XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 28 maggio 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


      La Camera,
          premesso che:
              il Presidente del Consiglio dei ministri nelle sue dichiarazioni programmatiche ha sottolineato l'assoluta priorità di una modifica della vigente legge elettorale;
              tale priorità, pur formalmente enunciata anche nella XVI legislatura, non ha condotto, nonostante l'impegno di molti, a risultati concreti;
              occorre, dunque, che la Camera dei deputati, pur nel rispetto dell'iniziativa governativa, si attivi immediatamente per esaminare le numerose proposte di legge in materia che, a partire dall'inizio della XVII legislatura, sono state depositate da deputati appartenenti a diversi gruppi parlamentari;
              il tema della riforma della legge elettorale è urgente e di grande rilievo: da un lato, infatti, non possono essere disattese le profonde e diffuse aspettative del corpo elettorale anche in relazione ai contenuti della recente campagna elettorale e agli autorevoli richiami in tal senso del Capo dello Stato, dall'altro occorre intervenire improrogabilmente sulla questione del premio di maggioranza, così come raccomandato dalla Corte costituzionale nella sentenza n.  15 del 2008. In tale pronuncia la Corte costituzionale ha ritenuto doveroso «segnalare al Parlamento l'esigenza di considerare con attenzione gli aspetti problematici di una legislazione che non subordina l'attribuzione del premio di maggioranza al raggiungimento di una soglia minima di voti e/o di seggi»;
              l'elevato numero di sottoscrizioni raccolte per la presentazione di quesiti referendari in materia elettorale nel 2009 e nel 2011, sebbene gli esiti delle relative consultazioni siano stati negativi (nel primo caso non è stato raggiunto il quorum prescritto dall'articolo 75, quarto comma, della Costituzione, nel secondo caso i quesiti sono stati dichiarati inammissibili dalla Corte costituzionale), dimostra come sia diffusa già da tempo nell'opinione pubblica la convinzione che l'attuale sistema elettorale debba essere rapidamente cambiato;
              i recenti risultati elettorali hanno definitivamente evidenziato come l'attuale legge sia del tutto inidonea al raggiungimento di un risultato elettorale che garantisca la governabilità del Paese;
              nell'attuale complessa situazione politica la legge elettorale costituisce di per sé un'emergenza istituzionale e rappresenta un presupposto necessario rispetto a qualsiasi altra riforma;
              in questo contesto, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, l'unica modifica al vigente sistema che possa coagulare in tempi brevi il consenso di un'ampia maggioranza parlamentare è il ritorno alla previgente disciplina, ovvero al cosiddetto Mattarellum; si tratta di una riforma da approvare subito per garantire che un'eventuale consultazione elettorale anticipata non si realizzi più con l'attuale legge elettorale, ma che allo stesso tempo potrà essere superata qualora in sede di riforme costituzionali si approdi a soluzioni che richiedano un sistema elettorale diverso,
impegna sé stessa ed i propri organi, ciascuno per le proprie competenze, ad esaminare ed approvare in tempi rapidissimi una riforma della vigente legge elettorale nei termini sopra evidenziati.
(1-00053) «Giachetti, Antonio Martino, Migliore, Schirò Planeta, Schullian, Bueno, Luciano Agostini, Aiello, Airaudo, Amato, Anzaldi, Biffoni, Bini, Bobba, Boccadutri, Bonaccorsi, Bonafè, Bonavitacola, Bonifazi, Franco Bordo, Boschi, Bratti, Bruno Bossio, Capozzolo, Carella, Carra, Carrescia, Caruso, Casati, Casellato, Causi, Civati, Coccia, Coppola, Costantino, Dallai, Decaro, De Menech, Marco Di Maio, Di Salvo, Donati, D'Ottavio, Duranti, Ermini, Famiglietti, Fanucci, Faraone, Fedi, Fratoianni, Fregolent, Gandolfi, Gelli, Gentiloni Silveri, Giuliani, Gnecchi, Gozi, Gutgeld, Lacquaniti, Lavagno, Lotti, Madia, Magorno, Malpezzi, Manzi, Martelli, Melilla, Morani, Nardella, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Parrini, Pastorino, Peluffo, Salvatore Piccolo, Pilozzi, Piras, Quartapelle Procopio, Rampi, Realacci, Ricciatti, Rocchi, Rotta, Rubinato, Sberna, Scalfarotto, Taricco, Tentori, Vargiu, Venittelli, Ventricelli, Verini, Zan, Zanin, Zaratti, Rughetti».


      La Camera,
          premesso che:
              da diversi anni e da molte legislature, nel Paese e in Parlamento, è in corso il dibattito sull'opportunità di modifiche alla seconda parte della Costituzione, che ha dato anche luogo a diversi progetti di riforma costituzionale;
              i tentativi di riforma non sono mai sfociati nell'approvazione definitiva di modifiche costituzionali, in quanto spesso è mancato non solo il necessario ampio consenso parlamentare, ma anche, a monte, nonché nel corso dei lavori, la leale collaborazione tra i gruppi, in relazione a proposte in alcuni casi urgenti, oltre che condivisibili;
              tuttavia, non è venuta meno l'esigenza di interventi sulla nostra Carta fondamentale, essendo convinzione generale ormai che l'impianto studiato ed approvato dai Padri costituenti in materia di Ordinamento della Repubblica (parte seconda della Costituzione) richieda ormai una revisione, ferma restando la centralità del ruolo del Parlamento nel bilanciamento complessivo dei poteri e degli organi costituzionali;
              è assolutamente necessario un percorso volto a promuovere, in tempi celeri, una riforma della parte seconda della Costituzione (Ordinamento della Repubblica) che, in particolare, preveda:
                  a) il mantenimento della forma di Governo parlamentare e la centralità del ruolo del Parlamento nel bilanciamento complessivo dei poteri e degli organi costituzionali;
                  b) la riduzione del numero dei deputati e dei senatori;
                  c) il superamento del bicameralismo perfetto, attraverso la trasformazione del Senato della Repubblica in Senato delle autonomie, ad elezione indiretta, composto dai presidenti e rappresentanti delle regioni, nonché dai sindaci delle città metropolitane e dei comuni più rappresentativi, nonché l'introduzione di ipotesi residuali di bicameralismo paritario nell'ambito del procedimento legislativo;
                  d) la revisione dell'articolo 49 della Costituzione che ponga precisi principi e criteri in tema di democrazia interna e trasparenza dei partiti e, più in generale, delle organizzazioni politiche, onde garantire la puntuale attuazione dello stesso e l'adeguamento dei soggetti coinvolti;
                  e) l'obbligatorietà dell'esame e del voto in tempi certi (entro tre mesi) delle proposte di legge d'iniziativa popolare, anche modificando sul tema il Regolamento della Camera dei deputati;
                  f) l'introduzione di limiti più rigidi all'uso della decretazione d'urgenza da parte del Governo, provvedendo alla contestuale modifica del Regolamento della Camera dei deputati;
                  g) la modifica del Titolo V (Le Regioni, le Province, i Comuni) e, in particolare, la revisione delle materie di competenza esclusiva delle regioni, riducendo drasticamente l'elenco delle materie di competenza concorrente tra Stato e regioni e introducendo la cosiddetta clausola di supremazia, nonché l'abolizione delle province, l'individuazione delle città metropolitane e la disciplina del loro ordinamento da prevedersi con legge statale;
                  h) la sottoposizione a referendum popolare confermativo - con quesiti distinti per omogeneità di materia - delle leggi costituzionali e di revisione costituzionale, anche nel caso in cui queste siano approvate dalle Camere con la maggioranza dei due terzi dei suoi componenti;
              l'articolo 72, quarto comma, della Costituzione prevede che per le leggi di revisione costituzionale sia «sempre adottata» «la procedura normale di esame e di approvazione diretta» da parte delle due Camere;
              in nessun caso, tuttavia, sarebbe legittimo il deferimento dell'esame del provvedimento alla sede deliberante, nonché a qualsivoglia organo/organismo che privasse i parlamentari del pieno potere emendativo, in ottemperanza al principio di eguaglianza dei parlamentari;
              dall'ambito dell’iter parlamentare sulle riforme va svincolata la modifica della legge elettorale, rispetto alla quale si richiede l'intervento del legislatore in tempi brevissimi, anche alla luce della recente decisione della Corte di cassazione che, ritenendo rilevanti le questioni di legittimità costituzionale sollevate in relazione al cosiddetto porcellum, ha disposto l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale,

impegna il Governo

nel rispetto delle sue prerogative di iniziativa legislativa, a tener conto in maniera vincolante di quanto esposto in premessa, concorrendo con proprie proposte all’iter parlamentare sul tema delle riforme, rispetto al quale sono già depositate diverse proposte di legge dei diversi gruppi parlamentari.
(1-00054) «Migliore, Pilozzi, Kronbichler, Airaudo, Boccadutri, Franco Bordo, Costantino, Di Salvo, Duranti, Daniele Farina, Claudio Fava, Ferrara, Fratoianni, Giancarlo Giordano, Lacquaniti, Lavagno, Marcon, Matarrelli, Melilla, Nardi, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piazzoni, Piras, Placido, Quaranta, Ragosta, Ricciatti, Sannicandro, Scotto, Zan, Zaratti».


      La Camera,

delibera:

          di dare attuazione alle dichiarazioni programmatiche rese, in relazione alle riforme costituzionali, al Parlamento dal Presidente del Consiglio dei ministri e sulle quali ha ottenuto la fiducia, in particolare:
              a) «Al fine di sottrarre la discussione sulla riforma della Carta costituzionale alle fisiologiche contrapposizioni del dibattito contingente sarebbe bene che il Parlamento adottasse le sue decisioni sulla base delle proposte formulate da una Convenzione aperta anche alla partecipazione di autorevoli esperti non parlamentari e che parta dai risultati delle attività parlamentari della scorsa legislatura e dalle conclusioni del Comitato dei saggi istituito dal Presidente della Repubblica. La Convenzione deve poter avviare subito i propri lavori sulla base degli atti di indirizzo del Parlamento, in attesa che le procedure per una legge costituzionale possano compiersi. Dal momento che questa volta l'unico sbocco possibile su questo tema è il successo nell'approvazione delle riforme che il Paese aspetta da troppo tempo, fra diciotto mesi verificherò se il progetto sarà avviato verso un porto sicuro. Se avrò una ragionevole certezza che il processo di revisione della Costituzione potrà avere successo, allora il nostro lavoro potrà continuare. In caso contrario, se veti e incertezze dovessero minacciare di impantanare tutto per l'ennesima volta, non avrei esitazione a trarne immediatamente le conseguenze»;
              b) «Dobbiamo superare il bicameralismo paritario per snellire il processo decisionale ed evitare ingorghi istituzionali come quello che abbiamo appena sperimentato, affidando ad una sola Camera il compito di conferire o revocare la fiducia al Governo. Nessuna legge elettorale, infatti, è in grado di garantire il formarsi di una maggioranza identica in due diversi rami del Parlamento. Dobbiamo, quindi, istituire una seconda Camera – il Senato delle regioni e delle autonomie – con competenze differenziate e con l'obiettivo di realizzare compiutamente l'integrazione dello Stato centrale con le autonomie, anche sulla base di una chiara ripartizione delle competenze tra livelli di Governo con il perfezionamento della riforma del Titolo V»;
              c) «Bisogna altresì chiudere rapidamente la partita del federalismo fiscale rivedendo il rapporto fiscale tra centro e periferia, salvaguardando la centralità dei territori delle regioni». «Si può anche esplorare il suggerimento del Comitato dei saggi, istituito dal Presidente della Repubblica, per l'eventuale riorganizzazione delle regioni e dei rapporti tra loro».
(1-00055) «Giancarlo Giorgetti, Bossi, Fedriga, Busin, Borghesi, Molteni, Marcolin, Attaguile, Prataviera, Grimoldi, Invernizzi, Allasia, Caon, Rondini, Buonanno, Caparini, Gianluca Pini, Matteo Bragantini».


      La Camera,
          premesso che:
              il tema delle riforme istituzionali, che accompagna il dibattito politico italiano dalla fine degli anni ’70, si intreccia oggi con le esigenze di rilancio della crescita economica e di rafforzamento della coesione sociale, ponendosi con esse al centro dell'attenzione del Parlamento e del programma di Governo;
              l'ammodernamento delle istituzioni repubblicane è condizione essenziale per favorire la stabilità del sistema politico e rendere più efficienti i circuiti decisionali di un sistema di governo multilivello tra Unione europea, Stato e autonomie territoriali assai più complesso e articolato che nel passato, elevando, per questa via, la qualità della vita democratica, la partecipazione dei cittadini e la trasparenza delle istituzioni;
              per avviare una stagione di riforme costituzionali di ampio respiro, occorre definire un metodo che consenta di affrontare, secondo un disegno coerente, le principali questioni sinora irrisolte, da ultimo richiamate nel discorso programmatico tenuto dal Presidente del Consiglio dei ministri innanzi alle Camere, concernenti la forma di Stato, la forma di Governo, il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari e la riforma del sistema elettorale, la quale – naturalmente – non potrà che essere coerente e contestuale con il complessivo processo di riforma costituzionale. Qualora si realizzino condizioni che rendono urgente un intervento in materia, occorrerà che lo stesso sia ampiamente condiviso;
              rilevata, pertanto, la necessità di definire tempestivamente, attraverso l'approvazione di un'apposita legge costituzionale, una procedura straordinaria di revisione costituzionale che permetta di avviare un lavoro comune dei due rami del Parlamento, di programmare una tempistica certa e in linea con le attese del Paese dell'esame dei progetti di legge di revisione della parte seconda della Costituzione, di assicurare un più largo consenso parlamentare in sede di approvazione degli stessi e di potenziare il controllo dei cittadini sul risultato finale del processo riformatore; una procedura, dunque, idonea a valorizzare il ruolo del Parlamento e ad assicurare la partecipazione diretta dei cittadini;
              preso atto dell'intendimento del Governo di avvalersi di una commissione di esperti per l'approfondimento delle diverse ipotesi di revisione costituzionale e dei connessi profili inerenti al sistema elettorale e di estendere il dibattito sulle riforme alle diverse componenti della società civile, anche attraverso il ricorso a una procedura di consultazione pubblica;
              valutato con favore il lavoro che stanno portando avanti i competenti organi delle Camere, al fine di pervenire in tempi rapidi all'approvazione di una riforma dei regolamenti parlamentari idonea a dare una prima efficace risposta alla domanda di modernizzazione delle istituzioni, nella prospettiva di una piena valorizzazione del Parlamento, di un efficace controllo sull'operato del Governo e di un più stretto raccordo con le istanze della società civile, anche al fine di elevare la qualità della produzione legislativa. In particolare, occorrerà superare l'eccessivo ricorso alla decretazione d'urgenza e a votazioni di fiducia su maxiemendamenti, salvaguardando, al contempo, le prerogative del Governo, cui deve essere riconosciuta la facoltà di attivare procedure che, senza comprimere il ruolo delle Camere, garantiscano tempi certi per l'approvazione dei disegni di legge di attuazione del suo programma, nonché rafforzando i diritti dei gruppi di opposizione e lo statuto regolamentare delle iniziative legislative popolari;
              richiamate le considerazioni espresse dal Presidente della Repubblica nel suo messaggio al Parlamento, formulato nel giorno del giuramento, circa la necessità di non «sottrarsi al dovere della proposta, alla ricerca della soluzione praticabile, alla decisione netta e tempestiva per le riforme di cui hanno bisogno improrogabile per sopravvivere e progredire la democrazia e la società italiana»,

impegna il Governo:

          a presentare alle Camere, entro il mese di giugno 2013, un disegno di legge costituzionale che, in coerenza con le finalità e gli obiettivi indicati nelle premesse, preveda, per l'approvazione della indicata riforma costituzionale, una procedura straordinaria rispetto a quella di cui all'articolo 138 della Costituzione, che tenda ad agevolare il processo di riforma, favorendo un'ampia convergenza politica in Parlamento. Il disegno di legge dovrà, altresì, prevedere adeguati meccanismi per un lavoro comune delle due Camere.
      In particolare, dovrà essere previsto:
          a) l'istituzione di un Comitato, composto da venti senatori e venti deputati, nominati dai rispettivi Presidenti delle Camere, su designazione dei gruppi parlamentari, tra i componenti delle Commissioni affari costituzionali, rispettivamente del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, in modo da garantire la presenza di ciascun gruppo parlamentare e di rispecchiare complessivamente la proporzione tra i gruppi, tenendo conto della loro rappresentanza parlamentare e dei voti conseguiti alle elezioni politiche, e presieduto congiuntamente dai Presidenti delle predette Commissioni, cui conferire poteri referenti per l'esame dei progetti di legge di revisione costituzionale dei Titoli I, II, III e V della parte seconda della Costituzione, afferenti alla forma di Stato, alla forma di Governo e all'assetto bicamerale del Parlamento, nonché, coerentemente con le disposizioni costituzionali, di riforma dei sistemi elettorali;
          b) l'esame dei progetti di legge approvati in sede referente dal Comitato bicamerale alle Assemblee di Camera e Senato, secondo intese raggiunte fra i due Presidenti;
          c) la previsione di modalità di esame, in sede referente e presso le Assemblee, dei progetti di legge che, fermo restando il diritto di ciascun senatore e deputato, anche se non componente il Comitato o componente del Governo, di presentare emendamenti, assicurino la certezza dei tempi del procedimento, con l'obiettivo di garantire che l'esame parlamentare sui disegni di legge di riforma si concluda entro 18 mesi dall'avvio;
          d) fermi restando i quorum deliberativi di cui all'articolo 138 della Costituzione, la facoltà di richiedere comunque, ai sensi del medesimo articolo, la sottoposizione a referendum confermativo della legge ovvero delle leggi di revisione costituzionale approvate dal Parlamento.
(1-00056) «Speranza, Brunetta, Dellai, Pisicchio».


      La Camera,
          premesso che:
              la Costituzione repubblicana ed i valori supremi ad essa sottesi – per come esplicitati nei principi fondamentali della stessa – rappresentano il presupposto e la sostanza della nostra democrazia, la fonte primigenia dei principi, dei valori e delle regole alla base dell'ordinamento statale;
              tali principi sono identificabili nell'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge; nel pieno riconoscimento della reale dignità di tutti i cittadini, motivo per cui la Repubblica si impegna a rimuovere gli ostacoli che potrebbero impedire l'effettivo sviluppo della persona e la reale partecipazione dei lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese; nel personalismo, inteso come attribuzione all'individuo della responsabilità etica, politica e giuridica per quanto egli faccia; nel pluralismo delle manifestazioni in cui si esplica la libertà del singolo, senza che queste possano pregiudicare l'egual diritto – possibile prima ancora che reale – di chiunque altro; nella giustizia sociale, in virtù della quale l'appartenenza alla medesima comunità riconosce ed accetta i limiti al profitto ed alla proprietà privati; nell'organizzazione «diffusa» ed equilibrata dei poteri, nonché nel sistema di garanzie;
              le Costituzioni, per definizione, sono dotate di senso unitario e coerente e lo sono per il concetto stesso di Costituzione. Nella consapevolezza che la prima parte della Carta costituzionale, contenente i principi fondamentali, non è affatto indipendente dalla seconda, risulta ormai evidente che singoli aspetti della parte seconda possano certamente essere oggetto di un intervento riformatore, ferma restando la piena validità del suo impianto complessivo e dei principi ad esso sottesi, delineati con sapienza ed equilibrio dai nostri Padri costituenti;
              il dibattito culturale e politico del periodo più recente, compreso l'attuale, ha indebitamente «scaricato» sulla Costituzione il grave onere dell'inadeguatezza dell'ordinamento statale vigente, attribuendole una vetustà presunta per occultare responsabilità che ricadono, invece, sulla classe politica, rea, nella prassi quotidiana, di aver mortificato la Costituzione. La totale inefficienza del nostro sistema istituzionale, lungi dall'essere attribuibile alla nostra Carta fondamentale, trova origine nella caratterizzazione marcatamente castale del sistema partitocratico, segnato dalla sua assoluta autoreferenzialità, causa dell'enorme scollamento tra cittadini e politica;
              norme sulla regolazione dei conflitti di interessi, sull'incandidabilità dei condannati e sulla lotta alla corruzione avrebbero già da tempo potuto cambiare il volto morale e politico del Paese, a Costituzione vigente. Tali enormi questioni sono state invece – e dolosamente – lasciate immutate dal sistema dei partiti che oggi, indegnamente, propone di modificare la Carta costituzionale;
              l'attuale «potere costituente», ovvero il Parlamento repubblicano, risulta essere stato eletto con legge costituzionalmente viziata, come sostenuto dallo stesso Presidente della Corte costituzionale. Tale circostanza, indebolendo significativamente la legittimità morale e politica del riformatore costituzionale, non può che abilitare le Camere ad intervenire limitatamente su alcune significative questioni unanimemente sentite dal popolo italiano, senza, però, scardinare il sistema della forma di Stato e forma di Governo vigenti;
              la scelta di interventi limitati ad alcune emergenze critiche, anche se di notevole portata, appare conforme alla corretta lettura dell'articolo 138 della Costituzione, che impone revisioni costituzionali circoscritte e fornite, comunque, di una matrice univoca ed omogenea; a tal riguardo, è ormai riconosciuto unanimemente dalla dottrina costituzionalistica che le leggi di riforma costituzionale debbano dotarsi di contenuto «specifico» ed «omogeneo», anche e soprattutto in forza del referendum confermativo previsto nell'ambito del procedimento vigente di revisione costituzionale;
              sul piano del metodo, pertanto, la materia istituzionale e, conseguentemente, l'approvazione di leggi di revisione costituzionale, oltre a richiedere una larga condivisione, non possono che risolversi pienamente nella procedura di cui all'articolo 138 della Costituzione. L'organismo abilitato per riformare la Costituzione è uno ed uno soltanto, scritto proprio nella stessa Carta, e cioè il Parlamento repubblicano, nelle sedi proprie, già disciplinate dai regolamenti parlamentari, cui si aggiungono i cittadini elettori, in virtù della possibilità di referendum popolare confermativo;
              vincolare le modifiche costituzionali a procedure istituzionalmente e temporalmente «aggravate», sottraendo determinati contenuti costituzionali al potere stesso di revisione, non può considerarsi in alcun modo scelta antidemocratica, ma fa parte dell'essenza stessa della democrazia costituzionale, essendone, addirittura, il logico presupposto;
              oltre a risultare non conforme al dettato costituzionale e allo spirito della stessa Carta, un qualsiasi iter di revisione della Costituzione al di fuori delle sedi parlamentari ordinarie, si dimostrerebbe del tutto inefficace (si ricordino le esperienze in tal senso nel corso della storia repubblicana più recente), in forza dell'inevitabile sovrapposizione di ruoli e di funzioni di nuovi organi rispetto a quelli già oggi esistenti ed operanti. Dunque, assurdo ed irragionevole risulterebbe intraprendere l’iter di una legge costituzionale volta all'introduzione di organi particolari, dotati di specifici poteri, poiché questa procedura rappresenterebbe una palese invenzione «gattopardesca», al di fuori sia della Costituzione che della razionale sensatezza;
              del tutto improprio appare un coinvolgimento diretto, formale e sostanziale, del Governo nell'ambito della revisione costituzionale: materia, questa, che dovrebbe essere di appannaggio esclusivo del Parlamento e dei cittadini italiani;
              nel contempo, appare, altresì, indispensabile ed urgentissima una revisione del sistema elettorale attraverso cui i cittadini possano scegliere in maniera diretta – e non esclusivamente «mediata» da partiti ed apparati politici – i propri rappresentanti in Parlamento, per come stabilito dagli articoli 56 e 58 della Carta;
              risulta, altresì, indifferibile un coinvolgimento dei cittadini in ordine alla scelta della forma di Governo e di Stato, anche attraverso la previsione e l'indizione di un apposito referendum di indirizzo, nell'ambito di un deciso potenziamento degli istituti di democrazia diretta e di tutti gli strumenti di consultazione e di partecipazione popolare alle scelte afferenti alla vita pubblica. Il referendum dovrebbe essere preceduto da un ampio dibattito pubblico che consenta al Paese, attraverso una campagna di informazione puntuale e aperta a tutte le parti interessate, di conoscere le diverse opzioni ed istanze sulle quali pronunciarsi successivamente, al fine di recuperare e ravvivare lo spirito del dettato costituzionale;
              emerge, pertanto, l'assoluta necessità di riforme istituzionali che migliorino il funzionamento della struttura parlamentare e della vita politica – negli ultimi anni mortificata da bassissimi livelli di moralità registratisi al suo interno – e che concorrano a determinare una drastica e celere riduzione dei costi della politica e delle amministrazioni pubbliche nel loro complesso,

delibera:

          di avviare preliminarmente un percorso volto a promuovere, in tempi rapidi, l'indizione di un referendum popolare di indirizzo, nel quale i cittadini siano chiamati ad esprimersi sull'opportunità di modificare ed in quale modo la forma di Governo e di Stato, tenendo conto delle risultanze emerse da un apposito dibattito pubblico approfondito ed aperto a tutte le istanze partecipative, condotto sulla base:
              a) di un programma comunicativo sui mezzi di informazione, di almeno sei mesi, ad opera dei gruppi parlamentari presenti in Parlamento alla data dell'approvazione del presente atto di indirizzo, in condizione di parità tra i suddetti gruppi, conformemente ai principi del pluralismo, dell'imparzialità, dell'indipendenza, dell'obiettività e della completezza delle informazioni;
              b) di un programma comunicativo sui mezzi di informazione e sulla rete internet, di almeno sei mesi, ad opera degli esperti nell'ambito costituzionalistico, conformemente ai principi del pluralismo, dell'imparzialità, dell'indipendenza, dell'obiettività e della completezza delle informazioni;
              c) di un programma formativo, di almeno sei mesi, nell'ambito del percorso scolastico ed universitario, di ogni ordine e grado, diretto all'approfondimento degli argomenti oggetto del referendum di indirizzo;
              d) di un diritto di voto ai cittadini che abbiano compiuto, alla data dello svolgimento del referendum, sedici anni di età;
          di procedere verso un immediato percorso volto a promuovere, in tempi rapidi, una limitata riforma della parte seconda della Costituzione, che, in particolare, preveda:
              a) la riduzione del numero dei deputati e dei senatori;
              b) la riduzione del numero dei consiglieri regionali;
              c) la soppressione delle province, al fine di semplificare, razionalizzare e responsabilizzare le istituzioni amministrative locali, dando contemporaneamente un deciso impulso al processo di accorpamento dei comuni, a cominciare da quelli che esercitano in forma associata le funzioni fondamentali;
              d) l'introduzione del referendum propositivo e consultivo senza quorum funzionale;
              e) l'eliminazione di ogni quorum funzionale per il referendum abrogativo;
              f) la fissazione del numero massimo di mandati elettorali a qualsiasi livello – pari a due – che ogni cittadino può essere chiamato a ricoprire;
              g) la previsione della incandidabilità alla carica di deputato e senatore di coloro che sono stati condannati con sentenza definitiva per delitto non colposo, ovvero a pena detentiva superiore a mesi dieci e giorni venti di reclusione per delitto colposo, oltre che di coloro che ricoprono contemporaneamente altri incarichi elettivi;
              h) l'incremento delle garanzie costituzionali a favore delle opposizioni parlamentari, anche con l'innalzamento del quorum necessario all'adozione ed alla modifica dei regolamenti parlamentari;
              i) con riferimento ai disegni di legge di iniziativa popolare, un termine perentorio entro cui il Parlamento abbia l'obbligo di esaminarle;
          di affrontare la riforma attinente ai punti di cui alla lettera b) esclusivamente nelle sedi parlamentari proprie, in conformità agli articoli 72 e 138 della Costituzione.
(1-00057) «Dadone, Nuti, Toninelli, Fraccaro, Dieni, Cozzolino, De Lorenzis, Frusone, Colletti, Nesci, D'Ambrosio».


      La Camera,
          premesso che:
              vi è assoluta necessità e urgenza di porre mano alla questione del deterioramento delle condizioni economiche di una parte della popolazione in seguito alla crisi;
              i dati resi pubblici da Confcommercio il 4 aprile 2013 evidenziano un crollo dei consumi in misura pari al 3,6 per cento in un anno, che segue la diminuzione già riscontrata tra il 2011 e il 2012;
              come sottolineato anche da Codacons, la diminuzione dei consumi interessa in modo drammatico i consumi alimentari, scesi del 4,7 per cento rispetto al febbraio 2012, proseguendo una tendenza negativa che dura ormai da 5 anni: diminuzione dell'1,8 per cento nel 2007, del 3,3 nel 2008, del 3,1 per cento nel 2009, dello 0,7 nel 2010, dell'1,8 nel 2011 e del 3 per cento nel 2012;
              il deterioramento delle condizioni di vita dei cittadini era stato ben rappresentato dall'Istat, che constata come «nel 2011, il 28,4 per cento delle persone residenti in Italia è a rischio di povertà o esclusione sociale, secondo la definizione adottata nell'ambito della strategia Europa 2020» e che «Rispetto al 2010 l'indicatore cresce di 3,8 punti percentuali a causa dall'aumento della quota di persone a rischio di povertà (dal 18,2 per cento al 19,6 per cento) e di quelle che soffrono di severa deprivazione (dal 6,9 per cento all'11,1 per cento)» (Istat, «Reddito e condizioni di vita», diffuso sul suo sito internet il 10 dicembre 2012);
              i dati resi noti dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali il 5 aprile 2013, desunti dalle comunicazioni obbligatorie circa avviamenti e cessazioni dei rapporti di lavoro, evidenziano come nel 2012 oltre un milione di persone abbia perso il proprio posto di lavoro, dato in costante aumento dal 2009 ad oggi, mentre le attivazioni diminuiscono; il numero degli occupati è sceso, secondo l'Istat, di oltre 700.000 unità dal febbraio 2012 al febbraio 2013;
              questi dati trovano conferma in un aumento del tasso di disoccupazione, che a partire dall'ottobre 2012 si è mantenuto al di sopra dell'11 per cento, aumentando di 1,5 punti percentuali rispetto all'anno precedente;
              un'altra conferma delle condizioni di vita di una parte crescente della popolazione sta nei dati diffusi da molte Caritas diocesane, sull'aumento del numero dei cittadini che richiedono aiuti di prima necessità come i pasti; nel rapporto diffuso nell'ottobre 2012, la Caritas evidenzia come tra le persone che si sono rivolte ai suoi centri nel 2011 vi sia un aumento tra categorie che sino a poco tempo fa non erano interessate in misura così pregnante dal rischio di povertà; aumentano tra il 2009 e il 2011 del 25,1 per cento i cittadini italiani, aumentano del 177,8 per cento le casalinghe, del 65,6 i pensionati, del 52,9 per cento le famiglie con minori conviventi;
              un'indagine Istat diffusa il 12 ottobre 2012 ha realizzato una prima stima delle persone senza fissa dimora, quantificandole in 47.000 unità; di questi quasi i due terzi hanno un passato di relativa normalità, avendo vissuto in una propria abitazione sino ad un periodo che in media risale a 2 anni e mezzo prima;
              il 5 aprile 2013 una nota Eurispes ha evidenziato come «7 italiani su 10 hanno visto peggiorare la situazione economica personale (per il 40,2 per cento di molto, per il 33,3 per cento in parte), il 60,6 per cento, 3 su 5, è costretto a intaccare i propri risparmi per arrivare alla fine del mese; il 62,8 per cento ha grandi difficoltà ad affrontare la quarta (quando non la terza) settimana» e come questa situazione abbia determinato «Un circolo vizioso: indebitamento, insolvenze, vendita dei propri beni e rischio usura»;
              recenti fatti di cronaca hanno evidenziato in modo drammatico la disperazione in cui versano i cittadini che subiscono questi processi di impoverimento;
              gli effetti della crisi si sono verificati in un contesto di progressivo smantellamento delle risposte del welfare locale;
              sul fronte delle risorse nazionali, il fondo nazionale per le politiche sociali trasferito alle regioni (e da queste agli enti gestori) per finanziare gli interventi sociali, che aveva avuto dotazioni anche superiori al miliardo di euro nel 2004, è diminuito dai 656 milioni del 2008 ai 518 milioni del 2009, 435 milioni nel 2010, 218 milioni nel 2011 e soli 43 milioni nel 2012, con la previsione, ante legge di stabilità per il 2013, di soli 44 milioni per il 2013;
              l'aumento del fondo nazionale per le politiche sociali di 300 milioni di euro determinato dall'articolo 1, comma 271, della legge n.  228 del 2012 («Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013»), è sicuramente un fatto positivo che segna una controtendenza rispetto ai tagli ininterrotti praticati nell'ultimo quinquennio, ma non è sufficiente a ripristinare una dotazione adeguata, soprattutto vista la drammatica situazione;
              le politiche nazionali di sostegno all'abitazione hanno registrato un deciso ridimensionamento, spesso accompagnato da disimpegno da parte delle regioni;
              appare inderogabile e urgente l'adozione di misure eccezionali, che abbiano un impatto significativo e sensibile sulle condizioni di vita dei cittadini in situazioni di povertà o a rischio di cadervi;
              il Presidente del Consiglio, onorevole Enrico Letta, nella seduta n.  10 di lunedì 29 aprile 2013, presso la Camera dei deputati, durante le Comunicazioni del Governo, così interveniva: «Il welfare tradizionale, schiacciato sul maschio adulto e su pensioni e sanità, non basta più, non stimola la crescita della persona e non basta a correggere le disuguaglianze. Non occorrono isterismi, occorre un cambiamento radicale: un welfare più universalistico e meno corporativo che sostenga tutti i bisognosi, aiutandoli a rialzarsi e a riattivarsi. Per un welfare attivo, più giovane e al femminile andranno migliorati gli ammortizzatori sociali, estendendoli a chi ne è privo, a partire dai. E si potranno studiare forme di reddito minimo, soprattutto, per famiglie bisognose con figli»,

impegna il Governo:

          ad adottare iniziative urgenti in materia di povertà, assegnando per il 2013:
              a) ulteriori 300 milioni di euro da destinare ad aumento del fondo nazionale per le politiche sociali, da trasferirsi per il tramite delle regioni agli enti gestori, condizionando l'erogazione all'adozione entro tempi brevi di piani di azione per il contrasto dei fenomeni di povertà e impoverimento, facendo sì che gli interventi siano gestiti localmente in forma integrata con soggetti non profit con consolidata e comprovata esperienza nella raccolta e distribuzione di beni di prima necessità o nell'elargizione di aiuti per soddisfare bisogni primari;
              b) ulteriori 250 milioni di euro per estendere la sperimentazione della nuova social card, il cui avvio è previsto, dal decreto 10 gennaio 2013 del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, entro pochi mesi nelle 12 città con più di 250.000 abitanti, con speciale riguardo ai nuclei familiari poveri con figli minori, in modo da ampliare la platea dei beneficiari e consolidare le caratteristiche di misura universalistica di contrasto alla povertà;
              c) ulteriori 100 milioni da destinare, tramite le regioni, al sostegno della morosità incolpevole, per evitare che i fenomeni di impoverimento determinino la perdita dell'abitazione;
          a dare seguito a quanto comunicato nella seduta del 10 aprile 2013 di cui in premessa, assumendo le iniziative necessarie ad assicurare un reddito minimo garantito così come specificato nella stessa comunicazione del Governo;
          a procedere alla firma del riparto delle risorse del fondo nazionale per le politiche sociali concordato in sede di Conferenza delle regioni, al fine di rendere queste risorse immediatamente disponibili alle regioni e quindi agli enti gestori;
          ad assumere iniziative per introdurre nella normativa del nostro Paese i livelli essenziali delle prestazioni socio-assistenziali, affinché si possa realizzare su tutto il territorio nazionale una rete integrata di servizi;
          ad inserire, nell'ambito del programma nazionale di riforma, in sede di definizione della nota di aggiornamento al documento di economia e finanza, interventi di riforma delle politiche sociali e abitative, con particolare riferimento alle azioni di contrasto della povertà, quali misure di sostegno al reddito e di supporto a percorsi di uscita dalla condizione di indigenza;
          ad assumere iniziative per reperire le risorse necessarie anche attraverso l'incremento delle imposte sul gioco d'azzardo, in particolare sulle scommesse on line, e sulle sigarette elettroniche;
          ad assumere iniziative per potenziare l'utilizzo dello strumento delle deduzioni e delle detrazioni fiscali per le spese relative all'assistenza e al sostegno delle famiglie con componenti minori, persone non autosufficienti e anziani, al fine di facilitare l'accesso ai servizi per le famiglie meno abbienti e con maggior carico di bisogni e allo stesso tempo di ridurre forme di lavoro nero.
(1-00058) «Bobba, Luciano Agostini, Albanella, Amato, Amoddio, Antimo Cesaro, Arlotti, Bargero, Bazoli, Bellanova, Benamati, Beni, Berlinghieri, Binetti, Bini, Biondelli, Bonaccorsi, Bonifazi, Bonomo, Borghi, Boschi, Bossa, Braga, Capua, Cardinale, Carocci, Carra, Carrescia, Casati, Caruso, Causi, Luigi Cesaro, Cimbro, Coppola, Cova, Covello, Cuperlo, Culotta, D'Agostino, D'Incecco, D'Ottavio, Dal Moro, Marco Di Maio, Ermini, Fabbri, Fauttilli, Ferrari, Ferro, Fontanelli, Fregolent, Gasparini, Giacobbe, Giulietti, Gnecchi, Gozi, Giuseppe Guerini, Lorenzo Guerini, Gullo, Tino Iannuzzi, Incerti, Iori, Lenzi, Lodolini, Maestri, Magorno, Malpezzi, Manzi, Marazziti, Mariani, Martella, Martelli, Marzano, Mazzoli, Melilli, Montroni, Mura, Nissoli, Oliverio, Patriarca, Quartapelle Procopio, Rabino, Rampi, Realacci, Ribaudo, Richetti, Rigoni, Rosato, Rubinato, Rughetti, Sanga, Giovanna Sanna, Santerini, Sberna, Sbrollini, Scanu, Scotto, Senaldi, Simoni, Taricco, Tartaglione, Tidei, Tullo, Valiante, Venittelli, Zanin».

Risoluzione in Commissione:


      Le Commissioni VI e XIII,
          premesso che:
              secondo un'analisi Ismea su dati Sgfa – la Società di gestione fondi per l'agroalimentare – il credito agrario ha subito nel 2012 una flessione di oltre il 22 per cento rispetto al 2011, che equivale ad una riduzione di 613 milioni di euro in valore assoluto del credito concesso al settore primario;
              nel quarto trimestre del 2012 si registra una riduzione del 7 per cento rispetto allo stesso periodo del 2011, con una contrazione di 40 milioni dei crediti agli agricoltori; in particolare, i prestiti di lungo periodo (che rappresentano la maggior parte delle operazioni di credito agrario) si sono ridotti di quasi il 20 per cento, mentre si registra una lieve crescita dei prestiti a medio termine e una vera e propria impennata (+75,5 per cento) di quelli di breve periodo; l'incremento di tale categoria di finanziamenti potrebbe segnalare gravi difficoltà delle imprese agricole nella gestione corrente e l'esigenza di reperire circolante, anche a tassi elevati;
              l'aumento del fabbisogno di capitale circolante è infatti strettamente correlato al ciclo di reintegro dei ricavi, e all'allungamento del periodo che intercorre tra il momento in cui l'impresa sostiene i costi e il momento del corrispondente incasso dei ricavi; l'aumento del fabbisogno di circolante nel processo di gestione è dunque un chiaro sintomo che le imprese agricole sono in seria difficoltà anche per il ritardo nella riscossione dei ricavi rispetto ai pagamenti;
              la contrazione del credito alle imprese agricole nel quarto trimestre 2012 ha una dinamica differente nelle diverse aree del Paese: a fronte del crollo dei prestiti nelle Isole (-28,6 per cento), del Centro (-20,6 per cento) e del Sud (-20,6 per cento), la contrazione del Nord-est appare molto più contenuta (-1,7 per cento) e si registra una crescita del credito agrario nelle regioni di Nord-Ovest (+2,1 per cento);
              nel 2012 si sono trasformati in modo radicale i flussi di credito agrario nelle diverse aree del Paese: cresce l'importanza relativa delle aree del Nord – che accentrano oltre il 70 per cento dell'intera offerta bancaria – mentre si riduce la quota di credito destinata al Centro e al Mezzogiorno;
              in Italia, nell'anno 2012, risultano erogati, complessivamente, 2,1 miliardi di euro di credito agrario, il livello più basso degli ultimi 5 anni; il tasso di variazione medio annuo (TVMA) rileva che in Italia, dal 2008 al 2012, il credito agrario si è ridotto, in media, ogni anno, di circa 6 punti percentuali; nel quinquennio, l'erosione del credito ha interessato in particolare l'Italia del Centro-Sud: al Centro, la contrazione del credito agrario è stata, in media, di 19 punti percentuali all'anno nel periodo; al Sud e nelle Isole, rispettivamente, di 14 e 15 punti percentuali; al Nord, di converso, si è avuto un incremento medio annuo dello 0,6 per cento nell'area Est e dello 0,2 per cento in quella Ovest;
              sono significativi anche i dati dell'ultimo quinquennio: dall'analisi del credito per durata del finanziamento, si rileva che nel periodo 2008-2012 il credito agrario di lungo periodo ha riportato una flessione media annua di 7 punti percentuali; quello di medio periodo di 8 punti; quello di breve periodo è invece cresciuto mediamente di ben 13 punti ogni anno, passando dai 154 milioni di euro del 2008 ai 252 milioni di euro del 2012; la crescita del credito a breve segnala con chiara evidenza la difficoltà delle imprese agricole nell'affrontare la gestione ordinaria, a causa sia dell'incremento dei prezzi dei mezzi correnti di produzione, sia di volumi crescenti di crediti aziendali inesigibili;
              i crediti di breve periodo sono destinati a finanziare la conduzione dell'impresa agricola – ossia le spese di gestione per acquisto di materiali, manodopera, noleggio macchinari, spese di energia, irrigazione e altro – l'impennata di tali crediti nell'ultimo trimestre del 2012 denota non solo un costante e progressivo aumento dei costi aziendali per l'acquisizione dei mezzi correnti di produzione – già osservato negli ultimi anni – dovuto al rincaro dei prodotti energetici nonché di sementi, concimi e mangimi, ma anche la netta contrazione dei flussi di cassa derivante dalla crescente quota di crediti aziendali non riscossi e, spesso, non esigibili;
              nell'arco del 2012, mentre risultano in forte crescita i crediti di esercizio, risultano in frenata, nel contempo, i crediti per investimenti e, in particolare, per ristrutturazione: le imprese incontrano serie difficoltà a realizzare migliorie aziendali; crescono quindi, in peso percentuale, i crediti di esercizio mentre diminuiscono i crediti per ristrutturazioni, e si mantiene pressoché stabile la quota di credito per investimenti, evidentemente non comprimibili oltre una certa soglia;
              è significativo l'andamento del tasso di variazione medio annuo per le varie categorie di prestiti nel quinquennio 2008-2012: mentre cresce dell'11 per cento in media, all'anno, il credito di esercizio, è negativo, e pari a -5 per cento l'andamento del credito per investimenti; si riduce invece nettamente, fino a toccare -22 per cento in media, all'anno, quello per ristrutturazioni;
              nel 2012, inoltre, risulta nettamente diminuito rispetto al 2011, il numero di imprese che è riuscito ad accedere al credito agrario: il calo, in termini numerici, è del 40 per cento; in netta riduzione anche il numero di linee di credito accese nell'anno (-19 per cento);
              i dati sul credito segnalano un'ottima affidabilità creditizia delle imprese agricole: in base ai dati disponibili sino al 2012 e in un orizzonte temporale di dieci anni dall'inizio del periodo di ammortamento del prestito, si osserva che il tasso di default delle imprese agricole – quelle che riescono ad accedere ai finanziamenti – continua ad attestarsi sotto la soglia dell'1 per cento,

impegna il Governo:

          ad assumere, con urgenza, tutte le iniziative necessarie per favorire l'accesso al credito delle aziende agricole, in particolare di quelle guidate da giovani e da donne e nelle aree del Paese che registrano una più marcata contrazione degli affidamenti;
          ad assumere ogni iniziativa utile a garantire, anche mediante la sottoscrizione di un protocollo di intesa tra l'Associazione bancaria italiana e il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, l'incremento delle linee di credito e dell'ammontare dei finanziamenti concessi ad imprese agricole, alle migliori condizioni di finanziamento – in termini di tasso e di commissioni bancarie – per affidamenti di qualsiasi durata, in particolare per investimenti realizzati nell'ambito dei piani di sviluppo rurale (PSR);
          a favorire l'utilizzo dei fondi comunitari per il settore agricolo, garantendo la disponibilità delle risorse necessarie ad un integrale cofinanziamento di tali fondi, in particolare per la realizzazione dei piani di sviluppo rurale (PSR);
          ad assicurare la rapida erogazione delle risorse necessarie al cofinanziamento, anche mediante un'effettiva semplificazione delle procedure, per consentire la realizzazione delle iniziative cofinanziate nei tempi programmati;
          a sostenere l'innovazione e la competitività delle imprese agricole, anche mediante contributi a fondo perduto per ridurre, con il cofinanziamento pubblico, la rischiosità di valide iniziative fortemente innovative e di carattere sperimentale;
          a favorire la crescita e la diffusione in tutto il territorio – in particolare nel Mezzogiorno – degli strumenti di garanzia per le imprese agricole e dei consorzi di garanzia collettiva fidi (confidi).
(7-00022) «Oliverio, Sanga, Luciano Agostini, Antezza, Anzaldi, Carra, Cenni, Cova, Covello, Dal Moro, Ferrari, Fiorio, Marrocu, Mongiello, Palma, Sani, Taricco, Tentori, Terrosi, Valiante, Venittelli, Zanin».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
          con decreto interministeriale dell'8 marzo 2013, è stato approvato il documento contenente la strategia energetica nazionale (SEN) (comunicato in Gazzetta Ufficiale n.  73 del 27 marzo 2013), definito atto di indirizzo strategico per il settore dell'energia, «contenente le linee programmatiche, gli obiettivi e le priorità di azione della Strategia energetica nazionale nell'interesse del Paese»;
          l'istituto della strategia energetica nazionale veniva introdotto dall'articolo 7 del decreto-legge n.  112 del 2008, che attribuiva al Governo il compito di definire lo strumento di indirizzo e programmazione della politica energetica nazionale. La norma menzionava, tra le misure necessarie per conseguire gli obiettivi strategici, la realizzazione nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia nucleare, nonché, per effetto delle modifiche introdotte dalla legge di conversione, la promozione della ricerca sul nucleare di quarta generazione o da fusione;
          a seguito del disastroso evento di Fukushima, il decreto-legge n.  14 del 2011, articolo 5, comma 8, ha ridefinito la strategia energetica nazionale eliminando i riferimenti al nucleare. Tuttavia, anche la nuova formulazione è stata abrogata dal decreto del Presidente della Repubblica n.  114 del 2011, all'esito della consultazione referendaria del 12-13 giugno 2011;
          per effetto, dunque, dell'abrogazione legislativa dell'articolo 7 del decreto-legge e dell'abrogazione referendaria dell'articolo 5, comma 8 del decreto-legge n.  34 del 2011 convertito, con modificazioni, dalla legge n.  75 del 2011, nell'ordinamento è venuta meno una fonte di rango primario che preveda l'istituto della strategia energetica nazionale e che ne disciplini il relativo iter di approvazione, comportandone conseguentemente l'abrogazione della disciplina della strategia energetica nazionale;
          un riferimento alla strategia energetica nazionale è stato nuovamente introdotto nel decreto legislativo n.  93 del 2011, articolo 1, comma 2, in materia di «Sicurezza degli approvvigionamenti», il quale demanda al Ministero per lo sviluppo economico la definizione di scenari decennali e previsioni relativi allo sviluppo del mercato del gas naturale e del mercato dell'energia elettrica «in coerenza con gli obiettivi della strategia energetica nazionale di cui all'articolo 3»;
          quest'ultimo articolo, titolato «Infrastrutture coerenti con la strategia energetica nazionale», a sua volta dispone che «Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, d'intesa con la Conferenza Unificata, sono individuate, sulla base degli scenari di cui all'articolo 1, comma 2, e in coerenza con il Piano d'Azione Nazionale adottato in attuazione della direttiva 2009/28/CE e con il Piano d'Azione per l'efficienza energetica adottato in attuazione della direttiva 2006/32/CE (...), le necessità minime di realizzazione o di ampliamento di impianti di produzione di energia elettrica, di rigassificazione di gas naturale liquefatto, di stoccaggio in sotterraneo di gas naturale e di stoccaggio di prodotti petroliferi, e le relative infrastrutture (...)»;
          dalla lettura sistematica delle due norme di cui al sopra citato decreto legislativo n.  93 del 2011 si evince che i poteri attribuiti al Ministero dello sviluppo economico dall'articolo 1, comma 2, presuppongano una strategia energetica nazionale già approvata e definita negli obiettivi e nelle linee programmatiche. Tali poteri devono essere esercitati in coerenza con la strategia energetica nazionale e sono limitati alla definizione degli scenari e delle previsioni indicati dalla norma, ai quali si aggiunge, ai sensi dell'articolo 3, la proposta in merito alla definizione delle necessità minime di realizzazione o di ampliamento di impianti e delle relative infrastrutture di trasmissione;
          così definito il quadro normativo di riferimento, la procedura di approvazione indicata in premessa al decreto interministeriale dell'8 marzo 2013 non risulta inquadrabile all'interno di una specifica disciplina di rango primario che conferisca ai Ministeri interrogati il potere di approvare il documento contenente la strategia energetica nazionale. Il generico riferimento, contenuto nel decreto, «ai poteri di indirizzo spettanti in materia al Ministro dello sviluppo economico e al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare» conferma quanto assunto;
          per inciso, si rileva che i testi normativi abrogati, (rispettivamente l'articolo 7 del decreto-legge n.  112 del 2008 e l'articolo 5, comma 8, della legge n.  75 del 2011), demandavano la competenza all'approvazione della strategia energetica nazionale, al «Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, definisce la “Strategia energetica nazionale”. Ai fini della elaborazione della proposta di cui al comma 1, il Ministro dello sviluppo economico convoca, d'intesa con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, una Conferenza nazionale dell'energia e dell'ambiente» (articolo 7 del decreto-legge n.  112 del 2008), e al Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dello sviluppo economico e del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e acquisito il parere delle competenti Commissioni parlamentari (articolo 5, comma 8 del decreto-legge n.  34 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  75 del 2011);
          l’iter di approvazione indicato in premessa al decreto 8 marzo 2013 non trova alcun riscontro o conferma in discipline normative vigenti né in quelle sopracitate, comunque abrogate, nell'ultima delle quali (articolo 5, comma 8, del decreto-legge n.  34 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  75 del 2011) veniva espressamente richiesto il parere delle competenti Commissioni parlamentari;
          inoltre, con nota dell'8 novembre 2012, n.  461/2012/I/COM, (paragrafo D), la stessa Autorità per l'energia elettrica e il gas segnalava l'esigenza di prevedere una norma espressa che disciplinasse il procedimento d'adozione della strategia energetica nazionale;
          il documento di Strategia energetica nazionale approvato l'8 marzo 2013 dai Ministri pro tempore, dello sviluppo economico e dell'ambiente e tutela del territorio e del mare, con le modalità sopra ampiamente descritte, presenta, nonostante il tentativo di consultazione pubblica, numerose lacune, probabilmente dovute alla modalità di ricezione delle osservazioni stesse);
          è evidente una discrasia fra gli obiettivi, generalmente ambiziosi e di ampio respiro, e gli strumenti concreti che spesso restano poco definiti;
          si evidenzia la carenza di una reale visione a lungo termine in merito agli obiettivi generali anche in relazione alle più recenti indicazioni comunitarie;
          il ricorso alle «sostenibili» risulta essere ridotta solo ad una mera questione economica, tant’è che si pensa alla risoluzione della problematica energetica mediante «una graduale integrazione della produzione rinnovabile». Nonostante il grandissimo potenziale disponibile in Italia, le fonti rinnovabili sono viste come integrative, senza guardare in prospettiva alla possibilità di renderle sostitutive alle fonti fossili mediante il superamento della loro intermittenza nella produzione energetica;
          si esprimono forti dubbi su come e in che misura il settore agricolo potrà contribuire all'implementazione della Strategia energetica nazionale, in quanto è di fondamentale rilevanza che non si creino conflitti tra il compatto energetico e le produzioni agroalimentari, in una situazione ben lontana dalla sovranità alimentare. Sebbene nella strategia energetica nazionale tale principio venga ribadito, sarebbe necessario che il nostro Governo affrontasse la questione di come conciliare tale imprescindibile impostazione con i cogenti obblighi comunitari in materia di biocarburanti in relazione all'utilizzo delle fonti rinnovabili nel settore dei trasporti pari al 10 per cento al 2020. In tale direzione, anche nel settore delle agroenergie oltre che nei trasporti, auspichiamo che si adottino al più presto provvedimenti per realizzare una filiera cortissima nell'approvvigionamento delle materie prime, autoconsumo, recupero dell'energia termica, valutazione delle emissioni di precursori del particolato anche in relazione alla situazione preesistente, lontananza dai centri abitati, minima potenza degli impianti;
          è fondamentale che nell'enunciare il miglioramento degli standard ambientali, si richiami espressamente la necessità che la sostenibilità ambientale dell'uso delle fonti energetiche rinnovabili non sia unicamente rinvenibile nel contenimento delle emissioni di CO2, ma si confronti con la «cross compilance» di tutte le direttive europee di tutela delle matrici ambientali;
          a tal proposito si rappresenta che dall'esperienza maturata in sede di rilascio di autorizzazioni per impianti a fonti energetiche rinnovabili sono emerse criticità legate alla compatibilità anche delle fonti di energia rinnovabili (oltre che delle fonti fossili) con le esigenze di tutela delle peculiarità paesaggistico-ambientali di cui è ricco il territorio (elevato consumo di suolo agricolo destinato a campi fotovoltaici) che rendono urgente l'introduzione di un metodo condiviso che consenta di pesare costi e benefici delle fonti di energia rinnovabili. Si ritiene pertanto condivisibile l'introduzione dell'analisi costi-benefici ma si rimarca la necessità di sciogliere il nodo – tuttora irrisolto – dei costi ambientali per poter consentire una congiunta valutazione della sostenibilità ambientale e di quella economica di opere necessariamente impattanti sul territorio;
          l'espressione «sviluppo sostenibile della produzione nazionale di idrocarburi» e l'auspicio a «diventare il principale hub sud-europeo del gas» sono ad avviso degli interpellanti quantomeno segnali di un classico tentativo di controllare l'impetuosa crescita delle fonti rinnovabili, con una tattica dilatoria nei confronti di un cambiamento in atto del sistema energetico e verso quella transizione energetica per le quali si richiedono ora altre mentalità e visioni. La strategia energetica nazionale non affronta nessuna stima temporale per il livello di sfruttamento che propone per le risorse nazionali di idrocarburi, che ad oggi si aggira circa nella copertura del 10 per cento del fabbisogno per 10 anni. Ma non è noto cosa accadrà dopo. È strano che in un documento chiamato «strategia» si usi l'espressione «sviluppo sostenibile» per un'operazione della durata di un decennio che lascerebbe la nazione priva di risorse fossili nazionali. Quanto poi questo possa contribuire alla «sicurezza energetica», indicata più volte nella strategia energetica nazionale, appare del tuffo incomprensibile. Il problema rimane quello di non aver operato una vera scelta a favore di un modello basato su rinnovabili ed efficienza, e quindi di non individuare una vera e propria strategia di transizione, come sta invece avvenendo in Germania. La Strategia finisce secondo gli interpellanti per essere solo un modo per sostenere i soliti noti e non intaccare, anzi favorire gli interessi delle grandi lobby dei combustibili fossili;
          è necessario, quindi, un piano energetico disciplinato normativamente che dia certezza e organicità alle politiche energetiche del Nostro Paese, indicando in modo prioritario e chiaro gli obiettivi  –:
          quale sia il fondamento normativo in virtù del quale il Ministro dello sviluppo economico ed Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare hanno decretato l'approvazione del documento contenente la strategia energetica nazionale (decreto 8 marzo 2013), considerato che la precedente normativa sulla strategia energetica nazionale (decreto-legge n.  34 del 2011 e decreto del Presidente della Repubblica n.  114 del 2011) è stata oggetto di abrogazione, che ad oggi non c'e alcuna normativa applicabile e che lo stesso decreto legislativo n.  93 del 2011 nel quale la strategia energetica nazionale viene solo citata, non prevede alcuna specifica definizione della strategia energetica nazionale, del procedimento di adozione e delle relative attribuzioni e competenze, come si evince dalla stessa segnalazione dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas;
          se ritengano soddisfacente l'attuale piano di strategia energetica nazionale;
          se intendano adottare un apposita iniziativa normativa volta a definire un piano energetico nazionale di lungo periodo e se si intenda prevedere un aggiornamento della strategia energetica nazionale secondo gli obiettivi descritti in premessa.
(2-00065) «Crippa, Agostinelli, Alberti, Baroni, Brugnerotto, Businarolo, Cariello, Carinelli, Colletti, Colonnese, Cozzolino, Dadone, De Lorenzis, Della Valle, Luigi Di Maio, Manlio Di Stefano, Dieni, Ferraresi, Fico, Luigi Gallo, Mannino, Marzana, Nesci, Scagliusi, Sibilia, Sorial, Spadoni, Spessotto, Toninelli, Turco, Vignaroli».


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro della difesa, per sapere – premesso che:
          il 2 giugno viene celebrata la ricorrenza della nascita della Repubblica Italiana, in ricordo del referendum istituzionale che nel 1946 stabilì, a suffragio universale, la forma repubblicana per l'Italia;
          la celebrazione si articola nella parata militare che, a Roma, la mattina del 2 giugno, attraversa via dei Fori Imperiali e nel ricevimento offerto dal Presidente della Repubblica al Corpo diplomatico accreditato in Italia;
          in passato più volte è stato deciso di sospendere la parata per ragioni di sobrietà nelle spese e, in talune occasioni, per gesto di civile solidarietà verso popolazioni colpite quell'anno da gravi eventi naturali;
          in particolare, il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scàlfaro decise, nel corso di tutto il settennato della sua presidenza, di sospendere la parata e il ricevimento per motivi economici preferendo, come lo stesso Presidente Scàlfaro ebbe a spiegare, di aprire «i giardini del Quirinale per tutta la giornata del 2 giugno a tutte le famiglie ed alle persone normali, perché questa è la Festa degli Italiani»;
          negli ultimi anni i costi della parata sono aumentati considerevolmente, toccando i 3,5 milioni di euro nel 2010 e i 4,4 milioni di euro nel 2011;
          il significato delle celebrazioni, che ricordano la nascita della Repubblica in seguito al già ricordato referendum istituzionale, non è in alcun modo legato alle Forze armate italiane;
          il giorno storicamente e istituzionalmente dedicato alla celebrazione delle nostre forze armate è infatti il 4 novembre, data che ricorda la fine della prima guerra mondiale;
          la parata militare determina notevoli spese a carico dello Stato, sia pure in forme meno partecipate, come avvenne nel 2012, pesando comunque in quell'occasione sul bilancio per una cifra di poco inferiore ai due milioni di euro e impegnando nella sfilata ben 2.500 persone tra militari e civili;
          vanno segnalate l'incongruenza politica e l'inopportunità morale di una spesa così alta in un Paese fortemente provato dalla crisi economica, con 6,4 milioni di persone ai margini del mercato del lavoro (stime Istat) e 97 milioni di ore di cassa integrazione registrate nel solo mese di marzo (stime Cgil);
          la Presidenza della Repubblica ha recentemente annunciato di aver cancellato il tradizionale ricevimento al Quirinale offerto ad autorità, società civile ed ambasciatori, sembra con un risparmio di circa 200 mila euro;
          il Presidente del Consiglio dei ministri ha recentemente scritto una lettera indirizzata a vari Ministri per ridefinire, in considerazione delle esigenze di contenimento della spesa, le modalità di organizzazione delle feste delle singole Forze armate, dei Corpi militari e dei Corpi non armati dello Stato, ma ha contestualmente confermato lo svolgimento della parata militare per celebrare il 2 giugno  –:
          quante persone, militari e civili, parteciperanno alla parata militare del prossimo 2 giugno e quali saranno i suoi costi complessivi e se, alla luce di quanto detto in premessa, non ritenga opportuno assumere tutte le iniziative necessarie per annullare la parata militare del prossimo anno liberando in tal modo delle risorse economiche da poter destinare ad altre urgenze sociali.
(2-00067) «Claudio Fava, Scotto, Migliore, Duranti, Piras, Marcon, Aiello, Airaudo, Boccadutri, Franco Bordo, Costantino, Di Salvo, Daniele Farina, Ferrara, Fratoianni, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Lacquaniti, Lavagno, Matarrelli, Melilla, Nardi, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piazzoni, Pilozzi, Placido, Quaranta, Ragosta, Ricciatti, Sannicandro, Zan, Zaratti».

Interrogazione a risposta orale:


      SCUVERA, REALACCI e FERRARI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          il sito di interesse nazionale (SIN) presente nel comune di Broni, in provincia di Pavia, è stato riconosciuto nel 2002 per la presenza dell'area dismessa «ex Fibronit»;
          in tale area sorgeva la Cementifera Italiana Fibronit spa (in seguito Fibronit spa, poi finanziaria Fibronit spa), già produttrice di cemento fin dal 1919 e che, nel 1932, avviava la lavorazione dell'amianto, mantenendola fino al giugno del 1993, anno nel quale ne fu inibita la produzione ai sensi della legge n.  257 del 1992 che dettava le «Norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto», con specifica deroga che consentiva la produzione di tubi e lastre fino al 1994. Si osserva che la produzione a base di cemento-amianto della Fibronit riguardava principalmente tubi, lastre di copertura e pezzi speciali (camini, curve colmi e altro);
          la finanziaria Fibronit spa aveva costituito un ramo d'azienda per la produzione di tubi in fibrocemento c.p.c. sistema Ecored (senza amianto) che si insediò nella precedente azienda, quindi in locali ed ambienti inquinati da amianto; il ramo d'azienda verme poi ceduto nel 1998 dalla stessa finanziaria Fibronit spa, allora in liquidazione, insieme ai prodotti finiti, alle merci e alle rimanenze di magazzino, ai macchinari e a parte degli immobili e dell'area (per un totale di circa 3,5 ettari) alla Ecored spa, appositamente costituita (pertanto l'area ex Fibronit comprende anche l'area ex Ecored);
          il suddetto sito di interesse nazionale è l'unico, dislocato in Lombardia, inquinato da amianto. L'area ha un'estensione di circa 13,5 ettari, di cui il 35 per cento è coperto da capannoni e da uffici, mentre la parte residua, adibita a piazzale, è pavimentata quasi totalmente (cls/asfalto). Originariamente circondata dalla zona agricola, dista soltanto circa 600 metri dal centro storico di Broni, che rappresenta ancora oggi il nucleo con più elevata densità abitativa. Negli anni, l'insediamento è stato raggiunto dall'espansione residenziale ed artigianale e dal censimento effettuato dal comune medesimo risulta che le coperture in amianto hanno una superficie complessiva di circa 150.000 metri quadrati di cui circa 1.000 metri quadrati sono coperture di edifici pubblici, tra cui anche scuole;
          l'esposizione ad amianto comporta l'insorgere nelle persone esposte delle cosiddette patologie asbesto-correlate che si manifestano sotto forma di mesotelioma (tumore al polmone, alla laringe, all'ovaio e altro), come anche accertato dalla sentenza del 13 febbraio 2012 con cui il tribunale di Torino condannava i vertici della multinazionale elvetica Eternit. Broni è l'area con il più alto numero di decessi per mesotelioma rispetto al numero di abitanti in Italia, patologia che colpisce anche i soggetti non esposti per motivi professionali;
          le operazioni di bonifica programmate finora hanno determinato il completamento della sola messa in sicurezza di emergenza del sito (MISE), senza procedere alla effettiva bonifica dell'ambiente inquinato; scrive Lorenzo Bordoni nel suo Reportage «Broni, l'amianto killer» del 2011: «L'azienda si chiamava Fibronit, sorge a pochi passi dal centro di Broni e ha cambiato insegna vent'anni fa. Ma continua a fare strage: prima degli operai che si riempivano i polmoni di polvere d'amianto, poi delle loro mogli che lavavano i panni da lavoro, oggi dei loro figli. Quaranta morti all'anno, perché in quello stabilimento ci sono ancora trecentomila metri quadri da bonificare»;
          eppure la messa al bando dell'amianto di cui alla citata legge n.  257 del 1992 imponeva l'immediata bonifica del sito; tuttavia, a causa delle gravi carenze tecniche riscontrate, il progetto di bonifica ambientale, proposto più volte dalla finanziaria Fibronit all'amministrazione comunale, è stato sempre respinto dagli organi di controllo. Pertanto dal 1994 al 2000 non è stata operata alcuna operazione di bonifica;
          nel gennaio 2002 il comune di Broni ha attivato i poteri sostitutivi nei confronti dei soggetti obbligati inadempienti, ai sensi del decreto legislativo n.  22 del 1997, e nel maggio 2002, ha affidato l'incarico per l'esecuzione del progetto preliminare di messa in sicurezza e smaltimento dei rifiuti contenenti amianto;
          ad oggi, sono stati complessivamente concessi e/o assentiti per le operazioni di bonifica 7.054.872 euro, di cui 1.382.145 euro dalla regione Lombardia e 5.572,727 euro dal Ministero competente; con tali finanziamenti sono stati realizzati interventi, relativi alla messa in sicurezza del sito, alla bonifica e allo smaltimento e, in particolare, dal 2002 al 2006 è stato effettuato il piano di caratterizzazione dell'area ex Fibronit e sono stati realizzati i relativi interventi di messa in sicurezza, consistenti nello smaltimento dei rifiuti e dei materiali contenenti amianto giacenti sui piazzali nonché di altri materiali pericolosi; complessivamente sono state smaltite 1.418 tonnellate di manufatti contaminati da amianto e 100 tonnellate di fanghi;
          nel 2009 la ditta Sadi Servizi Industriali SpA ha eseguito i lavori per la messa in sicurezza di emergenza, con il conseguente smaltimento di 27,4 tonnellate di materiali contaminati da amianto e 18,7 tonnellate di ferro e acciaio;
          sempre nel 2009 il comune di Broni ha acquisito a costo zero l'area ex Fibronit e l'area ex Ecored, che sono ancora oggi di proprietà dell'amministrazione che non ha ancora definito la destinazione dell'area;
          nel 2010 è stato presentato ed approvato il progetto della messa in sicurezza dell'intero sito ed è stato emanato il bando d'appalto per l'assegnazione dei lavori, consegnati alle imprese vincitrici nel luglio 2011 da Bronistradella spa, società partecipata dal comune di Broni, che gestisce l'attività di bonifica; sono, dunque, partiti i lavori relativi alla messa in sicurezza d'emergenza dell'intero sito e alla bonifica del primo lotto dell'area ex Fibronit ex Ecored;
          quindi, ad oggi, sono state poste in essere diverse attività, sia per la messa in sicurezza, attraverso misure per il contenimento del rischio di diffusione delle fibre d'amianto nell'ambiente, sia per l'avvio del primo stralcio di bonifica dei capannoni industriali; detti lavori hanno generato 2400 tonnellate di rifiuti pericolosi, 800 tonnellate di rifiuti non pericolosi, 800 tonnellate di altri rifiuti e 1500 tonnellate di materiali ferrosi;
          una stima aggiornata dei costi per il completamento delle operazioni di bonifica (escluso lo smaltimento) comprensivi del monitoraggio ambientale periodico e delle valutazioni epidemiologiche ammonterebbe ad euro 21.174.872; pertanto le risorse da reperire ammontano a oltre 14 milioni di euro;
          la gravità della situazione rende necessario «sbloccare» tali finanziamenti e procedere alla valutazione istruttoria della variante giacente al Ministero nel più breve tempo possibile: la messa in sicurezza di emergenza, infatti, è un intervento «tampone», ma il lavoro di bonifica deve proseguire; peraltro si stima che la preventiva messa in sicurezza dell'intero sito, senza procedere direttamente alla bonifica, abbia prodotto un aumento di costi almeno del 30-40 per cento rispetto all'intervento immediato di bonifica;
          il 25 marzo 2013 il sindaco di Broni con i gruppi consiliari di tutte le forze politiche e le associazioni ambientaliste ha chiesto con forza al presidente della regione Lombardia e all'assessore regionale all'ambiente, nelle more del finanziamento statale, di stanziare le necessarie risorse per finanziare la bonifica Fibronit; in particolare l'amministrazione locale scrive che «è ormai riconosciuta la grave situazione sanitaria locale caratterizzata da un costante aumento delle vittime di malattie asbesto correlate, che hanno colpito non soltanto gli ex lavoratori (circa 3.800 tra uomini e donne) e i loro familiari, direttamente o indirettamente a contatto con la fonte di inquinamento, ma colpiscono in questi ultimi tempi cittadini che hanno soltanto la colpa di aver respirato all'epoca della produzione l'aria di Broni»;
          infatti, la dispersione di fibre legata alla produzione di manufatti, particolarmente forte negli anni settanta, ha provocato un gravissimo inquinamento ambientale e la conseguente mortalità si sta verificando dopo 35-40 anni, come spiegato dalla letteratura medica. Nel quaderno del Ministero della salute n.  15 del maggio-giugno 2012, il tasso grezzo di incidenza per 100.000 abitanti di mesotelioma pleurico osservato a Broni è di 82,02, addirittura superiore a quello di Casale Monferrato;
          nonostante le continue istanze delle amministrazioni locali che si sono succedute, delle associazioni ambientaliste e dei cittadini, la bonifica non è proseguita per la mancanza di fondi, mentre si sceglie un percorso di sviluppo del territorio basato su opere faraoniche – come l'autostrada Broni-Mortara – che continua a deprimere le potenzialità turistiche e le bellezze paesaggistiche dell'Oltrepò pavese, aggravandone l'inquinamento e danneggiando il tessuto socio-economico e, in particolare, l'impresa agricola  –:
          quale sia lo stadio dell'istruttoria di approvazione della variante di progetto che consentirebbe lo sblocco di euro 800.000 coi quali il comune di Broni potrebbe dare l'avvio effettivo della bonifica;
          quali siano i motivi del ritardo dei finanziamenti per ultimare la bonifica;
          se il Governo non intenda individuare urgentemente, e rendere immediatamente disponibili, adeguate risorse economiche che consentano di ultimare la bonifica del sito di interesse nazionale ex Fibronit insistente a Broni. (3-00085)

Interrogazioni a risposta scritta:


      ROSATO, BLAZINA, BRANDOLIN, COPPOLA, GIGLI, MALISANI e ZANIN. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          l'allegato VIII del Trattato di Pace del 1947 aveva costituito nel porto di Trieste alcune aree nelle quali vigeva il regime di esenzione doganale per le merci che transitavano o venivano trasformate;
          il punto franco è un valore aggiunto che serve per lo sviluppo del porto e dei traffici, ed è evidente che questo regime speciale debba essere conservato e attivato laddove le operazioni portuali possano trarre beneficio, cosa che non accade nell'area del porto vecchio di Trieste ormai quasi completamente privo di adeguate strutture e attrezzature portuali;
          numerose sono le aree nel sedime portuale o retroportuale di Trieste dove lo spostamento del regime di punto franco, consentito dai trattati, permetterebbe una loro ottimizzazione economica e commerciale;
          da lunghi anni e nonostante numerose pressioni in senso contrario la città di Trieste sta tentando un recupero del porto vecchio, con una sua valorizzazione a finalità economiche, turistiche, scientifiche e culturali; operazione che potrebbe portare in Italia significativi investimenti privati;
          il progressivo insediamento nell'area di porto vecchio di nuove funzioni, servizi e attività solo in particolari e limitati casi potrebbero trarre beneficio dalla presenza del punto franco ed anzi, il loro sviluppo è e sarà inevitabilmente compromesso dalla presenza di quelle limitazioni degli accessi che il regime di punto franco necessariamente richiede;
          anche a parere degli operatori economici, l'unica condizione irrinunciabile, senza la quale alcun progetto è «performabile», è la libera circolazione delle persone e la possibilità di esercitare qualsiasi attività d'impresa coerentemente con le prescrizioni urbanistiche;
          tutto ciò rende indispensabile che siano gli enti locali ad assumere autonomamente le scelte più idonee d'intesa con le linee strategiche di sviluppo nazionale: l'amministrazione comunale, tramite il sindaco, ha ripetutamente sollecitato una puntuale definizione della questione al fine di elaborare le opportune strategie di sviluppo della città e del suo porto;
          nella precedente legislatura, la risoluzione 8-00193 impegnava il Governo a «chiarire la corretta interpretazione dei trattati internazionali» circa lo spostamento del punto franco, ed è stata approvata alla luce di quanto espresso dal Governo Monti in Commissione III nell'audizione del sottosegretario di Stato pro tempore Marta Dassù, il 18 luglio 2012;
          nella risoluzione si faceva cenno al fatto che secondo alcune interpretazioni giuridiche nessuno può modificare o spostare i cosiddetti «punti franchi» senza l'esplicito consenso di tutte le nazioni, che hanno sottoscritto il trattato di pace del 1947;
          la stessa risoluzione considerava che tale interpretazione non tiene conto dei numerosi e ripetuti episodi che hanno visto il prefetto di Trieste e commissario di Governo disporre sospensioni e spostamenti di tali aree con un semplice decreto prefettizio;
          infatti, come evidenziato dal sottosegretario di Stato pro tempore, Marta Dassù, nell'audizione nella Commissione III della Camera dei deputati il 18 luglio 2012, «appare preferibile la seconda interpretazione – ovvero quella che include la possibilità di spostare le zone franche garantendo l'uso di tali strutture portuali in condizioni di parità per tutto il commercio internazionale – poiché consente l'evoluzione delle strutture portuali senza pregiudicare le funzionalità del Porto, che mantiene sempre le caratteristiche di porto franco, e quindi senza contrastare con lo spirito e la finalità del Trattato di pace e dei successivi strumenti internazionali e senza esporre il nostro Paese a fondate contestazioni da parte delle altre Parti contraenti del Trattato»;
          l'interpretazione corretta, quindi, è quella che vede attribuire la piena disponibilità di tali zone alla potestà governativa così come più volte affermato dal Ministro degli affari esteri e dai funzionari dell'ufficio del contenzioso diplomatico;
          a seguito del pronunciamento del Governo allora in carica in Commissione III sulla risoluzione di cui sopra, il 7 settembre 2012 il sindaco di Trieste ha inviato una missiva alle autorità prefettizia e portuale di Trieste esprimendo la formale richiesta dell'amministrazione comunale al commissario di Governo «di avviare il trasferimento del regime di punto franco da una prima porzione del porto vecchio di Trieste a un sito da individuare tempestivamente, ovviamente d'intesa con l'autorità portuale, interessata giustamente a valorizzare le agevolazioni previste da quel regime in quelle aree dove possono utilmente servire allo sviluppo di talune attività portuali»;
          il commissario di Governo, che ha la competenza a provvedere l'emanazione di provvedimenti afferenti il «punto franco», ha interessato della richiesta del comune di Trieste, la Presidenza del Consiglio dei ministri e gli organi ministeriali competenti per le dovute valutazioni circa il consenso e le modalità per lo spostamento proposto;
          è opinione condivisa che lo spostamento del punto franco sarebbe anche un segnale chiaro e univoco all'opinione pubblica, ormai priva di speranze, visto lo stato di abbandono a cui l'area è stata a lungo condannata  –:
          se il Governo confermi l'interpretazione che il Sottosegretario di Stato pro tempore, Marta Dassù, ha espresso nell'audizione del 18 luglio 2012;
          se il Governo, in coerenza con tale interpretazione, intenda dare risposta e mandato al commissario di Governo di avviare il trasferimento del regime di punto franco in base alle necessità evidenziate e concordate su base locale.
(4-00600)


      PRODANI e RIZZETTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          il dibattito scientifico sull'utilizzo dell'agricoltura transgenica è molto acceso e si articola su due posizioni contrastanti: quella di chi ritiene che gli organismi geneticamente modificati (OGM) non producano rischi né per i consumatori né per l'agricoltura e quella di coloro secondo i quali, invece, i pericoli per la salute dei cibi OGM siano di gran lunga sottovalutati;
          ad oggi su quest'argomento non sono disponibili studi scientifici, sia nazionali che internazionali, soddisfacenti;
          in Italia la coesistenza tra le forme di agricoltura transgenica, convenzionale e biologica è regolata dalla legge n.  5 del 2005 di conversione del decreto-legge n.  279 del 2004 e dai decreti legislativi n.  224 del 2003 (di recepimento della direttiva 2001/18/CE,) e n.  70 del 2005 che hanno introdotto, tra l'altro, il principio di precauzione e un sistema sanzionatorio per violazione delle regole sull'immissione in mercato di questi prodotti;
          la sentenza della Corte costituzionale n.  416 del 2006 ha dichiarato l'incostituzionalità di numerose disposizioni della legge n.  5 del 2005 giudicate lesive delle competenze legislative regionali, annullando tuttele norme funzionali all'adozione dei previsti piani di coesistenza regionali (comitato consultivo, linee-guida, decreto ministeriale-quadro, piani di coesistenza e relative sanzioni) e riconoscendo alle regioni – molte delle quali avevano già adottato provvedimenti limitativi per l'uso di OGM – la piena disponibilità legislativa della materia;
          il Senato della Repubblica il 21 maggio 2013 ha approvato a larga maggioranza un ordine del giorno n.  9/1-00019/1 che impegna il Governo ad adottare la clausola di salvaguardia prevista dall'articolo 23 della direttiva 2001/18/CE sull'emissione deliberata nell'ambiente di OGM o ad adottare misure cautelari, così come stabilite all'articolo 34 del regolamento (CE) n.  1829/2003 su alimenti e mangimi OGM, a tutela della salute umana, dell'ambiente e del modello economico e sociale del settore agroalimentare italiano;
          lo stesso atto d'indirizzo politico prevede che l'Esecutivo rafforzi il monitoraggio e il controllo sulle colture – con il coinvolgimento del Corpo forestale dello Stato – e che sia sostenuta e potenziata la ricerca scientifica pubblica in materia agricola e biologica, in caso di OGM, in ambiente confinato di laboratorio;
          il 4 aprile 2013 il Ministro della salute del Governo Monti, Renato Balduzzi, ha inviato alla Commissione europea la richiesta per effettuare una nuova valutazione del Mon810 (mais transgenico prodotto dalla multinazionale Monsanto) alla luce delle ultime linee guida, definendo inoltre adeguate misure di gestione che dovrebbero essere rese obbligatorie per tutti gli utilizzatori di questi OGM e chiedendo nel frattempo la sospensione urgente dell'autorizzazione alla messa in coltura di sementi di questo mais nel nostro Paese e nell'Unione europea;
          la regione Friuli-Venezia Giulia ha revocato la deliberazione del 13 dicembre 2012, attuativa della legge regionale n.  5 del 2011 sull'impiego degli OGM in agricoltura che vieta – se non per sperimentazione – l'impiego di sementi geneticamente modificate sul proprio territorio. La decisione è stata adottata a seguito dell'apertura, da parte della Commissione europea, di una procedura di «pre-infrazione» delle norme comunitarie (Eu Pilot 3972/12/Snco) da parte della legislazione regionale in materia di coltivazioni Ogm. La giunta regionale, comunque, ha deciso l'emanazione in tempi brevi delle linee guida di coesistenza per il proprio territorio, garantendo così la salvaguardia delle produzioni convenzionali in loco;
          la Corte di giustizia europea, con l'ordinanza dell'8 maggio 2013, si è espressa nella causa C-542/12 sulla pronuncia pregiudiziale sollevata dal tribunale di Pordenone nell'ambito del procedimento penale a carico del signor Giorgio Fidenato, accusato di avere messo a coltura alcune varietà di mais OGM senza avere ottenuto l'autorizzazione prescritta dalla legislazione nazionale;
          l'ordinanza della Corte comunitaria ha riconosciuto le ragioni dell'imprenditore pordenonese, sostenendo che «il diritto dell'Unione dev'essere interpretato nel senso che la messa in coltura di organismi geneticamente modificati quali le varietà del mais Mon 810 non può essere assoggettata a una procedura nazionale di autorizzazione quando l'impiego e la commercializzazione di tali varietà sono autorizzati ai sensi dell'articolo 20 del regolamento (CE) n.  1829/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativo agli alimenti e ai mangimi geneticamente modificati, e dette varietà sono state iscritte nel catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole previsto dalla direttiva 2002/53/CE del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole, come modificata dal regolamento n.  1829/2003»;
          inoltre, secondo la Corte la normativa europea «non consente a uno Stato membro di opporsi alla messa in coltura sul suo territorio di detti organismi geneticamente modificati per il fatto che l'ottenimento di un'autorizzazione nazionale costituirebbe una misura di coesistenza volta a evitare la presenza involontaria di organismi geneticamente modificati in altre colture»  –:
          se il Governo intenda rispettare immediatamente gli impegni derivanti dall'approvazione dell'ordine del giorno di cui in premessa, adottando come criterio guida per la coltivazione degli OGM la clausola di salvaguardia;
          se intenda intervenire nelle sedi comunitarie opportune per promuovere una regolamentazione più restrittiva delle colture OGM, a tutela della salute umana e dell'ambiente. (4-00607)


      NARDELLA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          l'Italia è da anni al centro di una delicata vicenda giudiziaria internazionale per un processo riguardante il risarcimento civile, da parte della Repubblica islamica dell'Iran, per la morte dei giovani cittadini americani Alisa Michelle Flatow, Sara Duker e Matthew Eisenfeld, uccisi – in due distinti attentati terroristici nel 1995 e nel 1996 – a Gerusalemme;
          a seguito, infatti, delle sentenze del 3 novembre 1998 e dell'11 novembre 2000, il giudice Royce C. Lamberth della corte distrettuale del distretto di Columbia condannava la Repubblica iraniana a risarcire la famiglia Flatow con una somma pari a 250 milioni di dollari; e le famiglie Duker e Eisenfeld con altri 300 milioni di dollari;
          nell'impossibilità di ottenere il risarcimento negli Stati Uniti e riscontrato nel nostro Paese la sussistenza di proprietà finanziarie dirette del Governo iraniano, le famiglie delle vittime hanno chiesto l’exequatur in Italia delle pronunce della magistratura americana;
          il 12 maggio 2004 la corte d'appello di Roma ha riconosciuto – con sentenza passata in giudicato il 29 luglio 2005 – la delibazione delle sentenze statunitensi nel nostro ordinamento;
          il Governo italiano, lungi dal mantenere un atteggiamento di imparzialità nella già delicata vicenda giudiziaria, ha deciso di intervenire, prima della decisione del tribunale sul sequestro dei conti intestati alla Repubblica iraniana, inviando una comunicazione ufficiale da parte del Cerimoniale diplomatico della Repubblica al tribunale di Roma il 25 novembre 2005 con il quale si dichiara l'intenzione del Governo italiano di sostenere le ragioni – in opposizione – del Governo iraniano;
          i rappresentanti delle famiglie delle vittime hanno denunciato quella che ritengo l'illegittima ammissione, presso la Corte di Cassazione, del ricorso presentato da parte della Repubblica islamica dell'Iran ben oltre i termini di legge previsti, il 5 luglio 2006, undici mesi più tardi del termine ultimo per la presentazione del ricorso;
          alla luce del ricorso, la Corte di Cassazione, con sentenza dell'8 maggio 2007, ha annullato la precedente sentenza della corte d'appello passata ormai in giudicato dal 29 luglio 2005;
          nel giugno 2012 ha avuto inizio la seconda azione legale da parte delle famiglie delle vittime per vedere riconosciuta l'applicazione della sentenza Usa in Italia al fine di ottenere risarcimento legale per il danno subito;
          il 13 maggio 2013, a quanto consta all'interrogante, sei senatori USA hanno richiesto all'ambasciatore d'Italia a Washington, Claudio Bisogniero, l'applicazione delle sentenze statunitensi concernenti le famiglie Flatow, Duker ed Eisenfeld e il ritiro da parte del Governo italiano della ritirare la «dichiarazione d'interesse nella questione»  –:
          quale sia la posizione del Governo rispetto alla vicenda sommariamente descritta in premessa;
          se sia intenzione del Governo esprimere la propria imparzialità rispetto ad un processo di risarcimento danni in sede civile che riguarda, in primo luogo, gli organi giudiziari della Repubblica italiana.
(4-00610)


      L'ABBATE, GAGNARLI, PARENTELA, GALLINELLA, BRESCIA, ZACCAGNINI, MASSIMILIANO BERNINI, LUPO, DE LORENZIS, BENEDETTI, FURNARI, SCAGLIUSI, CARIELLO, LABRIOLA e D'AMBROSIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
          il divieto di abbattimento degli alberi di olivo è sancito sin dal decreto legislativo luogotenenziale 27 luglio 1945, n.  475, che sancisce limiti, autorizzazioni e sanzioni per gli inadempienti nonostante la situazione post-bellica in cui si trovava l'Italia;
          la legge 14 febbraio 1951, n.  144, ha reso ancor più stringente la materia, affidando al prefetto il controllo e l’iter autorizzativo concernente il divieto di abbattimento degli alberi di ulivo, modificando gli articoli 1 e 2 del già citato decreto legislativo luogotenenziale;
          la Convenzione europea del paesaggio, adottata dal Comitato dei ministri della cultura e dell'ambiente del Consiglio d'Europa il 19 luglio 2000, ufficialmente sottoscritta a Firenze il 20 ottobre 2000 e firmata dai 27 Stati della Comunità europea e ratificata da 10, tra cui l'Italia nel 2006 con la legge 14, stabilisce al capitolo 1, articolo 1, lettera a) che: «Il “Paesaggio” è il territorio, così come è percepito dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni». Inoltre, all'articolo 1, lettera d), delibera che «La “Salvaguardia dei paesaggi” indica le azioni di conservazione e di mantenimento degli aspetti significativi o caratteristici di un paesaggio, giustificate dal suo valore di patrimonio derivante dalla sua configurazione naturale e/o dal tipo d'intervento umano». All'articolo 5 «Ogni Parte si impegna a: riconoscere giuridicamente il paesaggio in quanto componente essenziale del contesto di vita delle popolazioni, espressione della diversità del loro comune patrimonio culturale e naturale e fondamento della loro identità; stabilire e attuare politiche paesaggistiche volte alla salvaguardia, alla gestione e alla pianificazione dei paesaggi, tramite l'adozione di misure specifiche; avviare procedure di partecipazione del pubblico, delle autorità locali e regionali e degli altri soggetti coinvolti nella definizione e nella realizzazione delle politiche paesaggistiche; integrare il paesaggio nelle politiche di pianificazione del territorio, urbanistiche e in quelle a carattere culturale, ambientale, agricolo, sociale ed economico, nonché nelle altre politiche che possono avere un'incidenza diretta o indiretta sul paesaggio»;
          lo stemma della regione Puglia è sancito dalla legge 8 settembre 1988, n.  28, che all'articolo 2, comma 1, stabilisce che «è costituito da uno scudo sannitico e da una corona d'oro speciale. Lo scudo presenta l'albero d'olivo in campo argento racchiuso dall'ottagono di rosso vestito di azzurro»;
          la legge regionale della Puglia 4 giugno 2007, n.  14, «Tutela e valorizzazione del paesaggio degli ulivi monumentali della Puglia» prevede, all'articolo 1, comma 1, che «La Regione Puglia tutela e valorizza gli alberi di ulivo monumentali, anche isolati, in virtù della loro funzione produttiva, di difesa ecologica e idrogeologica nonché quali elementi peculiari e caratterizzanti della storia, della cultura e del paesaggio regionale». La legge definisce il «carattere di monumentalità»      (articolo 2) e dà avvio alla predisposizione e relativo aggiornamento annuale de «l'elenco degli ulivi monumentali della Regione Puglia e determina le risorse finanziarie destinate alla loro tutela e valorizzazione» (articolo 5) istituendo presso «l'Assessorato regionale dell'ecologia l'albo» (articolo 18, comma 1). È istituita, inoltre, con l'articolo 7, la «menzione speciale “Olio extravergine degli ulivi secolari di Puglia”, che può essere utilizzata da tutti i produttori di olio extravergine ottenuto da drupe provenienti da ulivi e uliveti monumentali inseriti nell'elenco di cui all'articolo 5». Infine con l'articolo 8, comma 3, «Nell'ambito dell'applicazione della politica agricola comunitaria e in particolare del regolamento (CE) n.  1638/98 del Consiglio, del 20 luglio 1998, che modifica il regolamento n.  136/66/CEE relativo all'attuazione di un'organizzazione comune dei mercati nel settore dei grassi, e successive modifiche e integrazioni, la regione Puglia promuove azioni nei confronti del Ministero delle politiche agricole e forestali e della stessa Unione europea volte a intraprendere operazioni collettive di mantenimento in produzione degli ulivi monumentali ad alto valore storico-culturale-ambientale e/o rischio di abbandono»;
          la legge regionale n.  14 del 2007 della Puglia diviene una legge pilota imitata anche in altri Stati del bacino Mediterraneo per la sua lungimiranza;
          il consiglio regionale pugliese con delibera n.  146, del 3 aprile 2013, approva la modifica dell'articolo 11 della legge regionale 14 del 2007 aggiunge al comma 1 le parole «ovvero per piani attuativi di strumenti urbanistici generali adeguati alla legge regionale 31 maggio 1980, n.  56 (Tutela ed uso del territorio), ubicati nelle zone omogenee B e C e con destinazioni miste alla residenza, nonché per aree di completamento (zona B del Decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n.  1444, Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell'articolo 17 della L. 6 agosto 1967, n.  765), ricadenti nei centri abitati delimitati ai sensi del Codice della strada, approvati prima della data di entrata in vigore della presente legge. Per tali ultimi interventi non si applicano le previsioni di cui al comma 3 dell'articolo 6»; al comma 3 le parole: «di tutte le piante delle quali si prevede l'espianto. Il reimpianto deve essere realizzato nelle aree libere delle stesse unità edilizie o urbanistiche d'intervento e, qualora ne sia dimostrata l'impossibilità, in altre aree idonee di proprietà pubblica o privata precisamente individuate e preferibilmente contermini»; è approvata altresì la modifica dell'articolo 12, comma 6, aggiungendo il comma 6-bis che stabilisce: «È obbligatoria la presentazione di apposite garanzie fidejussorie a favore dell'Amministrazione regionale idonee ad assicurare, in caso di mancato attecchimento della pianta, il risarcimento del danno prodottosi a carico dei profili di interesse generale di cui al comma 1 dell'articolo 1. Le modalità per la presentazione di tali fidejussioni, anche sotto il profilo della quantificazione economica della garanzia, sono definite con atto del dirigente del Servizio regionale ecologia»;
          con DGR n.  1 dell'11 gennaio 2010 «Approvazione della proposta di Piano paesaggistico territoriale della Regione Puglia (PPTR)», la giunta regionale ha dato avvio al procedimento di adozione del nuovo piano paesaggistico adeguato al codice, iter giunto oramai in fase avanzata, allo scopo di conseguire lo specifico accordo con il Ministero per i beni e le attività culturali previsto dal codice e per garantire la partecipazione pubblica prevista dal procedimento di valutazione ambientale strategica;
          la legge regionale 6 luglio 2011, n.  15, «Istituzione degli ecomusei di Puglia», ha permesso e sostenuto la creazione di diversi ecomusei, tra cui quello della Valle d'Itria, il SESA in Salento, il Valle del Carapelle; numerosi sono in fase di costituzione come l'Ecomuseo Urbano del Nord Barese;
          la legge 14 gennaio 2013, n.  10, denominata «Norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani» all'articolo 7 «Disposizioni per la tutela e la salvaguardia degli alberi monumentali, dei filari e delle alberate di particolare pregio paesaggistico, naturalistico, monumentale, storico e culturale» stabilisce che «entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, le Regioni recepiscono la definizione di albero monumentale di cui al comma 1, effettuano la raccolta dei dati risultanti dal censimento operato dai Comuni e, sulla base degli elenchi sono gli elenchi comunali, redigono gli elenchi regionali e li trasmettono al Corpo Forestale dello Stato» (comma 3); al comma 4 si sancisce che «Salvo che il fatto costituisca reato, per l'abbattimento o il danneggiamento di alberi monumentali si applica la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 5.000 a euro 100.000. Sono fatti salvi gli abbattimenti, le modifiche della chioma e dell'apparato radicale effettuati per casi motivati e improcrastinabili, dietro specifica autorizzazione comunale, previo parere obbligatorio e vincolante del Corpo Forestale dello Stato»;
          lo strumento di perequazione urbanistica (articolo 35 della legge urbanistica regionale n.  11 del 2004) è ritenuto la modalità ordinaria per l'attuazione delle scelte operative del piano e, in particolare, per l'acquisizione delle aree necessarie per la collettività, come sostenuto anche dall'Istituto nazionale di urbanistica all'articolo 13 nella proposta di legge per il governo del territorio dallo stesso istituto elaborata  –:
          sarebbe opportuno che fosse verificata l'effettiva congruenza delle modifiche apportate dalla delibera regionale n.  146 del 3 aprile 2013 alla legge regionale n.  14 del 2007 con il piano paesaggistico territoriale della regione Puglia il cui iter attuativo, iniziato con il DGR n.  1 dell'11 gennaio 2010, è giunto quasi a conclusione  –:
          se i Ministri interrogati intendano, nell'ambito delle proprie funzioni, farsi promotori di iniziative e normative nazionali volte a tutelare il «paesaggio» come da convenzione ratificata nel 2006;
          se il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali intenda assumere iniziative normative per dare valore alla menzione speciale «Olio extravergine degli ulivi secolari» al fine di dare un sostegno quantomeno sul versante del marketing agli agricoltori detentori di ulivi plurisecolari e monumentali, come già disposto dalla regione Puglia;
          se il Governo intenda valutare se sussistono i presupposti per impugnare, ai sensi dell'articolo 127 della Costituzione, la legge della regione Puglia n.  12 del 2013 (approvata con la delibera del Consiglio regionale n.  146 del 2013);
          se i Ministri interrogati intendano, nell'ambito delle proprie funzioni, farsi promotori di iniziative e normative nazionali che sostengano la creazione di network imprenditoriali che, puntando su cultura, ambiente, alimentazione e paesaggio, trasformino gli ulivi plurisecolari e monumentali in vera e propria risorsa per gli agricoltori ed i proprietari, in modo che divengano attrazione di turisti e cittadini ed il fulcro attorno a cui sviluppare nuove tipologie di imprese volte al turismo sostenibile, come esempi già presenti sul territorio dimostrano;
          se il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali intenda intercedere presso gli organi competenti dell'Unione Europea per dare maggiore sostegno agli agricoltori ed ai proprietari di ulivi plurisecolari e monumentali anche attraverso lo strumento della Politica agricola comunitaria;
          se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare intenda intercedere presso il Commissario europeo all'ambiente affinché la regione Puglia possa essere sostenuta nelle scelte di vera valorizzazione del paesaggio a beneficio comune di tutti i cittadini;
          se i Ministri interrogati intendano, nell'ambito delle proprie funzioni, sostenere la visione «eco museale» per la valorizzazione del territorio in funzione del turismo sostenibile;
          se i Ministri interrogati intendano, nell'ambito delle proprie funzioni, allargare il concetto di «interesse pubblico» contemplando la questione di tutela paesaggistica in quanto è essa stessa parimenti tale;
          se i Ministri interrogati intendano, nell'ambito delle proprie funzioni, attraverso gli organi competenti, vigilare sull'effettiva applicazione in Puglia di quanto stabilito ai sensi dell'articolo 7 della legge n.  10 del 2013 così da evitare ulteriori ed inutili esborsi prima del termine ultimo stabilito dalla medesima legge. (4-00614)

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta scritta:


      ROSATO e MOGHERINI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
          la Repubblica Democratica del Congo è uno stato a governo semipresidenziale guidato ininterrottamente dal 2001 dal presidente Joseph Kabila Kabange, rieletto in occasione delle votazioni tenutesi nel 2011 in un clima di forte tensione e con un risultato elettorale non riconosciuto dalle forze politiche di opposizione e sul quale pendono i dubbi degli stessi osservatori internazionali;
          i partiti di opposizione denunciano un incessante clima di intimidazione che è sfociato in provvedimenti dell'autorità giudiziaria e in atti di forza esercitati attraverso le forze armate su indicazione di quello che viene identificato come un vero e proprio regime;
          Eugene Diomi Ndongala è un deputato oppositore del governo, candidato ed eletto nel 2006 con il partito cristiano democratico, e sposato con una cittadina italiana, Patrizia Diomi;
          come denunciato anche dalla nostra connazionale, il deputato è sottoposto ad una carcerazione preventiva e pertanto illegale ai sensi del codice di procedura penale congolese (articoli 113 e 104 del codice di procedura presso la CSJ, ordonnance loi 82-017 pubblicata nel giornale ufficiale n.  7 del 1o aprile 1982) che vieta la detenzione preventiva per un deputato in funzione;
          la Corte suprema della Repubblica democratica del Congo ha ordinato l'assegnazione a residenza del deputato, che però è ancora detenuto presso il carcere della capitale Kinshasa;
          la moglie denuncia che suo marito, prigioniero politico, è sottoposto da molti giorni a diverse torture fisiche e morali, ed anche a perquisizioni corporali degradanti e violente. È rinchiuso nella sua cella insalubre senza la possibilità di godere nemmeno dell'ora d'aria libera, mentre l'acqua e il cibo vengono gettati a terra dalle guardie carcerarie;
          secondo la testimonianza della moglie, il corpo del marito è coperto da eruzioni cutanee e incomincia a perdere la pelle;
          Amnesty International ha promosso ben due appelli nei confronti di Eugene Diomi Ndongala da ultimo nel 2012, e più in generale denuncia nelle relazioni annuali sui singoli Paesi, una carenza di democrazia all'interno dello Stato;
          anche la famiglia del deputato – come molte altre di altrettanti oppositori politici – è oggetto di tentati omicidi, rapimenti ed arresti illegali;
          di recente anche il Parlamento britannico ha manifestato vicinanza alla famiglia di Diomi Ndongala e ha rilevato con preoccupazione che non è la prima volta che il regime di Kabila cerca di sottomettere l'opposizione con il rapimento degli attivisti;
          sarebbe bene che l'Italia e l'Unione europea esercitassero tutta la loro influenza presso la comunità internazionale e presso il Governo della Repubblica Democratica del Congo per ottenere l'immediato rilascio del deputato Eugene Diomi Ndogala e degli attivisti di opposizione incarcerati  –:
          come il Governo intenda ottenere, anche attraverso la collaborazione delle istituzioni europee ed internazionali, il rilascio del deputato Eugene Diomi Ndogala, deputato d'opposizione incarcerato illegalmente, e sposato con la cittadina italiana Patrizia Diomi;
          quali iniziative il Governo italiano intenda promuovere con le istituzioni europee ed internazionali per ottenere che abbiano immediata cessazione nella Repubblica democratica del Congo tutte le intimidazioni che le associazioni dei diritti hanno dimostrato sono in atto nei confronti di oppositori politici, attivisti e le loro famiglia da parte del governo della Repubblica democratica del Congo.
(4-00608)

AFFARI REGIONALI E AUTONOMIE

Interrogazione a risposta scritta:


      ROSATO, BLAZINA e OLIVERIO. — Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          Saba Italia spa, con sede legale a Roma ma partecipata dal socio unico spagnolo Saba Aparcamientos s.a., è una società di rilevanza nazionale nello studio, realizzazione e gestione di parcheggi e delle aree di superficie a pagamento ed opera in regime di concessione con 16 amministrazioni comunali in tutta Italia, tra cui si ricordano Trieste, Mestre, Verona, Cremona, Vignola, Pisa, Macerata, Ascoli Piceno, Rieti, Assisi, Roma, Sassari, Bari, Brindisi e Cosenza;
          Saba Aparcamientos è succeduta nella gestione dei vari contratti di concessione ed in quelli di futura gestione di impianti con gli enti locali, godendo dell'indiscusso know-how e del grande prestigio maturato dalla società Italinpa spa, società pubblica controllata da Iritecna/Fintecna di cui aveva acquisito l'intero portafoglio azionario per la somma di lire 37 miliardi nel 2001 mutandone il nome in quello attuale e ciò Saba Italia spa;
          i contratti di gestione ed uso parcheggi ed aree di sosta stipulati con le amministrazioni comunali prevedono definiti servizi minimi e il relativo numero di addetti che il concessionario deve garantire;
          a tutt'oggi Saba Italia è una società leader a livello nazionale nel settore ed opera di fatto in regime di monopolio operativo;
          purtroppo, con comunicazione ai sensi della legge 23 luglio 1991, n.  223, il 15 aprile 2013 Saba Italia spa ha informato il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, le regioni, le organizzazioni datoriali e sindacali che, avendo registrato negli ultimi anni un trend di risultati di esercizio fortemente negativo anche sotto il profilo strutturale, intende procedere al licenziamento di 36 dipendenti su 222, con l'intento di ridurre lo squilibrio economico, dovuto anche da una strutturale eccedenza dei costi del personale e di gestione;
          la società Saba Italia spa ritiene di poter ridurre il personale razionalizzando e rendendo più efficiente l'organizzazione del lavoro anche grazie al potenziamento del progetto di gestione remotizzata dei parcheggi;
          sarebbe opportuno che, attese le volontà dell'azienda, il Governo istituisca un tavolo tecnico assieme alle amministrazioni locali per esaminare l'esecuzione, attraverso le gestione remotizzata, della pluralità di contratti di gestione di parcheggi e aree di sosta concesse a Saba Italia spa, in ragione dell'esistenza di definiti servizi minimi e relativo numero di addetti e del fatto che uno sbilanciato piano di razionalizzazione e riduzione di costi potrebbe avere delle ricadute sulla efficacia del piano del traffico e del piano dei parcheggi nonché sull’iter di approvazione ed esecuzione di progetti e cantieri da parte delle amministrazioni interessate  –:
          se il Governo intenda promuovere tavoli con la parte datoriale e le organizzazioni sindacali al fine di scongiurare il licenziamento di 36 dipendenti e valutare percorsi di supporto ai lavoratori che eventualmente dovrebbero essere licenziati. (4-00616)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta scritta:


      MOLTENI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          la normativa che regola le autorizzazioni per le emissioni in atmosfera sta creando gravi disagi agli imprenditori che non sono riusciti a regolarizzare la propria posizione nei tempi ristretti previsti dalla normativa;
          anche in caso di rinnovo delle autorizzazioni già concesse, si applica l'articolo 279 del decreto legislativo n.  152 del 2006, e successive modificazioni, che prevede un regime sanzionatorio alquanto severo, qualificando come reato penale la mancata comunicazione dell'inizio attività all'autorità competente;
          in particolare, il comma 1 dell'articolo 279 prevede la pena dell'arresto da due mesi a due anni o l'ammenda da 258 euro a 1.032 euro per chi inizia a installare o esercisce uno stabilimento in assenza della prescritta autorizzazione ovvero continua l'esercizio con l'autorizzazione scaduta, decaduta, sospesa o revocata; per colui che sottopone uno stabilimento ad una modifica non sostanziale senza effettuare la comunicazione prevista dall'articolo 269, comma 8, si prevede una sanzione amministrativa pecuniaria fissa e pari a 1.000;
          il comma 3 dell'articolo 279 prevede che chi mette in esercizio un impianto o inizia ad esercitare un'attività senza averne dato la preventiva comunicazione sui dati relativi alle emissioni, come prescritta ai sensi dell'articolo 269, comma 6, o sull'autorizzazione ai sensi dell'articolo 272, comma 1, è punito con l'arresto fino ad un anno o con l'ammenda fino a milletrentadue euro;
          tali sanzioni penali si ritengono molto penalizzanti per il rilancio del settore industriale italiano che attraversa la più grave crisi dal dopoguerra  –:
          se il Ministro non intenda adottare iniziative urgenti, anche di carattere normativo, per trasformare in sanzioni amministrative pecuniarie le sanzioni penali e le ammende previste dai commi 1 e 3 dell'articolo 279 del decreto legislativo n.  152 del 2006, anche modulando su una tranche da 100 a 1.000 euro la attuale sanzione amministrativa pecuniaria, prevista in misura fissa pari a 1.000 euro, per chi sottopone uno stabilimento ad una modifica non sostanziale senza effettuare la comunicazione prevista dall'articolo 269, comma 8, evitando di penalizzare gravemente gli imprenditori italiani che stentano a restare sul mercato nell'attuale momento di crisi economica che attraversa il Paese. (4-00604)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Interrogazioni a risposta scritta:


      REALACCI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
          sul meraviglioso comprensorio di Villa Ada e Monte Antenne sussiste un vincolo paesaggistico fin dal 1954 che riguarda oltre la villa storica anche le aree verdi che la contornano ai sensi del decreto ministeriale del 27 aprile 1954 ed in virtù della legge n.  1497 del 1939 sulla protezione delle bellezze artistiche e naturali;
          nella parte descrittiva del sopraccitato decreto si precisa che nei confini del vincolo è certa l'inclusione dell'area verde del parco pubblico Rabin lungo via Panama che come recita proprio il decreto ministeriale: «con la sua meravigliosa vegetazione arborea costituisce un quadro di singolare bellezza»;
          la regione Lazio ha altresì provveduto a stabilire la totale legalità del vincolo del 1954 confermando la tutela paesaggistica per il Parco Rabin nel suo piano territoriale paesistico regionale che ha piena validità dal febbraio 2008, anche in seguito al sequestro da parte della procura di Roma dei lavori per un parcheggio interrato su via Panama e per la ristrutturazione di un antico casaletto in via del Cannetto all'interno di Villa Ada per assenza di autorizzazione paesaggistica;
          da articoli di stampa, giornali online, un articolo di Lorenzo Grassi sul quotidiano «Metro news» e secondo anche posizioni espresse da Legambiente Lazio, emerse in alcune agenzie di stampa, si evince che il Ministero per i beni e le attività culturali, tramite la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per il comune di Roma, sta definendo la procedura di rettifica del perimetro a discapito della tutela del verde pubblico e tutelato di Villa Ada e mettendo a rischio il Parco Yitzthak Rabin;
          la procedura di ridefinizione del perimetro nasce dal fatto che nel citato decreto ministeriale del 1954 il vincolo è descritto chiaramente su via Panama, mentre nelle cartografie allegate la mappa soggetta a vincolo è disegnata seguendo il muro storico del complesso di Villa Ada che si trova più indietro rispetto alla strada;
          le aree verdi all'interno e all'esterno del muro perimetrale di Villa Ada sono da anni minacciate dalla speculazione edilizia e dall'abusivismo e sovente dall'incuria  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti; se ritenga necessario ridefinire i confini del parco monumentale di Villa Ada e Monte Antenne già fissati nel 1954, stante il fatto che è consuetudine in dottrina che in caso di contrasto, come nella fattispecie, si fa prevalere la norma di maggior tutela; se non ritenga altresì opportuno verificare presso le Sopraintendenze di Roma e del Lazio lo stato delle procedure autorizzative fin qui adottate.
(4-00601)


      MUCCI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          nelle colline sud-est di Bologna, all'interno del Parco regionale dei gessi bolognesi e dei Calanchi dell'Abbadessa, nel comune di Ozzano Emilia (Bo) in località Settefonti, si trova la Pieve di Pastino, uno dei più antichi monumenti e siti archeologici della provincia di Bologna risalente al 1027;
          attualmente la Pieve di Pastino si trova in uno stato di abbandono e degrado che ne lascia presagire un crollo imminente, con notevoli danni per la memoria storica e culturale della zona sia per il valore ambientale e turistico che il parco riveste per l'intera regione;
          quanto prima andrebbero recuperati l'oratorio e la cripta della Pieve, danneggiati dall'usura del tempo e dalla mancanza di controlli da parte dei soggetti designati;
          il consiglio regionale dell'Emilia Romagna, nel febbraio 2012, ha votato unanimemente una risoluzione per tutelare la Pieve di Pastino attraverso il recupero, la conservazione e il mantenimento della fruibilità pubblica di questo bene architettonico;
          in consiglio comunale, ad Ozzano Emilia, è stata presentata un'interrogazione dove si chiedeva di sapere se il complesso della Pieve di Pastino appare sottoposto a vincolo e/o tutela da parte della Sopraintendenza per i beni culturali e paesaggistici e se risulti e corrisponda al vero che la proprietà sia attualmente «Alma Mater» (università di Bologna) e se questa ne abbia già deciso un bando per la vendita;
          vista l'importanza dei reperti trovati nel sottosuolo, sembrerebbe necessaria l'introduzione del vincolo archeologico;
          questa struttura sembra sia stata oggetto di un piano di cessione di proprietà, tramite una modifica al vincolo esistente, che avrebbe comportato rischi e pericoli per il suo mantenimento e per la salvaguardia del bene stesso tali da rischiare di essere protagonista di una grande speculazione edilizia che non ne avrebbe rispettato la natura;
          l'immobile e terreni circostanti per metri quadrati 90.268 è stato oggetto di asta pubblica di vendita in data 23 febbraio 2012, a seguito in tal senso della direzione regionale dei beni culturali n.  243 del 29 marzo 2004 e n.  2160 del 22 febbraio 2010 con prezzo base d'asta di euro 652.000 e con esito di asta deserta;
          dalle ultime notizie sembra che l'università di Bologna non riproporrà più nessuna asta pubblica e che in assenza di interventi urgenti la situazione di degrado rimarrà inalterata con il rischio della sparizione di questo importante sito storico, monumentale, ambientale e turistico;
          ferma restando la destinazione e la finalità pubblica della struttura proprio per il suo intrinseco valore e per il contesto in cui è inserita, apparirebbe opportuno coinvolgere nell'opera di recupero privati e fondazioni  –:
          se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto sopra riportato e se corrisponda al vero in particolare che l'Alma Mater sia proprietaria di questa eccellenza storica, architettonica, monumentale e ambientale e che abbia cercato come sopra esposto di cedere uno dei più antichi monumenti e siti archeologici emiliani e non abbia realizzato interventi di ripristino e manutenzione straordinaria del complesso;
          se la Soprintendenza per i Beni culturali e paesaggistici abbia realizzato controlli sullo stato di abbandono e degrado della Pieve di Pastino;
          se il Governo non ritenga di intervenire immediatamente nell'ambito delle proprie competenze, adottando iniziative volte a tutelare il patrimonio della Pieve di Pastino, in particolare elaborando un progetto di recupero di tutta l'area che coinvolga soggetti pubblici, privati e il mondo associativo impegnato per la conservazione dei beni culturali e per l'ambiente.
(4-00612)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:


      BUSIN. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 13-ter del decreto-legge 22 giugno 2012, n.  83, sostituendo integralmente il comma 28 dell'articolo 35, del decreto-legge 4 luglio 2006, n.  223, ha modificato la disciplina in materia di responsabilità fiscale nell'ambito dei contratti d'appalto e subappalto di opere e servizi;
          la norma prevede la responsabilità solidale dell'appaltatore e del committente per il versamento all'Erario delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente e dell'imposta sul valore aggiunto dovuta dal subappaltatore e dall'appaltatore in relazione alle prestazioni effettuate nell'ambito del contratto, e fissa al contempo una sanzione amministrativa pecuniaria – da 5.000 a 200.000 euro – nel caso in cui il committente provveda ad effettuare il pagamento del corrispettivo all'appaltatore senza che questi abbia esibito la documentazione fiscale richiesta;
          la responsabilità dell'appaltatore non viene considerata qualora l'appaltatore o il committente acquisisca la documentazione attestante che i versamenti fiscali, scaduti alla data del pagamento del corrispettivo, siano stati correttamente eseguiti dal subappaltatore/appaltatore;
          tale disciplina ha sollevato alcuni problemi interpretativi circa il relativo ambito di applicazione, ovvero la limitazione al solo settore dell'edilizia, e sulle tipologie di contratti interessate, tanto da costringere, proprio a causa della elevata incertezza sull'ambito applicativo della norma, l'Agenzia delle entrate ad emanare una circolare interpretativa, la n.  40/E dell'8 ottobre 2012, che, tuttavia, non è riuscita a fugare i dubbi relativi all'applicazione delle nuove disposizioni;
          al là del fatto che la citata normativa utilizza genericamente i termini di «committente», «appaltatore» e «subappaltatore», stante l'attuale formulazione della norma questa troverebbe applicazione non solo per gli appalti concernenti il settore edilizio, ma si estenderebbero anche agli appalti di opere o servizi non riferibili a questo settore e riguarderebbe anche i contratti d'opera previsti dall'articolo 2222 del codice civile o, addirittura, i contratti di semplice fornitura di beni o servizi;
          a causa delle nuove disposizioni si sono verificati dubbi ed incertezze tra gli operatori economici che, in numerosi casi, hanno bloccato i pagamenti dovuti da alcune aziende ai loro fornitori così che la norma vigente appare contraria, rispetto filosofia di altri provvedimenti legislativi, adottati recentemente, volti alla sburocratizzazione e all'accelerazione dei termini di pagamenti, al fine di perseguire il rilancio dell'economia  –:
          quali siano gli orientamenti del Ministro in relazione alla problematica evidenziata e se non ritenga necessario fornire una chiara e definitiva indicazione al fine di precisare che i contratti di appalto da assoggettare alla disciplina di cui all'articolo 13-ter del decreto-legge 22 giugno 2012, n.  83, sono quelli relativi al solo comparto delle grandi opere edilizie.
(5-00185)


      ZANETTI, SOTTANELLI e SBERNA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          negli ultimi anni si è assistito a un crescente inasprimento della disciplina volta a contrastare l'utilizzo delle cosiddette società di comodo, ampliando il raggio d'azione delle norme che fanno scattare la «presunzione di non operatività» e i conseguenti obblighi di dichiarazione di una base imponibile figurativa minima ai fini delle imposte sul reddito e dell'IRAP, con applicazione di una maggiorazione IRES di 10,5 punti percentuali e limitazione dei diritti di detrazione e rimborso dell'IVA, salvo che il contribuente ottenga la disapplicazione della disciplina in questione mediante risposta favorevole da parte dell'Agenzia delle entrate ad apposita istanza di interpello;
          in particolare, la «presunzione di non operatività» scatta ogni qual volta i ricavi dichiarati dalla società non superano la soglia che si calcola applicando sul valore dei beni sociali dei coefficienti di rendimento presuntivo che sono stati significativamente elevati nel 2006; inoltre, nell'estate del 2011 è stata ulteriormente modificata la disciplina in materia al fine di prevedere che la «presunzione di non operatività» scatti anche in capo alle società che chiudono in perdita per tre periodi di imposta consecutivi;
          la crisi economica che, con intensità purtroppo non decrescente, attanaglia il sistema produttivo italiano da ormai alcuni anni, rende definitivamente irragionevoli, sulla base delle evidenze empiriche rinvenibili dal mercato, i coefficienti di rendimento presuntivo che la disciplina delle società di comodo applica a tutt'oggi sui beni sociali, a cominciare da quelli immobili; inoltre, tale situazione rende del tutto fuori contesto e palesemente iniqua la norma che amplia l'operatività della «presunzione alle società che chiudono in perdita per tre periodi consecutivi  –:
          se non ritenga opportuno, tenuto conto dell'andamento del ciclo economico e analogamente a quanto è avvenuto e sta avvenendo in questi anni per gli studi di settore, procedere con urgenza ad una revisione al ribasso dei coefficienti di rendimento presuntivo previsti dalla disciplina sulle società di comodo, a cominciare da quelli applicati sui beni immobili, nonché adottare urgenti iniziative, anche normative, volte ad ampliare la presunzione di non operatività alle società in perdita per tre periodi consecutivi, valutando altresì la riproposizione di una «finestra» normativa finalizzata ad incentivare, con apposito regime agevolato, lo scioglimento di società che dovessero risultare non operative. (5-00186)


      CAUSI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          l'evasione fiscale rappresenta un problema rilevante dal punto di vista economico e del benessere sociale, perché comporta effetti negativi sull'equilibrio finanziario, sull'equità, sulla distribuzione del reddito e sull'efficienza nell'allocazione delle risorse;
          come ribadito nel mese di ottobre 2012 dalla Corte dei conti nel corso di un'audizione presso la Commissione finanze del Senato, un'elevata evasione fiscale, coniugata con altrettanto elevati livelli della pressione fiscale e del debito pubblico, lascia intuire spazi per un'azione di recupero dell'evasione in grado di soddisfare contemporaneamente esigenze di gettito ed obiettivi redistributivi, in direzione di un fisco più equo e meno distorsivo nei confronti del sistema economico;
          il contrasto all'evasione fiscale, unitamente alla razionalizzazione della spesa pubblica, consentirebbe, nel medio termine, di ridurre le elevate aliquote di prelievo sul lavoro e sull'economia sommersa, sostenendo la competitività dell'economia;
          il gruppo di lavoro sull'economia non osservata e i flussi finanziari istituito dal Ministero dell'economia e delle finanze ha stimato, nel corso del periodo gennaio-maggio 2011, l'economia sommersa fra il 16,3 per cento e il 17,5 per cento del prodotto interno lordo, con un valore di base imponibile evaso compreso tra 255 e 275 miliardi di euro;
          secondo alcuni studi, se l'evasione italiana dal 1970 fosse stata pari al livello statunitense (inferiore di tre punti), il debito pubblico sarebbe stato, dopo venti anni, molto più basso rispetto l'attuale livello (nel documento di economia e finanza per il 2013 il rapporto debito/prodotto interno lordo è stimato pari 130,4 per cento per l'anno in corso) e l'aggiustamento fiscale necessario per riequilibrare la finanza pubblica molto meno impegnativo;
          in occasione della presentazione del rapporto 2012 sul coordinamento della finanza pubblica della Corte dei conti, il presidente ha dichiarato che dal 2007 al 2009, tra IVA e IRAP, si è registrato un mancato gettito di oltre 46 miliardi di euro l'anno, per un totale di 138 miliardi in 3 anni;
          al fine di favorire l'emersione di base imponibile, diversi interventi hanno rafforzato le sanzioni amministrative tributarie e sono stati quindi rafforzati i poteri di controllo e indagine degli organi dell'amministrazione finanziaria;
          per favorire la tax compliance dei soggetti a maggior rischio di evasione, sono state introdotte norme volte, complessivamente, a promuovere la trasparenza e l'emersione di base imponibile, riconoscendo benefici fiscali a fronte di maggiori obblighi di trasparenza;
          in particolare, ai sensi dell'articolo 10, commi da 9 a 13, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201, convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n.  214, è stato istituito uno specifico «regime premiale» per gli operatori economici che risultano congrui e coerenti alle risultanze degli studi di settore;
          in attesa della pubblicazione, da parte del Ministro dell'economia e delle finanze, del rapporto annuale contenente i risultati conseguiti in materia di contrasto all'evasione fiscale, sarebbe utile, anche per calibrare i successivi interventi normativi atti a scongiurare il rischio, che si profila, di una perdita di efficacia nell'azione di contrasto dei fenomeni evasivi, conoscere lo stato di attuazione delle misure legislative volte al contrasto all'evasione, in particolare quelle di cui al decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n.  214, tra le quali particolare significato rivestono l'onere, in capo agli operatori finanziari, di comunicare periodicamente all'anagrafe tributaria tutte le movimentazioni relative ai rapporti finanziari intrattenuti con i contribuenti, gli interventi sulla tracciabilità dei pagamenti riguardanti la riduzione a 1.000 euro della soglia massima per l'utilizzo del contante e dei titoli al portatore, nonché il riconoscimento di benefici fiscali nei confronti di artisti, professionisti, persone fisiche e società di persone esercenti attività imprenditoriali, a condizione che essi adempiano a una serie di obblighi di trasparenza  –:
          quali siano i riscontri oggettivi circa l'impatto delle citate misure volte al contrasto dell'evasione fiscale, anche allo scopo di una loro valutazione e di eventuali revisioni finalizzate a rafforzarne l'efficacia. (5-00187)


      CAPELLI, SCHULLIAN, ALFREIDER, GEBHARD e PLANGGER. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          il Sole 24 Ore, in più occasioni negli ultimi mesi, ha riportato i diversi orientamenti espressi dalle commissioni tributarie provinciali intervenute sugli avvisi di accertamento che i comuni stanno inviando ai cittadini relativamente al pagamento dell'ICI dei fabbricati rurali per le annualità pregresse;
          il decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201 (cosiddetto «Salva Italia»), come convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n.  214, all'articolo 13, commi 14, 14-bis, 14-ter e 14-quater, ha riscritto la normativa per i fabbricati rurali, prorogando il termine per la presentazione della domanda per il riconoscimento dei requisiti di ruralità degli immobili secondo una specifica procedura già individuata dall'articolo 7, commi 2-bis e 2-ter, del decreto-legge n.  70 del 2011, che ha poi però contestualmente abrogato, rinviando a un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze per tutti gli aspetti procedurali per il riconoscimento del requisito della ruralità;
          il decreto ministeriale del 26 luglio 2012 recante «Individuazione delle modalità di inserimento negli atti catastali della sussistenza del requisito della ruralità», attuativo dell'articolo 13 del decreto-legge «salva Italia» ha in effetti riconosciuto la valenza retroattiva del requisito della ruralità, con la stessa formulazione che in precedenza era inserita invece in una norma di legge, all'articolo 7 del decreto-legge n.  70 del 2011 abrogato dal decreto-legge n.  201 del 2011, prevedendo che «la presentazione delle domande e l'inserimento negli atti catastali dell'annotazione producono gli effetti previsti per il riconoscimento del requisito di ruralità a decorrere dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della domanda»;
          la formulazione della normativa oggi in vigore ha determinato varie interpretazioni giurisprudenziali da parte delle commissioni tributarie riguardo alla valenza retroattiva o meno del carattere rurale degli immobili ai fini ICI e una di queste interpretazioni non riconosce il carattere retroattivo alla norma contenuta nel decreto ministeriale del 26 luglio 2012, perché ritenuta di rango secondario rispetto alla norma primaria di cui all'articolo 13, comma 14-bis, che non fa invece menzione della valenza retroattiva  –:
          se ritenga opportuno assumere iniziative per chiarire ulteriormente con una nuova norma, anche attraverso un'interpretazione autentica, la valenza retroattiva del carattere di ruralità dei fabbricati ai fini ICI, a decorrere dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della domanda. (5-00188)


      BERNARDO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          la scorsa settimana l'Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili di Roma, con una lettera condivisa anche dai 62 Ordini d'Italia, ha informato il Ministro interrogato, che, a meno di un mese dalla scadenza prevista, del 17 giugno, per l'adempimento del saldo e dell'eventuale primo acconto, i commercialisti non dispongono degli strumenti necessari per liquidare in modo corretto le imposte dovute;
          in particolare, al momento, la suindicata categoria professionale segnala di non poter disporre nella versione definitiva del sistema informatico Gerico, indispensabile per la compilazione e il calcolo degli studi di settore che interessa una vasta platea di contribuenti;
          i suddetti profili di criticità non consentono pertanto agli operatori una determinazione definitiva e puntuale delle imposte da versare, in considerazione del fatto che le risultanze degli studi di settore definiscono spesso scelte del contribuente che influiscono successivamente sulla quantificazione dei tributi dovuti all'erario;
          la scadenza del 17 giugno inoltre coincide con quella del versamento dell'acconto dell'imposta municipale unica – IMU, che, anche per effetto delle disposizioni contenute nel decreto-legge 21 maggio 2013, n.  54, attualmente in corso di conversione in legge, evidenzia nel complesso un quadro applicativo del tributo tutt'altro che comprensibile  –:
          se non ritenga opportuno, in considerazione di quanto esposto in premessa, assumere iniziative anche per l'anno in corso, per una proroga all'8 luglio 2013, quale termine ultimo per la presentazione del modello unico 2013 e del versamento dell'IMU, al fine di garantire una adeguata e puntuale assistenza ai contribuenti, da parte degli Ordini territoriali dei commercialisti, nell'ambito di una collaborazione proficua e corretta che caratterizza il rapporto tra l'amministrazione finanziaria e la medesima categoria. (5-00189)


      BARBANTI, PESCO, RUOCCO, PISANO, CANCELLERI, VILLAROSA e CHIMIENTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          nelle date 9 e 23 maggio 2013 si è riunito il consiglio di amministrazione di Telecom Italia per l'approvazione dei dati trimestrali e per esaminare l'ipotesi di aggregazione con 3 Italia e il progetto di separazione della rete;
          i dati del resoconto di gestione al 31 marzo 2013 esaminati dal Consiglio di amministrazione evidenziano un quadro societario caratterizzato da un indebitamento finanziario netto di quasi 29 miliardi di euro, in aumento di 493 milioni di euro rispetto al 31 dicembre 2012, e con un trend negativo di tutti gli indicatori di performance finanziari tra cui il flusso di cassa della gestione operativa, precipitati in un solo anno da 626 milioni di euro a 137 milioni di euro;
          il problema dei conti è talmente grave che è in atto una politica di contenimento dei costi che sta incidendo notevolmente sui livelli occupazionali e gli investimenti, con tagli già previsti, nel piano industriale del triennio 2013-2015, di 1,3 miliardi di euro e la messa in mobilità di 2.750 lavoratori tra il 2013 e il 2014: tagli che in questa fase di recessione aggravano ulteriormente il già difficile quadro economico del nostro Paese;
          il Consiglio di amministrazione di Telecom, nelle riunioni sopra ricordate del 9 e 23 maggio 2013, ha deciso la prosecuzione degli approfondimenti in merito alla possibile operazione con la Hutchison Whampoa di Li Ka Shing, in particolare «per accertare l'esistenza di margini di negoziazione realistici ed idonei ad addivenire a un contemperamento delle rispettive posizioni sui valori delle due società», negoziazione che sarà determinante ai fini del controllo della stessa Telecom, mentre, in merito al progetto di separazione della rete di accesso, ha rinviato al 27 maggio 2013 la decisione finale, considerata ineluttabile per il destino stesso della società: da numerose notizie di stampa si evince l'intenzione del management di scorporare l’asset infrastrutturale dai servizi costituendo una newco, con la prospettiva di cedere una quota alla Cassa depositi e prestiti, probabilmente nell'ambito di una Ipo (offerta pubblica iniziale), comunque mantenendo la maggioranza assoluta. Secondo i pareri avanzati da Telecom lo scorporo farebbe ottenere vantaggi sotto il profilo del debito e del rating per i benefici regolamentati promessi da Bruxelles in presenza di una soluzione che assicuri l’equivalence of input, cioè il trattamento paritario di tutti gli operatori nell'utilizzo dell'infrastruttura (Telecom è stata recentemente multata dall'Antitrust per ostacoli alla concorrenza); la riorganizzazione che consentirebbe un meccanismo di remunerazione «da utility»; la maggiore prevedibilità dei ricavi e flessibilità operativa che oggi è ostacolata dal suo ruolo di incumbent;
          tale scorporo dell'infrastruttura dai servizi non convince i sindacati e molti analisti indipendenti, perché non risolverebbe il problema del debito e perché determina pesanti ricadute sul piano occupazionale: il problema del debito infatti verrebbe solo in parte risolto sia se l’incumbent cedesse la maggioranza della società della rete alla Cassa depositi e prestiti – valutata non meno di 15 miliardi, quindi, incassando almeno 8 miliardi, ma Cassa depositi e prestiti ha già prospettato di stanziare risorse non per il rimborso del debito del gruppo, bensì per gli investimenti nello sviluppo della fibra ottica – sia trasferendolo in toto alla newco, ipotesi non realizzabile dato che l'indicatore Ebitda della rete è stimabile in 2,5 miliardi e quindi non potrebbe superare gli 8-10 miliardi di debito; anche optando per questa ipotesi non è immaginabile, in un mercato altamente competitivo come quello dei servizi di telefonia, la presenza di una società con una ventina di miliardi di euro di indebitamento netto residuo, priva di un asset strategico come la rete infrastrutturale d'accesso;
          molteplici sono gli aspetti ancora poco chiari relativi al futuro della più importante compagnia telefonica del Paese, in particolare sorgono dubbi sulla posizione che la newco avrà nei confronti degli ingenti debiti di Telecom, sul margine di gestione che vi sarà, sulla programmazione e sul controllo che lo Stato si riserverà nei confronti della newco, sul destino degli 82 mila dipendenti all'indomani della cessione, sull'utilizzo futuro delle «centrali» di proprietà Pirelli RE, a giudizio degli interroganti, svenduti da Telecom a Tronchetti Provera durante la sua fallimentare gestione e riaffittati dalla stessa a caro prezzo e, infine, sulla titolarità degli 80 brevetti dei IT-lab e dei circa 600 brevetti registrati che hanno permesso al Paese di ritagliarsi comunque un ruolo di avanguardia nel settore delle telecomunicazioni e che, nel caso di ingresso del colosso cinese nel board del gruppo, rischiano di essere «sfruttati» da una potenza economica straniera impoverendo la capacità di innovazione italiana con contraccolpi durissimi all'intero sistema Paese;
          la Cassa depositi e prestiti, nello specifico il FSI (Fondo strategico italiano), attraverso il suo presidente Gorno Tempini ha confermato interesse all'operazione dopo attenta visione ad inizio aprile dei term sheet ricevuti da Telecom;
          la Cassa depositi e prestiti per effettuare gli investimenti si avvale del risparmio postale, e svolge una rilevante funzione creditizia a favore del settore produttivo;
          ad oggi non è ancora stata istituita la Commissione parlamentare bicamerale sulla vigilanza della Cassa depositi e prestiti  –:
          se non ritenga opportuno che l'operazione in premessa debba essere rinviata, al fine di poter consentire al Parlamento, nelle sedi opportune, di valutare l'impatto che un'operazione di investimento di tale portata avrà sulla capacità creditizia di Cassa depositi e prestiti e sulla tutela dei risparmiatori considerata la sua importante e delicata funzione di raccolta e gestione del risparmio nazionale attraverso il risparmio postale. (5-00190)

Interrogazione a risposta scritta:


      MINARDO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          il momento di forte crisi economica che sta attraversando il nostro Paese ha portato, tra le altre cose, ad un tasso di disoccupazione giovanile elevatissimo;
          sono diversi i giovani imprenditori che, competenti e di grande professionalità, vogliono avviare proprie attività;
          il 24 aprile 2013 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il comunicato con cui Invitalia spa (ex Sviluppo Italia) ha annunciato l'esaurimento della dotazione di risorse finanziarie per le misure di finanza agevolata a beneficio di ditte individuali, microimprese e finanziamenti agevolati per startup ed imprenditoria giovanile;
          questo stato di cose è abbastanza grave e blocca ogni possibile prospettiva per i giovani imprenditori visto che non sarà più possibile presentare nuove domande di ammissione alle agevolazioni per l'autoimprenditorialità  –:
          se i Ministri interrogati non intendano rivedere tutta la questione assumere iniziative per ripristinare immediatamente la dotazione finanziaria di queste misure agevolative e rimettere in moto la macchina di tali finanziamenti che si sono rivelati una grande opportunità per le numerose competenze e professionalità giovanili che vogliono avviare un'attività pur non avendo la possibilità di investire capitali propri, considerato che l'Agenzia Invitalia spa sostiene la realizzazione e l'avvio di piccole attività imprenditoriali di disoccupati o persone in cerca di prima occupazione. (4-00609)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


      D'INCECCO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
          venerdì 24 maggio 2013 le rappresentanze sindacali della polizia penitenziaria e molti operatori hanno manifestato dinanzi alla casa circondariale di Pescara per denunciare la scarsità dell'organico con cui sono costretti a convivere e a lavorare all'interno della stessa struttura;
          questa situazione di scarsità di organico, a quanto consta all'interrogante, crea disagi ai lavoratori ed alle loro famiglie, ma anche ai detenuti;
          l'organico della casa circondariale di Pescara è attualmente di 111 dipendenti, a cui si aggiungono 20 unità distaccate;
          la pianta organica di cui al decreto del Capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria 13 febbraio 2013 è per la casa circondariale di Pescara pari a 194 unità, con una differenza quindi in negativo di 63 unità;
          la realizzazione del nuovo padiglione penale (che ha una capienza di 250 detenuti) ha aggravato la situazione, in quanto ha contribuito all'aumento della popolazione carceraria che trova spazio all'interno della struttura di via San Donato di Pescara;
          si è passati da 150/180 detenuti a 300. Questo numero è destinato a crescere, si stima, sino a 350 detenuti;
          questo incremento, a quanto consta all'interrogante, ha costretto il personale a dover coprire due turni giornalieri continuativi di sei ore, a fronte delle sole sei ore previste per legge, a prestare regolarmente lo straordinario e a rinunciare a gran parte dei periodi feriali. La situazione potrebbe peggiorare se il nuovo padiglione dovesse essere completamente riempito;
          la casa circondariale di Pescara comprende anche un altro reparto detentivo, recentemente ristrutturato, più piccolo, destinato solo ad un massimo di dieci detenuti ma di una tipologia molto difficile da gestire. Si tratta infatti di detenuti disturbati mentalmente, con i quali la maggior parte dei poliziotti penitenziari non ha mai avuto a che fare;
          la popolazione detenuta, dunque, aumenta, ma il personale è stato incrementato di appena venti unità, di cui solo dieci realmente trasferite. Le altre dieci infatti sono state distaccate da altri istituti della regione e, a causa dell'emergenza di sovraffollamento che colpisce le carceri italiane (circa trentamila detenuti in più di quelli che tutti gli istituti di pena possono contenere), non è sicuro che resteranno nella struttura pescarese;
          in questo quadro emergenziale si inseriscono i proclami sulla sorveglianza dinamica del dipartimento della giustizia, cosa che significa un solo poliziotto in servizio dentro il reparto detentivo, al cui interno circolano liberamente e assolutamente privi di controllo i detenuti. Questo nuovo metodo però sembra dimenticare che la funzione della polizia penitenziaria non è solo quella di impedire fughe dall'istituto, ma anche e soprattutto impedire o meglio prevenire soprusi ed abusi del più forte nei confronti del più debole. Per svolgere questo compito delicato la polizia penitenziaria ha bisogno del contatto, per raccogliere voci, percepire gli umori, tutte cose che ogni agente con una buona esperienza acquisisce col tempo. Spesso basta un cenno impercettibile per segnalare una situazione anomala, insomma quello che si chiama il polso della situazione, controllo che diventa impossibile dentro una sala regia con monitor e cicalini di ogni tipo che appunto finiscono per estraniare gli agenti dal reparto in cui lavorano;
          mancano i fondi per garantire una minima remunerazione alla popolazione detenuta che lavora. I detenuti che lavorano vengono stipendiati ma sono troppo pochi quelli che riescono a lavorare. L'attività lavorativa all'interno di un istituto di pena non è solo un modo di impiegare il tempo, ma anche un modo per riacquistare la propria dignità. Purtroppo, però, risorse non ce ne sono e questo acuisce le tensioni, amplificate dallo stato detentivo;
          la casa circondariale di Pescara, a quanto consta all'interrogante, ha speso circa cinque milioni di euro per la realizzazione di cinque capannoni per le lavorazioni. Queste strutture dovrebbero servire a far lavorare i detenuti del reparto reclusione, ma, attualmente, ne funziona soltanto una dedicata ai lavori di calzoleria. In questo reparto lavorano solo una ventina di detenuti e alcuni, pur di sentirsi ancora utili, si offrono di fare lavori sotto forma di volontariato  –:
          quali iniziative il Ministro interrogato intenda intraprendere per coprire integralmente la dotazione organica della casa circondariale di Pescara, per la salute dei lavoratori che ivi prestano servizio;
          quali iniziative intenda adottare per l'utilizzo di tutte le strutture realizzate per l'avviamento al lavoro dei detenuti;
          se risulti veritiera la circostanza secondo cui, pur nell'attuale grave carenza di organico, nel reparto detentivo recentemente ristrutturato all'interno della casa circondariale di Pescara, sia prevista la reclusione di detenuti disturbati mentalmente. (5-00180)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


      CICU. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro per gli affari europei. — Per sapere – premesso che:
          nel quadro dello sviluppo infrastrutturale delle reti di trasporto merci e passeggeri transeuropea TEN-T, che costituiscono un progetto fondante delle politiche dei trasporti dell'Unione europea, l'interrogante rileva come nel corso degli ultimi anni, gli interventi volti a garantire adeguate misure per il potenziamento dei sistemi di collegamento e di misure per favorire una integrazione più rapida di aree geografiche del Mediterraneo come la Sardegna, siano marginali e spesso insufficienti, come confermano anche le risultanze superficiali dei programmi TEN-T in cui emerge l'emarginazione in tema di intermodalità ed interoperabilità nei confronti dell'isola;
          l'interrogante evidenzia altresì, come nonostante la Commissione europea lo scorso dicembre sembrerebbe aver ricompreso la città di Cagliari, all'interno della Rete transeuropea dei Trasporti, il cui documento unisce i principali snodi urbani europei, attribuendo al capoluogo sardo, una dotazione finanziaria di almeno 60 miliardi di euro, nell'ambito della programmazione 2014-2020, gli interventi indicati dal medesimo progetto europeo, siano nel complesso di manifesta esclusione di investimenti nella rete e di dismissione delle attività trasportistiche nei riguardi della Sardegna;
          nell'ambito delle politiche di sviluppo e di competitività del sistema integrato dei di porti, interporti ed aeroporti che costituiscono una vera e propria infrastruttura sistemica, il progetto di reti trans europee – TEN, a giudizio dell'interrogante, avrebbe dovuto considerare con maggiore attenzione la suindicata isola, quale snodo centrale dei traffici verso la Spagna, la Francia e il nord Africa, consentendo ad essa di svolgere un ruolo diverso da quello a cui è costretta, i cui ostacoli costituiti dall'insularità aggravano con il trascorrere degli anni, il gap di competitività in termini infrastrutturali;
          l'esclusione della Sardegna dai più ampi programmi di investimento, anche con riferimento alle cosiddette «autostrade del mare», delle reti transeuropee dei trasporti – TEN-T, indispensabili per favorire la coesione economica, sociale e territoriale nell'Unione europea e, di conseguenza, la completa integrazione del mercato unico ed il perseguimento degli obiettivi della Strategia UE 2020, a giudizio dell'interrogante, rischia di determinare una serie di prevedibili conseguenze negative per l'economia nazionale e isolana in particolare, relegandola in un ruolo marginale nell'assetto trasportistico europeo  –:
          quali orientamenti intendano esprimere, nell'ambito delle rispettive competenze, con riferimento a quanto esposto in premessa;
          se intendano confermare l'inserimento della città di Cagliari all'interno della «Rete transeuropea dei trasporti», nell'ambito della programmazione 2014-2020 e le risorse finanziarie attribuite al capoluogo sardo, come riportato altresì in premessa;
          quali siano complessivamente gli interventi previsti dal documento europeo nell'ambito delle risorse stanziate a favore della Sardegna, anche con specifico riferimento alle «autostrade del mare», le cui perplessità evidenziate in premessa, appaiono effettivamente fondate anche dai rilievi critici provenienti dagli enti locali della regione interessata;
          nel caso fosse confermato quanto esposto in premessa, quali iniziative intendano intraprendere, nell'ambito delle rispettive competenze, in sede europea al fine di riaffermare la strategicità degli interventi che riconoscono alla Sardegna e alle aree del bacino del Mediterraneo la centralità nell'ambito dei collegamenti commerciali e turistici;
          se sussista il rischio che le politiche di dismissione in corso e di esclusione dalle principali azioni europee nel comparto dei trasporti e di un'integrazione europea nel campo delle infrastrutture, dei trasporti, dell'intermodalità e della logistica nei confronti della Sardegna causino un ulteriore divario infrastrutturale tra l'Italia e le regioni insulari con ricadute negative sui flussi del traffico passeggeri e merci, nonché sulla competitività delle aree, sull'occupazione e sui flussi turistici. (5-00178)


      CICU. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          il costante aumento delle tariffe dei collegamenti marittimi da e per la Sardegna, che si manifesta in maniera puntuale con l'approssimarsi della stagione estiva è diventato una vera emergenza per l'economia isolana ed particolare per il settore turistico, che rappresenta una delle risorse più importanti del territorio;
          le associazioni degli autotrasportatori segnalano infatti che a partire dal prossimo mese di giugno, saranno previsti ulteriori rincari di circa il 10 per cento per i servizi di traghettamento della compagnia di navigazione Tirrenia, le cui ripercussioni in un periodo particolarmente difficile dell'economia italiana, rischiano di interrompere ogni tentativo di sviluppo e di ripresa economica del territorio suindicato;
          gli ulteriori adeguamenti delle tariffe merci, secondo quanto sostenuto dall'associazione trasporto unito, alle condizioni concordate nell'ambito della convenzione di esercizio con gli uffici del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, previsti per il trasporto marittimo di un semirimorchio tra Cagliari e Livorno da 315 euro nell'anno 2011 ai 477 euro da prossimo giugno e da 26,88 di marzo 2013 a 29,40 euro dal prossimo giugno, tra Cagliari e Civitavecchia, ove fosse confermato appaiono ingiustificabili e di ostacolo per la crescita dell'economia commerciale e turistica della Sardegna;
          l'incidenza dei suindicati aumenti sul costo finale del trasporto ed in termini percentuali del valore delle merci, a giudizio della medesima associazione, risulta essere spropositata e rischia di annullare in modo definitivo il principio fondamentale della continuità territoriale quale fattore di riequilibrio e di condizioni permanenti di svantaggio derivanti dall'insularità e di garanzia del diritto alla mobilità, previsto dall'articolo 16 della Costituzione per i territori svantaggiati;
          l'interrogante evidenzia, ulteriori segnali allarmanti con riferimento ai profili di criticità suesposti, provenienti anche dagli operatori turistici della Sardegna, i quali rilevano come gli inarrestabili ed ingiustificati rincari delle tariffe dei traghetti in un attuale contesto di depressione economica, determineranno effetti gravissimi per le attività turistiche e ricreative collegate al trasporto passeggeri, anche a causa di una strategia di cartello avviata con l'iniziativa di privatizzazione della Tirrenia, che trova tra l'altro scarso riscontro nell'economia di mercato;
          le numerose iniziative parlamentari presentate la scorsa legislatura, nell'ambito delle funzioni dell'attività di indirizzo e di sindacato ispettivo, a giudizio dell'interrogante, non sono state pertanto sufficienti ad invertire un trend altamente negativo e penalizzante dovuto al continuo aumento delle tariffe dei collegamenti marittimi da e per la Sardegna sia per il trasporto delle merci che delle persone, come confermato anche dal significativo decremento sia dell'attività commerciale, che delle prenotazioni turistiche osservate lo scorso anno nell'isola  –:
          quali orientamenti intenda esprimere, con riferimento a quanto esposto in premessa;
          se intenda confermare il piano di adeguamento delle tariffe merci indicate dalla convenzione di esercizio tra la compagnia Tirrenia ed il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti che, come esposto in premessa, decorrerà dal prossimo giugno;
          in caso affermativo se sia stato valutato il rischio che l'aumento dei collegamenti marittimi determinerà conseguenze gravissime per l'economia sarda, già attraversata da una grave crisi industriale, da una profonda crisi dell'agricoltura e della pastorizia e da un pesante indebitamento delle sue imprese con le banche e con il fisco;
          quali iniziative, nell'ambito delle sue competenze, intenda infine intraprendere al fine di contenere l'effetto persistente dell'aumento delle tariffe per i collegamenti marittimi nei riguardi della compagnia Tirrenia, da e per la Sardegna i cui effetti come esposto in premessa pongono in maniera concreta l'economia isolana in una condizione emergenziale. (5-00179)

Interrogazioni a risposta scritta:


      GAGNARLI, GALLINELLA e L'ABBATE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          la stazione ferroviaria di Terontola-Cortona venne inaugurata nel 1875 e da allora è stata per tutto il Novecento un punto di riferimento dei trasporti ferroviari del nostro Paese, tanto che viene citata anche in numerosi romanzi e film del secolo scorso;
          la stazione ferroviaria di Terontola-Cortona, è collocata geograficamente in un punto che le permette di essere snodo decisivo per i collegamenti ferroviari tra le città capoluogo di Perugia, Firenze e Roma, in quanto stazione di svincolo ferroviario più comoda e veloce non solo per raggiungere le sopracitate città ma anche per collegare tutti gli abitanti della provincia di Arezzo e Perugia, potendo servire infatti un cospicuo numero di persone vista la sua particolare posizione di accesso, annoverata per questi motivi fino a qualche anno fa tra le più importanti stazioni del centro Italia;
          oramai da anni la questione del trasporto pubblico locale e del pendolarismo costituisce uno dei più gravi problemi per la mobilità urbana ed extraurbana nazionale e attribuisce all'Italia un triste primato europeo in termini di mobilità sostenibile, sicurezza, abbattimento delle emissioni da traffico veicolare e diritti dei passeggeri;
          i pendolari quotidianamente vivono il disagio causato dai ritardi nonché a volte dalla improvvisa cancellazione di corse ferroviarie che impediscono agli stessi di raggiungere regolarmente il posto di lavoro o di studio;
          il sovraffollamento e l'aumento del costo dei biglietti, la riduzione delle corse, i ritardi ed i disservizi interessano soprattutto le tratte locali, quelle maggiormente usate dai pendolari in Toscana, come molte altre regioni, nel 2012 a fronte di una diminuzione dei servizi c’è stato un aumento delle tariffe del 20 per cento;
          ci sono treni che devono essere confermati per evitare che con la cancellazione delle loro fermate si creino ulteriori problemi: l'intercity 596 in partenza da Roma alle 18:15, e l'intercity 774 con partenza da Roma alle 22:35 entrambi con fermate Chiusi Terontola e Arezzo, l'intercity 580 con partenza da Terni alle 5:05 con fermate Terontola e Arezzo, l'intercity 581 con partenza da Terontola alle 06:50 con arrivo a Roma alle 08:23 e l'eurostar 9501 che ferma ad Arezzo alle 07:25 con arrivo a Roma alle 08:30;
          ci sono treni alta velocità che potrebbero fermare nelle vicine stazioni di Chiusi ed Arezzo ed essere collegate tramite treni regionali alle stazioni di Terontola, Cortona, Castiglion Fiorentino e Castiglione del lago: il treno 794 con partenza da Roma alle 06:33 potrebbe fermare a Chiusi alle 8:23 con ripartenza alle 8:25 e arrivo a Firenze Campo Marte alle 10:05 con soli 5 minuti in più rispetto alla attuale fascia oraria; il treno 9442 con partenza alle 16.55 da Roma potrebbe fermare a Chiusi alle 17:42 con ripartenza alle 17:44 ed arrivo a Firenze alle 18:38 con soli 16 minuti in più rispetto alla attuale fascia oraria; il treno 9480 con partenza da Roma alle 17:15 potrebbe fermare ad Arezzo alle 18:20 e ripartirebbe alle 18:22 arrivando a Firenze alle 18:50, con soli 18 minuti in più rispetto alla attuale fascia oraria; il treno 9437 che parte da Firenze Santa Maria Novella alle 16:48 potrebbe fermare ad Arezzo alle 17:20 e ripartire alle 17:22 per arrivare a Roma alle 18:27 con solo 13 minuti in più rispetto all'orario attuale, inoltre sarebbe opportuno ridare all'intercity 764 con partenza da Roma alle 23:00 le fermate di Terontola ed Arezzo in quanto effettuando nella stazione di Bologna una sosta programmata di un'ora non si modificherebbe l'orario di arrivo;
          il miglioramento del servizio ferroviario locale oltre ad agevolare il pendolarismo per tutto il territorio perugino ed aretino potrebbe aumentare considerevolmente l'affluenza nelle zone interessate che basano gran parte della loro economia sulle attività turistiche  –:
          quali iniziative di competenza intenda assumere per evitare nuovi drastici tagli del servizio ferroviario e la soppressione di treni che si potrebbero verificare già a giugno;
          quali misure intenda in concreto promuovere nelle opportune sedi di competenza di carattere ordinario e straordinario, al fine di perseguire un'efficace politica del trasporto ferroviario fondamentale per lo sviluppo economico, turistico e territoriale. (4-00611)


      BUSINAROLO, SPESSOTTO, TURCO, COMINARDI, MANLIO DI STEFANO, TRIPIEDI, D'INCÀ, BARBANTI, CASTELLI, COLONNESE, NESCI, COZZOLINO, DIENI, FRACCARO, DA VILLA, NUTI, BASILIO, FICO, BENEDETTI, SCAGLIUSI, BUSTO, BRUGNEROTTO, ROSTELLATO e FANTINATI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          la società Autostrada Brescia Verona Vicenza Padova Spa, con sede in Via Flavio Gioia 71, 37135 - Verona, in qualità di soggetto proponente, ha provveduto, ai sensi del decreto legislativo n.  163 del 2006 e del decreto legislativo n.  152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni, ad attivare la procedura di Via relativa all'intervento di costruzione del tratto autostradale da Piovene Rocchette (VI) a Besenello (TN) in data 19 marzo 2012, nonché al deposito del progetto;
          il tracciato dell'autostrada è stato scelto dalla ditta proponente senza che lo stesso fosse concordato con la provincia autonoma di Trento (PAT) e questo ha dato luogo a un ricorso alla Corte Costituzionale da parte della provincia autonoma di Trento contro la costruzione dell'autostrada;
          il tentativo di conciliazione tra la provincia di Vicenza e la provincia di Trento esperito in data 7 marzo 2013 dal Consiglio superiore dei lavori pubblici (CSLP), a quanto consta agli interroganti, non ha dato esito positivo e pertanto il Consiglio superiore dei lavori pubblici ha preso atto, all'unanimità dei componenti, che «l'attività istruttoria, ai sensi dell'articolo 165 comma 6 lettera a) del decreto legislativo n.  163 del 2006 non ha portato al superamento del dissenso» e di conseguenza l'ipotesi di conciliazione presentata nell'adunanza del 28 febbraio 2013 «allo stato non può essere considerata quale proposta alternativa»;
          ai sensi dell'articolo 4.1 e 4.2 della Convenzione tra ANAS e Società autostrade Brescia Verona Vicenza Padova Spa l'approvazione del progetto definitivo entro il 30 giugno 2013 comporta che la concessione autostradale venga a scadere il 31 dicembre 2026  –:
          se il Ministro interrogato sia a conoscenza che il CIPE, nella seduta del 18 marzo 2013, ha «approvato in linea tecnica, con prescrizioni, il progetto preliminare dell'Autostrada A31 Valdastico nord – 1o lotto funzionale Piovene Rocchette-Valle dell'Astico, avente un costo di 891,6 milioni di euro», quindi uno stralcio dell'opera;
          se sia a conoscenza che l'approvazione di questo tratto autostradale senza sbocchi o connessioni con altre autostrade dovrebbe comportare un nuovo progetto e una completa revisione dei parametri viabilistici a base della scelta, dato che i volumi di traffico di un'autostrada a fondo cieco non danno vantaggi confrontabili con il progetto complessivo e quindi si va ad approvare l'esecuzione di un'infrastruttura priva di utilità, ma con lo stesso impatto (perlomeno nel tratto vicentino) dell'infrastruttura completa;
          se, anche ipotizzando la realizzazione completa della tratta autostradale nel tratto trentino, ritenga che sia opportuno e conveniente per lo Stato eseguire un investimento da 1,92 miliardi di euro per un prolungamento della concessione autostradale per soli 13 anni dal 2013 al 2026:
              a) sapendo che, secondo il piano economico finanziario predisposto dalla Società Autostrade, il tratto completo verrà aperto solo nel 2025, un anno prima della scadenza della concessione;
              b) sapendo che, secondo l'articolo 5 della convenzione ANAS-Autostrade Brescia Padova firmata il 30 luglio 2010, ANAS nel 2026 dovrà restituire al concessionario «il costo effettivamente sostenuto, al netto degli ammortamenti in un'unica soluzione»;
              c) sapendo che, secondo il piano economico finanziario predisposto dalla Società Autostrade, al 2046 si saranno incassati per pedaggi euro 638.286.862 quindi circa 1/3 del costo di costruzione dell'autostrada; dimostrando così che questa tratta autostradale non potrà mai restituire l'investimento effettuato;
          se, alla luce dei fatti sopra esposti, non ritenga opportuno sospendere ogni rinnovo della concessione alla società Autostrade Brescia Padova in base alle seguenti criticità:
              a) mancato accordo con la provincia di Trento e conseguente impossibilità di realizzare il tratto autostradale progettato e approvato dalle commissioni VIA della regione Veneto e dello Stato;
              b) insufficienza dei tempi per la realizzazione dell'opera, dato che qualunque imprevisto farebbe slittare il completamento dell'opera oltre i tempi di durata della concessione;
              c) danno nei confronti dello Stato per la realizzazione di un'opera che, secondo lo stesso piano economico finanziario presentato dalla società concessionaria, in 24 anni non incasserà che una porzione dell'investimento totale (al lordo delle ingenti spese di gestione relative a tunnel autostradali per una lunghezza complessiva di chilometri 57,8). (4-00615)

INTERNO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


      I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, per sapere – premesso che:
          la Corte costituzionale ha costantemente riconosciuto nel concorso pubblico la forma generale ed ordinaria di reclutamento per il pubblico impiego;
          il richiamato principio costituzionale non è incompatibile con la possibilità di forme di accesso intese a consolidare pregresse esperienze lavorative maturate nella stessa amministrazione, tuttavia non tollera – salvo circostanze del tutto eccezionali – la riserva integrale dei posti disponibili in favore di personale interno;
          per questo motivo, con riferimento al corpo dei vigili del fuoco il procedimento di stabilizzazione, introdotto dalla legge n.  296 del 2006 (legge finanziaria per il 2007), è stato configurato come una procedura a carattere eccezionale, limitata nel tempo e concorrente, ma non alternativa, a quella ordinaria;
          proprio in quanto derogante all'articolo 97 della Costituzione, la legge n.  296 del 2006 ha configurato il procedimento di stabilizzazione come una procedura a carattere eccezionale, limitata nel tempo e concorrente rispetto a quella ordinaria;
          in particolare, all'articolo 1, comma 526 di tale legge, era previsto che le amministrazioni potessero procedere, per gli anni 2008 e 2009, a stabilizzare precari nel limite di una percentuale massima del 40 per cento delle cessazioni avvenute nell'anno precedente; la stessa possibilità fu poi estesa all'anno 2010 dalla legge n.  244 del 2007 (finanziaria per il 2008);
          ma già nel 2008, il decreto-legge n.  112 del 2008, convertito dalla legge n.  133 del 2008, ha apportato la prima sensibile modifica alla volontà di procedere alla stabilizzazione; infatti la quota iniziale di riserva del 40 per cento dei posti fu mantenuta solo per l'anno 2008 e venne abbassata al 10 per cento per le stabilizzazioni da effettuarsi nell'anno 2009, mentre veniva espunta la possibilità di operare stabilizzazioni anche nell'anno 2010;
          successivamente, con l'articolo 17, comma 10, del decreto-legge n.  78 del 2009, in pratica, è stata decretata la fine della stabilizzazione, disponendo che, nel triennio 2010/2012, nei concorsi pubblici sia riservata una percentuale non superiore al 40 per cento dei posti in favore del personale da stabilizzare;
          nel contesto del delineato quadro normativo, il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, effettuate le stabilizzazioni autorizzate nella misura suddetta, ha percorso la strada del concorso pubblico, quale strumento di selezione obbligato per il reclutamento di personale operativo;
          anche il Consiglio di Stato i cui giudici si sono pronunciati nell'Adunanza plenaria n.  17 del 2012 ha confermato la contrarietà a modalità differenti dalla selezione pubblica sia con riferimento all'assunzione in ruolo di nuovo personale che ai passaggi a mansioni superiori, confermando il dettato costituzionale e l'orientamento espresso dalla Corte;
          con riguardo alla stabilizzazione dei volontari del Corpo dei vigili del fuoco il Ministro Cancellieri il 22 dicembre del 2011 ha dichiarato che tale processo di stabilizzazione: «si è concluso nel 2010 ed ha consentito di immettere in servizio personale già qualificato. Ora non sono più possibili ulteriori stabilizzazioni. [...] Il Ministero dell'interno ha avviato anche la procedura ordinaria del concorso a 814 posti di vigili del fuoco prevedendo comunque una riserva del 25 per cento al personale volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco che, alla data di indizione del bando, sia iscritto negli appositi elenchi da almeno tre anni ed abbia effettuato non meno di 120 giorni di servizio. La relativa graduatoria, pertanto, costituisce l'unico serbatoio per le assunzioni dei prossimi anni»;
          in questo quadro con riferimento alle assunzioni nel Corpo dei vigili del fuoco è fondamentale sottolineare che l'amministrazione ha bandito uno specifico concorso pubblico per 814 posti, la cui graduatoria è stata approvata il 14 luglio 2010 con poi successive modifiche decretando un totale di 7599 idonei così ripartiti:
              599 circa con riserva del 45 per cento destinato ai volontari in ferma breve o in ferma prefissata delle tre forze armate (allegato B1 del bollettino ufficiale del personale n.  1/32 2010); 1616 circa con riserva del 25 per cento destinato al personale volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco che, alla data di indizione del bando, sia iscritto negli appositi elenchi da almeno tre anni ed abbia effettuato non meno di 120 giorni di servizio (allegato B2 del bollettino ufficiale del personale n.  1/32 2010); 148 circa con riserva del 20 per cento destinato a coloro che abbiano prestato servizio civile, per non meno di un anno, nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco (allegato B3 del bollettino ufficiale del personale n.  1/32 2010); 5236 infine circa non riservati (allegato B4 del bollettino ufficiale del pedonale n.  1/32 2010);
          una cosa molto importante da specificare è che fra queste 5236 unità (allegato B4 del bollettino ufficiale del personale n.  1/32) esistono anche molti idonei che da anni sono iscritti negli appositi elenchi di volontari del Corpo nazionale vigili del fuoco che al momento del bando non avevano i requisiti previsti ma da considerarsi precari del Corpo che ambiscono alla stabilizzazione ordinaria prevista per legge tramite concorso pubblico sperando in una non discriminazione nei loro confronti;
          inoltre, di particolare rilevanza assume l'articolo 9 del bando del concorso pubblico 814 (articolo inesistente nel bando per la stabilizzazione del 2007) il quale cita: «secondo l'ordine della graduatoria finale di cui al precedente articolo 8, i candidati sono sottoposti, ai sensi della normativa vigente, agli accertamenti per l'idoneità psico-fisica e attitudinale di cui all'articolo 2, comma 1, lettera d) del presente decreto, sino alla copertura dei posti messi a concorso. Qualora durante il periodo di validità della graduatoria si rendano disponibili per la copertura ulteriori posti nella qualifica di vigile del fuoco, l'assunzione dei candidati idonei è subordinata, comunque, all'accertamento dei requisiti di idoneità psico-fisica e attitudinale, secondo le modalità del presente articolo»; infatti la graduatoria del concorso pubblico 814 ha un bacino di circa 2000 idonei visitati e risultati idonei pronti all'assunzione;
          pertanto, al 14 luglio 2010, l'unica graduatoria in vigore era quella del concorso pubblico, per titoli ed esami, a 814 posti e la graduatoria della cosiddetta «stabilizzazione» era scaduta;
          sorprendentemente, e ad avviso degli interroganti con una previsione di dubbia legittimità, il decreto-legge n.  79 del 2012, all'articolo 4-ter, ha prorogato (anche se era scaduta), al dicembre 2014, la validità della graduatoria di stabilizzazione;
          va ricordato che la Corte costituzionale ha sottolineato che la facoltà del legislatore di introdurre deroghe al principio del concorso pubblico è stata delimitata in modo rigoroso, potendo tali deroghe essere considerate legittime solo quando funzionali alle esigenze di buon funzionamento dell'amministrazione e ove ricorrano peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico idonee a giustificarle. Appare evidente che in presenza di un concorso pubblico e di personale che alla luce di questo è risultato idoneo non sussistano straordinarie esigenze che giustifichino la possibilità di ignorare il medesimo concorso ed il suo esito;
          ad, ogni modo, la graduatoria della cosiddetta «stabilizzazione» con l'articolo 17, comma 10, del disegno di legge n.  78 del 2009, in pratica, è stata decretata la fine della stabilizzazione, disponendo che, nel triennio 2010/2012, nei concorsi pubblici sia riservata una percentuale non superiore al 40 per cento dei posti in favore del personale da stabilizzare;
          in questo quadro rispetto alle richieste di procedere a «sanatoria» è doveroso tenere in considerazione il fatto che tali procedure finirebbero per assumere un carattere discriminante nei confronti degli idonei del concorso pubblico a 814 posti, il che lascerebbe prevedere inevitabilmente un consistente contenzioso da parte di questi candidati, tanto più perché sono gli unici appartenenti ad una graduatoria valida;
          è necessario ricordare che ogni procedimento di stabilizzazione è configurato come una procedura a carattere eccezionale, e con riferimento alle procedure di assunzione dei vigili del fuoco, questo procedimento può essere considerato attuabile solo se capace di garantire il rispetto dell'articolo 97 della Costituzione mediante il doppio vincolo del numero limitato dei posti ad essa destinato (quota parte di quelli da conferire) e delle «prove selettive» utilizzate per individuare i «migliori» in relazione ad un limitato numero di posti;
          come detto, quindi, la specialità del procedimento di stabilizzazione è consistita proprio nel suo carattere di procedura concorrente e non alternativa a quella ordinaria di accesso mediante concorso pubblico, con la quale – per un periodo limitato di tempo – non solo ha ripartito quote distinte di autorizzazione ad assumere, ma ha comunque condiviso analoghi principi selettivi, nel rispetto del più volte ricordato indirizzo della Corte costituzionale;
          con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 21 gennaio 2013, pubblicato in Gazzetta Ufficiale l'11 aprile 2013, l'amministrazione ha autorizzato l'assunzione delle 136 nuove unità del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e il 50 per cento di tali assunzioni è stato operato attingendo dalla graduatoria, scaduta ma a giudizio degli interpellanti illegittimamente prorogata, della cosiddetta «stabilizzazione»  –:
          quali siano le necessarie iniziative che il Governo intende assumere ed in quali tempi affinché si faccia definitivamente chiarezza sulla questione esposta in premessa;
          se il Governo preveda di continuare a destinare alla graduatoria della stabilizzazione il 50 per cento dei posti derivanti dalle vacanze dell'anno precedente;
          se gli aspiranti stabilizzandi, circa 4000 in graduatoria, debbano ancora essere sottoposti ad una prova di selezione motoria ed alle visite mediche che ne attestano l'idoneità al servizio, non tenendo conto che circa 5500 unità, appartenenti alla graduatoria del concorso pubblico citato, sono già state selezionate ai massimi livelli e di queste circa 2000 sono state ritenute idonee al servizio perché sottoposte anche a visita medica;
          se non si ritenga opportuno intervenire per salvaguardare le aspettative legittime degli idonei del concorso pubblico e l'assunzione nel corpo dei vigili del fuoco.
(2-00066) «Giammanco, Rampelli, Bosco, Mottola, Milanato, Alli, Bernardo, Centemero, Distaso, Bianconi, Sisto, Laffranco, Pagano, Calabria, Francesco Saverio Romano, Saltamartini, Ravetto, Chiarelli, Tancredi, Piccone, Latronico, Lainati, Palmieri, Giorgia Meloni, Elvira Savino, Costa, Marotta, Sandra Savino, Vella, Cicu, Martinelli, Biasotti, Piso».

Interrogazione a risposta scritta:


      MOLTENI e MATTEO BRAGANTINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
          gli ultimi fatti di cronaca impongono una revisione dell'attuale normativa in materia di asilo, al fine di tutelare effettivamente gli aventi diritto a protezione internazionale e contrastare in modo rigoroso l'uso strumentale che di tali forme di protezione viene fatto da chi diritto non ne ha, ma semplicemente per poter stabilirsi nel nostro Paese;
          la mancanza di dati certi e aggiornati sul sistema italiano d'asilo non consente neppure di valutare l'impatto che lo stesso ha sulla nostra società in termini di capacità recettiva e costi;
          si registra il fallimento del sistema europeo comune di asilo, che avrebbe dovuto compiersi entro il 2012 e che a tutt'oggi sembra molto lontano dal realizzarsi;
          il nostro Paese per la conformazione geografica ha per la maggior parte confini costieri, difficilmente controllabili, per cui è meta privilegiata dell'immigrazione clandestina;
          occorre evitare che le forme di protezione internazionale vengano usate strumentalmente da chi giunge nel nostro mese non avendone diritto  –:
          quale sia il numero esatto delle domande di protezione internazionale presentate, quante siano state accolte e rigettate dalle commissioni territoriali, quali siano il numero e gli esiti dei ricorsi in sede giurisdizionale per gli anni dal 2000 ad oggi, in quanti abbiano beneficiato del gratuito patrocinio per i ricorsi avverso le decisioni delle commissioni territoriali e i relativi costi, quante siano le forme di protezione sopra menzionate, quale sia il numero dei visti consolari di ingresso per l'Italia, con specifica degli Stati di provenienza e per quali motivi e infine se non ritenga utile predisporre un rapporto pubblico sul sistema di asilo, informandone il Parlamento. (4-00599)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta scritta:


      BOCCADUTRI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 509 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n.  297 stabilisce che i lavoratori della scuola sono collocati a riposo d'ufficio dal 1o settembre successivo alla data del compimento del 65o anno di età;
          le eventuali proroghe, a domanda, del collocamento a riposo per raggiunti limiti di età, sono possibili in due casi: 1) ai sensi del decreto ministeriale n.  97 del 20 dicembre 2012 può chiedere di rimanere in servizio chi compie sessantasei anni e tre mesi di età entro il 31 agosto 2013, fino al raggiungimento dell'anzianità minima pensionabile (20 anni), comprensiva di tutti i servizi valutabili (pre-ruolo, ruolo e periodi riscattati, ricongiunti), e in ogni caso non oltre il 70o anno di età; 2) ai sensi del decreto-legge n.  112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n.  133 del 2008, il lavoratore può richiedere di rimanere in servizio per un periodo massimo di un biennio oltre i limiti di età per il collocamento a riposo, sulla base di una valutazione discrezionale dell'amministrazione, che tiene conto delle proprie esigenze organizzative e funzionali, in relazione alla particolare esperienza professionale acquisita dal richiedente, in determinati o specifici ambiti e in funzione dell'efficiente andamento dei servizi;
          riguardo a questo secondo caso, l'articolo 72, comma 7 del decreto-legge n.  112 del 2008 ha equiparato i trattenimenti in servizio a nuove assunzioni dal momento che prevede una riduzione delle risorse destinate alle stesse; diminuzione corrispondente al trattamento economico derivante dall'accoglimento delle richieste di proroga dal collocamento a riposo per raggiunti limiti di età;
          infatti, la circolare ministeriale n.  98 Prot. n.  AOODGPER 9733/ 20 dicembre 2012 ha disposto che «i criteri di valutazione delle istanze di permanenza in servizio, dettati con la direttiva n.  94 del 4 dicembre 2009, adottata sulla base delle indicazione di cui alla circolare n.  10 del 2008 del dipartimento della funzione pubblica devono essere applicati in maniera puntuale e motivata. Deve essere considerata, con particolare attenzione, la capienza della classe di concorso, posto o profilo di appartenenza, non solo per evitare esuberi, ma anche nell'ottica di non vanificare le aspettative occupazionali del personale precario. Per quanto riguarda l'apprezzamento delle situazioni di esubero provinciale, deve farsi riferimento non solo agli organici di diritto dell'anno scolastico 2012-2013, ma anche alla prevedibile evoluzione dei medesimi per l'anno scolastico 2013/2014»;
          la circolare MIUR/ufficio scolastico regionale per il Lazio, protocollo n.  334 del 7 gennaio 2012 si è espressa in questo senso: «l'eventuale “trattenimento in servizio” del personale per un periodo necessariamente e particolarmente limitato, causerebbe in misura equivalente l'impossibilità di assumere personale precario che invece esplicherebbe la propria attività per una intera vita lavorativa. Per le indicate considerazioni e al fine di non vanificare le aspettative occupazionali del personale precario questo ufficio esprime l'indirizzo, come già avvenuto negli ultimi anni scolastici, che le istanze in argomento di trattenimento in servizio non possano essere accolte»;
          nello stesso senso, la circolare MIUR/USR per il Lazio/ufficio X – Ambito territoriale per la provincia di Roma, prot. n.  184 dell'8 gennaio 2013 ha precisato: «A tal proposito, si richiama l'attenzione delle SS.LL. (dirigenti scolastici) sull'indirizzo espresso dall'ufficio scolastico regionale per il Lazio – direzione generale – ufficio V con nota prot. n.  334 del 7 gennaio 2012, in ordine all'indirizzo di non accoglimento delle istanze di trattenimento in servizio del personale docente ed ATA. Con l'occasione, si aggiunge, per le richieste di proroga per un biennio, ai sensi dell'articolo 16 del decreto legislativo n.  503 del 1992 e successive modifiche (corrispondente all'articolo 509, comma 5 del decreto legislativo n.  297 del 1994), di cui da ultimo, la modifica operata dall'articolo 1 del decreto-legge n.  138 del 2011 convertito con modificazioni dalla legge n.  111 del 2011, come sia stata valorizzata la discrezionalità nella concessione del trattenimento in servizio che non costituisce più un diritto potestativo attribuito all'interessato, bensì di un diritto condizionato alle esigenze e valutazioni dell'Amministrazione»  –:
          quanti siano, tra docenti e personale ATA in servizio, coloro che hanno maturato o matureranno sessantasei anni e tre mesi di età entro il 31 agosto 2013 e quante siano state le richieste, comunque presentate, di trattenimento in servizio nel Lazio entro il 25 gennaio 2013, suddivise per classi di concorso, posto o profilo e tipologia e quante quelle accolte;
          se e in che modo l'ufficio scolastico regionale per il Lazio e gli ambiti territoriali di Roma, Frosinone, Latina, Rieti e Viterbo hanno messo in pratica l'indirizzo di non accoglimento delle istanze di trattenimento in servizio del personale docente ed ATA;
          se e in che modo i suddetti uffici abbiano accertato e vigilato che i dirigenti scolastici abbiano seguito il non equivocabile indirizzo di non accoglimento delle istanze in argomento;
          se e in che modo codesto Ministro intenda provvedere in caso di mantenimento in servizio non accoglibile.
(4-00602)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


      GARAVINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
          l'articolo 90, comma, 2 lett. b), del decreto legislativo 12 aprile 2006, n.  163, definisce, ai fini pubblici e privati, società di ingegneria le società che eseguono studi di fattibilità, ricerche, consulenze, progettazioni o direzioni dei lavori, valutazioni di congruità tecnico-economica o studi di impatto ambientale;
          il citato articolo stabilisce altresì che ai corrispettivi relativi alle predette attività professionali si applica il contributo integrativo qualora previsto dalle norme legislative che regolano la/Cassa di previdenza di categoria cui ciascun firmatario del progetto fa riferimento in forza della iscrizione obbligatoria al relativo albo professionale. Detto contributo dovrà essere versato pro quota alle rispettive casse secondo gli ordinamenti statutari e regolamenti vigenti;
          l'articolo 2.1 del «Regolamento Generale Previdenza» di Inarcassa per il 2012, approvato dai Ministeri vigilanti, stabilisce che le società di ingegneria devono trasmettere telematicamente tramite Inarcassa on-line il volume d'affari complessivo nonché la quota parte dello stesso derivante da attività professionale assoggettabile a contributo integrativo a favore di Inarcassa;
          il suddetto contributo oggettivo, determinato nella misura del 4 per cento della cifra d'affari comunicata alla Cassa previdenziale e previsto per tutti i liberi professionisti, si applica secondo le stesse modalità anche alle società tra professionisti in base a quanto previsto dal comma 1 della predetta norma del decreto legislativo 163 del 2006;
          nel recepire una direttiva europea (2010/45/UE) sul sistema comune di imposta sul valore aggiunto, la legge 24 dicembre 2012, n.  228 (legge di stabilità per il 2013) ha modificato il decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n.  633, introducendo – per le operazioni non rilevanti territorialmente in Italia – l'obbligo di fatturazione (finora limitato alle prestazioni di servizi «generiche», come ad esempio le consulenze) estendendolo alla generalità delle operazioni, che di conseguenza dovranno essere registrate e concorreranno alla determinazione del volume di affari annuo, ancorché le fatture non siano soggette ad IVA;
          in particolare, l'articolo 1, comma 325, lettera d), numero 2), della citata legge 228 del 20012 modifica l'articolo 21 del decreto del Presidente della Repubblica 633 del 1972 inserendo un comma 6-bis che prevede l'emissione di fattura, anche se non soggette ad IVA: per le cessioni di beni e prestazioni di servizi che si considerano effettuate fuori dell'Unione europea; su queste fatture dovrà essere apposta l'indicazione «operazione non soggetta»; – per tutte le prestazioni di servizi (ad eccezione delle operazioni esenti di cui all'articolo 10 comma 1 numeri 1), 2), 3), 4) e 9) del decreto del Presidente della Repubblica 633 del 1972) – operazioni creditizie e finanziarie – e le cessioni di beni effettuate nei confronti di soggetti passivi debitori d'imposta in altro Stato con l'annotazione «inversione contabile»;
          dal primo gennaio 2013, le operazioni effettuate all'estero da professionisti, società di ingegneria/di professionisti, pur rimanendo non soggette a IVA, vengono fatte rientrare – ai fini del contributo oggettivo del 4 per cento – nel volume d'affari del contribuente e conseguentemente concorrono alla determinazione del volume della cifra di affari sulla quale si calcola il contributo del 4 per cento da rendere a Inarcassa;
          tale situazione determina quindi una perdita del 4 per cento su tutto il fatturato estero di professionisti e società e la conseguente impossibilità di risultare competitivi con i concorrenti stranieri che, ovviamente, non sono tenuti ad esporre in fattura il 4 per cento del contributo alla propria cassa previdenziale;
          i concorrenti stranieri, quanto meno quelli europei, che operano sui mercati internazionali in concorrenza con professionisti e società italiane non hanno un analogo onere contributivo previdenziale che grava per il 4 per cento dell'importo del contratto e, quindi, hanno modo, a tutt'oggi, di presentare offerte che sono evidentemente più vantaggiose rispetto a quelle di professionisti e società italiane;
          risultano evidenti i danni sulla competitività delle società di ingegneria/di professionisti, ma anche su tutti gli ingegneri e architetti che operano all'estero, sia in ordine alla circostanza che le società e i professionisti non riusciranno ad ottenere tale contributo da committenti stranieri, sia perché la norma, stando alle prime interpretazioni date anche da Inarcassa risulterebbe applicabile anche ai contratti già in essere, stipulati quindi prima del 2013 ma per i quali non si è ancora addivenuti a fatturazione;
          la nuova situazione determinatasi dopo l'inizio del 2013 può avere conseguenze altamente negative sulle dinamiche occupazionali laddove le società – gravate da questo ulteriore onere e con compromissione certa dei fatturati esteri – decidessero di delocalizzare le prestazioni di servizi ad elevato contenuto di know-how, come sono quelle tipiche del settore dell'ingegneria e dell'architettura, con ulteriori danni in termini occupazionali anche per i giovani professionisti;
          il tema dell'internazionalizzazione delle imprese italiane rappresenta un obiettivo condiviso e costituisce l'obiettivo di appositi strumenti di promozione e agevolazione gestiti dal Ministero dello sviluppo economico  –:
          quali misure intenda assumere il Governo al fine di eliminare gli effetti penalizzanti e anticompetitivi della novella fiscale rispetto agli adempimenti di professionisti e società di ingegneria e architettura che operano all'estero in evidente situazione di svantaggio competitivo.
(5-00181)

Interrogazione a risposta scritta:


      LODOLINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
          a seguito della presentazione in data 5 dicembre 2012 di concordato preventivo per Cava Gola Della Rossa, Fatma Spa e Murano Logistica, la direzione aziendale del gruppo cava Gola della Rossa ha formalmente presentato le linee generali del piano industriale alle organizzazioni sindacali in data 24 maggio 2013;
          le predette società avrebbero dovuto attivarsi per presentare al giudice competente un piano teso da una parte a tutelare la continuità di rapporto con i principali clienti e fornitori e dall'altra a salvaguardare i livelli occupazionali delle stesse società ad oggi a rischio espulsione dal mercato del lavoro, mediante azioni volte al risanamento aziendale e di salvaguardia del know-how aziendale;
          in base al piano industriale presentato alle organizzazioni sindacali la direzione prevede la dismissione di alcuni rami di azienda: edilizia, trasporti, impianti di calcestruzzo, impianti di conglomerati bituminosi e la sola prosecuzione della parte inerente l'attività di estrazione;
          l'azienda, nell'incontro con le organizzazioni sindacali non si è resa disponibile a discutere sulle richieste avanzate dalle organizzazioni sindacali di categoria a tutela dei posti di lavori e del dispiego della maggiore quantità di ammortizzatori sociali;
          l'impatto sociale della ristrutturazione del gruppo sarebbe rilevante, in quanto le dismissioni annunciate prevederanno esuberi per 131 lavoratori tra operai ed impiegati su 177 dipendenti del Gruppo in un periodo particolarmente difficile per il sistema produttivo della provincia di Ancona, già provato duramente dalla crisi del settore dell'edilizia e dal fermo delle grandi opere nel comprensorio di Fabriano;
          nella sola regione Marche ad oggi abbiamo perso 10.000 posti di lavoro legati all'edilizia, pertanto gli esuberi annunciati determineranno soprattutto nel comprensorio del Fabrianese e della Vallesina un effetto moltiplicatore per decina di aziende di tutto l'indotto delle costruzioni  –:
          se corrisponda al vero la notizia secondo la quale la Cava Gola Della Rossa avrebbe un progetto di escavazione/coltivazione in sotterranea in corso, sul quale l'azienda punterebbe molto e che dovrebbe garantire un futuro e una prospettiva occupazionale (un investimento che prevedeva addirittura crescita occupazionale e formazione del personale) per diverse figure;
          quali iniziative il Governo intenda adottare, nell'ambito delle proprie competenze, per salvaguardare l'occupazione e le prospettive industriali del Gruppo.
(4-00606)

PARI OPPORTUNITÀ, SPORT E POLITICHE GIOVANILI

Interrogazione a risposta orale:


      BUONANNO. — Al Ministro per le pari opportunità, lo sport e le politiche giovanili. — Per sapere – premesso che:
          domenica 26 maggio 2013, allo stadio Olimpico di Roma si è disputata la finale di Coppa Italia tra Lazio e Roma;
          in tale occasione si è assistito a una sfilata di politici e ministri che poco hanno a che fare con il mondo del calcio;
          la prima promessa di Giovanni Malagò era stata l'abolizione del privilegio dei biglietti gratis ai politici e ai Ministri per l'ingresso allo stadio  –:
          di quali elementi disponga il Governo in merito a quanto esposto in premessa e se risulti che i rappresentanti delle istituzioni presenti allo stadio abbiano pagato il biglietto o fossero lì a spese dei cittadini;
          se il Coni abbia mandato comunicazione e, in caso affermativo, quando dell'abolizione del privilegio dei biglietti gratis a politici e Ministri per l'ingresso allo stadio, così come aveva promesso, appena eletto, il presidente del Coni Malagò;
          eventualmente quanti biglietti gratuiti e per quale importo complessivo siano stati concessi, esclusi quelli degli sponsor, nella partita in questione. (3-00084)

SALUTE

Interrogazione a risposta orale:


      TINAGLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          è disarmante quanto si apprende dagli organi di stampa e da recenti statistiche Istat in merito agli aborti clandestini praticati negli ultimi anni in Italia. In tutto il territorio nazionale senza nessuna eccezione da Nord a Sud, in intere regioni l'aborto legale è stato di fatto cancellato, oltre l'80 per cento dei ginecologi, e oltre il 50 per cento di anestesisti e infermieri non applica più la legge n.  194 del 1978;
          in Italia il numero dei ginecologi obiettori di coscienza in cinque anni dal 2005 al 2009, è passato dal 58,7 per cento al 70 per cento. Si è rilevato un aumento di obiettori anche tra gli anestesisti, passati dal 45,7 per cento al 51,7 per cento. È quanto emerge dalla relazione del Ministro della salute sull'attuazione della legge n.  194, trasmessa al Parlamento. Percentuali superiori all'80 per cento tra i ginecologi si registrano principalmente al Sud: 85,2 per cento in Basilicata, 83,9 per cento in Campania, 82,8 per cento in Molise, 81,7 per cento in Sicilia e 81,3 per cento a Bolzano. Anche per gli anestesisti i valori più elevati si osservano al Sud, con un massimo di più di 77 per cento in Molise e Campania e 75,6 per cento in Sicilia e i più bassi in Toscana (27,7 per cento) e a Trento (31,8 per cento);
          il Ministero della salute calcola ventimila aborti illegali all'anno e con stime più aggiornate, dal 2008 quarantamila, forse cinquantamila quelli reali, settantacinquemila gli aborti spontanei nel 2011 dichiarati dall'ISTAT, ma un terzo di questi, frutto probabilmente di interventi «illeciti casalinghi» non eseguiti in modo corretto;
          la conseguenza di tutto ciò è un aumento della mortalità e delle complicanze che portano alla sterilità. Contrabbando di farmaci (misoprostolo clandestino), cliniche fuorilegge sono fenomeni che riemergono grazie all'abbandono della legge n.  194 e della prevenzione delle gravidanze indesiderate;
          usando in maniera priva di controllo e indicazioni un farmaco per la cura dell'ulcera gastrica molte ragazze italiane e immigrate rischiano la vita, solo per una dose o un quantitativo sbagliato di un farmaco facilmente reperibile e che non risponde a nessuna garanzia per la salute di chi ne fa uso. Chi può permetterselo decide di andare all'estero: in Francia, Svizzera e Inghilterra si spendono 400 euro per un aborto;
          si è al cospetto di ragazzine che cercano e trovano i blister clandestini di farmaci «anti-ulcera» (10 pillole al costo di 100 euro) con un rischio serissimo per la loro vita;
          la legge n.  194 del 1978 era nata proprio per poter prevenire e tutelare il diritto di scelta di ogni donna nel rispetto della propria salute, e il suo cardine è la prevenzione dell'aborto e non l'aborto;
          è drammatico constatare che nel 2013 le donne muoiono ancora di setticemia o rimangono sterili a vita, tutto questo perché c’è gente che si ostina ad ignorare una legge emanata per la tutela della persona. Le agghiaccianti conseguenze di ciò sono: ambulatori fuorilegge, contrabbando di farmaci abortivi, cliniche private dai costi esorbitanti, viaggi della speranza all'estero. Solo nell'ultimo anno sono stati calcolati 188 procedimenti penali aperti per violazione della legge n.  194, molti dei quali verso insospettabili professionisti che agivano indisturbati tra le mura dei loro studi;
          medici e chirurghi denunciano che è sempre più difficile accedere ai servizi e le donne meno esperte, le più fragili, le più giovani, le straniere, finiscono nella trappola dell'illegalità. Oggi nel mercato clandestino si trova qualunque farmaco, addirittura la Ru486. In merito a questa problematica, si è espressa anche Silvana Agatone, ginecologa e presidente della Laiga, la lega italiana per l'applicazione della legge n.  194, che evidenzia in una sua intervista come «L'aborto clandestino ormai riguarda tutti i ceti della società. Ci sono gli aborti d'oro, quelli dei ceti elevati, che si svolgono in sicurezza negli studi medici, oppure all'estero. E poi ci sono gli aborti delle donne povere, delle clandestine, che comprano le pasticche nei corridoi del metrò, e se qualcosa va male si presentano al Pronto Soccorso affermando di aver avuto un aborto spontaneo  –:
          quali iniziative urgenti di competenza intenda adottare per impedire che molte donne siano lasciate da sole e debbano ricorrere a forme di aborto clandestino, mettendo a repentaglio la propria vita;
          in che modo intenda far rispettare il diritto di scelta che la legge n.  194 del 1978 garantirebbe se correttamente applicata e quali misure intenda assumere per garantire il rispetto della prevenzione ampiamente tutelato dalla citata legge del 1978, ma puntualmente disatteso al momento dell'applicazione della legge stessa. (3-00083)

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

XII Commissione:


      CECCONI e GRILLO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          il diritto alla salute, sancito dalla Costituzione italiana, non può e non deve essere soggetto a restrizioni o tagli che ne ridurrebbero l'efficacia del medesimo dettato costituzionale;
          l'Osservatorio nazionale della salute nelle regioni italiane monitora, ogni anno, con dati scientifici l'impatto delle politiche gestionali applicati dalle regioni;
          il report 2012 ha fornito i dati statistici dello stato di salute dei residenti regione per regione e contemporaneamente ha fotografato l'insieme del nostro sistema sanitario nazionale;
          la profonda crisi economica e finanziaria produce sia restrizioni di tipo sociale, sia la riduzione delle risorse disponibili per la sanità con evidenti ricadute dannose sulla prevenzione e sulla cura della salute dei cittadini;
          a parere degli interroganti una politica basata sulla riduzione generalizzata e indiscriminata dei costi, senza la eliminazione degli effettivi centri di spesa superflui e ingiustificati, produce un marcato indebolimento della funzione assistenziale del sistema sanitario nazionale, colpendo in specie le classi meno abbienti e socialmente più deboli;
          il report dell'Osservatorio salute, prima richiamato fotografa un ampio gap tecnologico, organizzativo, assistenziale tra la macro area del Centro-nord e quella del Sud-isole, con inaccettabili sacrifici per le classi sociali più deboli e indifese di questa ultima area;
          permane l'urgenza di promuovere e sviluppare ulteriormente i servizi di prevenzione e cura nell'ambito di una politica socio-sanitaria equanime a livello nazionale che aiuti ad assicurare il miglioramento delle condizioni di salute dei cittadini e che riduca il gap richiamato tra Nord e Sud, sia nella prevenzione che nella cura fornendo una equanime distribuzione territoriale dei presidi strumentali (RMN-angiotac-eco-mammografi e altro) come pure dei centri ad alta specialità;
          si osserva come dal report dell'osservatorio salute persista una migrazione interna in uscita dalle regioni del Sud verso il Nord con eventi ripercussioni negative sul bilancio sanitario meridionale che sposta verso alcune regioni, in particolare Emilia Romagna, Friuli, Toscana e Lazio, notevoli flussi di risorse economiche, impoverendo di fatto l'economia meridionale;
          la crisi economico-finanziaria, peraltro, induce il singolo, specie se socialmente disagiato, a ridurre o ad annullare le richieste di assistenza con evidenti ripercussioni negative immediate ma anche future sulle condizioni della salute e sulla qualità della vita di una ampia fetta della nostra comunità  –:
          quali iniziative il Governo abbia avviato o intenda avviare, di concerto con le regioni, per ridurre al minimo l'impatto negativo della crisi economica sulla salute degli italiani, per modificare in modo oculato la politica dei tagli delle risorse regionali per la sanità e per ridurre in modo significativo il gap assistenziale tra Nord e Sud al fine di eliminare i flussi migratori interni, implementando al contempo la prevenzione primaria come asse strategico per garantire la salute dei cittadini. (5-00182)


      GIGLI e BINETTI. —Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          come citato dall'articolo 1 della legge n.  194 del 1978, lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio. L'interruzione volontaria della gravidanza non è mezzo per il controllo delle nascite ed inoltre lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell'ambito delle proprie funzioni e competenze, promuovono e sviluppano i servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che l'aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite;
          i consultori familiari così come previsto dall'articolo 2 della citata legge n.  194, devono assistere la donna in stato di gravidanza informandola sui diritti a lei spettanti e sulle modalità idonee a ottenere il rispetto delle norme della legislazione sul lavoro a tutela della gestante, contribuendo a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all'interruzione della gravidanza;
          per attuare i fini previsti dalla legge i consultori sulla base di appositi regolamenti o convenzioni possono avvalersi, della collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita;
          sono previsti strumenti finanziari atti all'adempimento dei compiti dei consultori familiari e delle strutture a sostegno della donna in stato di gravidanza;
          l'articolo 16 della legge n.  194 prevede che entro il mese di febbraio, il Ministro della salute presenti al Parlamento una relazione sull'attuazione della legge stessa e sui suoi effetti, anche in riferimento al problema della prevenzione. Le regioni sono tenute a fornire le informazioni necessarie entro il mese di gennaio di ciascun anno, sulla base di questionari predisposti dal Ministro  –:
          se, nella relazione al Parlamento che verrà predisposta relativa ai dati del 2012, intenda identificare quale sia stata la cifra spesa dai consultori per aiutare le donne a superare le cause che potrebbero averla indotta alla interruzione volontaria di gravidanza e quali e quanti siano le collaborazioni istituite con le associazioni di volontariato per aiuto alle gestanti in difficoltà e quale sia il numero dei casi in cui la donna abbia potuto disporre di interventi personalizzati, per aiutarla ad evitare di ricorrere all'aborto per ragioni socio-economiche. (5-00183)


      LENZI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          dal quotidiano La Repubblica del 13 maggio 2013 si apprende la notizia che gli aborti clandestini sono raddoppiati negli ultimi cinque anni, arrivando a circa 40 mila nel 2012, in quanto «oltre l'80 per cento dei ginecologi e oltre il 50 per cento di anestesisti e infermieri non applica più la legge 194», poiché si dichiarano obiettori (91,3 per cento nel Lazio; 89 per cento in Puglia; 85,7 per cento Molise; 85,7 per cento in Basilicata; 83,9 per cento in Campania; 81,3 per cento Alto Adige; 80,6 per cento in Sicilia);
          nell'ultima relazione sullo stato di attuazione della legge concernente norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza contenente i dati definitivi per l'anno 2010 e quelli preliminari per l'anno 2011, presentata alle Camere in data 9 ottobre 2012 si legge che «L'ultima stima del numero di aborti clandestini è quella riferita nella relazione del 2008 su dati 2005, pari a 15.000 casi, la maggior parte dei quali si riferivano all'Italia meridionale. Tale dato riguarda solo le donne italiane, non essendo possibile calcolarlo in modo affidabile per le donne straniere»;
          molti altri elementi portano al raddoppio di quella cifra, facendo salire il numero delle interruzioni di gravidanza clandestine a 40/50 mila l'anno, basti confrontare le stime dell'illegalità al tasso di abortività delle immigrate, che è del 26,4 per cento interruzioni ogni mille donne, tre volte quello delle italiane o considerare i dati Istat relativi agli aborti spontanei dai quali si evince il loro incremento dai 55mila degli anni ottanta ai quasi 80mila dei giorni nostri;
          molti studiosi ritengono che l'incremento così alto del ricorso all'interruzione gravidanza molte volte nasconda un aborto clandestino non pienamente riuscito;
          sempre secondo l'inchiesta di Repubblica la mancata applicazione della legge n.  194 comporta il ritorno a cliniche clandestine e il contrabbando di farmaci abortivi con 188 procedimenti penali aperti nell'ultimo anno per violazione della legge n.  194, ed ancora le donne ricominciano a morire di setticemia o migrano da una regione all'altra nella ricerca di reparti che ancora garantiscano l'interruzione volontaria di gravidanza o addirittura chi può permetterselo migra all'estero in Francia, Svizzera e Inghilterra;
          secondo l'articolo 16 della legge n.  194 «Entro il mese di febbraio, a partire dall'anno successivo a quello dell'entrata in vigore della presente legge, il Ministro della sanità presenta al Parlamento una relazione sull'attuazione della legge stessa e sui suoi effetti, anche in riferimento al problema della prevenzione. Le regioni sono tenute a fornire le informazioni necessarie entro il mese di gennaio di ciascun anno, sulla base di questionari predisposti dal Ministro», mentre l'ultima relazione presentata risale al 9 ottobre 2012  –:
          se il Ministro sia a conoscenza, attraverso dei dati aggiornati, del fenomeno ormai dilagante dell'aborto clandestino e quali siano ad oggi gli elementi ostativi che hanno impedito la presentazione alle Camere della relazione annuale così come prevista dalla stessa legge n.  194 nonché quali iniziative urgenti intenda adottare al fine di ripristinare la legalità e l'accesso alle cure per tutte le donne che chiedono l'interruzione volontaria di gravidanza nel rispetto della legge n.  194 del 1978.
(5-00184)

Interrogazioni a risposta scritta:


      PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          nel mese di marzo e aprile 2013 numerosi cinghiali presenti nella zona montana della Val Sesia e della Val d'Ossola, in Piemonte, hanno mostrato segni di avvelenamento da radiazioni legate al cesio 137;
          quest'isotopo ha contaminato buona parte del vecchio continente 27 anni fa, a seguito dell'incidente avvenuto nella centrale nucleare di Chernobyl (Ucraina) il 26 aprile del 1986, durante il quale si è sprigionata una nube radioattiva che, anche a seguito delle ripetute precipitazioni, ha determinato un fall out non trascurabile soprattutto nelle regioni dell'arco alpino del nostro Paese;
          secondo recenti studi dell'Agenzia regionale per la protezione ambientale (ARPA) del Piemonte, la contaminazione dei cinghiali non può essere legata alla presenza di scorie nucleare nei due siti di Trino e Saluggia, in provincia di Vercelli;
          segni di contaminazione da cesio 137 sono presenti anche negli animali selvatici che vivono nel territorio austriaco, come riportato dall'articolo, pubblicato il 23 maggio 2013, del quotidiano Il Piccolo di Trieste dal titolo «Cinghiali radioattivi a ventisette anni da Chernobyl». Come si apprende dal giornale, il Ministro austriaco della salute Alois Stöger ha recentemente risposto a un'interpellanza parlamentare affermando che negli ultimi cinque anni su 350 esami effettuati dall'Agenzia nazionale per la salute e la sicurezza alimentare (Ages) per verificare la presenza di cesio 137 su cervi e cinghiali, in due circostanze sono stati riscontrati valori superiori ai 600 becquerel per chilogrammo, una soglia oltre la quale la carne non può più essere consumata;
          nella vicina Baviera, in Germania, tre anni fa l'ufficio per la salute e la sicurezza alimentare ha riscontrato la presenza di cesio 137 in 9 dei 56 esemplari presi in esame e in alcuni campioni è stata rilevata la concentrazione di 1300 becquerel per chilogrammo, una quantità molto superiore ai 600 becquerel consentiti per gli alimenti  –:
          se i Ministri interrogati siano a conoscenza della presenza, nel territorio nazionale, di animali selvatici contaminati da radiazioni nucleari e se intendano avviare, di concerto con le regioni, tutti gli accertamenti del caso per comprendere l'estensione e l'origine di detta contaminazione, a tutela della salute dei cittadini. (4-00596)


      OLIVERIO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          il piano di rientro dal deficit sanitario della regione Calabria è stato approvato con la delibera della giunta regionale n.  845 del 16 dicembre 2009 ad integrazione e modifica del documento adottato in precedenza dalla stessa regione Calabria con delibera G.R. n.  585 del 10 settembre 2009 e con la delibera G.R. n.  752 del 18 novembre 2009;
          con delibera del Consiglio dei ministri del 30 luglio 2010 si è proceduto alla nomina commissariale nella persona del presidente della Regione Calabria, dottor Giuseppe Scopelliti;
          l'obiettivo strategico del piano è la riqualificazione e il miglioramento dell'intero sistema sanitario regionale con la chiusura dei piccoli ospedali, la riorganizzazione della «rete emergenza» e la riorganizzazione della «continuità assistenziale»;
          con decreto del 18 settembre 2010 il commissario ha proceduto alla predisposizione di un piano integrato sulla rete ospedaliera, sulla rete di emergenza e sulla rete territoriale;
          in quest'ottica di risanamento della sanità calabrese un duro colpo viene dato alla sanità lametina. Francescantonio Mercuri dell'Associazione «Lamezia libera» denuncia che «L'ospedale cittadino “di Lamezia Terme” fra non molto sarà privato di un altro dei tasselli più importanti che un nosocomio, in cui opera il reparto di ostetricia e ginecologia, deve avere: dopo la soppressione e il declassamento di vari reparti, sarà la volta della TIN, Terapia Intensiva Neonatale»;
          la terapia intensiva neonatale dell'ospedale di Lamezia Terme, una vera eccellenza nella sanità calabrese, è stata istituita, tra le prime in Calabria, negli anni settanta ed è dotata di moderne attrezzature per la diagnosi e la cura dei neonati critici (prematuro, di basso peso, con patologie respiratorie o chirurgica toraco-addominale, malformato, e altro) ed ha salvato la vita a tanti neonati;
          la soppressione della terapia intensiva neonatale mette in grave difficoltà anche il reparto di ostetricia e ginecologia che, di fatto, diventa poco attrattivo, specialmente per i parti che potrebbero presentare al nascituro qualche difficoltà;
          dopo la chiusura del reparto di ostetricia e ginecologia dell'unica clinica privata cittadina e dopo il declassamento, la riduzione dei posti letti, i continui tagli di reparti, l'ospedale di Lamezia Terme è diventato un centro di smistamento per gli ospedali di Catanzaro, Cosenza e Reggio Calabria: anche per un banale intervento su un bambino o un minorenne bisogna recarsi a Catanzaro alla chirurgia pediatrica, che tanto costa ai cittadini calabresi per una convenzione, giudicata non indispensabile e dispendiosa, con l'ospedale Bambin Gesù di Roma;
          la garanzia dei livelli essenziali di assistenza su tutto il territorio regionale, ed in particolare sul lametino, non costituisce, ad avviso dell'interrogante, la priorità dell'azione della regione e del suo presidente, commissario della sanità regionale, che appare focalizzata solo ed esclusivamente su un calcolo «di cassa», per mezzo di una politica di tagli lineari. Si tratta di una scelta a giudizio dell'interrogante non comprensibile, con molti dubbi sulla sua ricaduta sociale e sui benefici in termini di maggiore efficienza dei servizi sanitari e di integrazione della rete ospedaliera. Questa impostazione sostituisce alla politica la ragioneria che si presenta lontana e distante dalle istanze del territorio;
          la soppressione della terapia intensiva neonatale nell'ospedale di Lamezia Terme, dopo oltre trenta anni di attività, porterebbe all'esodo dei prematuri nelle terapie intensive neonatali viciniori di Catanzaro, di Cosenza e Reggio Calabria. Tutto ciò recherebbe gravi disagi alle famiglie sia economici sia sociali considerate anche le condizioni orografiche e di viabilità della regione Calabria;
          l'eventuale soppressione della terapia intensiva neonatale di Lamezia Terme incide negativamente sull'insieme del territorio lametino, dell'offerta sanitaria e della garanzia dei livelli essenziali della programmazione sanitaria regionale, vincolo riconosciuto dalla Conferenza Stato-Regioni  –:
          se il Governo sia a conoscenza della situazione esposta in premessa e se non ritenga opportuno dover intervenire per garantire i livelli essenziali di assistenza e per tutelare il diritto a nascere in sicurezza e il diritto alla salute, così come sancito dall'articolo 32 della Costituzione;
          se il Governo non ritenga, alla luce di quanto esposto in premessa e in considerazione del piano di rientro del debito sanitario della Calabria, di assumere adeguate ed urgenti iniziative per garantire che ai cittadini calabresi siano garantite le stesse opportunità offerte ai cittadini del resto d'Italia. (4-00597)


      OLIVERIO e CENSORE. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
          la notte del 16 maggio 2013, in seguito all'ondata di maltempo che ha colpito la provincia di Vibo Valentia, il forte vento ha causato il crollo del tetto di amianto di un manufatto di 700 metri quadrati ubicato sulla banchina Tripoli del Porto;
          da un sopralluogo dei tecnici dell'azienda sanitaria provinciale «è emerso che il tetto presenta alcune lastre di amianto in grave stato di fatiscenza, essendo le stesse rovinate al suolo, frantumandosi, mentre altre lastre di amianto, ancora presenti sul bordo del tetto, anch'esse rotte e in procinto di cadere a terra»;
          la gestione del fabbricato rientra tra le competenze del Demanio marittimo, di proprietà, quindi, dello Stato. Nel caso specifico la competenza alla messa in sicurezza dell'edificio, alla bonifica dell'area e allo smaltimento dell'amianto è del Genio civile;
          le associazioni ambientaliste della provincia da molto tempo portano avanti una battaglia per la tutela ambientale di questa bellissima costa e segnalano: «il nostro territorio è in una situazione emergenziale dall'alluvione del 2006. Da allora i problemi non fanno che sommarsi al degrado e all'abbandono. Se non si comincia ad aggredirli e a risolverli, una volte per tutte, vivremo sempre nella precarietà. Ovunque c’è amianto in decomposizione, anche vicino alla stazione ferroviaria, nei pressi del Centro anziani, dove ormai da diverso tempo sostano vecchi vagoni ferroviari in avanzato stato di degrado»;
          il sindaco di Vibo Valentia Nicola D'Agostino ha disposto, con un'ordinanza del 25 maggio 2013 in via provvisoria ed a scopo meramente precauzionale, la sospensione a partire dal 27 maggio dell'attività scolastica con la chiusura di tutte le scuole a Vibo Marina. Per evitare rischi per la salute della popolazione è stato sospeso anche il mercato settimanale del lunedì;
          nella stessa giornata di sabato 25 maggio si è tenuto presso la capitaneria un vertice, alla presenza del prefetto di Vibo Valentia, per valutare lo stato di inquinamento ambientale, per pianificare i necessari interventi per affrontare l'emergenza «amianto» e per «stabilire le azioni da porre in essere a protezione della salute pubblica dei cittadini»;
          nei giorni precedenti, subito dopo il crollo del tetto del capannone, il sindaco aveva emesso una prima ordinanza in cui obbligava la popolazione residente nella frazione marina della città «ad utilizzare, in aree esterne alle proprie abitazioni, mascherine di protezione per bocca e naso, ad evitare di tenere aperti gli infissi esterni delle abitazioni o attività lavorative, ad usare elettrodomestici aspira polveri e simili e non scope o altri attrezzi che sollevino polvere, fino a rientrato allarme». La decisione era stata presa per la «possibile aero-dispersione in atmosfera di fibra di amianto» dovuta al crollo parziale del tetto di un capannone sulla banchina  –:
          se siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali urgenti iniziative di competenza intendano intraprendere, considerata la gravità della situazione ambientale e il degrado della zona portuale di Vibo Valentia e di parte della costa, al fine di smaltire con la massima sicurezza l'amianto ancora presente, avviare la bonifica dell'area ed effettuare un monitoraggio dell'intero territorio e dei relativi fabbricati per prevenire il verificarsi di situazioni simili. (4-00598)


      BOCCADUTRI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
          la legge n.  194 del 1978 ha reso, a determinate condizioni, legale l'interruzione volontaria della gravidanza;
          l'articolo 9 della stessa legge prevede che «il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie non è tenuto a prendere parte alle procedure di cui agli articoli 5 e 7 ed agli interventi per l'interruzione della gravidanza quando sollevi obiezione di coscienza, con preventiva dichiarazione»;
          per cercare di evitare che le donne italiane potessero far ricorso all'interruzione volontaria della gravidanza, negli ultimi anni molti movimenti hanno spinto i propri membri ad intraprendere la professione medica o le professioni sanitarie;
          per effetto anche di questa campagna, circa l'80 per cento dei ginecologi oggi è obiettore di coscienza;
          in particolare, secondo fonti giornalistiche, nel Lazio il 91 per cento dei ginecologi è obiettore di coscienza, a Bari gli ultimi due medici che praticavano l'interruzione volontaria della gravidanza hanno deciso di abbandonare il reparto, a Napoli il servizio viene assicurato soltanto da un ospedale in tutta la città, in Sicilia il tasso di astensione dalla 194 è dell'80,6 per cento;
          questa situazione sta determinando, nei fatti, l'impossibilità di molte donne di ricorrere al trattamento di cui alla legge n.  194 del 1978, spingendole a recarsi all'estero o a ricorrere agli aborti clandestini, cresciuti secondo le stime sino a ventimila l'anno;
          questa situazione, oltre a introdurre una discriminazione di classe, sta esponendo migliaia di donne a pericolo di vita, negando loro un diritto riconosciuto per legge  –:
          quale sia la percentuale di medici e di personale sanitario attualmente in servizio presso gli ospedali ginecologici che ha fatto obiezione di coscienza;
          quali iniziative di competenza il Ministro della salute intenda intraprendere per assicurare alle donne italiane il diritto alla salute e all'interruzione volontaria della gravidanza. (4-00603)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta scritta:


      MOLTENI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
          il decreto 5 aprile 2013, del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, emanato dal precedente Governo, stabilisce i nuovi criteri per identificare le impresse a forte consumo di energia;
          il decreto è stato emanato ai sensi dell'articolo 39 del decreto-legge 83 del 2012, convertito, con modificazioni dalla legge n.  134 del 2012, in attuazione della direttiva 2003/96/CE, la quale, all'articolo 17, detta disposizioni in materia di criteri di revisione del sistema delle accise sull'elettricità e sui prodotti energetici, prevedendo regimi tariffari speciali per i grandi consumatori industriali di energia elettrica;
          ai sensi del decreto ministeriale 5 aprile 2013, l'azienda cosiddetta «energivora» è identificata sulla base sia dell'ammontare del valore assoluto dei costi energetici, che devono superare i 2.400.000 chilowattora all'anno, sia sulla base dell'incidenza del costo dell'energia sul proprio volume complessivo d'affari;
          tali imprese, hanno diritto ad agevolazioni sia sulle accise per l'energia complessivamente utilizzata nel processo produttivo, sia sui cosiddetti oneri di sistema (che coprono in particolare gli incentivi per le rinnovabili) relativi all'energia elettrica acquistata;
          in particolare, le aziende con un costo totale dell'energia superiore al 3 per cento del fatturato hanno diritto ad agevolazioni sulle accise e, inoltre, le aziende con un rapporto tra costo della sola energia elettrica e fatturato superiore al 2 per cento hanno diritto a riduzioni sugli oneri di sistema, in maniera crescente proprio in base a tale rapporto;
          l'aver posto livelli di consumo minimo elevati, ossia superiori a 2.400.000 chilowattora, ha escluso da possibili benefici tutto il sistema delle micro, piccole e medie imprese, che hanno ridotti consumi in termini di entità ma elevata incidenza in termini di costo sostenuto rispetto al valore produttivo dell'impresa;
          il livello di consumo minimo pari a 2.400.000 chilowattora non è previsto dalla direttiva europea 2003/96/CE;
          il 24 aprile 2013, il Ministro dello sviluppo economico Passera ha inviato all'Aeeg un atto di indirizzo per la determinazione degli oneri generali di sistema elettrico per le imprese a forte consumo di energia che purtroppo accentua le sperequazioni esistenti;
          tale atto di indirizzo fa salve le agevolazioni esistenti e istituisce una ulteriore nuova classe di agevolazioni in favore di imprese rientranti nella definizione di impresa a forte consumo di energia; il costo di tale nuova classe di agevolazioni viene ripartito su tutti gli altri utenti finali non agevolati, in misura uguale, ossia alle piccole e medie imprese (che non rientrano nella definizione di impresa a forte consumo di energia) e alle famiglie;
          da alcuni primi calcoli effettuati dalle imprese sembra che il costo di questa nuova agevolazione è pari a 600 milioni circa che andrà a beneficio di circa 5.000 imprese e, se non verrà modificata la linea politica da parte del nuovo Governo, tale costo verrà interamente sussidiato da 33 milioni di utenze domestiche e da 7 milioni di piccole imprese;
          ovviamente, l'obiettivo del precedente Governo è stato quello di consentire il recupero di competitività di una fetta importante del nostro sistema produttivo, assegnando ai grandi operatori «energivori» sgravi sia in termini di oneri di sistema sia in termini di agevolazioni fiscali; tuttavia, la rimodulazione degli oneri prevista penalizza oltre modo le piccole e medie imprese e le famiglie  –:
          se i Ministri non intendano assumere le opportune iniziative per rivedere la definizione dell'impresa a forte consumo di energia e il limite delle 2.400.000 chilowattora annue di cui al decreto ministeriale 5 aprile 2013, non fissato dalle direttive comunitarie, e se non ritengano opportuno rielaborare l'atto di indirizzo ministeriale del 24 aprile 2013, prima che l'Aeeg inizi a lavorare sulle ipotesi di rimodulazione ivi indicate, allo scopo di riaprire lo spazio per un confronto con le imprese piccole e medie che permetta di giungere ad un sistema di agevolazioni per le imprese «energivore» che eviti di incidere sui soggetti non agevolati, ossia piccole e medie imprese e famiglie. (4-00605)


      GALLINELLA, CIPRINI, TERZONI, CECCONI, AGOSTINELLI, VACCA, COLLETTI, DEL GROSSO, GAGNARLI e TOFALO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
          nel gennaio 2005 la Snam Rete gas spa ha presentato, attraverso una serie di valutazioni di impatto ambientale (VIA) parziali, un progetto per la realizzazione di un gasdotto denominato «Rete Adriatica», di 687 chilometri, suddiviso in cinque lotti funzionali: Massacra-Biccari; Biccari-Campochiaro; Sulmona-Foligno (a Sulmona è prevista anche la centrale di compressione); Foligno-Sestino e Sestino-Minerbio;
          la società proponente Snam, nel suddividere l'opera nei suddetti 5 lotti funzionali, non ha affatto considerato la direttiva n.  85/337/CEE e n.  97/11/CE e la giurisprudenza comunitaria (Corte di giustizia dell'Unione europea, sezione II, 28 febbraio 2008, causa C-2/07) concernenti l'obbligo di una valutazione di impatto ambientale di tipo complessivo, che tenga conto dell'effetto cumulativo dei progetti frazionati, non ha tenuto conto della direttiva n.  42/2001/CE disciplinante l'obbligo di applicazione della procedura di valutazione ambientale strategica e della direttiva n.  92/43/CEE sulla salvaguardia degli habitat naturali;
          inizialmente l'opera era prevista lungo la fascia adriatica, costituendo il consequenziale raddoppio dell'infrastruttura già esistente, ma all'altezza di Biccari, è stata dirottata verso l'interno;
          dall'all'analisi del tracciato, si evince che si tratta di un'unica struttura per il trasporto del gas metano che va ad interessare aree di particolare pregio ambientale e ad elevato rischio sismico;
          in merito ai costi ambientali, appare evidente quanto devastante e, quindi, sconsiderata, sia la scelta di un tracciato che coincide con il progetto «A.P.E.» (Appennino Parco d'Europa), il più importante progetto di sistema avviato nel nostro Paese, finalizzato alla conservazione della natura e allo sviluppo ecosostenibile con l'ambizione strategica della valorizzazione delle risorse naturali e culturali;
          per quanto attiene al rischio sismico, esso rappresenta, tra le criticità del progetto, uno degli aspetti più macroscopici: deviando l'opera, la Snam sceglie incredibilmente, un tracciato che si snoda lungo le depressioni tettoniche interne dell'Appennino centrale;
          sovrapponendo il percorso del gasdotto alle carte sismiche delle regioni interessate, balza infatti in tutta la sua evidenza che la condotta corre in parallelo e talvolta interseca le linee di taglia attive di territori caratterizzati da un notevole tasso di sismicità che si manifesta, non di rado, attraverso eventi di magnitudo elevata;
          la mappa della pericolosità sismica del territorio nazionale mette in evidenza, attraverso l'intensità della colorazione viola, le aree che sono a più elevato rischio dell'intera penisola. Sono le stesse aree che, secondo la Snam, dovrebbero essere attraversate dal mega-gasdotto Brindisi-Minerbio e tra queste, esattamente le località più tragicamente colpite dal terremoto del 6 aprile 2009, quelle del cratere sismico dell'Aquila e provincia, nonché le località del sisma che ha colpito l'Umbria e le Marche il 26 settembre 1997;
          nel settembre del 2010, si è costituito, tra le regioni Abruzzo, Marche ed Umbria, un coordinamento interregionale antigasdotto con capofila il comune dell'Aquila;
          è la stessa Snam a definire il Sulmona-Foligno ed il Foligno-Sestino «uno dei tratti più critici dell'intero progetto». Tutte le località interessate dal tracciato del gasdotto sono in zona sismica di 1o e 2o grado; anche la centrale di compressione, prevista a Sulmona, insiste su una zona sismica di 1o grado: il sito scelto per la centrale è nei pressi della faglia attiva del Monte Morrone ed i sismologi pongono l'attenzione, oltre che sulla particolare origine geologica della Conca Peligna (caratterizzata da depositi alluvionali come la piana dell'Aquila) che, in caso di terremoto, amplifica notevolmente gli effetti dell'onda sismica a causa del fenomeno dell'accelerazione, anche sulla faglia stessa, «dormiente» da oltre 1.900 anni; senza trascurare che la particolare conformazione orografica della Valle, non consentirebbe la dispersione delle sostanze inquinanti emesse dalla centrale con notevoli ripercussioni sulla salute umana e sulla catena alimentare;
          all'elevato rischio sismico che metterebbe a repentaglio l'incolumità dei cittadini ai quali viene ad avviso degli interroganti negata e sottratta l'applicazione del principio di precauzione, si sommano gli ingenti danni anche irreversibili all'ambiente ed i danni economici sia per le popolazioni colpite dal sisma che a stento cercano di risollevarsi, che per i cittadini residenti che hanno scelto per i loro territori, un modello di sviluppo eco-sostenibile che nulla ha a che vedere con infrastrutture pericolose ed impattanti imposte dall'alto;
          i consumi di gas sono in netto calo secondo i dati forniti dalla stessa Snam: 75,78 miliardi di metri cubi immessi in rete nel 2012, contro gli 84 miliardi circa del 2008, mentre le infrastrutture esistenti hanno una capacità di trasporto di 107 miliardi di metri cubi. La realizzazione di nuove infrastrutture è quindi motivata dalla volontà della Snam di rafforzare il ruolo di hub dell'Italia: rivendere il gas acquistato dal nord Africa ai Paesi del centro-nord Europa, gravando i cittadini ed i territori attraversati di pesanti servitù, rischi, danni ambientali, economici senza alcun beneficio;
          molti sono gli enti istituzionali che attraverso i loro deliberati, tutti con voto unanime, hanno espresso contrarietà all'opera come: la regione Abruzzo, la regione Marche, la regione Umbria, la provincia di Perugia, la provincia dell'Aquila, la provincia di Pesaro e Urbino, il comune di Pietralunga, il comune di Gubbio, il comune di Foligno, il comune di Cascia, il comune dell'Aquila, il comune di Sulmona, il comune di Pratola Peligna, il comune di Pacentro, il comune di Corfinio, il comune di Navelli, il comune di Introdacqua;
          l'VIII Commissione Ambiente della Camera dei deputati il 26 ottobre 2011 ha approvato all'unanimità una risoluzione che impegna il Governo a disporre la modifica del tracciato sia per gli alti costi ambientali che per l'elevato rischio sismico;
          i provvedimenti di valutazioni di impatto ambientale sono oggetto di contenzioso ancora in essere e il tracciato del metanodotto in progetto è stato oggetto di azioni legali in sede nazionale e comunitaria da parte di enti locali, comitati e associazioni ecologiste per l'assenza di procedure di valutazioni di impatto ambientale o di valutazione ambientale strategica uniche;
          il 26 giugno 2010 la provincia di Pesaro-Urbino, la provincia di Perugia, il comune di Gubbio, nel dicembre 2011 il comune di l'Aquila, la comunità montana del Catria e del Nerone, il comitato umbro-marchigiano «No Tubo», i comitati cittadini per l'ambiente di Sulmona, il comitato civico «Norcia per l'Ambiente», il gruppo d'intervento giuridico onlus, l'associazione La Lupus in Fabula onlus, la Federazione nazionale Pro Natura, il WWF Italia, Mountain Wilderness Italia, Italia Nostra, l'ARCI caccia della provincia di Perugia hanno inoltrato un ricorso alla Commissione europea affinché valuti (articolo 258 Trattato CE) la rispondenza alle normative comunitarie in materia di valutazione ambientale strategica – VAS e di valutazione di impatto ambientale – VIA del gasdotto denominato «Rete Adriatica», progettato dalla Snam Rete Gas spa (avente come partner per la distribuzione la Società British Gas);
          l'8 agosto 2011 sono stati presentati tre ricorsi straordinari al Capo dello Stato contro il progetto del gasdotto appenninico «Rete Adriatica» della Snam Rete Gas spa da parte delle associazioni ecologiste Mountain Wilderness, Lega per l'Abolizione della Caccia e Federazione nazionale Pro Natura, da parte della provincia di Perugia e da parte del comune di Gubbio, curati dall'avvocato Rosalia Pacifico, del foro di Cagliari;
          nei primi giorni del mese di luglio 2011 è stato presentato ricorso al TAR Lazio contro il decreto di compatibilità ambientale dal comune di l'Aquila;
          appare agli interroganti inutile sottoporre ad oggettivi rischi i cittadini delle aree interessate nel realizzare la nuova infrastruttura, considerando che quella attuale già soddisfa la domanda interna  –:
          se non ritengano necessario assumere tutte le iniziative di propria competenza al fine di escludere che il progetto di realizzazione dell'opera coinvolga la fascia appenninica in linea con i contenuti della risoluzione approvata all'unanimità dall'VIII Commissione Ambiente nella seduta n.  553 del 26 ottobre 2011;
          se ritengano necessario considerare tutte le deliberazioni di contrarietà adottate dai vari enti istituzionali a tutti i livelli;
          quale sia l'orientamento generale del Governo nei confronti del progetto denominato «Rete Adriatica» e se, alla luce delle numerose criticità riportate in premessa, non ritenga che sia opportuno sospendere le procedure di autorizzazione attualmente in corso ed impedire la realizzazione di quest'opera così come progettata. (4-00613)

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

      La risoluzione in Commissione Verini e altri n.  7-00019, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 27 maggio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Bindi.

Apposizione di una firma ad una interpellanza.

      L'interpellanza Zanetti e Pagano n.  2-00054, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 maggio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Gitti.

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

      Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta scritta Fabbri n.  4-00267 del 29 aprile 2013.

Ritiro di una firma da una mozione.

      Mozione Marcon e altri n.  1-00051, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 maggio 2013: è stata ritirata la firma del deputato Bruno Bossio.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

      Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta Scuvera e altri n.  4-00239 del 16 aprile 2013 in interrogazione a risposta orale n.  3-00085.