di agevolare e semplificare le dismissioni immobiliari da parte degli enti previdenziali inseriti nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuati dall'ISTAT ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n.  196, il termine per l'esercizio da parte dei conduttori del diritto di prelazione sull'acquisto di abitazioni oggetto delle predette procedure non può essere inferiore a centoventi giorni a decorrere dalla ricezione dell'invito dell'ente»;
          tale disposizione interviene anzitutto a chiarire la sussistenza del diritto di prelazione in capo agli inquilini di tutti gli enti previdenziali individuati dall'elenco ISTAT e conferma la natura pubblica dei suddetti enti, poiché regolandone la dismissione immobiliare, realizza un'ingerenza nelle modalità di gestione del loro patrimonio che, qualora si trattasse di soggetti privati, non sarebbe consentita dai princìpi della Costituzione;
          la Cassa non potrebbe agire quale soggetto di diritto privato, gestendo il proprio patrimonio liberamente, bensì dovrebbe ottemperare alle norme statuite per gli enti pubblici e, di conseguenza, seguire le relative procedure di dismissione;
          non da ultimo tale dimissione non può sottrarsi all'applicazione del complesso normativo relativo alla dismissione degli immobili degli enti pubblici soltanto perché è ricorsa all'utilizzo dello strumento dei fondi per attuare l'alienazione del suo patrimonio immobiliare;
          l'istituzione di un fondo comune di investimento non comporta, infatti, la creazione di un soggetto giuridico autonomo, ma di un mero patrimonio separato, per cui la Cassa non può esimersi dall'essere ancora considerata proprietaria degli immobili;
          a ciò si aggiunga il fatto che la proposta di compravendita indicherebbe un prezzo di vendita notevolmente elevato rispetto al valore di mercato, che non terrebbe affatto conto né delle condizioni attuali in cui versano gli immobili, né della totale assenza di manutenzione ordinaria mai effettuata in tutti questi anni, né del fatto che si tratta di immobili realizzati in ambito di edilizia popolare;
          tale comportamento costituisce un serio ostacolo all'acquisto degli immobili per tutti gli inquilini, data l'elevata consistenza degli stessi valori e tenuto anche conto dell'attuale situazione di crisi economica generale;
          è interesse della maggioranza degli inquilini pervenire, con tempistiche brevi, all'acquisto della propria abitazione a condizioni economiche ragionevoli, similmente a quanto è accaduto negli anni scorsi per migliaia di famiglie in affitto presso enti previdenziali pubblici e privati;
          il quadro delineato desta non poche preoccupazioni, soprattutto quando è in gioco la possibilità per molte famiglie di acquistare la casa che già abitano, obiettivo che ha da sempre condizionato scelte di vita e di investimento di interi nuclei familiari  –:
          se i Ministri siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative intendano adottare per garantire l'applicazione della disciplina normativa che regola la dismissione degli immobili degli enti pubblici, anche al fine di risolvere l'emergenza abitativa legata alla gestione dei patrimoni immobiliari da parte degli enti previdenziali privatizzati, un fenomeno che si sta allargando a macchia d'olio sul territorio della Capitale.
(4-00584)


      TENTORI e FRAGOMELI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          in data 2 ottobre 2012 il Sottosegretario al lavoro e alle politiche sociali pro tempore, Michel Martone rispondeva in Commissione lavoro all'atto di sindacato ispettivo n.  5-06869 delle onorevoli Schirru, Gnecchi e Codurelli che poneva all'attenzione del Governo la questione della maggiorazione contributiva per i lavoratori con invalidità in aspettativa sindacale. Nello specifico veniva citata la circolare INPS n.  29 del 30 gennaio 2002 concernente i benefìci di cui all'articolo 80, comma 3, della legge n.  388 del 2000, che pregiudicherebbe la posizione previdenziale di quei lavoratori sordomuti o gravemente disabili che svolgano attività sindacale in posizione di distacco, tenuto conto che nei loro confronti la contribuzione figurativa accreditata per legge per periodi di aspettativa sindacale non viene valutata ai fini del riconoscimento del beneficio della maggiorazione contributiva disposto dalla norma legge n.  388 del 2000;
          la legge n.  388 del 2000 (articolo 80, comma 3) consente, infatti, ai lavoratori invalidi ai quali viene riconosciuta un'invalidità superiore al 74 per cento o sordomuti, di usufruire di un beneficio di due mesi di contribuzione figurativa nella misura di due mesi per ogni anno di lavoro fino ad un massimo di 5 anni, utili ai fini pensionistici e dell'anzianità contributiva; la norma in esame riconosce il diritto alla maggiorazione «...per ogni anno di servizio effettivamente svolto, presso pubbliche amministrazioni o aziende private ovvero cooperative (...)»;
          i lavoratori in aspettativa sindacale svolgono di fatto un'attività lavorativa: per questo sono assicurati contro gli infortuni sul lavoro ed è stato garantito loro il diritto alle prestazioni economiche previdenziali quali indennità di malattia, tubercolosi e maternità. Inoltre, il lavoratore in distacco sindacale svolge regolare attività lavorativa sotto le direttive e per le finalità dell'organizzazione sindacale presso cui lavora o ricopre la carica elettiva. Il valore figurativo per il calcolo dell'accredito è computato sulla retribuzione prevista dal contratto in essere al momento del collocamento in aspettativa;
          alcune circolari dell'INPS prevedono, che non si dia luogo all'accredito della maggiorazione ex articolo 80 della legge n.  388 del 2000 per periodi di aspettativa sindacale dal momento che i periodi di distacco sindacale non sono considerati alla stregua di un effettiva attività lavorativa;
          confermando tali disposizioni dell'INPS, verrebbero meno i princìpi dettati dalla legge n.  300 del 1970 la quale ha voluto garantire l'effettiva possibilità di esercitare, senza pregiudizio per la posizione previdenziale, l'attività sindacale ed inoltre questi lavoratori si troverebbero discriminati rispetto ad altri lavoratori, in particolare rispetto a quelli assunti dalle stesse organizzazioni sindacali che, peraltro, svolgono la medesima attività lavorativa;
          il Ministro competente veniva sollecitato ad avviare le necessarie comunicazioni e specificazioni al sistema di previdenza INPS, esplicitando e sottolineando come questi lavoratori succitati di fatto versassero regolari contributi e avessero pertanto diritto al riconoscimento della maggiorazione contributiva sui periodi durante i quali fossero sono stati collocati in aspettativa sindacale, ai sensi della 300 del 1970. Nella risposta il Sottosegretario pro tempore Martone prendeva atto dell'indubbia rilevanza della questione segnalata e garantiva un approfondimento adeguato della questione al fine di valutarne l'effettiva correttezza sotto il profilo tecnico-giuridico della tesi posta a fondamento della circolare (e in particolare, della tesi secondo cui il periodo di distacco sindacale – nel corso del quale viene accreditata una contribuzione di tipo figurativo – non potrebbe essere assimilato sotto ogni aspetto a un periodo di servizio effettivamente svolto);
          ad oggi non sembra essere stata ancora effettuata alcuna verifica o approfondimento della questione da parte del Governo nei confronti dell'INPS, tanto che vi sono casi in cui sono stati avviati dei ricorsi amministrativi  –:
          se non ritenga necessario che venga fatta maggiore chiarezza interpretativa sulla questione esposta in premessa anche al fine di tutelare i diritti legittimi dei lavoratori con disabilità in distacco sindacale. (4-00586)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta scritta:


      REALACCI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro degli affari esteri, al Ministro per gli affari europei, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          da un articolo di Raffaele Nespoli, pubblicato su L'Unità del 27 maggio 2013, dal titolo «Rosso Camorra – Così il pomodoro cinese diventa Made in Italy» si apprende che molti prodotti agroalimentari coltivati in Cina arrivano in Italia e in altri Paesi dell'Unione europea con un marchio di provenienza e qualità italiana. Questi, nella maggior parte dei casi, crescono e vengono lavorati in decine di immensi campi di lavoro per i detenuti, o forse sarebbe meglio descriverli come campi di concentramento, in condizione sanitarie e umane al limite della sopravvivenza. La gestione di questi luoghi che all'interrogante appaiono pogrom è governativa;
          come lamenta da tempo Coldiretti: «dalla Cina sono stati importati in Italia 85 milioni di chili di pomodori conservati nel 2012 ottenuti anche da lavori forzati in imprese agricole lager, i cosiddetti Laogai, che interessano su 1,4 milioni di ettari di terreni che producono per il mercato interno e per l'esportazione. Dal Paese del Fiume Giallo l'Italia ha importato prodotti agroalimentari per un valore stimato pari a oltre mezzo miliardo di euro tra pomodori, ortaggi e frutta conservata, aglio e legumi mentre il valore delle esportazioni Made in Italy è pari a poco più della metà»;
          dal libro inchiesta «Cibo Criminale» curato da Mara Monti e Luca Ponzi emerge inoltre il fatto che non sussistano norme europee che vietino l'importazione a livello nazionale e comunitario di merci provenienti da campi di lavoro: regole che già esistono negli Stati Uniti d'America ed anche in Canada. E così ogni giorno nei porti italiani vengono sbarcati 1500 fusti da 200 chilogrammi l'uno di triplo concentrato di pomodoro proveniente dalla Cina per farlo poi lavorare in aziende campane, aggiungendo magari acqua e sale confezionandolo come prodotto italiano di qualità;
          si apprende poi da molti articoli pubblicato online che spesso il concentrato di pomodoro cinese importato viene poi acquistato e rilavorato da numerose e importanti aziende conserviere italiane anche nel periodo invernale, per produrre tubetti e vasetti destinati ai Paesi africani e ad aziende europee per le bottiglie di ketchup, per i sughi pronti e altri prodotti dove il pomodoro risulta un ingrediente minore;
          l'agromafia, come confermato dal procuratore generale della Repubblica di Napoli, coinvolge sovente anche le grandi aziende. Per il procuratore Vittorio Martusciello questo risulta possibile perché il sistema legislativo europeo risulta «obsoleto» soprattutto perché: «l'articolo 28 del Codice doganale comunitario, assegna l'etichetta Made in Italy anche a una merce confezionata da due o più Paesi»;
          gli interessi tra criminalità organizzata e esportatori cinesi producono un giro di affari milionario a danno della produzione italiana di qualità e della tutela del consumatori e della loro salute  –:
          quali iniziative urgenti intendano mettere in campo i Ministri interrogati per rafforzare i controlli doganali presso i porti di sbarco dei prodotti agroalimentari provenienti da Paesi extraeuropei e presso tutta la filiera produttiva e commerciale dell'agroalimentare italiano per verificare eventuali frodi in commercio a tutela delle produzioni che rispettano le leggi nazionali e a salvaguardia del made in Italy;
          se non ritengano utile portare a livello comunitario la questione dell'aggiornamento dell'articolo 28 del codice doganale europeo che assegna, come già detto, l'etichetta made in Italy a merce lavorata in due o più Paesi. (4-00588)

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E SEMPLIFICAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


      FEDI. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
          la legge 22 marzo 2012, n.  38, recante «Modifiche al decreto legislativo 30 marzo 2001, n.  165, in materia di diritti e prerogative sindacali di particolari categorie di personale del Ministero degli affari esteri» (Gazzetta Ufficiale n.  86 del 12 aprile 2012), ha riconosciuto al personale a contratto che lavora presso le sedi diplomatico-consolari del Ministero degli affari esteri e gli istituti di cultura parità di diritti sindacali rispetto alle altre categorie di lavoratori;
          la legge menzionata richiede comunque l'adozione delle norme del decreto legislativo n.  165 del 2011, indispensabile al fine di garantire l'effettività della parità di trattamento in termini di diritti sindacali del personale assunto con contratto locale dal Ministero degli affari esteri; tale decreto, all'articolo 42 prevede che nelle pubbliche amministrazioni la libertà e l'attività sindacale sono tutelate nelle forme previste dalle disposizioni della legge 20 maggio 1970, n.  300 – statuto dei lavoratori – e successive modificazioni ed integrazioni;
          il titolo II della legge n.  300 del 1970 contiene, a sua volta, una serie di disposizioni volte a rafforzare l'effettività del principio di libertà sindacale sul posto di lavoro e il decreto legislativo n.  165 del 2001 conferma dunque la vigenza dei diritti previsti dallo statuto dei lavoratori per tutti i dipendenti indipendentemente dal fatto che questi siano destinatari o meno della contrattazione collettiva;
          a oltre un anno dall'approvazione della legge 22 marzo 2012, n.  38, il personale a contratto non può ancora godere a pieno titolo delle prerogative sindacali, poiché, a seguito di parere richiesto con ritardo dal Ministero degli affari esteri all'ARAN e al dipartimento della funzione pubblica circa eventuali adempimenti tecnici, si è rinviata l'applicabilità della norma ad un accordo tra Aran e organizzazioni sindacali rappresentative ai fini del disposto dell'articolo 50 del decreto legislativo n.  165 del 2001 (contenimento e razionalizzazione dei permessi sindacali);
          ad un atto parlamentare del medesimo interrogante del 22 ottobre 2012, da parte del Ministro pro tempore si rispondeva che l'accordo in materia dell'Aran con le organizzazioni sindacali rappresentative era stato stipulato in data anteriore alla pubblicazione della legge n.  38 del 2012 e, quindi, non aveva potuto tener conto delle novità da essa introdotte; nella stessa risposta, tuttavia, si affermava che nella preparazione del nuovo contratto collettivo nazionale quadro (CCNQ) sarebbe stato definito un atto di indirizzo all'Aran «contenente le indicazioni e le direttive necessarie per l'attivazione della predetta novella»;
          non è concepibile che una legge dello Stato in materia tanto delicata qual è quella relativa a diritti sindacali non trovi applicazione, tanto più quando si tratti di lavoratori che, pur svolgendo funzioni essenziali per le strutture decentrate dello Stato italiano all'estero, sono stati per lungo tempo esclusi dall'esercizio dei più elementari diritti  –:
          quali iniziative il Ministro intenda assumere, anche nel contesto della trattativa ARAN attualmente in corso, affinché in tempi brevi sia superata la situazione di esclusione di fatto dei contrattisti in servizio presso il Ministero degli affari esteri dall'esercizio di diritti formalmente riconosciuti dalla normativa in vigore e quali iniziative intenda promuovere e sollecitare affinché sia concretamente realizzata una piena parità tra lavoratori in servizio presso uno stesso settore dell'amministrazione dello Stato. (4-00581)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      FUCCI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          un gruppo di genitori, con il supporto dell'associazione civica «Andria Città Sana», ha pubblicamente annunciato (cfr. «Gazzetta del Mezzogiorno – Cronaca del Nord Barese», pagina 3, del 17 novembre 2012) quella che pare essere una incidenza fuori dalla norma di casi di leucemie e di altre forme di tumore tra i bambini, in età compresa tra 3 e 13 anni, di Andria;
          i genitori in questione, in una missiva indirizzata al sindaco di Andria, invocano forme di controllo e monitoraggio e lamentano le condizioni, in termini di stato di salute della terra e dell'ambiente in cui vivono i bambini del territorio, in cui potrebbero esserci elementi favorevoli all'insorgere delle malattie  –:
          se il Ministro interrogato disponga, con riferimento ad Andria e al territorio circostante, di dati ed evenienze in merito alla grave situazione denunciata dai genitori;
          quali eventuali iniziative di competenza, nell'ottica di tutelare i livelli essenziali di assistenza e di rispettare i campi di azione spettanti agli enti locali in base alla ripartizione prevista dal Titolo V della Costituzione, ritenga di assumere per promuovere misure utili soprattutto dal punto di vista della prevenzione. (5-00173)


      BIONDELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          il corso di laurea in infermieristica pediatrica è stato istituito sulla base della consapevolezza che il bambino necessiti di conoscenze e competenze specifiche, peculiari rispetto a quelle necessarie per l'assistenza al paziente adulto, per il conseguimento di buoni standard assistenziali;
          il bambino è, infatti, da considerare come un portatore di particolari bisogni legati alla dipendenza dall'adulto, alle dinamiche inter e intra – familiari e al grado di sviluppo cognitivo ed emotivo;
          i tre anni di corso danno modo allo studente di infermieristica pediatrica di approfondire in modo globale il bambino e le problematiche legate alla presa in carico dell'intero nucleo familiare. Le ore di tirocinio predisposte permettono allo studente di concretizzare le suddette competenze teoriche e di confrontarsi con la realtà ospedaliera e territoriale (sono previste infatti due esperienze di tirocinio presso i distretti dell'aerea materno-infantile e presso gli ambulatori dei pediatri di libera scelta;
          il decreto ministeriale n.  70 del 1997 ha chiarito che la professione di infermiere pediatrico deve essere distinta dalla professione di infermiere generale, altrettanto capace nell'assistenza all'adulto ma sprovvisto dell'esperienza e della teoria coltivate nell'arco dei tre anni di studi universitari in ambito pediatrico;
          al termine della formazione di base, l'infermiere pediatrico diventa uno specialista poliedrico capace non solo di esprimersi con professionalità e serietà in ambito ospedaliero ma con altrettanta sicurezza nel territorio e, affiancando la figura dei pediatri di libera scelta potrebbe infatti incaricarsi di politiche di educazione sanitaria e della presa a carico del bambino sano;
          il regio decreto n.  1098 del 1940, all'articolo 9, stabilisce che «il possesso del diploma di Stato di vigilatrice dell'infanzia costituisce titolo di preferenza per l'assegnazione a posti di servizio di assistenza all'infanzia presso ospedali, o reparti ospedalieri infantili e presso ogni altra istituzione di assistenza all'infanzia»; ad oggi il titolo di vigilatrice di infanzia è stato sostituito con quello di infermiere pediatrico rendendo quindi vigente tuttora tale norma;
          nell'attuale contesto mancano però regole rispettate e profili precisi che definiscano il ruolo e la collocazione dell'infermiere pediatrico che permettano di costruire una rete di sostegno territoriale necessaria per garantire l'agognata continuità assistenziale, che diventa ancora più doverosa in un contesto di malattia cronica dove le cure continue potrebbero essere erogate, con un'opportuna organizzazione, in regime domiciliare e non in regime di ricovero riducendo il numero di posti letto, gravando di meno sulla spesa sanitaria nazionale e garantendo il rispetto della dignità del paziente e della famiglia;
          nonostante la necessità di infermieri in area pediatrica che il territorio esprime, come dimostrato anche dall'ultimo concorso bandito solo per infermieri generalisti dall'azienda ospedaliera di Padova, la quale con tale concorso provvedeva alla occupazione di nove posti vacanti proprio nella clinica pediatrica, la figura professionale dell'infermiere pediatrico non viene valorizzata dalle istituzioni sanitarie, che non propongono sbocchi professionali adeguati a una formazione coltivata in tre anni di studi e tirocinio sia in ambito ospedaliero che territoriale;
          nella regione Sicilia, pur esistendo il corso di laurea abilitante alla professione di infermiere pediatrico, e nonostante il decreto assessoriale n.  2536 del 2 dicembre 2011 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della regione siciliana nel gennaio 2012 sul riordino e sulla razionalizzazione della rete dei punti nascita (pianta organica), non è stato e non viene ad oggi dato spazio a questa importante figura, poiché tali normative, a quanto consta all'interrogante, non vengono rispettate né dalle strutture private né da quelle pubbliche  –:
          se il Ministro, nel rispetto delle competenze regionali in materia, non ritenga opportuno assumere iniziative per definire, a livello nazionale, criteri volti all'istituzione di concorsi atti all'assunzione specifica di infermieri pediatrici sia in strutture pubbliche che in strutture private;
          se il Ministro non ritenga opportuno assumere iniziative affinché coloro che abbiano acquisito il titolo di infermiere pediatrico possano vedersi riconoscere un titolo equipollente che li abiliti all'assistenza del paziente adulto, come l'infermiere generale, permettendo agli stessi così di partecipare ai concorsi pubblici indetti per tale figura professionale;
          se il Ministro, sempre nel rispetto delle competenze regionali in materia, non ritenga opportuno assumere ogni iniziativa di competenza affinché vi sia un affiancamento della figura professionale di infermiere pediatrico a quella dei pediatri di libera scelta, data la competenza specifica dell'infermiere pediatrico nell'assistenza al bambino sano, permettendo ai pediatri di dedicare un tempo maggiore alla cura del bambino malato. (5-00174)

Interrogazione a risposta scritta:


      CECCONI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          il comitato dei cittadini per i diritti umani e di pronto soccorso famiglia di Brescia è stato contattato da una mamma disperata a causa del ricovero «coatto» del figlio di soli sette anni nel reparto psichiatrico dell'ospedale di Brescia;
          l'avvocato Francesco Miraglia del foro di Modena ha depositato l'atto per la riapertura del caso sull'episodio di pedofilia riferito dal bambino nei confronti di una suora di un asilo di Brescia, per fare luce sul comportamento delle istituzioni, sociali e sanitarie locali e soprattutto per restituire il bambino alla sua famiglia;
          alcuni anni fa il bambino, di cui alla presente interrogazione, ha riportato con dovizia di particolari gli episodi di abuso sessuale commessi da una suora nell'asilo che frequentava. La mamma si rivolse alle istituzioni ma il bambino non fu creduto, e soprattutto non furono, a detta del citato comitato dei cittadini, avviate le procedure standard volte ad avviare le indagini e soprattutto a proteggere il minore;
          i servizi sociali e le istituzioni, alle quali fu affidato il bambino non hanno saputo riconoscere i segni evidenti degli abusi, ma hanno incolpato la mamma dei problemi del bambino;
          il bambino fu allontanato dalla famiglia, questo nonostante che, a detta del comitato dei cittadini, non ci fossero indizi di maltrattamenti famigliari, e ricoverato in una casa famiglia;
          sembrerebbe che la motivazione di un provvedimento tanto grave ed estremo si possa riassumere così: «sì volevano comprendere i problemi del bambino». Potrebbe sembrare assurdo che un bambino venga tolto a una famiglia per delle motivazioni talmente superficiali, ma purtroppo in Italia questa è diventata una pratica abbastanza comune. Secondo una ricerca della regione Piemonte e di altre ricerche, infatti, oltre il 70 per cento dei minori sono allontanati senza motivi gravi o accertati;
          il bambino ha dato in escandescenze contro questo provvedimento di allontanamento, chiedendo di tornare dalla mamma. Le istituzioni per risposta lo hanno trasferito in un reparto di psichiatria dell'ospedale di Brescia con la motivazione di «grave disturbo esplosivo del comportamento e dell'umore»; il bambino sembrerebbe che sia stato sedato pesantemente con il Risperdal: un potente antipsicotico;
          è da sottolineare che secondo il foglio informativo Risperdal, NON è «raccomandato per l'uso nei bambini al di sotto di 18 anni con schizofrenia, per la mancanza di dati sull'efficacia». Inoltre, il farmaco è stato somministrato in due pillole da un milligrammo al giorno (con posologia aumentabile fino a 3 milligrammi al giorno) sebbene il foglio illustrativo indichi che: «Nei pazienti con peso inferiore a 50 kg, si raccomanda di iniziare il trattamento somministrando 0,25 mg una volta al giorno. Tale dose può essere adattata individualmente, se necessario, con aumenti di 0,25 mg una volta al giorno, esclusivamente a giorni alterni. Per la maggior parte dei pazienti, la dose ottimale è 0,5 mg una volta al dì»;
          in pratica, il bambino è stato pesantemente sedato ed appare evidente che un bambino di 7 anni non può comprendere il motivo per cui viene sottoposto a questi provvedimenti coatti e giustamente assume forme evidenti di protesta;
          in realtà le ragioni del disagio del bambino sono scritte nella stessa lettera di dimissioni firmata dalla dottoressa Battaglia Silvia per il trasferimento alla struttura psichiatrica: «abuso subito da parte di una suora, separazione dalla madre per essere rinchiuso in comunità o in ospedale». Ma queste affermazioni vengono considerate «pensieri privi di nessi logici con vissuti traumatici non sequenziali». Mentre le affermazioni del bambino: «mi avete traumatizzato» e «mi volete fare del male» che corrispondono alla realtà dei fatti, vengono considerate di «tipo persecutorio»;
          visto dagli occhi del bambino, appare comprensibile, che l'essere strappato dalla mamma, sedato violentemente e rinchiuso in un ospedale sia una vera e propria persecuzione e, infatti, le sue affermazioni sono precise e puntuali. Per l'ospedale di Brescia il bambino presenta una «disorganizzazione del pensiero» e sulla base di questo assunto è stato trasferito in una struttura psichiatrica ad alto contenimento per minori che è di fatto un piccolo manicomio per minori;
          la struttura presso la quale viene indirizzato il bambino accoglie pre-adolescenti e adolescenti, maschi e femmine, di norma tra i 12 e i 18 anni, con eventuale possibilità di anticipo a 8 anni, sulla base di specifici bisogni clinici o sociali. Quindi non è neppure adatta per un bambino di soli 7 anni;
          sulla base di questa e di altre storie drammatiche avvenute in passato appaiono condivisibili le conclusioni di una recente ricerca della regione Piemonte che si stanno rivelando drammaticamente fondate: «L'attuale sistema di sostegno e tutela dei minori sta rischiando dì andare in corto circuito a causa del potere sproporzionato degli operatori sociali e della leggerezza con cui le decisioni di allontanamento vengono prese. Decisioni che segnano le serenità di intere famiglie e soprattutto il benessere psicologico degli stessi bambini che oggi si vogliono proteggere e che domani, quando saranno adulti e genitori, presenteranno il conto alla società civile che verrà. Bisogna puntare il dito e riflettere sulla cultura errata che si sta diffondendo e che anziché difendere e tutelare i minori li mette in gravi difficoltà e li espone a drammi difficilmente superabili»;
          nella situazione segnalata in premessa, c’è stata ad avviso dell'interrogante da parte degli operatori sociali e della struttura ospedaliera interessata una evidente leggerezza nelle decisioni assunte in materia di allontanamento e di trasferimento nel reparto psichiatrico degli Spedali di Brescia di un bambino di sette anni;
          per la problematica riguardante il bambino di sette anni oggetto della presente interrogazione non è stata adottata, secondo l'interrogante, la migliore delle procedure, in quanto, dopo essere stato allontanato dalla famiglia, è stato ricoverato in un reparto psichiatrico dell'ospedale di Brescia del tutto inadatto e al quale per età non avrebbe dovuto accedere  –:
          di quali elementi disponga in merito a quanto esposto in premessa, con particolare riferimento alla somministrazione al bambino di sette anni del Risperdal che non è raccomandato per l'uso al di sotto dei 18 anni, e se queste somministrazioni siano coerenti ed efficaci per affrontare le problematiche di un bambino di sette anni che allontanato dalla famiglia ha subito un forte trauma psicologico;
          quali iniziative intenda avviare, anche di carattere normativo, per la tutela del benessere dei minori, in particolare nelle strutture sanitarie, evitando che possano essere assunti inaccettabili provvedimenti di allontanamento dalla famiglia e di trasferimento in reparti psichiatrici senza motivi gravi e pienamente accertati e che siano somministrati farmaci non adatti o ritenuti inefficaci, come avvenuto nel caso in premessa con la somministrazione del Risperdal. (4-00593)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta scritta:


      SORIAL. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          come segnalato dal comune di Breno, in provincia di Brescia, in molte aree situate nella zona della Valle Camonica, ed in particolar modo nel comune di Breno stesso, gli utenti lamentano di non usufruire del servizio Rai, poiché i canali nazionali non danno segnale, mentre in altre zone sempre della Valle Camonica i programmi sono soltanto parzialmente visibili;
          la zona della Valle Camonica, che fino a poco tempo fa era una delle zone più produttive d'Italia ospitando alcune tra le principali aziende tessili della regione, è oggi un territorio ad alta densità di utilizzo di ammortizzatori sociali, avendo risentito molto della crisi economica che ha investito il Paese. Considerando soltanto il settore del tessile, sono circa un migliaio le persone in cassa integrazione da più di due anni con possibilità di ricollocamento ormai prossime allo zero. Molti lavoratori hanno più di cinquant'anni e tra questi le donne sono la maggioranza. A ciò si aggiunge anche le difficoltà di trasporto in una valle scarsamente collegata con il resto della provincia. Tutti aspetti che rendono ancora più grave il disagio di non accedere all'informazione pubblica che la RAI dovrebbe garantire;
          i cittadini subiscono il danno di non poter fruire del servizio pubblico radiotelevisivo nonostante provvedano al pagamento regolare del canone RAI, ovvero della tassa di possesso sull'apparecchio televisivo, obbligatorio per la visione dei canali RAI, un'imposta che poi lo Stato utilizza per finanziare l'attività di servizio pubblico svolta dalla RAI;
          lo Stato, attraverso il Ministero dello sviluppo economico (che oggi incorpora quello delle telecomunicazioni), ha il compito di verificare il corretto e regolare svolgimento del servizio pubblico da parte della Rai, intervenendo, se del caso, ad irrogare le previste sanzioni, a tutela e garanzia del cittadino consumatore e contribuente;
          dall'ottobre 2010 in Lombardia è stato dato l'avvio al «digitale» a causa del quale i cittadini hanno dovuto acquistare un decoder o una televisione con decoder incorporato, mentre il Ministero ha messo a disposizione della RAI ingenti risorse per il passaggio al digitale (per un totale di oltre 60 milioni di euro), ed ora, per tentare di ricevere comunque il segnale televisivo, gli utenti sono stati costretti a spese ulteriori per dotarsi di parabole, oltre a doversi avvalere di periodici costosi servizi di antennisti;
          la Rai riconosce la qualità tecnica del servizio di radiodiffusione quale obiettivo strategico del servizio pubblico, monitora costantemente la qualità tecnica del servizio ed esercita ogni azione preventiva e correttiva al fine di garantire il permanere di alti standard qualitativi e proprio nel contratto di servizio è stabilito che la qualità del segnale costituisce un elemento essenziale del servizio pubblico, radiotelevisivo, elemento di cui il Ministero deve garantire il rispetto, ma nel caso di specie – come rilevato – l'inadeguata qualità del segnale pregiudica la possibilità di gran parte della popolazione di vedere i programmi Rai  –:
          se il Ministro interrogato sia al corrente dei fatti esposti e quali iniziative urgenti di competenza intenda adottare per risolvere al più presto e nei modi più opportuni, i problemi segnalati, affinché venga rispettato il diritto all'informazione dei cittadini e si eviti di far ricadere sugli stessi, già gravati da una situazione lavorativa che ha risentito molto della crisi economica del Paese, ulteriori oneri per la fruizione di un servizio per il quale hanno già pagato in occasione dell'adeguamento al digitale acquistando i decoder, e per il quale pagano da sempre e puntualmente il canone dovuto. (4-00579)


      LAVAGNO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          l'8 marzo 2013 il Ministero dello sviluppo economico pubblica il documento «Strategia Energetica Nazionale: per un'energia più competitiva e sostenibile», con il quale si intendono definire obiettivi, priorità e scelte di fondo pluriennali;
          una delle issue fondamentali ivi individuate è la produzione sostenibile di idrocarburi nazionali, con l'obiettivo di portare la produzione interna da 51 a 75 e da 38 a 95 milioni di boe/anno rispettivamente di gas e petrolio entro il 2020. Fra i bacini individuati risulta la Valle Padana, comprendendo così il territorio della regione Piemonte;
          in Piemonte nel comune di Carpignano Sesia (NO) a circa 20 chilometri dal parco naturale della Valle del Ticino, ENI s.p.a. e Petrolceltic stanno portando avanti il progetto «Carisio 1», intenzionate ad estrarre circa 80 milioni di barili, prevedendo la perforazione di un pozzo per la ricerca e l'estrazione petrolifera;
          l'area interessata dista meno di 300 metri dalle abitazioni;
          il 22 luglio 2012, a Carpignano Sesia, si è svolta una consultazione popolareindetta dall'amministrazione comunale relativa al progetto sopracitato il cui esito è stato di netta contrarietà, che sintetizza mesi di netta opposizione al progetto avanzato;
          la stessa amministrazione ed altre limitrofe hanno espresso, attraverso delibera, netta contrarietà a questo progetto petrolifero;
          è fondata la preoccupazione sull'ambiente e sulla salute dei cittadini per l'inquinamento che ne deriva e per possibili incidenti, come la cronaca di questi anni purtroppo testimonia. A tale proposito, si ricorda l'incidente che ha colpito nel 1994 il pozzo TR24 esploso a Trecate sempre in provincia di Novara;
          le multinazionali che estraggono petrolio pagano royalty ridicole e godono di agevolazioni fiscali, a giudizio dell'interrogante, scandalose e stanno compromettendo il delicato equilibrio ecologico  –:
          se il Governo non intenda assumere iniziative volte a rivedere il regime fiscale e delle royalty particolarmente favorevoli alle multinazionali del settore degli idrocarburi;
          se non si intenda convocare a breve una riunione tra i Ministeri competenti, la regione Piemonte e gli enti locali interessati nonché le organizzazioni economiche e ambientaliste per definire una posizione comune su questo progetto;
          se il Governo non stia valutando una moratoria di questo genere di progettazioni, visti i sempre maggiori dubbi che sorgono su progetti simili in varie aree del Paese. (4-00580)


      LACQUANITI e DI SALVO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          Novem Car Interior Design spa è un'azienda tedesca leader mondiale nella produzione di interni in legno per automobili di alta gamma, che possiede uno stabilimento anche a Bagnatica, in provincia di Bergamo;
          il comparto manifatturiero della provincia di Bergamo è stato già fortemente colpito e ridimensionato dalla crisi economica, con pesantissime ricadute in termini occupazionali e inevitabili tensioni sociali;
          a causa dell'uscita dalla produzione di alcuni modelli di automobili, nel febbraio del 2012 è stato presentato dalla Novem un piano di riorganizzazione dello stabilimento di Bagnatica; ed entro il mese di maggio 2013 l'azienda completerà il licenziamento di circa 100 dipendenti, pari alla metà dei lavoratori impiegati nella sede bergamasca;
          l'azienda ha previsto una residua linea di produzione per modelli di automobili, per cui tuttavia è ugualmente prevista la fuoriuscita dalla produzione per la fine del 2015;
          il segmento produttivo degli interni in legno per automobili di alta gamma necessita di 16/20 mesi per entrare a pieno regime da quando viene affidata la commessa; pertanto, se Novem non decide adesso di affidare allo stabilimento di Bagnatica la produzione per nuovi modelli di automobili, il sito è destinato a chiudere definitivamente entro la fine del 2015  –:
          quali iniziative il Governo intenda promuovere utili a far fronte alla crisi industriale che sta investendo pesantemente il manifatturiero lombardo, colpendo migliaia di lavoratori, nonché volte a ottenere da Novem Car Interior Design spa elementi che permettano di valutare il proseguimento dell'attività di produzione nel territorio bergamasco, con la presentazione del piano di ristrutturazione aziendale;
          se il Governo intenda convocare d'urgenza un tavolo di confronto con l'amministratore delegato di Novem group Martin Funk e i rappresentanti dei lavoratori, per offrire ai lavoratori garanzie certe sul loro futuro occupazionale, con l'assegnazione di nuove linee produttive allo stabilimento di Bagnatica. (4-00582)


      MARTELLA e MORETTO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          Dayli è il nuovo marchio dei negozi di prodotti per la casa nato dal salvataggio nel 2012 da parte del fondo di investimento Tap 09 sul gruppo tedesco Schlecker;
          Dayli in Italia vanta circa 1028 dipendenti, allocati in circa 290 negozi presenti nel territorio nazionale e il magazzino logistico della società, che è situato a Portogruaro, conta 120 dipendenti, tra amministrativi ed operai;
          la nuova proprietà, che a luglio 2012 aveva rilevato Schlecker, aveva illustrato un importante progetto di riorganizzazione e rilancio delle attività dell'azienda con la nuova insegna Dayli;
          nel giro di pochi mesi, a marzo 2013, l'azienda faceva emergere importanti criticità relative alla forte esposizione debitoria nei confronti dei fornitori e di conseguenza magazzini e punti vendita incominciavano a rimanere privi di merce e quindi improduttivi ed impossibilitati a produrre alcun fatturato;
          il 17 maggio 2013 si è tenuto il coordinamento nazionale dell'azienda, convocato tempestivamente a causa della gravissima crisi aziendale, e a seguito dello stesso Dayli ha annunciato un piano di chiusura di 98 punti vendita tra Veneto e Friuli, con ricorso alla cassa integrazione guadagni straordinaria;
          nel solo Veneziano la situazione di criticità interessa 103 dipendenti dei 34 negozi, in aggiunta ai 116 dipendenti del magazzino di Portogruaro, di cui 90 già oggi sono interessati da contributo di solidarietà  –:
          se il Ministro sia a conoscenza della vicenda;
          quali iniziative intenda assumere, nell'ambito delle sue competenze, per garantire il mantenimento della sede logistica e delle attività produttive dell'azienda e per assicurare la salvaguardia occupazionale e il rilancio degli investimenti promessi dalla società. (4-00590)


      CENTEMERO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro per le pari opportunità, lo sport e le politiche giovanili. — Per sapere – premesso che:
          nel corso della recente campagna elettorale per le elezioni politiche e regionali, con nota dell'accordo per la democrazia paritaria, si era richiesta all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM) l'integrazione delle delibere 666/12 e 13/13, perché prive del riferimento alla legge n.  215 del 2012 il cui articolo 4 introduce il comma 2-bis nell'articolo 1 della legge n.  28 del 2000;
          al riguardo l'AGCOM riteneva di emanare in argomento solo una circolare interpretativa;
          inoltre, nonostante il chiaro disposto della legge n.  28 del 2000, come integrata dalla legge n.  215 del 2012, solo a campagna elettorale conclusa sono stati divulgati e resi pubblici a cura dell'AGCOM i dati di genere dei monitoraggi effettuati nel corso delle citate campagne elettorali; ciò non ha consentito di verificare in tempo utile la violazione o meno delle disposizioni sulla par condicio di genere e di porre in essere le segnalazioni per i successivi adempimenti di competenza dell'Autorità, come avviene per le violazioni di altre disposizioni della legge n.  28 del 2000, e dunque è mancata l'effettiva garanzia dei valori democratici, così come aggiornati con la modifica introdotta dalla legge n.  215 del 2012;
          nel sito citato si legge: «diversamente, la Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e per la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, per quanto di competenza, aveva espressamente previsto, agli articoli 4 e 8 del provvedimento attuativo della legge n.  28 del 2000 – Regolamento entrato in vigore il 6 gennaio 2012, (...) – l'obbligo di assicurare, tra l'altro, un'equilibrata rappresentanza di genere tra le presenze»; nel periodo di campagna elettorale la Rai pubblicava i dati sul sito raiparlamento.it dove erano consultabili e scaricabili sia i risultati quotidiani del monitoraggio che quelli settimanali; in tutte le rilevazioni Rai, per ciascuna rete, erano disponibili i dati relativi al nome del candidato, all'appartenenza politica, al tempo di parola e al programma; i dati di genere in percentuale venivano però forniti solo nei report settimanali, ultimo foglio excel gender;
          considerato che, a quanto risulta dal sito citato, in vista delle campagne elettorali nelle regioni Friuli-Venezia Giulia e Valle d'Aosta e per il rinnovo di numerosi consigli comunali, l'AGCOM, nonostante il chiaro disposto della legge n.  28 del 2000, come integrata dalla legge n.  215 del 2012, e nonostante quanto innanzi esposto, avrebbe continuato ad ignorare la par condicio di genere nelle tre delibere emesse al riguardo, disponibili sul sito della medesima Autorità – e precisamente: a) delibera n.  258/13/CONS, «Disposizioni di attuazione della disciplina in materia di comunicazione politica e di parità di accesso ai mezzi di informazione relative alle campagne per l'elezione diretta dei sindaci e dei consigli comunali nonché dei consigli circoscrizionali, fissate nei mesi di maggio e giugno 2013; b) deliberà n.  259/13/CONS, «Disposizioni di attuazione della disciplina in materia di comunicazione politica e di parità di accesso ai mezzi di informazione relative alle campagne per le elezioni del presidente e del consiglio della Regione Autonoma Valle d'Aosta indette per il giorno 26 maggio 2013»; c) delibera n.  223/13/CONS, «Disposizioni di attuazione della disciplina in materia di comunicazione politica e di parità di accesso ai mezzi di informazione relative alle campagne per le elezioni del Presidente e del Consiglio della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia, per l'elezione del Presidente e del Consiglio della Provincia di Udine e per le elezioni comunali indette per i giorni 21 e 22 aprile 2013»; in particolare, nelle premesse delle disposizioni di attuazione emanate con le suddette delibere, l'Autorità, nel richiamare la legge 22 febbraio 2000, n.  28, ha citato, come nelle delibere precedenti l'entrata in vigore della legge n.  215 del 2012, esclusivamente la legge di modifica 6 novembre 2003, n.  313, con una omissione, a parere dell'interrogante inaccettabile, della novella intervenuta con la legge n.  215 del 2012 sulla par condicio di genere, introdotta a fini chiarificatori nell'ordinamento al fine di scongiurare ogni forma di discriminazione nei confronti delle candidate donne;
          l'omissione formale del riferimento alla legge n.  215 del 2012, unitamente al mancato richiamo al suo principio sostanziale, da parte dell'Autorità, nei propri atti di regolazione, introducono un elemento di forte incertezza giuridica e comunque si pongono in contrasto con la chiara voluntas legis, in base alla quale, con decorrenza dal 26 dicembre del 2012, i mezzi di informazione sono tenuti, senza eccezione di sorta, «al rispetto dei principi di cui all'articolo 51, primo comma, della Costituzione, per la promozione delle pari opportunità tra donne e uomini» 1 della legge n.  28 del 2000, come modificato dall'articolo 4 della legge n.  215 del 2012);
          tale grave omissione si moltiplica in quanto si riscontra anche a livello dei singoli Comitati regionali per le comunicazioni (Corecom);
          l'AGCOM, in risposta alla formale diffida inviata dalla Rete per la Parità ad integrare le suddette delibere, avrebbe sostenuto – a quanto risulta dal citato sito reteperlaparita.org – che il più rigoroso regime della par condicio elettorale non troverebbe applicazione nei confronti dell'emittente radiotelevisiva nazionale privata, per la quale restano comunque fermi i principi sanciti dagli articoli 3 e 7 del testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici di cui al decreto legislativo n.  177 del 2005; l'Autorità pubblica mensilmente, in osservanza delle funzioni di vigilanza che la legge le assegna, i dati del monitoraggio relativi al rispetto del pluralismo politico-istituzionale e sociale da parte dell'emittenza televisiva nazionale pubblica e privata: nell'ambito di tale attività, sono altresì resi noti i dati circa la rappresentanza di genere nei notiziari e nei programmi di approfondimento informativo diffusi dalle predette emittenti;
          l'articolo 4 della legge n.  215 del 2012, che integra la legge n.  28 del 2000, il cui contenuto è già stato richiamato, dispone: «Ai fini dell'applicazione della presente legge, i mezzi di informazione, nell'ambito delle trasmissioni per la comunicazione politica, sono tenuti al rispetto dei principi di cui all'articolo 51, primo comma, della Costituzione, per la promozione delle pari opportunità tra uomini e donne»;
          l'articolo 51 della Costituzione, per costante giurisprudenza, è norma precettiva e direttamente vincolante per i destinatari;
          la Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi risulta ancora in fase di insediamento;
          in relazione all'imminente svolgimento delle prossime elezioni, l'interrogante riterrebbe opportuna la sollecita adozione, in funzione integrativa, due specifiche delibere, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale, in materia di par condicio di genere, che rendano chiara la precettività delle disposizioni di legge per i Corecom dei territori interessati, per le forze politiche e per le emittenti radiofoniche e televisive, con individuazione delle rispettive responsabilità, in caso di accertata violazione dell'articolo 4 della legge n.  215 del 2012, che integra la legge n.  28 del 2000;
          sarebbe opportuno, inoltre, che la stessa Autorità provvedesse alla divulgazione, anche mediante la sola pubblicazione del sito istituzionale, in tempo utile, ovvero settimanalmente, degli esiti dei monitoraggi – effettuati a seguito di ricorsi – comprensivi delle presenze di genere, sia per i profili di pubblico interesse, a garanzia di un'effettiva partecipazione democratica e libertà di voto, sia ai fini della verifica dell'esatta e puntuale applicazione delle misure sanzionatorie, in quanto la cadenza mensile prescelta, riferita a campagne elettorali che durano trenta giorni, ne impedisce l'utilizzo ai fini di utili segnalazioni e considerato che tali segnalazioni potrebbero invece essere determinanti, in assenza di iniziative d'ufficio;
          l'interpretazione dell'Autorità, di fatto, affievolisce gravemente la portata della legge sulla par condicio (che specifica ed integra gli obblighi più generali di cui agli articoli 3 e 7 del citato decreto legislativo n.  177 del 2005), in ragione dell'esclusione, tra i destinata, dell'emittenza nazionale privata che pure – e con maggiore incisività – raggiunge i territori interessati dalla campagna elettorale  –:
          se i Ministri interrogati, per quanto di competenza, non ritengano necessario assumere iniziative, anche normative, dirette a chiarire che durante la campagna elettorale per le elezioni amministrative relative ai ballottaggi le deliberazioni dell'Autorità garante delle comunicazioni debbano mirare a garantire anche l'attuazione della par condicio di genere secondo quanto previsto dall'articolo 1, comma 2-bis, della legge n.  28 del 2000. (4-00592)

Apposizione di firme ad una mozione.

      La mozione Misiani e altri n.  1-00049, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 22 maggio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Benamati, Pastorino.

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

      L'interrogazione a risposta scritta Coppola e altri n.  4-00491, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 maggio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Iori.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

      I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
          interrogazione a risposta scritta Fucci n.  4-00078 del 21 marzo 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-00173.

          interrogazione a risposta scritta Biondelli n.  4-00338 del 6 maggio 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n.  5-00174.